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anno 13 - numero 122 - marzo 2020 CINA NELLA TEMPESTA, MA PER ORA REGGE ESG: È SEMPRE PIÙ BOOM

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anno 13 - numero 122 - marzo 2020

CINA NELLA TEMPESTA, MA PER ORA REGGEESG: È SEMPRE PIÙ BOOM

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FONDI&SICAV Marzo 2020 3

La Cina è una superpotenza? Personalmen-te sono convinto di no e ritengo che non lo diventerà mai. Sia ben chiaro, la forza non le manca: è stata capace di svilupparsi per quasi tre decenni a ritmi incredibili e anche ora che è la seconda economia del mondo va avanti con un +6% all’anno (sal-vo le conseguenze del coronavirus), che è semplicemente strabiliante: un fatto è cre-scere dal nulla, un altro è farlo quando si è quasi un paese a medio reddito.Anche le sacche di povertà che ancora

esistono, le malattie, una visione del pote-re brutale più simile a quella di uno stato medievale non sono elementi che possono impedire al Dragone di essere la superpo-tenza globale che aspira a essere. L’Unione Sovietica aveva tutti questi problemi e for-se anche qualcuno in più, ma era indub-biamente una superpotenza, riconosciuta come tale da tutti. Anche se mettere in-sieme regolarmente tre pasti al giorno per un cittadino dell’Urss era impresa non sempre facile.Ma allora che cos’è che manca alla Cina? È semplice, un’ideologia da esportare. Mo-sca, pur con tutte le sue pecche, ha fatto sognare milioni di uomini, che contro ogni

evidenza erano convinti che il modello del socialismo reale fosse una sorta di para-diso terrestre che poteva essere adattato a ogni angolo della terra. Le repubbliche socialiste sovietiche si opponevano agli Stati Uniti sicuramente sul piano militare, ma soprattutto costituivano un’alternati-va altrettanto forte al modello americano, che faceva sognare l’altra parte del mondo. La Cina questa cosa non ce l’ha proprio: è vista solo come forza, solo muscoli. Nes-sun paese prova amore e interesse pro-fondo per la sua realtà. Rischia di restare per sempre un gigante isolato. Ma su que-sta base sorge spontanea una domanda: gli Stati Uniti sono ancora una superpotenza?

UN SALTO CULTURALE EPOCALE di Giuseppe Riccardi

LA CINA È UNA SUPERPOTENZA? di Alessandro Secciani

Anche quest’anno sono stato a Consulen-Tia20 per tutta la durata della manifestazione. Nei tre giorni ho avuto modo di incontrare e confrontarmi con decine di operatori del mondo del risparmio gestito, ma soprattutto, ovviamente, consulenti finanziari. E ho avuto la sensazione tangibile che la categoria stia ve-ramente facendo un salto che era impensabile fino a pochi anni fa. Innanzitutto la presenza ai convegni e alle tavole rotonde è stata al-tissima e con un’attenzione e una quantità di domande come raramente avevo visto prima. I grandi temi economici e finanziari che il pa-ese, ma forse il mondo intero, sta affrontan-do attiravano l’attenzione di tutti. L’esigenza di approfondimento era palpabile. Il secondo punto, messo in risalto anche dai numerosi

rappresentanti di Sgr che ho incontrato, è il sempre più forte stimolo che la categoria sta cercando di esercitare sui gestori. Una volta erano gli asset manager a dettare legge e i consulenti dovevano adattare il loro lavoro al flusso informativo che arrivava dalle fabbriche prodotti. Non è che il fenomeno sia scompar-so, ma sempre più spesso gli advisor rappre-sentano una vera e propria spinta dal basso, che vuole influire sulle decisioni, presentare nuove esigenze anche a nome di una clien-tela che vuole sapere, vuole essere informata e vuole vivere da protagonista i grandi trend che si stanno affermando sul mercato. Mai come oggi si percepisce che il mondo ESG non rappresenta soltanto una moda, ma una sempre più importante consapevolezza di

dover cambiare radicalmente l’approccio alle aziende, agli investimenti. Un altro elemento interessante è stato il confronto tra profes-sionisti di società diverse. Una volta i discorsi tra esponenti di diverse reti si incentravano soprattutto sulle fee e sulle diverse condizioni che le reti potevano offrire. In questi giorni ho assistito invece molto spesso a discussioni e domande su mercati, visioni strategiche, ser-vizi offerti ai consulenti, esigenze della clien-tela. Un approccio che rappresenta un salto epocale, soprattutto sul piano della cultura e della consapevolezza del ruolo strategico e fondamentale del consulente.

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SONDAGGIO A CONSULENTIA20Equity a tutta forza

SPECIALE ESGIl futuro è qui

CRISTINA MAZZURANALa forza della continuità

LA FINANZA E LA LEGGESegnali incoraggianti dalla giurisprudenza

DUCCIO MARCONIdirettore centrale consulenti finanziariCheBanca! Start up conclusa

INCHIESTAA caccia di rendimenti

BANCA GENERALIUn hub di innovazione

LIFESTYLE OROLOGIDimmi quale segnatempo usi e ti dirò chi sei

EDITORIALE

GEOPOLITICAFelice anno nuovo, Croazia!

OSSERVATORIO ASIALa Malesia dopo Wawasan 2020

FACCIA A FACCIA CON IL GESTOREFurio Pietribiasi, amministratore delegato Mediolanum International Funds Limited (Mifl)Una piattaforma sempre più forte

Serge Pizem global head of multi-asset investments Axa Investment ManagersSoprattutto flessibilità

GESTORI CONVERTIBILIUno scenario pressoché ideale

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Numero 122marzo 2020

anno 13

direttoreGiuseppe Riccardi

coordinamento redazionale e direttore responsabileAlessandro Secciani

ufficio studiBoris Secciani

progetto grafico e impaginazioneElisa Terenzio

collaboratoriMassimo Avella, Stefania Basso,

Lorenzo Dilena, Heidi Foppa, Rocki Gialanella,

Mark William Lowe, Pinuccia Parini

redazione e pubblicitàViale San Michele del Carso 1

20144 MIlano, T. 02 320625567

pubblicitàAlessandro Cervieri

[email protected]

casa editrice GMR

Viale San Michele del Carso 120144 MIlano, T. 02 320625567

stampa Tatak S.r.l.s.www.tatak.it

Autorizzazione n.297 dell’8 maggio 2008

del Tribunale di Milano

immagini usate su licenza di Shutterstock.com

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LA CINA NELLA TEMPESTA22

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Ancora forte in un oceano di incognite

I fondamentali del Dragone

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EDITORIALE

GEOPOLITICAFelice anno nuovo, Croazia!

OSSERVATORIO ASIALa Malesia dopo Wawasan 2020

FACCIA A FACCIA CON IL GESTOREFurio Pietribiasi, amministratore delegato Mediolanum International Funds Limited (Mifl)Una piattaforma sempre più forte

Serge Pizem global head of multi-asset investments Axa Investment ManagersSoprattutto flessibilità

GESTORI CONVERTIBILIUno scenario pressoché ideale

I TREND EVOLVONO. GLI INVESTIMENTI SI ADATTANO. 2020

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1 Percentuale di distribuzione attesa lorda per la classe Base a distribuzione mensile LU1038298870. Gli obiettivi sono soggetti a cambiamento, e sono aggiornati alla data del presente articolo. I dati suindicati esprimono degli obiettivi e non forniscono garanzie in merito ai risultati futuri. Ad uso esclusivo dei investitori professionali. Nel Regno Unito, il presente materiale costituisce una promozione finanziaria ed è stato approvato da Goldman Sachs International, società autorizzata dalla Prudential Regulation Authority e regolata dalla Financial Conduct Authority e dalla Prudential Regulation Authority. Gli obiettivi non garantiscono in alcun modo i risultati futuri.

Messaggio pubblicitario con finalità promozionali. Prima dell‘adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione e il prospetto disponibile sul sito Internet https://assetmanagement.gs.com/content/gsam/ita/it/advisors/homepage.html e presso gli intermediari collocatori. Goldman Sachs Global Core® Equity Portfolio, Goldman Sachs Global Millennials Equity Portfolio e Goldman Sachs Global Multi Asset Income Portfolio sono comparti della SICAV di diritto lussemburghese Goldman Sachs Funds. Il presente documento non rappresenta un‘offerta di acquisto o sottoscrizione di quote. Prima di ogni investimento consigliamo di contattare il vostro consulente finanziario. Riservatezza: Nessuna parte di questo materiale può, senza il previo consenso scritto di GSAM, essere (i) riprodotta, fotocopiata o duplicata, in qualsiasi forma, con qualsiasi mezzo, o (ii) distribuita a qualsiasi persona che non sia un dipendente, un funzionario, un amministratore o un agente autorizzato del destinatario. Goldman Sachs & Co., © 2020 Goldman Sachs. Tutti i diritti riservati. 165008-OTU-960907

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a cura di Mark William Lowe

GEOPOLITICA

Felice anno nuovo, Croazia!

È stato un inizio d’anno ricco di stimoli per la Croazia, repubblica parlamentare di 4,2 milioni di abitanti circondata da Slo-venia, Ungheria, Serbia, Bosnia Erzegovina e Montenegro. Il 1° gennaio 2020 Zaga-bria ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea e solo quattro giorni dopo, il 5 gennaio, i 3,8 milioni di elettori del paese sono andati ai seggi elettorali per eleggere un nuovo presidente. A dispetto della maggior parte delle previsioni, il vincitore è stato Zoran Milanović, ex primo ministro e candida-to del Partito socialdemocratico di cen-tro-sinistra.Numerosi analisti si aspettavano che la corsa presidenziale fosse vinta dal presi-dente in carica Kolinda Grabar-Kitarović. Tuttavia, il suo cruciale impegno nel riunire una destra divisa non ha avuto successo e lo schieramento ha ottenuto poco più del 47% dei voti. Il 53enne Milanovic ora è a capo di un paese che sta lottando contro un esodo di massa della sua popolazione, soffre di un alto grado di corruzione e di un basso livello di crescita economica.Oltre che dai cambiamenti climatici e dalla struttura del bilancio, il membro più giovane dell’Ue vedrà il suo mandato di sei mesi alla presidenza dell’Unione domi-nato dall’uscita del Regno Unito e dalle di-scussioni sull’adesione dell’Albania e della Macedonia del Nord.La Croazia, sul versante domestico, si sta

preparando per le elezioni legislative, che si terranno tra la fine di settembre e la pri-ma parte di ottobre 2020. Secondo alcuni recenti sondaggi, il vantaggio dell’Unione democratica croata di centro-destra sul partito socialdemocratico è diminuito e la vittoria di Zoran Milanović è vista da molti analisti politici come un duro colpo alla reputazione del primo ministro An-drej Plenkovic.

PROBLEMI INTERNILa Croazia ha aderito all’Unione europea con grandi speranze e ambizioni nel 2013, ma la sua economia rimane una delle più deboli del blocco. La crescita è stata in-fluenzata anche dalla politica di apertura dei confini dell’Unione e molti dei croa-ti che hanno lasciato il paese in cerca di una migliore retribuzione negli altri stati membri più ricchi non sembrano disposti a tornare fino a quando l’economia della nazione non sarà migliorata considerevol-mente.Tra le cause che spingono le persone ad andarsene ci sono anche la corruzione, il nepotismo e i servizi pubblici scadenti. I politici sono spesso accusati di discute-re del passato e di una serie di questioni insignificanti, dimostrando di non essere in grado di introdurre le riforme ritenute necessarie allo sviluppo economico del paese.Tutto sommato, la Croazia sta ottenen-

do risultati migliori di alcuni suoi vicini nell’Europa sud-orientale, ma la crescita rimane sotto la media Ue. Ciononostante, la nazione sta procedendo verso l’adozio-ne dell’euro e tutti i segnali indicano che il processo è possibile. Per quanto riguarda il Pil, sia la Banca Mondiale, sia la direzione generale affari economici e finanziari della Commissione europea prevedono che i dati definitivi per il 2019 mostreranno una crescita del 2,9%. Sfortunatamente, le sti-me per il 2020 e il 2021 sono leggermente inferiori: rispettivamente al 2,6% e al 2,4%. Alquanto incongruamente, la Commissio-ne europea prevede anche che la disoc-cupazione scenda dall’attuale tasso del 6,9% a poco meno del 5% entro il 2021. La medesima positività viene manifestata sul debito pubblico lordo che dovrebbe passare dal 71,2% al 64,4% rispetto al Pil entro il 2021.

RECESSIONE DOMESTICAPer raggiungere uno sviluppo più forte, la Croazia deve concentrarsi sull’eliminazio-ne del suo modello di crescita disconti-nuo e introdurre una serie di misure volte principalmente a diversificare le fonti di reddito e a ridurre l’influenza delle forze esterne. Essendo una delle economie più debo-li d’Europa, la Croazia è vulnerabile agli shock esogeni. L’elevata integrazione con i mercati italiano e tedesco lascia la mal

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strutturata economia del paese molto vul-nerabile alla stagnazione o alla recessione, sia dell’Italia, sia della Germania.Un esempio di come le forze esterne pos-sano influire sull’andamento della crescita è rappresentato dal turismo, un settore estremamente importante per il paese, che genera entrate significative, ma che è sensibile a fattori esterni sui quali Zaga-bria non ha alcun controllo. In teoria una recessione nelle nazioni più ricche favori-rebbe un aumento del turismo in un paese meno sviluppato e quindi più economico, ma nella realtà non sempre ciò avviene.Ci sono poi altri settori industriali, come la lavorazione del legno, che sono ugual-mente a rischio, perché dipendenti da elementi esterni. Se si assistesse a una diminuzione della domanda di mobili a causa di un rallentamento della crescita in Germania, come avvenne nel 2008, le società croate del settore farebbero fatica a sopravvivere.Gli economisti sono anche preoccupati di ciò che potrebbe succedere nel caso che si verificasse uno shock sui mercati finan-ziari, come un aumento dei tassi di presti-to e il conseguente insorgere di problemi legati al finanziamento del debito. Un’altra fonte di apprensione è il settore pubblico, che è fortemente indebitato e impiega cir-ca il 18% della forza lavoro.

fettivo processo per diventare un mem-bro dell’Unione.

CONCLUSIONEPer crescere allo stesso ritmo degli altri membri dell’Ue e visto l’invecchiamento della popolazione della Croazia, l’aumen-to dell’emigrazione, i continui cambia-menti nel mondo dell’industria e le ten-denze globali nello sviluppo tecnologico, è fondamentale che la Croazia identifichi le politiche di sviluppo cui assegnare una priorità. Queste azioni devono essere in-traprese ora, affinché le strategie di Za-gabria risultino efficaci nel migliorare il potenziale di crescita a lungo termine del paese.I tassi attuali di aumento del Pil non sono sufficienti e pertanto il governo deve con-centrarsi nell’assistere il settore privato a diversificare, ridurre i rischi connessi a fattori esterni, creare occupazione soste-nibile e accelerare la crescita del paese. Le istituzioni croate devono essere raf-forzate e una serie di riforme introdot-te. Se Zagabria sarà in grado di attuare azioni politiche convincenti, allora ci sa-ranno maggiori possibilità di incoraggiare gli investimenti esteri tanto necessari e aumentare la resilienza del paese all’im-patto dei cambiamenti nelle economie da cui dipende economicamente.

UN MEDIATORE ONESTODurante la sua prima presidenza dell’Ue la Croazia cercherà di fare rivivere le speranze dell’Albania e della Macedonia del Nord di diventare membri dell’Unio-ne. L’Albania ha tentato per la prima vol-ta di aderire nel 2009, nonostante non fosse stata in grado di avviare negozia-ti formali per oltre un decennio, ma le ambizioni di Tirana sono state rafforzate dalla presidenza croata ed è ritornata un po’ di speranza. Lo stesso discorso vale per la Macedonia del Nord. Skopje, dopo avere concluso una disputa trentennale con la Grecia sul suo nome, aveva spera-to di ottenere l’approvazione per aprire i colloqui sull’adesione all’Ue. Ora ritiene che la Croazia sia un alleato e si augura che Zagabria sia in grado di mediare un accordo che permetta di iniziare i nego-ziati. Dato il suo interesse di vedere gli stati balcanici svilupparsi ed entrare nel consesso europeo, la Croazia è conside-rata un onesto mediatore su cui si può fare affidamento per presentare il caso dell’Albania e della Macedonia setten-trionale. Comunque, anche con il pieno sostegno di Zagabria e degli altri membri del blocco è evidente che le trattative per l’adesione dureranno anni e solo dopo il raggiungimento di un risultato positivo si potrà finalmente iniziare l’ef-

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a cura di Pinuccia Parini

OSSERVATORIO ASIA

La Malesia dopo Wawasan 2020

Nel maggio 2018 si sono svolte in Malesia le elezioni che hanno segnato un momento di grande discontinuità rispetto alle forze di centro-destra (l’alleanza Barisan nasional) che avevano guidato il paese per 61 anni. Ha vinto una coalizione dei partiti di opposizio-ne (Pakatan harapan), che aveva l’obiettivo di scardinare lo status quo politico. È curioso che questo successo abbia riportato sul-la scena politica l’ormai novantaduenne ex primo ministro Mahathir Mohamed, che ha sfidato Najib Razak, a capo della coalizione Barisan nasional, di cui era stato mentore. È indubbio che la scelta di Mahathir come pre-mier, per quanto da considerare come ripie-go, visto che il candidato in pectore, Anwar Ibrahim, era in carcere, suscita qualche per-plessità. Mahathir è stato premier dal 1981 al 2003, apparteneva al Barisan nasional, di cui ha abbandonato le fila, ed era stato nemico politico di Anwar Ibrahim. Mahathir Mohamad ha deciso di scende-re nell’agone politico, dopo il suo ritiro nel 2003 avvenuto alla fine di oltre due decenni in cui era stato il protagonista assoluto della vita politica malese. Lo ha fatto per contra-stare l’ascesa al potere di Najib Razak, suo compagno di partito e riconosciuto come «il più grande errore della sua vita», mettendosi alla guida della coalizione Pakatan harapan. Durante il mandato di Mahathir la Malesia conobbe anni di forte crescita sino a trasfor-marsi in una delle Asian economic tiger degli anni ‘90. Fu un capo di governo pragmatico, ma autoritario, che godette di un forte soste-gno popolare, nonostante lo scarso rispetto dei diritti umani. Creò forti reazioni nella comunità internazionale quando, ad esempio, dichiarò che la cabala ebraica governava il

mondo. La politica del suo governo fu intri-sa di nazionalismo e fu guidata dalla precisa volontà di rendere i malesi una popolazione rispettata e di successo. In questo contesto si colloca Wawasan 2020, conosciuto anche come Vision 2020, il programma lanciato nel 1991 dallo stesso Mahathir. Fu redatto dal governo per pianificare la crescita del paese e farlo diventare entro il 2020 un’economia avanzata. L’aspirazione di Mahathir era che entro il 2020 la Malesia diventasse «una na-zione unita, una società malese fiduciosa, in-trisa di forti valori morali ed etici, una società democratica, liberale e tollerante, premurosa, economicamente giusta ed equa, progressiva e prospera, e in pieno possesso di un’eco-nomia competitiva, dinamica, robusta e re-siliente». Per raggiungere questo ambizioso obiettivo il governo tracciò alcune linee gui-da, vere e proprie sfide che il paese avrebbe dovuto affrontare per raggiungere l’obiettivo auspicato.

QUANTO È STATO REALIZZATO?Da allora sono trascorsi ormai quasi vent’an-ni ed è giunto il momento di esaminare quanto di quel piano sia stato realizzato. Una ricerca fatta da Ipsos per verificare se la Ma-lesia sia in dirittura d’arrivo per conseguire i target prefissati per il 2020 rivela che solo il 40% della popolazione ritiene che que-sti siano stati centrati. Il 58% concorda che l’economia migliorerà nei prossimi 10 anni (2030), ma la cosa curiosa è che, nonostante siano passati trent’anni, ancora il 22% della popolazione non sa quali siano le finalità di Wawasan 2020. Alla domanda su che cosa ha fatto la Malesia con successo per raggiungere Vision 2020, il 62% degli intervistati concorda

sul fatto che il paese abbia favorito e svilup-pato con successo una società democratica matura e il 44% pensa che il sistema politico attuale rappresenti le opinioni e gli interessi dei suoi cittadini (la media globale è del 27%). Inoltre, lo studio Ipsos Malaysia mostra che oltre la metà degli intervistati ritiene che sia stato centrato l’obiettivo di creare una so-cietà prospera con un’economia pienamen-te competitiva, dinamica, solida e resiliente (61%), che punta al progresso e alla cono-scenza scientifica (55%) ed economicamente giusta, in cui esiste una distribuzione equa della ricchezza della nazione (54%).

COEFFICIENTE GINI IN CALOMa quest’ultima percezione, trova riscontro nelle statistiche? Il coefficiente Gini, secon-do il Khazanah Research Institute, è in calo in Malesia dagli anni ‘70 e si è fermato solo brevemente durante il periodo di rapida in-dustrializzazione tra la metà degli anni ‘80 e la fine degli anni ‘90, ma il trend è stato posi-tivo: il coefficiente è migliorato da 0,51 nel 1970 a 0,40 nel 2016. Ciononostante, non va dimenticato che questo indicatore misura il divario relativo nel reddito delle famiglie che è sì sceso in Malesia, mentre quello assoluto è aumentato. Uno dei limiti infatti dell’indice Gini è che rimane invariato se le due gran-dezze a confronto aumentano nella stessa proporzione, nonostante la forbice in termini assoluti si allarghi. Tornando all’indagine di Ipsos Malaysia, emer-ge che il generale ottimismo del campione intervistato diminuisce quando si affrontano i problemi sull’unità e la sicurezza nazionale, vista la manifesta preoccupazione che la mag-gioranza nutre per lo scoppio di conflitti vio-

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lenti tra gruppi etnici o minoritari nel paese (67% rispetto alla media globale del 60% ed è aumentata del 12% in un arco di un anno). Oltre la metà dei malesi (61%) è però fidu-ciosa che il governo abbia approntato livelli adeguati di sicurezza e protezione nel caso scoppiassero violenze o conflitti. È opportuno sottolineare che negli ultimi anni è aumenta-to il fervore religioso nel paese ed è un tema sempre più presente nei dibattiti. Per quan-to riguarda gli aspetti economici, il 59% dei malesi non pensa di avere raggiunto lo status di nazione ad alto reddito, anche se più della metà (58%) pensa che l’economia migliorerà complessivamente nel prossimo decennio.

PAESE VULNERABILELa Malesia dal 1990 al 2018 è cresciuta con una media del 5,8% annuo, inferiore al 7% au-spicato da Mahathir quando varò Wawasan 2020. La situazione attuale, secondo l’Article IV Consultation Visit to Malaysia del Fon-do Monetario Internazionale (17 dicembre 2019) afferma che le autorità malesi stanno facendo progressi nel loro programma di ri-forme. La crescita del Pil reale è prevista al 4,5 % per il 2019, trainata dalla domanda in-terna. Anche nel 2020 si dovrebbe registrare lo stesso incremento, ma si teme un livello più basso. Da un lato la Malesia è vulnera-bile all’aumento delle tensioni commerciali, a un brusco peggioramento della fiducia dei mercati verso i paesi emergenti e alla crescita più debole del previsto dei maggiori partner commerciali. Dall’altro, per quanto riguarda il mercato domestico, vanno monitorati con attenzione l’andamento dell’immobiliare e la capacità di servizio del debito delle famiglie. Le valutazioni del governo attualmente in ca-rica sono state tali da prolungare, in un primo momento, il progetto Wawasan di altri cinque anni, per poi redigere, lo scorso ottobre un nuovo piano decennale denominato “Shared prosperity vision 2030” (Spv). Il programma è costituito da obiettivi misurabili, a differenza di quello precedente, e si concentra soprat-tutto sul benessere nazionale e l’eliminazione delle diseguaglianze, in una nazione dove l’et-nia malese è in maggioranza rispetto a quella cinese, nelle mani della quale si concentra però più ricchezza. L’Spv 2030 ha messo in evidenza la necessità di affrontare una serie di problemi ancora presenti nella struttura socio-economica della Malesia. In particolare si evidenzia che l’economia di bumiputera (letteralmente “figlio della terra” e indica i gruppi etnici malay e di altre popolazioni indi-

ticamente estranea e che dovrà tenere unita, andando oltre l’obiettivo elettorale: battere l’alleanza di governo. Riuscirà Mahathir a im-parare dalla storia? Durante la presentazione di Spv 2030, grande responsabilità del manca-to raggiungimento degli obiettivi di Wawasan 2020 è stata data ai precedenti esecutivi ma, forse, un maggiore spirito di autocritica aiu-terebbe l’attuale primo ministro a essere più credibile nelle sue proposte.L’Article IV Consultation Visit to Malaysia dell’Fmi conclude la sua relazione afferman-do che le autorità malesi hanno compiuto progressi nelle riforme della governance, ma è importante che sia impressa un’ulteriore accelerazione per aumentare produttività e reddito medio. Sempre secondo l’Fmi, la Ma-lesia deve continuare a promuovere l’apertu-ra commerciale del paese, potenziare il tes-suto imprenditoriale per le Pmi (ad esempio facilitandone l’accesso al credito), migliorare la qualità e l’accesso all’istruzione, incoraggia-re l’adozione di innovazione e tecnologia e aumentare la partecipazione della forza lavo-ro femminile.

gene del Sud-est asiatico, pari a circa al 69,3% dell’intera popolazione) non è cresciuta in linea con lo sviluppo e i progressi del paese, dove esistono modalità di concorrenza sleale nel mercato a seguito di pratiche di mono-polio. C’è inoltre una disparità di reddito tra i diversi gruppi etnici e le varie regioni e la maggior parte delle industrie è ancora a bas-so valore aggiunto con scarso contenuto tec-nologico, all’interno di un’economia che deve tuttora raggiungere il suo pieno potenziale.

SOLO UNO STRATAGEMMAWawasan 2020 non è stato un successo e, a distanza di decenni, può essere cinicamente considerato uno stratagemma per raggiun-gere un rapido sviluppo del paese all’interno di una regione in forte crescita, trainata dalla globalizzazione. Ma i tempi ora sono cambiati e, soprattutto, è necessario fare i conti con l’attuale contesto dove non solo il Pil, ma la disuguaglianza di reddito, l’inclusione e lo svi-luppo tecnologico sono diventati una priorità. Mahathir si è assunto un compito molto ar-duo. È a capo di una coalizione che gli è poli-

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1 Fonte: DWS, dati a fine marzo 2019. L’impegno di DWS è iniziato nel 1994 con la partecipazione all’Assemblea degli Azionisti di Hoechst. Nel 2007 DWS ha iniziato ad integrare i criteri ESG nei processi di investimento.2  ESG (Environmental, Social, Governance) è un acronimo che tradotto significa: Ambiente, Sociale e Governance delle aziende.3 Fonte: DWS Sustainability Report 2018

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a cura di Pinuccia Parini

Mediolanum International Funds Limited (Mifl) è una società di diritto ir-landese che opera nel settore della gestione collettiva del risparmio. Incorporata nel grup-po Mediolanum nel 1997, vanta oltre vent’an-ni di storia e con gli attuali circa 43 miliardi di euro di patrimonio in gestione e 140 di-pendenti è il terzo gruppo nell’asset manage-ment in Irlanda. «E continueremo a crescere», sottolinea l’amministratore delegato Furio Pietribiasi, «in termini di masse ma, so-prattutto, sul piano delle competenze e delle risorse umane».

In uno scenario sempre più compe-titivo, qual è l’obiettivo che Mifl si è data?«Vogliamo svilupparci in modo organico e diventare una piattaforma sempre più forte, grazie anche al contributo della tecnologia, in cui continuiamo a investire, espandendo le nostre competenze nella gestione diretta in titoli obbligazionari e azionari. Il nostro obiet-tivo è crescere con la gestione diretta al 30% del patrimonio nei prossimi cinque anni, in modo complementare ai gestori terzi, dando continuità alla nostra crescita in Irlanda e co-gliendo le diverse opportunità che si stanno creando, grazie anche alla Brexit».

Parla in termini di quote di merca-to, risorse umane, competenze?«L’incertezza creatasi intorno alla Brexit ha di fatto bloccato gli investimenti nel settore in Uk, ma l’Irlanda ne ha tratto grandi benefici, dato che la generale situazione di incertezza ha visto, dal referendum, aumentare gli asset manager presenti in loco. Più di 100 società hanno aperto post referendum la loro piat-taforma europea nell’isola ed altre ancora si stanno aggiungendo. Da questo punto di vista, l’Irlanda ha dimostrato di essere una location vincente».

Pensa che l’uscita dall’Ue del Regno Unito possa mettere in discussione il ruolo di Londra come più impor-

FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

FURIO PIETRIBIASI AMMINISTRATORE DELEGATO MEDIOLANUM INTERNATIONAL FUNDS LIMITED (MIFL)

Unapiattaformasempre più forte

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tante centro finanziario europeo?«È prematuro esprimere valutazioni, ma non è escluso che il ruolo sinora ricoperto da Londra sia messo in discussione, almeno per come lo conosciamo oggi. Ci sono numero-si gruppi che hanno rilocato diverse attività in Europa e non solo. Inoltre ci sono aspetti giuridico-amministrativi che devono ancora essere chiariti e alcuni potrebbero avere im-patti sfavorevoli per la capitale britannica. Si aprono sostanzialmente spazi che dovrebbe-ro essere occupati da altri player e lo stesso mercato potrebbe diventare più contendibi-le. A oggi, è già successo per le piattaforme distributive di fondi con la scelta di Dublino come capitale europea per le loro manage-ment company, accelerando lo sviluppo di nuove eccellenze in termini di competenze»

A proposito di contendibilità, il 2019 ha visto circa 212 transazioni legate ad attività di M&A nel set-tore dell’asset management, per un valore di 41,6 miliardi di dollari, più del doppio del livello del 2018 (fon-te PwC). Come legge questa ten-denza? «Il mercato dell’asset management, a livello globale, ha conosciuto grandi ristrutturazio-ni negli ultimi anni e il dato indicato da PwC ne è una testimonianza. Si sono toccate cifre record nel 2019, ma sempre PwC stima che nello stesso orizzonte temporale sparirà il 25% delle società di asset management che ci sono oggi sul mercato. Io ritengo che, nel

futuro, l’attività di M&A aumenterà perché si sta consolidando la polarizzazione tra gestio-ne passiva e attiva. I grandi player sono molto dinamici nel comperare nuove masse e fare così leva su economie di scala, o ad acquisire nuove competenze nell’ambito della gestione attiva. Mifl crede nella gestione attiva e vede in questa fase di cambiamento dell’industria diverse opportunità per rafforzare la propria struttura, con l’inserimento di figure profes-sionali che sono alla ricerca di una realtà in cui potere dare il proprio contributo ed es-sere valorizzate. L’attività di M&A e la stessa incertezza che, come dicevo in precedenza, hanno accompagnato la Brexit, ci hanno dato la possibilità di aprire il dialogo con le risorse più interessanti per la nostra organizzazione».

Circa l’80% del patrimonio gestito da Mifl è collocato in prodotti mul-ti-manager. Proseguite a investire in questa direzione?«Sì, continuiamo a crederci e cerchiamo di rafforzare questa nostra scelta in diversi modi. Da un lato due anni fa abbiamo co-minciato a espandere il team che si occupa di selezionare direttamente i singoli titoli, dall’altro stiamo cercando nuove modalità di partnership con società negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Vogliamo trovare bouti-que che non sono presenti in Europa e che non hanno le strutture o la possibilità di espandersi nella regione. Quindi non solo grandi e noti marchi all’interno della nostra offerta, ma talenti ovunque essi siano, di cui

siamo alla costante ricerca, perché a guida-re le nostre decisioni è la performance».

Mifl diventa quindi una struttura sempre più flessibile?«Siamo sempre stati molto flessibili, perché permeati da una cultura imprenditoriale. Ba-sta pensare che attualmente lavoriamo con ben 60 gestori esterni. La stessa decisione di accrescere il team che investe direttamente in titoli va nella direzione di utilizzare gli stru-menti più consoni per dare valore aggiunto ai nostri prodotti, nell’interesse dei sottoscrit-tori. Noi non solo gestiamo e distribuiamo fondi, ma offriamo anche soluzioni di investi-mento che sono disegnate per incontrare le esigenze dei diversi profili della nostra clien-tela retail. Gli investimenti in tecnologia di questi anni, anche nel settore dell’intelligenza artificiale, hanno la finalità non solo di rende-re il processo di gestione e le proposte alla clientela sempre più all’avanguardia, ma anche di metterci nelle condizioni di affrontare le sfide future».

Volete crescere, diventare una nuo-va casa di partnership e fare del ta-lent scouting, ma il contesto attua-le, con il livello dei tassi molto bassi, non rende la vostra sfida ancora più difficile?«Il nostro obiettivo è fare come i migliori, anzi meglio, indipendentemente dalle condizioni di mercato, perché si deve generare valore da qualsiasi situazione. In questo senso siamo alla ricerca di un continuo rinnovamento. Seguia-mo con attenzione i trend di mercato e di prodotti che valutiamo però sempre tenen-do conto delle esigenze della nostra clientela target e di come poterla soddisfare al meglio. Per esempio, stiamo analizzando tra diverse cose anche soluzioni di private asset e stiamo guardando con attenzione gli sviluppi sugli El-tif, ma le lanceremo sul mercato solo quando avremo identificato la soluzione adeguata per i nostri clienti retail».

Solo clientela retail nel futuro di Mifl?«I clienti istituzionali hanno esigenze diver-se rispetto a quelli retail. Ciononostante, la struttura che abbiamo creato ci permetterà di acquisire e accumulare competenze, sia da risorse interne, sia da altre esterne, per pote-re offrire in futuro soluzioni di investimento e servizi sempre più mirati anche a questa tipologia di clientela».

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a cura di Boris Secciani

Qual è la filosofia che sta alla base del vostro approccio alla gestione multi-asset?«Per noi un concetto fondamentale è la fles-sibilità per raggiungere un obiettivo cruciale: cogliere una percentuale predominante del movimento al rialzo degli asset finanziari, con però un’esposizione limitata nelle fasi di ribasso. Vogliamo offrire un buon rapporto rischio rendimento, con caratteristiche che siano però adatte ai clienti che investono nei nostri prodotti. Ad esempio, il nostro fondo Global Optimal Income Fund ha sicuramen-te un profilo più aggressivo rispetto ad altri prodotti. Inoltre, riteniamo che per genera-re alfa sia fondamentale applicare alla nostra asset allocation uno strato di analisi macro, perché comprendere a quale punto siamo del ciclo economico, a nostro avviso, consen-te di selezionare gli asset migliori per riuscire a estrarre extra profitti».

Prendete anche posizioni tattiche nei vostri portafogli multi-asset?«Sì, la nostra è una gestione dinamica in cui il posizionamento tattico è uno dei pilastri. Siamo infatti convinti che i mercati tendano a essere razionali sul medio-lungo periodo, mentre non lo sono per nulla sul breve. Spes-so, infatti, si verificano episodi inaspettati che causano un calo generale delle quotazioni anche per quei titoli i cui fondamentali non sono particolarmente colpiti. Un caso tipico è stato la Brexit, che ha visto generare uno sconto generalizzato sulle azioni britanniche, anche di aziende non intaccate in misura significativa dall’esito del referendum del 2016».

In una fase di difficile interpretazio-ne come l’attuale, come approccia-te la gestione del rischio?«Quest’ultimo aspetto rappresenta la terza colonna portante della nostra filosofia di inve-stimento. Nello specifico il nostro risk mana-gement differisce da quello usato da molte so-cietà di asset management in cui viene prima

FACCIA A FACCIA CON IL GESTORE

SERGE PIZEM GLOBAL HEAD OF MULTI-ASSET INVESTMENTS AXA INVESTMENT MANAGERS

Soprattutto flessibilità

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costruita l’asset allocation per poi controllare quali sono i rischi risultanti. Nel nostro caso, invece, verifichiamo il rischio in ogni punto di passaggio della nostra gestione. Per fare un esempio pratico, se compriamo un’azione sulla base della logica tattica di minore respi-ro temporale che abbiamo esposto, già stabi-liamo in partenza quali saranno lo stop loss e l’obiettivo di prezzo. Nello specifico, poi, il nostro risk management si basa su tre aspetti: innanzitutto vogliamo che i nostri investimen-ti siano diversificati in maniera appropriata, con una solida analisi dei rischi diretti e in-diretti, un’allocazione flessibile e tecniche di copertura liquide, in modo da prepararci a condizioni di volatilità dei mercati e a eventi ignoti, traendone beneficio.. Ad esempio, posi-zionarsi sui bond high yield americani significa esporsi significativamente all’andamento del prezzo del petrolio, poiché la capitalizzazione di questa asset class è influenzata dalle obbli-gazioni del comparto energetico. Inoltre vo-gliamo proteggerci da due diverse categorie di possibili accadimenti».

Quali sono nello specifico?«Da una parte analizziamo lo scenario per i prossimi 12 mesi e identifichiamo possibi-li eventi dall’esito ancora incerto, ma che si sa già che potrebbero accadere, e operiamo strategie di hedging, ad esempio con stru-menti derivati, prima che il mercato comin-ci a prezzarli in maniera adeguata. Dall’altra, sappiamo che vi sono avvenimenti del tutto imprevedibili che potrebbero esplodere quando nessuno se lo aspetta: il coronavirus cinese costituisce un caso perfetto di ciò. Proprio nella gestione di situazioni simili si

esprime la nostra filosofia di investimento incentrata sul sacrificare una parte conte-nuta dei movimenti al rialzo per proteggerci da eventuali crisi. Nello specifico, nel Global Optimal Income Fund abbassiamo il nostro rendimento potenziale di 30-50 punti base annui per comprare protezione, ad esempio con posizioni lunghe sulle put o sulla volatilità quando le acque sono tranquille e le strategie di hedging hanno costi contenuti».

In quale punto del ciclo ci troviamo in questo 2020?«Per capire ciò che è successo l’anno passato e gli sviluppi che hanno portato al quadro di oggi, basta concentrarsi su quello che a nostro avviso è stato l’avvenimento fondamentale: il cambio di atteggiamento da parte della Fede-ral Reserve, che è passata da alzare i tassi e restringere il proprio bilancio all’esatto con-trario. Questo mutamento di politica è stato imitato da altre banche centrali, cosicché nei prossimi 12 mesi, sommando lo stimolo mo-netario di Fed, Bce e Bank Of Japan, si dovreb-be superare la soglia di 1,1 trilioni di dollari. Tutto ciò, oltre a effetti benefici sui prezzi de-gli asset, sta avendo un impatto positivo anche sull’economia e tiene alla larga lo spettro della recessione. A questo fattore va poi aggiunto che per il momento si è raggiunta una tregua, anche se non una pace, sul fronte commer-ciale fra Cina e Stati Uniti. Al contempo alcuni pesanti rischi politici, quali l’eventualità di una hard Brexit, sono diventati meno probabili. Certo ci sono limiti a quanto le banche cen-trali possono fare e per questo motivo preve-diamo che nel futuro prossimo la palla passi anche a un eventuale stimolo fiscale».

A proposito della leva fiscale, pen-sate davvero che si concretizzerà in Europa?«Sicuramente gli investitori non possono aspettarsi una spinta fiscale paragonabile a ciò che si è visto negli ultimi anni negli Stati Uniti, però si sta già andando in quella direzione: basti pensare al pacchetto varato in Francia in se-guito alle proteste dei gilet gialli. Anche l’ascesa alla guida della Bce di Lagarde, che più volte ha sottolineato la necessità di un passaggio di testi-mone dalla politica monetaria a quella fiscale, ha rappresentato una svolta importante».

In quali scelte azionarie si traduco-no le vostre analisi?«Anche in questo caso dobbiamo distin-guere fra la componente strategica e quella tattica. Per quanto riguarda il pri-mo aspetto, siamo ancora focalizzati su società definibili come quality growth. In un mondo in crescita sempre più te-nue queste azioni sono infatti destinate a continuare a sovraperformare. Certo è necessario che i gruppi che rientrano in questa definizione continuino a non sba-gliare nell’eseguire i loro piani e a mostra-re uno sviluppo robusto dei profitti, ma in tal caso riteniamo che il premio che gli investitori sono disposti a pagare conti-nuerà a crescere. A livello tattico, invece, abbiamo incrementato le nostre posizio-ni su azioni cicliche europee, che aveva-no raggiunto livelli di valutazione molto bassi a fronte di segnali di stabilizzazione e di un minimo di ripresa che si stanno vedendo in diversi comparti. Sicuramente oggi nel complesso siamo un po’ più cauti: rispetto a qualche mese fa siamo passati da un’allocazione del 58% circa in equity per il Global Optimal Income Fund, più o meno in linea con la sua media storica, al 53%».

A livello obbligazionario come siete posizionati??«In uno scenario come quello attuale, dato anche il supporto monetario, si possono trovare alcune nicchie interessanti capaci di fornire un rendimento positivo senza esporre a un eccesso di volatilità. In particolare voglia-mo detenere obbligazioni con un rendimento potenzialmente generato da un buon carry e da uno spread significativo con un’esposizio-ne limitata alla duration. Nell’ambito dell’high yield europeo si possono trovare emissioni con queste caratteristiche».

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di Boris Secciani

GESTORI

CONVERTIBILI

Uno scenario pressoché ideale

In una fase di fine ciclo e con un livello di tassi estremamente bas-so, le convertibili rappresentano un’opportunità di grande interesse. In molti casi oggi forniscono rendi-menti paragonabili a quelli dei bond tradizionali, con in più la possibilità di scommettere sul mercato azio-nario. Anche per le società, specie nell’ambito dell’It o delle mid cap, questa formula è estremamente in-teressante e si traduce in una sorta di aumento di capitale posticipato

Le obbligazioni convertibili sono, per la loro natura piuttosto complessa, un prodotto so-stanzialmente di nicchia nell’ambito del reddi-to fisso. Nel corso del 2019, infatti, le nuove emissioni complessive sono state di 53,6 mi-liardi di dollari negli Stati Uniti, tuttora di gran lunga il mercato più importante del mondo (per molti anni ha quasi detenuto un mono-polio di questo strumento), 18,8 in Europa, circa 5 in Giappone e 12,6 in Asia. Per quanto riguarda quest’ultima area si tratta del record di nuove obbligazioni di questo tipo colloca-te in un anno con una crescita molto forte in Cina. Negli Usa, invece, il massimo storico, oltre la soglia dei 100 miliardi, è stato toccato nel 2007, anche se il dato dell’anno passato rappresenta il record del decennio. Gli anni ‘20 sembrano promettere una continuazione del trend di crescita.Questa tipologia di titoli essenzialmente na-sce dall’unione di un corporate bond, che può

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assumere scadenze e strutture di vario tipo con una stock option che permette di con-vertire le obbligazioni a un prezzo prefissato, che generalmente negli ultimi anni è stato sempre più out of the money. In generale la logica che spinge un’azienda a emettere con-vertibili è incentrata sulla possibilità di pagare meno il capitale preso a prestito, in quanto il rendimento a scadenza per via dell’opzione fornita insieme al bond di solito è decisamen-

te più basso. Si tratta dunque di un approccio mediano al finanziamento di un’impresa, dove da una parte si può aumentare la leva azien-dale senza incorrere in oneri troppo pesanti in termini di cash flow con la possibilità, ma non la certezza, che gli attuali azionisti ven-gano diluiti.Non sorprendentemente le obbligazioni convertibili acquisiscono un particolare interesse nelle fasi di normalizzazione dei

tassi di interesse tipiche di ogni fine ci-clo. In questi periodi, infatti, diventa par-ticolarmente conveniente finanziarsi con questi strumenti, mentre gli investitori proprio in simili circostanze acquisiscono una maniera meno rischiosa per esporsi al mercato azionario. Un elemento im-portantissimo da tenere a mente è infatti che bond così strutturati presentano un rapporto non-lineare con l’andamento

Alla ricerca di potenziali leaderQuali sono le caratteristiche più interessanti di questi strumenti?«Dopo la crisi finanziaria del 2008-2009, le convertibili hanno attratto nuovi investitori di diverse classi di attività, il che ha chiaramente migliorato la liquidità del mercato di queste obbligazioni. Per gli investitori sul reddito fisso le opportunità si sono presentate quando le convertibili con un delta trascurabile hanno portato un rendimento più elevato rispetto ai loro equivalenti di bond semplici. D’altra parte, l’opzione sul sottostante azionario ha attratto coloro che puntano sull’azionario che non volevano perdere la loro partecipazione sul capitale, ma preferivano costruire una protezione al ribasso nel caso in cui il mercato si fosse ulteriormente ritirato. Il profilo convesso di un’obbligazione di questo tipo significa che lo strumento partecipa molto di più al rialzo quando i mercati salgono che al ribasso quando i listini si dirigono verso sud. Un’altra caratteristica interessante che ha spinto a scegliere questa classe di attività è l’eventualità di acquisizioni che è spesso racchiusa nei termini e nelle condizioni. In caso di cambiamento di controllo della società sottostante, l’investitore ha il diritto di convertire un numero maggiore di azioni rispetto a prima del passaggio di proprietà. Recentemente, abbiamo assistito a un enorme aumento di aziende del settore sanitario e dell’informatica che hanno deciso di emettere obbligazioni convertibili, poiché il costo del finanziamento con questo strumento è molto più interessante della semplice emissione di un debito diretto. L’opzione che l’obbligazionista ha sul capitale significa che l’investitore avrà bisogno di un tasso interbancario più basso. Per le imprese con una matrice di credito leggermente più debole, ma con un potenziale di crescita molto forte, questa asset class è spesso lo strumento ideale per (ri)finanziare le loro esigenze».

Come selezionate i titoli nel vostro portafoglio?«Per noi, in qualità di gestori di fondi, la prospettiva sul patrimonio netto sottostante è fondamentale. La parte principale della performance nell’attuale contesto di bassi tassi d’interesse e di rischio-premio molto ristretto deriva dall’esposizione al capitale sottostante. Siamo alla ricerca di potenziali leader di mercato o di aziende con profili di crescita interessanti. Il delta di queste convertibili può essere molto elevato (65+). Il credito dei nomi a delta più alti è meno importante, perché un ampliamento della leva ha un impatto relativamente piccolo sulle valutazioni. Per proteggere il nostro lato negativo, cioè per costruire un saldo piano d’appoggio, siamo alla ricerca di società affermate con un bilancio solido. In generale, queste imprese non dovrebbero avere problemi di rifinanziamento del debito e vantano un valido flusso di cassa. Attualmente, più dell’80% delle nostre scelte a delta inferiore ha un rating investment grade. Considerando lo stretto mercato del credito, non vediamo molto valore nell’investire in titoli ad alto rendimento con un delta basso».

Quale tipo di profilo di delta e di convessità desiderate mantenere?«La maggior parte del nostro fondo è costituita da convertibili bilanciate (delta 35-60) dove possiamo estrarre la convessità. L’attrattiva di un titolo bilanciato, dal punto di vista della valutazione, è misurata dalla volatilità implicita. Non investiamo in convertibili troppo ricche rispetto alle opzioni quotate o alla volatilità storica del sottostante, anche se riteniamo che il capitale proprio sia attraente. I nomi a delta inferiore (0-25) sono principalmente Ig. Un’alfa extra può essere generato investendo in convertibili con un delta più alto (65+): queste ultime sono meno convesse, ma con fondamentali azionari sottostanti molto forti. A seconda delle condizioni di mercato, la nostra gamma di delta varia da 40-55».

Pensate che questa asset class offra ancora le stesse caratteristiche di rischio rendimento del passato?«In passato l’idea era catturare 2/3 del lato positivo e solo 1/3 di quello negativo. Con i tassi d’interesse e i premi di rischio ai minimi storici, spinti dalle politiche delle banche centrali, pensiamo che ciò non sia attualmente realistico. D’altra parte, l’afflusso di nuove emissioni, soprattutto negli Stati Uniti, rende più facile che in passato costruire un portafoglio ben diversificato. Non solo dal punto di vista settoriale, ma anche sul piano del profilo obbligazionario convertibile. Un fondo bond convertibili ben bilanciato, con un’ampia quota investita per catturare la convessità, dovrebbe essere in grado di partecipare al 60% in un mercato toro, mentre in una fase orso ci aspettiamo una partecipazione del 40%».

PAULUS DE VRIEShead of the team convertible bonds e senior portfolio manager Dws

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del titolo azionario dell’azienda che li ha emessi. Centrale in questo contesto è il concetto di convessità, ossia il variare della sensibilità al prezzo dell’azione (il delta della convertibile) in relazione ai movimenti del titolo sottostante. In par-ticolar modo la tipica convertibile tende a diventare sempre più simile all’equity di riferimento intorno all’area at the money,

creando uno scenario asimmetrico. Quan-do l’azionario va su, i detentori di queste security, se ben scelte, colgono una buo-na parte della salita dei corsi, mentre nel caso di discesa incassano una percentuale molto minore delle perdite. In tal caso, infatti, la convertibile dovrebbe tornare a trattare come un bond con delta e con-vessità in discesa.

IL TIME VALUEOvviamente, poi, altri fattori vanno tenuti in conto, fra cui la vita residua, il cosiddetto time value, che viene eroso sempre più velocemen-te man mano che ci si avvicina alla scadenza. Un simile profilo di rischio rendimento spiega perché a partire dal 2017 vi sia stata una forte ripresa delle emissioni sul mercato primario, peraltro accompagnata da circa altrettante

Importantissima la convessitàQuali sono le particolarità che rendono interessanti le convertibili?«La convessità è la caratteristica che rende questa asset class davvero unica. Rappresenta, infatti, la capacità di detenere un profilo che diventa sempre più simile all’equity man mano che i mercati azionari salgono, ma più in linea con il reddito fisso nelle situazioni di discesa. Inoltre questi strumenti spesso hanno al loro interno clausole specifiche che regolano la protezione dei dividendi e prevedono la possibilitè di un’acquisizione. Infine questa tipologia di bond è emessa da gruppi che non collocano nessun altro tipo di strumento obbligazionario, il che aumenta il loro potenziale di diversificazione. Tutto ciò crea un profilo di rischio rendimento specifico che rende le convertibili un’asset class alquanto diversa, oltre che uno degli investimenti più stabili. Esse, infatti, tendono ad avere una vita relativamente breve, con una media, al momento dell’emissione, di circa cinque anni. Inoltre, grazie all’opzione, spesso non arrivano a scadenza, il che rende necessario avere un forte mercato primario per rinnovare l’asset class. Quest’ultimo è risultato decisamente forte negli ultimi due anni, in particolare negli Stati Uniti e in Cina. Ci aspettiamo che continui ai ritmi del recente passato con 85 miliardi di emissioni nel 2020, ben al di sopra dei 45 miliardi di redemption previste».

In quale tipologia di aziende preferite investire?«Questa tipologia di obbligazioni presenta caratteristiche settoriali e regionali diverse, il che gioca a nostro favore. Infatti, oltre la metà degli emittenti è rappresentata da aziende growth e/o da mid cap. Questo genere di società tende ad avere interessi allineati ai nostri: nello specifico offrono convertibili nella speranza che poi vengano effettivamente convertite. Ciò permette loro di non dovere restituire la liquidità emettendo al tempo stesso nuove azioni: in pratica tale struttura è equivalente a un aumento di capitale posticipato. Sicuramente troviamo fra le mid cap e le società growth opportunità molto interessanti, anche se riteniamo che vi sia valore anche in profili diversi: fra i beni di consumo discrezionali in Europa, soprattutto nel campo dell’abbigliamento e del lusso, o nell’industria aeronautica.

Quale tipo di profilo in termini di delta e gamma preferite detenere nel vostro portafoglio?«Il nostro obiettivo è mantenere il portafoglio in un range di delta fra il 20% e il 65%, dal momento che è la fascia che fornisce la maggiore convessità. In questa maniera, dunque, riusciamo a catturare la gran parte delle performance rialziste dell’azionario, con al contempo sufficiente protezione durante i ribassi. Inoltre preferiamo evitare bond con scadenze inferiori ai sei mesi. Infatti essi possono in apparenza mostrare sì un’elevata convessità, che però è più che abbondantemente compensata dalla distruzione del time value residuo negli ultimi mesi di vita. Evitiamo inoltre titoli sintetici, poiché hanno una minore liquidità, oltre a quelli emessi con la struttura di Spv. In generale le nostre preferenze vanno a quelle obbligazioni dove la forza creditizia è tale da assorbire la volatilità azionaria, riuscendo così a fornire un’adeguata protezione, quando essa è necessaria, attraverso un forte e solido bond floor».

Quali obiettivi si pone il vostro fondo?«Su un orizzonte temporale di 10 anni le convertibili offrono un rendimento di circa il 6% annuo, mentre per quanto riguarda il nostro benchmark di riferimento, (il Thomson Reuters Global Focus Eur) questo livello sale al 6,79%. L’obiettivo che ci siamo dati è superare l’indice per un totale di 200 punti base all’anno, per una perfomance annua intorno all’8%. Nell’ultimo decennio, al lordo delle fee, il rendimento totale del Lazard Global Convertibles Eur è stato il 9,71%, un valore dunque superiore ai nostri obiettivi. Per quanto riguarda la volatilità, durante le fasi normali di mercato, essa è generalmente compresa fra il 7% e l’11% annuo: il nostro scopo è rimanere entro questo intervallo. Ci aspettiamo che il 2020 si traduca in un anno eccellente per l’intera asset class, dal momento che la rotazione settoriale che ha colpito il comparto nelle ultime fasi del 2019 si sta trasformando in un elemento di spinta. La risoluzione delle tensioni commerciali fra Cina e Stati Uniti fornisce un importante sostegno alle aziende comprese nell’universo delle convertibili. Lo scoppio del coronavirus ha senz’altro aumentato la volatilità, il che spesso rappresenta un ambiente favorevole per i gestori di convertibili».

ARNAUD BRILLOISmanaging director and portfolio manager/analyst on the global convertibles team Lazard Frères Gestion

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redemption e conversioni, dovute alla forza delle borse. Il 2019 ha segnato un punto di svolta per questa asset class, che ha portato a occasioni uniche. Jonathan Stanford, in-vestment director di Gam, ricorda: «Ci tro-viamo in una situazione inusuale, con molte convertibili che rendono più delle loro con-troparti obbligazionarie classiche. Così l’op-zione di conversione non solo non presenta il tipico premium, ma i detentori di convertibili vengono a tutti gli effetti compensati per es-sere investiti in questi bond».

SOPRATTUTTO AZIENDE ITIn pratica allo stato attuale, con la situazio-ne ai limiti della bolla che c’è sui corporate classici, persino la componente obbligaziona-ria pura di questa nicchia del reddito fisso è diventata competitiva. Non sorprende che in un simile scenario a rivolgersi a questo mercato (in Usa ormai forniscono oltre il 40% del primario) siano soprattutto le aziende tecnologiche, che trovano in esso la struttura di finanziamento più adatta a loro. Il tema è intrecciato a un altro dei pilastri del settore: l’attività di M&A. Infatti quando un’impresa viene acquisita e il compratore accetta di ripagare il debito, la convertibile spesso smette di vivere. A quel punto, se il prezzo di acquisto è inferiore al livello di conversione, si possono realizzare diverse ipotesi, che prevedono varie combinazioni di cash extra pagato agli obbligazionisti e/o azionisti con un fattore di conversione infe-

riore rispetto al prospetto originale. I termi-ni di quanto esposto finora vengono spiegati sempre da Stanford: «Siamo convinti che la gestione attiva sia un requisito necessario per identificare le emissioni di convertibili più interessanti. L’attività di M&A può offri-re opportunità particolarmente vantaggiose, perché questi titoli, nell’eventualità di un’ac-quisizione, permetterebbero ai detentori di essere ampiamente compensati se, all’annun-cio di un takeover, l’opzione di conversione dell’obbligazione fosse out of the money, ossia inferiore al valore cui avviene l’opera-zione di M&A. Il meccanismo si è innescato, ad esempio, nel caso di una recente acqui-sizione nel settore farmaceutico, che ha vi-sto i detentori di convertibili della società acquisita beneficiare di un generoso premio rispetto ai termini di conversione originali. Crediamo che il premium potenziale offerto dall’attività di M&A sia un fattore molto po-sitivo per l’asset class».Questa opportunità con ogni probabilità è destinata a durare anche nel futuro prossimo: l’inversione della politica monetaria, infatti, dovrebbe spingere sempre più il processo di concentrazione in diversi settori. Inoltre do-vrebbero continuare a operare i classici driver delle convertibili, che vedono queste ultime come lo strumento ideale per guadagnare esposizione equity a fine ciclo. Delle buone prospettive di questa asset class sembra convinto anche il Team di ricerca di Syz group: «In questa ricerca costante di

JONATHAN STANFORDinvestment director Gam

alfa, riteniamo che il 2020 sarà caratterizzato da alcuni temi. Il primo è l’arbitraggio in obbli-gazioni convertibili, ossia catturare valore nel-la differenza tra un’obbligazione convertibile e il relativo titolo sottostante. Le previsioni per questa strategia non hanno subito cam-biamenti significativi durante lo scorso anno. Essa può beneficiare di una situazione di mag-giore volatilità, mantenendo al contempo un posizionamento sul mercato azionario. Vanno inoltre a suo vantaggio una pipeline favorevo-le di operazioni societarie e il miglioramento delle nuove emissioni negli Stati Uniti, per ef-fetto della nuova legge fiscale». Non sorpren-dentemente i money manager appaiono deci-samente ottimisti sulle prospettive di questo settore di nicchia del fixed income.

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COVER STORY

LA CINA NELLA TEMPESTA

Ancora forte in un oceano di incognite

Il coronavirus, anche se negli ultimi giorni sembra diventato una mi-naccia più flebile, rispetto alle più fosche previsioni, resta per l’intera Cina un problema estremamente serio, che potrebbe rendere molto difficile la situazione economica. Anche il resto del mondo avreb-be non poche ripercussioni da una caduta produttiva della Repubbli-ca Popolare. I mercati, per il mo-mento, hanno reagito con estrema compostezza, ma non è detto che questo trend, sostanzialmente ot-timista, prosegua, anche perché i problemi legati alla guerra com-merciale con gli Usa sono tutt’al-tro che risolti. Ma anche gli spazi di crescita restano molto ampi

«Da metà gennaio, il coronavirus tiene il mondo in pugno. Città con milioni di abitanti sono in quarantena, British Airways ha so-speso tutti i voli per la Cina e persino l’Alta Baviera non è immune al virus. In Cina 17 mila persone sono già state infettate e sono stati segnalati oltre 350 decessi (il dato si è chiaramente evoluto-n.d.r.)». Queste parole di Philipp Immenkötter, senior rese-arch analyst del Flossbach von Stor-ch Research Institute, evidenziano un grosso punto interrogativo sulle prospettive dell’economia e dell’azionario cinesi, che oggi sono inevitabilmente appese a quella che probabilmente passerà alla storia come la

di Boris Secciani

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prima vera emergenza sanitaria in un’econo-mia cruciale dell’era internet. Continua infat-ti lo stesso Immenkötter: «I mercati azionari sono particolarmente sensibili alla narrativa, storie brevi che trasmettono emozioni e va-lori. L’immagine di un virus mortale che si dif-fonde a rotta di collo, per il quale i medici non conoscono cura e dal quale nessuno sembra al sicuro, è una narrativa potente. Un’ulterio-re diffusione del virus potrebbe anche arre-stare la vita pubblica nel paese e causare una recessione mondiale. L’argomentazione sem-bra plausibile, i film suggeriscono quanto può essere realistico questo scenario e le notizie e i social media assicurano una distribuzio-ne adeguata. La narrativa sul virus, alla fine, si diffonde come il virus stesso e ci si chie-

de per quanto tempo continuerà ad avere un’influenza sui mercati azionari. L’ulteriore sviluppo della pandemia è decisivo a questo fine, in quanto fonte di notizie per i media».

I VERI FONDAMENTALILa questione cruciale è dunque tentare di ca-pire come e quando si tornerà a un abbozzo di normalità in cui si potrà di nuovo ragiona-re sui fondamentali economici. Nel frattem-po, non si può fare altro che tentare di com-prendere in quali condizioni si troverebbero i numeri di base in assenza del disastro in corso. E da questo punto di vista il quadro non sarebbe neppure pessimo: il 2019 si è infatti chiuso con un incremento del Pil in Cina del 6,1%. L’economia è dunque lontana dalle turbo-crescite del passato, però si è evi-tato finora il tanto temuto hard landing con la Repubblica Popolare che continua a essere fra i paesi a più intensa crescita del mondo. Ma difficilmente quest’anno si riuscirà ad av-vicinare un simile livello: ovviamente mentre vengono scritte queste note è difficile per i maggiori scienziati riuscire a quantificare l’e-stensione dell’epidemia di coronavirus, ma ciò che è certo è che i danni economici sa-ranno ingenti. Oltre agli ovvi problemi dati dal fatto che uno dei maggiori snodi logistici e dei trasporti del paese è attualmente ta-gliato fuori dal resto del mondo, si stanno susseguendo notizie di sospensioni delle attività da parte di numerose multinazionali straniere, che si vanno ad aggiungere a un isolamento internazionale de facto del paese.

PIÙ DELL’1% DI CALO DEL PILCon ogni probabilità, i danni già accumulati dai problemi sanitari supereranno abbondan-temente la soglia dell’1% del Pil complessivo del Dragone. Questi problemi sono arrivati in un momento non certo sfavorevole per la Repubblica Popolare e hanno complicato l’outlook di un anno che prometteva molto bene. Infatti il 2019 ha visto un ritorno pro-gressivo di fiducia nei confronti delle sorti di un paese che ha visto moltiplicare nel giro di poco tempo i cosiddetti cigni neri. Infat-ti i mercati hanno imparato da una parte a convivere con la situazione di semi-rivolta a Hong Kong e dall’altra con le minacce di guerra commerciale da parte degli Usa. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, sicura-mente l’accordo sulla fase 1 di un trattato ge-nerale, firmato lo scorso 15 gennaio, ha fatto molto per migliorare il mood degli investitori. Inoltre, l’attuale scenario economico rappre-sentava per la Cina la situazione ottimale: il rientro nei ranghi di un’espansione moderata da parte degli Usa e la solita quasi-stagna-zione europea, con però nulla che apparisse come una recessione all’orizzonte, erano un combinato di elementi perfetto. Il fatto che il quadro macro fosse in condizioni più che de-corose permetteva alle autorità cinesi di ope-rare con un moderato stimolo fiscale e mo-netario, senza però eccedere in un’economia già ad alta leva, lasciando anzi i margini per stringere i cordoni della borsa dove invece si erano configurate autentiche bolle finanziarie e/o produttive. Dall’altra parte, in apertura di

PHILIPP IMMENKÖTTER senior research analyst Flossbach von Storch Research Institute

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2020 anche gli equilibri relativi a livello globa-le sembravano tutti dalla parte della Repub-blica Popolare e lo scialbo ma stabile anda-mento macro non faceva altro che rendere evidente il differenziale di crescita che ancora esiste fra la seconda economia del pianeta e altre grandi aree. Anche il resto dei paesi in via di sviluppo semplicemente non è in grado, allo stato attuale, di competere: l’altro grande colosso demografico, l’India, la cui economia nel 2019 era circa un quinto di quella cine-se, dovrebbe avere chiuso la scorsa annata

FABRICE JACOB ceo Jk Capital Management

con una crescita intorno al 5%. Per il 2020 si prevede un minimo di accelerazione, ma nulla di entusiasmante. In compenso, altri segmenti del variegato universo emergen-te, dall’America Latina alla Russia, appaiono tuttora incapaci di tornare a un più robusto andamento del Pil. In pratica, dopo un biennio difficile, il Far East con ovviamente la Cina al centro, pur ormai invischiato nella fase di crescita più tenue della propria storia contemporanea, costituiva l’unica vera fonte di aumento dell’attività economica mondiale. A dare un’ulteriore spinta c’era poi la prospettiva di una più che adeguata ripresa in alcuni set-tori chiave della filiera dell’hardware It, mi-crochip in primis. Per avere un’idea di quan-to gli investitori puntassero su quest’ultimo aspetto, basta dare un’occhiata all’andamen-to nelle ultime settimane del 2019 e nelle prime del 2020 di azioni come Samsung Eelectronics e Taiwan Semiconductor Ma-nufacturing Company. Ma tutto ciò rischia di passare in secondo piano in attesa di sa-pere quanto duraturi saranno gli effetti del virus. Diventa perciò fondamentale cercare di stimare gli impatti di questa tragedia e di separare, per quanto possibile, il profilo dell’economia cinese da essa.

IL COSTO PER L’ECONOMIABanalmente, allo stato attuale ancora non è chiaro quale sia la reale portata medica del fenomeno che finora ha causato qualche centinaio di morti (infinitamente di meno di una qualsiasi epidemia influenzale appena ro-busta), ma i cui casi di contagio, mentre ven-gono scritte queste note, raddoppiano ogni uno-due giorni. Di fronte a una situazione così instabile e in fieri, ovviamente le stime presentano un indice di volatilità altissimo. Qualche calcolo è però possibile, soprattut-to se si parte da un paio di punti fissi. Innan-zitutto è ormai acclarato che il coronavirus rappresenta un’emergenza molto più grave rispetto alla Sars con però dall’altra parte una Cina che in 17 anni ha compiuto balzi da gigante in termini di modernità, efficienza e tutto sommato anche trasparenza. Un aspet-to sicuramente positivo si trova nella calma e nella lucidità con cui le maggiori aziende del paese si sono coordinate per aiutare gli sforzi di contenimento dell’epidemia, tentan-do al tempo stesso di continuare a produrre. Fabrice Jacob, ceo di Jk Capital Ma-nagement, affiliata di La Française, sot-tolinea proprio questo aspetto: «In risposta all’impennata dei prezzi delle mascherine e all’esaurimento delle scorte provocato dalla

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Tecnologia, i giochi non sono ancora fattiL’incertezza sui destini e i protagonisti del futuro appare particolarmente forte nel cruciale comparto tecnologico. Nei mercati emergenti la tecnologia asiatica ha costituito il settore più vitale in un decennio complessivamente disastroso per l’equity locale. Le performance si erano però rivelate largamente inferiori rispetto ai giganti statunitensi. Oltre alle varie ragio-ni che spesso vengono evidenziate per spiegare il fenomeno, dalla modesta base di investitori azionari di lungo periodo all’ostilità del mondo occidentale nell’ultimo biennio, spesso ci si dimentica di un altro fattore fondamentale: la digitalizzazione della Cina è ancora un proces-so in divenire, dove sempre più avanzate novità tecnologiche si accavallano, ma ancora non si è creata una situazione di oligopolio come negli Stati Uniti. In pratica, si corre seriamente il rischio di investire su imprese che sembrano colossi solo per vederle ridimensionate nel giro di pochi anni. Di questa tesi sembrano convinte Swetha Ramachandran, expert in luxury brands, e Amanda Lyons, expert technology, di Gam Investments:«Le stime indicano che nel solo 2019 l’e-commerce in Cina continentale è cresciuto del 30%, per un valore prossimo a 2 mila miliardi di dollari, rispetto al quale impallidiscono i 725 miliardi di spesa in e-com-merce combinata tra Usa, Regno Unito, Germania e Giappone. Detto ciò, la penetrazione di internet in Cina si ferma a un modesto 60%, rispetto all’85% dell’Unione Europea e al 90% degli Usa. Però, le dimensioni in termini assoluti del mercato fanno sì che ci sia il triplo degli utenti internet rispetto agli States. Se guardiamo ai pagamenti mobili, il gap è ancora più ampio; ci sono più persone che pagano con il proprio smartphone in Cina di quante ne vivano negli Stati Uniti. Una crescente penetrazione dell’online dovrebbe garantire una lunga rampa di lancio per la crescita dell’ecommerce cinese, che il governo di Pechino vede come uno strumento efficace per catalizzare la transizione dalla manifattura a un’economia basata sui consumi. Tuttavia, anche se il Dragone ha entusiasticamente abbracciato l’e-commerce e i social media e sta ora incrementando l’adozione del social commerce, l’ecosistema digitale locale si è sviluppato in maniera differente rispetto alle controparti occidentali. Se in questo lato del mondo abbiamo i Faang (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google), in Cina tro-viamo i Bat (Baidu, Alibaba e Tencent). A differenza dei primi, che hanno mantenuto una tra-iettoria ascendente e hanno visto crescere le proprie quote di mercato, i leader tecnologici cinesi sono meno stabili, dato che l’ecosistema è in continua evoluzione. Baidu, per esempio, è in costante declino a seguito delle difficoltà incontrate nella transizione da desktop a mobile e per avere ignorato l’ascesa dei modelli a piattaforma chiusa. Quando Baidu si è resa conto che la propria strategia non stava funzionando era già troppo tardi per correre ai ripari. La rete cinese è ora dominata da quattro settori: l’e-commerce, con Alibaba in testa; l’intrattenimento online, con Tencent; i servizi online, con il leader Meituan; la pubblicità digitale, guidata da ByteDance, che controlla TikTok. Le ultime due società operano esclusivamente su mobile. Questa preferenza per i dispositivi mobili dei consumatori cinesi ha spinto i brand globali che puntano a questo mercato a modificare sostanzialmente il proprio approccio sul territorio cinese».

UNA SITUAZIONE FLUIDA PER IL DOMINIO DELLA RETEPuò perciò sembrare strano che in quella che è considerata per definizione un’economia gestita con un pesante approccio top-down, in realtà vi sia ancora una situazione molto fluida per quanto riguarda il futuro dominio della rete. In realtà proprio il governo nazionale spinge a mettere in competizione i diversi attori del sistema per arrivare al maggiore stimolo possibile in termini di push tecnologico. Non sorprendentemente, anche in questo ambito vi è un differenziale piuttosto marcato fra gli standard di vita dei poli urbani più importanti, so-stanzialmente a livelli occidentali o quasi, e le campagne e le città minori. La Cina, infatti, continua ad avere una sua frontiere fatta di centinaia di milioni di consumatori appena toccati dal benessere, che rappresentano un bacino di potenziale crescita enorme. Sempre Ramachandran e Lyons sottolineano: «Si stima che solo il 37% della popolazione delle città cinesi di fascia più bassa abbia attualmente un accesso a internet. Questo fatto evidenzia, sia la disparità nei livelli di spesa tramite l’e-commerce in Cina, sia la presenza di ampi margini di crescita a livello domestico attraverso lo sviluppo economico delle città minori. I centri di fascia più bassa comprendono le realtà con classificazione pari o inferiore a Tier 3, ossia con meno di 3 milioni di abitanti. Congiuntamente ospitano oltre il 50% dell’intera popolazione cinese (circa 650 milioni di persone in totale), che forse non traspare nella definizione di “fascia più bassa”. In prospettiva, equivale a 75 volte gli abitanti della città di New York». Appare quasi pleonastico aggiungere che, una volta giunti a un percorso di soluzione del problema coronavirus, l’effetto sulla crescita dei consumi digitali cinesi verrà ulteriormente ampliato dal sostegno monetario e fiscale fornito da Pechino e dalla voglia di recuperare il tempo perso e di lasciarsi la crisi alle spalle da parte della popolazione.

SWETHA RAMACHANDRAN expert in luxury brandsGam Investments

AMANDA LYONSexpert technologyGam Investments

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nuova epidemia di polmonite da coronavirus, le piattaforme di e-commerce mainstream, fra cui Taobao, JD.com e Pinduoduo hanno dichiarato collettivamente il divieto di au-mento dei prezzi delle maschere vendute dai commercianti sulle loro piattaforme. Cainiao Logistics e Tmall Supermarket, entrambe affi-liate di Alibaba, hanno garantito la fornitura di materiale protettivo come mascherine, disin-fettanti, sanificanti per le mani, a oltre 300 cit-tà durante le festività per il capodanno cine-se. Cainiao Logistics ha inoltre già distribuito quasi 10 mila mascherine, migliaia di saponet-te allo zolfo e altro materiale di prevenzione al proprio staff, incluso quello che si occupa in prima linea della distribuzione a Wuhan».

DATI PMI ATROCID’altro canto anche il governo cinese, pur con tutti i limiti del caso, non si è tirato indietro nell’affrontare la situazione. Para-dossalmente forse proprio le misure estre-me adottate hanno indotto a innalzare la tensione, almeno sul breve periodo, in un mondo che sembrava fino alla terza set-timana di gennaio indifferente. Sempre Ja-cob produce al riguardo a un’interessante analisi: «Purtroppo, l’impatto a breve ter-

mine sull’economia cinese potrebbe essere molto più severo del 2003, per il semplice fatto che l’intero paese è oggi letteralmen-te paralizzato dalle misure adottate a tutti i livelli da Pechino. Le vacanze per il Ca-podanno sono state estese di 10 giorni in 14 province che nell’insieme producono il 69% dell’intero Pil nazionale. Mai, ai tempi dalla Sars, furono presi provvedimenti che impattarono l’economia dal lato dell’offer-ta a simili livelli. In altre parole, la crescita del prodotto interno lordo sarà colpita da un drastico calo non solo nei consumi, ma anche nella produzione, e questa è una no-vità. Pertanto ci attendiamo un calo della crescita dell’economia molto significativo nel primo trimestre del 2020. I dati ufficiali del Pmi manifatturiero di febbraio saranno atroci (quelli di gennaio a 50,0 per l’indice ufficiale e 51,1 per l’indice Caixin, erano stati calcolati prima del lockdown)».Le autorità di Pechino, dunque, sembrano intenzionate a riportare l’epidemia sotto controllo, costi quel che costi, a livello eco-nomico, il che probabilmente si tradurrà in dati pessimi nei prossimi mesi. Un tentativo di quantificazione viene compiuto da Paul O’Connor, responsabile del multi-asset

team basato in Uk di Janus Henderson Investors: «Le misure adottate per con-tenere il virus avranno senza dubbio un im-patto significativo sull’attività economica nel breve termine. La maggior parte degli analisti si aspetta che la crescita del Pil cinese nel primo trimestre diminuisca probabilmente dell’1-2% rispetto al tasso di crescita annuale del 6% che era previsto prima della compar-sa del virus. Tuttavia, esiste ancora un’ampia gamma di scenari economici plausibili per la Cina, a seconda di come il virus si evolverà. Se il tasso di infezione rallentasse nelle pros-sime settimane e le misure di quarantena fossero revocate, la crescita potrebbe rapi-damente rimbalzare, rafforzata da una serie di misure di stimolo ampiamente previste. Se il tasso di infezione continuasse ad aumenta-re, la quarantena sarebbe certamente estesa con ulteriori limitazioni ai viaggi, un periodo prolungato di chiusure industriali e ricadute economiche più significative per il resto del mondo». Al di là di ciò, però, la storia dei mercati fi-nanziari, in particolare di quelli emergenti, è piena di eventi gravi e anche gravissimi, che poi non hanno portato a danni duraturi. Il pa-rallelo con la Sars è ovviamente il primo che

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PAUL O’CONNOR responsabile del multi-asset team UkJanus Henderson Investors

salta all’occhio, ma ci sono stati altri episodi di débâcle da parte di potenze in via di sviluppo altrettanto interessanti. Quando ad esempio scoppiò la crisi asiatica nel 1997 la Corea del sud risultò una delle economie più colpite, salvo riprendersi in maniera molto rapida (la Banca Mondiale riclassificò il paese di nuovo come ad alto reddito già nel 2001) e andare incontro a un decennio d’oro. Nel 1998 fu la volta di Russia e Brasile a crollare fra pro-blemi finanziari e di ordine pubblico gravis-simi, ma anch’esse poi vissero un periodo di prosperità tuttora ineguagliato. Più recente-mente il colpo di stato militare in Thailandia nel 2014, dopo che il paese sfiorò la guerra civile, ha sicuramente depresso il Pil sul breve periodo, ma non ha impedito alla nazione del Sud-est asiatico di tornare in condizioni più che discrete, con numeri record anno dopo anno persino in un comparto delicato come quello del turismo.

IL VERO CIGNO NEROVa detto che senz’altro una possibile pande-mia rappresenta un elemento diverso a cau-sa del rischio enorme che sfugga di mano e che produca un numero spropositato di vit-time. In un certo senso, avvenimenti di que-sto tipo rappresentano il vero cigno nero dei mercati, in quanto la società moderna è sempre più disabituata a gestirli, al contrario di caos politico, bancarotte con conseguen-te pacchetto di aiuti da parte delle istitu-zioni internazionali e conflitti militari, che sono accadimenti comuni ogni anno. Tim Love, responsabile delle strategie azionarie dei paesi emergenti di Gam Investmen-ts, ricorda: «L’epidemia di coronavirus, con un numero sempre crescente di infetti e

Ancora in guerra commercialePer quanto riguarda la guerra commerciale non è chiaro se e come essa andrà a correlarsi con il coronavirus. L’equilibrio resta fragile, come ricorda Stéphane Monier, chief investment officer di Banque Lombard Odier & Cie Sa: «Alcune delle questioni più difficili, quali la sicurezza delle tecnologie di telecomunicazione cinese e i sussidi, non sono stati coperti da questa tregua. Due terzi delle tariffe sui beni cinesi importati negli Usa e la metà di quelle cinesi sulle importazioni statunitensi rimangono in essere. Una seconda fase dell’accordo non è prevista prima delle elezioni di novembre. Nel frattempo la tariffa media sull’import cinese rimane intorno al 19%, sei volte di più rispetto a prima dell’esplosione delle tensioni fra i due paesi. Dall’altra parte, invece, i beni americani in entrata in Cina sono soggetti a un dazio del 20,9%, due volte e mezzo il livello del 2017». La situazione di crisi spingerà i due colossi a cooperare? O aumenterà ancora di più le tensioni in un confronto nazionalistico senza fine? Se si realizzasse il secondo dei due scenari, sicuramente le conseguenze sui mercati, non solo asiatici, sarebbero pesanti. Il mondo dovrebbe abituarsi a un’enorme serie di interconnessioni, a livello di flussi di capitali e di merci e servizi, irrimediabilmente danneggiate e da ricostruire: un processo non certo indolore.

STÉPHANE MONIERchief investment officer Banque Lombard Odier & Cie Sa

diversi morti, è un caso lampante di cigno nero per i mercati emergenti. Sin dall’epide-mia di Sars del 2002-2003 abbiamo sempre detto che, se si esclude una guerra tattica o addirittura nucleare, una pandemia era il rischio principale per gli emerging, più dei movimenti del dollaro, dell’andamento delle materie prime e della crescita. Nei paesi in via di sviluppo la combinazione di una po-polazione urbana sempre più concentrata, unita alla crescita vertiginosa della domanda di alimenti proteici, ha inevitabilmente por-tato a una più stretta interazione tra uomini e animali. Questo fatto si riflette in partico-lare nelle tecniche moderne di allevamento e di produzione che i mercati emergenti stanno adottando. Inoltre, a causa della pra-tica sempre più comune di utilizzare nell’al-levamento gli stessi antibiotici prescritti alle persone, le barriere immunitarie un tempo efficaci stanno diventando sempre più vulnerabili. In questo senso, non stu-pisce che ogni virus a rapida trasmissione metta a dura prova gli sforzi dell’Organiz-zazione Mondiale della Sanità e altre misure di risposta globale per contenere i contagi cross-continentali. L’epidemia di Ebola che sta interessando il Congo tiene in stato di allerta tanto l’Oms quanto gli investitori. Il

coronavirus presenta anche alcune carat-teristiche specifiche che creano ulteriori problemi: i sintomi possono apparire fino a cinque giorni dopo il contagio, rendendo difficile lo screening presso gli aeroporti, e non vi è a oggi una conferma ufficiale del primo focolaio, anche se l’ipotesi Wuhan ap-pare sempre più plausibile». La descrizione di Love appare quanto mai interessante per uno specifico motivo: calza a pennello alla realtà della Repubblica Popo-

TIM LOVE responsabile delle strategie azionarie dei paesi emergentiGam Investments

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lare. Il paese, infatti, è immerso in un tasso di crescita dell’urbanizzazione su una scala mai vista in precedenza, caratterizzato da ritmi rapidissimi, con la popolazione che vive in città che è ormai intorno al 60% del totale. Il consumo di proteine di origine animale è cresciuto fino a raggiungere il secondo li-vello pro capite più elevato dell’Asia, dietro la Corea del sud. In pratica, ci sono tutti gli elementi per il verificarsi di fenomeni come quello cui stiamo assistendo. In queste con-dizioni, inquadrare oggi in quale paradigma si risolverà la crisi è molto difficile. Nel contesto, tutto sommato i mercati asia-tici dopo la riapertura del capodanno lunare hanno reagito senza eccessi di panico: l’Hang Seng di Hong Kong ha perso nelle ultime due settimane di gennaio circa il 9,5%, men-tre il China enterprises index ha lasciato sul terreno poco più del 10,3%. Il Kospi, il mag-giore benchmark di Seul, dai picchi di gen-naio ha ceduto il 6,5%, mentre il Nikkei non sorprendentemente è risultato il mercato regionale più stabile con un calo intorno al 3%. Anche i listini di nazioni del Sud-est asiatico più piccoli e volatili, come Filippine, Malaysia e Thailandia, tutto sommato hanno contenuto le perdite, con discese fra il 5% e l’8%, nonostante una dipendenza sempre più intensa dall’interscambio con la Cina. Le prime due settimane di febbraio poi hanno portato a ulteriori riprese. Dunque, gli investitori continuano per il momento a vedere il bicchiere mezzo pie-no, anche se ovviamente il panorama po-trebbe cambiare all’improvviso. Ancora Tim Love tenta di quantificare qualche possi-bile rischio: «Attualmente la risposta dei mercati appare simile alla prima reazione all’epidemia di Sars, l’ultimo caso di questa portata in Asia. In quel periodo, il mercato

Le conseguenze immediateUn bear market di quelli pesanti non è certo da escludere, poiché notoriamente i mercati finanziari odiano più di tutto l’incertezza, in particolar modo in una situazione in cui i corsi degli asset rischiosi non sono certo contenuti. A questo punto occorre fare una breve divagazione apparentemente slegata dagli avvenimenti cinesi. A fine gennaio Facebook ha riportato risultati trimestrali deludenti, a causa di un forte aumento dei costi legato agli scandali sul trattamento dei dati. L’azione ha perso immediatamente in after market oltre il 6%. Ciò rammenta che i mercati sono disposti a pagare un forte premio per caratteristiche growth, con il caveat però che è necessario portare risultati superiori alle già elevate attese. E a questo punto rientra in gioco la Cina, con le sue infinite interconnessioni in alcune delle più importanti filiere del mondo, in particolare nell’It. C’è, dunque, la non lontana possibilità che il coronavirus provochi alla fine gli effetti nefasti che si temeva giungessero dalla querelle commerciale, ossia un aumento della correlazione in uno scenario di ribassi con conseguente inasprimento dei beta di molti titoli che fino a poco tempo fa andavano per la maggiore. Il che significherebbe la possibilità di seri cali sull’It e su alcuni ciclici in recente ripresa: come dire l’inversione dei temi tattici che andavano per la maggiore da qualche mese a questa parte.

I RISCHI PER L’AUTOUn esempio pratico della dipendenza dalle supply chain cinesi, sia per le forniture a livello globale, sia per la quantità di vendite realizzate all’interno dell’enorme mercato locale, viene fornito per l’auto da Vittoria Ferraris, credit analyst di S&P Global Ratings,: «L’epidemia di coronavirus ha portato alla chiusura di diversi impianti di produzione di veicoli. Probabilmente ciò avrà come conseguenza vendite nel paese ben al di sotto del nostro scenario base per il 2020, che prevedeva una crescita nell’ordine dell’1-2%. È possibile che la chiusura delle fabbriche si estenda ben oltre la provincia dell’Hubei per limitare i rischi di contagio, fino ad arrivare a colpire metà della produzione di automobili e componenti nel paese. Volkswagen è il produttore con la maggiore esposizione alla Cina, dal momento che là costruisce veicoli e parti in 23 diversi siti, che rappresentano quasi il 40% della propria produzione consolidata a livello globale. Fra i fornitori riteniamo che sarà Bosch a essere particolarmente colpita, visto che il fatturato è attualmente 14 miliardi di euro. Dopo la Germania, la Cina è il secondo mercato mondiale per Bosch».

LE CONSEGUENZE POSSONO ESSERE SIGNIFICATIVEAll’avverarsi di questo nefasto scenario sembra credere anche il team di analisi di Franklin Templeton Global Macro:«Da un punto di vista macroeconomico, i settori dei consumi e dei viaggi in Cina sono probabilmente quelli colpiti in modo più acuto da un’epidemia di virus, con il potenziale di effetti di ricaduta sull’economia globale attraverso l’interruzione del commercio e della supply chain. Abbiamo sperimentato e monitorato questo tipo di eventi in passato con la Sars nel 2003 e l’influenza suina nel 2009. Il vero pericolo è se un virus ha un’alta trasmissibilità e alti tassi di mortalità, che l’attuale coronavirus, secondo l’Oms, non ha a questo punto raggiunto. Tuttavia, la situazione resta fluida e ha il potenziale per peggiorare nel breve termine. Gli impatti umani ed economici di un focolaio di virus possono essere gravi nell’immediato, con effetti che tendono a essere di breve durata. Tuttavia, le conseguenze trigger su varie classi di attività sopravvalutate possono essere significative. Nel complesso, continuiamo a riscontrare elevati rischi globali: abbiamo posizionato le nostre strategie in modo che non siano correlate a classi di attività sopravvalutate vulnerabili a pesanti rischi di coda. Gli eventi all’inizio del 2020 hanno già mostrato i potenziali punti di infiammabilità in tutto il mondo, comprese le crescenti tensioni in Iran e in Medio Oriente. Riteniamo che gli investitori debbano concentrarsi sulla costruzione di portafogli che non possono essere correlati ad ampie turbolenze del mercato».

JASMINE KANGgestore del fondoComgest Growth China

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era rimasto negativo molto più a lungo di quanto non indichi l’attuale reazione, il che si traduce, potenzialmente, in una marcata flessione (20%) nel caso in cui si arrivasse a una pandemia globale». Dunque, almeno per il momento, solo una correzione, con la possibilità più che concreta che il tutto si trasformi in un bear market globale e non solo asiatico. Perciò vale la pena capire quali opportunità attendono gli investitori, foca-lizzandoci anche su fondamentali che, al di là di tutto, potrebbero persino tornare al cen-tro dell’attenzione in maniera prepotente.

I RISCHI SUCCESSIVIAccanto ai due scenari estremi, la deflagra-zione di un cigno nero senza (recenti) prece-denti e quello opposto che prevede una rapi-da ripresa, forse il quadro peggiore, in quanto potrebbe potenzialmente durare più a lungo, è uno intermedio fra i due. È possibile, infatti, che il coronavirus sia in grado di fare tornare il paese al pessimismo del 2016 e del 2018, proprio mentre la Cina sembrava l’apripista di un rinnovato periodo di ottimismo per gli emergenti. Un Dragone, dunque, che non si troverebbe devastato tanto da uno specifi-co evento mortale, quanto dall’affaticamento di dovere portare sulla schiena vari fardelli di crisi: l’eccesso di leva in alcuni segmenti corporate, l’invecchiamento della popolazio-ne, rapporti comunque difficili con gli Stati Uniti e ora una situazione sanitaria piutto-sto precaria. Il rischio sembra preoccupare Maarten-Jan Bakkum, senior emerging markets strategist di Nn Investment Partners: «Per quanto riguarda i poten-ziali danni all’economia, possiamo dire che, se si dovesse sviluppare una grave crisi, essa

avrebbe probabilmente un impatto sostan-ziale sulla crescita. Negli ultimi anni, la Cina è stata in difficoltà a causa dell’incertezza del commercio globale e per gli sforzi del gover-no centrale per ridurre il debito. Solo di re-cente abbiamo visto migliorare un po’ i dati, un indizio del fatto che la crescita si stava sta-bilizzando. Le speranze di una ripresa soste-nibile sono aumentate dopo l’accordo com-merciale con gli Stati Uniti. Uno shock simile a quello provocato dalla Sars arriverebbe in un momento sfortunato, con livelli di fiducia generale ancora bassi. Allo stesso tempo, se l’epidemia peggiorasse in modo significativo, le autorità probabilmente non esiterebbero a entrare in un nuovo e più aggressivo ciclo di stimoli e metterebbero da parte la loro attenzione alla riduzione del debito e ai rischi per il sistema finanziario. In questo scenario, la crescita del credito cinese aumenterebbe probabilmente in modo sostanziale, creando nuovi rischi per gli investimenti fissi locali e per la crescita delle esportazioni dei mercati emergenti». Tra l’altro, va ricordato che questo proble-ma non ha contribuito a migliorare i rap-porti fra la Cina e il resto del mondo, fatto di cui ci siamo già accorti in Italia, paese con cui tradizionalmente le relazioni sono sem-pre state molto buone e che ora corre il pericolo di una crisi diplomatica.

CHE SIA LA VOLTA BUONA?Il fatto che le situazioni di panico offrano

spesso occasioni d’oro di acquisto fa parte della mitologia e dei luoghi comuni dei mer-cati finanziari. Detto ciò, non sempre situa-zioni di crash lasciano rapido spazio al ritor-no degli investimenti. Il terribile terremoto che colpì il Giappone nel 1995 è da molti considerato il colpo di grazia allo storico bull market del Nikkei del decennio precedente. Le condizioni sono ovviamente completa-mente diverse: allo scoppio della bolla nip-ponica il Sol Levante era un paese ai massimi vertici dello sviluppo mondiale con mercati finanziari dalle quotazioni spesso stratosferi-che. La Cina sta invece ancora attraversando il guado verso lo status di nazione ad alto reddito. A fine 2019 il Fondo Monetario In-ternazionale ha stimato il Pil pro capite no-minale per la prima volta sopra la soglia dei 10 mila dollari. Attualmente la Banca Mondia-le considera un’economia ad alto reddito se questa misura è sopra 12.500 dollari. La Cina, dunque, non è ancora una realtà ric-ca, ma ci si sta avvicinando a tappe forzate, a ritmi praticamente unici nel panorama globa-le, come ricorda Jasmine Kang, gestore del fondo Comgest Growth China: «Il topo sarà anche una creatura scaltra e im-popolare nella nostra cultura, ma in Cina è sinonimo di diligenza, intelligenza, energia, de-terminazione e raggiungimento degli obietti-vi, ed è quindi il simbolo ideale per un anno in cui il modello di crescita cinese sta diventan-do più sostenibile e il mercato azionario più trasparente e aperto agli investitori esteri. Al-

MAARTEN-JAN BAKKUM senior emerging markets strategistNn Investment Partners

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30 FONDI&SICAV Marzo 2020

meno dal punto di vista economico, negli ulti-mi anni gli dei sono stati benevoli. Il passaggio dell’economia cinese da una crescita trainata dal credito e dalle infrastrutture a un’altra spinta dall’innovazione, dai servizi e orientata ai consumatori è quasi completo e i reddi-ti reali sono in costante crescita. L’apertura dei mercati azionari di Shenzhen e Shanghai procede a ritmo serrato. Il potenziale a lungo termine del paese in veste di centro finanzia-rio è enorme. Anche se la quota degli inve-stitori stranieri nel mercato delle A share è ancora contenuta, l’accesso degli istituzionali esteri alle piazze continuerà a intensificarsi nei prossimi anni, promuovendo l’afflusso di capitali e la professionalizzazione dei mercati finanziari. Il miglioramento della trasparenza e delle tematiche Esg è ancora agli inizi, ma sono sempre più numerose le aziende che già oggi redigono il bilancio secondo gli stan-dard internazionali».

UNA LOGICA DIVERSAIn effetti la Cina sta studiando da tempo da super-potenza e, quindi, si muove con una logica completamente diversa rispet-to ad altri emergenti. Tutto ciò nell’ultimo decennio non si è riflesso nell’andamento generale degli indici di tipo composite, che peraltro venivano da una bolla enorme nel periodo 2005-2007 e nel 2014-2015. La base degli investitori domestici, infatti, è ancora costituita da un retail che si muo-ve con una logica di breve periodo, mentre la partecipazione degli stranieri alle azioni A rimane molto limitata. Ciò non toglie, però, che Shenzhen e Shanghai siano ter-reno fertile per un adeguato stock picking,

come rammenta sempre Jasmine Kang: «Nonostante sia un mercato noto per la sua elevata volatilità, sul lungo termine le prospettive per l’azionario cinese sono po-sitive. Negli ultimi 12 mesi l’indice “China Shenzhen”, che vanta una forte inclinazione verso l’It e il settore sanitario e una crescita del 36% in dollari, è stato una delle migliori piazze azionarie al mondo e ha addirittura superato il Nasdaq. Nell’anno del topo è importante mantenere il senso delle pro-porzioni e non limitarsi a inseguire l’ascesa dei prezzi, ma investire nella qualità a lungo termine e avere la pazienza di delineare un profilo di rischio-rendimento ottimale per il proprio investimento in Cina».

DUE GRANDI TRONCONIEssenzialmente, anche se in maniera troppo semplicistica, il paese può essere diviso in due grandi tronconi. Da una parte l’econo-mia legata ai consumi, dall’altra quella ancora basata sugli investimenti, con la questione del commercio estero che fa un po’ da ago della bilancia fra la nuova e la vecchia Cina. Sareb-be sbagliato affiancare a questa dicotomia una correlazione netta fra il settore privato e quello pubblico, perché diversi dei maggiori colossi statali sono pienamente esposti alla straordinaria crescita dei redditi cinesi, men-tre molte società in mano ai privati operano in comparti dipendenti in maniera significati-va dall’industria pesante e dalle infrastruttu-re. Ovviamente un discorso a parte merita la tecnologia su cui si gioca una quota molto importante del futuro del paese. In definitiva, dunque, la Repubblica Popolare è un ambiente equity dove bisogna porta-

re pazienza, ma il solo fatto di evitare, o quanto meno ridurre, l’esposizione a certi nomi, senza portare avanti una mera allo-cazione per capitalizzazione, può portare a spettacolari performance. La filosofia che oggi guida chi si approccia a questa enorme economia è legata a un’idea di fondo molto precisa: è difficile puntare su un manipolo di società ben preciso, perché stiamo par-lando di un sistema ancora in transizione, dove non è ancora chiarissimo quali cam-pioni emergeranno vincitori. In qualche ma-niera, se si adotta questa chiave di lettura, la volatilità, i movimenti di breve e persino le periodiche bolle che vengono a manifestar-si nei vari segmenti dell’equity del Dragone appaiono più sensati. La vicenda stessa del-le reazioni degli investitori asiatici al coro-navirus sembra confermare questa tesi di fondo, come sottolinea Tim Love, di Gam Investments: «Al momento crediamo che il mercato mostri ottimismo e speriamo che la situazione rimanga sotto controllo. Da un punto di vista settoriale, abbiamo già assistito a una prevedibile rotazione: l’heal-thcare cinese e i titoli dei segmenti legati alla sanità e al farmaceutico globale, come ad esempio i produttori di guanti in lattice in Malaysia, sono cresciuti del 10-20%. Di contro, comparti che beneficiano di una concentrazione della popolazione sono stati colpiti negativamente: è il caso delle società legate ai viaggi, come l’operatore online cinese Trip.com, delle compagnie aeree (a livello globale ma soprattutto in Cina), dei casinò (ad esempio Wynn, con sede a Macao ma di proprietà Usa) e delle compagnie di navigazione (Carnival)».

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Investire responsabilmente fa parte del nostro DNA.La filosofia d’investimento di Comgest si focalizza sulla crescita della qualità a lungo termine: società con solide pratiche commerciali e finanziarie in grado di generare una crescita sostenibile degli utili.

INTEGRARE I PRINCIPI ESG PER UN INVESTIMENTO RESPONSABILE

L’investimento comporta rischi. Prima della sottoscrizione l’investitore deve ricevere obbligatoriamente copia del documento contenente le informazioni chiave per gli investitori (“KIID”). L’impronta di carbonio di un fondo cerca di determinare la quantità di gas a effetto serra diretto e indiretto (GHG) emessa dalle società in cui il fondo è investito. L’impronta è misurata in tonnellate di CO2 equivalenti (tCO2e). 1Fonte: tCO2e per USD mn investiti, a partire dal 31.12.2019. Comgest Asset Management International Limited, 46 St. Stephen’s Green, Dublin 2, Ireland - [email protected] www.comgest.com

The Quality Growth Investor

Il fondo Comgest Growth World Il fondo Comgest Growth World ha il 77% in meno di emissioni di carbonio ha il 77% in meno di emissioni di carbonio rispetto all’indice MSCI AC World secondorispetto all’indice MSCI AC World secondoTrucostTrucost11

COMUNICAZIONE A SCOPO PROMOZIONALE

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I fondamentali del Dragone

LA CINA NELLA TEMPESTA

COVER STORY

0% previsione crescita Pil primo trimestre 2020

(fonte Evercore Isi)

50 Pmi manifatturiero gennaio

non riflette i danni dell’epidemia(fonte Ufficio nazionale di statistica)

+5% previsione Pil 2020in calo di un punto per il coronavirus(fonte Standard&Poor’s)

+5,4% inflazione gennaio 2020massimo ultimi otto anni (fonte Ufficio nazionale di statistica)

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-4,8% esportazioni cinesi

previste per gennaio(su base annuale)

(fonte consensus di 14 economisti)

5,73 trilioni $ vendite al dettaglio 2019, +8%

(fonte: Ministero del commercio cinese)

150 miliardi di yuan (22 miliardi $)

liquidità aggiuntiva iniettata alla riapertura dei mercati il 3 febbraio

(fonte: Banca Centrale cinese)

+0,5% guadagno USD sullo yuan da fine 2019 alla riapertura dei mercati

post capodanno lunare(fonte Bloomberg)

-6,5% importazioni cinesi

previste per gennaio(su base annuale)

(fonte consensus di 14 economisti)

-25-30% previsione vendite auto

gennaio-febbraio, maggiore ribasso mai registrato

(fonte: Associazione nazionale produttori)

-10% Shanghai Composite fra fine 2019

e la riapertura del 3 febbraio dopo il capodanno lunare

(fonte: Bloomberg)

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In un sondaggio che è stato realizzato nel corso di Consulentia 2020, alcuni dei più importanti manager delle più titolate Sgr hanno espresso il loro parere sull’andamen-to del mercato e soprattutto hanno fornito una serie di stimoli ai consulenti finanziari venuti a ricevere indicazioni pratiche sui nuovi prodotti e sulle future strategie. Il tut-to in una fase dei listini tutt’altro che chiara.E le risposte che sono arrivate sono nel complesso univoche: l’azionario resta an-cora il settore preferito e più promettente, nonostante il ciclo economico positivo più lungo della storia moderna e i timori che si sia arrivati alla fine. Anche il cigno nero rap-presentato dal coronavirus, almeno al mo-mento in cui sono state raccolte queste in-terviste, veniva considerato sì un problema grave, ma non tale da invertire le tendenze in atto. Ovviamente, però, una certa dose di prudenza aggiuntiva c’è da parte di tutti.Il secondo tema affrontato da molti è stato l’Esg, considerato un’opportunità unica per l’industria di tutto il pianeta e capace di por-tare a una rivoluzione che taluno considera della stessa importanza di internet.Di questi temi Fondi&Sicav ha parlato con alcuni responsabili delle più importanti Sgr che operano in Italia. Pier Giorgio Co-stantini, direttore commerciale e marke-ting di Eurovita, Natale Borra, head of distribution Italia di Fidelity Invest-ments, Giacomo Camisa, sales direc-tor-intermediary di Schroders, Andrea Sanguinetto, portfolio manager del team equity di Pramerica Sgr, Fabio Caiani, head of fund distribution Italy di Nordea, Alberto Vacca, chief businnes and invest-ment officer di Aviva assicurazioni, e Giancarlo Fonseca, head of distribution Italy di Lombard Odier.

Ancora equity a tutta forzaa cura di Boris Secciani

SONDAGGIO A CONSULENTIA 2020

LE STRATEGIE DI ALCUNE SGR LEADER

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FONDI&SICAV Marzo 2020 35

ti senza generare un rendimento, ma anzi andando ad incorrere in costi, sicuramente vi è una richiesta inespressa di soluzioni di investimento che compagnie e reti non rie-scono ancora a soddisfare».

GIACOMO CAMISA sales director-intermediary Schro-ders

PUNTIAMO SUI MERCATI PRIVATE

Il vostro gruppo sta puntando in maniera decisa sui prodot-ti incentrati sui mercati privati: come vi state muovendo in que-sto ambito e quale risposta sta-te ottenendo in questa fase dai consulenti e dai loro clienti?«Sicuramente il responso è stato finora decisamente buono: sul mercato italiano, infatti, vi è molto interesse per questo vasto insieme di strumenti, perché ri-sponde a obiettivi molto importanti per il mondo dei consulenti e dei loro clienti. Parliamo infatti dell’obiettivo di decorre-lare il portafoglio, mantenendo un buon profilo di rendimento accompagnato da un significativo livello di carry. Vediamo inoltre in questo segmento, nonostante qualche freno dal punto di vista norma-tivo, un processo di democratizzazione, che da parte nostra stiamo sostenendo. Ad esempio abbiamo lanciato un fondo di private equity parzialmente liquido, che permette ingressi ed uscite trime-strali. Ad oggi questo strumento è ri-servato a investitori qualificati, con una soglia di investimento minimo di alme-no 500 mila euro. Il nostro obiettivo è ampliare in modo guidato la platea dei potenziali investitori compatibilmente con il loro profilo e la regolamentazione italiana».

PIER GIORGIO COSTANTINIdirettore commerciale e marketingEurovita

UNA COMBINAZIONE DIVERSIFICATA DI PRODOTTI

Come strutturate i vostri prodot-ti in rapporto alle reti di consu-lenza?«Di fatto, per il consulente la componen-te assicurativa rappresenta, in ottica di pianificazione patrimoniale e successoria, una parte importante della gestione del-la ricchezza del cliente. Eurovita presenta un portafoglio molto ampio di prodotti assicurativi del ramo vita, che soddisfano esigenze di protezione, di previdenza in-tegrativa e di risparmio e investimento. I prodotti che lanciamo vengono sviluppati condividendo i nostri obiettivi con i par-tner della distribuzione, che completano così la propria offerta con un ventaglio di strumenti differenziato e adatto a servire tutti i segmenti di clientela. Abbiamo assi-stito al cambiamento del mercato, che si è spostato da prodotti ad alto contenuto finanziario come le unit linked a quelli con maggior livello di garanzia, comportando una forte diversificazione della domanda. A questo proposito, l’anno scorso abbia-mo varato quasi 30 nuovi prodotti, sia per investitori high net worth, sia retail: ovvia-mente nel primo caso c’è a disposizione una maggiore flessibilità nelle caratteristi-che del prodotto».

Concentriamoci su questa par-ticolare fascia: che cosa cercano questi investitori quando sotto-scrivono una polizza Eurovita?«I dati in Italia a questo riguardo sono eloquenti: la maggior parte dei patrimoni consistenti è detenuta da persone di età medio-alta alla ricerca di soluzioni con

orizzonte temporale di medio-lungo pe-riodo. Di conseguenza a prevalere sono sicuramente obiettivi di conservazione del capitale e, soprattutto, di pianificazio-ne successoria. Il cliente chiede soluzioni a basso rischio e volatilità, ma è importan-te (su ciò può guidarlo solo il consulente) non dimenticare le opportunità di rendi-mento. Una risposta ottimale a questo mix di esigenze è data da soluzioni miste come i nostri prodotti multiramo, che of-frono formule flessibili come il decumulo nel tempo e consentono di strutturare una strategia bilanciata fra quote di garanzia as-sicurativa e quote a più elevato contenuto finanziario».

Quali caratteristiche dovrebbe avere secondo voi un portafoglio di qualità?«In ambito di portafoglio, per noi è molto importante il tema della diversificazione. A nostro avviso, infatti, è lo strumen-to migliore per tutelare il cliente su un orizzonte temporale ampio in termini, sia di volatilità, sia di tenuta dei rendimenti. Per quanto riguarda le soluzioni garanti-te, nelle nostre gestioni separate offriamo un’ampia combinazione di asset, sceglien-do di inserire all’interno dei nostri stru-menti una componente Italia ridotta. La stessa logica si ritrova anche nel fatto di avere creato una piattaforma aperta con più di 1.000 prodotti fra attivi e passivi, che copre di fatto tutte le asset class, of-frendo a consulenti e risparmiatori tutti gli strumenti necessari per muoversi fra le diverse opzioni disponibili e raggiungere adeguati obiettivi di rischio rendimento nel corso del tempo».

Quali sono gli errori più frequenti della clientela affluent nell’alloca-zione in prodotti assicurativi?«Spesso, per raggiungere i due obiettivi che abbiamo specificato, i clienti si concentra-no su prodotti a massima garanzia, rinun-ciando così a soluzioni che potrebbero of-frire un significativo rendimento aggiuntivo senza incorrere in particolari rischi. C’è dunque un lavoro di educazione finanzia-ria da portare avanti e in questo ambito riteniamo che il ruolo del consulente sia a dir poco fondamentale. Sicuramente in Ita-lia tutti noi come industry finanziaria dob-biamo porci qualche domanda: se oltre 1,5 miliardi di euro giacciono sui conti corren-

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Quali sono i vantaggi offerti da questi prodotti?«A nostro avviso, uno dei più grandi van-taggi dei private asset, accanto alla di-versificazione delle fonti di rischio e di rendimento, è che hanno un impatto di-retto sull’economia reale. Sia che si trat-ti di private loans, di private debt o di infrastructure debt, un tema ricorrente è proprio il finanziamento dell’economia reale nei paesi sviluppati, così come in quelli emergenti. In particolare vediamo un profondo legame con il tema della sostenibilità, poiché la riconversione da parte delle aziende in questa direzione richiede un’enorme quantità di capitali».

Può portare un esempio al ri-guardo?«Nell’ambito del private debt vi sono di-versi prodotti dedicati al micro-credito nei paesi emergenti, allo scopo di finan-ziare la crescita di una piccola imprendi-toria locale. Tra l’altro questi strumenti offrono rendimenti di tutto rispetto, con spread superiori a 200 punti base».

Può spiegare qual è il legame fra le tematiche Esg e gli asset pri-vati?«Alcuni strumenti (pensiamo ad esem-

pio al private debt o all’equity) costitui-scono un eccellente viatico per influen-zare la vita delle aziende in cui si va a investire. Infatti da parte nostra ponia-mo molta attenzione alla possibilità di intervenire nella governance delle so-cietà per spingerle ad adottare pratiche virtuose dal punto di vista ambientale e sociale: questo per il bene dell’impresa stessa, degli investitori e dell’intera co-munità. In particolare, per un prodotto centrato sul private equity, costituisco-no un target eccellente le aziende inno-vative di medie dimensioni».

Quali obiettivi di rendimen-to pensate che sia ragionevole ottenere per gli investitori nei prossimi anni rispetto, ad esem-pio, all’insieme del mercato del-le public company?«Queste ultime difficilmente, date le va-lutazioni, potranno vedere i propri cor-si salire al di sopra del loro andamento degli utili. Di conseguenza, riteniamo che sia ragionevole per gli investitori at-tendersi dall’azionario rendimenti nella fascia intermedia della singola cifra. Un fondo private equity con una buona ge-stione può fornire ritorni doppi rispetto a tale livello».

NATALE BORRAhead of distribution Italia Fidelity Investments

ANCORA EQUITY, MA CON TEMI DIVERSI

Quali prospettive vedete per l’as-set class azionaria?«Riteniamo che l’equity, nelle condizioni at-tuali, rimanga il mercato dove trovare le mi-gliori occasioni per costruire un portafoglio dai rendimenti significativi, perché il ciclo macroeconomico si è allungato ed è anco-ra in grado di fornire una crescita positiva. Detto ciò, riteniamo che questa scelta ide-ale si discosti in maniera piuttosto netta dai temi privilegiati nel recente passato. Infatti attualmente puntiamo su azioni di qualità, in

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settori più difensivi, in grado di fornire buoni e stabili flussi di cassa e interessanti dividendi. Di converso troviamo occasioni interessanti in segmenti come le utility, specialmente fra quelle aziende di alta qualità legate alla ricon-versione verso una maggiore sostenibilità dell’economia, in particolar modo nell’ambi-to del trattamento dei rifiuti e delle acque. In questi contesti le barriere all’entrata sono molto elevate, mentre i flussi di cassa sono resi più stabili da una marcata regolamenta-zione delle tariffe. Il tema della qualità è per noi oggi molto importante, anche nel nostro approccio all’investimento tecnologico, dove siamo da tempo relativamente sottopesati sulle Faang e manteniamo invece un overwei-ght su alcune small e mid cap. In questo ambi-to si trovano aziende altamente innovative a multipli molto più ragionevoli».

Quindi prevedete che il dividendo costituirà una componente impor-tante del total return azionario?«Sì, anche perché le aziende che possono es-sere annoverate fra i cosiddetti dividend lea-der sono società che rispondono ai requisiti di grande qualità da noi ricercati: in questo gruppo si trovano imprese dal business so-lido, con forti flussi di cassa e capaci di paga-re con stabilità liquidità agli azionisti. Questi titoli tendono non sorprendentemente ad avere anche drawdown inferiori durante le fasi negative del mercato. Perciò riteniamo che questa tipologia sia fondamentale per co-struire un portafoglio ragionevolmente con-servativo adatto al quadro macroeconomico che stiamo affrontando. Da parte nostra nei nostri portafogli globali non cerchiamo grup-pi dal dividend yield estremamente elevato o dalla fortissima crescita, perché non vogliamo trovarci di fronte a sorprese negative qualora, come spesso accade, i pagamenti si rivelasse-ro insostenibili nelle fasi di crisi».

Quali problemi stanno evidenzian-do i consulenti finanziari e i loro clienti in questa edizione di Consu-lentia 2020?«Sicuramente c’è un lavoro di educazione finanziaria da portare avanti, anche perché questo ciclo si sta rivelando particolarmente lungo, con in più il tentativo da parte di diver-se case di gestione di volerlo prolungare of-frendo prodotti incentrati su temi di nicchia. Questa tipologia di fondi può rivelarsi anche un’ottima scelta, a patto però di basarsi su un universo investibile sufficientemente am-

pio, che permetta al gestore di costruire un portafoglio diversificato e decorrelato. Noi cerchiamo un approccio un po’ più struttura-to per riuscire a condividere con consulenti e investitori i loro obiettivi di lungo periodo. In quest’ottica si pongono i cosiddetti Target funds che abbiamo lanciato in Europa, che presentano molte caratteristiche in comune con i Freedom funds statunitensi».

ANDREA SANGUINETTOportfolio manager del team equityPramerica Sgr

ANCORA OPPORTUNITÀ NELL’AZIONARIO

Quale approccio state seguendo in questo 2020?«L’anno in corso va messo in relazione con il 2018 e il 2019. Nel primo dei due vi fu una forte correzione a causa di paure di recessio-ne poi rivelatesi irrazionali. All’opposto l’anno passato ha visto il ritorno di un quadro di euforia, grazie soprattutto all’intervento delle banche centrali. Per questa ragione sulla com-ponente tattica dei nostri portafogli siamo leggermente sottopesati in ambito azionario. Invece, su un orizzonte temporale più lungo, nell’equity ci sono ancora opportunità inte-ressanti: guardiamo con particolare interesse ai mercati emergenti, anche se in questo caso ovviamente restano da valutare sul medio termine le conseguenze del coronavirus. In questo contesto, fra le soluzioni, ci piacciono quelle che lasciano ampia flessibilità e libertà ai gestori per cogliere le occasioni sui merca-ti, senza particolari legami con benchmark di riferimento. Pensiamo infatti che questo sia un modo per offrire in un determinato oriz-zonte temporale rendimenti positivi».

Il vostro gruppo ha puntato fin dal lancio su prodotti Pir-compliant. Di recente, però, la normativa è

cambiata imponendo un restyling dei portafogli: credete ancora in questa tipologia di fondi?«Sì, noi eravamo partiti con tre prodotti (Pramerica Mito) che sono stati rilanciati per adeguarli al cambiamento di legislazione che prevede che almeno il 3,5% del porta-foglio sia investito in small cap italiane. Pen-siamo che la compressione della domanda, dovuta appunto agli sforzi per adeguarsi ai cambiamenti legislativi, indurrà un ritorno a flussi importanti in questo ambito, anche se comunque difficilmente si vedrà un’esplo-sione come nel 2017. Ci aspettiamo numeri paragonabili a quelli del 2018. In particolare, crediamo che i Pir possano costituire un ec-cellente strumento per rispondere ad alcune specifiche esigenze dei consulenti finanziari».

Soffermiamoci su questo specifico aspetto: quali sono le esigenze più significative?«Se ben costruiti, innanzitutto possono offri-re rendimenti positivi decorrelati: un obiet-tivo fondamentale nel punto del ciclo in cui ci troviamo. Inoltre, grazie al loro beneficio fiscale, se mantenuti in portafoglio per al-meno cinque anni, contribuiscono a una maggiore educazione degli investitori privati, spingendoli nella direzione di una prospetti-va di più lungo termine. Per quanto riguarda l’equity, questo è sempre stato un problema in Italia, una realtà in cui l’investimento azio-nario è sempre stato caratterizzato da una forte componente di emotività».

FABIO CAIANI head of fund distribution ItalyNordea

OCCASIONI ANCHE DAI BOND

Quali prospettive attendono gli in-vestitori?«Anche al di là dell’esplodere di fattori eso-geni come il coronavirus, pensiamo che il

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2020 sia destinato a essere un anno maggior-mente selettivo: siamo infatti in una fase in cui inevitabilmente ci si sta avvicinando alla fine del ciclo economico. Le possibilità di crescita delle aziende sicuramente sono meno forti rispetto al recente passato. Inoltre il reddito fisso presenta rendimenti nella maggior parte dei casi bassissimi e pensiamo che l’epidemia in Cina intensificherà questo trend, con pos-sibili ulteriori azioni espansive da parte delle banche centrali».

Come è possibile costruire un por-tafoglio in bond, che comunque rappresenta una componente im-portante dell’asset allocation?«Riteniamo che vi siano in questo ambito ancora nicchie relative di valore. Ad esempio, vantiamo una forte expertise sul mercato dei covered bond europei, che poi tanto una nic-chia non è, viste le dimensioni complessive. In questo sicuramente il Dna nordico della no-stra società aiuta, dal momento che si tratta di un comparto di grandi dimensioni in quell’a-rea: solo in Danimarca la capitalizzazione dei covered bond locali supera quella dell’intero segmento degli high yield europei. Questi strumenti hanno una struttura peculiare: in buona parte sono cartolarizzazioni basate su mutui immobiliari e offrono la possibilità di generare un alfa che va dall’1% al 3% an-nuo. Tutto ciò a fronte di una qualità creditizia saldamente in ambito investment grade. A so-stenere questi strumenti vi sono diversi ele-menti, sia fondamentali, sia a livello legislativo».

Può fare qualche esempio?«Innanzitutto la normativa della Bce consente

alla Banca centrale di acquistare questi stru-menti nell’ambito dei programmi di quantita-tive easing. Inoltre sono completamente sepa-rati dal patrimonio delle banche e quindi non sono assolutamente soggetti a procedure di bail-in in caso di difficoltà. Infine il migliora-mento recente delle condizioni finanziarie ha portato a una maggiore stabilità e solvibilità degli istituti di credito, elemento che aiuta si-curamente l’andamento dei covered bond».

Qual è la vostra view a livello di equity, dove negli ultimi anni si è assistito a una delle più lunghe e in-tense fasi di sovraperformance del growth?«Pensiamo che il futuro sarà diverso e richie-derà una maggiore diversificazione: uno degli obiettivi fondamentali sarà riuscire a investire in titoli e comparti in grado di offrire buoni e stabili rendimenti, anche a livello di dividendi. Questi ultimi, infatti, rispetto al recente passa-to costituiranno una quota più rilevante del ri-torno totale offerto dall’equity. Inoltre vi sono forti necessità di decorrelazione per potere affrontare le fasi di turbolenza sul mercato. Pertanto riteniamo che vi siano occasioni con queste caratteristiche nel real estate e nelle infrastrutture, data anche la grande necessità di rinnovo di questo comparto».

Quali sfide stanno emergendo da parte dei consulenti finanziari riu-niti a Consulentia?«Per il consulente finanziario la sfida futura più immediata è riuscire a offrire ai propri clienti soluzioni di portafoglio con rendimenti decenti con un profilo di rischio accettabile.

Ciò anche perché la visione dell’investitore italiano è senz’altro in evoluzione, ma diffi-cilmente cambierà in maniera radicale e si orienterà sull’equity in misura simile ai suoi omologhi dei paesi anglo-sassoni. Inoltre ve-diamo con piacere che le tematiche Esg han-no ricevuto una grande spinta dal basso, dagli stessi consulenti e dai propri clienti, che si sono resi conto che una maggiore sensibilità verso la sostenibilità fa bene non solo al pia-neta, ma anche al portafoglio».

ALBERTO VACCA chief businnes and investment officerAviva assicurazioni

NESSUN PANICO PER IL CORONAVIRUS

Come valutate il quadro attuale?«Soprattutto per quanto riguarda la parte azionaria veniamo da un 2018 e un 2019 spe-cularmente opposti: il primo si è chiuso con una performance negativa dei mercati, che, in seguito a un decennio di espansione, hanno

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reagito con eccessivo timore all’inizio di un ciclo di politiche monetarie restrittive avviato già dalla Fed e annunciato per il 2019 da Dra-ghi, interpretandolo come un potenziale inizio di recessione. In realtà nel 2019 l’atteggiamen-to delle banche centrali ha cambiato rotta: la Federal Reserve è tornata dovish e la Bce ha assunto una posizione ancora più decisa, con Draghi che ha reintrodotto il quantitative easing, mentre il nuovo presidente Lagarde, annunciando una strategic review con durata prevista fino alla fine del 2020, ha congelato di fatto i tassi ai livelli attuali. Inoltre, sul finire dell’anno e all’inizio del 2020 si è assistito a una diminuzione delle tensioni, con la firma della fase uno dell’accordo commerciale fra Stati Uniti e Cina e la mancanza di un’escala-tion in Medio Oriente, oltre a una diminuzio-ne di rischi politici come la Brexit: sicuramen-te tutto ciò ha contribuito a creare un clima di sollievo. Ovviamente in questo scenario l’impatto del coronavirus rimane un’incognita: finora infatti i numeri del contagio e di vittime non sembrano elevatissimi, anche se va detto che ad oggi i resoconti sono ancora prov-visori e ciò rende difficile valutare l’impatto complessivo».

Finora la reazione delle borse è stata tutto sommato contenuta: che cosa vi aspettate in futuro e quali sono, a vostro parere, le aree di maggiore fragilità?«Indubbiamente finora sui mercati non si è assistito a scene di panico: Europa, Usa e an-che alcune borse asiatiche sono addirittura positive dall’inizio dell’anno. Nel complesso, infatti, il virus al momento ha colpito soprat-tutto in una specifica, e tutto sommato limi-tata, area della Cina. Ritengo però che gli impatti sugli altri mercati saranno da collegare prevalentemente al per-durare dell’incertezza sulla durata ed espan-sione geografica del fenomeno, in attesa che vengano trovate le adeguate contromisure. Finora a mostrare la maggiore fragilità sono stati soprattutto i comparti più ciclici e legati alle industrie. Va sottolineato comunque che la Cina è in grado di mettere in atto velo-cemente contromisure di stimolo fiscale e monetario che sostengano l’economia do-mestica e, indirettamente, globale».

In un simile contesto quale evo-luzione vi aspettate sul fronte dei tassi di interesse?«Se guardiamo alla curva swap europea fino

allo scoppio dell’epidemia in Cina, la direzio-ne sembrava verso un moderato rialzo, pur rimanendo nel quadro di tassi molto bassi. Da gennaio si è verificato un fenomeno di flight to quality con un calo di circa 20 punti base sul tasso swap a 10 anni tornato intorno a zero. Ancora una volta, la durata dell’incer-tezza sul fenomeno del virus è determinante per prevedere l’evoluzione futura dei tassi: qualora il fenomeno dovesse stabilizzarsi in tempi brevi, è possibile ipotizzare che alla fine del 2020 si potrà assistere anche ad un ridot-to rialzo dei tassi scambiati sui mercati».

GIANCARLO FONSECAhead of distribution Italy Lombard Odier

ANCORA UTILI SODDISFACENTI

Quale filosofia di fondo muove il vostro approccio all’investimento in questa fase certamente di diffi-cile interpretazione?«Riteniamo che per costruire un portafoglio valido il punto di partenza migliore sia sempre adottare il punto di vista di un buon padre di famiglia. Con questa espressione intendiamo dire che non bisogna dimenticare che lo sco-po di un investimento è generare valore e per raggiungere l’obiettivo è necessario partire dall’analisi dei rendimenti attesi. Nello speci-fico, se guardiamo al reddito fisso, vediamo che i tassi reali sono bassissimi, prossimi allo zero se non addirittura negativi. Un investi-tore non può fare a meno di chiedersi fino a che punto si dovrà spingereper potere otte-nere rendimenti positivi in queste condizioni. Dall’altra parte, invece, se analizziamo l’azio-nario, troviamo un quadro diverso. Difatti tas-si reali prossimi allo zero combinati con utili soddisfacenti continuano a essere il binomio vincente per proseguire con l’investimento azionario. Fatte queste premesse, in un’ottica

di lungo periodo il portafoglio deve rimanere bilanciato e diversificato. L’obbligazionario ov-viamente manterrà un suo ruolo importante a scopo di diversificazione e riduzione della volatilità».

Gli ultimi anni sono stati caratteriz-zati da una decisa sovraperforman-ce dei temi legati al growth: quali prospettive vedete al riguardo?«È vero che le azioni value hanno sottoper-formato rispetto al growth, a nostro avviso però questa dicotomia è oggi superata. Infatti allo stato attuale ciò che gli investitori do-vrebbero fare è investire sui temi in grado di trasformare l’economia del futuro, fra i quali sicuramente la sostenibilità è il più impor-tante. All’interno di questo alveo si trovano aziende con caratteristiche growth e value. Nel nostro processo di investimento guar-diamo, sia a società che stanno creando le tecnologie necessarie a rendere possibile una crescita economica dal minore impatto ambientale, sia a quelle imprese che stanno riconvertendo il proprio business. Infatti sem-pre più spesso i gruppi che operano in settori tradizionali si rendono conto che il mondo sta cambiando molto velocemente e che do-vranno affrontare un quadro normativo sem-pre più difficile se non attuano politiche volte a un minore inquinamento. La trasformazione verso una maggiore sostenibilità è una rivo-luzione paragonabile a quella industriale, ma con la velocità della rivoluzione di internet».

Attualmente il mondo sta gesten-do i problemi derivanti dal coro-navirus. Negli ultimi anni si sta sempre più parlando del moltipli-carsi di eventi imprevedibili: pen-sate che veramente il mondo stia diventando un luogo più instabile?«Non è facile rispondere con certezza, va però considerato un elemento: il quadro attuale è figlio di una crisi di proporzioni enormi avvenuta oltre un decennio fa, cui ha fatto seguito il ciclo di espansione più lungo della storia moderna. Riteniamo che questo sviluppo abbia indotto diversi analisti macro e investitori a tentare di cogliere quello che sarà il prossimo grande evento di crisi che andrà a colpire i mercati. Nessuno oggi vuo-le essere colto impreparato di fronte a un eventuale avvio di un nuovo bear market. Detto ciò, non essendoci maghi in giro, ve-dere il Cigno Nero in ogni evento negativo è una attività a scarso valore aggiunto».

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40 FONDI&SICAV Marzo 2020

Ormai è vero e proprio boom per l’Esg. Gli strumenti finanziari che applicano nelle loro gestioni anche i criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance sono sempre più richiesti, anche dai risparmiatori comuni. Questo fenomeno ha per certi versi preso di sorpresa anche le stesse società di gestione, che non si aspettavano una spinta così importante proveniente dal basso.Ma all’interno di un settore che è cresciuto così velocemente non mancano i problemi da risolvere: avere una definizione condivisa di Esg, isolare le società che fanno semplice green washing per cavalcare quella che ri-tengono sia una moda e costruire un’azione comune tra chi fa veramente una politica di sostenibilità autentica da anni sono solo alcu-ni degli obiettivi ancora da raggiungere.Ne hanno parlato con Fondi&Sicav Loren-zo Randazzo, institutional sales manager di Axa Investment Managers, Davi-de Bersan, senior wholesale manager di Financière de l’Echiquier, Andrea Mottarelli, Dws relationship manager & Esg specialist (Cfa, Cesga), Giancarlo Sandrin, country head Italy di Legal & General Investment Management (Lgim), ed Eric Voravong, analyst Esg di Comgest

C’è un ritardo da parte del regolatore nello stabilire la tassonomia Esg: lo vedete come un problema oppu-re pensate che definire in modo stringente la tasso-nomia crei difficoltà?

Randazzo: «Solitamente restringere troppo il campo di azione rischia di limita-re l’iniziativa delle singole case e la diffusio-ne di un mercato già in crescita. In questo ambito specifico, però, in Axa Investment Managers pensiamo che una definizione chiara e precisa della tassonomia dell’inve-stimento responsabile e sostenibile sia in-vece fondamentale per lo sviluppo di que-sto mercato. Credo che il regolatore, gli operatori di mercato e i clienti finali siano tutti concordi nel riconoscere l’importan-za di avere un linguaggio comune nell’am-bito della sostenibilità che possa favorire la conoscenza, la trasparenza e la diffusione di questa modalità d’investimento. L’action plan della Commissione Europea sulla fi-nanza sostenibile rafforza chiaramente il ruolo della finanza verso un’economia

Il futuro è quia cura di Pinuccia Parini e Boris Secciani

SPECIALE ESG

UN SETTORE IN CRESCITA ESPONENZIALE

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FONDI&SICAV Marzo 2020 41

sostenibile orientando flussi di capitale, fa-vorendo una migliore gestione dei rischi e migliorando la trasparenza».

Bersan: «Il progetto di standardizzazione europea della reportistica aziendale dedi-cata ai criteri Esg è probabilmente fonte di opportunità per rilanciare i rating Esg, visto che il processo è stato in qualche modo ostacolato dal passaggio di numero-si player europei sotto bandiera americana. Siamo dell’avviso che questo progetto stia accumulando troppo ritardo e possa essere ormai il terreno su cui giocare una batta-glia politica ed economica. Una tassonomia verde condivisa potrebbe essere un plus per gli investitori e contribuire allo svilup-po dell’Sri che rappresenta certamente una sfida importante. Tuttavia, alla Financière de l’Echiquier riteniamo che si debba tenere conto dei tempi di attuazione in ogni pae-se europeo per evitare disallineamenti nella qualità dell’offerta rivolta ai risparmiatori finali. Rimane fondamentale che le società di gestione implementino i loro modelli interni per garantire rigore e qualità nella costruzione delle soluzioni d’investimento rispettose dei criteri Esg».

Mottarelli: «La definizione di una tassono-mia comune è un passo essenziale per mette-

re ordine nel mondo complesso degli investi-menti sostenibili. Oggi esistono infatti diversi approcci e un elevato rischio che si verifichi il cosiddetto green-washing: adottare standard di sostenibiltà molto blandi, con una finalità più commerciale che sostanziale. Ben venga quindi la definizione di regole, che potranno essere utilizzate per stabilire rating o label Esg, per supportare le aziende realmente virtuose e per misurare i flussi nella finanza sostenibile. Siamo tuttavia consapevoli che non si tratta di un lavoro semplice, in quanto comporta deci-sioni con un impatto politico ed economico. Per fare un esempio, l’approccio da tenere verso l’energia nucleare è un tema dibattuto,

perché sono diverse le view nei confronti di questa tecnologia».

Sandrin: «La chiarezza da parte del regola-tore è sempre utile, ma riteniamo che i ritar-di non debbano diventare un pretesto per gli investitori per non agire, poiché la direzione è comunque chiara. Per raggiungere l’obietti-vo dell’accordo di Parigi di limitare l’aumento della temperatura ben sotto 2° C, entro il 2050 dovremo raddoppiare gli investimenti nella produzione di energia rinnovabile. Ciò insieme a una significativa spesa aggiuntiva per le reti elettriche e lo stoccaggio delle batterie e a investimenti sul lato della do-manda: edifici, processi industriali e trasporti, infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici più efficienti dal punto di vista energetico e così via. Entro la metà di questo secolo anche le emissioni associate all’agricoltura e all’uso del suolo dovranno azzerarsi. Ciò implica un cambiamento globale nel modo in cui con-sumiamo e produciamo cibo, che richiederà anche innovazione e investimenti. Questo processo rappresenta un’opportunità di in-vestimento di svariati trilioni di dollari e le richieste sul capitale degli investitori istitu-zionali non faranno che crescere. A nostro avviso, la tassonomia dell’Ue ha il potenziale per creare un quadro che possa aiutare a raf-forzare gli investimenti delle imprese e degli investitori istituzionali in queste aree critiche. Riconosciamo la necessità di una legislazione che consenta flessibilità e innovazione e che si evolva parallelamente alla tecnologia. Allo stesso modo, limitare il green washing nelle attività di reporting è altrettanto importante. Come investitori, abbiamo bisogno di solidi dati sulle entrate che derivano da attività so-stenibili con una buona copertura del merca-to, per offrire ai clienti prodotti come ampi

LORENZO RANDAZZO institutional sales manager Axa Investment Managers

Sede italiana della societàCorso di Porta Romana 68, 20122 Milano

Website www.axa-im.it

Aum in Italia (al 30 agosto 2019) 44 miliardi di euro

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42 FONDI&SICAV Marzo 2020

indici di mercato che siano orientati verso soluzioni climatiche, e la tassonomia Esg può contribuire a incoraggiare tutto ciò. Allo stes-so tempo, dobbiamo riconoscere che alcune delle maggiori sfide e opportunità non sono agli estremi di questo mondo Esg, ma si tro-vano nel mezzo e dobbiamo incoraggiare tut-ti i settori a spostarsi verso la sostenibilità».

Voravong: « Per diversi decenni, ossia dalla crisi degli anni ‘30, tutti i regolatori hanno preso provvedimenti per porre fine a una serie di mali, come l’opacità dei conti delle società, che sono il regno dell’insider trading, delle informazioni privilegiate e del-le manipolazioni dei valori di borsa. Que-sta lotta ha certamente creato molti effetti estremamente positivi, in particolare sulla liquidità dei mercati finanziari, ma ha anche avuto la conseguenza di erigere un muro tra azionisti e società, che dovrebbe essere oggi sormontato, entro i limiti delle regole della divulgazione di informazioni privilegia-te. Anche se spesso ci occupiamo di temi classici come la remunerazione, la diversità, l’indipendenza del consiglio di amministra-zione, non si tratta di battersi per la confor-mità di tutte le società con regole presta-bilite di presunta buona governance, ma di valutare in una configurazione precisa, l’or-ganizzazione di un’impresa. D’altra parte, è stato osservato che la moltiplicazione delle regole per la buona governance e la pres-sione esercitata sulle società per allinearsi a questi standard non ha sempre ottenuto

Randazzo: «No assolutamente. I criteri Esg non sono l’unico elemento per valutare la bontà di una società. I fattori extra-finan-ziari Esg vanno opportunamente pesati e calibrati in aggiunta alle metriche puramen-te finanziarie. Avere a disposizione questo nuovo quadro d’insieme consente al money manager convenzionale di avere una miglio-re comprensione della società in cui investe in termini di rischio/rendimento grazie so-prattutto a una migliore gestione dei rischi che possono derivare dal cambiamento cli-matico, dal consumo di risorse, dal degrado ambientale e dalle disuguaglianze sociali. In Axa Investment Managers adottiamo un modello proprietario che si fonda su dati forniti da provider esterni: nello specifico utilizziamo Msci per i fattori ambientali e di governance, Vigeo per la dimensione sociale e Sustainalytics per le controversie. Mappia-mo complessivamente 8 mila emittenti sud-divisi in 100 paesi e a ognuno è attribuito un punteggio da 0 a 10 (massimo) e tutti i gestori di Axa Investment Managers, non solo quelli tematici Sri, hanno a disposizione e utilizzano queste informazioni in aggiunta ai fondamentali delle società».

Bersan: «La diffusione del label Sri implica l’integrazione dei criteri Esg in un’ottica so-stenibile e quindi di ottimizzazione delle ri-sorse delle aziende a lungo termine. Queste risorse comprendono non solo i mezzi e i processi produttivi e non, ma anche il fatto-re umano che è incluso sotto la voce “so-ciale” nell’acronimo Esg. La nostra expertise e le relazioni di lungo periodo che intrat-teniamo da sempre con le aziende da noi selezionate stanno a dimostrare che quelle che integrano i criteri Esg generano anche le performance migliori».

l’effetto atteso. Per questa ragione, imporre un modello uniforme, può essere contro-producente e penalizzare l’innovazione. La questione della tassonomia è particolar-mente complessa; parte di questa comples-sità verte da una parte sulla convinzione che, lasciando capitalismo e i mercati privi di interventi pubblici, essi saranno comun-que in grado di risolvere i loro problemi da soli, dall’altra sul fatto che per ottenere una concreta transizione verso un’economia a basse emissioni, bisogna ottenere urgente-mente una risposta politica effettiva».

C’è un rischio che la dif-fusione del label Esg pos-sa portare a non prendere in debita considerazione i fondamentali delle società?

DAVIDE BERSANsenior wholesale manager Financière de l’Echiquier

Sede italiana della società

Via Brera 3, 20121 Milano

Websitewww.lfde.it

Aum globali (al 31dicembre 2019) 10 miliardi di euro, di cui 300 milioni in Italia

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FONDI&SICAV Marzo 2020 43

Mottarelli: «No, tutt’altro. L’applicazione di analisi Esg non sostituisce, ma integra l’analisi finanziaria delle società. Analizzando le azien-de anche dal punto di vista della sostenibilità, si ottiene un quadro migliore dei rischi e delle opportunità del business. Dopo tutto soste-nibilità significa capacità di mantenere l’impre-sa profittevole nel lungo periodo, riducendo fortemente i rischi reputazionali o di incorre-re in sanzioni. Non è solo un concetto etico, ma economico: ha a che fare con la capacità del business di sopravvivere in un determina-to contesto, rispettando l’ambiente, le perso-ne, le normative e le regole di gestione che lo caratterizzano».

Sandrin: «È importante considerare che l’integrazione dei criteri Esg non è questione di comprare o vendere un titolo solo sulla base di uno scoring. L’analisi di sostenibilità non dovrebbe essere vista come un invito a ignorare quella fondamentale, ma come uno strumento aggiuntivo che può aiutare a evidenziare dove le aziende si trovano ad affrontare rischi potenziali, sia a breve, sia a lungo termine. Alcuni dei maggiori sostenito-ri di WeWork ora ammettono apertamente che avrebbero dovuto prestare maggiore at-tenzione alla governance. Allo stesso modo, le autorità di regolamentazione stanno met-tendo in guardia le società sul fatto che, se non si adattano all’economia a zero emissioni, correranno un serio rischio di sopravvivenza. I criteri di sostenibilità servono anche per la gestione del rischio. Bank of America Merrill Lynch, ad esempio, ha scoperto che le me-triche Esg erano il migliore segnale per va-lutare i futuri profit-warning. D’altra parte, ci sono anche ampie opportunità, con ricerche accademiche e di settore, che mostrano che le informazioni Esg possono essere un punto

di forza per le aziende ben gestite. La chiave, tuttavia, è concentrarsi solo su ciò che è de-terminante, poiché non tutto necessariamen-te avrà una valenza in termini di valutazioni. Ci dobbiamo preoccupare di come le compagnie petrolifere gestiscono le loro emissioni di car-bonio, non di quanti soldi donino in benefi-cenza».

Voravong: «La nozione di qualità domina l’integralità della nostra filosofia e del nostro processo, sia nella scelta delle società che in-cludiamo in portafoglio, sia nel modo in cui conduciamo le nostre ricerche e analisi. Per noi, il concetto di integrazione Esg segue la definizione della parola stessa. L’integrazione è “l’atto di combinare o aggiungere compo-nenti per formare un insieme unitario”. Con-sideriamo i fattori Esg come parte integrante di questo insieme, che è il giudizio comples-sivo da stilare sul caso di investimento che un’azienda rappresenta. Pur essendo ferventi sostenitori della disciplina degli investimenti, dell’importanza di una ricerca approfondita e della necessità di applicare un processo mol-to rigoroso, siamo anche convinti che questo processo non debba essere applicato automa-ticamente, costantemente e uniformemente in modo “scientifico”. Da qui, la nostra pre-ferenza distintiva per un “processo artistico”, espressione che è un riferimento diretto a un articolo pubblicato circa 10 anni fa sulla Harvard Business Review, intitolato “When a process should be art, not science?” e firmato da Joseph M. Hall e M. Eric Johnson. Si tratta di un meccanismo che prevede un confronto diretto con l’azienda, che potrebbe non es-sere necessario per tutti gli investitori, anche per quelli che nel complesso condividono la nostra stessa filosofia, ma lo riteniamo neces-sario per noi. Dunque non investiamo mai in

una società senza avere avuto un incontro diretto con il suo management, perché ci consideriamo partner delle società in cui in-vestiamo».

Quale prevedete che sarà il maggiore trend di inno-vazione in ambito Esg nei prossimi anni?

Randazzo: «L’integrazione dei criteri Esg sta diventando uno standard di mercato a livello globale. Se parliamo di tematiche Sri, il cambiamento climatico, a partire dall’Accor-do sul clima del Cop 21 di Parigi, è il tema dominante del momento e continuerà a esserlo anche in futuro. L’elemento sociale, invece, per quanto non sia stato premiato nell’Action plan della Commissione Europea sulla finanza sostenibile, potrebbe essere il nuovo climate change, come tematica che rivoluzionerà l’Investimento responsabile del futuro. L’integrazione dei fattori sociali nell’analisi di investimento è stata negli anni scorsi messa in secondo piano rispetto ai fattori ambientali e di governance, non tan-to per l’assenza di interesse, piuttosto per la mancata identificazione di metriche chiave condivise. Sul fronte investimenti, come ge-stori finanziari in Axa Im abbiamo individuato cinque tematiche a impatto che guideranno i trend dell’investimento responsabile, e non solo, del futuro in cui abbiamo creato preci-se strategie dedicate: capitale umano, salute (benessere), gender diversity (uguaglianza di genere), biodiversità e il cambiamento clima-tico. In termini di soluzioni di investimento, invece, la nuova frontiera della finanza soste-nibile è l’impact Investing, ovvero sostenere business e progetti finanziari con la chiara intenzione di ottenere risultati sociali e/o ambientali positivi. Gli effetti devono essere misurabili, scalabili, rendicontabili e nel con-tempo devono fornire rendimenti finanziari positivi, distinguendosi pertanto ben chia-ramente dalla filantropia. In Axa Investment Managers siamo pionieri e operativi in que-sto ambito con soluzioni d’investimento de-dicate a clienti istituzionali sin dal 2013».

Bersan: «Stiamo osservando una diffusa presa di coscienza a favore dell’impatto am-bientale mentre la riduzione dell’impronta carbonio, detta anche low carbon, si inse-risce nel contesto della clean economy. La Financière de l’Echiquier ha intensificato il suo impegno a favore del clima aderendo alla

ANDREA MOTTARELLIrelationship manager & Esg specialistDws

Sede italiana della societàVia Filippo Turati 25/27, 20121 Milano

Websitehttps://funds.dws.com/it-it/

Aum globali (al 31dicembre 2019)

767miliardi di euro

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44 FONDI&SICAV Marzo 2020

campagna “Climate Action 100+” finalizzata a incoraggiare i maggiori produttori di gas ser-ra a migliorare la loro governance climatica. Siamo dell’avviso che l’asset management ab-bia un ruolo importante da svolgere, orien-tando i capitali verso le aziende che stanno preparando il mondo di domani. Anticipando i rischi di transizione e quelli fisici legati al

cambiamento climatico cui potrebbero esse-re esposte, le aziende mettono in sicurezza la loro sostenibilità e le loro performance futu-re. Ma la nuova frontiera dell’Sri è soprattutto l’impatto. Pensiamo che sia possibile generare un impatto positivo attraverso investimenti che orientino i capitali verso le imprese che contribuiscono al bene comune. Riteniamo

inoltre che la produzione di una reportistica precisa e trasparente sia essenziale. Tra l’altro, La Financière de l’Echiquier ha appena aderito al Global impact investing network (Giin), la prima iniziativa mondiale dedicata all’impact investing».

Mottarelli: «L’evoluzione fondamentale

Forum per la finanza sostenibile, regolatori determinatiSi può parlare di ritardi da parte dei regolatori nella definizione nello stabilire la definizione di Esg?«A partire dal lancio dell’Action plan nel 2018, la Commissione Europea ha perseguito con significativa decisione e rapidità le iniziative più urgenti della roadmap, ovvero: tassonomia delle attività eco-compatibili, disclosure Esg per investitori istituzionali e consulenti finanziari, benchmark clima-tici, green bond standard e aggiornamento delle linee guida non vincolanti sulla dichiarazione non finanziaria delle imprese. Gran parte di questi processi si sono conclusi nel 2019: il supplemento dedicato alle informazioni sul clima è stato pubblicato a giugno, benchmark e disclosure sono legge da dicembre e il gruppo tecnico di esperti che sono al lavoro sul green bond standard ha pubblicato a giugno il report definitivo, che sarà completato con ulteriori indicazioni nella prima metà del marzo 2020. Il processo di creazione e introduzione della tassonomia è estremamente complesso: a livello tecnico occorre identificare le attività economiche a maggiore intensità carbonica e, per ciascuna, definire le soglie di emissioni di CO2 che possono essere considerate sostenibili o meno. Di questo è incaricato un gruppo tecnico di esperti che pubblicherà i risultati finali dei lavori a marzo. C’è poi la dimensione politica, legata all’approvazione del regolamento che disciplinerà i principi generali di funzionamento della tassonomia. Questo processo ha richiesto complesse trattative tra stati membri, soprattutto sulle decisioni che riguardano le attività da includere e da escludere: la questione è delicata, perché alcuni paesi hanno sistemi economico-produttivi fortemente dipendenti da settori come il nucleare e il carbone. I negoziati tra Parlamento e Consiglio Ue, a tratti molto complessi, sono sfociati a dicembre in un accordo politico. La tassonomia dovrebbe essere completata entro il 2020 (per la parte sull’ambiente) e diventare operativa entro il 2021. Ripercorrere questi passaggi è utile per dimostrare con quanta determinazione il regolatore si stia muovendo sulla questione».

Non si corre il pericolo che questa tendenza metta in secondo piano i fondamentali delle società?«Le società che adottano efficaci politiche di sostenibilità ambientale, sociale e di governance sono meglio equipaggiate per difendersi da danni di tipo fisico, legale e reputazionale, che si ripercuotono sulle performance economico-finanziarie. Inoltre, possono essere in grado sviluppare e adottare soluzioni innovative per dare risposta a criticità socio-ambientali, con notevoli vantaggi in termini di competitività. L’integrazione dei criteri Esg nella selezione degli asset investibili, quindi, consente sia di prevenire rischi difficilmente intercettabili attraverso l’analisi tradizionale, sia di individuare aziende più competitive nel lungo periodo. Un label o un rating Esg ci dice qualcosa in più sui fondamentali dell’azienda rispetto alla sola relazione economico-finanziaria. Ciò che è importante è che l’assegnazione di un label non si traduca per l’azienda in un mero esercizio di

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FONDI&SICAV Marzo 2020 45

compilazione di un format di requisiti, ma che rifletta in maniera accurata, trasparente e rigorosa la politica di sostenibilità della società».

Secondo voi, come si evolverà l’ Esg nei prossimi anni?«Al momento le agende di sostenibilità di governi, investitori e imprese si concentrano su questioni di carattere ambientale e climatico. È indubbio che sfide come il contrasto al riscaldamento globale, la transizione energetica, la conversione al paradigma dell’economia circolare e la protezione della bio-diversità sono cruciali e urgenti. Al tempo stesso, sarà centrale fornire risposte efficaci e innovative ai grandi trend e ai problemi di carattere sociale, come le migrazioni, l’invecchiamento della popolazione, la crescita delle disuguaglianze tra stati e all’interno degli stati, l’allargamento della forbice intergene-razionale e la conquista della piena parità di diritti tra uomini e donne. Questi fenomeni, d’altronde, sono indissolubilmente legati alla dimensione ambientale: basti pensare ai migranti climatici. La finanza sostenibile è dotata di strumenti e di approcci adeguati per raccogliere queste sfide».

Visto il proliferare di prodotti con etichetta Esg che cosa possono fare le Sgr per differenziare le proprie offerte?«È cruciale garantire un’eccellente chiarezza e trasparenza comunicativa nei confronti del mercato e dei clienti: da una ricerca condotta dal Fo-rum per la finanza sostenibile in collaborazione con Bva Doxa è emerso che per i risparmiatori retail italiani chiarezza e trasparenza dell’offerta sono gli elementi più importanti per le scelte d’investimento. Inoltre, costituiscono le fondamenta del rapporto di fiducia tra istituzioni finanziarie, intermediari e risparmiatori. Un’altra parola chiave è innovazione: i prodotti che integrano criteri Esg devono essere innovativi sia nella selezione degli strumenti finanziari, sia nell’identificazione delle soluzioni ai grandi temi della sostenibilità. La tecnologia può essere uno dei fattori chiave per lo sviluppo del mercato Sri nel prossimo futuro, a condizione che gli investimenti supportino soluzioni volte a migliorare l’efficienza delle attività economiche con effetti positivi in termini sia ambientali, sia sociali: per essere sostenibile la tecnologia non può essere interpretata come un mero sostituto del “fattore umano”, con conseguenti ricadute negative sul tasso di occupazione».

FRANCESCO BICCIATO segretario generale Forum per la finanza sostenibile

GIANCARLO SANDRINcountry head ItalyLegal & General Investment Management (Lgim)

Sede italiana della società

Via Visconti di Modrone 15, 20121-Milano

Website

https://www.lgim.com/it

Aum globali (al 30 giugno 2019) 1,2 trilioni di euro

sarà il passaggio dal concetto di esclusione a quello di impact investing. Mi spiego meglio: oggi di fatto i risparmiatori percepiscono il tema Esg come l’esclusione di alcuni settori o di alcune aziende considerati dannosi per l’ambiente. La sfida futura sarà premiare le imprese che all’interno di ciascun segmento stanno mettendo in atto misure per diven-tare più sostenibili. Bisognerà fare percepire ai risparmiatori il valore del cosiddetto en-gagement: la possibilità dei gestori di parlare con le società e di votare nelle assemblee per spingere il management verso compor-tamenti virtuosi. Come Dws, grazie ai nostri investimenti in fondi attivi ed Etf, stiamo svol-gendo attività di engagement con oltre 900 aziende. Un altro modo per premiare i gruppi virtuosi è privilegiare quelli che contribuisco-no a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità dell’Onu (i 17 sustainable develpment goals). Analizziamo le società anche da questo punto di vista e abbiamo lanciato un fondo speci-fico, con il nome di Dws Invest Sdg Global Equities».

Sandrin: «Sempre più spesso i clienti ci chiedono in quale misura i loro portafogli siano allineati con la traiettoria dell’Accor-do di Parigi per contenere il riscaldamento

ben al di sotto dei 2° C, nonché gli impatti, anche per le società analizzate, di eventuali disallineamenti. O anche quali sono le conse-guenze degli eventi meteorologici estremi più frequenti o dei livelli crescenti dei prezzi sulle emissioni di carbonio. Sempre più, i profes-sionisti degli investimenti si stanno forman-do sulla scienza del clima, con una spinta da parte, sia dei regolatori, sia dei consumatori. Come è stato recentemente chiesto, chi ge-stirà la pensione di Greta Thunberg? Il set-tore è ancora alle prese con le implicazioni

di questo cambiamento. Allo stesso tempo, vi è una crescente innovazione nell’ambito dei dati Esg. Immagini satellitari, apprendi-mento automatico e analisi del sentiment: questi sono solo alcuni degli strumenti che stanno aumentando la capacità di copertura e la precisione dei dati ambientali, sociali e di governance a nostra disposizione. Sono finiti i giorni in cui tutto ciò di cui gli investitori avevano bisogno era ricavato solo dalle re-lazioni annuali, dalle comunicazioni degli utili agli investitori e dalle riunioni aziendali delle

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46 FONDI&SICAV Marzo 2020

società: abbiamo a disposizione un kit di stru-menti più ampio, applicabile a tutte le asset class e le strategie di investimento».

Voravong: «Se siamo decisamente a favore del principio dell’engagement, possiamo dire che la sua massimizzazione da parte di tutti gli investitori è necessariamente una buona cosa. È qui che vogliamo sottolineare l’importanza per noi del fattore qualitativo anche negli anni a venire. Ovviamente, nel complesso, non contestiamo il fatto che il settore finanziario debba ancora fare alcuni miglioramenti in questo senso. Tuttavia, pensiamo che, come in ogni campo, un approccio razionale debba continuare a prevalere. Sebbene spesso vi sia una mancanza di dialogo tra gli investitori e le aziende di oggi, è ironico che questo deficit sia anche la conseguenza involontaria di pre-cedenti sforzi per migliorare il funzionamento dei mercati. La risposta potrebbe essere una forma di engagement costruttivo, realizzato in uno spirito di collaborazione e fiducia re-ciproca tra le società e i loro azionisti, che speriamo possa contribuire a sviluppare una finanza responsabile volta a preoccuparsi per il futuro e che abbia una visione di lungo ter-mine per tutti».

Visto il proliferare di pro-dotti con marchio Esg, cosa possono fare le Sgr per dif-ferenziare le loro offerte?

Randazzo: «Ciò che sta avvenendo sul mercato in questo periodo è certamente stravolgente e inaspettato, se si pensa che fino a pochi anni fa l’investimento respon-sabile era un tema di nicchia ad appannaggio delle sole società di gestione più virtuose. Oggi, invece, tutte le Sgr stanno proponendo alla clientela soluzioni tematiche Sri e stanno integrando, chi più e chi meno, i criteri Esg nelle modalità e nelle scelte di investimento anche nei portafogli tradizionali. In Axa Grup-po e in Axa Im abbiamo adottato una politica di divestment: da un lato andiamo a premiare situazioni di impatto sociale/ambientale posi-tivo e dall’altro disinvestiamo da quei settori che portano a un costo sociale/ambientale elevato. Dal 2015 il disinvestimento com-plessivo è stato di 7,15 miliardi di euro da combustibile fossile e sabbie bituminose, armi controverse, tabacco, olio di palma e derivati sulle soft commodity. Per incidere sul com-portamento delle società occorre però fare sistema, muoversi nella stessa direzione. L’i-

ERIC VORAVONGanalyst EsgComgest

Sede centrale della societàComgest S.A. 17, square Edouard VII 75009 Paris France

Website https://www.comgest.com/sites/it/index2.html

Aum a livello globale

32 miliardi di euro (dati al 31 dicembre 2019)

niziativa del singolo è lodevole, ma in questo ambito l’unione fa la forza. Per quanto si stia-no muovendo sempre più investitori come banche, assicurazioni, enti no profit e fondi pensione, le azioni di divestment assumono un significato solo se gli attori in gioco che aderiscono alle scelte di esclusione sono tanti e in aumento. Per esempio il disinvestimento dal carbone non è ancora la norma: meno del 10% delle assicurazioni ha applicato questa restrizione e ciò significa che la domanda e l’offerta sono ancora fluide. Infine sul fronte investimenti, un ulteriore fattore distintivo rispetto al mercato è che in Axa Investment Managers abbiamo sviluppato una gamma di soluzioni a impatto sia quotate (capitale uma-no, diversity, green bond), sia nell’ambito dei mercati privati con soluzioni dedicate ai clien-ti istituzionali. Una tipologia di investimento necessaria per fare fronte alle esigenze della società e per contribuire al raggiungimento dei 17 Sdgs goal fissati dalle Nazioni Unite».

Bersan: «L’Sri si sta sempre più professiona-lizzando, grazie anche al contributo dei label. Da tempo siamo convinti dell’impatto positi-vo di questo approccio sulla nostra gestione. Confermiamo la nostra intenzione di volere rimanere fedeli al nostro metodo che ha contribuito, negli anni, alla performance. Una delle caratteristiche positive dei label è la tra-sparenza che riescono a dare agli investitori, a quelli soprattutto che si sono finora voluti impegnare relativamente poco a livello Sri. I label contribuiscono a dare maggiore leggibili-tà lasciando così poco spazio alla coesistenza di diverse forme di Sri. Siamo convinti che sia un’ottima cosa. A sei fondi di La Financière de l’Echiquier è stato attualmente attribuito il label Sri del governo francese, a garanzia di un solido processo di integrazione dei cri-

teri ambientali, sociali e di governance nella gestione dei fondi labellizzati. Se, da un lato, ci rallegriamo dell’ottenimento del marchio di stato francese, che sottolinea il lavoro che stiamo svolgendo sull’analisi dei criteri ex-tra-finanziari, e se siamo anche orgogliosi di avere di recente ottenuto il marchio tedesco Fng Siegel e quello belga Towards sustainabi-lity, dall’altro continueremo a batterci contro la standardizzazione e a fare la differenza, an-che nell’Sri. È importante che si capiscano, in un’era di green washing, le motivazioni che inducono a fare Sri. A La Financière de l’E-chiquier, già nel 2007 strutturavamo la nostra metodologia di analisi Esg e, sebbene il nostro approccio si sia arricchito nel tempo, conti-nua a poggiare sulla stessa base, trasversale a tutto il nostro stock-picking: l’incontro con gli imprenditori è imprescindibile per farsi un’o-pinione precisa sulla qualità Esg delle aziende. Questo è il modo in cui approfondiamo la nostra conoscenza delle imprese e riusciamo a capire la loro cultura e i loro rischi. Credia-mo che questa sia la ragion d’essere dell’Sri. È anche il motivo per cui poco ci avvaliamo delle agenzie di rating extra-finanziario».

Mottarelli: «Come detto, possono esserci diversi approcci al tema, che vanno dalla sem-plice esclusione di qualche azienda o setto-re, all’analisi più sofisticata del reale impatto positivo dei loro prodotti e del loro modo di fare business, dal lancio di fondi tematici, dedicati per esempio alle tecnologie per con-trastare i cambiamenti climatici, all’integrazio-ne dei criteri Esg in tutti i processi di gestione. Come Dws stiamo investendo molto per of-frire una gamma ampia e diversificata di fondi a gestione attiva, seguendo tre strategie prin-cipali:• affiancare alle nostre migliori strategie la

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versione Esg, lasciando al cliente la possibi-lità di scegliere quale approccio seguire. È il caso, per citarne uno, del Dws Invest Esg Equity Income, versione Esg della nostra strategia azionaria dividend;

• lanciare fondi Esg tematici, come per esem-pio Dws Invest Esg Climate Tech;

• offrire soluzioni vicine alla logica di impact investing, come il già citato Dws Invest Sdg Global Equities oppure il fondo che investe in green bond.

Inoltre, come secondo provider di Etf in Europa, ci stiamo dotando di soluzioni Esg passive. Abbiamo quindi lanciato le versioni Esg degli Etf sui principali indici azionari e sui corporate bond in euro. Infine, non meno importante, è la nostra attività negli investi-menti alternativi. Per citare qualche esempio, gestiamo:• l’European Energy Efficiency Fund, istituito

dalla Commissione Europea e dalla Banca Europea degli Investimenti;

• il fondo China Clean Energy Fund, lanciato in collaborazione con Apple per supportare la crescita delle energie rinnovabili in Cina.

• l’Universal Green Energy Access Program, che finanzia progetti per fornire energia green in Africa».

Sandrin: «Il prodotto è solo una parte di ciò che significa integrare le informazioni Esg. Altrettanto importanti sono le attività di voto e di engagement. Indipendentemente dal fat-to che i fondi siano esplicitamente etichettati Esg, gli asset manager hanno la possibilità, se

non l’obbligo, di utilizzare i loro diritti di voto e di usare un engagement “muscolare” per spingere per un cambiamento positivo nel-le società partecipate. In Lgim abbiamo una solida esperienza: il nostro impegno con le aziende ha prodotto risultati tangibili e con-tinueremo a esercitare il nostro diritto di voto in questa direzione, indipendentemente dal fatto che deteniamo le società in indici azionari standard, nella nostra gamma di Etf core o nei nostri fondi Esg di punta. In Europa e negli Stati Uniti votiamo contro i consigli di amministrazione che non hanno almeno il 25% di donne e e non diamo la fiducia ai ceo che svolgono anche le funzioni di presidente del cda. Spingiamo le aziende a fare di più sul clima. L’anno scorso, una ricerca esterna ha rilevato che abbiamo votato a sostegno di ri-soluzioni più “critiche per il clima” di quanto abbiano fatto i 20 maggiori asset manager del mondo. Nell’ambito del nostro climate im-pact pledge, ci siamo impegnati su questioni climatiche con alcune delle più grandi aziende globali. Se le imprese non si adeguano rispet-to ai loro omologhi secondo la nostra valuta-zione, noi votiamo contro il loro presidente e possiao anche rimuovere le società stesse da determinati nostri fondi. Come risultato del nostro approccio pragmatico abbiamo inizia-to a vedere progressi da parte delle aziende, anche le compagnie petrolifere e del gas».

Voravong: «Per la prima volta, quest’anno l’Un Pri ha assegnato a Comgest il rating1 A+ (massimo) in tutte le relative categorie “Stra-

tegy & Governance”, “Listed Equity–Incorpo-ration” e “Listed Equity–Active Ownership”, ma ci definiamo come un investitore quality/growth. Un modo in cui ci piace riassumere i principi che guidano la nostra analisi degli investimenti è rispondere a una semplice do-manda: “Vogliamo essere presenti in questo business, con questa gente e a questo prez-zo?” Di conseguenza, i principi della nostra integrazione Esg sono realmente legati a que-ste domande fondamentali sull’azienda e sulle persone coinvolte: a) l’azienda è interessante, comprese le questioni ambientali e sociali da essa affrontate? b) ci fidiamo di queste per-sone, adottano un orizzonte a lungo termine, abbiamo fiducia nella loro visione e nella go-vernance globale in vigore? Questo è il tipo di quesiti cui cerchiamo di rispondere e ai quali un approccio di box-ticking quantitativo non può rispondere. Per integrare in maniera più strutturata l’analisi di sostenibilità nelle no-stre strategie abbiamo creato da alcuni anni un vero e proprio team di analisti Esg, che si affiancano agli analisti tradizionali. Abbiamo messo a punto un modello di filtro Esg to-talmente proprietario, con il quale vengono assegnati alle società analizzate dei punteggi, in base a quanto sono virtuose in termini am-bientali, sociali e di governance. La logica non è l’esclusione, bensì la penalizzazione, per cui affinché un’azienda con un punteggio basso possa essere inserita in portafoglio è neces-sario che le sue previsioni di rendimenti futuri siano più elevate rispetto a un’altra posiziona-ta meglio nella classifica».

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Cristina Mazzurana è managing direc-tor di Capital Group Italy. Fondi&Sicav l’ha incontrata per cogliere gli aspetti che più caratterizzano l’asset manager in cui lavora dal 2014.

Capital Group è una delle più gran-di e vecchie società di gestione de-gli investimenti al mondo, fondata nel 1931 negli Stati Uniti da Jona-than Bell Lovelace. Nel 1934 Capi-tal Group iniziò a gestire The In-vestment Company of America, il primo di una famiglia di fondi di in-vestimento che è andato crescendo negli anni. Ne sono passati da allora 86, come siete cambiati?«Capital è un grande gruppo, che ha attual-mente in gestione circa 2 trilioni di dollari e 57 milioni di clienti, il 90% dei quali risiede negli Usa. La nostra forza, negli anni, è stata avere un’organizzazione disegnata per du-rare nel tempo. Certo, le nostre dimensioni sono cambiate: le masse sono cresciute, l’or-ganico è aumentato e la nostra presenza sui mercati è più diffusa».

Sta dicendo che siete una società che negli anni, a parte le dimensio-ni, non è mutata?«So che sembrerà contro-intuitivo, ma il Dna di Capital Group è sempre lo stesso. Siamo nati in una fase molto delicata per l’economia mondiale e americana, durante la grande cri-si. L’obiettivo che allora la società si diede fu, in primis, di preservare il capitale più che di accrescerlo, visto l’instabile e precario con-testo economico e finanziario del tempo. Bi-sognava perdere il meno possibile. E questa è ancora una delle informazioni genetiche che ci caratterizzano. Il nostro modo di operare nelle scelte di investimento non è cambiato ed è lo stesso che è stato codificato, alla fine degli anni ’50, all’interno di Capital SystemSM».

Che cosa è Capital SystemSM?«Capital SystemSM è un metodo che incorpo-ra un processo decisionale indipendente, con forti convinzioni, arricchito dalla diversità de-rivante da molteplici prospettive. In pratica dividiamo i portafogli in segmenti, ciascuno gestito da un singolo manager, e ciò permet-te di rappresentare un insieme diversificato di stili e di approcci. Le decisioni tra i gestori e gli analisti sono condivise all’interno di un ampio spettro di visioni, che lascia però a cia-scuno la possibilità di investire in modo indi-

CRISTINA MAZZURANA MANAGING DIRECTOR CAPITAL GROUP ITALY

La forza dellacontinuità

a cura di Pinuccia Parini

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FONDI&SICAV Marzo 2020 49

pendente, in base alle proprie convinzioni. Il risultato è che i portafogli raccolgono al loro interno diverse idee di investimento, frutto di un approccio bottom-up, che si focalizza sui fondamentali e che ha un arco temporale di almeno cinque anni. Questo metodo di co-struire un portafoglio lo rende più resiliente nei momenti di maggiore volatilità e permet-te di creare sufficiente potenziale per otte-nere buoni risultati, nonostante le diverse fasi che i mercati possono attraversare. Quando decidiamo di investire in uno strumento fi-nanziario o in un’azienda è perché ci credia-mo. I nostri analisti visitano costantemente impianti produttivi e strutture organizzative, incontrano il management delle società per rafforzare le loro convinzioni che, a differen-za di quanto avviene per la maggior parte dei nostri concorrenti, possono essere tradotte in veri e propri investimenti all’interno di un fondo».

È un sistema collaudato nel tempo il vostro, ma non rischia di essere datato?«No, esattamente il contrario. Proprio perché

è un sistema collaudato nel tempo e ha pro-dotto risultati, ci rende sempre più convinti e impegnati nei confronti degli investitori con obiettivi a lungo termine, significativamente superiori alla media del settore. Ci ha per-messo di navigare nei “rumor” di breve termi-ne e durante periodi di incertezza economica e di mercato nel perseguimento degli obietti-vi chiave. Abbiamo una forte identità corpora-te che ci distingue e ci ha consentito di avere una bassa rotazione di personale, con una vita lavorativa media all’interno dell’azienda di 26 anni per i gestori e 16 anni per gli analisti. Ma, soprattutto, i nostri interessi sono allineati con quelli dei nostri investitori».

Che cosa intende quando parla di allineamento di interessi con i vo-stri investitori?«La nostra visione di lungo termine, la nostra cultura e il nostro sistema di remunerazio-ne sono allineati con gli interessi dei nostri investitori per i quali operiamo con molta cautela: siamo attenti alla volatilità, perché la preservazione del capitale è alla base delle nostre decisioni. Il nostro mantra è essere

coerenti e continuare ad adottare il Capital SystemSM, che ci ha permesso di raggiungere performance la cui media è molto elevata. Inoltre, siamo un’azienda privata, con un azio-nariato diffuso, nelle mani adesso di 400 soci che sono tutti dipendenti. Gli stessi membri della famiglia Lovelace, quella del fondatore, non possono detenere una quota superiore al 2,5%, tetto massimo anche per tutti gli altri azionisti che, nel momento in cui decidesse-ro di lasciare Capital, dovrebbero vendere le azioni detenute. Forse l’espressione può sembrare una forzatura, ma siamo una coo-perativa del risparmio».

Analizzando le masse che gestite, quali sono le caratteristiche?«Abbiamo circa 1.600 miliardi di dollari in-vestiti in azioni e 400 in obbligazioni. Sono fondi long-only, senza utilizzo di derivati e con un benchmark di riferimento, nonostan-te la gestione sia molto attiva. La vocazione azionaria della casa è storica, essendo nata in un periodo in cui, sia i ritorni, sia i rendimen-ti erano decisamente più interessanti per le azioni che per le obbligazioni. Non bisogna infatti dimenticare che negli Stati Uniti si ini-ziò a guardare con interesse all’asset class obbligazionaria con la prima crisi petrolifera agli inizi degli anni ’70, quando i rendimenti dei Treasury toccarono il 14%».

Lei sta quindi dicendo che l’appeti-to al rischio degli americani è cre-sciuto in un contesto che lo ha ge-nerato storicamente?«È un dato di fatto. Negli Stati Uniti la pro-pensione degli investitori verso le azioni ha una radice storica e fa riferimento al compor-tamento e alle opportunità che le due asset class offrivano nei 20 anni precedenti la crisi petrolifera. Anzi, dirò di più: non è escluso che questa inclinazione possa manifestarsi adesso anche in Europa, e di conseguenza in Italia, in un contesto di tassi di interesse particolar-mente bassi e che possono rimanere tali per un lungo periodo di tempo. Le condizioni che potrebbero portare a un aumento dell’espo-sizione azionaria anche nel Vecchio continen-te mi sembra che ci siano tutte».

Se si guarda alla vostra gamma di strumenti, non compaiono prodot-ti che sembrano riflettere le recen-ti tendenze di mercato in materia. Non rischiate di perdere il focus su alcuni temi su cui costruire por-

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50 FONDI&SICAV Marzo 2020

tafogli dedicati o di non utilizzare strategie alternative che possono contribuire alle performance o a incontrare le esigenze degli inve-stitori? Il termine è improprio ma, non siete un po’ poco sexy?«Ha ragione, non siamo sexy, per nulla, e forse siamo troppo noiosi, ma quando una persona decide di legarsi a un’altra nella vita considera maggiormente l’attrazione pura e semplice o dà più peso alla sua af-fidabilità? Il nostro approccio agli investi-menti è concepito per durare nel tempo e riteniamo che la ricerca fondamentale aiuti a identificare opportunità che vadano in questa direzione. I nostri portafogli incor-porano i temi che in altre case si possono trovare configurati in un prodotto dedica-to. Noi non lo facciamo perché non inse-guiamo le mode. I nostri gestori e analisti, proprio per il metodo di investimento e l’orizzonte temporale che si danno, riesco-no a cogliere in anticipo le tendenze futu-re, che vivono già all’interno dei portafogli. Non facciamo neppure market timing che non solo non è utile, ma può essere dan-noso. Basti osservare che, utilizzando l’indi-ce Msci Acwi, un ipotetico investimento di 10.000 dollari nel 1970 sarebbe cresciuto sino a diventare 770.064 nel 2018, nono-

stante tutti gli eventi che hanno caratteriz-zato gli anni intermedi tra la data di inizio e quella della rilevazione finale. Ciò vuole dire che, quando si operano le scelte di in-vestimento, bisogna ignorare tutto ciò che può distrarre dai fondamentali. Il mondo è ciclico e, in quanto tale, ci sono momenti in cui alcune tipologie di investimento sono più redditizie di altre e ce ne sono altri in cui esiste sincronizzazione, sia al rialzo, sia al ribasso. A proposito, sa chi c’è dietro l’a-cronimo Msci?».

No, francamente non lo so, perché mi sono sempre concentrata sulle due prime lettere dell’acronimo.«È stata Capital Group che ha creato agli inizi gli indici Msci, oggi forniti da Msci Inc., e lo fece per avere uno strumento interno che potesse essere di sostegno al nostro approc-cio di investimento innovativo».

La filosofia di investimento che vi caratterizza e la vostra identità non comportano anche un grande sforzo di comunicazione verso i vo-stri investitori?«Sì, e lo facciamo con grande impegno per-ché riteniamo che sia importante offrire gli strumenti e le informazioni necessarie per

capire che cosa succede sui mercati, come leggere le fasi di un ciclo economico, come gestire l’emotività nei confronti delle scelte fatte o da fare. Vogliamo che la competenza e la continuità di metodo che utilizziamo nelle scelte di investimento sia compresa e rico-nosciuta anche da chi decide di sottoscrivere i nostri prodotti, abbracciando così la nostra filosofia».

A questo proposito, ha partecipa-to all’evento di Consulentia che si è tenuto a Roma?«Si, è un’ottima occasione per incontrare i tanti consulenti che ci seguono e che col tempo hanno cominciato ad apprezzare la nostra filosofia di investimento.Non le na-scondo che inizialmente, mancando di una gamma di prodotti “sexy” avevamo il timore di avere pochi spunti di conversazione con gli advisor. Col tempo e con nostra grande sor-presa, abbiamo scoperto che un ritorno alle argomentazioni di base su come approccia-re un investimento era premiante non solo per i consulenti, ma anche per gli investitori finali. Abbiamo allora prodotto una serie di materiali di comunicazione che aiutassero il professionista a spiegare al proprio clien-te perché un approccio di lungo termine è l’unico vincente, a prescindere dalle fasi dei mercati. Naturalmente i consulenti hanno avuto modo di constatare che per Capital Group l’approccio di lungo termine non è solo un concetto di cui parlare, ma che vie-ne effettivamente implementato in tutte le soluzioni di investimento. In pratica ciò che suggeriamo di fare a consulenti e investitori, è esattamente quello che facciamo da oltre 85 anni, con ottimi risultati».

Un’ultima domanda, anche se ca-nonica, ma doverosa. Come vedete il 2020?«Non ci discostiamo dal consenso. Siamo moderatamente ottimisti e non vediamo all’orizzonte alcuna recessione imminente. Pensiamo che le banche centrali continue-ranno a essere interventiste. Nonostante l’attività manifatturiera dia segnali di debolez-za, i consumi stanno tenendo molto bene e questo fatto ci rende fiduciosi guardando al futuro. In termini di preferenze geografiche, privilegiamo l’Europa e i mercati emergenti per l’azionario e sempre gli emergenti, anche in valuta locale, per la parte obbligazionaria. Per quanto riguarda il dollaro lo vediamo sta-bile o in leggero indebolimento».

Nilly Sikorsky, gestrice di portafoglio Capital per oltre 40 anni, impegnata a raccogliere dati per gli indici Capital International World nel 1973

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Chi siamoUn’associazione non profit multi-stakeholder: ne fanno parte operatori finanziarie altre organizzazioni interessate all’impatto ambientale e sociale degli investimenti.

La nostra missionePromuoviamo la conoscenza e la pratica dell’investimento sostenibile, con l’obiettivo di diffondere l’integrazione dei criteri ambientali, sociali e di governance nei prodotti e nei processi finanziari.

Cosa facciamoConduciamo ricerche e gruppi di lavoro, organizziamo conferenze, seminari e attività di formazione,collaboriamo con istituzioni italiane ed europee, per valorizzare le buone pratiche e sensibilizzarela comunità finanziaria, i media e la cittadinanza sull’investimento sostenibile.

Promuoviamol’investimento sostenibile

Vi aspettiamo alla Settimana SRI11 - 25 novembre 2020www.settimanasri.it

Per saperne di più: www.finanzasostenibile.it

@ItaSIF Forum per la Finanza Sostenibile FinanzaSostenibile Investi Responsabilmente

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52 FONDI&SICAV Marzo 2020

UNIT LINKED

LA FINANZA E LA LEGGE

Segnali incoraggianti dalla giurisprudenzaa cura di Luca Zitiello*

Le polizze vita godono di un regime spe-ciale e privilegiato in ragione della disci-plina del codice civile e in particolare dell’art. 1923 ove si dispone che le som-me dovute dall’assicuratore al contraen-te o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o caute-lare. Questa disciplina di favore venne accordata dal legislatore del 1942 a un prodotto, i contratti di assicurazione sulla vita, allora tradizionale e significati-vamente meno evoluto rispetto a quello che abbiamo oggi in seguito al processo di finanziarizzazione che ha contraddi-stinto le polizze vita soprattutto negli ultimi 25 anni.

UNA RISPOSTA AMBIVALENTEIl tema, dunque, si è posto di recente e si è manifestato il problema se prodot-ti finanziari assicurativi, come le polizze unit linked, beneficino del requisito di impignorabilità e insequestrabilità. La ri-sposta fornita sinora dalla giurispruden-za è stata piuttosto ambivalente, suddi-videndosi in numero quasi equivalente tra decisioni favorevoli e contrarie. Va in ogni caso tenuto in debito conto che le sentenze decidono su un caso concreto e quindi sono inevitabilmente influenzate dal tipo di polizza oggetto di giudizio e

* Luca Zitiello è avvocato e socio fondatore e mana-ging partner dello studio legale Zitiello Associati. È autore di numerose pubblicazioni in tema di diritto del mercato finanziario e svolge attività di collabo-razione con riviste, con la stampa nazionale e con testate televisive. Collabora con le principali asso-ciazioni di categoria degli intermediari abilitati.

dalla costruzione del singolo prodotto.Fatte queste dovute premesse, si ritiene che siano da registrare con favore due recentissimi precedenti della giurispru-denza di merito sul punto. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 4 dicembre 2019, osserva che le polizze unit linked, pur ca-ratterizzate dal fatto che il rendimento dipende dall’andamento dell’investimento sottostante, non possono di per sé essere escluse dal novero dei contratti di assicu-razione sulla vita che rientrano nel regime di applicazione dell’art. 1923 c.c., trattan-dosi di un prodotto che da una parte pre-vede un rendimento legato all’andamento del mercato, ma dall’altro contempla co-munque un rischio legato alla durata della vita umana con una chiara connotazione

di risparmio e previdenziale tipica del con-tratto di assicurazione sulla vita.

SMONTATO UN ASSIOMAMolto interessante anche l’affermazione successiva dove si smonta un assioma spesso presente in altre decisioni e si specifica che la funzione previdenziale non può farsi discendere dalla sussisten-za di un rendimento garantito o dall’as-senza di rischio di investimento, dato che nella previdenza complementare non vi è garanzia di rendimento dell’in-vestimento, permanendo il rischio finan-ziario in capo al sottoscrittore.Ha fatto poi seguito la decisione del Tribu-nale di Sulmona del 26 gennaio 2020 che si caratterizza per la notevole completezza

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FONDI&SICAV Marzo 2020 53

argomentativa. Dopo un’ampia ricostruzio-ne dell’andamento giurisprudenziale della Suprema Corte sul tema, il Tribunale ne fa conseguire che un preciso criterio per veri-ficare se un contratto abbia davvero matri-ce assicurativa oppure finanziaria è la sussi-stenza di un rischio che abbia come oggetto un evento concernente l’esistenza dell’assi-curato che viene assunto dall’assicuratore, concentrandosi così sull’effettiva sussisten-za di una funzione previdenziale strettamen-te connessa al rischio demografico.

RISCHIO E PRESTAZIONENel caso di specie il creditore aveva proprio contestato la strutturazione del prodotto denunciando la mancata assunzione di un rischio demografico da parte della compagnia venendo così meno la natura previdenziale e aleatoria del contratto. Per potere essere consi-derata un’assicurazione sulla vita una polizza deve presentare entrambi i se-guenti elementi: l’assunzione del rischio demografico da parte dell’assicuratore

e la prestazione di una garanzia certa al beneficiario qualora si verifichi l’evento (morte o sopravvivenza) indicato nel contratto in modo tale da realizzare la finalità previdenziale.

RICHIAMO ALLA CASSAZIONEIl Tribunale richiama espressamente la or-mai nota sentenza della Cassazione n. 6319 del 5 marzo 2019 che, citando i regolamen-ti Isvap nn. 29 e 32, ha espresso il principio di diritto volto ad affermare la necessità della effettiva sussistenza del rischio demo-grafico a presidio della validità della polizza. Aggiunge in merito un importante criterio ermeneutico al fine di valutare il singolo contratto assicurativo: l’assunzione del ri-schio demografico da parte della compa-gnia può considerarsi effettivo quando la quantificazione dell’importo aggiuntivo da riconoscere al beneficiario è calcolata sulla base delle tavole di mortalità e sopravvi-venza, mettendo in dubbio una maggiora-zione molto bassa che risultasse svincolata da elementi demografici.

PARTITA NON CHIUSASulla base di questi presupposti argo-mentativi la Corte nel caso concreto conclude per la impignorabilità e in-sequestrabilità della polizza, in quanto nelle condizioni contrattuali era stato previsto un importo aggiuntivo effettiva-mente basato sulla mortalità e soprav-vivenza del soggetto assicurato tale da concretizzare una vera assunzione di rischio, così da rendere il contratto as-similabile a un’assicurazione per la vita e non a uno strumento finanziario.La partita sul tema non può dirsi cer-to chiusa, ma va comunque dato conto del fatto che per un verso la riforma del sistema normativo italiano derivante dal recepimento della direttiva Idd, per l’altro le riflessioni più approfondite e consapevoli da parte della giurispruden-za potrebbero condurre a una maggiore uniformità interpretativa con evidente vantaggio dell’operatività e della attrat-tività delle soluzioni assicurative propo-ste.

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CONSULENTI RETI

DUCCIO MARCONI direttore centrale consulenti finanziariCheBanca!

«Siamo già una delle migliori piattaforme in termini di on line collaboration sul gestito e sull’amministrato, cui si aggiungerà in futuro l’automazione dei processi legati al mondo assicurativo. Tutto ciò darà grandi vantaggi ai

consulenti in termini di efficienza dei processi e consentirà di eliminare altra carta dalla

gestione amministrativa. Sempre attraverso il digitale saremo prossimamente in grado di

offrire advisory in campo immobiliare, consulenza sul passaggio generazionale e account aggregation, oltre a mettere a disposizione dei clienti

reportistiche e analisi efficienti ed efficaci del loro portafoglio».

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56 FONDI&SICAV Marzo 2020

In due anni e mezzo ha creato una rete di 400 consulenti sotto le insegne di CheBanca!. Duccio Marconi, classe 1971, bocconiano, è direttore centra-le consulenti finanziari dell’istituto del gruppo Mediobanca dedicato al rispar-mio e agli investimenti. Entrato nell’ago-sto 2017 a diretto riporto dell’ammini-stratore delegato Gian Luca Sichel con l’obiettivo di dare slancio al progetto della rete dei consulenti finanziari, Mar-coni si è buttato a capofitto nel compito e ora guarda al nuovo traguardo del pia-no 2019-2023, che prevede di arrivare a 675 professionisti. Il manager proviene da Credem, dove ha trascorso gran par-te della sua carriera ricoprendo ruoli di responsabilità crescente fino a diventare nel 2010 il direttore commerciale della rete.

Avete da poco comunicato i dati al 31 dicembre 2019 che evi-denziano masse totali gestite e amministrate da CheBanca! per 12 miliardi di euro, con un incremento dell’8% nell’ultimo trimestre. Sono risultati in linea con le vostre aspettative?«Nell’ultimo trimestre come rete con-sulenti abbiamo avuto un rush impor-tante in termini di raccolta netta, che è stata di quasi 500 milioni. Siamo quindi felici di avere dato un contributo così forte ai risultati di CheBanca!. Solo negli ultimi tre mesi 30 nuovi professionisti hanno scelto di entrare a fare parte del nostro progetto. L’intera rete dei con-sulenti finanziari oggi conta 412 advisor che gestiscono complessivamente masse per 4,5 miliardi, con un portafoglio me-dio vicino a 11 milioni».

Considerate conclusa la fase di start up?«Direi di sì. È un traguardo importante, considerando che la nostra rete è nata all’interno di CheBanca! solo due anni e mezzo fa. Se a tutto ciò aggiungiamo, a livello più simbolico, l’ingresso in Asso-reti, avvenuto all’inizio del 2019, si può certamente dire che la rete di consu-lenti finanziari CheBanca! ha concluso con successo la fase di start up ed è a tutti gli effetti un progetto consolidato, un’istituzione fra le prime 12 in Italia in termini di professionisti e di masse. Nel

DUCCIO MARCONIdirettore centrale consulenti finanziariCheBanca!

CONSULENTI RETI

Start up conclusa

a cura di Lorenzo Dilena

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FONDI&SICAV Marzo 2020 57

2019 la società si è inoltre posizionata sul gradino più alto del podio di Asso-reti per crescita di masse pro capite. Un risultato di cui siamo particolarmente orgogliosi».

Quali sono gli obiettivi più im-portanti in questa fase?«All’interno del Piano strategico qua-driennale (2019-2023) del gruppo Me-diobanca, CheBanca! potenzierà, sia la rete proprietaria (da 445 a 600 pro-fessionisti), sia quella dei consulenti fi-nanziari, che è la struttura di cui io mi occupo. In particolare, si prevede un incremento a 675 advisor (siamo già a 412) e un significativo investimento in formazione. Il rafforzamento dei flussi di raccolta, delle piattaforme digitali e della gamma dei prodotti sarà accompa-gnato dal consolidamento della nostra presenza in tutta Italia».

Vedremo quindi più uffici di con-sulenti finanziari?«Oggi sul territorio abbiamo circa 70 uf-fici gestiti dai nostri consulenti. Si tratta di punti vendita dedicati alla consulenza, ma dotati di tecnologie di ultima genera-zione, come gli Atm evoluti, in grado di garantire l’operatività bancaria di base. In termini geografici, vogliamo raffor-zarci nel Triveneto, in Emilia Romagna, Liguria e Sardegna. In queste regioni pre-vediamo sia l’apertura di nuovi uffici, sia l’ingresso di altri manager che vogliano entrare a fare parte della squadra diret-tiva».

CheBanca! ha già una rete pro-prietaria di private banker. Ci sarà anche un’offerta di questo tipo all’interno della rete di con-sulenti?«Nel nostro piano è già in corso un im-

portante sviluppo dell’offerta private. Vorremmo attrarre dal mondo bancario il target dei private banker con l’obiet-tivo di rispondere alle esigenze della clientela più evoluta, generalmente pic-coli e medi imprenditori, facendo leva sulle sinergie interne in ambito corpo-rate investment banking del gruppo Me-diobanca e offrendo loro un’ampia gam-ma di servizi ancillari, come art advisory e consulenza immobiliare, con partner specializzati. Stiamo inoltre lavorando al lancio di un servizio di consulenza evo-luta, da cui ci aspettiamo molte soddisfa-zioni. L’idea è offrire un approccio olisti-co in risposta ai bisogni del cliente non solo di natura strettamente finanziaria».

Le reti di consulenza stanno da tempo cercando di guadagnare efficienza ed efficacia sul fronte delle operation, attraverso la di-

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gitalizzazione dei processi. Qua-le tipo di investimento volete fare in questo campo?«Siamo già una delle migliori piattafor-me in termini di on line collaboration sul gestito e sull’amministrato, cui si aggiungerà in futuro l’automazione dei processi legati al mondo assicurativo. Tutto ciò darà grandi vantaggi ai consu-lenti in termini di efficienza dei processi e consentirà di eliminare altra carta dalla gestione amministrativa. Sempre attra-verso il digitale saremo prossimamente in grado di offrire advisory in campo immobiliare, passaggio generazionale, account aggregation oltre che, grazie al servizio di consulenza evoluta, mettere a disposizione dei clienti reportistiche e analisi efficienti ed efficaci del loro por-tafoglio».

Nel perdurante contesto di tas-si molto bassi, gli operatori si stanno attrezzando per rispon-dere alla domanda di remune-razione da parte della clientela, introducendo importanti novità nell’offerta di prodotto. Come vi state muovendo su questo pia-no?

«Con oltre 80 case partner a disposi-zione dei consulenti, abbiamo già oggi un’architettura aperta in grado di offrire un’ampia varietà di prodotti. Inoltre, con il lancio delle gestioni patrimoniali Me-diobanca, che si aggiungono a quelle di Amundi, abbiamo allargato ancora di più l’offerta. Sulla nostra piattaforma sono disponibili anche i prodotti previden-ziali (abbiamo in tal senso sottoscritto accordi con Anima Sgr e Amundi Sgr) e un’ampia gamma di proposte assicurati-ve grazie alla partnership con Eurovita, Aviva e Cnp Partner».

C’è però un trend emergente sui prodotti illiquidi: che cosa ne pensa?«Sui prodotti illiquidi c’è effettivamente una forte spinta da parte delle reti distri-butive, che ovviamente non nasce dal nul-la, ma cerca di rispondere ai bisogni di una clientela italiana, il cui patrimonio è per il 64% in titoli obbligazionari. Gli investitori sono storicamente abituati a tassi alti e quindi, nell’attuale situazione, reclamano rendimenti. Ci sembra, però, che nello stesso tempo spesso questi prodotti illi-quidi, che puntano su una varietà di asset class (dal private equity al private debt,

dalle infrastrutture al real estate), sulla scorta di un rendimento atteso vicino o sopra il 5% annuo, siano comprati a cuor leggero. Il che non significa ovviamente che è una tipologia di investimento da evi-tare, ma che va soppesata con grande at-tenzione, alla luce del fatto che non sem-pre sono liquidabili in tempi brevi».

Quale tipo di prodotti offrite e chi sono i vostri partner in que-sto ambito? Quale peso massimo dovrebbero avere sul totale del portafoglio finanziario? «Oggi più che in veri e propri illiquidi in senso stretto, crediamo molto nella stra-tegia flessibile e attiva di Cairn Capital, so-cietà del gruppo Mediobanca, che lavora su opportunità multi-asset senza limita-zioni. È un Oicr long-biased esposto verso posizioni di credito di mercati sviluppati. È gestito attivamente su quattro asset class: Abs, corporate, financials e special opportunities. Il fondo, denominato Strata Ucits, copre le esposizioni a cambi e tassi di interesse. Questo prodotto con volati-lità molto controllata può a mio avviso ec-cedere la percentuale massima di prodotti illiquidi in un portafoglio, che varia in base al profilo di rischio di ogni cliente».

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Negli ultimi anni i consulenti fi-nanziari vanno assumendo un ruolo sempre maggiore nel pro-porre ai clienti imprenditori so-luzioni e servizi per le loro azien-de. Voi siete parte di un gruppo che ha da sempre nel corporate e nell’investment banking la sua caratteristica distintiva: quale tipo di servizi offrono i vostri consulenti alle Pmi?«È attiva una collaborazione con la ca-pogruppo, per quanto riguarda i servizi alle imprese, che è di grande interesse per tutte le parti coinvolte, consulenti inclusi. Come è noto Mediobanca ge-stisce un taglio di clientela molto alto, mentre la rete di consulenza CheBanca! si concentra su un target di aziende con fatturato anche minore. Così al nostro interno abbiamo creato un team di spe-cialisti che segue società di queste di-mensioni cui offriamo servizi di lending (compreso il leasing, factoring, i mutui ipotecari, le fideiussioni). Ma anche nel caso di segnalazione di aziende corpora-te a Mediobanca, che richiedono compe-tenze specialistiche di altissimo livello, il consulente rimane coinvolto in tutte le fasi del processo, in quanto titolare del rapporto fiduciario con l’imprendito-re. Sempre attingendo alle competenze all’interno del gruppo (in questo caso Spafid), in nostri professionisti sono in grado di offrire oggi soluzioni nel campo dei family office e dei trust».

Il piano industriale di gruppo cita espressamente il training come una delle aree di investimento: come mai questo accento?«Per una rete nuova come la nostra, creata unendo professionisti provenienti da altre realtà e con diversi background, è di estrema importanza creare cultura aziendale omogenea e unica, oltre che un modus operandi condiviso, in linea con gli standard attesi anche dai nostri clienti. L’anno scorso abbiamo riunito in aula oltre 300 consulenti, per un monte ore equivalente a 60 giornate comples-sive. Al lavoro in aula si aggiunge inol-tre quello on line. Quest’anno il piano di formazione avrà da marzo in avanti un focus particolare sulla consulenza patrimoniale. Seguirà anche un training tecnico sull’offerta di prodotti e servizi

di tutte le società del gruppo Medioban-ca. Possiamo dire che l’80% della cono-scenza e della formazione necessaria sul piano tecnico è prodotta all’interno del gruppo. Fanno eccezione il settore im-mobiliare, dove collaboriamo anche sulla formazione con la Santandrea del grup-po Gabetti e l’arte, campo in cui stiamo siglando alcune partnership importanti».

La vostra rete è stata costruita in gran parte con il recruiting di consulenti già attivi provenien-ti da altre reti. In quale modo li avete attratti?«Oltre che sulle solide fondamenta del modello, abbiamo puntato sulla qualità della struttura di remunerazione, per li-vello, semplicità e trasparenza. Non c’è conflitto di interesse fra i prodotti di casa e quelli di terzi: collocare gli uni o gli altri non fa differenza per il consulen-te. Ciò rende la nostra proposta molto interessante per un professionista che voglia davvero lavorare nell’esclusivo in-teresse del cliente. Il risultato è che già con 10 milioni di euro di portafoglio un consulente può avere introiti davvero in-teressanti». Per le reti di consulenza il mon-do dei bancari è ancora un ba-cino interessante dove pescare nuove professionalità?«Verso il mondo dei bancari la nostra attività di recruiting ha una particolare attenzione. È prevista per questo target un’offerta ad hoc, che ritengo sia un fiore all’occhiello. La nostra proposta prevede una fase di transizione piuttosto lunga (tre anni) in cui l’ex gestore affluent o il private banker ritrova le stesse condi-zioni che aveva come dipendente, sia in termini di remunerazione (vale a dire un fisso), sia sul piano del welfare (pensio-ne, condizioni di mutuo). Un’offerta pen-sata per facilitare l’evoluzione professio-nale di quelle persone che non sono più soddisfatte della loro carriera e vogliono intraprendere un nuovo percorso da li-beri professionisti».

L’ultimo evento di ConsulenTia ha rilanciato il tema del ricambio generazionale all’interno della professione. Ci sono pochi gio-vani (gli under 30 sono meno del

2%) e troppi anziani. “Deve esse-re priorità dell’industria rendere attrattiva questa nostra profes-sione per i giovani”, ha detto il presidente dell’Anasf Maurizio Bufi. Che cosa ne pensa?«È fuori di dubbio che il tema sia di gran-de rilevanza per il futuro dell’industria. In CheBanca! abbiamo istituito percorsi di formazione per incentivare l’accesso alla professione, sostenendone i costi, ma i giovani che entrano nella rete sono ancora pochi, per lo più figli di consulen-ti. Stiamo però lavorando allo sviluppo di azioni strategiche, a cominciare dalla collaborazione con le università, perché abbiamo ben chiara l’importanza della questione per noi come per l’intera in-dustria. All’interno della nostra rete pre-vediamo già programmi di affiancamento di figure senior ai più giovani in favore dei quali è prevista una riassegnazione dei clienti della banca ingaggiati sul di-gitale».

Che cosa si potrebbe fare a livel-lo di industria?«Suggerirei alle principali associazioni di riferimento di aprire un tavolo comu-ne di lavoro per individuare soluzioni, anche di natura giuridico-contrattuale, per spingere le reti a puntare sui giova-ni. Oggi per una struttura di consulenza finanziaria investire in formazione signi-fica dedicare tempo e risorse ai giovani, spesso assegnando loro clienti pre-esi-stenti, senza alcuna certezza di riuscire a fidelizzare queste figure nel lungo pe-riodo. E quindi senza un ritorno nel me-dio-lungo periodo per chi investe. Tutto ciò non può che disincentivare l’inseri-mento dei neoprofessionisti, seppure ta-lentuosi, nelle reti».

Come se ne esce da questa si-tuazione?«Ciò che sicuramente va fatto, se voglia-mo sviluppare questa idea dei consulenti della generazione più recente, è pensare a una forma giuridica e contrattuale dif-ferente: per esempio, all’interno dell’al-bo si potrebbe creare un’apposita sezio-ne dedicata ai giovani e prevedere forme contrattuali che da un lato assicurino lo sviluppo professionale della persona e dall’altro diano garanzie a chi investe su di loro».

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È stato uno degli argomenti più di-scussi nell’ultima edizione di Con-sulenTia2020, la tre giorni organiz-zata dall’Anasf che si è conclusa a Roma lo scorso 6 febbraio. Ed è un tema che i consulenti trattano ogni giorno con i clienti, e dunque una preoccupazione costante di tutte le reti: come rispondere al contesto dei tassi zero? Quali soluzioni dare a una clientela abituata ad avere flus-si relativamente significativi di red-dito da un portafoglio prevalente-mente investito in obbligazioni? Le proposte sono diverse e articolate e partono sempre da un’attenta pro-filazione dell’investitore e delle sue esigenze. Certificate e prodotti Esg sembrano le strategie più utilizzate

«Uno dei rischi più grandi, in un contesto di tassi zero, è non vedere valorizzato il pro-prio risparmio. Molti investitori, infatti, non hanno ancora maturato la consapevolezza che in questo scenario di mercato le solu-zioni di breve non hanno più i rendimenti di una volta», afferma Edoardo Fontana Rava, direttore sviluppo prodotti e modello di business di Banca Mediolanum. «Per combattere i tassi a zero, per noi non esiste un prodotto o una strategia valida per tutti i clienti. Per vincere la sfida bisogna innanzitut-to portare le persone a individuare le proprie esigenze e i progetti di vita della famiglia e successivamente costruire insieme una piani-ficazione finanziaria che sfrutti il tempo con un orizzonte di medio-lungo periodo, attra-verso sistemi di ingresso graduali e automati-ci sui mercati, come il dollar-cost average, che puntano a fare rendere le potenzialità della volatilità e a ridurre l’emotività». Infatti, il ruo-lo di chi fa consulenza, continua Fontana Rava, «è accompagnare i clienti a realizzare i propri obiettivi di vita che quasi sempre sono proiet-tati nel medio-lungo termine».

PRIMO, DIALOGAREIl dialogo attivo con l’investitore è la prima risposta messa in campo da Fideuram-Intesa Sanpaolo Private Banking, sottolinea Anna Bagella, responsabile sviluppo offerta della banca private del gruppo Intesa Sanpa-olo. «Con le sfide e le opportunità attuali assume un ruolo fondamentale una costante attività di dialogo con i clienti per ripensare alle abitudini di investimento spesso legate al mondo dei titoli di stato. In questo percor-

ADVISOR A CONFRONTO A CONSULENTIA20

CONSULENTI RETI

A caccia di rendimenti

di Lorenzo Dilena

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prodotti, sia attivi, sia passivi, possiamo co-struire un portafoglio coerente, che dovrebbe mostrare forti caratteristiche di diversifica-zione e decorrelazione. A nostro avviso, infatti, oggi la vera sfida per un consulente finanziario è riuscire a proporre soluzioni che diversifica-no in maniera effettiva», afferma Nicola Vi-scanti, head of advisors di Widiba. In ogni modo, per soddisfare, le esigenze di una fascia

EDOARDO FONTANA RAVAdirettore sviluppo prodottiBanca Mediolanum

«Per combattere i tassi zero, per noi non esiste un prodotto o una strategia valida per tutti gli investitori. Per vincere la sfida bisogna innanzitutto portare le persone a individuare le proprie esigenze e i progetti di vita della famiglia»EDOARDO FONTANA RAVA

dimarino, responsabile investment center di Bnl-Bnp Paribas Life Banker. «Alla base della nostra offerta c’è una vera e pro-pria piattaforma di consulenza che interessa anche l’aspetto del wrapper assicurativo. Ciò ci consente di modulare all’interno del ser-vizio scelto con il cliente il grado di rischio, l’indice di diversificazione, la partecipazione o meno alla volatilità del mercato». In una fase di mercato in cui i rendimenti sono prossimi allo zero se non negativi, «i certificate non solo possono essere un valido strumento per ottenere flussi periodici, ma diventano una vera e propria asset class: aumentano il livel-lo di diversificazione dei portafogli dei clienti, perché consentono di prendere esposizione a una grande varietà di sottostanti, dalle azio-ni agli indici, dalle materie prime alle valute, e cogliere le diverse opportunità di mercato e di soluzioni». In questo campo i life banker mettono utilizzano le competenze di Bnp Pa-ribas Global Market, che nel corso del 2019 è stata nominata agli Srp awards Best house for equity, Best house for autocall e Best insti-tutional house. Inoltre ai Risk awards è stata nominata Derivatives house of the year. Per quanto riguarda gli Italian certificate awards 2019 tra gli altri premi si è classificata prima per il certificato dell’anno e al secondo posto come emittente.

SECONDO, DIVERSIFICARE«Il nostro punto di partenza è sempre rea-lizzare un’approfondita analisi del profilo di rischio e degli obiettivi di colui che ci affida il proprio patrimonio. Dopodiché attraverso la piattaforma, che vanta una moltitudine di

so educativo è importate tornare a parlare di pianificazione e del ruolo del tempo come alleato per creare valore: tempo come me-todo per entrare gradualmente sui mercati, oppure per ottenere i premi di risultato su specifici mercati non quotati quindi per loro natura meno liquidi; tempo per investire su listini azionari con il paracadute di una forma di protezione. Tra le più recenti novità, che ben si adattano alla fase attuale, citerei Fideu-ram Alternative Investments, la piattaforma dedicata ai mercati privati, Fogli Fideuram per guardare a temi di investimento con la guida e il monitoraggio di specialisti di settore ap-procciabili in logica progressiva oppure target date, e la piattaforma dei certificate equity protection».

WRAPPER«Il mercato opera in un contesto estrema-mente complesso e il cliente chiede preva-lentemente protezione e rendimento. Come Bnl-Bnp Paribas Life Banker notiamo un sem-pre maggiore interesse per i modelli consu-lenziali e per i wrapper, sia di carattere assi-curativo sia con delega di gestione, come le gestioni patrimoniali», risponde Luca Ian-

ANNA BAGELLAresponsabile sviluppo offertaFideuram–Intesa Sanpaolo Private Banking

«Assume un ruolo fondamentale una costante attività di dialogo con i clienti per ripensare alle abitudini di investimento spesso legate al mondo dei titoli di stato»ANNA BAGELLA

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affluent e con un’età media alta, che mostra soprattutto esigenze di preservare il capita-le con prodotti assicurativi o comunque a volatilità molto contenuta, Widiba ha creato strumenti ad hoc, come ad esempio i certi-ficati di deposito, con scadenze che vanno dai tre ai 24 mesi e che pagano rendimenti nell’ordine dell’1-1,5%. «Questa alternativa di investimento rappresenta per noi anche un impulso alla raccolta bancaria con cui pote-re alimentare gli impieghi. Visto poi il profilo in termini di età, con molti clienti che supe-rano 70 e 80 anni, sicuramente l’esigenza di affrontare i temi legati alla successione appare molto sentita e al di sopra di una determinata fascia mettiamo a disposizione, oltre al con-sulente, un avvocato e un notaio di fiducia».

STIMOLO FISCALESecondo Stefano Lenti, responsabile area consulenti finanziari e wealth managers di IwBank Private Investments, «sa-rebbe auspicabile, come recentemente già suggerito, andare verso una normalizzazione fiscale che equipari il conto corrente al de-

posito titoli, applicando quindi l’imposta di bollo dello 0,20% anche su quest’ultimo. Così si incentiverebbero i clienti a investire tutta la liquidità, che ammonta a circa 1.700 miliardi, con vantaggi in primis per il cliente finale, che potrebbe avere nel medio periodo migliori rendimenti, per l’economia finanziaria e reale, che riceverebbe un importantissimo afflusso di capitali, e per gli intermediari del settore».

I TREND IN CORSOSecondo Tommaso Gragnolati, head of investment advisory di Deutsche Bank in Italia, «tre sono le principali evoluzioni dell’offerta di prodotto cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Primo, l’avvento delle stra-tegie multi-asset, con l’ambizione di offrire soluzioni adatte a ogni contesto di mercato. Secondo, la diffusione dei target funds, che provano a offrire la struttura a scadenza di un’obbligazione con la diversificazione di un fondo. Terzo, il crescente interesse per i cer-tificati di investimento, che alterano il pay-out dell’esposizione azionaria, spesso offrendo parziale protezione dalle oscillazioni dei mer-cati. I primi due trend fanno inoltre parte di una più ampia tendenza di crescita del rispar-mio gestito, che permette di costruire porta-fogli più diversificati e dunque meno rischiosi, oltre che delegare le scelte di investimento specifiche a professionisti esperti».

ESG DIKTATIn questo contesto, le tematiche Esg sono or-mai viralizzate all’interno dell’industria dell’as-set management, tanto che c’è chi ritiene che nel tempo diventeranno sempre meno distintive nell’offerta di consulenza: quasi tut-ti i prodotti avranno etichetta Esg. «Stiamo effettivamente assistendo a una veloce dif-fusione dell’approccio Esg e a una più timida richiesta da parte dei clienti, con l’eccezione, al momento, dei soli clienti istituzionali», rico-nosce Bagella di Fideuram-Ispb. «La dinamica va accompagnata, sia dal lato dell’offerta, sia da quello della distribuzione, dall’adozione in-nanzitutto di un linguaggio comune e con me-triche di misurazione per rendere possibile ai consulenti e ai clienti un percorso di com-prensione del significato degli investimenti sostenibili e del valore finanziario e sociale di questo tipo di risparmio». È importante, aggiunge la manager, «anche la possibilità di disporre di un modello di analisi per guidare una corretta selezione nell’ambito delle solu-zioni messe a disposizione ed essere coerenti nella divulgazione del percorso educativo».

NICOLA VISCANTI head of advisorsWidiba

«Attraverso la nostra piattaforma, che vanta una moltitudine di prodotti attivi e passivi, possiamo costruire un portafoglio coerente, con forti caratteristiche di diversificazione e decorrelazione» NICOLA VISCANTI

Per Thomas Candolo, responsabile dell’ufficio studi di Copernico Sim, «gli investitori e i gestori sono consapevoli che i cambiamenti climatici avranno una riper-cussione sull’economia reale e conseguen-temente sul mercato finanziario. L’universo del gestito, se vorrà un futuro remunerativo, dovrà considerare quelle attività imprendito-riali che porranno come primo obiettivo, per la crescita del loro core business, una politica aziendale improntata sull’ecosostenibilità dei propri processi e sul rispetto dei fattori etici e sociali».

GIOVANI E SOSTENIBILITÀ«Se i colossi mondiali del gestito hanno espli-citamente confermato che non investiranno in società nelle quali non vi è un piano ben de-finito e trasparente sulla sostenibilità del pro-prio business, ne deduciamo che quella sarà la linea futura», continua Candolo. «Strategie sostenibili di business e capitali investiti in so-cietà della green economy è ciò che chiedono al mercato i millennial, generazioni molto più accorte allo sviluppo sostenibile: concetto che spazia dall’alimentare ai trasporti e alle infrastrutture».Secondo Fontana Rava (Banca Mediola-num), «l’Esg è molto più complesso di ciò che può apparire. Non è solo una moda

LUCA IANDIMARINO responsabile investment center Bnl-Bnp Paribas Life Banker

«Il mercato opera in un contesto estremamente complesso e il cliente chiede prevalentemente protezione e rendimento. Come Bnl-Bnp Paribas Life Banker notiamo un sempre maggiore interesse per i modelli consulenziali e per i wrapper, sia di carattere assicurativo, sia con delega di gestione, come le gestioni patrimoniali»LUCA IANDIMARINO

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del momento, ma un tema strutturale ed essenziale nell’ambito degli investimenti. La complessità sta nel fatto che oggi esiste un’estrema varietà etimologica e di approc-ci alla tematica, con pesi e valenze molto diverse fra loro. Oggi siamo ancora in una fase in cui i prodotti vengono distinti in so-stenibili e non, ma credo che gradualmen-te dovremmo arrivare ad applicare questi

criteri a tutti gli strumenti indistintamente, abbandonando la logica di pura classifica-zione di sostenibilità».«Il dibattito sulla sostenibilità sta sicuramente portando a una notevole crescita dell’offer-ta di prodotti finanziari Esg, ma non è detto che questa diventi una costante in futuro», avverte Generoso Perrotta, responsabile advisory di Banca Generali. «Per questo motivo, abbiamo voluto fare un passo oltre la tradizionale proposta di prodotti Esg per elaborare una strategia innovativa che avvicini i clienti alla sostenibilità sviluppando portafogli di investimento profilati sui 17 Sdgs dell’Agen-da Onu 2030 che maggiormente stanno loro a cuore. A oggi, la nostra offerta vanta più di 230 comparti dedicati seguendo un trend che è destinato a salire nei prossimi mesi per ve-nire incontro all’ambizioso obiettivo di avere oltre il 10% di masse sostenibili entro il 2021».

CERTIFICATE ALLA RIBALTA...Da tempo sono i certificate una delle risposte dell’industria dell’asset management e della consulenza alla fame di rendimenti della clien-tela. «Il mercato dei certificati è sicuramente tornato alla ribalta. Alcune realtà lo stanno approcciando come proxy dei titoli obbliga-zionari con distribuzione periodica di cedole e restituzione condizionata del capitale. Del-le varie forme di certificati che è possibile strutturare, abbiamo scelto di guardare a una forma di investimento diversa, che consenta un’esposizione ai mercati azionari con una protezione del 100% del capitale a scadenza», sostiene Bagella (Fideuram-Ispb). «Abbiamo creato una routine di emissioni periodiche

con rotazione degli indici sottostanti per offri-re uno strumento più tattico utile ad aumen-tare la componente azionaria del portafoglio senza intervenire sull’allocazione strategica e contenendo l’esposizione al rischio. Anche in questo caso parliamo di possibile fonte di va-lore legata al tempo con un patto chiaro con il cliente». …MA SERVE PRUDENZA«Risulta necessario considerare nella valu-tazione dell’investimento la rischiosità dello strumento e il suo costo di emissione. Si trat-ta comunque di un’asset finanziario derivato e come tale non adatto a tutta la clientela», avverte Candolo (Copernico Sim). «Vi sono certificate, nello specifico i cash collect, che offrono, al verificarsi di determinate condizio-ni (stabilite dall’emittente in fase di colloca-mento), uno stacco cedolare periodico e alla scadenza una copertura parziale del capitale investito. Si tratta di prodotti che possono fornire buoni rendimenti, se selezionati con cura, ed essere un valido strumento di diver-sificazione del portafoglio, ma vorrei ribadire il concetto che non sono prodotti adatti a tutti».Secondo Gragnolati (Deutsche Bank), «i cer-tificati di investimento spesso incontrano gli

TOMMASO GRAGNOLATIhead of investment advisory Deutsche Bank Italia

«I certificate incontrano gli interessi dei clienti perché nascono per ottenere da varie esposizioni sottostanti strutture di pay-out particolarmente affini alle loro esigenze. Ma è uno strumento che va diversificato»TOMMASO GRAGNOLATI

THOMAS CANDOLOresponsabile dell’ufficio studiCopernico Sim

«L’universo del gestito, se vorrà un futuro remunerativo, dovrà considerare le attività imprenditoriali che hanno come primo obiettivo una politica aziendale improntata sull’ecosostenibilità»THOMAS CANDOLO

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ConsulenTia20, i numeri di un successo Oltre 3.100 partecipanti, 50 partner, tra Sgr e reti, tre media partner e 13 media supporter, oltre 50 relatori. È il bilancio della settima edizione di ConsulenTia20, il più grande evento per i consulenti finanziari, organizzato dall’Anasf. «I numeri ci consegnano un risultato di notevole successo in termini di partecipanti, superiori al record del 2019, ma anche per la qualità dei contenuti», dice Germana Martano, direttore generale dell’Anasf. Di grande interesse le interviste con Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici Cisl, ed Enrico Giovannini, economista e portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. «Bentivogli ha offerto un contributo interessante sulla tecnologia al servizio dell’uomo, che per i consulenti si declina come un sì all’automazione, se intesa come robo for advice e non come robo advice. Giovannini ci ha dato invece un’ulteriore spinta nel cammino di avvicinamento ai millenial, che saranno i risparmiatori di domani», aggiunge Martano. Apprezzamento anche per l’intervento del ministro dell’economia Roberto Gualtieri, che «ha richiamato il ruolo sociale del consulente finanziario». Nel convegno finale ha tenuto banco il tema del ricambio generazionale all’interno della professione, cavallo di battaglia dell’Anasf da anni. «Noi cerchiamo di dare un contributo con borse di studio, i career day negli atenei e, dall’anno scorso, con il sostegno all’Università di Teramo per il corso di laurea in consulenza finanziaria», racconta Martano. «Ma la vera risposta deve arrivare dall’industria, seguendo l’esempio di altri settori: si pensi all’agricoltura, che è riuscita ad attirare nativi digitali che portano innovazione tecnologica».Vent’anni fa era previsto un percorso di accompagnamento professionale per le nuove leve, anche economico. «Trattandosi di una professione basata su compensi provvigionali è facilmente comprensibile la difficoltà di un giovane consulente finanziario che inizia a costruirsi un portafoglio: la cartina tornasole è la quota di giovani che dopo i primi anni esce dal settore. Si tratta di una situazione economicamente insostenibile ed è opportuno prevedere per loro investimenti di tipo economico che sul lungo periodo premieranno le reti stesse. Va anche dato atto che qualcosa, nell’industria della consulenza, ha cominciato a cambiare: diverse reti hanno lanciato iniziative rivolte proprio ai giovani».

interessi dei clienti perché nascono specifi-catamente per ottenere da varie esposizioni sottostanti strutture di pay-out particolar-mente affini alle loro esigenze. Ad esempio, l’implementazione di protezioni al ribasso piuttosto che flussi periodi sono tra le ca-

ratteristiche più apprezzate. È comunque im-portante sottolineare che il rischio di questi strumenti va sempre opportunamente diver-sificato in un contesto di portafoglio, limitan-do le concentrazioni su singoli strumenti o sottostanti».

MERCATI PRIVATI Sempre nell’ottica della ricerca di rendimento, a ConsulenTia20 si è parlato anche di investi-menti alternativi, e in particolare di quelli sui mercati privati, ovvero la galassia di tipologie non quotate, che vanno dal private equity al private debt, passando per infrastrutture e im-mobiliare. «L’offerta di IwBank è in costante evoluzione e per questo motivo siamo sem-pre aperti ad accogliere le tendenze del mer-cato, a patto che siano di reale interesse per i nostri clienti», nota Lenti. «Questo tipo di valutazioni viene fatto con cadenza costante, tramite l’ascolto continuo della nostra rete, la prima nella catena di valore della banca a toccare con mano le esigenze degli investitori Nello specifico, i mercati privati sono stru-menti interessanti, ma che devono essere ma-neggiati con cura dal consulente». Va detto che al momento si tratta di segmenti di mercato ancora poco esplorati dalla clien-tela italiana, anche perché sono asset non di-rettamente acquistabili dall’investitore privato. «Crediamo che la scelta migliore sia prendere esposizione attraverso gestori terzi specializ-zati», conclude Perrotta (Banca Generali). «I tempi sono maturi per avvicinare i clienti ai

GENEROSO PERROTTAresponsabile advisoryBanca Generali

«I tempi sono maturi per avvicinare i clienti ai mercati privati, tenendo sempre conto del profilo di rischio e guardando soprattutto alla sfera degli investimenti legati all’economia reale»GENEROSO PERROTTA

STEFANO LENTIresponsabile consulenti finanziariIwBank Private Investments

«Sarebbe auspicabile andare verso una normalizzazione fiscale che equipari conto corrente e deposito titoli, con la medesima imposta di bollo allo 0,20%, così da incentivare i clienti a investire la liquidità».STEFANO LENTI

mercati privati, tenendo sempre conto del profilo di rischio e guardando soprattutto alla sfera degli investimenti legati all’economia re-ale, come il private debt e le soluzioni legate al finanziamento alle imprese».

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BANCA GENERALI

Un hub di innovazione

Inizio d’anno importante per Banca Ge-nerali, che nelle prime settimane dell’anno s’è presentata al mercato con un bilancio re-cord per risultati e crescita (masse a ridosso di 70 miliardi e utili in aumento di oltre il 50% nel 2019) e con una serie di nuove iniziative nei prodotti nella sfera del private. Si è infatti alzato il sipario sul nuovo “Training & innova-tion hub” della banca del Leone che ha voluto creare un nuovo spazio di social working di-gitale in cui confrontarsi e costruire soluzioni definite all’avanguardia per la consulenza pri-vate. Uno spazio di circa 1.000 metri quadrati in centro a Milano, a fianco alla nuova sede dei private banker nello storico palazzo del gruppo Generali di Corso Italia, che si confi-gura come area per la formazione dei banker e al tempo stesso laboratorio di idee con i partner nell’asset manager.L’hub sarà anche sede per la sperimentazione dei nuovi strumenti digitali nel dialogo con gli operatori tech per la crescita del modello di open banking digitale che contraddistingue la banca triestina nel private. «L’evoluzione del fintech e le dinamiche dei mercati a tassi zero stanno accelerando la rivoluzione dell’offerta nel mondo del risparmio e del private ban-king», spiega l’amministratore delegato Gian Maria Mossa. «Per questo motivo puntia-mo a sviluppare progetti e soluzioni innovati-ve nell’offerta a 360°: nella protezione patri-moniale come nella pianificazione finanziaria e nei servizi di wealth management». Obiet-tivo dell’iniziativa: fare convergere le compe-tenze e stimolare il confronto tra le parti per cercare di migliorare continuamente la cura della clientela. «Crediamo che dall’esperien-za dei nostri banker e dalle best practice di start up e modelli tecnologici all’avanguardia possa scaturire innovazione portando valore

aggiunto alla relazione di fiducia consulen-te-cliente», prosegue Mossa. Nella stagione dei tassi zero questa relazione include anche l’apporto di nuovi strumenti finanziari, come gli investimenti illiquidi (pri-vate debt, private equity, real estate), che avvicinano il risparmio all’economia reale. In occasione del lancio dell’Innovation hub sono stati anticipati i contorni del nuovo progetto Bg4Real focalizzato sugli impieghi nell’econo-mia reale, che prenderà corpo in primavera.

NOVITÀ DAL LUSSEMBURGOAll’interno di una strategia che vede Banca Generali puntare su innovazione e crescita sostenibile e che ha già comportato una revi-sione al ribasso del pricing di Lux Im in chiave proprio di maggiore competitività e traspa-renza, alcune novità interessanti arrivano proprio dalla sicav lussemburghese. Da inizio marzo si aggiungono ai comparti in offerta due nuove gestioni fortemente distintive. La prima vede in campo un partner illustre nel mondo del private equity e negli investimenti alternativi come Ambienta di Nino Tronchetti Provera, che ha saputo creare negli anni una delle realtà più stimate nell’ambito della so-

stenibilità ambientale. La società si aggiunge agli operatori Esg nella gamma della sicav e viene chiamata con una partnership industria-le esclusiva per sviluppare una strategia nel nuovo fondo Alpha Green, che ha mandato globale, ma focus sull’Europa, in particolare su settori legati all’agri-nutrizionale, all’elet-trificazione, alla chimica verde, allo smart bu-ilding e ai trasporti sostenibili. Tecnicamente, una gestione absolute return con presenza di posizioni lunghe su aziende ad alto potenziale Esg e corte su società considerate a rischio obsolescenza dovuto ai trend Sri La seconda novità di Lux Im di questi giorni riguarda una strategia nel credito europeo gestita in delega da Blackrock, che si caratte-rizza per la selezione di obbligazioni di elevata qualità e un rigoroso controllo del rischio. An-che in presenza di distorsioni nel mercato dei bond per l’eccesso di liquidità e avversione al rischio la gestione si contraddistingue per l’attenta diversificazione nell’allocazione geo-grafica e per la ricerca di efficienza nelle varie scadenze e struttura del capitale delle società. Il Credit defensive strategies punta così a un ritorno del 4% annuo, mantenendo una volati-lità molto contenuta tra il 2% e il 4%.

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66 FONDI&SICAV Marzo 2020

OROLOGI

LIFESTYLE

Dimmi quale segnatempo usie ti dirò chi sei

di Massimo Avella, maestro orologiaio

In questo articolo cercherò di trasmettere il mio tempo dedicato agli orologi attraverso le persone. Nel 1979 iniziai il mio percorso formativo presso la scuola di orologeria Leonardo da Vinci di Firenze. Da quel pe-riodo in poi prese il via un cammino di continua esperienza nel settore. Simpatica è stata la percezione di come la clientela si è posta verso lo strumento di misura più utilizzato da sempre. La passione e la professione mi hanno permesso di consta-tare che le scelte dei consumatori verso una marca, oltre alla tradizione e al presti-gio, sono state chiaramente dettate dalla moda e dalla pubblicità, che condiziona i gusti. È storia recente, da una ricerca da me intrapresa, che alcuni orologi sono in grado anche di rilevare aspetti della no-stra personalità. Tutti noi facciamo scelte che sono dettate da più fattori e molte solo istintive e magari nascondono disa-gi che possono avere risposte in base alla modalità attivata. Attraverso test effettuati da psicologi esperti, si riscontra il nostro grado di stress, rilevando criteri curiosi in relazione agli orologi desiderati.

CINQUE TIPOLOGIESemplificherò in modo sottile che il primo istinto nella scelta fatta dai consumatori sta nelle forme dell’oggetto con un ordine di classificazione che suddividerò in cinque di-verse tipologie di casse: orologi classici con casse rotonde, orologi digitali, orologi con casse rettangolari, orologi da tasca, orologi fashion (forme più gioiello). Esemplificando il connubio, si può pensare che nella scelta di un segnatempo dai criteri classici, con forma rotonda, l’ipotetico cliente ha l’at-teggiamento di una persona che non è

sopraffatta dallo stress, quindi molto equi-librata.Per un orologio digitale, l’associazione è a una persona un po’ più propensa a una lieve for-ma di ansia, ma capace di ripristinare la calma velocemente. Inclini agli orologi rettangolari sono coloro che sono capaci di riconoscere le condizioni che alterano lo stress, di conse-guenza propensi a prevenirlo, mentre gli oro-logi da tasca riscontrano una situazione di tensione quasi permanente: paura del tempo, e l’idea che è meglio arrivare sempre molto prima (emblematica l’associazione di un se-gnatempo figlio di epoche passate).L’orologio fashion con forme fantasiose, originali, si può associare a un cliente che

fugge da situazioni di stress, che usa tale comportamento per evitarlo in qualsiasi modo e per non riassaporare esperienze negative già vissute.

RISCONTRO NEL QUOTIDIANOChiaro è che le associazioni da me descritte, rapporto uomo/orologio, sono rilevate da documentazioni sotto forma di test e riscon-trano molte analogie nel mio quotidiano e nella mia esistenza di professionista del set-tore orologiero e un piacevole sorriso. Ma non hanno nessuna presunzione tangibile.Certo è che l’orologio ha da sempre la forza di emozionare e, perché no, di essere una ri-sposta al tempo che ci sentiamo dentro.

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