Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice · Ecologia del virtuale ... ipso facto...

21
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice Maurizio Forte CNR-ITABC, Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali, Area della Ricerca di Roma, Montelibretti [email protected] Ecologia del virtuale Questo contributo si propone di discutere le relazioni fra ecologia della mente, realtà virtuale e del significato cibernetico di cornice nell’ambito dei beni culturali e della teoria dell’informazione. L’epistemologia del virtuale suggerisce alcune riflessioni circa lo scambio e la geometria di informazioni fra reale e virtuale, fra soggetto e oggetto della fruizione culturale nell’ottica di una nuova musealizzazione virtuale di dati ed informazioni culturali. In questo senso il manifesto cibernetico a cui ci ispiriamo è quello di scuola ecologica di Gregory Bateson (1904-1980, cfr. sul tema Bateson, MANGHI 1998; COTUGNO, DI CESARE, 2001; DERIU, 2000) che anticipò senza dubbio lo sviluppo di teorie cibernetiche ora applicabili anche all’ambito dei programmi di realtà virtuale per personal computer. L’approccio ecosistemico di Bateson sia in termini di flussi informativi, feedback, differenza che di comunicazione-contestualizzazione è basilare per una valutazione corretta del virtuale come sistema: “senza contesto non vi è comunicazione” (BATESON, 1972), dunque senza la riproduzione di contesti attraverso regole di differenza non ci può essere scambio informativo. Secondo questo approccio metodologico è l’elaborazione dell’informazione associata al bene a modificarne il carattere, l’interpretazione, il valore. Potremmo dire che il fine ultimo di un’elaborazione digitale sia l’incremento percettivo e cognitivo della cosa-bene culturale in quanto virtual heritage, accesso digitale alla virtualità (quindi con feedback) dell’informazione culturale. La traduzione di un bene in bene informativo digitale, realtà incrementata, atto o processo interattivo e percettivo, ricapitalizza in senso lato il bene come oggetto fisico, lo dissemina, ne diffonde il messaggio e il contenuto. Le relazioni cibernetiche che si ri-definiscono nel virtuale,

Transcript of Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice · Ecologia del virtuale ... ipso facto...

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice

Maurizio Forte

CNR-ITABC, Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali, Area della Ricerca di

Roma, Montelibretti [email protected]

Ecologia del virtuale

Questo contributo si propone di discutere le relazioni fra ecologia della mente, realtà virtuale e del significato cibernetico di cornice nell’ambito dei beni culturali e della teoria dell’informazione.

L’epistemologia del virtuale suggerisce alcune riflessioni circa lo scambio e la geometria di informazioni fra reale e virtuale, fra soggetto e oggetto della fruizione culturale nell’ottica di una nuova musealizzazione virtuale di dati ed informazioni culturali. In questo senso il manifesto cibernetico a cui ci ispiriamo è quello di scuola ecologica di Gregory Bateson (1904-1980, cfr. sul tema Bateson, MANGHI 1998; COTUGNO, DI CESARE, 2001; DERIU, 2000) che anticipò senza dubbio lo sviluppo di teorie cibernetiche ora applicabili anche all’ambito dei programmi di realtà virtuale per personal computer. L’approccio ecosistemico di Bateson sia in termini di flussi informativi, feedback, differenza che di comunicazione-contestualizzazione è basilare per una valutazione corretta del virtuale come sistema: “senza contesto non vi è comunicazione” (BATESON, 1972), dunque senza la riproduzione di contesti attraverso regole di differenza non ci può essere scambio informativo. Secondo questo approccio metodologico è l’elaborazione dell’informazione associata al bene a modificarne il carattere, l’interpretazione, il valore. Potremmo dire che il fine ultimo di un’elaborazione digitale sia l’incremento percettivo e cognitivo della cosa-bene culturale in quanto virtual heritage, accesso digitale alla virtualità (quindi con feedback) dell’informazione culturale. La traduzione di un bene in bene informativo digitale, realtà incrementata, atto o processo interattivo e percettivo, ricapitalizza in senso lato il bene come oggetto fisico, lo dissemina, ne diffonde il messaggio e il contenuto. Le relazioni cibernetiche che si ri-definiscono nel virtuale,

2 Maurizio Forte

costituiscono la base del sistema e la soglia dell’esplorazione, della psico-visione, dell’apprendimento. Si tratta dunque di rileggere in toto le relazioni complesse che esistono fra beni culturali e realtà virtuale secondo una logica epistemologica, in particolare ecologica-ecosistemica, da Gregory Bateson per quanto concerne la base cibernetica, agli studi di Maturana e Varela per quanto concerne i principi di autoreferenzialità ed auto-organizzazione.

Secondo le istanze del pensiero ecologico gli esseri viventi devono essere compresi in termini di relazioni: l’essere vivente è definito come un’organizzazione autopoietica perché si autoproduce e si autoorganizza. In breve si potrebbe definire la realtà virtuale un sistema autopoietico poiché riflette processi di reciproca interazione (MATURANA, VARELA, 1980, 1987). Nella teoria autopoietica, la cognizione è una conseguenza della circolarità e della complessità nella forma di ogni sistema il cui comportamento include il mantenimento di quella forma esatta. L’approccio ecologico prende come punto di partenza la condizione di un intero sistema organismo-persona pensato come unità mente-corpo. Questi stati sono chiamati descrizioni nella teoria autopoietica e un organismo operante all’interno del dominio delle sue descrizioni è un osservatore. Le relazioni esistenti fra organismo e ambiente dominano tutta la conoscenza del reale e del virtuale e costituiscono il tema centrale della ricerca biologica. Secondo Maturana e Varela l’Osservatore è il sistema stesso: le interazioni con l’ambiente sono istruttive, sono parte della definizione dell’organizzazione del sistema e conducono il corso della trasformazione (MATURANA, VARELA, 1980). Questa tipologia di interazione avviene anche in un sistema virtuale (anche se per ora con alcuni limiti): i comportamenti all’interno e all’esterno del sistema ne generano altri non preordinati, sino, in teoria, a generare concatenazioni di eventi e azioni.

In un libro recente, “Digital Biology” (BENTLEY, 2001), Peter Bentley immagina un futuro in cui i computer possono creare universi: “Immagine a future world where computers can create universes –digital environments made from binary ones and zeros. Imagine that within these universes there exist biological forms that reproduce, grow, and think. Imagine plantlike forms, ant colonies, immune systems, and brains, all adapting, evolving, and getting better at solving problems. Imagine if your computers became greenhouses for a new kind of nature. Just think what digital biology could do for us

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 3

(BENTLEY, 2001, 9). Secondo questa logica il virtuale è un’ontologia che non si oppone al reale (LEVY, 1997) ma giustifica piuttosto l’esistenza di un altro ecosistema con altre regole, integralmente digitali. Lo scambio informativo, la percezione e l’interazione fra queste realtà, le realtà digitali-artificiali-virtuali, costituiscono la base di discussione di questo articolo, con particolare riferimento però alla trasmissione di informazioni culturali.

Le summenzionate discussioni giustificano a nostro parere che sia appropriato parlare di ecologia del virtuale per definire lo studio delle relazioni inter-connesse in un sistema digitale evoluto, un’ontologia percepibile come un sistema biologico. In questa logica reale e virtuale non sono (eco)sistemi contrapposti ma ontologie parallele nella percezione e inter-relazione delle informazioni (LEVY, 1995, 1997). Come primo approccio, è basilare distinguere in modo appropriato un sistema di realtà virtuale da altre applicazioni, in modo da circostanziare bene il dominio del virtuale. Infatti un sistema di realtà virtuale risponde a ben precisi requisiti e non deve essere confuso con generiche applicazioni digitali o di computer grafica.

Un’applicazione di realtà virtuale deve rispondere contemporaneamente ai seguenti requisiti: inclusività, interattività, interattività in tempo reale, tridimensionalità. Equivale a dire che ogni azione o interazione, e relativo feedback, deve avvenire in uno spazio inclusivo, all’interno di un mondo tridimensionale nel quale il navigatore non segue percorsi preordinati ma in cui può muoversi liberamente, esplorando in tempo reale tutto lo spazio disponibile (in realtà il navigatore potrebbe crearsi anche altri spazi ex novo). Quindi il navigatore può sia seguire percorsi visuali, sia attivare comportamenti o creare nuovi mondi durante l’esplorazione: in ogni caso le relazioni cibernetiche che va a generare sono numerose e non prevedibili, proprio perché abbracciano una sfera di interazione del tutto personale. Il software calcola in tempo reale la prospettiva, la dimensione delle forme, la geometria dei poligoni, la direzione della luce, il movimento, secondo il percorso di camera effettuato dal navigatore. L’utente-navigatore opera all’interno della scena, sceglie i comportamenti, guida l’azione, percepisce l’informazione e l’eco informativa che lo circonda: l’interazione è immersiva a livello di interfaccia, ma può diventarlo anche a livello di visualizzazione (dipende dall’hardware). In questo dominio esistono due categorie di relazioni e comportamenti: la visualità dell’immersione (relazione uomo/cornice), l’interazione nel

4 Maurizio Forte

mondo virtuale (relazione autopoietica). L’interazione nel mondo virtuale prevede invece i comportamenti del navigatore all’interno dell’ecosistema digitale. La visualità dell’immersione e l’interazione nel mondo virtuale producono una differenza in senso cibernetico orizzontale, fra navigatore e cornice, e verticale, fra navigatore e comportamenti. La differenza fra navigatore e cornice rappresenta il feedback che deriva dall’osservazione del mondo virtuale attraverso l’interfaccia del sistema (cornice), la differenza fra navigatore e comportamenti è data invece dal feedback di ogni azione all’interno del mondo virtuale.

E’ pertanto in questo dominio di virtualità che si deve collocare il bene-virtual heritage, in una corretta connessione spaziale fra osservatore e mondo osservato, fra luogo e spazio. La spazialità dell’informazione incrementa l’impatto cognitivo e, in archeologia soprattutto, è una premessa fondamentale per ottenere il massimo effetto di alfabetizzazione da un ecosistema virtuale (FORTE ET ALII, 2001, 2001). In questa dimensione la portata rivoluzionaria del virtuale può forse essere compresa a fondo e può moltiplicare considerevolmente le regole dell’apprendimento. Ad oggi le neuroscienze non hanno ancora spiegato il comportamento del cervello ad esempio nel corso della contemplazione di un’opera d’arte (HORGAN, 2003) e nemmeno che cosa accade durante l’ispirazione o la creazione artistica, potremmo dire nell’ambito della “produzione” di un bene culturale. Per il momento quindi dovremo concentrare l’attenzione verso gli aspetti psico-cognitivi della fruizione culturale secondo un approccio cibernetico.

Il problema della cornice

La cornice in termini cibernetici rappresenta l’interfaccia fra rappresentazioni ontologiche: nel quadro la cornice distingue l’ottica interpretativa, la differenza visuale fra ciò che si osserva e ciò che è osservato, la direzione focale del contesto. “[…] l’animale umano, grazie al fatto che interpone uno schermo semiotico fra la mente e l’ambiente esterno, può […] guidare dall’interno la percezione, liberandosi dall’influsso diretto dell’ambiente esterno.” (CIMATTI, 2000, 246).

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 5

Nel rapporto fra interazione e contesti virtuali la cornice è costituita tipicamente dal monitor o da un qualsiasi display che separa ontologicamente la percezione o feedback informativa fra reale e virtuale, fra territorio e mappa. L’attraversamento della cornice costituisce la metafora del passaggio dal territorio alla mappa e del feedback che ne consegue. Ne deriva che distinguiamo il mondo digitale in virtù anche della cornice, che sia un semplice monitor o un teatro virtuale, constatando il segnale cibernetico dall’inquadramento fisico di un’immagine o di un meta-contesto.

In Bateson, il mondo mentale, cioè l’epistemologia che è in grado di contenere concetti quale doppio legame ha le sue radici nelle due verità di distinzione e classificazione (BATESON, 1976c, 15). La distinzione fra figura e sfondo, tra la cornice del quadro e la carta da parati esterna al dipinto, è la dichiarazione di una differenza (una differenza che produce una differenza). Lo sfondo è delimitato dalla cornice e conferisce un accento di realtà diverso a ciò che esclude da una parte e ciò che include dall’altra. “Psychological frames are exclusive, i.e., by including certain messages (or meaningful actions) within a frame, certain other messages are excluded. […]. Psychological frames are inclusive […]. The frame around a picture, if we consider this frame as a message intended to order or to organize the perception of the viewer, says, “Attend to what is within and do not attend to what is outside. Figure and ground, as these terms are used by gestalt psychologists, are not symmetrically related as are the set and nonset of set theory. Perception of the ground must be positively inhibited and perception of the figure (in this case the picture) must be positively enhanced. […]. The picture frame tells the viewer that he is not to use the same sort of thinking in interpreting the picture that he might use in interpreting the wallpaper outside the frame. […] Any message, which either explicity or implicity defines a frame, ipso facto gives the receiver instructions or aids in his attempt to understand the messages included within the frame.[…] Every metacommunicative message is or defines a psychological frame”. (BATESON, 1972, 188)

Per Foucalt: “Nell’istante in cui si pongono lo spettatore nel campo del loro sguardo, gli occhi del pittore lo afferrano, lo costringono ad entrare nel quadro, gli assegnano un ruolo privilegiato e insieme obbligatorio, prelevano da lui la sua luminosa e visibile essenza e la proiettano sulla superficie inaccessibile della tela voltata”. (FOUCALT, 1966). Anche Derrida si occupa di cornici “immaginate i

6 Maurizio Forte

guasti prodotti da un furto che si privasse soltanto delle cornici […] e di ogni possibilità di incorniciare di nuovo i vostri oggetti di valore o i vostri oggetti d’arte (Derrida 1981 , 22). Qui la cornice diventa una sorta di teca museale, di contenitore di beni il cui valore è oggettivizzato dal riquadro che espone ed isola l’informazione rispetto al contesto e ai dintorni; è come se fosse scritto “qui è il valore e il bene

da contemplare e preservare”. La cornice sottrae l’oggetto dalla libera circolazione e lo sottopone a bene informativo-riserva valore e “…permette la percezione fra diversi universi di significato, fra diversi contesti” (Iacono in DERIU, 2000, 187-188). Magritte cercò di destrutturare l’idea di cornice nel quadro dipingendo su una pipa come soggetto la frase “questa non è una pipa”. Questa circolarità fra soggetto, cornice, significato, percezione visiva,

ci riporta alla metafora rappresentata da Escher dell’osservatore che osserva una scena che ribalta la sua prospettiva di osservazione, visto che lo include a sua volta (fig.1), ovvero: un visitatore osserva una stampa all’interno di una galleria museale; la stampa rappresenta una città, ma è la stessa città che include sia la galleria di stampe che l’osservatore. Potremmo dire che il quadro si diluisce nella rappresentazione della città disegnando una stupefacente illusione percettiva di sentirsi dentro e fuori dal quadro nello stesso momento in cui lo si osserva. In questo mondo disegnato da Escher la mappa è nella relazione fra osservatore e oggetti osservati: la città è oggetto del quadro e soggetto della scena, quindi è “dentro”, ma è anche “fuori”.

Nella pittura metafisica di De Chirico il quadro nel quadro e, in

alcune opere, l’ossessione di rappresentare cornici all’interno del dipinto, costituisce un evidente tentativo di moltiplicare i contesti, dissolvendoli nella metafora della cornice. Ne deriva una domanda cruciale: ma se il dipinto finisce con la cornice, allo stesso modo il reale si interrompe nella cornice per lasciar spazio al virtuale ?

Fig.1

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 7

Nell’approccio ecosistemico il problema viene risolto secondo una logica di relazione e nessi fra informazioni diverse: il reale e il virtuale sono due ontologie non contrapposte in perenne comunicazione che si scambiano contesti. Un universo iconico e informativo non termina in una cornice, ma ne catalizza il significato, ne moltiplica il contenuto, ne attrae l’intorno.

In Bateson la parola contesto sta sempre in rapporto con la nozione di differenza e con quella di significato: la cornice permette di riconoscere e apprendere il contesto. Così la cornice del display ci permette di individuare la cartografia del digitale, il luogo dove avviene l’interazione, il feedback, l’apprendimento, la logica del frame. Allora nel virtuale è possibile destrutturate la cornice ? E, nel caso, che cosa avverrebbe della relazione fra mappa e territorio ?

Dal punto di vista più propriamente antropologico la cornice rappresenta anche l’utopia della dissoluzione del corpo: “potremmo dire che ai processi di replica del corpo e di invasione del corpo, le tecnologie virtuali cominciano ad affiancare un terzo processo, quello di disseminazione del corpo nelle reti e negli spazi virtuali, immateriali, delle macchine digitali. E il corpo disseminato è destinato a modificare e a minacciare un rapporto basilare, che aveva retto più o meno immutato per decine di migliaia di anni, il rapporto fra corpo e identità (CARONIA, 134).

In senso lato possiamo intendere la cornice in due accezioni: cornice come interfaccia iconica e metafora della soglia fra reale e virtuale (in futuro sempre più immaginaria), oppure come dispositivo tecnologico di visualizzazione (il display) e interazione (interfacce aptiche). In particolare nella robotica e nei sistemi aptici non immersivi l’abbattimento della cornice avviene attraverso l’utilizzo di dispositivi fisici che coinvolgono un’azione corporea complessa (non il semplice spostamento del mouse) come il movimento degli arti, delle mani, della testa. In questo ambito troviamo interessanti progetti di ricerca e di comunicazione. Al MIT esiste uno specifico laboratorio, il Tangibile Media Lab, che si occupa della creazione di interfacce tangibili, quali prismi, bottiglie, nastri, piccoli oggetti; l’azione corporea dell’utente che manipola oggetti fisici crea in tempo reale un feedback nel sistema di visualizzazione (monitor o altro). Nell’ambito dell’arte digitale, l’attività del Plancton Art Studio (ANNUNZIATO, PIERUCCI, 1999, 2002), ad esempio, è indirizzata allo studio di interfacce tangibili, finalizzate all’esplorazione virtuale dell’opera artistica che diventa un

8 Maurizio Forte

territorio popolato di vita artificiale autoorganizzata e in continua evoluzione. In questo caso il feedback inizia all’esterno dell’ambiente virtuale per poi moltiplicarsi ed evolversi all’interno. Il navigatore catalizza eventi e reazioni visuali che, a loro volta, producono vita artificiale (fig.2): i comportamenti delle vite artificiali sono solo in parte preordinati e sono adattivi rispetto all’ecosistema digitale, in ultima analisi le vite artificiali sono programmate anche per comunicare all’esterno attraverso reti neurali. Dunque in questo caso la dissolvenza

della cornice è bidirezionale, dall’esterno all’interno e viceversa: per altro l’evoluzione non preordinata dell’ecosistema virtuale presuppone la moltiplicazione di universi informativi che, a loro volta, potrebbero creare nuove forme di comunicazione e trasmissione culturale. La dissoluzione dell’opera, in questo senso, è totale, ovvero la fruizione diventa percezione integrale, contesto, scambio informativo, l’artefatto si fa luogo virtuale, in ultimo, virtual heritage.

Nel futuro e, in parte, nel presente della realtà virtuale, la rimozione almeno parziale della cornice come dispositivo (quindi non in senso metaforico), avviene nella visualizzazione stereoscopica, nelle proiezioni olografiche da display orizzontali (pensiamo ad esempio agli ambienti immersivi), nei caschi (head mounded display), nelle cave totalmente immersive. In questi casi il virtuale “si proietta fuori”, esce dai dispositivi per condividere la visualizzazione in un altro territorio, il luogo della proiezione che, nella percezione, si fa mappa.

Fig.2

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 9

La realtà virtuale pienamente immersiva cerca di abbattere la logica della cornice sostituendo alla realtà che percepiamo nell’intorno un’altra realtà. Gli esperimenti di psicovisione effettuati negli ambienti immersivi (a cui si è sottoposto anche il sottoscritto nella cave della

Brown, University relativamente al progetto “Petra Virtuale”, fig.3), ci dimostrano che le reazioni corporee si allineano alla simulazione virtuale, perlomeno all’inizio, pur percependo che si tratta di falsi stimoli. Se, ad esempio, ci troviamo a dover evitare la collisione con oggetti

virtuali, la prima reazione è quella di scansarli, pur avendo la consapevolezza che non stiamo correndo alcun rischio e che si tratta di una simulazione. Oppure troviamo difficoltà di primo acchito ad attraversare un muro virtuale anche se siamo consapevoli della sua inconsistenza fisica. Anche questo è un problema di cornice: la riproduzione di un contesto verosimile ad alta interattività ci spinge a seguire le reazioni previste dal nostro codice genetico, anche se appaiono in qualche modo illogiche. Solo dopo essersi ambientata nel nuovo contesto immersivo la nostra mente può decidere il comportamento più logico e più razionale, senza assecondare pedissequamente gli stimoli della simulazione: allora attraverseremo il muro e cercheremo di forzare i nostri sensi senza assecondare lo scopo della simulazione.

Purtroppo le esperienze di psicovisione di questo tipo applicate ai beni culturali sono ancora pochissime e, di conseguenza, non conosciamo nel dettaglio quali potrebbero essere le logiche dell’apprendimento e di fruizione in ambienti privi di cornice, ovvero immersivi/proiettivi. Che cosa accade se abbattiamo il limite-interfaccia della cornice ? Nelle applicazioni di realtà virtuale immersiva, pensiamo ad esempio alle cave e ai dome, l’interazione con l’ambiente virtuale è integralmente inclusiva, quindi non siamo in

Fig.3

10 Maurizio Forte

grado di distinguere l’interfaccia della cornice perché lo spazio del reale è pienamente sostituito dal luogo del virtuale. Il luogo del virtuale diventa a pieno titolo la percezione primaria dell’ecosistema, ma non si frappone al reale, lo compenetra, in parte ne ridefinisce le regole e ne catalizza i comportamenti, accelera feedback e scambio informativo, differenza cibernetica.

Se la cornice costituisce la metafora dell’interfaccia dell’apprendimento, è presumibile che, moltiplicando le cornici, si offrano maggiori prospettive di osservazione. Facciamo l’esempio del paesaggio: in alcuni articoli ho definito mindscape, il paesaggio archeologico percepito, decodificato secondo mappe mentali (FORTE, 2003). Se immaginiamo il paesaggio come caos, struttura interconnessa di elementi finiti ma troppo numerosi e inter-relati per poter essere facilmente tradotti, l’inserimento di una o più cornici ci suggerisce percorsi di apprendimento o layer visibili e classificabili. I Sistemi Informativi Geografici o GIS rappresentano senza dubbio un primo solido tentativo di creare cornici con spazi simbolici (la “mappa”) per classificare e interpretare il territorio. Se collochiamo una cornice, ad esempio un teatro virtuale con un proprio mindscape, in uno spazio anonimo all’interno di un paesaggio sconosciuto, la cornice si fa luogo, quindi diventa una metafora di apprendimento: attraverso la cornice-teatro iniziamo a comprendere lo spazio circostante, ne identifichiamo i tratti associandoli a luoghi e ad eventi, infine, con un’interazione inclusiva, esploriamo virtualmente l’ecosistema digitale.

Il problema della cornice riguarda per altro anche il principio di osservazione per interpretare la realtà: che cosa ci serve per percepire ? La percezione dipende dalle relazioni che, nell’unità mente-corpo, stabiliamo con l’ambiente/contesto di interazione (ecosistema). Nella fattispecie, le relazioni cibernetiche possono essere riassunte in:

In-In =relazioni fra elementi differenti che interagiscono all’interno dell’ambiente virtuale;

Out-In=relazioni fra l’utente/osservatore (fuori dall’ambiente, out) e i comportamenti degli elementi virtuali coesistenti nell’ecosistema digitale (in);

Out-Out = relazioni fra utenti/osservatori che interagiscono fuori dal sistema;

Out-In-In=relazioni fra utenti/osservatori esterni al sistema e comportamenti o eventi autopoietici che interagiscono reciprocamente (in) e si rigenerano all’interno del sistema (in ancora).

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 11

E’ evidente che le relazioni di scambio cibernetico possono ulteriormente moltiplicarsi e generare nuove differenze. Dunque le relazioni fra osservazione, ambiente e cose osservate sono complesse

Nell’opera di Escher che abbiamo discusso in precedenza, “La galleria delle stampe” (fig.1), un visitatore di una galleria d’arte osserva un quadro che rappresenta una città, o meglio, si dissolve in una città che, a sua volta, abbraccia e include la galleria d’arte che contiene la galleria stessa; dunque l’osservatore è dentro o è fuori ? E una volta dissoltasi la cornice qual è l’oggetto osservato e percepito ? Il virtuale, in quanto ontologia, moltiplica le cornici e ne ribalta l’effetto, catalizzando l’informazione su più livelli di apprendimento.

Facciamo un esempio archeologico confrontando la Galleria delle stampe di Escher con un caso reale di fruizione culturale (fig.4) relativo a Ename in Belgio (Ghent, www.ename974.org): sulla sinistra è il disegno di Escher, sulla destra il Timescope 2, un totem di visualizzazione virtuale collocato di fronte all’abbazia romanica di San Lorenzo. L’immagine reale dell’abbazia mostra l’edificio quasi completamente oscurato dai ponteggi, quindi la fruizione visuale ne risulterebbe compromessa se non si potesse fruire del Timescope2, un totem di navigazione virtuale. Immaginiamo che nel Timescope si possa visualizzare l’abbazia dopo il restauro, libera da ponteggi, e l’edificio in una delle varie fasi architettoniche (le due immagini in

basso, figura 4): l’informazione sull’abbazia sarebbe incrementata in modo circolare fra reale e virtuale: osservazione reale, virtuale, di nuovo reale, e così via. In una sequenza ricorsiva di questo tipo, cioè con un percorso circolare dell’informazione è forse irrilevante

cercare il punto di partenza, così come lo è nel disegno di Escher. Altrettanto irrilevante sarebbe cercare un punto inerziale nei percorsi di

Fig.4

12 Maurizio Forte

visita del museo virtuale della Cappella degli Scrovegni e della visita reale alla Cappella (fig.5): ogni azione rimanda alla successiva aggiungendo interazioni e alfabetizzazioni.

Idealmente potremmo indicare la fase iniziale nel punto di reversione cognitiva, cioè in corrispondenza della soglia in cui la nostra mente riesce a processare una sufficiente quantità di informazione visuale-simbolica fra ambiente reale e virtuale (prima di questo momento i due ambienti, reale e virtuale, sono due oggetti ipoteticamente sconosciuti e non comparabile per gli utenti). L’abbazia che si vede nel totem non è un’abbazia qualunque, è l’abbazia di San Lorenzo, la comparazione visuale fra le immagini del monumento incrementano questa consapevolezza e lo scambio informativo fra gli ambienti. Lo stesso approccio è stato utilizzato nel progetto di musealizzazione virtuale della Cappella degli Scrovegni: la visita virtuale prima o dopo quella reale crea un circuito informativo fatto di azioni ricorsive nella logica dell’apprendimento. Il percorso circolare sarebbe completo se potessimo inserire noi stessi quali avatar, personificazioni virtuali, all’interno della simulazione digitale, osservatori del sistema e osservati dall’informazione che ci circonda, dunque in un circolo autopoietico.

Nelle teorie sistemiche “affermare che la teoria osserva l’oggetto, quindi utilizza l’idea di osservazione e tuttavia l’oggetto è parte dell’oggetto che osserva, produce una circolarità dal carattere paradossale. In altri termini, si potrebbe riformulare il tutto dicendo: sta dentro ciò da cui sta fuori […]. La teoria dei sistemi nell’osservazione del suo oggetto non si espone a verità o falsità perché, tanto il paradosso quanto la tautologia o la circolarità, se utilizzati all’interno degli schemi della logica classica, bloccano l’argomentazione. (BARCELLONA, DE GIORNI, NATOLI, 2003, 60).

Contesti e regole dell’apprendimento

Secondo l’approccio cibernetico del pensiero di Bateson noi apprendiamo “per differenza”: la differenza rappresenta l’interazione continua fra noi e l’ecosistema, fra noi e le relazioni che andiamo a provocare con l’ambiente circostante (cfr.anche DELEUZE, 1967). Se, in modo puramente teorico, restassimo immobili in un ecosistema buio e privo di eventi, non avremmo feedback e quindi non si creerebbe

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 13

alcuna differenza. Ricevere, elaborare informazione significa acquisire sempre notizie di differenza e la percezione della differenza è sempre limitata da una soglia; differenze troppo labili o che si presentano troppo lentamente non vengono percepite. E’ una cosa analoga a quanto accade nella comunicazione scritta di carattere visivo-spaziale (ad esempio i pittogrammi) in cui: […] la modalità di comunicazione produce un differimento di primo grado. Essa infatti esige che tutte le risposte sensoriali associate allo scambio comunicativo siano sottoposte a un’operazione preliminare di codifica, a sua volta destinata a un’operazione inversa di decodifica, prima di essere riprodotta. E’ questo differimento a creare la differenza, a trasformare l’esperienza in informazione e la comunicazione in contenuto” (PECCHINENDA, 2003, 26).

La teoria della conoscenza batesoniana spiega il meccanismo di elaborazione dell’informazione: i dati sono oggetti neutrali, la conoscenza di un sistema spaziale avviene per interazione, per differenza tra i componenti e gli eventi inter-connessi. Più si incrementa la differenza in una interazione virtuale, più cresce l’apprendimento. “A difference is an abstract matter. In the hard sciences, effects are, in general, caused by rather concrete conditions or events-impacts, forces, and so forth. But when you enter the world of communication, organization, etc., you leave behind that whole world in which effects are brought about by forces and impacts and energy exchange. You enter a world in which “effects” are brought about by differences. That is, they are brought about by the sort of “thing” that gets onto the map from the territory. This is the difference. […]. And within the piece of chalk, there is for every molecule an infinite number of differences between its location and the locations in which it might have been. Of this infinitude, we select a very limited number, which become information. In fact, what we mean by information, the elementary unit of information, is a difference which makes a difference, and it is able to make a difference because the neural pathways along which it travels and is continually transformed are themselves provided with energy. (BATESON, 1972).

Nella realtà virtuale l’apprendimento asseconda geometrie informative di tipo reticolare, (informazione spazialmente connessa all’interno della rete), cioè l’utente è immerso all’interno di reticoli di informazioni e dati visuali (FORTE ET ALII, 2001, 2002). A questo proposito è importante distinguere fra sistemi lineari e reticolari: si

14 Maurizio Forte

definiscono lineari sistemi che utilizzano una sequenza lineare quali la scrittura, le audio-guide, i libri in genere, reticolari sistemi multimediali e di realtà virtuale che si basano su relazioni spaziali-connettive dell’informazione. Ogni interazione è prodotta dal suo sistema di apprendimento virtuale: un nuovo alfabeto può suggerire una differente e veloce percezione dello spazio visuale e interattivo. In questo modo quindi possono essere promosse attività di apprendimento digitale in modo che l’audience possa ricevere in poco tempo una rilevante quantità di informazione (THWAITES, 2001). Questa ricomposizione mentale si può definire una nuova mappa e l’apprendimento avviene per feedback e per livelli gerarchici di informazione.

Definiamo feedback o retroazione, la proprietà di imparare e conoscere l’ecosistema digitale attraverso azioni, inter-azioni e reazioni (risposte). I fenomeni percettivi prevedono un livello di interazione, o meglio uno scambio o assenza di comportamento tra attore e recettore; in questo ambito possiamo identificare livelli multipli di interazione in tempo reale (FORTE, 2000). Secondo Bateson i livelli gerarchici di informazione definiscono “the hierarchy of contexts within contexts is universal for the communicational aspect of phenomena and drives the scientist always to seek for explanation in the ever larger units... without context, there is no communication” . In the general semantics’ system, liven experience can fall within a number of terms: Territory, silent level, non-verbal level, “facts”, “unnameable level”, object-level. Even at a cognitive level, ‘seeing’ an object means creating an image of it, an inside map which is not the external object. To communicate, we use signs that belong to something else; they are abstractions, ‘pretences’. The ‘facts’, the ‘phenomena’, are thus ‘appearances’, since they are cognitive elaborations that, during communication, are elaborated still further” (BATESON, 1972). Così lo spazio virtuale gerarchizzato viene ricontestualizzato e gerarchicamente ristrutturato allo scopo di consentire l’identificazione di unità logiche di informazione nella geometria dei modelli (FORTE, 2000).

Il museo virtuale della Cappella degli Scrovegni

La fruizione della Cappella degli Scrovegni, capolavoro giottesco che attira l’attenzione del mondo sul complesso padovano, risulta fortemente compromessa negli ultimi anni a causa delle precarie

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 15

condizioni di conservazione che ne limitano fortemente l’accesso e la sosta all’interno. A queste condizioni di difficile fruibilità museale si aggiungono comunque le oggettive difficoltà di percezione e interpretazioni visiva e visuale, data la distanza che separa il visitatore dai dettagli degli affreschi e dalla comprensione contestuale. La conseguenza poco incoraggiante per molti visitatori è la sovrapposizione fra contemplazione estetica-estatica e senso di disorientamento, il contrasto incipiente fra stupore e smarrimento, fra bene e consumo; in una battuta potremmo definirla una fruitio interrupta. La creazione di una mappa mentale per la Cappella degli Scrovegni è un’elaborazione cognitiva altamente improbabile per la maggior parte dei visitatori non alfabetizzati; di qui l’itinerario virtuale sulla Cappella ne può disegnare o suggerirne la mappa. Nella sala espositiva sotterranea dinanzi al Museo Civico, denominata Wiegand Multimedia Room (dalla fondazione americana che ha finanziato il progetto) sono state create sette installazioni didattiche, virtuali e multimediali finalizzate a contestualizzare l’item “Cappella degli Scrovegni”. In questa “scatola cognitiva” sotterranea il visitatore può alternare momenti di godimento passivo ad altri in cui potrà attivamente intervenire scegliendo fra le differenti tematiche proposte nelle varie postazioni, utilizzando gli strumenti informatici appositamente realizzati o entrando in spazi fisicamente ricostruiti (ad esempio la casa di Anna e la bottega dell’artista). Il progetto multi-interattivo ha lo scopo di introdurre, alfabetizzare e contestualizzare l’evento della visita alla Cappella secondo un percorso di

Fig.5

16 Maurizio Forte

apprendimento multifattoriale scandito da tre momenti topici: l’immersione, l’attesa, la visita. Le aspettative rispetto all’utenza contemplano una fase di totale immersione, di orientamento non ancora alfabetizzato, di sosta (con un notevole incremento della soglia di attenzione), di visita e contestualizzazione virtuale (alfabetizzazione codificata). Al termine di questo itinerario virtuale e reale di alfabetizzazione, l’utente può procedere alla visita della Cappella secondo l’approccio più corretto alla comprensione, alla memorizzazione e alla sedimentazione culturale del contesto (fig.5).

Le tipologie di installazione si definiscono secondo quattro finalità (fig.5): narrativa (installazione 1), virtuale cognitiva (installazione 2, progettata e creata dal CNR-ITABC), multimediale (installazioni 3 e 5) ed espositiva (installazioni 4, 6 e 7). L’osservazione di un DVD nella proiezione digitale su uno schermo panoramico è una esperienza collettiva in parte immersiva. Le installazioni 3 e 5 sono DVD multimediali e servono a produrre il contesto e il feedback informativo del progetto. Le installazioni 4, 6 e 7 riconducono il visitatore ad un’esperienza di allestimento reale con riproduzioni in scala 1:1, riportando l’attenzione verso i modelli geometrici. L’installazione 2 funge da fulcro e da medium espositivo producendo il massimo livello di interattività e di incremento cognitivo-virtuale; un’esperienza che ridistribuisce i propri contenuti nelle altre installazioni.

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 17

In definitiva l’innovazione del progetto risiede nell’immersione digitale propedeutica alla visita, e, ancora di più, nel tentativo di musealizzare il virtuale, cioè rappresentando le installazioni multimediali come un vero e proprio percorso espositivo composto di una propria grammatica e di un proprio linguaggio espressivo. Ogni installazione ha un proprio territorio condiviso, rappresentato dallo spazio in cui interagiscono gli utenti-visitatori, e un territorio contestuale-connettivo (virtuale), dove si raggiungono le informazioni multimediali secondo una realtà incrementata. Si tratta logicamente di uno spazio invisibile in cui si colloca la sfera o territorio di attrazione di ogni installazione (fig.5); rispetto a questo territorio di pertinenza il visitatore è portato a sostare più o meno a lungo, a interagire con i contenuti, a scambiare esperienze più o meno collettive, a ricreare in definitiva la propria mappa mentale rispetto agli stimoli visivi e sensoriali che riceve e rielabora. In questa direzione il progetto espositivo mira a musealizzare il virtuale, a creare cioè mutue interazioni fra diverse installazioni che sono sia individualmente che connettivamente interagenti. Il museo virtuale della “Cappella degli Scrovegni”, inaugurato al pubblico il 25 marzo 2003, costituisce un caso pilota di “itinerario del virtuale”, un tentativo di descrivere un percorso di scambio e assimilazione culturale attraverso una esposizione virtuale (su quattro installazioni) e un piccolo allestimento (su tre installazioni). La dialettica espositiva dunque si evolve fra reale e virtuale, con diversi gradi di immersione e attenzione. Musealizzare il virtuale significa dunque descrivere spazi e flussi di geometrie composite, in parte fisiche e in parte virtuali; l’interazione fisica avviene con l’ambiente, l’interazione virtuale si compie solo all’interno dello spazio multi-interattivo, compiendo cioè azioni remote rispetto al contesto dell’informazione digitale (ciò che vediamo all’interno di un monitor è remoto rispetto allo spazio che ci circonda, ma molto vicino rispetto al coinvolgimento sensoriale, di qui la deterritorializzazione dello spazio da fisico a virtuale). Sulla base delle caratteristiche digitali, fisiche, geometriche e multimediali delle installazioni, abbiamo considerato un percorso “ideale” di interazione e alfabetizzazione virtuale nell’ambiente di visita. L’apprendimento di una musealizzazione virtuale è di tipo reticolare in quanto l’utente-visitatore è circondato e immerso da un reticolo informativo, quindi riceve feedback anche a livello inconscio, transitando attraverso scambi visuali di dati. Nel sistema RV della Cappella, l’installazione 2, è stata creata una cybermappa del sistema, qui in figura 6. La cybermappa

18 Maurizio Forte

rappresenta il reticolo cartografico del sistema, in cui colori, figure, forme geometriche e connessioni (link) costituiscono il “DNA” del progetto comunicativo.

La cybermappa tridimensionale è un tentativo sperimentale per disegnare geometrie informative complesse e spaziali che visualizzano la connettività del sistema (ogni oggetto ha una geografia propria nello spazio 3D). Nella cybermappa una scena diventa un cubo, un tematismo una sfera, i colori distinguono le diverse classi di informazioni e associazioni semantiche (rappresentati nel virtuale come tanti atomi e molecole con legami connettivi); in una parola la cybermappa rappresenta il codice concettuale dell’applicazione virtuale (fig.6).

Bibliografia ANNUNZIATO M., 1999, Emerging Structures in Artificial Societies, in “Creative Application

Lab” Cdrom, Siggraph, Los Angeles. ANNUNZIATO, M., PIERUCCI, 2002 Experimenting with art of emergence, Leonardo int.

journal (MIT press), volume 35, issue 2, april 2002.

Fig.6

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 19

ARNHEIM R., 1969, Visual Thinking, University of California Press. BARCELO J., FORTE M., SANDERS D., 2000 (a cura di), Virtual Reality in Archaeology, Oxford,

Archeopress (BAR International Series S 843) BATESON G., 1972 Steps to an Ecology of Mind , San Francisco, Chandler Press. BATESON G., 1979, Mind and Nature. A Necessary Unit, Dutton, New York. BENTLEY P.J., 2001, Digital Biology, Simon & Schuster, New York, London, Sidney,

Singapore. BONFIGLI, M.E. GUIDAZZOLI, A., 2000 A WWW Virtual Museum for improving the

knowledge of the history of a City, in «Virtual Reality in Archaeology», in BARCELO, FORTE, SANDERS (eds.), 2000, 143-148.

BOWEN LOFTIN R., Psychophysical Effects of Immersive Virtual Reality, Proceedings Of The IEEE Virtual Reality Conference 2002, 145-148.

BRITTON B., 2001, The Boundaries of Scientific Culture in Virtual Heritage, Seventh International Conference on Virtual Systems and Multimedia (VSMM'01), October 25 - 27, 2001, Berkeley, California, IEEE Computer Society, 21-27.

CARONIA A., 1996, Il corpo virtuale, Franco Muzzio Editore, Padova. CASTELLS M., 2002, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano. CIMATTI F., 2000, La scimmia che parla. Linguaggio, autocoscienza e libertà nell’animale

umano, Bollati Boringhieri, Torino. COTUGNO A., DI CESARE G., 2001, Territorio Bateson, Meltemi, Roma. DELEUZE G., 1967, Différence et répétition, PUF, Paris. DERRIDA J., 1981, La verità in pittura, Newton Compton, Roma. DERIU M (A CURA DI)., 2000, Gregory Bateson, Bruno Mondatori, Milano. ESCOBAR A., 2001, Benvenuti Cyberia. Note sull’antropologia Della Cultura, in “Avatar”,

Novembre 2001, Meltemi, Roma, 100-117. FORTE M.1996a (a cura di), Archeologia. percorsi virtuali delle civiltà scomparse, Milano,

1996. FORTE M.1997 (ed.), Virtual Archaeology, Harry Abrams Inc. Publishers, 1997. FORTE M., 2000, About virtual archaeology: disorders, cognitive interactions and virtuality,

in Barcelo J., Forte M., Sanders D., 2000 (eds.), Virtual reality in archaeology, Oxford, ArcheoPress (BAR International Series S 843), 247-263.

FORTE M., 2003, Mindscape: ecological thinking, cyber-anthropology, and virtual archaeological landscapes, in “The reconstruction of Archaeological Landscapes through Digital Technologies” (eds. M.Forte, P.R.Williams), Proceedings of the 1st Italy-United States Workshop, Boston, Massachussets, USA, November 1-3, 2001, BAR International Series 1151, Oxford, 2002, 95-108.

FORTE M., 2003a, The Remote Sensing project for the archaeological landscape of Aksum (Ethiopia), in “The reconstruction of Archaeological Landscapes through Digital Technologies” (eds. M.Forte, P.R.Williams), Proceedings of the 1st Italy-United States Workshop, Boston, Massachussets, USA, November 1-3, 2001, BAR International Series 1151, Oxford, 2002, 81-94.

FORTE M., 2003b, Realtà virtuale, pensiero ecologico e logiche dell'apprendimento fra archeologia e beni culturali, in “ Contesti virtuali e fruizione dei beni culturali”, CD ROM, Napoli, Certosa e Museo di San Martino, 2003.

FORTE M., FRANZONI M., 1998, il museo virtuale: comunicazione e metafore, in “sistemi intelligenti”, anno x, numero 2, agosto 1998, 193-240.

FORTE M., PIETRONI E., RUFA C., BIZZARRO A., TILIA A., TILIA S., 2001, Dvr-Pompei Project: Reconstructions Of Archaeological Contexts In Desktop-Opengl Environments, In Vsmm 2001. Proceedings Of The Seventh International Conference On Virtual Systems And Multimedia. Enhanced Realities: Augmented And Unplugged. 25-27 October 2001 (Ed. By H.Thwaites, L. Addison), 77-85;

20 Maurizio Forte

FORTE M., PIETRONI E., RUFA C., BIZZARRO A., TILIA A., TILIA S., 2001a, DVR-POMPEI: A 3d Information System for the House of The Vettii in Opengl Environment, in “VAST 2001. Virtual Reality, Archaeology And Cultural Heritage” An International Symposium, 28-30 November Glyfada, Pre-Proceedings, 365-374.

FORTE M., PIETRONI E., RUFA C., 2002, Musealising the Virtual: the Virtual Reality Project of the Scrovegni Chapel of Padua, in VSMM 2002, Proceedings of the Eighth International Conference on Virtual Systems and Multimedia, “Creative and digital culture”, Gyeonggju, Korea, 25-27 September 2002, 43-52.

FOUCALT M., 1966, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Milano, Rizzoli.

GIBSON, 1984, Negromante, Mondadori, Milano. GOMBRICH, HOCHBERG, BLACK, 1972, Arte, percezione e realtà, Torino, Einaudi. HORGAN, 2003, La mente inviolata - Una sfida per la psicologia e le neuroscienze, Raffaello

Cortina editore, Milano. KORZYBSKI A., 1941, Science and Sanity, Science Press, New York, 1941. LEVY P.1992, Le tecnologie dell’intelligenza, Feltrinelli, Bologna. LEVY, P. 1995, Qu’est-ce que le virtuel, Editions la Decouverte, Paris. LEVY P., 1996, L’intelligenza collettiva. per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli,

Milano, 1996. LEVY P., 1997, Il virtuale, Raffele Cortina Editore, Milano, 1997 LEVY P., 1999, Cybercultura. gli usi sociali delle nuove tecnologie, Raffele Cortina Editore

Milano, 1999. MANGHI S. (a cura di), 1998, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali,

Raffaele Cortina Editore, 1998. MATURANA H., VARELA F., Autopoiesis and Cognition: the Realization of the Living, Boston

Studies in the philosophy of science, Cohen, Robert S., And Marx W. Wartofsky (eds.), vol. 42, Dordecht (Holland): D. Reidel Publishing Co., 1980.

MATURANA, H., F. VARELA, The Tree of Knowledge: the Biological Roots of Human Understanding, Boston: Shambhala, 1987, (Revised Edition: same publisher, 1992).

MINATI G., 1998, Sistemica, Apogeo scientifica, Milano. PECCHINENDA G., 2003, Videogiochi e cultura della simulazione, Editori Laterza, Roma-

Bari. PESCE M., 1995, VRML browsing and building cyberspace. New Riders Publishing, New

York. SANDERS D., 2000, Archaeological publications using virtual reality: case studies and

caveats, in BARCELO, FORTE, SANDERS, 2000, 37-46. THWAITES H., 2001, Fact, Fiction, Fantasy: the Information Impact of Virtual Heritage, in

“VSMM 2001. Virtual Systems and Multimedia. Enhanced Realities: Augmented and Unplugged”, 25-27 October 2001, Center for Design Visualization, University of California, Berkeley, IEEE, Los Alamitos, California, 263-270.

WILLIAM S., 2003, Storia dell’intelligenza artificiale, Garzanti, Milano, 2003.

Didascalie delle figure:

1. “La Galleria delle Stampe” di Escher 2. Installazione interattiva “E-Sparks”, di Annunziato, P.Pierucci, '2001,

www.plancton.com 3. Progetto “Petra Virtuale”: la visione all’interno della Cave, Brown

University, Shape Lab.

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice 21

4. Comparazione fra la “Galleria delle stampe di Escher” e l’installazione Timescope 2 di Ename (a destra).

5. Percorso espositivo del Museo Virtuale della Cappella degli Scrovegni di Padova (in computer grafica)

6. La cybermappa del sistema VR della Cappella degli Scrovegni