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Cieli Perché “Cieli” Non possiamo restare in silenzio, perché sappiamo che questa guerra sta uccidendo migliaia di esseri umani. Anche per questo vogliamo fare insieme queste pagine Quando il popolo di Dio chiede la pace Il documento dei vescovi del Congo condanna la guerra come mezzo di risoluzione di conflitti, denuncia tutti i crimini commessi su pacifici cittadini, condanna il reclutamento di bambini finalizzato ad implicarli forzatamente nelle ostilità. Ma non sono soltanto i vescovi: le comunità cristiane, le associazioni e la società civile chiedono la pace Quanti milioni di morti farà questa guerra? Come siamo arrivati a questa nuova guerra in Congo? Un'analisi storica che ci aiuta a capire quello che sta accadendo oggi in Congo Cieli - numero 1 - novembre 2008 Congo dimenticato... 1200 morti al giorno

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Congo dimenticato...1200 morti al giorno

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Perché “Cieli”Non possiamo restare in silenzio, perché sappiamo che questa guerra sta uccidendo migliaia di esseri umani. Anche per questo vogliamo fare insieme queste pagine

Quando il popolo di Dio chiede la paceIl documento dei vescovi del Congo condanna la guerra come mezzo di risoluzione di conflitti, denuncia tutti i crimini commessi su pacifici cittadini, condanna il reclutamento di bambini finalizzato ad implicarli forzatamente nelle ostilità.

Ma non sono soltanto i vescovi: le comunità cristiane, le associazioni e la società civile chiedono la pace

Quanti milioni di morti farà questa guerra?Come siamo arrivati a questa nuova guerra in Congo? Un'analisi storica che ci aiuta a capire quello che sta accadendo oggi in Congo

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Congo dimenticato...

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Congo/ Questa guerra ruba le loro viteCongo/ Questa guerra ruba le loro vite

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Congo/ sfruttamento

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Documenti/ Il documento dei vescovi del CongoDocumenti/ Il documento dei vescovi del Congo

Non c'è pacen senza giustizia

La Conferenza Episcopale Nazionale del Congo è profondamente preoccupata dalla ri-presa delle ostilità nell'Est e nel Nord della RD Congo, ostilità che diffondono ancora una volta desolazione e lutto nel paese, con conse-guenze devastanti.Ancora migliaia di morti, popolazioni con-dannate all'esodo in condizioni disumane, ra-pimenti di bambini destinati all'arruolamento forzato in bande armate, e così via: un gravis-simo dramma umanitario davanti ai nostri oc-chi, al quale nessuno può restare indifferente.Perché mai questa ripresa delle ostilità, dal momento che si erano già raggiunti progressi significativi con la firma del Patto di Goma?Fino a quando la nostra terra dovrà ancora ba-gnarsi del sangue dei suoi figli e figlie?La CENCO condanna con veemenza l'ignobi-le rappresentazione della la guerra come mez-zo di risoluzione di conflitti o appagamento di ambizioni inconfessate; denuncia tutti i crimi-ni commessi su pacifici cittadini, condannan-do inoltre, in modo perentorio, il reclutamento di bambini finalizzato ad implicarli forzata-mente nelle ostilità; e disapprova energica-mente l'utilizzo della popolazione civile come ostaggio e scudo umano.La CENCO teme che queste guerre ricorrenti nelle regioni dell'Est e del Nord- Est divenga-no un vero e proprio paravento di copertura del saccheggio delle risorse naturali: si com-batte infatti proprio laddove si sfruttano ric-chezze che si vorrebbero ancora sfruttare ille-galmente.La GENCO teme inoltre che queste guerre concorrano, abbastanza chiaramente, al pro-

getto di balcanizzazione del paese attraverso la realizzazione degli "Stati Nani" :la CENGO non ripeterà mai abbastanza che l'integrità ter-ritoriale, l'intangibilità delle frontiere e l'unità nazionale della RD CONGO non sono assolu-tamente negoziabili.Pertanto la CENGO segnala alle istituzioni competenti del paese la gravità di queste guerre e le relative conseguenze sull'unità e sul futuro della nazione.Impegna il nuovo Primo Ministro e il suo fu-turo Governo a trattare impellentemente la questione; esortandoli a considerare come in-discutibile priorità l'obiettivo urgente di rista-bilire totalmente la pace nel paese; e di salva-guardarne l'unità mediante la costituzione di un esercito repubblicano atto a proteggere le frontiere e la popolazione.Essi dovranno lavorare intensamente al ripri-stino dell'autorità dello Stato, al rispetto delle Istituzioni democraticamente costituite e del Patto di Goma.Il popolo giudicherà i suoi governanti in rela-zione alla loro capacità di rispondere in ma-niera adeguata e definitiva a queste grandi sfi-de.Ringraziando la Comunità internazionale per la sua condanna pressoché unanime dei com-battimenti, la CENGO la invita ad adottare tutte le misure effettive ed efficaci, - di cui ampiamente dispone, - per obbligare le bande armate al rispetto degli impegni sottoscritti: in tal modo verrà scoraggiata ogni velleità di at-tentare all'integrità del nostro territorio nazio-nale.Tutte le grandi potenze, le multinazionali, i

Grandi Laghi, insomma tutti ci guadagneran-no, con un Congo in pace piuttosto che un Congo in guerra.La CENGO, costantemente impegnata nella promozione della pace, è però convinta che non ci possa essere pace senza giustizia: l'im-punità incoraggia sempre nuove tentazioni in-surrezionali. La pace, infatti non è solo assen-za di guerra e neppure equilibrio stabile fra forze avversarie, ma si fonda su una corretta concezione della persona umana e richiede la costruzione di un ordine sociale secondo giu-stizia e carità: è questo il senso della pace che il Cristo ha lasciato ai suoi discepoli :"Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Jn 14,7).Questo è anche il senso del messaggio di papa Benedetto XVI in favore del Nord Kivu, nel-l'Angelus di domenica 12 ottobre 2008.La Conferenza Nazionale Episcopale del Congo auspica che il suo appello alla pace sia accolto da tutti, affinché sia possibile un'esi-stenza pacifica per l'intera popolazione della RD Congo.Il popolo di Dio, gli uomini di buona volontà, le Chiese- sorelle e le organizzazioni umanita-rie, tutti sono invitati a mostrarsi più solidali e compassionevoli verso le sofferenze dei nostri fratelli e sorelle vittime di queste guerre.Possa Dio ispirare i pensieri e le azioni di tutti per la vittoria della pace e l'impegno nell'ope-ra di ricostruzione di un Congo di giustizia e fratellanza.

(traduzione dal francese di Pina Campo)

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Ancora migliaia di morti, popolazioni condannate all'esodo in condizioni disumane, rapimenti di bambini destinati all'arruolamento forzato in bande armate, e così via: un gravissimo dramma umanitario davanti ai nostri occhi al quale nessuno può restare indifferente. Ma noi vogliamoun Congo in pace piuttosto che un Congo in guerra

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La Storia si ripete

Il 23 giugno 1960 Patrice Emery Lu-mumba divenne il primo Primo Mini-stro del Congo indipendente.

Al discorso inaugurale della sua carica alla presenza delle più alte autorità co-loniali belghe, Lumumba dichiarava la sua intenzione di nazionalizzare le ri-sorse del paese a vantaggio della popo-lazione, dando il ben servito agli op-pressori belgi.

"Il movimento ha come scopo fonda-mentale la liberazione del popolo con-golese dal regime coloniale e l'accesso all'indipendenza . Vogliamo dire addio al vecchio regime, a questo regime di soggezione che priva i nostri connazio-nali i diritti riconosciuti a tutti gli esseri umani e ai liberi cittadini . L'Africa è impegnata in una lotta senza quartiere per la propria liberazione. I nostri com-patrioti devono unirsi a noi per servire più efficacemente la causa nazionale e affermare la volontà di un popolo deter-minato a liberarsi dalle catene del pater-nalismo e del colonialismo"."Noi abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti, le sferzate, e dovevamo soffrire da mattina a sera perché eravamo negri.

Chi dimenticherà le celle dove furono gettati quanti non volevano sottometter-si a un regime di ingiustizia, di sfrutta-mento e di oppressione?".Questo discorso inaugurale, rimasto fa-moso per incisività e irruenza, turbò gli ex colonizzatori che giudicarono troppo pericoloso per i propri interessi, consolidati nel tempo.Fu così che decisero di eliminare Lu-mumba. In dicembre il colonnello Mobutu, succeduto a Kasa-Vubu, fece arrestare Lumumba mentre passava il fiume Sankuru, e lo trasferì al campo militare di Thysville.Il 17 gennaio 1961, Lumumba e due suoi fedeli (Mpolo e Okito) furono tra-sferiti in aereo alla presenza dei loro grandi nemici a Elisabethville (l'attuale Lubumbashi), in Katanga.Furono giustiziati la sera stessa alla pre-senza di Tshombe, Munongo, Kimba e di altri dirigenti del Katanga secessioni-sta. L'indomani i resti delle vittime fu-rono fatti sparire nell'acido. Molti dei suoi sostenitori furono giustiziati nei giorni seguenti, pare con la partecipa-zione di mercenari belgi.Prima di morire Lumumba così scriveva

la sua ultima lettera a sua moglie:«Mia cara compagna, ti scrivo queste parole senza sapere quando ti arriveran-no, e se sarò ancora in vita quando le leggerai. Morto, vivo, libero o in prigio-ne per ordine dei colonialisti, non è la mia persona che conta, ma il Congo, il nostro povero popolo. Non siamo soli. L'Africa, l'Asia e i popoli liberi e libera-ti di tutti gli angoli del mondo si trove-ranno sempre a fianco dei milioni di congolesi che non cesseranno la lotta se non il giorno in cui non ci saranno più colonizzatori né mercenari nel nostro paese». «Ai miei figli - l'autore della lettera ne aveva tre - che lascio per non vederli forse mai più, voglio si dica che l'avvenire del Congo è bello. Le brutali-tà, le sevizie, le torture non mi hanno mai indotto a chiedere la grazia, perché preferisco morire a testa alta, con la fede incrollabile e la fiducia profonda nel destino del nostro paese, piuttosto che vivere nella sottomissione e nel di-sprezzo dei princìpi che mi sono sacri. Non piangermi, compagna mia. Io so che il mio paese, che tanto soffre, saprà difendere la sua indipendenza e la sua libertà».

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Il presidente Lumumba, pericoloso per le multinazionali, è stato ucciso il 17 gennaio 1961. Trentasei anni dopo Laurent Kabila apre i rapporti con la Cina e rompe con l'occidente e gli alleati rwandesi, la prima guerra mondiale comincia anche in Africa. Dopo 5 anni, ci sono stati 4 milioni di morti. Poi il 16 gennaio 2001 con un misterioso completto Laurent Kabila viene ammazzato. E il figlio Joseph Kabila, il 27 novembre 2006 diventa presidente del Congo, mentre ritorna un clima di fiducia nella popolazione. Ma l'illusione di un futuro cambiamento di rotta dura poco

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.Trentasei anni dopo, nel 1997, Laurent Kabila, dopo avere spodestato Mobutu, con l'aiuto dell'esercito ruandese, opera una svolta nazionalistica aprendo rap-porti commerciali e diplomatici con la Cina e con la Corea del nord.

Al tempo stesso,in modo poco diploma-tico, rompe i rapporti con l'occidente e con i suoi alleati rwandesi che reagisco-no scatenando una guerra sul territorio congolese, che durerà 5 lunghi anni con 4 milioni di morti.Essa sarà ricordata come la prima guer-ra mondiale dell'Africa centrale, avendo coinvolto nel conflitto nove paesi limi-trofi.Il 16 gennaio 2001 Laurent Kabila vie-ne ucciso, in un misterioso complotto di palazzo, a Kinshasa.Il figlio, Joseph Kabila, generale dell'e-sercito congolese sarà, pro tempore, il presidente del Congo e si attiverà per ri-costruire la pace e avviare le prime ele-zioni democratiche del Congo alla pre-senza dell'ONU e degli osservatori in-ternazionali.Il 27 novembre 2006, la Corte Suprema di Giustizia (CSJ) conferma la vittoria di Joseph Kabila sul suo avversario

Jean-Pierre BembaIl 6 dicembre 2006, il Presidente della Repubblica, Joseph Kabila, presta giu-ramento davanti ai giudici della Corte suprema, garanti della Costituzione. La cerimonia di investitura ha luogo alla presenza di più di 10.000 invitati nei giardini del palazzo presidenziale, nella capitale Kinshasa.Nel suo primo discorso alla nazione, Jo-seph Kabila annuncia la "fine della ri-creazione" e invita i suoi compatrioti a dedicarsi al lavoro nella pace e la tran-quillità.Il buon governo, la democrazia e il ri-spetto dei Diritti umani sono i tre pila-stri su cui Joseph Kabila intende fonda-re la sua azione politica nei prossimi cinque anni.Afferma che in democrazia c'è posto per tutti e che bisogna coltivare la solidarie-tà per garantire la pace.Rinnova i suoi impegni per ricostruire il Paese: le strade, l'agricoltura, l'educa-zione, l'acqua potabile, l'elettricità, la salute, l'habitat, la lotta contro la pover-tà e l'ingiustizia sociale e la protezione dell'infanzia.Spiegando il legame indissociabile tra

sicurezza, pace e sviluppo del Paese, Kabila lancia un appello a coloro che, soprattutto nell'est, e nel Kivu in parti-colare, "non hanno ancora compreso che la guerra è finita". Si rivolge anche a coloro che nelle città, come a Kinsha-sa, praticano un terrorismo urbano che destabilizza l'intera nazione.Il presidente Kabila insiste sull'urgenza della pace come condizione per lo svi-luppo economico e l'avvento di uno Sta-to di diritto in cui "l'opposizione ha un ruolo costituzionale da giocare nel ri-spetto della legge e in cui si deve arriva-re a mettere fine ai discorsi di odio tri-bale, di regionalismo e di nepotismo.Il Segretario Generale dell'ONU invia le sue congratulazioni a Joseph Kabila in occasione della sua investitura.Nel suo messaggio, Kofi Annan afferma che il nuovo governo congolese dovrà far fronte a parecchie sfide, fra cui par-ticolarmente la ricostruzione del Paese, la ripresa economica, il buon governo, la riforma del settore della sicurezza e la salvaguardia dei Diritti umani.

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Per riuscirci, il segretario generale del-l'ONU chiede a questo governo di rom-pere nettamente col passato in vista di un Congo nuovo, in cui il popolo possa aver accesso ai servizi di base e usufrui-re delle immense risorse naturali del Paese e in cui l'accesso alla giustizia sia lo stesso per tutti.

Le speranze che aveva suscitato Joseph Kabila avevano alimentato un clima di fiducia e di ottimismo nella popolazio-ne.Finalmente si esce una volta per tutte dalla guerra e la popolazione congolese potrà riappropriarsi del suo territorio e delle sue enormi ricchezze.Ma l'illusione di un futuro cambiamento di rotta dura poco.Infatti, nel momento in cui Joseph Ka-bila, autorizza una commissione parla-mentare per rivedere le concessioni mi-nerarie realizzate con le grandi multi-nazionali, lo spettro della guerra ricom-pare nella zona più vulnerabile del pae-se, nell'est del Congo.La Cina nello spirito della libera con-correnza aveva avanzato delle proposte

vantaggiose al governo, impegnandosi a ricostruire strade e infrastrutture in cambio delle concessioni minerarie.Le proposte della Cina sono certamente più vantaggiose rispetto alle vecchie concessioni occidentali che erano di mero saccheggio delle risorse senza al-cun vantaggio per la popolazione.La presenza della Cina in Congo non è certo recente, i rapporti di carattere commerciali ci sono sempre stati e si sono intensificati negli ultimi decenni.Kabila figlio, nel suo insediamento provvisorio, in attesa delle elezioni, dopo la misteriosa uccisione del padre , aveva riallacciato i rapporti diplomatici con l'occidente a cui egli era stato grato, appoggiando la sua elezione presiden-ziale.Lo stesso Nkunda pur rumoreggiando nel nord Kivu, non destava preoccupa-zione, pur rimanendo una spina nel fianco, ma tollerabile nel quadro com-plessivo della politica congolese.Ma improvvisamente la situazione sem-bra sfuggire di mano, sia al grosso con-tigente dell'ONU (17.000 uomini ben armati ed equipaggiati), sia alle forze

militare del Congo.Il ribelle Laurent Nkunda, in modo pre-testuoso accusa Joseph Kabila di sven-dere il paese alla Cina.Lo stesso Nkunda tradisce le sue segrete intenzioni affermando sul Corriere della Sera del 9 novembre, che la decisione di attaccare è venuta dopo che il presiden-te del Congo, Joseph Kabila, ha firmato un accordo con la Cina per lo sfrutta-mento delle risorse della regione, un ac-cordo secondo il quale la popolazione non beneficerebbe dello sfruttamento delle risorse, tacendo comunque che lo stesso accordo era stato firmato con il Rwanda e con l'Uganda, e che l'inter-vento dei ribelli è servito sostanzial-mente a difendere proprio quell'accor-do.

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Tutto ciò fa pensare che lo stesso Jose-ph Kabila voglia percorrere le stesse orme del padre tentando una nazionaliz-zazione graduale delle risorse comin-ciando a dare la priorità a quei paesi e a quelle imprese che ricambiano le con-cessioni con l'impegno di costruire stra-de, ponti e infrastrutture per il paese.Se questa ipotesi viene confermata spie-gherebbe l'impotenza della missione ONU, la forza di Nkunda che conta su oltre 3000 uomini ben armati ed equi-paggiati, e la difficoltà dell'esercito con-golese, in via di formazione, a respinge-re gli attacchi di Nkunda.Gli interessi consolidati delle multina-zionali appoggiate dall'occidente sono messe in crisi, e pertanto la reazione non si fa attendere.In altre parole la difficile sfida che si trova a fronteggiare il presidente Kabila è la stessa per la quale suo padre, e pri-ma di lui, Lumumba, sarebbero stati uc-cisi.La società civile congolese si è mobili-tata, le concessioni minerarie inique che rapinavano la popolazione vengono re-spinte, e i grossi interessi occidentali sono messi in discussione.

Se questa è la situazione, la posta in gioco è l'indipendenza e la sovranità po-polare.

La differenza con i suoi illustri predecessori è che Joseph Kabila può contare su una società civile più matura e più organizzata.Saprà il popolo congolese riappropriarsi del suo territorio?Saprà il popolo congolese acquistare la sua libertà?La sua autonomia? La sua indipenden-za?Lumumba, allora, disse:"Il nostro forte governo nazionale popo-lare sarà la salvezza del Paese. Invito tutti i cittadini congolesi, uomini, donne e giovani, a porsi decisamente al lavoro al fine di creare un'economia nazionale per costruire la nostra indipendenza economica.Onore ai combattenti della libertà na-zionale.Viva l'indipendenza e l'unità africana!Viva il Congo indipendente!”.

Nino Rocca

UN GIORNALISTA AFRICANO Il suo nome non vogliamo dimenticarlo:Didace Namujimbo. Stava camminando, quando è stato ucciso a qualche metro da casa sua. E' il secondo giornalista di radio Okapi, ucciso a Buvaku, nella provincia del Nord Kivu della Repubblica democratica del Congo. Il conflitto, che in queste settimane, sta vivendo questa regione, fra i ribelli tutsi di Laurent Nkuda, generale ribelle dell'esercito, e le forze armate del governo, ha portato più di duecento cinquanta mila persone a scappare e a morire. Muoiono ogni giorno oltre 1200 persone per malattie come il morbillo e l'epatite. 45 mila persone al mese mentre cercano riparo dalla guerra, hanno denunciato i vescovi del Congo. Sono morte centinaia e centinaia di persone civili, come è stato ucciso questo giornalista. Le associazioni di volontariato internazionale in queste settimane hanno dato l'allarme. E' in pericolo la vita di oltre due milioni di persone nei prossimi mesi. Per questo noi non possiamo restare in silenzio.

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