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CORNELIO FABRO

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FILOSOFI ITALIANI DEL NOVECENTO

Fondatori e Direttori: CALTAGIRONE Calogero (Università LUMSA Roma) PASQUALE Gianluigi (Pontificia Università Lateranense Città del Vaticano)

Comitato scientifico: BASTI Gianfranco (Pontificia Università Lateranense Città del Vaticano) BoTTURI Francesco (Università Cattolica Milano)

CANTILLO Giuseppe (Università Federico II Napoli) DA RE Antonio (Università Padova) FAsrus Adriano (Università Pisa) GENSABELLA Marianna (Università Messina) GIOIA Giuseppe (Università Palermo) MIANO Francesco (Università Tor Vergata Roma)

NIEDDU Anna (Università Cagliari) PERONE Ugo (Università Piemonte Orientale Vercelli) PEZZINO Giuseppe (Università Catania) RiccI SINDONI Paola (Università Messina) ToTARO Francesco (Università Macerata) VALENZIANO Crispino (Pontificio Ateneo S. Anselmo Roma) VIGNA Carmelo (Università Cà Foscari Venezia)

I volumi pubblicati in questa Collana sono sottoposti a double-blind peer review

www.e-lup.com

©COPYRIGHT 2012 - ISBN 978-88-465-0824-9 LATERAN UNIVERSITY PRESS

PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE

PIAZZA SAN GIOVANNI IN LATERANO, 4

CITTÀ DEL VATICANO

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CHRISTIAN FERRARO

CORNELIO FABRO

ab Lateran Unlverslty Press

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Introduzione

«Di ciò che è piano e abituale non rimane più alcuna traccia. Hegel è difficile, non vi è dubbio al riguardo, è uno dei più scomodi fra i grandi pensatori. Molte delle sue frasi stanno lì come recipienti pieni di una bevanda forte e scot­tante, ma il recipiente non ha anse o ne ha poche»1• Baste­rebbe sostituire in questo brano ìl nome di «Hegel» con il suo, per caratterizzare d'un sol colpo Cornelio Fabro.

Pensatore essenziale, Fabro risulta innanzitutto scomodo a coloro che sono abituati alle costruzioni troppo prolisse e sistematiche e che riposano tranquillamente su sicurezze garantite da indiscusse tradizioni scolari.

«Vom Sanften oder Gewohnten bleibt nun keine Spur mehr iibrig. Hegel ist schwer, daran besteht kein Zweifel, er ist einer der unbequem­sten unter den gro!Sen Denkern. Viele seiner Satze stehen da als Gefa!Se, die mit starkem und feurigem Trank gefullt sind, aber das Gefa!S hat keine Handhabe oder wenig». E. BLOCH, Subjekt-Objekt. Erliiuterungen zu Hegel, Suhrkamp, Frankfurt am Main 19622, p. 18; trad. it. Soggetto­Oggetto. Commento a Hegel, a cura di R. Bodei, Il Mulino, Roma 1997, p. 14.

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Cornelio Fabro

Fabro è difficile da leggere, questo è vero; non però per vana artificiosità dialettica né per mera retorica ricercatezza, ma per l'impegno risolutivo verso il fondamento, che tra­bocca dall'inizio alla fine di una produzione intellettuale con pochi riscontri in tutto l'arco della storia, e per l'accoglienza dunque della chiamata, nell'orizzonte della libertà, di una presenza definitiva e salda dell'Essere - che non delude.

Il presente saggio sulla figura di Fabro è diviso in tre parti di diversa estensione e valore. Nella prima parte abbiamo cercato anzitutto di tracciare le linee elementari di una bio­grafia fabriana, seguendo da vicino sicuri punti di riferimen­to e testimonianze varie; si è tentato inoltre di presentare un po' l'itinerario intellettuale così come anche il caratteristico profilo di Fabro scrittore.

La seconda parte, quella più estesa, si pone l'obiettivo di fornire una presentazione, seppur frammentaria, di alcune delle opere. Lo scopo non è di fare una recensione e tan­tomeno un riassunto - cosa che avrebbe richiesto, almeno, di aumentare notevolmente l'estensione del volume, forse raddoppiarla e ancora più. Si è cercato invece di presentare, cioè di offrire al lettore la possibilità d'informarsi sul conte­nuto fondamentale e sulle problematiche proprie delle opere indicate, in maniera tale da permettere un'eventuale scelta, prospettando percorsi di studio secondo i diversi temi che appaiono, e da rendere possibile un minimo contatto effet­tivo con i testi fabriani.

L'ultima parte è quella più semplice e più complessa ad un tempo, sotto diversi aspetti. Si tratta dell'esposizione del pensiero: come ognuno può vedere, il pensiero si trova nelle opere e quindi in questo senso resterebbe poco da dire; tut­tavia si tratta di mostrare l'articolazione organica del pen-

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Introduzione

siero fabriano, del suo interno muoversi e costituirsi come efficace tentativo di «tomismo essenziale», nel quale si fon­dono il cominciamento ontologico per la presenza formale e il cominciamento antropologico per la tensione esistenziale, nella reciprocità di verità e di libertà. Questa terza parte si chiude con una breve «panoramica fabriana», che vorrebbe dare la possibilità di afferrare con un veloce sguardo, in po­che pagine, le linee più essenziali del pensiero di Fabro.

A queste parti, che costituiscono «il corpo» dello studio, si aggiungono altre di carattere integrativo: la quasi totalità dell'intera bibliografia fabriana, una breve bibliografia se­condaria ragionata, più un testo inedito dello stesso Fabro.

Superfluo dire che si tratta di un primo approccio, di carat­tere piuttosto introduttivo: tanto resterebbe da dire, e l'autore è il primo a rendersi conto ~he Fabro meritava, senz'altro, pa­gine migliori. Ma se da queste che ha fra le mani, il paziente Lettore si sentirà spinto alla lettura diretta dei testi, nonché ad uno studio approfondito, esse avranno compiuto il loro scopo e l'autore potrà ritenersi pienamente soddisfatto. Anche perché resterà ancora aperta la possibilità di offrire uno studio più degno sul Nostro. Chissà che poi non tocchi farlo a qual­cuno che si sia servito del presente tentativo di guida.

Un sentito ringraziamento va ai fondatori e direttori della Collana Calogero Caltagirone e Gianluigi Pasquale, a Marco Cardinali direttore della Lateran Univesity Press e ai suoi collaboratori per il competente e saggio lavoro di consulen­za, progettazione ed organizzazione editoriale, e a Maria del Giudice (Segni) e Padre Orazio Cangialosi, IVI, che hanno gentilmente collaborato alla correzione delle bozze.

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La vita e il contesto

Vimpegno di una vita come indagine speculativa e ricer­ca vissuta

Il cammino del pensiero e il cammino verso leternità, che è la vita temporale, conformano in Fabro una profonda unità, anzi costituiscono il suo autentico e personale itine­rarium mentis in Deum. I..:essere, la libertà e Dio sono stati in Fabro, sì, temi di ricerca, ma soprattutto e prima di tutto perché sono stati «la vita stessa», come «indagine speculativà e ricerca vissuta» della fondazione della libertà.

Un'esistenza segnata dal mistero del dolore e della grazia

Terzo di quattro figli, nato a Flumignano (Udine) il 24 agosto 1911, Cornelio Fabro visse un'infanzia segnata dal mistero del dolore e della grazia1: due aspetti nei quali è pos-

1- Per queste nostre brevi note biografiche, Cfr. R. GoGLIA, Cornelio Fabro. Profilo Biografico Cronologico Tematico - da inediti, note di archivio, te-

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Cornelio Fabro

sibile riscontrare elementi che poi incideranno sul suo modo di fare fìlosofìa, poiché in essi si concentrano i nuclei dei suoi primi incontri con Dio, con l'essere e con la libertà, come anche col male, con la finitezza, quindi con il nulla2•

Fabro non potè, per motivo dei numerosi problemi di salute, frequentare le scuole elementari ed imparò a leggere e a scrivere a casa, dal fratello maggiore. In terza elementare riesce però a frequentare la scuola del paese e poi per la quar­ta si reca a piedi quotidianamente a Talmassons, dove ini-

stimonianze, Edivi, Segni 2010; anche N. DALLE VEDOVE, Padre Cor­nelio Fabro, maestro ed amico. Comunicazione al II Convegno sul tema «Cornelio Fabro, testimone di verità», Santa Croce in via Flaminia, Roma 1997 (adesso si trova anche sul sito web del «Progetto Culturale Cor­nelio Fabro»).

2 La grazia l'ha segnato a motivo della fede con la quale fu allevato, del

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· battesimo ricevuto al terzo giorno dalla nascita e del dono della voca­zione di cui ebbe il primo segno il giorno della prima comunione, più alcuni interventi speciali eh' egli stesso attribuisce alla Madonna delle Grazie. Facciamo un breve elenco degl'incontri con il dolore: nato otto­mesino indebolito, soffre per cinque anni di grave impotenza motoria, cosicché per spostarsi deve trascinarsi sul pavimento afferrando l'erba; cresce in uno strano isolamento, capisce tutto quel che si dice ma non può parlare; malessere generale con anoressia completa, rifiutando ogni cibo e piangendo di continuo (non aveva ancora quattro anni); poco tempo dopo, un grave attacco di tifo «nero» da portarlo agli estremi; poco tempo dopo ancora (1915) gravissima infezione di mastoidite e da lì a poco, una strana ·malattia della pelle, per cui diventò tutto una piaga (ventre, dorso, mani, piedi...). A causa di tanti travagli, egli stesso dichiarerà che «la morte per i primi 5-6 anni mi è stata sempre davanti agli occhi e il suo ricordo mi segnò per tutta la vita». Cit. da R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 23. La «muta e penetrante presenza» della morte si è intensificata poi con l'esperienza della seconda guerra mondiale, la fame e i bombardamenti a Roma. Fabro ricorda pure che durante la convale­scenza del tifo, durante le sere, quasi tutti i giorni gli faceva compagnia la cugina Teresina, la quale di lì ad alcuni mesi si ammalò di t.b.c. e morì: ciò significò un duro colpo alla sua sensibilità di bambino.

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La vita e il contesto

zia a primeggiare sui compagni. Finita la quarta elementare (1922) e decisa la vocazione, entra in seminario (minore) grazie all'aiuto di varie persone e circostanze, frequentando il ginnasio a Verona, dai PP. Stimmatini. Di quel periodo, appena quindicenne, ricorderà: «mi capitò fra le mani il Pe­done che divorai d'un fiato rimanendo stordito di gioia per alcuni giorni. Fin da allora la scelta era fatta: avrei studiato fìlosofìa, sempre e soltanto fìlosofìa»3• Sono questi gli unici anni «regolari» di studio, che dovette però interrompere per iniziare il noviziato il 1 novembre 1927.

Fa il primo anno di liceo durante 1928-29, e poi segue in maniera accelerata i programmi dei successivi corsi all'in­terno della Scuola apostolica Be.rtoni, completando privata­mente gli studi liceali presso il Santuario Mariano di Orto­novo. È inviato poi a studiare alla Lateranense (1929-1931), ottenendo la laurea in fìlosofìa con una tesi sull'oggettività del principio di causalità contro la critica di Hume4. Per gli studi di teologia è stato inviato poi all'Angelicum, dove pren-

3 Cit. da R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 31. E ancora: «senz' aspettare i primi sussulti dell'adolescenza, l'intera mia vita è stata per la fìlosofìa con una dedizione continua e assoluta senza ripensamenti o pentimenti: ogni sera, già adolescente, sfogliando le mie carte di appunti aspettavo una sua carezza ed ogni mattina, aprendo gli occhi al miracolo della luce, rinnovavo con gioia il mio proposito gagliardo. A questo fui educato fin dall'infanzia [ ... ] dalla vita stessa fin da principio». Ivi, p. 32. (Corsivi nostri). Per molti dati autobiografici, suor Rosa attinge all'ancora inedita <<Autopresen'tazione» del 1987.

4 Durante il periodo romano si trasferisce nella casa stimmatina di «Sant'Agata dei Goti». A Genzano (Roma) pronuncia la professione per­petua il 25 agosto 1932 e riceve l'ordinazione diaconale 1'11 novembre 1934. Prima di questa, inoltre, 1'8 settembre 1934, sarà destinato come organista - suonava stupendamente - alla parrocchia della Santa Croce al Flaminio.

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Cornelio Fabro

de forma la sua passione sempre più. intensificata per il pen­siero di san Tommaso5• Il 20 dicembre 1934 gli viene con­ferito presso il Palazzo della Cancelleria il primo premio del concorso sul principio di causalità: è per quel concorso che presenta per la prima volta la sua intuizione fondamentale sulla centralità della partecipazione in san Tommaso, eh' egli stesso attribuisce a un «sogno speculativo»6.

5 «I superiori fortunatamente decisero di farmi seguire all'Università dell'Angelicum: avrei avuto il vantaggio di un corpo docente internazio­nale, una buona biblioteca con un discreto servizio di riviste. Mi accorsi però che il vantaggio più notevole era la lettura della "Somma Teologica" di San Tommaso e la graduale iniziazione all'intera sua opera». Cit. da R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 41. (Corsivi nostri).

6 «Non invento, è pura storia. Feci un "sogno speculativo". Verso la metà di febbraio feci un "sogno speculativo" a questo modo: la formula ra­dicale del principio di causa deve (poter) esprimere la dipendenza reale prima radicale doè la creazione. Subito mi alzai di scatto e ancora in pigiama mi misi al tavolo; aprii la Summa Teologica, q. 44,1: "Utrum sit necessarium omne ens esse creatum a Deo" e lessi subito nell'art. "Ne~ cesse est dicere omne ens, quocumque modo est, a Deo esse". Eureka! Era il testo che faceva per me. Mi buttai sulle altre opere e riscontrando i luoghi similari dal Commento alle Sentenze fino agli ultimi Quodlibeti (I, III, XV, ... ) ed al mirabile opuscolo incompiuto De substantiis separatis, trovai che la nozione metafisica di partecipazione diventava sempre più esplicita e dominante non solo per la dimostrazione della creazione, ma anche per le altre forme di dipendenza radicale. Nel paio di settimane che restavano ancora a mia disposizione rifeci completamente il mio lavoro. Mi passò subito l'angoscia». Cit. da R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 43. Dal periodo universitario romano Fabro conserva speciali ricordi di alcuni professori, tutti domenicani: P. Benedetto Cialeo, docente di fìlosofia al Laterano, che una volta gli disse «verrei a lezione da te»; il celebre Pedro Lumbreras, professore di morale all'Angelicum, che avendo letto il suo elaborato s4l medium prudentiae lo chiamò e lo trattenne per circa due ore, confidandogli di non avere mai letto qualcosa di simile; poi, P. Simonin, professore di Storia dei Dogmi all'Angelicum, dal quale apprende la profondità della ricerca sulle fonti ed il criterio storico.

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La vita e il contesto

Con dispensa dall'età canonica ricevette lordinazione sa­cerdotale il 20 aprile 1935, sabato santo, in San Giovanni in Laterano. Celebrerà la prima Messa solenne a Flumignano il 29 giugno, ritornando nel paese dopo tredici anni di assen­za. Poco dopo, il 7 luglio, otterrà presso I'Angelicum la laurea in teologia (Summa cum laude).

restate del 1935 è il periodo del soggiorno alla Stazione zoologica di Napoli, dove si reca con il professore Reverbe­ri7 per lo studio dei problemi fondamentali e degli stretti rapporti fra biologia e filosofia. Nel 1935-36 è iscritto al secondo corso di Scienze Naturali all'Università di Padova, e nel 1937-38 al terzo anno in quella di Roma. Assistette alle lezioni del Gentile e a qualcuna del Carabellese (autunno 1936). Durante l'anno scolastico 1936-37 frequenta dei cor­si all'Angelicum, e nel contempo fa da assistente di Reverberi nell'insegnamento di psicologia sperimentale, embriologia e biologia al Seminario Romano. Ma è questo anche il perio­do in cui si dedica alla stesura della tesi sulla partecipazione, che difende ottimamente il 30 ottobre 19378•

La prima esperienza di docenza risale a metà ottobre 1935, con le lezioni di filosofia per i chierici dell'Istituto Stimma-

7 Lo stimolo per le ricerche fabriane sul campo della psicologia sperimen­tale è dovuto ad un corso tenuto dal Reverberi sulla Gestalt in quel!' anno. Fabro manifesterà molta riconoscenza per questa «parentesi scientifica» perché gli consentì di assimilare la serietà nel perseguire un compito per tutta la vita come anche il clima di cordialità· nel comune impeg~o di ricerca. Cfr. R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 63.

8 Sul modo d'impegnarsi nella stesura della tesi si legga la seguente di­chiarazione di Padre Nello: «In una confidenza fattami posteriormente mi faceva intendere che nello scrivere sulla partecipazione si era sentito così assorbito da non avvertire quasi la parte sensibile del suo essere». N. DALLE VEDOVE, Padre Cornelio Fabro, p. 7.

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Cornelio Fabro

tino. Gli studenti restano meravigliati perché, come ricorda un confratello, «non era più la pedissequa lettura ed espo­sizione di un testo scolastico, per di più, in latino ma uno svolgimento originale, vivo e coinvolgente, in lingua italia­na, dei vari problemi suscitati dal trattato della Cosmologia, prima, e poi, nel secondo semestre, della Psicologia, alla luce dei principi di S. Tommaso, con i suoi più accreditati com­mentatori e con aggiornamenti che arrivavano fino all'ulti-. missima produzione in campo filosofico e scientificm>9•

9 Di quel periodo ricorda ancora P. Nello che «faceva impressione la sua assiduità nell'applicazione allo studio. Sembra incredibile, ma in quel primo anno io non l'ho mai visto prendersi uno svago, con un passeggio o un po' di sport. Avevamo un vasto orto con ampi cortili, alla SS.ma Trinità. Mai che P. Fabro scendesse una volta per prendere una boccata d'aria lungo i viali o a trattenersi in ricrezione .con gli studenti. Cosicché quando alla fine dell'anno scolastico lo vidi finalmente giù nel nostro orto ebbi come l'impressione di una cosa strana». N. DALLE VEDOVE, Padre Cornelio Fabro, p. 5. (Corsivi nostri). A Fabro piaceva molto giocare a calcio. :Lunico «svago» in quell'anno è stata l'assistenza di una casa di orfanelle, dove era cappellano, confessore, insegnava n catechismo, con speciale zelo ed amore ed una dedizione davvero straordinari. P. Nello aggiunge altri ricordi su Fabro sacerdote, ai tempi della parrochia al Fla­minio: «Posso dire del suo zelo apostolico in modo superlativo. Il suo confessionale, che era accanto al mio, lo vedevo sempre affollato di fedeli per tutta la mattina delle domeniche e feste. Alle ore 12.00 usciva per celebrare la S. Messa, con quelle famose omelie, che venivano ascoltate da una folla strabocchevole. [ ... ].Non posso omettere le sue conferenze nella sala Costantiniana, dove il concorso era così grande da rendere · insufficiente l'ambiente, gli uditori, specialmente giovani universitari, si stipavano sul corridoio e fìn sulle scale. Non parlo poi delle persone di tutti i ranghi che lo venivano a consultare, verso tutti si mostrava di­sponibile al limite del suo tempo, perché l'insegnamento all'Università di Perugia e la sua produzione fìlosofìca lo assorbivano immensamente». lvi, p. 11. Dall'ottobre 1949 fìno al 1984 e oltre, terrà l'omelia delle do­meniche e feste in S. Croce al Flaminio assieme a cicli vari di conferenze culturali.

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La vita e il contesto

Oltre all'assistenza al Reverberi, nel 1937 insegnerà all'Ur­baniana, dove sarà incaricato sulla cattedra di biologia e psi­cologia razionale (1938), straordinario di metafisica (1939) e

. poi ordinario (1941). Questo periodo è anche il periodo degli studi e pubblicazioni sull'esistenzialismo e del primo incontro con Kierkegaard. Nominato Decano dell'Ateneo Urbaniano (biennio 1947-49) continuerà poi a insegnare lì per più di trent'anni. Nel marw-aprile 1949 partecipa al I Congresso In­ternazionale di Filosofia (Mendoza, Argentina) co~ Ugo Spiri­to e Nicola Abbagnano come rappresentanti dell'ltalia10•

Il 13 dicembre 1950 tiene la sua prima lezione come Libe­ro Docente all'Università di Roma, per il corso sul problema dell'esistenza in Hegel - di cui non si era prima trattato - e nello stesso anno diventa membro della Soren Kierkegaards Selskabet di Copenaghen, appena fondata: a causa della sua autorità in materia venne invitato cinque anni dopo dall'Uni­versità di Copenaghen come relatore ufficiale al Congresso di Studi Kierkegaardiani in occasione del centenario della mor­te. Nel 1954 vince la Cattedra di Filosofia teoretica presso l'Università di Napoli, e in quel medesimo anno diventa Straordinario di Filosofia teoretica e direttore clell'Istituto Universitario di Magistero «Maria SS. Assunta» di Roma11 ,

ora Libera Università Maria SS. Assunta (LUMSA). Pure in

1 O I: aereo subì serie difficoltà e iniziò a bruciare proprio in mezzo all'oceano. Prof. Spirito lo destò, impaurito, e P. Fabro, raccomandatosi alla Ma­donna, continuò in piena tranquillità con il suo riposo. Osserviamo tra laltro che è stato presente attivamente in 75 Congressi, di cui 9 ali' estero. Il ritmo e l'intensità della sua attività accademica è spasimante, come risulta dalle cronache dei confratelli.

11 Per superare il concorso per la «Libera docenza» presenta due pacchi di pubblicazioni oltre ai volumi La nozione metafisica di partecipazione, La fenomenologia della percezione e Percezione e pensiero.

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quell'anno si recherà a Lovanio, dove terrà il corso «Parteci­pazione e causalità» (nei giorni 19, 22, 24 e 26 novembre) sulla cattedra «Card. Mercien> e riceverà la medaglia d'oro. Terrà inoltre durante gli anni 1954-55 delle omelie che ver­ranno lette alla Radio italiana (Programma nazionale) e che poi verranno pubblicate col titolo Vangeli delle domeniche; due anni dopo pubblicherà anche Profili di santi12•

Segue un «breve» soggiorno a Milano dove si trasferisce nel 1956 per insegnare all'Università Cattolica del Sacro Cuo­re; lì è promosso Professore Ordinario di Ruolo (1957) 13•

Questo fatto assume particolare importanza perché Fabro è il primo sacerdote a vincere un concorso per la cattedra di filosofia teoretica dal tempo dell'unificazione dell'ltalia14: il volume presentato era Dall'essere all'esistente. Nel 1958 rien­tra a Roma15 e riprende l'insegnamento al Magistero di Ma­ria SS. Assunta. Anche in quell'anno è nominato consultore della congregazione per la Dottrina della Fede. Fonda poi nel 1959 presso la Pontificia Università Urbaniana il Pri-

12 Per gli scritti spirituali di Fabro, Cfr. M. ScHOPFLIN, Fabro nei suoi scritti spirituali, Edivi, Segni 2008.

13 Sulla partenza, scrivono nelle loro cronache i confratelli di Roma: «P. Fabro parte questa notte per la sua nuova sede di Milano. Lascia grande vuoto in Casa dove tutti noi ammirammo la sua vastissima e straordi­naria cultura [ ... ]. Anche a Roma gli ambienti ecclesiastici e secolari, specialmente intellettuali, si dolgono della sua partenza». E la comunità di Milano: «Arriva P. Fabro con 68 casse di libri ed il falegname che in 3 giorni gli sistema gli scaffali». Cit. da R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 89.

14 Il decreto porta la data 1 febbraio 1957 e la fìrma del Gemelli. 15 Scrive nei suoi appunti personali: «Ho lasciato l'Università Cattolica

di Milano (la gioventù studentesca era meravigliosa per capacità e per impegno) di mia iniziativa per riacquistare l'indipendenza e l'indispen­sabile serenità. Infatti le riebbi subito entrambe». Cit. da R. GoGLIA,

. Cornelio Fabro, p. 89. Ritorna con 102 casse di libri.

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La vita e il contesto

mo Istituto in Europa di «Storia dell'Ateismo». Nel 1960 è membro della commissione preparatoria e perito del Conci­lio Vaticano Il.

Nel 1965 è Professore Invitato d~la Notre Dame University (Indiana, USA), dove tenne il corso sul principio d'immanen­za e la genesi dell'ateismo, dalla cui rielaborazione, ampliata ed approfondita, vedrà la luce la celebre Introduzione all'ateismo moderno. Nel medesimo anno si trasferisce a Perugia, dove di­venta preside della Facoltà di Magistero {Università di Perugia AA. 1965-1967) e rimarrà dal 1968 al 1981 come ordinario di fìlosofìa teoretica della Facoltà di Lettere16•

Il primo lustro degli anni 1970 ci presenta un Fabro de­molitore nei confront~ della teologia progressista, con pubbli­cazioni e accuse che tanto scalpore destarono presso i simpa­tizzanti dei nuovi indirizzi17• Membro inoltre del Comitato d'onore costituitosi ad Aquino per la celebrazione ciel VII centenario di san Tommaso, fu designato oratore ufficiale del Comitato Ministeriale per la commemorazione di san Tom­maso tenutasi in Campidoglio, alla presenza del presidente della Repubblica e delle autorità dello Stato e della cultura (7

16 È questo, il «soggiorno perugino», il periodo principalmente dedicato · alla riflessione sulla libertà: «nella riflessione esistenziale, alla quale si è de­dicato principalmente l'insegnamento perugino, il primo principio è la volontà nell'eserdzio della sua libertà». C. FABRO, Appunti di un itinerario. ~rsione integrale delle tre stesure con parti inedite, R. Goglia - E. Fontana (edd.), Edivi, Segni 2011, p. 100.

17 Tanto è vero che «dall'Università Gregoriana [ ... ] partirono lettere in­dignate contro di lui, ma egli per tutta risposta fece sapere che avrebbe sfidato ad un pubblico dibattito nella stessa Università chiunque avesse. da rinfacciargli qualche denuncia o accusa». D. COMPOSTA, Cornelio Fabro, filosofo tomista (1911-1995), in «Instaurare omnia in Christo», xxx (2001), 1-2, pp. 9-10.

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Cornelio Fabro

marw 1974)18• Pochi giorni prima, era stato a Washington poiché il Consiglio Direttivo della <<American Catholic Philo­sophical Association» gli aveva conferito laAquinas Meda/ del 197 4, che ricevette durante il Congresso annuale (28 febbraio -3 marw 1974), con presentazione fatta da P. Norris Clarke, S.J., della Fordharn University19• In occasione di quel viag­gio, tenne anche un seminario presso il «Rockhurst College» dell'Università di Kansas City (Missouri) sul tema «Thomas Aquinas and modem Trends in Radical Freedom».

Ancora nel marzo del 197 4 ebbe un attacco d'infarto delle coronane inferiori: «La causa, a mio avviso, è stata di origine psichica che posso indicare nella tensione estrema di soffe­renza in cui venni a trovarmi per la campagna referendaria sul divorzio: non è necessario che ne dica di più, perché ne ho scritto nel volume La trappola del compromesso storico»20•

Uomo legato alle vicende del suo tempo, in questo volume Fabro esprimeva esplicitamente il suo pensiero sulla dottrina di Berlinguer, con dure e precise. critiche21 •

18 Tenne un discorso bellissimo, pubblicato con il titolo «S. Tommaso ma­estro di libertà» su «:C.Osservatore Romano» del 9 marzo (p. 5) e poi sulla rivista «Studium», LXX (1974), 2, pp. 155-168.

19 Ecco la spiegazione che dettero i responsabili: «La medaglia Aquinas. è data per eminente servizio nel campo della filosofia cristiana. Si è ritenuto che i suoi contributi al4 comprensione del pensiero di S. Tommaso debbano essere riconosciuti in modo speciale nel suo Settimo Centenario e che il conferimento della medagliaAquinas sarebbe il modo più adatto per farlo» ..

20 Cit. da R GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 27. Elenchiamo ancora i problemi di salute, che bisogna «leggere» in collegamento trasversale con la sua inten5a attività apostolica e accademica: Polipo alla gola (1925), appendicite (1934), ernia addominale (1950), ernia cervicale (1953), abbassamento delle corde vocali (1954), herpes zoster (1957), operazione di ernia al disco (1976).

21 In un'intervista si legge al riguardo: «La critica è serrata. Secondo padre Fabro il dialogo con i marxisti è soltanto un equivoco; e si può trasformare

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. La vita e il contesto

Nel 1978 è socio fondatore della Società Internazionale Tommaso d'Aquino, di cui fu presidente (il primo eletto dai soci) dal 1985 al 1991. Poi, anche fondatore e primo presi­dente del Centro Italiano di Studi Kierkegaardiani (Potenza, 1987). Fu inoltre collaboratore vicino dei Sommi Pontefici, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo Il, che gli affidarono diverse responsabilità22•

Fabro lascia ufficialmente gli impegni accademici a Peru­gia nel 1981 e viene messo in pensione, secondo la vecchia normativa, il 1 novembre 1986.

Il 9 febbraio 1995 viene ricoverato per accertamenti dia­gnostici e cure. Durante quei giorni riceve continue visite da parte dei Confratelli, parenti, colleghi, amici ed ex alunni. Il 20 aprile 1995 celebra in clinica il suo 60° di Ordinazione. Concelebrano la santa Messa intorno al suo letto i suoi Su­periori e numerosi Confratelli. Padre Fabro tiene un'omelia sul significato della presenza: Eucaristica, spirituale, stori-

in un cavallo di Troia, per un motivo molto semplice: il marxismo come ideologia non può cambiare, è materialista; e cercare un compromesso tra materialismo (sia pure dialettico) e trascendenza è evidentemente un assurdo in termini filosofici." Per questo hanno sbagliato tutti i "cristiani­marxisti" che, come osserva Fabro, hanno poi finito per fare la scelta del socialismo, rinnegando la propria origine cattolica>>. Quando il dialogo ci mette la coda, in «Il Settimanale», VI, (6 giu. 1979), 23, p. 22.

22 Di Paolo VI racconta: «Si lamentava che Gli mandassi le opere in omaggio senza chiedere mai udienza. Alla pubblicazione dell'Esercizio del Cristianesimo di Kierkegaard mi concesse l'udienza privata, che durò quasi un'ora: aveva una lunga lista di domande da farip.i in particolare sulla situazione della filosofia e della teologia nella Chiesa. Disse eh' era molto preoccupato più per la teologia che per la filosofia». Cit. da R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 132. Alla domanda poi, se il Papa potesse fare qualcosa per lui, Fabro rispose: «Una preghiera». Paolo VI insistette: «Cosa può fare di speciale per Lei il Papa?». E Fabro: «Una preghiera speciale». Cfr. lvi, pp. 133-134, per l'intera narrazione.

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Cornelio Fabro

ca, naturale e della presenza attuante la realtà dell'essere. Il giorno successivo concelebra dal letto, nell'anniversario del­la prima celebrazione, la sua ultima Messa. Erano presenti Mons. M. Sanchez Sorondo {concelebrante), suor R. Goglia e le professoresse Edda Ducci e Carla Tozzi. .

Trascorre gli ultimi giorni nella comunità di S. Croce al Flaminio, immobile nel suo letto, in atteggiamento me­ditativo e di profonda preghiera, senza lamenti e con nu­merose espressioni di gratitudine verso i confratelli e gli amici .che l'assistevano o lo visitavano. Nelle prime ore di giovedì 4 maggio 1995 è morto circondato dall'affetto dei Confratelli.

Interessi tematici ed evoluzione del pensiero

C'introduca la seguente dichiarazione di carattere auto­biografico: «soltanto la filosofia può portare avanti il pro­blema essenziale dell'uomo essenziale [ ... ] che è la ricerca della verità per la libertà e la difesa della libertà per la verità. [ ... ] Orientarsi e orientare sul dove si trova la verità e sul come nasca la libertà [ ... ] è stato questo il compito unico ed essenziale, il punto intensivo d,el mio qualunque cammino eh' è ancora in movimento perché la vita dello spirito non con­sente soste»23•

Rivolgere, pertanto, uno sguardo ai corsi tenuti durante gli anni di docenza ci consentirà di formarci una prima idea fondata, anche se forse un po' vaga, sull'orientamento e sui punti d'interesse di Fabro. Poi ci soffermeremo brevemente

23 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 28. (Corsivi nostri).

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La vita e il contesto

sugli aspetti che rivelano qualche sviluppo, come anche sulla trattazione di diversi argomenti e autori.

1935-36 - Biologia, Cosmologia e Psicologia razionale - «Studentato In­ternazionale dei PP. Stimmatini» (Verona).

1936-37 - Biologia (relazione tra filosofia e scienze biologiche), Metaphy-. sica - Università Lateranense (Roma).

1937-38 - Biologia, Metaphysica- Università Lateranense e Università Urbaniana (Roma).

1938-39 - Biologia, Metaphysica generalis et specialis - Università Late­ranense (Roma).

1939-40 - Metaphysica - Università Urbaniana (Roma). 1940-41 - Biologia (relazioni tra filosofia e scienze biologiche) - Univer­

sità Lateranense (Roma). - Metaphysica generalis et specialis - Università Urbaniana (Roma).

1941-42 - Psicologia razionale - Università Urbaniana (Roma). 1942-43 - Metaphysica generalis et specialis - Università Urbaniana

(Roma). 1943-44 - Metaphysica generalis et specialis - Università Urbaniana

(Roma). 1944-45 - Metaphysica generalis et specialis - Università Urbaniana ·

(Roma). 1945-46 - Metaphysica generalis et specialis - Università Urbaniana

(Roma). 1946-47 - Metaphysica generalis et specialis - Università Urbaniana

(Roma). 1947-48 - Metaphysicae prima elementa I - Propaganda Fide (Roma).

- Philosophia religionis - Università Urbaniana (Roma). 1948-49 - Metaphysicae prima elementa II - Propaganda Fide. - Philo­

sophia religionis, Psychologia religionis - Università Urbaniana (Roma).

1949-50 - Il problema dell'esistenza nella dialettica hegeliana - Univer­sità «La Sapienza» (Roma). - Psychologia religionis - Università Urbaniana (Roma).

1951-52 - Philosophia religionis- Università Urbaniana (Roma).

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Cornelio Fabro

1952-53 - Philosophia religionis- Università Urbaniana (Roma). - I principi dell'essere - Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma).

1953-54 - Il problema di Dio - Magistero «Maria SS. Assunta>> (Roma). - Metaphysica, Philosophia religionis - Università Urbaniana (Roma). - Participation ·et causalité- Université di Louvain (Belgio).

1954-55 - Il problema dell'animt[l - Magistero «Maria SS. Assunta>> (Roma). - Metaphysica, Philosophia religionis - Università Urbaniaria (Roma).

1955-56 - Il problema dell'essere - Magistero «Maria SS. Assunta>> (Roma). - Philosophia religionis- Università Urbaniana (Roma). - Principio d'immanenza e genesi dell'ateismo - Notre Dame University (Indiana, USA).

1956-57 - Istituzioni di Filosofia- Università Cattolica del Sacro Cuo­re (Milano).

1957-58 - Essere ed esistenza in Hegel- Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano).

1958-59 - I principi dell'essere - Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma). - Historia Philosophiae modernae - Università Urbaniana (Roma).

1959-60 - Dio e l'uomo - Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma). - Metaphysica: introductio in S. Thomas - Università Latera­nense (Roma).

1960-61 - Introduzione all'ateismo moderno - Università Urbaniana (Roma). - L'assoluto nella filosofia - Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma). - Metaphysica- Università Lateranense (Roma).

1961-62 - De HistoriaAtheismi- Università Urbaniana (Roma). - Essere e agire - Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma). - Metaphysica- Università Lateranense (Roma).

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La vita e il contesto

1962-63 - Libertà e pensiero nell'uomo - Magistero «Maria SS. Assun­ta» (Roma). - Introductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma).

1963-64 - Essere e'pensiero - Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma). - Introductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma).

1964-65 - !:essere e la causalità- Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma). - Cursus ]uridicus: de atheismo marxistico - Università Urba­niana (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma).

1965-66 - Il problema della libertà - Magistero «Maria SS. Assunta» (Roma). - Introductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma). - Storia della Filosofia, Essere e verità - Magistero di Perugia.

1966-67 - La crisi della ragione nelpensier.o moderno - Magistero Perugia. - Introductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma). - Essere e verità (Il ritorno al fondamento) - Università degli Studi di Perugia.

1967-68 - Essere e libertà - Università degli Studi di Perugia. - Introductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma).

1968-69 - Il problema della libertà nell'esistenzialismo - Magistero Perugia. - Hegel e Marx - Università degli Studi di Perugia. - Introductio in atheismum modernum - Università Urbania-na (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma).

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Cornelio Fabro

1969-70 - La libertà in Hegel- Università degli Studi di Perugia. - La libertà in Kierkegaard (seminario), lntroductio in athei­smum modernum - Università Urbaniana (Roma). - Metaphysica - Università Lateranense (Roma). - Introduzione alla Filosofia (Istituto Sturzo).

1970-71 - L'uomo e la.filosofia - Università degli Studi di Perugia. - lntroductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma). - Filosofia della religione - Università Lateranense (Roma).

1971-72 - Esperienza, scienza e filosofia - Università degli Studi di Perugia. - Filosofia della religione - Università Lateranense (Roma).

1972-73 - Libertà e storia - Università degli Studi di Perugia . ..,. Filosofia della religione - Università Lateranense (Roma).

1973-7 4 - I fondamenti esistenziali della libertà - Università degli Stu­di di Perugia. - lntroductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma:).

197 4-75 - Tempo e storia - Università degli Studi di Perugia. - lntroductio in atheismum modernum - Università Urbania­na (Roma).

1975-76 - L'io e la storia - Università degli Studi di Perugia. - lntroductio in atheismum modernum - Università Urbaqia­na (Roma).

1976-77 - L'io e la società in Feuerbach - Università degli Studi di Perugia. - Q Q. ex Atheismo marxistico - Università Urbaniana (Roma).

1977-78 - Ideologia e libertà nel pensiero moderno - Università degli Studi di Perugia.

1978-81 - Analisi esistenziale della vita quotidiana [Ciclo a Perugia]. 1978-79 - [1] Essere nel mondo - Università degli Studi di Perugia.

- Lezioni (9-16-23 nov.) - Pontificia Università di San Tom­maso (Roma).

1979-80 - [2] Essere nel corpo - Università degli Studi di Perugia.

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La vita e il contesto

1980-81 - [3] Essere nell'io - Università degli Studi di Perugia. 1981-82 - L'emergenza dell'essere in S. Tommaso - Università degli Stu­

di di Perugia. 1982-83 - Necessità e libertà in S. Tommaso - Università degli Studi di

Perugia. 1982-83 - Corsi di specializzazione - Pontificia Università di San Tom­

maso e LUMSA.

I.:elenco dice già, molto - ad una lettura attenta. C'è la presenza pressoché costante della metafisica, unita alla competenza dello storico con specializzazione in filosofia moderna, oltre ad elementi che collegano religiosità e rifles­sione esistenziale: da notare fin dall'inizio l'interesse per la filosofia della religione, quindi per il problema di Dio. La problematica esistenziale si accentua e si fa predominante verso la fine.

Per quanto riguarda gli autori, san Tommaso è un po' dappertutto, anche se non sempre compare nei titoli dei corsi. Poi i primi posti spettano a Hegel, al marxismo (con la sinistra hegeliana) e a Kierkegaard24•

Le tematiche «portanti» del pensiero fabriano, diciamo­lo subito, sono l'essere e la libertà; non però come direzio­ni disparate, ma piuttosto convergenti, verso la risoluzione dell'enigma dell'u~mo nella sua vocazione all'incontro con Dio.

Stando all'aspetto dinamico, o storico-evolutivo, è pos­sibile individuare diversi momenti di dominio, alternante, delle due tematiche, e sempre con variazioni, nel senso così caro a Fabro di un «divenire dell'identico».

24 Ledizione delle dispense è prevista per la terza parte della serie delle· Opere Complete, ormai in corso.

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Cornelio Fabro

In un primo periodo è innegabile il predominio del­le ricerche metafisiche, tutte protese verso il recupero dell'originalità dell'esse tommasiano, alla luce della no­zione di partecipazione. Qui l'indagine metafisica va di pari passo con le ricerche storiche, che portano Fabro ad accentuare progressivamente le sue differenze con la scuola tomistica in materia di esegesi del pensiero del santo Dottore, e a mantenere serrate polemiche con certi, a suo giudizio, fuorvianti tentativi d'interpretazione. San Tommaso però l'ha studiato sempre, come si può vedere dai continui confronti con Heidegger e con Hegel dagli anni '50 in poi25 •

Negli anni '40 avviene l'incontro con l'esistenzialismo, e così il farsi avanti della problematica esistenziale e la tema­tizzazione progressiva della libertà radicale.

Riguardo a Kierkegaard, trovò provvidenzialmente il suo nome in un articolo mentre era immerso negli studi della logica di Hegel: da lì a poco, imparerà il danese in due mesi per poter leggerlo e tradurlo. Appena uscito poi «dall'incu­bo e dal trauma della guerra» s'imbattè nel volume Letre

25 Come un prolungamento dei suoi studi nel campo delle scienze empi­riche, è da collocarsi anche in questo periodo tutta la sua indagine su argomenti di psicologia cognitiva. Fabro stesso ci spiega l'intenzione di fondo che lo guidava: «Dal 1935 al 1940 mi ero occupato prevalente­mente di inetafìsica e fenomenologia [ ... ]: l'intento era di orientarmi sulla tensione di trascendenza-immanenza che polarizzava in Italia e fuori l'opposizione fra il pensiero classico e il pensiero moderno». Da qui, aggiunge subito, le direzioni tematiche dello studio: «Questo mi portò ad ingolfarmi nello studio dell'idealismo tedesco e specialmente di Hegel, che ho sempre continuato soprattutto sotto la spinta delle risoluzioni antitetiche dell'esistenzialismo e del marxismo». C. FABRO,

Parlano i filosofi italiani, intervista di V. Verra, in «Terzo Programma RAI», (1972), 3, p. 137.

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La vita e il contesto

et le néant di Sartre26• Non solo Kierkegaard e Sartre però. Fabro s'impegna con sincerità ad approfondire le istanze del­la nuova fìlosofìa nascente, e studia anche Sein und Zeit di Heidegger, Marcel, e inoltre Nietzsche, Chestov e gli aspetti esistenziali della produzione di Dostoievski27•

Fabro si diede fìn dall'inizio «con costante impegno» allo studio di Kierkegaard, un pensatore che era stato mistificato e che riteneva chiave per il superamento delle maglie del si­stema, dedicandogli il meglio delle sue capacità: i suoi scritti costituiscono un punto di riferimento essenziale per qual­siasi indagine seria sul pensatore danese. Le sue traduzioni sono celebri.· Nel 1948 uscirà il primo dei 3 volumi della prima edizione del Diario (1948-1951), che vedrà diverse ristampe e riedizioni, fìno all'ultima in 12 volumi (1980-1983) dei quali il primo è l'Introduzione, di 174 pagine. Affascinato dalla tensione spirituale del pensatore danese, farà una raccolta di Preghiere (1951, con più edizioni fìno al 19795) e un'antologia (1952; 1961 5), che poi darà luogo al volume Soren Kierkegaard. Il problema della fede (1978).

26 «Vimpressione fu profonda e complessa», dichiara. «Da una parte questa "filosofia del nullà' mi sembrò (e mi sembra tuttora) l'inevitabile punto di arrivo dell'immanentismo moderno; dall'altra parte al fondo del cogi­to-volo moderno stava un'istanza di libertà radicale che mi affascinava e che vedevo frustrata dalle forme più diffuse del pensiero contemporaneo. Abituato ormai alla lettura dei classici inglesi (specialmente Hume) e tedeschi (specialmente Kant, Fichte e Hegel), confesso di aver prestato scarso interesse alla filosofia italiana ufficiale: cascami di positivismo e idealismo, per lo più seguaci di Ardigò, Croce e Gentile, un fenomeno di dissoluzione in cui è finita anche la cosiddetta scuola neoclassica della Cattolica di Milano avvicinatasi a Gentile e sfociata ora nel nichilismo di Emanuele Severino». C. FABRO, Parlano i filosofi italiani, p. 138.

27 Per un elenco degli articoli su questi argomenti, poi pubblicati nei vo­lumi sull'esistenzialismo, Cfr. la bibliografia sotto.

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Cornelio Fabro

Editerà anche le traduzioni separate delle opere principali, sempre con profondi studi introduttivi: Il concetto dell'ango­scia (1953), La malattia mortale (1953), Briccioledifilosofia. Postilla conclusiva non scientifica (2 volumi 1962), Esercizio del Cristianesimo (1971), Dell'autorità e della rivelazione. Il «Libro suAdler» (1976), Gli atti dell'amore (1983), Timore e Tremore (1986), johannes Climacus ovvero «De omnibus du­bitandum est» (1989). Va ricordata anche l'importantissima edizione delle Opere (1972; con più ristampe).

Hegel è un altro autore molto studiato da Fabro. Anche se da sempre era abituato alla sua lettura, l'applicazione di­venta più decisa verso gli anni '50 e si acc;entua per tutto il decennio. I riferimenti però di Fabro a Hegel sono pratica­mente costanti, nella maggior parte degli articoli e pubblica­zioni, lungo tutto l'arco della vita .. Negli anni '50 lo studio di Hegel è collegato anche al problema storico-speculativo della dissoluzione dello hegelismo ad opera dell' esistenzia­lismo e del marxismo, senza prescindere dal passaggio per Feuerbach28 • Terrà inoltre dei corsi sulla libertà e sulla storia in Hegel, e vorrà pubblicare nel 1988 La prima riforma del­la dialettica hegeliana, pubblicato postumo nel 2004. Fabro rimarrà grato a Hegel per la radicalità nel prospettare il pro­blema del cominciamento.

Heidegger inizia ad attirare sempre con più forza l' attenzio­ne di Fabro a metà degli anni '50. Nel 1957 pubblica Dall'es­sere all'esistente, che contiene un'analisi molto profonda delle

28 «Mi occupai nel frattempo intensamente di studi hegeliani traducendo (con ampie Introduzioni e note) la "Grande Scienza della Logica" (Scuola Brescia, 1960, varie ristampe), Marx-Engels, "Materialismo dialettico e Materialismo storico" e L. Feuerbach, "Essenza del Cristianesimo"». Cit. da R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 94.

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sue opere postbelliche. Poi, durante i due decenni seguenti, gli dedica diversi articoli: mai però un'antologia o la traduzione integra di qualche opera; il motivo forse è da vedersi nel fatto che Heidegger continuava a produrre, e Fabro era molto at­tento agli sviluppi e i possibili esiti del pensiero heideggeriano. Per lui, il merito del filosofo tedesco «nel pensiero contem­poraneo può essere pari a quello di Parmenide, di Platone e di Aristotele nel pensiero classico, quello cioè di aver posto e svolto il tema dell'essere come costitutivo essenziale della veri­tà_ riportandola al suo significato originario»29•

Non soltanto per la questione dell'essere, ma anche per la libertà e per la lettura del pensiero moderno in chiave vo­lontarista, Heidegger va ritenuto una fonte importante del pensiero fabriano, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni '60, come si può anche vedere nella prolusione tenuta per l'inaugurazione dell'anno accademico a Perugia il 12 novembre 196730• Le ultime battute però sono durissi-

29 C. FABRO, Partecipazione e causalità, in C. FABRO, Opere Complete, voi. 19, Edivi, Segni 20102, p. 148. Era tutta una sfida, che gli consentiva di proporre all'uomo contemporaneo un san Tommaso rinnovato; perciò più avanti afferma: «Nulla forse, meglio delle ricerche di Hei­degger, può oggi richiamare al ripensamento dell'originalità speculativa dell'esse tomistico ed alla sua fecondità per I' approfond~mento dell' ori­ginalità dell'essere dell'uomo nel suo rapporto all'Assoluto». lvi, p. 636. E questo perché «nessun pensatore presenta una convergenza di istanze speculative così profonda e radicale con san Tommaso come Heidegger: è impossibile oggi pensare ad una ripresa veramente operante del to­mismo passando sopra alla lezione heideggeriana». C. FABRO, Il ritorno al fondamento. Contributo per un confronto fra l'ontologia di Heidegger e la metafisica di S. Tommaso», in «Sapienza», XXVI (1973), 3-4, p. 271. Si potrebbero citare molti testi di contenuto simile.

30 C. FABRo; Libertà ed esistenza nella filosofia contemporanea, in «Studium», LXIV (1968), 1, pp. 12-27.

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Cornelio Fabro

me: la sua speranza o attesa del «dio» è un «miraggio vuoto», la sua produzione è rimasta comunque dopo tanti anni un enigma, ed è un pensatore deludente31 •

Linteresse per il tema di Dio e dell'ateismo si fa sem­pre più forte, come consta dalle opere del periodo che ini­zia negli anni '60. Un'occhiata alla bibliografia è sufficien­te per verificare la presenza pressoché ·continua di articoli sull'ateismo, sul marxismo, ·sul problema di Dio. Nel 1964 esce la prima edizione da lui stesso dichiarato opus maius: la monumentale Introduzione all'ateismo moderno. Nel 1967 esce L'uomo e il rischio di Dio, che approfondisce e prolunga questi argomenti, e inserisce l'aspetto esistenziale della li­bertà nella problematica delle prove dell'esistenza di Dio: la tematica esistenziale si fa pertanto sempre più dominante e, oseremo dire, la prospettiva metafisica si mostra sempre più «pervasa» dalla prospettiva esistenziale, venendo tutte e due a collaborare in un'autentica simbiosi o integrazione armo­nica vitale, come annunziava già la conclusione di Dall'essere all'esistente.

La prospettiva esistenziale porta Fabro a tematizzare sem­pre più il problema della libertà e dell'io. La problematica dell'io spunta fortemente dagli inizi degli anni '70 - e si accentua verso la metà - come si vede da diverse comuni­cazioni e articoli. Quello sulla libertà in san Bonaventura32

31 Cfr. gli articoli C. FABRO, L'enigma di Heidegger, in «LOsservatore Ro­mano», (2.5.1987), p. 3; In., Un.filosofo elusivo-delusivo, in «LOsserva­tore Romano», (21-22.12.1987) p. 3; In., Un'ambigua attesa "del" Dio, in «LOsservatore Romano», (16.10.1988) p. 3.

32 C. FABRO, La libertà in S. Bonaventura, in Atti del Congresso Internazio­nale per il VII centenario di S. Bonaventura da Bagnoregio, t. Il, Editrice Miscellanea francescana, Roma 1976, pp. 507-537.

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La vita e il contesto

introdurrà delle osservazioni decisive riguardo alla struttu­ra della libertà e riguardo al ruolo del merito del pensiero moderno nella riflessione sull'io33• Sono molto importanti su questo punto le pagine dedicate a Kant e soprattutto a Fichte34, come anche a Hegel e a Kierkegaard. Queste rifles­sioni consentono a Fabro di tentare un recupero - a nostro avviso legittimo e riuscito - della concezione tommasiana del soggetto libero come causa sui, la cui espressione sarà la volontà come focultas princeps in virtù della sua modalità riflessiva. I.:ultimo punto di arrivo delle riflessioni fabriane sulla libertà è la concezione.di questa in chiave di «creatività partecipata»35, com'era stato un po' annunciato nella prolu­sione citata.

33 «}.;idealismo, aldilà dell'errore metodologico (il dubbio assoluto) e dell'errore sistematico (identità di essere-pensiero) e dell'errore (un "errore mostro") dell'Io trascendentale - al quale si rifà la "svolta an­tropologicà' della teologia odierna - ha il merito di aver fatto dell'io il tramite dialettico nonché il soggetto-oggetto della libertà». C. FABRO, La libertà in san Bonaventura, p. 528. Queste riflessioni verranno svi­luppate e approfondite in C. FABRO, Atto esistenziale e impegno della libertà, in «Divus Thomas (P.)», LXXXVI (1983), pp. 125-161, dove verranno cristallizzate nella formula «struttura egologica della libertà». Ivi, p. 135.

34 A Fichte, <;il classico della libertà», Fabro assegna un'importanza ecce­zionale. Si veda per esempio la prolusione sopra citata, pp. 15-.18 (con riferimenti anche a Schelling) e poi gli articoli: C. FABRO, Dialectique de la liberté et autonomie de la raison chez Fichte, in «Revue Thomiste», LXXXVIII (1980), 2, pp. 216-240; Io., Breve discorso sulla libertà (an­notazioni su Fichte), in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», LXX (1978), pp. 267-280. Anche l'appena citato Atto esistenziale con abbondanti rife­rimenti (Cfr. pp. 137-138, 150-159) e aperte dichiarazioni di vicinanza speculativa.

35 Cfr. C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, Maggioli, Rimini 1983, p. VIII. Da notare anche lespressione «essenza creativa».

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Aspetti vari della personalità e dello stile intellettuale di Fabro

Finita questa prima esplorazione sulle fonti, sulle tap­pe principali nonché sul contenuto del pensiero fabriano, è importante considerare quella che si potrebbe dire la sua «personalità intellettuale»: il modo d'indagare, il modo di scrivere, il modo di leggere.

Uno degli aspetti più caratteristici di Fabro, fin dall'ini­zio, è stato il novum. Non certamente il novum nel senso della «praesumptio novitatum», figlia della vanagloria, «quas homines solent magis admirari»36, o della superficiale curiosi­tà (Neu-gierigkeit, in tedesco, con significativa etimologia), bensì perché nuovo era il modo di scrivere, nuovo il mo­do d'interpretare, nuovo il modo di seguire san Tommaso, nuovo il modo di dialogare con le scienze, nuova la serietà nella lettura dei più vari e disparati autori, nuovi i problemi scoperti, nuovi i termini usati, nuovo il modo d'insegnare e nuove anche le luci intellettuali37• Illustriamo questo novum in alcuni ambiti.

Riguardo all'apertura ai traguardi delle scienze - e sceglia­mo soltanto tre esempi - già nella tesi sulla partecipazione si leggono delle pagine molto interess.anti nelle quali «confi­nano» il biologo e il metafisico, lì dove si parla della meiosi e

36 TOMMASO o'AQUINO, Summa Theologiae, II•-IJae, q. 132, a. 5. 37 «Erat enim novos in sua lectione movens articulos, novum modum et

clarum determinandi inveniens, et novas adducens in determinationibus rationes: ut nemo, qui ipsum audisset nova docere et novis rationibus dubia diffinire, dubitaret, quod eum Deus novi luminis radiis illu­strasset. Qui statim tam certi coepit esse judicii, ut non dubitaret novas opiniones docere et scribere, quas Deus dignatus esset noviter inspirare». G. DE Tocco, Vita S. Thomae Aq., c. 14, in Fontes vitae S. Thomae Aq., ed. Priinimer, p. 81.

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dei geni38• Altrettanto interessanti le osservazioni sulla (allo­ra!) «teoria del neurone»39 nei primo libro sulla percezione. [ultimo cenno punta verso la fisica: Fabro dedica un'appen­dice al principio d'indeterminazione di Heisenberg, alla fine della sua analisi del principio di causalità40, con spiegazione dettagliata delle formule tecniche, dimostrando un'incon­sueta competenza in quella materia.

In ordine al novum relativo alla terminologia filosofica, Fabro ha saputo coniare dei termini assai precisi e altrettan­to nuovi nella storiografia filosofica, ripensando in nianiera originale e tutta sua il contributo delle fonti alle quali attin­se. È di Fabro la formula «partecipazione predicamentale». (e anche «trascendentale») e quella di «apprensione sintetica originaria». È Fabro a parlare della «causalità predicamentale

38 C. FABRO, La nozione meta.fisica di partecipazione, in C. FABRO, Opere Complete, voi. 3, Edivi, Segni 20054, p. 403 {nota del curatore 178 a); Cfr. a p. 171 i riferimenti alla gametogenesi, a Mendel, a Morgan.

39 «Circa la stessa teoria del "neurone", oggi predominante, secondo la quale il tessuto nervoso è costituito da entità autonome e materialmente distinte». C. FABRO, La Fenomenologi.a della percezione, in C. FABRO,

Opere Complete, voi. 5, Edivi, Segni 20063, p. 349 n. 65. E un po' sopra: «Bisogna riconoscere alla fisiologia moderna il merito di aver aperto un po' il mistero del sistema nervoso. [.~.] [ma] nessuno dei problemi c~tati ha ricevuto ancora una risposta definitiva, malgrado l'immane lavoro a cui hanno atteso intere scuole di ricercatori, guidate da ingegni sagaci e penetranti. Teorie si succedono a teorie; nessuna delle quali raggiunge un suffragio universale» Ibidem. !:intero volume è imponente dal solo punto di vista dell'erudizione e dell'aggiornamento dei dati.

40 Cfr. il testo presentato per il concorso del 1934, appendice III, con ci­tazioni esplicite di Planck e di Heisenberg {pp. 12-18). Tre anni prima c'era una breve nota in appendice, nella sua tesi di laurea in filosofia Principii causalitatis necessitas objectiva ostenditur et defenditur secundum philosophiam scholasticam ab impugnationibus Humii, Angelicum, Roma 1931, pp. 85-89.

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dell'esse», è Fabro ancora a parlare dell' «esse intensivo», usan­do in maniera nuova il riferimento all'intensività, proprio di san Tommaso (albedo intensive) e di Hegel (intensive Totali­tiit). Sarà ancora Fabro a parlare di «riflessione intensiva», e di «cominciamento tomistico» e «parmenidismo tomistico», di transcendentale fundans originarium, di «metodo regressi­vo intensivo» e tante, ma proprio tante, espressioni ugual:­mente nuove, e tutt'altro che inutili e superfìciali41 •

Il novum si estende alla tematica stessa, già annunciata dai nomi e che si espande negli argomenti più vari. Fabro pre­senta in maniera originale la lettura del principio di causalità alla luce della partecipazione, una novità totale in ambiente tomista. Già negli anni '40 Fabro prospetterà un' «analitica dell'esistenza quotidiana», di stampo realistico, ma di note­vole carica esistenziale - da non confondere con I' esistenzia­lismo. E lo stesso Fabi:o riscopritore della partecipazione e dell'esse, si _incaricò di liberare S0ren Kierkegaard dalla piega irrazionalistica ed immanentistica a cui lo sottoponeva la let­tura di un certo esistenzialismo (di sinistra). Fabro rinnoverà completamente le· nozioni sulla libertà, e riscoprirà un san Tommaso fino a quei tempi nascosto, quello dell' «emergen­za qualitativa della volontà» - un'altra formula nuova.

Un altro aspetto di Fabro intellettuale è la sua sensibilità per lo sviluppo storico del pensiero. Ne dà testimonianza già dall'inizio la prima opera sulla partecipazione, nella quale si affronta, per la prima volta in ambiente tomista, lo studio storico-critico di san Tommaso tenendo conto delle fonti

41 Come esempio del novum nella forza espressiva, si veda il seguente brano, nel quale Fabro parla di riportare l'uomo «all'origine del logo essenziale per cogliere lo spirito nel suo stato nascente». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, PUL, Roma 1969, p. 5. (Corsivi nostri).

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e delle fonti nel loro preciso modo d'influsso. Così, il Nostro critica esplicitamente la tendenza di tanti commentatori a sistematizzare e codificare, che ha portato a perdere di vista il principio originario al momento sorgivo, e a un eccessivo sviluppo analitico della dottrina: atteggiamento nel quale s'intravede «una concezione quasi intemporale dei· proble­mi dello spirito, quasi che questi non fossero in alcun mo­do opera umana, soggetti quindi, come tutte le altre opere umane, a delle condizioni reali [ ... ] di sviluppo, in una pa­rola, soggetti a quella contingenza radicale che penetra ogni manifestazione degli esseri immersi nel tempo» 42•

Grazie a questa fine sensibilità per l'aspetto storico e per le condizioni reali dello sviluppo temporale del pensiero, sa­rà proprio Fabro a smontare con ~aldi fondamenti una volta per sempre il presupposto quasi dogmatico che vedeva in san Tommaso un Aristotele battezzato. Ma questa sensibilità non si riduce al pensiero di san Tommaso: per esempio, Fa­bro assume come criterio e guida fondamentale per lesegesi di Kierkegaard il Diario, che ne segna lo sviluppo spirituale e temporale43, con infaticabile interesse indagherà i diversi

42 C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, 16. E ancora in rife­rimento a san Tommaso, i suoi scritti debbono essere «studiati alla luce della critica storica e con riferimento alla problematica del tempo e delle fonti dirette e indirette alle quali S. Tommaso s'ispira: tutto questo ha una importanza capitale e incomparablemente superiore - per affermare il suo pensiero autentico - a quanto posso~o .aver detto i suoi massimi commentatori quando si mostrano sprovvisti, come si può mostrare, di quei criteri indispensabili alla lettura e comprensione di qualsiasi clas­sico». C. FABRO, Tomismo di domani, in «.Aqufnas», IX (1966), 1, p. 19.

43 «Di fronte all'ermeneutica di tipo statico, fondata prevalentemente sulla lettura staccata degli pseudonimi, pensiamo che si debba accettare il cri­terio di un continuo sviluppo nel senso di approfondimento che Kier­kegaard vien facendo delle sue idee fondamentali: tale sviluppo [ ... ] è

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e successivi tentativi di Hegel (e poi dei suoi seguaci) di ri­formare la dialettica44 e rintraccerà nelle .lose Bliitter e negli appunti per l'università altri segni di progresso nel pensiero kantiano45•

La sensibilità storica di Fabro oltrepassa tuttavia il mero aspetto · speculativo, facendone un uomo veramente im­merso nel suo tempo. Linizio della monumentale opera sull'ateismo è sintomatico. Scrive Fabro: «Non è facile dare un giudizio del proprio tempo. Il presente nel flusso dellà storia è - e altro non può essere - un punto di arrivo di cui vive ognuno di noi e dal ·quale non può astrarre, come in­vece deve astrarre chiunque si appresta a fare un giudizio e soprattutto quel giudizio risolutivo dal quale dipende lesito e il significato stesso dell'uomo. Eppure nessuno di noi può vivere senza quel giudizio, ossia senz'orientarsi sul senso che l'es­sere ha raggiunto per lui nel tempo che lo muove e lo chiude: anzi, sotto un certo aspetto, bisogna riconoscere che solo un contemporaneo può dare e fare il giudizio del suo tempo sia perché lui solo vive nell'atto del suo processo, sia e soprattutto perché è solo ad affrontare il rischio che il tempo porta con sé di ora in ora, di attimo in attimo» 46•

attestato e verificabile - come faremo - soprattutto con la guida del Diario della maturità cioè a partire specialmente dal 1849». C. FABRO,

Riflessioni sulla libertà, p. 161. 44 Il documento più importante al riguardo è l'opera C. FABRO, La prima

riforma della dialettica hegeliana, Edivi, Segni 2004. Come abbiamo detto, Fabro volle pubblicarlo nel 1988, come risulta dallo scambio di lettere con una celebre casa editrice, riportato all'inizio del volume.

45 Cfr. C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 294; anche p. 296, e in genere tutta la trattazione di Kant in quell'articolo.

46 C. FABRO, Introduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma 19692, p. 13. (Corsivi nostri). E poco più avanti: «Per questo è a noi anzitutto,

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Al di là della sola formulazione speculativa di un giudizio sul proprio tempo, Fabro «viveva nell'atto del suo processo» e seppe coraggiosamente «affrontare il rischio»: ed è per que­sto che s'immerse nei più vivi dibattiti della società italiana, sempre preoccupato per il bene delle anime e il trionfo della verità, come risulta da tanti articoli, sul divorzio, sul ma.rxi­smo, e su temi analoghi.

In collegamento e in continuità con questo suo interes­se per laspetto storico dei problemi del pensiero, bisogna rilevare anche l'erudizione di Fabro, una abbagliante eru­dizione, che gli consentiva di pronunciarsi con competen­za riguardo a tutti gli argomenti trattati e ai diversi autori, mai conosciuti per sentito dire, ma per diretto contatto; Tre esempi ci basteranno per illustrare questo aspetto.

Da profondo conoscitore del testo kantiano, del suo ritmo e della sua terminologia tecnica, Fabro fa delle accurate osservazioni sulle traduzioni della Critica della ragione pura fatte dal Colli e da Gentile: il primo, per esempio, traduce Erscheinung-Schein con «apparenza-illu­sione», mentre il secondo, che sarebbe più fedele ali' eti­mologia stessa riguardo a Schein, gli riserva «apparenza», cosa che invece non vale per Erscheinung che viene reso come «fenomeno»47•

Al momento di analizzare il principio della perfezione separata( ... quae non potest esse·nisi una ... ) Fabro trova che gli esempi ricorrenti in san Tommaso sono quello del calor

prima che ai posteri, che tocca parlare del nostro tempo, del suo volto spirituale, di ciò eh' esso è e dev'essere per ciascuno di noi».

47 Cfr. C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma 1967, p. 341 n. 22, dove Fabro fa notare che in realtà il Gentile segue «la traduzione francese di A. Tremesaygues e B. Pacaud».

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separatus e della albedo separata, e presenta una lunga serie di testi a conferma48 • Egli però non si limita al semplice elenco, ma rintraccia le fonti di queste immagini e, non soddisfatto da mere attribuzioni generiche, arriva a trovare lo spunto sia remoto che prossimo per l'analogia del calore in Aristotele e Avicenna, fornendo i precisi riferimenti. Già prima però, come riferimento più vicino a san Tommaso, riscontra le due analogie, con citazione precisa, in Teodo-rico di Chartres49 • ·

Nel volume su Hegel ci sono molti altri casi simili; Per dare qualche esempio, che riguarda le espressioni o grafie in­solite nelle citazioni tedesche, a p. 68, seguendo l'Erdmann, Fabro scrive Tathandlung con «h» (risulta Thathandlung) e a p. 11 O nelle citazioni del Chalybaus, si legge «Entwicke­lung» anziché «Entwicklung», e «subjective» con la «C» anzi­ché con la «lo>: tutti segni di lettura di prima mano, e di ope­re rare (e anche in gotico). Parlando ancora dell'Erdmann, dice Fabro: «Ho a mia disposizione la III ed., Halle 1848, con un'importante nuova prefazione dell'Autore e la IV ed. curata da G.J.P.J. Bolland, 1901 (do le pagine di ambedue le edizioni)»5°. Non mancano comparazioni fra diverse edi­zioni, come a p. 72, dove spiega che Fisher nella edizione del System der Logi,k di 1852 rimanda all'opera Bruno oder uber das gottliche und natitrliche Prinzip der Dinge, mentre nell'edizione del 1909 c'è un richiamo a Schiller e a Goethe: finezze di lavoro critico. E ancora sulle traduzioni, Fabro si permette inoltre di avvertire riguardo a qualche sbaglio,

48 Cfr. C. FABRO, Esegesi tomista, PUL, Roma 1969, pp. 126-128 (calor separatus) e pp. 128-130 (albedo separata).

49 Cfr. C. FABRO, Esegesi tomista, p. 126, n. 27. 50 C. FABRO, La prima riforma della dialettica hegeliana, pp. 67-68, n. 2.

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come quello di Giovanni Gentile, che «traduce "schliesst ... . " " 1 d " . h "" 1 d " 51 em con esc u e mvece e e con mc u e » .

Sono soltanto esempi. Ma sentiamo la voce autorevole del Gemelli, a conferma «estrinseca» di quanto detto: «Ho dato ad un valoroso giovane l'incarico di esporre critica­mente i risultati, i principi e la dottrina della "Gestalt", e soprattutto di dimostrare quale valore ha tale dottrina. [ ... ]. Mi preme attestare, perché questo ha una grande importan­za, che il Fabro ha preso conoscenza diretta di tutta la vasta I 52 tetteratura ... » •

«Interpretare un pensiero è riportare alla luce il suo princi­pio»: così la Premessa çhe dà inizio a Esegesi tomistica e Tomi­smo e pensiero moderno. Lo stile fabriano di fare ermeneutica è esemplare. Si legga il principio fondamentale a cui si richiama: «Per ogni classico dello spirito si tratta di cogliere, nella selva più o meno complessa della sua opera, lorientamento di fondo ovvero quello eh' è il suo pensiero essenziale: lessere di Parme­nide, il logos di Eraclito, l'idea di Platone, l'atto di Aristc;>tele, lesse di S. Tommaso ... come ciò eh' esprime ad un tt::mpo il punto di partenza del corso del nuovo pensiero nella crisi con quello precedente e nell'apertura con quello seguente»53•

Secondo Fabro, dunque, per fare una buona ermeneutica bisogna accostare il pensiero dell'autore in «tre momenti»:

51 C. FABRO, La prima riforma della. dialettica hegeliana, p. 81, n. 34. Per Gentile, Cfr. G. GENTILE, La riforma della. dialettica hegeliana, Princi­pato, Messina 1923, p. 91. Avendo aperto un Lexicon tedesco per la voce «Sprung», disse che mancava il§ 50 dell'Enciclopedia «ch'è il più im­portante: ecco la scientificità tedesca! Dal paragrafo 50 ha attinto anche Kierkegaard». R. GoGLIA, Cornelio Fabro; p. 96.

52 C. FABRO, La fenomenologia della.percezione, p. 419. Il testo è preso dalla presentazione alla prima edizione del volume.

53 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 407. (Corsivi nostri).

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1) il primo è quello di afferrare innanzitutto lorientamento di fondo, che si esprime nel proprio principio caratteristico dell'autore; 2) poi, collocare quel principio nella cornice del­la costellazione speculativa e culturale del tempo dell'autore; 3) per ultimo, liberare da quella costellazione storico-cultu­rale il principio, per trasferirlo all'interno della problemati­ca contemporanea e cosl riviverlo nella sua effettiva energia operante54•

Un altro aspetto, che si collega a quello precedente è l' ec­cezionale assimilazione e penetrazione, sintetica e organica, del pensiero dei singoli autori. Non solo di san Tommaso, ma anche degli autori antichi, come Parmenide, Aristotele, sui quali ci ha lasciato delle pagine memorabili; e degli auto­ri moderni, come Kierkegaard, Hegel, Kant e contempora-nei, come Heidegger. . ,

È per questa particolare penetrazione, vivace ed effettiva, sia della problematica che del pensiero degli autori, che egli può prospettare a più riprese degli accostamenti in chiave paradossale. Ciò si vedeva già, per esempio, nella relazi~ne

54 «Cosi i pensatori essenziali, mentre esigono, più di qualsiasi altro, di essere riportati al proprio momento storico, insieme lo trascendono nell'inizio di un nuovo cammino. È questo il "criterio dinamico" o dia­lettico, che dir si voglia, per l'interpretazione di quella storia incompara­bile ch'è lo sviluppo del pensiero umano nella quale si può ben dire che per comprendere Parmenide o Platone, S. Tommaso od Hegel... il primo passo è certamente il riferirsi al plesso storico-speculativo ch'era ad essi presente nella costellazione del loro tempo, ma il metodo adeguato -che quei grandi stessi hanno svolto da pari loro - è quello di liberare quel nucleo essenziale del loro pensiero dal limite del proprio tempo per "ripeterlo" ossia ripensarne l'istanza dall'interno della problematica speculativa del nostro tempo così da poter trasferire quello in questa e riflettere questa in quello». C. FABRO, Tomismo e pemiero moderno, p. 407.

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sull'essere in Hegel e san Tommaso, dove esplicitamente par­la di «corrispondenze antitetiche»55, come anche nell'articolo sul Fondamento, dove parla di una «divergenza convergente o convergenza divergente che stimola a un confronto di estrema tensione [ ... ] per una dialettica positiva fra Heidegger e san Tommaso: convergenza di istanze, divergenza di prospettive - ma più che le formule, sono i problemi stessi che devono guidare il confronto»56•

I.:ultima dichiarazione del testo citato è molto importan­te per vedere come Fabro legga, e come Fabro scriva. Egli preferisce evitare le esposizioni prolisse e troppo sistemati­che, e ogni tanto ci lascia tracce di questo, come quando afferma di preferire restare fedele al «principio metodologi­co di non subordinare i dati immediati della Fenomenolo­gia ad alcun principio sistematico»57• La citazione ci mostra l'imparzialità della ricerca; ma poi, sul piano propriamente espositivo, si veda questa spiegazione: «Ci si può limitare a cogliere i lati deboli e le falle che si aprono ai lati del sistema, oppure passare al confronto dei princìpi e delle conclusioni della posizione avversaria con i princìpi e le conclusioni del

55 C. FABRO, Dall'essere all'esistente, Morcelliana, Brescia 19652, p. 31. 56 C. FABRO, Il nuovo problema dell'essere e la fondazione della metafisica,

in «Rivista di fìlosofìa neoscolastica», LXVI (1974), 2-4, pp. 475-476. (Corsivi nostri). Per il confronto con Heidegger si veda anche C. FABRO,

Il ritorno al fondamento, pp. 265-278. Ci sono molti altri esempi. Si veda quest'ultimo, che racchiude una dichiarazione di preferenza: «è in forma paradossale che presenterò a mia volta le mie conclusioni citando i seguenti testi dei due pensatori che ho più studiato fra gli altri, che amo particolarmente ed a cui mi sento più vicino». C. FABRO, .Dall'essere all'esistente, pp. 181-182. Segue un confronto fra testi di Kierkegaard e san Tommaso.

57 C. FABRO, L'anima. Introduzione al problema dell'uomo, Studium, Roma · 1955, p. 48.

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proprio sistema, ormai organizzato; si può inoltre cercare, seguendo passo passo lo svolgersi del problema, di penetrar­ne il senso e di discernere le esigenze reali del medesimo cl.a quelle fittizie~ fin qui noi ci siamo attenuti a quest'ultima for­ma di discussione e vogliamo ancora conservarla poiché con essa il lavoro riesce critico, a un tempo, della posizione avversaria e costruttivo della propria»58•

Sulla capacità di penetrazione intellettuale, ha un valore tutto speciale la dichiarazione esplicita di un contempora­neo. Erano arrivati a Severino i «voti» emessi dalla commis­sione a cui la Sacra Congregazione aveva affidato lo studio delle sue opere. I voti non erano firmati. Ma in una lettera a Fabro, egli dichiara di avere «subito capito quale potesse convenire alla scrittura filosofica di un Fabro», e prosegue: «ho letto il più approfondito e il più ampio dei tre "Voti" con estremo interesse e mi sono trovato di fronte alla compren­sione più penetrante e più "concretà' del mio lavoro»59•

Fabro si presenta dunque come un lettore acuto e profon­do. Questo si può vedere anche «tra le righe» in certi passi delle sue opere: «S. Tommaso eh' è un pensatore creativo e sempre in movimento, e non un qualsiasi Wolff sedentario e sistematico, agita questi motivi con grande libertà di for­mule nelle sue varie opere a seconda dei vari contesti: tocca all'interprete afferrare l'intima coesione»6°. Tre righe le quali rivelano l'intenso lavorìo intellettuale che c'è dietro la let-

58 C. FABRO, Percezione e pensiero, in C. FABRO, Opere ·complete, voi. 6, Edivi, Segni 2008, pp. 432-433. (Corsivi nostri).

59 C. FABRO, L'alienazione dell'Occidente. Osservazioni su Emanuele Seve­rino; Quadrivium, Genova 1981, p. 5. La lettera del Severino porta l'in­dicazione: Brescia, 29.1.1970. (Corsivi nostri).

60 C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 402. (Corsivi nostri).

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tura fabriana dei testi di san Tommaso. Come anche l'altra dichiarazione, sull'emergenza della volontà: «Infatti scrutan­do l'intima esigenza della presenza del Bene assoluto come felicità perfetta e la sua sollecitazione radicale rispetto al­lo spirito finito, si deve ammettere una certa qual priorità di natura trascendentale della volontà e del dinamismo suo proprio rispetto all'intelligenza.>>61 • Quel «scrutando» ci con­sente d'intravedere il travagliato processo di maturazione e riflessione intellettuale.

Questo aspetto è anche legato alla sua notevole capaci­tà di ricerca. Fabro si presenta infatti come un ricercatore instancabile. Egli stesso ci racconta, per esempio, di essersi avvicinato alle opere di Kierkegaard «tuffandomi in un lavoro che diventava sempre più impegnativo e affascinante [ ... ]. Kier­kegaard, nella storia del pensiero umano, è uno dei pochi spiriti - come Agostino, Pascal ... - che sa rivolgersi diretta­mente alla coscienza del lettore. Per questo mi sto aggirando ancora, dopo quarant'anni, nei sentieri della foresta della sua eccezionale e complessa produzione»62•· E sul primo libro pubblicato, dichiara: «lo ho intrapreso la mia non lieve fatica nella persuasione che sia possibile una ricostruzione e difesa a fondo, sia teoretica come storica, del Tomismo a partire dalla nozione tomista di partecipazione»63•

61 C. FABRO, L'anima, p. 123. Corsivo nostro. Il testo è degno di un disce­polo di san Tommaso: «Set tamen, ut profundius intencionem.Augustini scrutemur, et quomodo se habeat ueritas circa hoc, sciendum est quod» (De Spir. Creat., a. 10 ad gum).

62 C. FABRO, Appunti di un itinerario, in Essere e libertà, Fs. Cornelio Fabro, Magioli, Rimini 1984, p. 63. (Corsivi nostri). È per leggere, capire e tradurre Kierkegaard che si mise a studiare il danese.

63 C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, p. 14. (Corsivi nostri).

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Non era soltanto entusiasmo giovanile: il Fabro più ma­turo pubblicherà nel 1988 le sue indagini sul Processo Ro­smini, sotto il nome L'enigma Rosmini. Il sottotitolo è già ri­velativo: Appunti d'archivio per la storia dei tre processi (1849, 1850-1854, 1876-1887). Lopera si apre con una dichiara­zione preliminare che spiega la storia del volume e come, da chi corrispondeva, fu sollecitato a pubblicarlo. Già all'inizio si legge: «Esaurito lo studio della massa dei documenti, con­tinuai le ricerche soprattutto con la lettura dell'Epistolario (13 voli.) e con lo studio della Logica e della monumentale postuma Teosofia {nella I ed. che reputo la migliore) aggior­nando di continuo il precedente lavoro». E prosegue: «La fatica è stata improba a causa dello stato del materiale da esa-' minare. Mi furono consegnati ben 32 pacchi di documenti {a stampa e manoscritti) che sembravano ancora intatti, i libri·tutti intonsi. Su questo materiale, per lo più inedito, è fondata la presente ricerca»64• Seguono più di tre pagine di elenco e descrizione dettagliata del contenuto fisico e mate­riale delle fonti.

Lultimo cenno. Quando avverte che Rahner attribuisce a san Tommaso una sentenza strana - legge infatti «intel­lectus in actu perfectio est intellectum in actu» in C Gerzt. Il, 99 - Fabro si assume il compito di confrontare le edizioni più autorevoli e anche quelle meno autorevoli, per verificare lorigine della {grossa) svista. Cosl fa notare subito che il codice autografo per C Gent. II è completamente mutilo a partire dal cap. 61; poi, che nella citazione di questo suo textus princeps Rahner non indica quale edizione egli abbia

64 C. FABRO, L'enigma Rosmini, Edizioni Scientifìche Italiane, Napoli 1988, p. 5.

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seguito, nia che probabilmente sia «la Parmensis del Fiacca­dori (18 5 5), la quale porta effettivamente la lezione perfictio [t. V, fol 158, b]». E aggiunge che, prima della Parmensis, «porta perfictio la sola ed. veneta del 1589. Questa lezio­ne ritorna nelle edizioni Uccelli (sia Paris 1863, sia Roma 1878), Forzani 1886 e 1927. Quest'ultima ed. porta nel frontespizio la dichiarazione un po' presuntuosa: "Ad lectio­nem codicis autographi 'in Biblioteca Vaticana adservati pro­batissimorum codicum meliorisque notae editionum fideliter impressi". E si badi che nel 1918 usciva l' ed. critica leonina dei libri 1-11 con la lezione in actu perficto [T. I, fol. 594 b; ed. minor, p. 224 a]. Portano la lezione in actu perfecto le segg. edizioni: Paris 1519. Da essa sembra derivino la Paris 1552 e da questa la Lugdunensis 1567 che portano il nostro testo nella stessa p. 220 v. Inoltre le edd. Romana (Piana) 1570, Venetiis 1593,' Paris 1643, Romana 1657, Burdigalae 1664, Venetiis 1745-60 (De Rubeis), Bononiae 1856, Leo­nina 1918, Leonina manualis 1934, Mare-Pera 1961. Delle sette edizioni incunabole conosciute del C. Gent. [Strasbur­go s.a. di H. Ariminensis, Veneta 1473 di Fr. Rennere Nic. di Francoforte e Romana 1475 di Arn. Pannartz, ecc.] non esisterebbe nessun esemplare in Italia. Segue il testo critico dell' ed. leonina la trad. francese: "L'intellection en acte parfoit est l'objet compris en acte"»65•

Dallo spirito di ricerca, spostiamo ora lo sguardo verso la biblioteca di Fabro, che è stata definita da Ugo Spirito «la migliore Biblioteca italiana privata di Filosofia». Ciò risul-

65 C. FABRO, La svolta antropologica di Kart Rahner, in C. FABR,O, Opere Complete, vol. 25, Edivi, Segni 20113, pp. 144-145. Tra parentesi quadre riportiamo il contenuto di alcune note a piè di pagina.

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ta già dalla sola «consistenza quantitativa, stimabile intorno alle venti-venticinque mila unità fisiche tra libri e fascicoli di Riviste»66• Dal punto di vista qualitativo, la cosa diven­ta quanto mai abbagliante, per il pregio delle edizioni: la terza dell'Encyclopédie di Diderot e d'Alembert, pubblicata a Livorno in diciassette volumi tra il 1770 e il 1775; la pri­ma edizione delle opere complete di Hegel; la prima edi­zione tedesca dei Grundsiitze der Philosophie der Zukunft di Feuerbach (Zurich 1843); l'«Opera Omnia» in due volumi del Ficino, pubblicata a·Basilea nel 1561. I.:elenco potrebbe continuare per lunghe pagine.

Riguardo alle lingue, ci sono pubblicazioni perfino in olandese, russo, arabo, svedese, portoghese ma la lingua più rappresentata è il tedesco: più del 35% dei libri. Segue l'ita­liano con un 30% e il francese con il 14%. Il latino ha sol­tanto un 3,5% di rappresentanza, e il danese un 8%.

Se la percentuale del danese è relativamente bassa, I' au­tore con più occorrenze è tuttavia Kierkegaard: 312 titoli - anche se non tutti in danese. Lo seguono san Tomma­so e Aristotele (185 e 123 titoli rispettivamente); poi: Kant (113), Hegel (99), Marx (78) e Heidegger (63). Il materiale sui principali autori copre tutti i livelli della ricerca: edizioni critiche, traduzioni, repertori bibliografici e letteratura criti­ca. Per esempio, ci sono tutte le edizioni delle opere comple­te di Hegel: quella di Berlino (1832), Lasson-Hoffmeister,

66 Cfr. R. GoGLIA, Cornelio Fabro, pp. 162-163. La Goglia cita la relazione tenuta da Alberto Gambardella nella PUSC in occasione della presenta­zione del volume C. FABRO, Libro dell'esistenza e della libertà vagabonda (21 maggio 2001). Le indicazioni della catalogazione risultano dall'ag­giornamento ali' aprile 2005 ad opera di Ariberto Acerbi e di Alberto Gambardella.

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Glockner, e quelle più recenti delle Lezioni (Ilting 1973, per la Filosofia del Diritto); e poi le traduzioni, di Augusto Vera, J. Hyppolite, Jankélevitch e Gibelin.

Il rapporto fra Fabro e «i suoi libri» merita una conside­razione a parte. Particolarmente interessante risulta al ri­guardo un brano autobiografico, dedicato appositamente a questo aspetto. Fabro li riteneva «suoi» non per il semplice «possesso» fisico-effettivo (e neanche, poiché era religioso e aveva il voto di povertà) ma per appartenenza in un senso ben preciso: «sono i miei "giudici" in senso proprio, nel senso più proprio, ossia di implicazione in un processo di cui io - e soltanto io - sono l'imputato, supponendo - com'è ovvio alla mia età - ch'io debba presto lasciarli»67• Il testo aggiunge una breve descrizione e poi segue con un crescendo che ci fa quasi toccare l'anima stessa dello studioso: «Eccoli lì, nelle stanze della biblioteca, allineati negli scaffali, in _un ordine più cronologico che di materia, e questo dice già una considerazione di caratterizzazione personale. Quando entro in biblioteca sembra che mi guardino, che mi cerchino con cenni sobri ma perentori quasi volessero parlarmi, in­terrogarmi, istituire un dibattito. Saltano subito i compli­menti e vanno al sodo. E adesso iniziano a 1!.arlare i libri,_ quei ponti per le escursioni sulla trascendenza: E vero che hai faticato tanto per averci con te, che ci hai considerati non come ospiti o compagni occasionali del tuo viaggio terre­no. È vero anche che ci hai curati, puliti e rilegati almeno fin dove permettevano le tue condizioni e col criterio, che anche noi possiamo approvare, che preferivi - e preferisci

67 Cit. da R GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 164. (Tutti i corsivi sono nostri). Il brano appartiene all'inedito Momenti della memoria (1983).

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tuttora avere due libri in brossura piuttosto che un solo rilegato. È vero ancora che dappertutto, quasi in ogni libro - di intonsi ce ne sono. pochissimi e di scarsa importanza - hai lasciato i segni delle tue visite: lievi segni di matita e tante striscioline di carta che quasi prolungano quel contatto e attestano la persistenza di un legame, la certezza che per il futuro saremo sempre con te, dentro i tuoi problemi a muovere la tua anima ammessi nello spazio del tuo spirito, per tenerlo all'erta e renderlo incandescente. È vero, non vogliamo - proprio noi, i tuoi prediletti - farti torto che ci hai considerato come il "ponte" per le tue escursioni sulla tra­scendenza, per attingere i problemi, muovere difficoltà per cercare alla fìne una risposta. È vero, e questo ci fa piacere ed onore, che ci hai citati nei tuoi libri, che sia per mostra­re consenso o dissenso non ha importanza; qui conta l' ap­partenenza e di questo ne siamo garanti. Hai fatto anzi di più non solo, foglio alla mano, hai segnato citazioni, presi note e appunti, anche ampi, nelle tue letture per lealtà ver­so di noi - questo lo riconosciamo - ma di alcuni, di quelli che più ti hanno colpito, portandoti al centro del problema speculativo hai fatto versioni integrali dal testo originale, sob­barcandoti perfino a conoscere la grammatica, la sintassi ed i piccoli segreti che nasconde in sé ogni lingua ... Tutto questo, va bene, ma non siamo, caro professore, ancora al punto: non è per questo che noi abbiamo il piacere di stare co~ te, è perché ci hai messi in cima ai tuoi interessi, ovvero perché hai cercato in noi, sprofondandoti nelle nostre pagine e nelle lingue più varie e dai toni -·anche l'ammettiamo - più ca­pricciosi, il problema essenziale dell'uomo essenziale».68

68 Cit. daR. GoGLIA, Cornelio Fabro, pp. 164-165.

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Il rapporto di Fabro con i suoi libri è un altro modo di parlare del suo rapporto con gli autori: il suo modo di tratta­re i libri infatti è espressivo dell'atteggiamento nei confronti di chi li aveva scritti.

Analogamente dicasi degli avversari - che ne ha avuti, e tanti. Pensiamo alle dispute che ha sostenuto - scritte con alcuni, orali con altri. Si possono ricordjlre, tra tante, le pa­gine polemiche sull'interpretazione della partecipazione di Geiger69, e quelle giovanili contro il suareziano Descoqs sul­la distinzione reale fra essenza e atto di essere70• Con Kwant riguardo ali' oggetto della metafìsica71 , con Umberto degl'In­nocenti sul principio della limitazione dell' atto72 e con Kre­mer sull'interpretazione del presunto neoplatonismo di san Tommaso73• Anche con Rahner e i teologi considerati pro­gressisti (Sartori, Marranzini)74 il dibattito con Bontadini e

69 «Affermare, come si è fatto, che S. Tommaso tiene distinta la parteci­pazione secundum similitudinem dalla partecipazione secundum composi­tionem (Geiger) è spezzare la sintesi tomista nel suo centro». C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 435). Cfr. le discussioni più ampie in C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, pp. 26-29 e C. FABRO, Partecipa­zione e causalità, pp. 52-60.

70 Cfr. C. FABRO, Neotomismo e ;uarezismo, in C. FABRO, Opere Complete, voi. 4, Edivi, Segni 20052•

71 C. FABRO, Sull'oggetto della metafisica. Ad sup. Animad. P. Kwant re­sponsio, in «DivusThomas (P.)», LI (1948), l, pp. 152-154.

72 Cfr. C. FABRO, La determinazione dell'atto nella metafisica tomistica, in «Filosofia e Vita», II (1961), 7, pp. 18-38. .

73 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 435-460. 7 4 «Pertanto la pretesa di Rahner, e con lui dei teologi progressisti, che

al teologo competa la libertà assoluta e che al magistero resti soltanto l'ufficio di raccogliere i suoi risultati, indica che Rahner ha equiparato l'oggetto della teologia a quello di qualsiasi altra disciplina umana. [ ... ]. Così Rahner e i progressisti ritornano alla gnosi». C. FABRO, Perché con­testo i contestatori, in «Gente» XVIII (28.2.1974), p. 98.

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con Lotz nel IV Convegno nazionale della ADIF75 • reienco potrebbe continuare.

Molto si è insistito sulla «Vis polemica» di Fabro. Bisogne­rebbe dire che ha rispettato gli avversari, senza però mai ca­dere nell'errore· di rispettare l' errore76• E se ha dedicato delle pagine memorabili al confronto fìlosofìco con Hegel, con Heidegger, con Kant e altri, se li ha studiati fìno in fopdo, se li ha esposti magistralmente, e confutati in punti che rite­neva da confutarsi, egli tuttavia non dubita al momento di criticare quello che lui considera il grosso sbaglio di coloro che muovono da queste fìlosofìe, che non sono la philoso­phia essendi, per fare teologia: anche quando ha .dovuto alza­re la voce, in difesa della fede, lo fece per fare «la carità della verità»77• Ed è la stessa carità che lo porta a scusare, quando

75 Cfr. C. FABRO, Dibattito congressuale. Allocuzioni introduttive, in «Sa­pienza», XXVI (1973), 3-4, pp. 357-370.

76 Si può dire al riguardo quel che Chesterton affermava di san Tommaso: «but above ~ thinking combatively. This, in his case, certainly did not mean bitterly or spitefully or uncharitably; but it did mean combatively. As a matter of fact, it is generally the man who is not ready to argue, who is ready to sneer. That is why, in recent literature, there has been so little argu­ment and so much sneering». G.K. CHESTERTON, Saint Thomas Aquinas. The Dumb Ox, The Echo Library, Cirencester 2007, p. 61. Perciò ha visto bene Pizzuti: «a polemica ha risposto con la polemica, sempre alta e nobile ma non per questo meno forte». G.M. P1zz011, Veritatem in Caritate, Fs. Cornelio Fabro, G.M. Pizzuti (ed.), Ermes, Potenza 1991, p. 19. E P. Nello ricorda: «Ero convinto che le sue qualità insuperabili di polemista dovevano essere messe a servizio della Chiesa, per il trionfo della verità. Forse qualche asprezza gli è sfuggita, ma la limpidezza dei suoi intenti gli fa gran merito, perché mai ha inseguito facili consensi o vani applausi». N. DALLE VEDOVE, Padre Cornelio Fabro, p. 12.

77 Fabro stesso usa questa espressione seguendo il Capograssi, le cui critiche al pensiero moderno condivide largamente. Cfr. C. FABRQ, La ferma speranza della liberazione di fronte all'enigma del male. La riflessione del

so

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può, l'errore degli autori. Come quando, parlando sui primi discepoli di san Tommaso, che avrebbero frainteso gli inse­gnamenti del santo Dottore, li scusa affermando che ciò è stato fatto «sotto la pressione della polemica»78•

Un ultimo aspetto merita di essere rilevato: lo stile lette­rario. È vero - ed è stata una ripetuta «accusa» - che talvolta la presentazione fabriana degli argomenti fìlosofìci sembra un po' tortuosa. Abbiamo appena dato su questo la spiega­zione che riteniamo più giusta: egli preferisce seguire passo a passo i problemi nel loro apparire. Qui vorremmo però, far vedere qualcosa dello stile, dell'uso della lingua, perché anche da questo punto di vista è possibile trovare in Fabro dei brani stupendi.

Senza più indugiare, si veda questo esempio, preso da un te­sto tecnico: «Lopera kierkegaardiana procede per "esperimenti esistenziali" ma si dilata insieme sulla discussione dei concetti e problemi di fondo: è realista, senza cadere nel dogmatismo; è dialettica, senza cadere nello scetticismo; è fenomenologica d'intuizione eccezionale, senza càdere nel nichilism0>>79•

Il brano è tecnico, e si trova all'interno di un articolo di fìlosofìa. Ma la penna ispirata risplende più notevolmente ancora nelle «Avvertenze» e «Presentazioni» delle opere. Si veda come esempio un brano della presentazione di L'uomo e il rischio di Dio: «Le pagine che seguono vogliono essere un

Capogrtissi sulla Filosofia della storia del Vico, in «I; Osservatore Romano», (2-3.1.1987) p. 3.

78 C. FABRO, La nozione meta.fisica di partecipazione, p. 16. Così inizia il testo citato prima. Ci sono tanti altri esempi.

79 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 64. E aggiunge inmediatamente: «Ma non è facile spiegarlo con parole diverse dalle sue». Ciò potremmo dire anche del pensiero fabriano stesso.

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itinerario elementare per questa mèta suprema: dalle ·strut­ture di quelle negazioni e oscillazioni, dalle genuine affer­mazioni della scienza e della cultura, dal ritmo più profon­do del pensiero e dell'esperienza, trarre quell'affermazione dell'esistenza dell'Assoluto, della sua presenza nella natura, nella storia e nella coscienza dei singoli senza la quale lesse­re sprofonda nell'insignificanza del nulla. Perché è a questa alternativa che oggi resta sospesa, in una imminenza che sa di catastrofe, la libertà di vivere e di sentirsi qualcosa nel destino dell'essere per la salvezza dell'uomo» 80•

Questo è molto profondo; e molto bello. Più bella, molto più bella ancora, la presentazione di Momenti del/,o Spirito: «Il volumetto raccoglie sparsi e occasionali momenti dello spi­rito, spesso assai rapidi perché scritti sotto la pressione della fuga del tempo: brevi indugi nell'affanno della vita quotidia­na, umili pause con i temi e i protagonisti dell'ansia delle ore e dei giorni. Sollecitati di volta in volta da eventi e circostanze casuali, questi scrittarelli - che abbracciano quasi una trentina d'anni - accennano a qualche timido volo dell'anima, quasi di un protrettico cristiano per l'uomo contemporaneo. Non quindi dialoghi di solenne bardatura, ma neppure soliloqui di fuga solipsistica: bensì un· tentativo di colloquio, attraverso le steppe della vita, con l'Amico invisibile che ti cammina accan­to, un breve indugio nel tempo che t'incalza nell'intimo e ti strugge con il suo interrogare infinito». 81

Chiudiamo questa prima parte sulla vita e sul profilo intel­lettuale di Fabro richiamando un testo nel quale si confondono

80 C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, pp. 7-8. 81 C. FABRO, Momenti dello Spirito, vol. I, ed. Sala Francescana di Cultura

«P. Antonio Giorgi», Assisi - S. Damiano 1982, p. 6.

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i due aspetti, perché si trova proprio al vertice della vita dello spirito. Si tratta del testamento spirituale, scritto con occasione di una seria minaccia di morte, e che è da ritenersi un vero in­no di ringraziamento, nel quale s'intrecciano l'umiltà e la carità cristiane, la pietas filiale, l'osservanza del suddito, l'obbedienza del religioso, lo zelo del pastore, la disposizione sacrificale del sacerdote, la devozione semplice e sincera dell'orante, la fortez­za decisa del testimone, la passione e la preoccupazione per la verità del maestro, la fedeltà alla Chiesa, l'amore di Dio sopra ogni cosa. Son righe nelle quali si esprime vivamente l'esercizio della libertà di un uomo veramente libero.

Testamento di P. Cornelio

Sentendo avvicinarsi la fine dei miei giorni intendo aprire il mio animo a Dio con tutta l'umiltà del cuore: per ringraziarLo anzitutto della vita, della fede cristiana, della vocazione religiosa e del Sacerdozio, doni d'inestimabile amore che hanno tenuto la mia anima lontano dai peri­coli di perdersi e l'hanno aiutata a donarsi alle anime per far conoscere la via della salvezza.

Ringrazio inoltre Iddio per la vocazione singolare di farmi applicare agli studi e dei lumi che mi ha concesso -qualcuno anche del tutto singolare - per il compimento di così ardua e continua testimonianza, prima nelle Univ. Pontificie poi nella Cattolica di Milano ed in questi ultimi 15 anni nella Univ. di Perugia. Se non ho mai indietreg­giato nella testimonianza della verità, è stato tutto frutto della Sua assistenza misericordiosa, della protezione della Madonna, degli Angeli e dei miei Santi Patroni, delle ani­me che ho potuto dirigere e di quelle che ho assistite in punto di morte nel passaggio alla Patria Celeste.

Ringrazio ancora Iddio per la fede e gli esempi cristiani dei miei genitori, confratelli, colleghi e studenti che con­sidero le luci che Dio ha messo sul mio cammino. Posso

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dire di aver sempre pensato che tutti erano migliori di me e che tutto quel che facevano - specialmente i Superiori - , l'hanno fatto per il mio bene: ringrazio in particolare questi ultimi per il favore di dedicarmi agli studi fìlosofici che giudicavo l'unico lavoro al quale sentivo d'impegnar­mi al servizio della Chiesa.

E chiedo perdono a tutti e ad ognuno, con cuore do­lente ma sereno e fiducioso in Dio, dei cattivi esempi, degli sgarbi e di quanto avessero dovuto soffrire per i miei difetti: ma in questo momento passano davanti i volti amabili di tanti e tante, di confratelli e fedeli, di studenti e persone pie, il cui ricordo è per me d'immenso conforto e quasi una garanzia del tuo amore, o Dio, che muovi tutti i cuori ad amarti.

Ringrazio in particolare Iddio per avermi concesso di collaborare da vicino con i Sommi Pontefici Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo Il: dichiaro di non aver mai approfittato della loro fraterna e genero­sa benevolenza (noto di aver già distrutto gli appunti a questo riguardo). È stato un grande onore rimanere miles Christi jesu.

Perdono alla fine a tutti .coloro che mi avessero fatto soffrire, certamente senza volerlo e cooperando al miseri­cordioso disegno di Dio per la mia salvezza. Ed in modo del tutto speciale a coloro che con la lettera del 24.N di Pe­rugia mi hanno minacciato di morte: se vorranno mettere in atto la loro minaccia, dichiaro che intendo offrire a Dio la mia vita per la salvezza delle loro anime, per l'incolumità e l'opera del S. Padre, per la purificazione della teologia e pietà cristiana secondo i desideri del Cuore SS. di Gesù.

In fede, nel completo possesso delle mie facoltà

P. Cornelio Fabro Roma 6 maggio 1980 ~ In nomine Domini

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Le opere

Citinerario speculativo attraverso i testi

Lungo larco di una sessantina d'anni Fabro ha pubblica­to un'ingente quantità d'articoli1 - e si noti che parliamo di «articoli fabriani», di eccezionale penetrazione speculativa e di lunga estensione. Di questi articoli, alcuni sono stati poi raccolti e hanno dato luogo ad alcuni dei volumi che adesso presenteremo.

Stando ai soli libri pubblicati, si potrebbero indicarce, dal punto di vista tematico, diversi «cicli»: l'indicazione è però quanto meno imprecisa poiché, come abbiamo visto, ci so­no elementi di continuità temporale e anche di trasversalità tematica, che impediscono ogni sistematizzazione schemati­ca. Ferma restando losservazione, raggruppare le opere può risultare utile per offrire al lettore un orientamento generale, prima di soffermarci su alcune singole opere in maniera più dettagliata.

1 Per i riferimenti precisi, le diverse edizioni, la cronologia, ecc., cfr. le indicazioni bibliografiche.

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Un primo gruppo va individuato nelle opere di metafisi­ca, specialmente tomista. A questo gruppo appartengono La nozione metafisica di partecipazione (1939, 19522, 19633),

Partecipazione e causalità (1961), alle quali si aggiungono come «studi integrativi», a detta dello stesso Fabro, Esege­si tomistica e Tomismo e pensiero moderno (tutti e due della PUL, 1969). Bisogna includere inoltre la Breve introduzione al tomismo (1960) che, arricchita e approfondita, darà luo­go all'Introduzione a san Tommaso. La metafisica tomista e il pensiero moderno {1983).

C'è poi un «intermezzo di psicologia cognitiva», con i due monumentali studi La fenomenologi.a della percezione ( 1941, 19612) e Percezione e pensiero ( 1941, 19632).

Dopo il dopoguerra vengono pubblicate opere che ben si possono raggruppare sotto la prospettiva dell'analisi dell' esi­stenza. Si tratta di studi che riflettono la situazione della coscienza riflettente europea del secondo dopoguerra, ma­nifestatasi, sotto diversi aspetti, nell'irrompere dell' esisten­zialismo e del marxismo come frutti critici della «caduta» dell'Assoluto idealistico. Sull'esistenzialismo abbiamo Intro­duzione all'esistenzialismo (1943), Problemi dell'esistenziali­smo (1945), L'Assoluto nell'esistenzialismo (1954). Sul mar­xismo, e ancora in collegamento con l'esistenzialismo: Tra Kierkegaard e Marx. Per una definizione dell'esistenza (1952), Feuerbach-Marx-Engels. Materialismo dialettico e materiali­smo storico {1962). Specificamente su Hegel: Georg W. E He­geL La dialettica {1960). E nel passaggio da Hegel a Marx: L'essenza del cristianesimo. Ludwig Feuerbach (1977). Testi­monia il suo inserimento attivo e critico nella situazione sto­rica concreta La trappola del compromesso storico. Da Togliatti a Berlinguer {1983).

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Le o ere

A modo di «complemento», se si vuole, o piuttosto co­me «integrazione» ovvero, e meglio ancora, come passag­gio e legame fra metafisica e problematica esistenziale c'è Dall'essere all'esistente (1957, 19652), che contiene delle pagine tra le migliori da Fabro mai scritte, e offre una con­clusione di notevole profondità - a nostro avviso, ancora poco studiata.

C'è inoltre tutta la problematica su Dio e lateismo. Ope­re importanti al riguardo sono Dio. Introduzione al proble­ma teologico (1953), che poi, arricchita con l'inserimento di altri studi, diede luogo a L'uomo e il rischio di Dio (1967). Va ricordata anche la monumentale Introduzione all'ateismo moderno (1964), un'opera pressoché decisiva e forse anco­ra non capita abbastanza - e tra laltro contestata assai. Si può aggiungere inoltre Le prove dell'esistenza di Dio (1989), dove dopo un'interessante introduzione si presenta un'an­tologia delle diverse prove fornite dai fìlosofì lungo larco della storia: Fabro apre il volume con un bellissimo testo di Wittgenstein.

Appartengono anche a questo gruppo alcune opere che si collegano a tematiche teologiche. La prima, .più specifica­mente fìlosofìca, è lo studio sulla problematica ermeneutica tomista di Rahner: La svolta antropologica di Karl Rahner (1974); l'altro è L'avventura della teologia progressista (1974). Le due opere costituiscono una seria critica alla nuova teolo­gia antropocentrica, tutta solidale con il moderno principio d'immanenza. A modo di contrasrn si può indicare una terza opera: Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale (1987), volume che dovrebbe essere considerato lespansione so­prannaturale della partecipazion~ nell'ambito della mistica. Come un «sottogruppo» si potrebbero anche aggiungere qui

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i risultati di due ricerche che furono a Fabro affidate: L'alie­nazione dell'Occidente. Osservazioni sul pemiero di Emanuele Severino e L'enigma Rosmini.

I.:ultimo gruppo sarebbe quello della libertà e di Kierke­gaard, l'autore «di tutta la vita». Oltre al Diario - nell'ultima edizione, dodici volumi tradotti nelle parti principali più un'introduzione - Fabro tradusse parecchie opere del pen­satore danese, facendone una equilibrata interpretazione. In Riflessioni sulla libertà (1983) si raccolgono diversi studi sul­la tematica della libertà, in dialogo e decisivo confronto con Fichte, Schelling, Kant, Heidegger e altri autori.

Problematica teologica e riflessione esistenziale conver­gono nel volume La preghiera nel pemiero moderno (1979), preparato contemporaneamente a quello sull'ateismo, e che smentisce d'un sol colpo le letture troppo affrettate e super­ficiali sul valore del già ricordato studio. E ancora al confi­ne fra problematica esistenziale e fede teologale, in campo agiografico, va ricordato anche il bellissimo volume Profili di santi (1957), contemporaneo a Dall'essere all'esistente. Bi­sogna pure aggiungere i Momenti dello spirito (2 voli., 1983), rivelatori, oltre che della consueta profondità e acume, di una fine «sensibilità spirituale» (ci si permetta l'ossimoro!) e che raggiungono spesso, come accennato sopra, alti livelli di qualità letteraria.

Ci limitiamo adesso a fare una presentazione sempli­ce ed elementare di alcune delle opere, cercando soltanto d'introdurre al contenuto e al piano dei diversi volumi, e aggiungendo qualche considerazione su alcuni argomenti puntuali, scelti fra quelli più significativi e che possono servire anche per caratterizzare o almeno far notare aspetti di originalità.

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La nozione metafisica di partecipazione

Difesa la tesi in teologia sull'argomento della partecipa­zione, Fabro la diede poi alla stampa con alcune modifiche2•

I..:opera è piena di novità, che vanno di pari passo con una non consueta intensità speculativa, la quale valse subito a Fabro il riconoscimento da apprezzate autorità dell' ambien­te tomista.

Dopo l'interessante introduzione, il volume è diviso in tre parti che riguardano le fonti, le implicazioni fondamentali, e l'espansione interiore e il contenuto della nozione tomistica di partecipazione, rispettivamente. La conclusione sottolinea l'originalità della sintesi tomista prospettando un confronto fra le due coppie, platonica e aristotelica rispettivamente, di partecipante-partecipato e potenza-atto. Essendo la prima sua opera, che tra l'altro costitul una svolta decisiva nella storia del tomismo del secolo scorso, vale la pena indugiare un po' sul contenuto.

Oggi forse non ci riesce facile cogliere la forza della tesi fabriana, che diceva la parola definitiva riguardo ad un pro­blema notevole dopo la rinascita degli studi tomistici sotto la spinta della Aeterni Patris. Il tomisJ;110 si presentava come «sintesi del pensiero cattolico», ma gli avversari contestavano proprio il valore intrinseco di questa sintesi, e non c'erano solo avversari antichi3. Le critiche più recenti soprattutto puntavano sulla presunta artificialità della sintesi, che la ren-

2 l:opera ha avuto tre edizioni, più una quarta, recente, nella serie delle Opere Complete.

3 Fabro ricorda il francescano Peckam, e fra i più recenti, Duhem, Rougier e il Saitta. Cfr. C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, pp. 10-12.

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derebbe non valida perché, in ultima istanza, eclettica. Fa­bro rigetta decisamente questa valutazione e vede piuttosto nella nozione di partecipazione l'espressione più compiuta della originalità del tomismo come sintesi vitale, e tutt'altro che artificiale, di orizzontalismo aristotelico e verticalismo platonico.

Il tomismo è per Fabro, essenzialmente, un aristotelismo; si tratta però di un aristotelismo speculativo, vale a dire, esso non è una mera ripetizione dell'aristotelismo storico, bensì un'assimilazione dei principi fondamentali dell' aristoteli­smo, che si costruisce vitalmente tramite uno sviluppo ab intra della virtualità stessa dei principi. Per la dinamica in­terna di sviluppo di quest'aristotelismo speculativo san Tom­maso giunge ali' assimilazione del nucleo speculativo centrale del platonismo in quanto detto nucleo viene espresso dalla nozione di partecipazione.

Il termine «partecipazione» esprimeva nel platonismo un'interpretazione della realtà che san Tommaso non con­divideva. Ora, se esso appare ricorrentemente in san Tom­maso, ciò vuol dire che nei suoi scritti la nozione subisce delle profonde modifiche, dovute ai principi aristotelici di fondo. Siccome, dunque, la partecipazione tomistica non è quella platonica e non è, ovviamente, una mera ripetizione dell'aristotelismo, essa si mostra particolarmente adeguata pçr rispondere alla domanda sul valore della sintesi tomisti­ca e poi sull'originalità speculativa del tomismo nei confron­ti delle fonti.

Dopo una presentazione riassuntiva della letteratura sull'argomento, nella prima parte della sua ricerca Fabro studia le fonti della nozione tomista di partecipazione, al quale studio premette un'analisi etimologica e semantica del

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termine. Le fonti principali della nozione sono Platone e, sorprendentemente, Aristotele: con grande acume e seria do­cumentazione testuale, Fabro dimostra come san Tommaso trovò nei libri aristotelici elementi platonici che consentiva­no laccostamento; egli dimostra inoltre come quest'accosta­mento dei due grandi greci sia stato sempre più vivamente inteso da san Tommaso, fìno ad arrivare all'ultima esposi­zione, ormai celebre, del capitolo terzo del De Substantiis Separatis. Fonti secondarie sono il neoplatonismo nella linea cristiana (sant'Agostino, Dionigi e Boezio) e nella linea ara­ba (Avicenna, De Causis).

La seconda parte, quella centrale, è divisa in tre sezioni che considerano rispettivamente il realismo tomista, la par­tecipazione predicamentale e la partecipazione trascenden­tale. Anche se tutte e tre le sezioni hanno la loro rispettiva importanza, meritano tuttavia una particolare menzione le due prime, in virtù della loro novità; la terza invece, pur avendo minore novità, ha comunque un'importé:!llza decisi­va nell'ambito della tesi difesa nel volume.

Infatti, dedicata alla partecipazione trascendentale, la se­zion_e terza considera specialmente la distinzione di compo­sizione reale fra essentia ed esse. La novità della trattazione è, d'accordo con l'impostazione del volume, la crescente centra­lità che assume la nozione di partecipazione nella dimostra­zione di siffatta composizione, al punto da divenire, nell'ulti­ma maturità dell'Angelico, largomento praticamente unico al riguardo. In questo senso, la sezione viene a fornire la dimo­strazione decisiva della validità dell'interpretazione fubriana del tomismo, una dimostrazione che, messa in forma, suone­rebbe più o meno così. Assumendo, infatti, che la distinzione di composizione reale di essenza ed esse è la tesi centrale del

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tomismo, del quale in via iudicii ne dà la fisionomia propria e distintiva," (m) lessenza del tomismo si esprimerà nella nozio­ne che avrà un ruolo determinante nell'articolazione interna del medesimo attorno a quella tesi centrale; (M) ora, la no­zione di partecipazione costituisce lo strumento privilegiato per la dimostrazione di questa tesi; (C) ne consegue che que­sta nozione svolge un ruolo determinante e specificante nella «costruzione» ab intra del tomismo come «sistema», per cui ne esprime adeguatamente lessenza.

Oltre che dall'analisi testuale diretta, la centralità dell' ar­gomento della partecipazione per la dimostrazione di code­sta distinzione viene confermata con lo studio delle testimo­nianze dei difensori e degli avversari della distinzione stessa. Inoltre, la trattazione dei termini in questione, ens; essentia, esse, rivela già una nuova comprensione di essi, più appro­fondita e sempre più staccata dai canoni fissati dalla scuola, e agganciata alle novità fornite nelle sezioni precedenti.

La sezione prima della seconda parte, prepara l'inserimen­to della nozione di partecipazione, studiando accuratamen­te laspetto psicologico e gnoseologico delle nozioni astratte nel loro contenuto e nel loro sorgere. Anche qui gareggiano novità d'impostazione e profondità di trattazione, ma non si tratta di un lusso retorico di cui si potrebbe fare a meno: non è un momento prescindibile .nella ricerca fabriana quello di ripercorrere l'itinerario speculativo che porta all'esigenza d'in­trodurre la nozione stessa di partecipazione4, e rischierebbe l'intera comprensione dell'argomento chi non lo percorresse.

4 «Sarà quindi di qualche utilità (personalmente io lo reputo necessario) l'indi­care [ ... ] quello che potrebbe dirsi !'"itinerario gnoseologico" che percorre la nozione di partecipazione, o meglio la mente per arrivare a quella nozione». C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, p. 123. (Corsivi nostri).

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Fabro presenta la rivendicazione dell'esperienza ad opera di Aristotele nei confronti di Platone, e la dottrina aristo­telica dell'universale. Da qui il passaggio alla conversio ad phantasmata di san Tommaso, sempre per via dell'esigenza dei principi aristotelici, per colmare la lacuna e inadeguatez­za che il contenuto universale ha nei confronti della realtà concreta, e per spiegare la formazione dell'universale logico, che riferisce la intentio {secunda) attributionis, ·e non già il mero grado di perfezione (prima intentio, universale metafi­sico). Nell'ambito allora del pensiero formale astratto, esu­la parlare di partecipazione, a meno che non se ne parli in senso largo, come semplice «comunicare nella definizione»: il modo di predicazione tuttavia resta strettamente univoco e totale, nel primo modo dicendi per se, in eo quod quid. Ciò nonostante è possibile formare un altro tipo di nozione che, pur riferendo il contenuto universale specifico o generico (o trascendentale) che dir si voglia, ne rifletta inoltre tutta la ricchezza concreta che questo contenuto attua nella sua si­tuazione effettiva reale. Questa procedura, che Fabro spiega con molta cura, si deve chiamare «riflessione intensiva»5, per­ché fa capo al dinamismo riflessivo (indotto) dell'intelletto, in collegamento con la sensibilità, e perché procede non per depotenziamenti, come invece fanno lastrazione del tutto e della forma (abstractio totius e abstractio formae), bensì per

5 Ecco la spiegazione del nome, inserito nella seconda edizione: «Si po­trebbe chiamare questo processo, come vuole qualche autore moderno, astrazione integrativa, anche se forse i termini astrarre-integrare, sotto laspetto etimologico, sembrino escludersi; si potrebbe forse meglio chia­marla riflessione INTENSNA, in opposizione all'astrazione totale, estensiva, in quanto che la ragione (di essere) a cui si arriva nulla lascia perdere delle perfezioni positive degli inferiori, ma tende a vederle unificate tutte quante». C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, p. 138.

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un arricchimento progressivo del contenuto universale che si mostrava così esteso come «vuoto» all'inizio, ma che alla fine si mostra estremamente carico di perfezione.

Si tratta quindi di far convergere il contenuto formale astratto sulla «situazione» reale della formalità che ha dato origine al contenuto astratto. Così, si riesce a scoprire una crescente intensità nei gradi reali di perfezione, che, poi­ché sono gradi reali, sono sempre dell'essere: siamo sempre nell'ambito dell' ens e progrediamo in intensività di perfezio­ne secondo lesigenza dell'attualità dell' ens. In questo modo, ogni grado di perfezione si mostra, quanto più profondo («genericò»), tanto più fondante, poiché ogni attualità più ristretta non si mostra essere altro che una espressione, fra le varie possibili, di tutta la ricchezza delle· virtualità spiegabili a partire da quel grado di perfezione.

Fabro spiega che in questo processo di riduzione metafisi­ca, le formalità generiche non vengono «entizzate», reificate, ma si pongono sul rispettivo livello reale in quanto effettivi gradi, sempre più comuni e più abbraccianti, dell'attualità dell' ens: l'unica realtà è l'individuo sussistente, con la sua for­ma sostanziale che ne misura il grado specifico di perfezione. Siccome però in questa ascesa metafisica ogni grado ontolo­gico ·si mostra sempre più profondo e fondante, il pensiero non si ferma finché non trova la perfezione radicale che è alla radice di tutta questa espansione. È così che si arriva alla perfezione espressa dall' ens, come participio attivo dell'infi­nito esse, dando luogo alla nozione intensiva di essere6.

6 «In questo processo vengono a collaborare tutte le potenze conoscitive dell'anima, poichè esso infatti si compie per un processo comparativo fra la formalità predicamentale (astratto) e l'atto di essere, che l'anima riesce a toccare (attingere) con due facoltà diverse, il senso e l'intdletto. Questa

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Bisogna però notare che in questa «ascesa dialettica» di perfezione in perfezione il pensiero può «fermarsi» a con­siderare, sempre dal punto di vista della riflessione inten­siva, un determinato grado di essere - quello espresso dal­la forma specifica o generica - ma come risultato di detta riflessione. Così, mentre il pensiero formale universaliz­zante è «uguagliante» e «livellante», questo nuovo modo di procedere, più aderente alla realtà, pone l'intelletto di fronte all'ineguaglianza e al disordine7• Ed è proprio qui, allo scopo di trovare l'ordine.all'interno dell'ineguaglianza che dev~ entrare in causa la. nozione di partecipazione, sia sul piano predicamenrale che sul piano propriamente tra­scendentale, avendo a che fare sempre con delle «totalità» intensive, raggiunte per riferimento ali' «essere»: «è solo sul piano metafisico dell'atto di essere che si pone il problema della partecipazione»8•

astrazione termina alla ragione di essere». C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, p. 135. (Corsivi nostri). Il risultato ultimo della rifles­sione intensiva· è la nozione intensiva di esse, che restava prima un «corpo estraneo» al pensiero formale universale. Questa nozione è «astratta», ma si tratta di un astratto sui generis: «Questo residuo è l'atto di essere reale, alla considerazione del quale attende la "fìlosofìa prima'', la quale mostra come la ragion d'essere, che corrisponde all'atto di essere, è anch'essa un "astratto", ma non come gli altri astratti; è un "astratto intensivo" che non può esser compreso nel suo contenuto se non è visto in relazione al concreto in cui si realizza, dal quale quindi non può mai astrarre del tutto». lvi, p. 141. (Corsivi nostri).

7 <<Al posto della limpida visione dell'astratto pensiero formale, succede. una meno limpida, ma più consistente ed oggettiva, quella [ ... ] del pensiero "reale"». C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, p. 136.

8 C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, p. 134. Anche se nel testo si parla, e più volte, di «atto di essere», l'espressione non significa ancora, in questo preciso contesto e in questa tappa della ricerca, l'esse ut actus che entra in composizione con l'essenza, bensì il modo reale e

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All'analisi della partecipazione predicamentale è dedicata la seconda sezione: Parlare di «partecipazione predicamenta­le» potrebbe sembrare problematico, anzi contraddittorio, se stiamo ali' origine storica della nozione stessa. Fabro ritiene però di seguire fedelmente san Tommaso: «Per ''partecipazione predicamentale" intendo quella nella quale ambedue i termini della relazione, partecipato e partecipante, restano nel cam­po dell'ente e della sostanza finita (predi~amenti). Di essa nel Commento al De Hebdomadibus sono ricordati due modi: uno formale-nozionale ed uno reale; e ciascuno di questi due modi è stato presentato sotto due forme: A = la specie partecipa al genere e lindividuo alla specie; B = la Materia partecipa alla Forma ed il soggetto (la sostanza) partecipa ali' accidente»9 •

.Liriserimento metodologico e decisivo della partecipazio­ne, con tutta la sua portata ontologica, sorge allora in virtù della riflessione intensiva, che fornisce ladeguata prospetti­va per la resolutio metaphysica. È, pertanto, per causa della partecipazione che le specie si espandono nel genere «divi­dendone» le virtualità, e che gli individui si moltiplicano all'interno delle specie. Non si tratta però di un prospetta­re a priori i problemi, ma di muovere dalla situazione reale ed effettiva. I.:esistenza del molteplice è un fatto e bisogna rendere ragione di questo fatto. Così, riguardo alla «parteci· pazione individuale», Fabro conclude che «la ragione prop­ter quid dalla composizione ilemorfica vada infine ricercata nella nozione di partecipazione secondo l'itinerario che.nelle pagine precedenti si è cercato di mostrare»10•

concreto dell'esercizio effettivo della formalità in questione con tutta la sua ricchezza ontowgica concreta.

9 C. FABRO, La nozione meta.fisica di partecipazione, p. 143. 10 lvi, p. 158.

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Conseguenza diretta di questa impostazione è che ben si può parlare di un ordinamento gerarchico e scalare di perfe­zioni secondo un più e un meno, sia all'interno delle specie nei confronti dei generi, che degli individui nei confronti della specie: quest'ultimo ordinamento però non intacca il grado di perfezione formale specifico che resta sempre lo stesso, ma si tiene in ragione della materia e si esprime nelle attuazioni accidentali. Così, la specie non esprime altro che una fra tutte le virtualità e possibilità del genere, e l'indivi­duo non esprime che una fra tutte le altre virtualità e possi­bilità della specie11 •

La partecipazione predicamentale non colpisce allora la forma come tale o la specie come tale. I.:essenza sostanzia­le resta quella che è: altrimenti svanirebbe ogni distinzio­ne specifica e generica. Tuttavia c'è una vera partecipazione predicamentale in quanto al modo concreto di essere che l'identica natura specifica assume nei diversi individui. An­zi, si deve dire che gli individui non si diversificano rispetto

11 «Guardati secondo langolo intelligibile dell'astrazione formale e totale, tutti gli uomini sono egualmente uomini [ ... ]. [invece secondo la rifles­sione intensiva la specie] ... mi appare come una "totalità" ontologica nel suo àmbito, che si manifesta negli inferiori secondo modi di essere pìù o meno perfetti; e si può quindi dire che l'individuo partecipa alla sua specie, nel senso metafisico proprio del termine in quanto che ogni individuo, per ricco che sia delle migliori qualità, in fine si riduce a mo­strare in sè soltanto un modo, fra i moltissimi, quasi infiniti che la specie può avere in natura». C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione, pp. 172-173. Questa conclusione è giustificata da una minuziosa analisi dei diversi tipi di contrarietà, che qui non possiamo sviluppare. Diciamo soltanto che la mera opposizione «fisica-formale» diventa, alla luce della riflessione intensiva, opposizione «metafisica» secondo gradi di perfe­zione, per cui il magis et minus è il «principio della distinzione metafisica come tale». Ivi, p. 164 (Corsivi nostri).

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all'essenza come tale, ma «essi stessi diversificano nel campo dell'essere reale tale forma o essenza»12• Ciò rileva anche la stretta saldatura fra partecipazione predicamentale e parteci­pazione trascendentale. La partecipazione si mostra dunque come la prima ragione metafisica che serve a qualificare l' en­te finito come tale.

Oltre a dominare quindi la tesi centrale del tomismo, la nozione di partecipazione si espande ad ogni livello, natura­le e soprannaturale, nell'ordine della struttura primaria e in quello della struttura secondaria dell'ente. Nella terza parte del volume Fabro s'impegna a mostrare tale espansione (so­no le due prime sezioni), presentando la trasversalità della nozione, che ricorre in ogni tema e trattato tomistico con una funzione sempre dominante almeno dal punto di vista metodologico. Importante è al riguardo la conclusione del­la saldatura ontologica degli enti, che san Tommaso espone con il frequente richiamo al neoplatonico Dionigi.

La terza sezione di questa parte espone il contenuto e signi­ficato stesso della nozione. Esprimendo il rapporto metafisico supremo, la partecipazione non è suscettibile di definizione in senso rigoroso, ma «soltanto di un'accurata descrizione nomi­nale reale>>13• Partecipare, allora, si predica «di un soggetto che ha una qualche formalità od atto, ma non in modo esclusivo e in modo totale»14• Si vede così che due sono i tipi di partecipa­zione: c'è la partecipazione predicamentale univoca e la par­tecipazione trascendentale analoga. Quella resta tutta interna all'ambito dell'ente finito; quest'ultima invece è la partecipa-

12 C. FABRO, La nozione met.afisica di partecipazione, p. 177. 13 lvi, p. 309. 14 Ibidem.

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zione che si verifica fra I' ens e I' ipsum esse subsistens, fra il finito e l'Infinito. Con abbondanza di quadri sinottici, e discutendo anche qualche interpretazione problematica, Fabro presenta le divisioni della partecipazione secondo i diversi testi tomistici e la terminologia esplicita di san.Tommaso, mostrando anche come la partecipazione si espande nell'attingere operativo in campo soprannaturale. Conseguenze e implicazioni poi della partecipazione sono le composizioni ad ogni livello, sia per la struttura primaria· che per quella secondaria dell'ente finito, vale a dire la struttura operativa per cui avvengono alla sostan­za le attuazioni seconde: come lente finito è ente per parte­cipazione, così sarà anche un operante per partecipazione. È quindi solo la partecipazione a: rendere la ragione metafisica ultima della necessità della composizione di sostanza e acci­denti all'interno dell'ente finito.

Dopo aver analizzato il contenuto della nozione, la con­clusione del volume dà una valutazione della sintesi tomisti­ca, prospettando il «confronto» fra platonismo e aristoteli­smo in san Tommaso. In lui le due coppie, quella aristotelica di «atto-potenza» e quella platonica di «partecipato-parteci­pante», si mostrano fondamentalmente equivalenti: tuttavia, esse hanno una priorità metodologica alternante, mqstran­dosi quella di origine platonica superiore dal punto di vista euristico, cioè in via inventionis, mentre quella aristotelica è più precisa per la sistemazione e classificazione delle conclu­sioni in via iudicii.

Fabro sottolinea comunque che «nel Tomismo la nozio­ne di partecipazione ha una propria funzione costruttiva, insostituibile e quindi indispensabile»15• Anzi, se si leggono

15 lvi, p. 327.

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con attenzione i testi di san Tommaso che riguardano la tesi principale del suo edificio speculativo, si vedrà che la con­cezione dell'essenza come potenza dell'atto di essere è una concezione derivata dalla distinzione fra l'essere e l'essenza: «Il punto cruciale di tutta la questione è un nuovo concetto di atto al di sopra della forma ed essenza aristotelica, ed un nuo­vo concetto di potenza diverso dalla potenza della materia, a cui S. Tommaso è arrivato con la nozione di partecipazione: la potenzialità della forma e dell'essenza in relazione all'esse­re, nozione che viene a dare al mondo, visto sotto l'aspetto metafisico, una struttura assai più complessa di quella che avesse in Aristotele»16•

Il volume si chiude con degli accenni al problema dei rapporti fra partecipazione e causalità, la cui trattazione è rimandata ad un altro studio.

Partecipazione e causalità

È Fabro stesso nell'Avvertenza a raccontarci l'origine dell'opera: «Il presente studio intende mantenere una pro­messa che risale a vent'anni fa quando apparve il volume sul.., la nozione di partecipazione[ ... ], nel quale si prospettava per la prima volta il superamento del conflitto fra platonismo e aristotelismo da parte della metafisica tomistica dell'esse. La promessa ha potuto essere mantenuta grazie all'invito da parte dell"'lnstitut Supérieur de Philosophie" · dell'Univer­sità di Lovanio di tenere per il 1954 il Corso annuale della "Chaire Card. Mercier" che ebbe per tema: "Participation et

16 lvi, p. 329.

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causalité", di cui il presente volume costituisce la redazione defìni tiva» 17•

Il volume però va oltre. Dal punto di vista tematico, ci spiega ancora Fabro, esso non insiste tanto nell'esposizione dell'idea del superamento dell'opposizione di platonismo e aristotelismo, ma cerca soprattutto di «rapportarsi al suo fondamento, indicare cioè l'orientamento della metafisica nel solco del tomismo originario quale teoreticità pura dell'es­sere come atto, così che la speculazione non può fermarsi al rapporto dell'essenza all'essere ma deve fondare l'appartenenza costitutiva dell'essere all'uomo e dell'uomo all'essere, chiarendo a un tempo perché l'uomo si cerca nell'essere e perché l'essere s'illumina nell'uomo».

Si fa avanti, allora, una problematica nuova. Questa problematica è profondamente moderna, come si vede inoltre dal seguito del testo con il richiamo a Hegel e anche a Heidegger, ma viene presentata come un'esigenza posta dalla dinamica speculativa del tomismo originario, il quale si caratterizza come «teoreticità pura dell'essere come atto», e quindi come il superamento radicale di ogni formalismo essenzialista che privilegia il momento del contenuto. È soltanto all'interno della trascendentalità dell' ens-esse che si può assolvere questo nuovo compito: senza l'esse tomi­stico, l' ess~re decade nell'essenza e il pensiero finisce per emergere sull'essere stesso, come ha dimostrato la parabola storica del pensiero occidentale. Ma dopo le istanze più decisive e radicali del pensiero moderno, l'autentica spe-

17 Seguiamo C. FABRO, Partecipazione e causalità, pp. 9-10. Il testo dell'Av­vertenza porta le significative indicazioni: «Milano, Università Cattolica, maggio 1958».

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culazione tomistica si fa avanti per dare la misura effettiva della propria concezione dell'essere come atto originario. I.:Avvertenza si chiude con una decisa professione di «to­mismo essenziale».

Dopo una lunga introduzione, lopera si divide in tre par­ti, più la conclusione18• :Lintroduzione è dedicata ali' attualità e originalità dell'esse tommasiano, presentata in diretto col­leg~mento con la critica moderna del principio di causalità e con la critica heideggeriana dell'oblio dell'essere. Fabro trova qui il modo di riferirsi alle diverse interpretazioni dell' esse19

smascherandone lorigine formalistica e razionalistica - in collegamento con la tesi del contingentismo universale e assoluto, sospeso alla causalità divina. Risultano particolar­mente importanti le prime pagine, in cui viene presentato con una radicalità pressoché impareggiabile il problema del­la causalità come produzione dell'essere secondo la tensione­opposizione fra essere e divenire all'interno dell'istanza par­menidea della verità dell'essere.

18 I.:edizione francese, sostanzialmente identica nel contenuto, ha però certe differenze di struttura.

19 Vengono ricordati, come esempi di queste diverse interpetazioni, Franz Maria Sladeczek («I.:esse in actu ha soppiantato l'esse [ut] actus, cioè l'esistenza ha eliminato l'esse». C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 45), Karl Rahner («si muove nella medesima prospettiva suareziana». Ibidem), Marie-Dominique Roland-Gosselin («per il quale esse è dap­pertutto sinonimo di exister, existence>>. lvi, p, 48. Roland-Gosselin parla di una esperienza de I' existant possible, ciò che «lascia molto perplessi». lvi, p. 49), André Mare (era stato lodato in La nozione metafisica di partecipazione, ma adesso si dice chiaramente che sembra «non riesca a superare del tutto il pericolo della formalizzazione dell'esse ovvero della riduzione del!' esse all'esistenza; ciò che è inevitabile, quando ci si ferma alla corrispondenza diretta fra lesse del giudizio e lattualità del reale». lvi, p. 51), e anche Lotiis-Baptist Geiger (Cfr. lvi, pp. 53-55).

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Per rispondere a quest'istanza, la filosofia greca più consi­stente ricorse, con Platone e Aristotele, a «un non-essere che "in qualche modo" è, ovvero un non-essere che non è a quel modo nel quale dev'essere lessere che semplicemente è». Questa soluzione però «è apparente e vale al più nel mondo delle apparenze e non per il mondo della verità dell'essere alla quale si era richiamato Parmenide»20• Il giudizio è tagliente e, bisogna riconoscerlo, potrebbe suonare «osato». Fin trop­po. Ma ciò è a vantaggio della radicalità dell'impostazione fabriana del problema. Non si tratta di una frase isolata, per Fabro il pensiero greco classico si è mostrato incapace di pro­spettare la fondazione ultima dell'essere dell'ente: «Aristotele, non ignora la causa, ma poichè essa attinge soltanto le forme (accidentali e sostanziali) dell'ente e non l'essere stesso, si ri­duce a tramite fisico dell'essere e non propriamente metafisico; è causa di mutazione e non di "fondazione" dell' essere»21 • Più forte di così, non si poteva parlare, e la frase, anche se può destare meraviglia in un lettore abituato ai canoni di un to­mismo tradizionale, colpisce proprio nel segno mettendo a fuoco il punto chiave del problema. Il divenire, infatti, come il molteplice, non sembra potersi ricondurre analiticamente all'unità e verità dell'essere, per cui la sinteticità dell'essere, come appartenenza della causalità ali' essere, dovrà (sembrà) fondarsi altrove che nell'essere stesso.

Un principio di risposta viene dal dogma cristiano, poi usurpato dal pensiero moderno, che concepisce l'inizio as­soluto come spontaneità creativa del Sogge~to attivo imper-

20 C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 12. (Corsivi nostri). 21 C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 26. (Corsivi nostri). Il pensiero

classico, allora, si mostra impossibilitato «a pensare tanto l'essere come il nulla» Ibidem.

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sonale: ma con questo si è smarrito il significato originario della verità dell'essere. Pertanto «tocca cominciare da capo», spiega Fabro, e riprendere quel «Dialogo sull'Essere» che die­de origine al pensiero occidentale, prendendo atto del fatto che grazie alla creazione, lEssere non è più solo, ma accanto a sé e sotto di sé ha gli enti, per cui si stabilisce la dialettica e tensione costitutiva dell'appartenenza degli enti all'Essere.

Il problema quindi di fondo che lopera riprende è l'istan­za stessa di Parmenide, allora riproposta, anche se a modo suo, da Heidegger. Non si tratta soltanto di accennare al fatto della creazione, né di ricorrere al contingentismo universale del formalismo estrinsecista razionalistico scolastico e neo­scolastico, come neanche e tanto meno al Soggetto assoluto dell'Idealismo metafisico, che convergono nell'istanza della dualità di essenza ed esistenza come contenuto e realizzazio­ne di fatto, qualunque sia il fondamento del rapporto. La risposta invece va considerata soltanto all'interno dell'Essere stesso e perciò dalla prospettiva dell'emergenza dell'atto di essere sull'essenza. È proprio qui che s'inserisce la tensione della metafisica tommasiana della partecipazione come con­tropartita della «dialettica monistica» di essere e non essere.

Due brani dell'introduzione rilevano il momento chiave della ricerca fabriana e l'originalità della medesima. Si tratta, anzitutto e con hegeliana espressione, dell'elevazione al pun­to di vista speculativo, il quale «è dato in San Tommaso - bi­sogna ripeterlo, perché è la chiave della nostra ricerca - preci­samente dal concetto di esse che resta assolutamente originale rispetto a tutte le concezioni invalse nel pensiero occidentale e che sfogge perciò alla critica di Heidegger, permettendo così la sopravvivenza ovvero la fondazione defirfitiva della metafisica autentica, la quale è data nel riferimento necessario dell'ente

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all'Esse (assoluto trascendente) non come assente ma come essenzialmente presente nella guisa della presenza più intima dell'atto di ogni ente»22•

Laltro brano, di non minore forza, accentua ancora l'emergenza della concezione tomistica con il superamento radicale del pensiero formale, e l'altrettanto radicale eleva­zione dell'esse alla qualità metafisica suprema di actus om­nium actuum, che resta allora agli antipodi delle posizioni degli autori sopraindicati, i quali lo dileguano piegandolo nel rapporto: «Nella concezione tomistica dell'essere il pro­cesso all'infinito del pensiero formale viene superato e do­minato dalla qualità metafisica originale dell'esse come "atto" che spezza e trascende il cerchio dialettico della negatività: atto di tutti gli atti, l'esse è l'unico atto che s'impone nella sua realtà, senza un proprio contenuto e perciò è senza limi-

h , l' ' h , ' l' h te pere e esse non e e non a un essenza ma e essenza e e ha l'esse. Lesse è l'atto, senz'aggiunta; nelle cose finite, nella natura e nell'anima, l'esse è l'atto attuante e quindi il sempre presente e presentificante»23 •

Questi due brani ci consentono di cogliere la radicalità e la portata dell'argomento. Si tratta del recupero dell'istanza parmenidea della priorità assoluta dell'essere e dell'indecli­nabilità della verità dell'essere, interpretata mediante ratto (aristotelico) all'interno della partecipazione (platonica) per soddisfare adeguatamente l'esigenza della trascendentalità (moderna: Hegel, Heidegger ... ) dell'essere stesso.

Il piano dell'opera segue una linea abbastanza logica. Si tratta in primo luogo della formazione della nozione tom-

22 C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 42. (Corsivi italiani nostri). 23 lvi, p. 68.

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masiana di esse intensivo, poi della fondazione dell' ens-esse, e per ultimo dell'espressione o significazione dell' ens-esse: i nuclei tematici sono, dunque, l'esse, la causalità e lanalogia.

La prima parte studia accuratamente «la formazione dell'essere tomistico»: viene approfondita la problematica classica dell'essere (Parmenide, Eraclito, Platone e Aristotele), per passare poi alla metafisica tomistica dell'esse (si vedono anche le fonti: Dionigi, il De Causis, Boezio - quest'ultimo per ciò che riguarda la terminologia, con la formula «quod est et quo est»), e poi l'emergenza dell'esse su tutte le perfezioni, come atto di ogni atto e perfino delle forme. I.:ultimo titolo: «La struttura intenzionale dell"' ens" tomistico» che chiude la prima parte, è uno dei frammenti speculativamente più densi di tutta la produzione fabriana.

La seconda parte affronta direttamente il tema della cau­salità dell'essere. Viene considerata ·la causalità nelle fonti classiche della dottrina tommasiana~ e le due direzioni della causalità, predicamentale e trascendentale, in rapporto alla produzione dell'esse.

Parlando della causalità predicamentale, Fabro presenta una lettura molto profonda della formula aristotelica forma dat esse, nel contesto del recupero della ·nozione tommasiana di esse intensivo. Il principio sembra contraddire l' emergen­za dell'esse ch'è stata sempre difesa dall'Angelico, ma esso ha tutta la sua portata ne!l' ambito predicamentale, dove il rapporto di causalità sembra quasi capovolgersi. Infatti, il rapporto fra forma e esse nell'ambito predicamentale è di fondazione, e resta vero che qui l'esse segue la forma24• D'al-

24 «Il momento della derivazione dalla forma è di fondazione predicamen­tale in quanto indica la corrispondenza fra l'atto formale e l'atto en-

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tronde, così come la materia prima è il presupposto del di­venire naturale, così anche l'esse è il primo atto presupposto per l'agire, che rende possibile ogni agire. Ma esso è anche «il termine a cui termina l'azione dell'agente in quanto ogni processo di causalità tende a far essere qualcosa o del tutto - nelle mutazioni sostanziali - o in qualche modo nuovo -nelle mutazioni accidentali»25•

Nella causalità predicamentale l'esse, anche se indiretta­mente, viene comunque prodotto, è concausato quando si causa l'emergere della nuova forma, per cui la forma è il mediante predicamentale dell'esse e la causa efficiente ha una vera incidenza nella sua causazione predicamentale. Così, forma dat esse significa ancora che la forma conferisce all' en­te una specificità: senso aristotelico dell'espressione; ma si­gnifica inoltre che è soltanto l'essenza reale, che la forma determina come atto formale, ad essere il soggetto proprio, come subiectiva potentia, dell'esse ut actus, per determinarne l'intensità. Quindi, anche se nell'ambito trascendentale sol­tanto Dio è causa dell'esse e principio immediato del medesi­mo, tuttavia «nel secondo momento (predicamentale) sono chiamate a partecipare la causalità dell'esse anche le creature,

titativo, ch'è bensì un rapporto di potenza ad atto ma che d'altronde ciascuno è atto nel proprio ordine e quindi mentre non si dirà mai: forma sequitur· materiam, poichè la materia è soltanto potenza, si dice

· invece esse sequitur formam perchè la forma è atto qualificato e fondante, -benchè non sia "in atto" per se stessa ma mediante lesse». C. FABRO,

Partecipazione e causalità, pp. 349-350. 25 C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 394. Il motivo di fondo, piena­

mente tomista, era stato dato prima: «lunica forma sostanziale conferisce al composto l'attualità di tutti i gradi dell'essere inclusi nella propria determinazione[ ... ]: quindi anche l'esse, come atto del concreto, non va escluso dal raggio dell'efficienza predicamentale». lvi, pp. 367-368.

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tanto nell'àmbito della causalità formale come in quella effi­ciente. È in questo che consiste la "mediazione creatà' nella causalità dell' esse»26•

Particolarmente profondi e originali sono anche i brani dedicati all'analisi della fondazione della libertà creata27, con l'accenno ad una soluzione di fondo della controversia sco­lastica De Auxiliis a partire dall'autentica prospettiva dell' es­se come atto intensivo: la libertà è totalmente indipendente perché, appunto, libera, ed è totalmente dipendente perché è creata, cosicché, per lattualità fondante dell'esse intensivo partecipato, la libertà viene ricondotta sotto ogni aspetto di positività attiva alla sorgente originaria dell' esse28•

Le formule fabriane che chiudono la sezione mostrano che il rimando ali' esse intensivo è decisivo per una compren­sione adeguata della causalità: anche se attinge direttamen­te una mutazione delle forme nei processi di generazione e corruzione, il divenire fisico ha come termine inadeguato e connotato lesse .stesso29•

26 C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 393. 27 Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalità, pp. 424-434; 448-465. 28 «Dio è l'unica causa la quale, precisamente grazie al suo intranearsi totale

nella causa seconda e nell'effetto, non incide affatto sulla spontaneità e libertà dell'agire e dell'effetto finito, che anzi è la vera scaturigine della stessa attività della libertà creata». C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 465. La causa prima non incide sulla libertà creata nel senso che non la ostacola; è chiaro invece che ha un influsso massimo e decisivo nel senso che la fonda, essendone la vera scaturigine. Riguardo alla controversia ·De Auxiliis, un po' prima diceva: «i' origine e il malinteso [ ... ] va ricer­cato più a fondo nell'obnubilamento del significato originario dell'esse tomistico da quello intensivo di actus essendi a quello fattuale di esse existentiae o existentia senz'altro, comune ad ambedue le parti ma ignoto a San Tommaso». lvi, 464 nota 161.

29 Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 394.

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Se il piano predicamentale è il «dominio della forma», lesse è tuttavia il termine diretto della causalità trascenden­tale, e si presenta, così, come il vero e unico medio trascen- . dentale che, qual primo «nesso», richiama necessariamente la presenza fondante di Dio nella sua causalità totale intensi­va30. Ne consegue che il rapporto dall'esse partecipato ali' esse per essentiam è di derivazione e di appartenenza diretta sotto ogni aspetto, per cui la causalità trascendentale è intensiva e «contenitiva» ad un tempo.

La terza parte è dedicata alla «dialettica della causalità», e sviluppa, in stretto collegamento, i temi della causalità, la partecipazione e l'analogia, accentuando quest'ultimo. Da rilevare i brani riferentisi alla presenza di Dio nelle cose (470-483), dove Fabro accenna a più riprese al «parmenidismo» di san Tommaso31, come anche quelli in cui viene tematizzato il difficile argomento dell'analogia. Pur senza proporre una sistematizzazione nuova della dottrina dell'analogia e delle sue divisioni, egli tenta efficacemente in virtù dei principi esposti nel volume il recupero dell'analogia di attribuzio-

30 È allora trattando della causalità tr~cendentale che Fab~o arriva a for­·nire le formule eh' egli ritiene, e giustamente, decisive per la fondazione ultima del reale nella speculazione tomistica: «Ed eccoci, mi sembra, alla conclusione di quella che potrebbe dirsi l'ultima fondazione del reale nella speculazione toi:nistica: come tutti gli atti e tutte le perfezioni dell'ente sono attuate dall'esse (partecipato) ch'è l'atto xm:'Èsox.fiv, atto e sempre atto e soltanto in atto - sia pure per partecipazione - Dio, eh' è l'esse (per essenza) e quindi causa propria diretta e immediata dell'esse partecipato è causa propria _diretta e immediata di tutti quegli atti e di tutte le perfezioni». C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 441.

31 l:espressione compare esplicitamente: «Le tappe principali dell'esse to­mistico, ovvero del "parmenidismo tomistico"». C. FABRO, Partecipa­zione e causalità, p. 636. C'è un accenno dopo il testo citato nella nota precedente, dove si parla di «ardimento "parmenideo"». lvi, p. 441.

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ne intrinseca eh' era stata accantonata dalla scuola tomista a vantaggio dell'analogia di proporzionalità, il cui tradiziona:­le primato va decisamente respinto32• Fabro preferisce però parlare di «analogia metafisica>> tout court per riferirsi alla situazione reale del rapporto tensoriale che collega I' ens per participationem ali' em per essentiam: cosl i momenti dell'at­tribuzione e della proporzionalità esprimerebbero rispettiva­mente la dipendenza (momento platonico) e la composizio­ne (momento aristotelico), per cui nella nuova prospettiva «analogia di attribuzione intrinseca» e «analogia di propor­zionalità propria» stanno come il concavo e il convesso.

Lultima tappa dell'itinerario di questa terza parte, dopo un ardito confronto con Hegel, riguarda l'offuscamento dell'esse nella scuola tomistica. Ne viene denunciata la de­viazione formalistica, e la tendenza ad accentuare il mo­mento del contenuto su quello dell'atto: l'esse altro non sa­rebbe che l'attuazione dell'essenza, la quale avrebbe nell' ens urta certa ragione di fondamento nei confronti dell'esse, in ambito strettamente costitutivo trascendentale. In realtà, le cose stanno diversamente, poiché l'essenza come tale, anche quando essa è pura forma, resta potenza riguardo all'esse; mentre nella prospettiva formalistica essa rimane l'atto primo e fondamentale, arricchita poi dall' existentia33•

Fabro conclude: «Il compito decisivo è quindi di operare una buona·volta, senza compromessi, il ricupero dell'au­tentico esse tomistico»34•

32 Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalità, pp. 598-599, e anche la nota 163 con acute critiche all'interpretazione del Manser.

33 Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalità, pp. 620-621, con le osserva­zioni su Giovanni di San Tommaso e su Baiiez.

34 C. FABRO, Partecipazione e causalità, p. 628.

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Nella conclusione Fabro riprende le linee generali dell'opera e presenta in maniera puntuale i diversi mo­menti della struttura, della causalità e della semantica dell' ens. Riportiamo le ultime battute, forti e precise: «Pertanto, comunque il pensiero si volga, deve fare sempre capo all'esse, come al suo atto e fondamento. È l'esse l'atto intensivo emergente, perché è l'atto costitutivo dell'ente in atto. È lesse ipsum il costitutivo proprio di Dio onde procede la creazione, la divina conservazione e mozione sulle creature. È lesse il fondamento su cui si fonda ed a cui fa capo la causalità nel suo espandersi trascendentale e predicamentale. È l'esse infine il principio che ordina la predicazione del reale nel suo progresso dall'univocità formale all'analogia reale. Tre momenti della fondazione della verità dell'essere che si tengono a vicenda: la costi­tuzione, la causalità, la predicazione. Tutti e tre articolati e riempiti del riferimento all'esse, eh' è il vincolo e latto universale»35 •

Seguono due opere, Esegesi tomistica e Tomismo e pen­siero moderno, strettamente collegate, e introdotte da una «Premessa» comune, nella quale Fabro spiega chiaramente l'intenzione dei due volumi: «Gli studi raccolti in questo primo volum~ precedono e integrano l'analisi fatta nel voi.: La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tomma­so, I ed. Milano 1939, III ed. Torino 1963 [ ... ]. Gli studi raccolti nel secondo volume mirano soprattutto alla attua­zione-trasposizione del principio tomistico dell'esse all'in­terno dell'esigenza heideggeriana della trascendentalità del Sein come atto e si muovono nell'ambito del voi. Participa-

35 lvi, p. 651.

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tion et causalité, Paris-Louvain 1960 ( Chaire Card. Mercier 1954); ed. it. Torino 1961»36•

Esegesi tomistica

Per quanto riguarda il primo volume, il titolo non pote­va essere scelto in modo migliore: Esegesi tomistica affronta accuratamente delicati punti d'interpretazione di testi e tesi di san Tommaso.

Gli articoli ovvero studi che integrano il volume proven­gono da diversi periodi dell'itinerario speculativo fabriano, raggruppati in tre blocchi tematici riguardanti la causalità, lesse e la partecipazione.

I. La difesa critica del principio di causa (1936).

II. Intorno alla nozione tomista di contingenza (1938).

III. La distinzione tra «quod est» e «quo est» nella «Summa de ani­ma» di Giovanni de La Rochelle (1938).

IV. Un itinéraire de Saint Thomas. rétablissement de la distinction réelle entre essence et existence (1938).

V. Circa la divisfone dell'essere in atto e potenza secondo San Tom-maso (1939).

VI. Neotomismo e suarezismo: una battaglia di principi (1941).

VII. Logica e metafisica (1946).

VIII. Una fonte antitomista della metafisica suareziana (1947).

IX. Influenze tomistiche nella filosofia del Ficino (1959).

36 C. FABRO, Esegesi tomistica, Premessa. Il testo finisce: «In una breve po­stilla, che chiude il secondo volume, si è cercato di delineare e "decan­tare" il lungo e mai conchiuso cammino nel rinnovarsi delle istanze e nel sorgere di nuove aperture e prospettive del tomismo essenziale». La postilla invece poi non compare.

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X. La determinazione dell'atto nella fI?.etafisica tomistica (1961).

XI. Sviluppo, significato e valore della «IV via» (1954).

XII. Il fondamento metafisico della «IV via» (1965).

XIII. Nuovi orizzonti dell'analogia tomistica (1964).

XIV. Elementi per una dottrina tomistica della partecipazione (1967).

I primi studi, più giovanili, ci mostrano un Fabro impe­gnato nelle discussioni neoscolastiche sul principio di cau­salità, la nozione di contingenza, la questione terminologica del significato di «quod est» e «quo est», l'itinerario di san Tommaso per la dimostrazione della distinzione .reale di composizione fra essentia et esse nel De ente et essentia, e poi la celebre controversia con il gesuita suareziano Descoqs37•

A eccezioné delle pagine dell'introduzione e del paragrafo conclusivo, lo studio sul Ficino è stato inserito in Parteci­pazione e causalit~8 • Ancora sul piano dell'interpretazione di san Tommaso, è molto importante lo studio «La deter­minazione dell'atto nella metafisica tomistica». Un ultimo

. blocco, enucleato attorno alla metafìsica·della partecipazio­ne, è composto da due articoli che riguardano la quarta via, uno che riguarda lanalogia e un altro sulla partecipazione. Quest'ultimo studio costituisce una sintesi chiara e precisa dell'interpretazione fabriana della nozione di partecipazione e offre una panoramica a lungo raggio su tutta la virtualità ed espansione tematica della medesima.

37 Gli articoli erano apparsi sulla rivista «Divus Thomas (P.)», e poi erano stati pubblicati in edizione separata con una breve introduzione scritta da Fabro per l'occasione. C. FABRO, Neotomismo e Suarezismo, in Io., Opere Complete, vol. 4, Edivi, Segni 2005.

38 Cfr. C. FABRO, Partecipazione e causalità, pp: 567-579.

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Ci soffermiamo soltanto su tre studi, perché risultano particolarmente significativi soprattutto per il loro collega­mento con la riscoperta fabriana del «vero» san Tommaso.

Oltre all'innegabile valore speculativo La difesa critica del principio di causa (pp. 1-48) ha un enorme valore do­cumentario, poiché prospetta i frutti delle prime indagi­ni fabriane sulla partecipazione, prima ancora della tesi sull' argomento39•

Nella posizione del problema Fabro distingue chiaramen­te la questione critica da quella ontologica e da quella psi­cologica. Un conto è il problema del sorgere della nozione di causa (e di effetto), un altro conto è il problema della determinazione della struttura ontologica dei rapporti di caùsalità, e un altro conto ben diverso è il problema della validità oggettiva della formulazione del principio: chiarire quest'ultimo aspetto era l'impegno assunto da Fabro.

Riguardo a qu:est' aspetto, Fabro individua tre tappe prin­cipali nella storia della discussione, con due linee contra­stanti che difendevano rispettivamente la «analiticità» (la linea antica) e la «sinteticità» del principio. La prima tappa prese avvio con il primo Congresso Internazionale di Parigi (1888) dove nella sua relazione, B. De Margerie concludeva che il principio di causalità non era da dirsi analitico, ma sintetico a priori in virtù di una certa vis additiva dell'intel­letto. La discussione fu ripresa in altri congressi (Bruxelles 1894, Freiburg 1897), senz'arrivare a soluzioni chiare. La seconda tappa si apre con l'articolo di J. Laminne sull'argo-

39 Lo studio fu pubblicato nel 1936 ed era stato anche ristampato in un volume precedente. C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma 1967, pp. 183-255.

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mento e viene troncata dalla prima guerra mondiale. Una terza fase è individuata da Fabro nell'espandersi del dibattito nell'ambiente tedesco, anche se senza progressi decisivi: que­sta «terza fase» era ancora aperta al tempo di Fabro e in essa dobbiamo inserire Fabro stesso.

Dopo aver studiato le soluzioni offerte da -Sawicki, Hes­sen e Geyser, il Nostro prospetta la pars construens ripren­dendo la dottrina tradizionale delle propositiones per se nota e la reductio ad absurdum come modo di giustificazione dei principi. Rigetta poi il ricorso al principio di ragion suffì­ciente40, contestandone lorigine razionalistica, l'oscurità delle formulazioni stesse e l'impertinenza stessa del ·ricorso, per passare allo scarto di quelle formule, che pur riallaccian­dosi direttamente al principio di non contraddizione, si mo­strano essere insufficienti agli scopi di una piena trasparenza critica. Le formule esaminate sono quelle tradizionali: «ogni effetto ha una causa», «tutto ciò che si muove, è mosso da un altro», «non passa cosa alcuna dalla potenza ali' atto se non per qualche cosa già in atto»41 , «tutto ciò che comincia (ad esistere) esige una causa», «ogni essere contingente esi­ge una causa», «ogni composto ha una causa». Dopo aver fatto un'accurata critica delle formulazioni, Fabro conclude: «Abbandonando però queste formule non intendiamo di

40 Era la proposta di Garrigou-Lagrange nonché di Maritain. 41 Riguardo a questa formulazione, prettamente aristotelica, Fabro non

vede, quando è così proposta, come se ne possa contestare il valore me­tafisico. Il problema è ben altro però: «ma quello che a noi interessa è soprattutto il valore della formula sotto l'aspetto della giustificazione critica della "perseità": rivela essa immediatamente la dipendenza cau­sale? Sembra di no: così come è enunciata nel soggetto si vede indicato piuttosto il fatto, sia pure un fatto metafisico, del passaggio». C. FABRO,

Esegesi tomistica, p. 26.

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dubitare o di menomarne il valore, che ci pare ben fondato almeno quando siano elaborate secondo gli schemi tomisti [ ... ]; si vuol dire al più che le nozioni sulle quali si fondano o sono limitate a categorie particolari di essere oppure non. presentano la trasparenza concettuale necessaria per la di­chiarazione della "perseità" del principio»42•

In questo brano si mostrano operanti i due criteri assunti per giudicare l'insufficienza delle diverse formulazioni, cioè l'universalità e l'immediatezza. La prima è una richiesta della nozione stessa dei «principi dell'essere»; la seconda invece è ri­chiesta dalla nozione stessa del per se notum. Si tratta allora di trovare una formula in cui si esprimano nel contempo luni­versalità estensiva del soggetto e I' esigenzà diretta del collega­mento fra soggetto e predicato, senza mediazioni concettuali.

Il risultato delle indagini fabriane porta verso una ricca serie di formule che il Nostro preferisce chiamare «formule platoniche» perché racchiudono nozioni platoniche fonda­mentali come quelle di «essere per essenza» e di «essere per partecipazione»43 • Dopo un lungo elenco di testi tomma ... siani, più abbondanti riferimenti ai luoghi paralleli, viene scelta come formula riassuntiva quella, ormai celebre, della prima pars: «ex hoc quod aliquid est ens per participationem sequitur.quod sir causatum ab alio»44•

Fabro ritiene che la proposizione soddisfi i due criteri sopra indicati, cosicché con essa si arriva ali' elaborazione ultima del­la nozione di effetto. Secondo lui, qui si prescinde dall'aspetto meramente fenomenologico per abbracciare lente nella sua

42 C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 34. 43 Cfr. lvi, p. 37. 44 TOMMASO o' AQUINO, Summa Theologiae, r·. q. 44, a. 1 ad 1 um.

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totalità: tale formula infatti «abbraccia latto di essere in un modo totale, che vale per qualsiasi grado e forma, per I' esi­stenza ed insieme anche per l' essenza»45• La sola esplicitazio­ne del contenuto nozionale del soggetto «per partecipazione» porta ali' esigenza del predicato e richiama lassenso dell'intel­letto. Non si tratta, tra laltro, di una mera elucidazione con­cettuale astratta, perché si ha a che fare con I' ens, che include costitutivamente lesse: ne consegue che non è possibile pensa­re propriamente l' ens per participationem senza pensare il suo ~ollegamento ali' ens per essentiam, un collegamento che com­porta necessariamente la dipendenza causale, in virtù precisa­mente della riconduzione dell'esse partecipato alla sua fontale pienezza formale. Qui però lesigenza «concettuale» va di pari passo con l'aspetto effettivo-reale, spiega Fabro, ed essendo il soggetto della proposizione l' ens per participationem, sarebbe allora contraddittorio negare il suo riferimento immediato al per essentiam, perché sarebbe porlo e toglierlo simultaneamen­te come «ente per partecipazione»46•

Alla critica di Laminne, secondo il quale non si potrebbe dedurre «l'essere causato» dalla nozione di essere partecipa­to, Fabro risponde: «Questo neppure noi sosteniamo, ma affermiamo soltanto che lessere partecipato: a) dice imme-

45 C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 39. Si noti l'espressione «atto di essere» fatta comune sia ali' «esistenza» che ali' «essenza». Siamo nei primi tempi, ma spunta già la nozione di esse intensivo.

46 «Secondo l'Angelico un "essere partecipato" non si comprende come es­sere e dell'essere, se non è visto in relazione ali' essere, forma pura che è tale per essenza, poiché è suo tipo e misura [ ... ]. Per S. Tommaso, almeno in questo punto, l'esigenza concettuale collima con quella onto­logica e reale: l'essere per partecipazione non si comprende, cioè non si comprende essere, non è se non in dipendenza del!' essere per essenza>>. C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 41.

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diata relazione ali' essere per essenza, e che b) questa rela­zione è implicitamente e virtualmente, di dipendenza reale. Così credo che si possa salvare la terminologia tradizionale, intesa in senso un po' ampio, e nello stesso· tempo sfuggire alla critica, poiché la proprietà dell'essere per partecipazio­ne di essere causato, è rivelata, nel nostro metodo, non da un'analisi logica in senso strett9, ma da un'induzione metafisica ''sui generis", cioè dalla considerazione dell'atto di essere come 'Jorma"» 47• Questa speciale induzione metafisica verrà poi esplicitamente tematizzata e sviluppata negli studi che appa­riranno in Tomismo e pensiero moderno.

Il primo studio sul principio di causalità si prolunga in quello sulla contingenza: Intorno alla nozione tomista di con­tingenza (pp. 49-69). In questo scritto, prendendo le mosse dal problema del principio di causalità, Fabro passa poi a considerare dettagliatamente la nozione stessa di. contin­genza. Presentiamo di seguito lelenco dei titoli che segna­no la divisione interna dello studio: Natura del problema, La formulazione della contingenza, Le aporie della nozione di contingenza, La nozione «tomista» di contingenza, La formula critica «tomista» del principio di causa.

Segue nel saggio la presentazione della storia del «farsi avanti» della formula della contingenza48 per presentare il principio di causalità nella scuola tomista, e si dimostra eh' es­sa risale al razionalismo di Leibniz-Wolff. Il Nostro rintraccia poi le origini della nozione tommasiana di contingenza, pre-

47 C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 45. (Corsivi nostri). 48 Con molta cura, Fabro distingue i diversi aspetti del termine: la contin­

genza può essere intesa dal punto di vista dinamico, e anche dal punto di vista statico, come pure dal punto di vista metafisico o logico. Cfr. C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 53 nota 5.

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sentando testi e contesti di Avicenna e rilevando le notevoli differenze che separano san Tommaso da quest'ultimo49•

Sono allora contingenti, nel tomismo autentico, i corpi corruttibili - e soltanto questi, in quanto sottomessi ai pro­cessi di alterazione - mentre non lo sono i corpi incorrutti­bili e tanto meno le sostanze separate. Fabro trova dunque occasione di mostrare la netta differenza fra la III e la IV via, e fa degli importanti rilievi sul significato della nozione di partecipazione, come formulazione radicalmente ultima del principio di causalità. Anche verso la fine del saggio, risponde Fabro ali' obiezione del De Vries, secondo il qua­le la formulazione del principio di causalità. in termini di partecipazione verrebbe a coincidere con la quarta via50 e inoltre sarebbe troppo difficile: in realtà, la qualifica di ente per partecipazione può essere vista a vari livelli di epurazione concettuale, e ciò toglie ogni difficoltà, mettendola a portata di mano del pensiero spontaneo.

49 Anche qui, san Tommaso ha una sua novità, che non sfuggì al giovane Fabro: «verrebbe spontaneo il pensiero che il Santo non risparmierebbe almeno un leggero rimprovero di avicennismo a questi discepoli [ ... ]. Anche per S. Tommaso è detto "contingente" ciò che "può essere e non essere", ma quando i Moderni ripetono la stessa formula, danno ad essa un senso notevolmente diverso dal tomista. Si potrebbe dire che per essi la possibilità di essere e non essere, che spetta al contingente, è logico­metafisica, direi oggettiva; per S. Tommaso, invece, è .fisico-metafisica, direi soggettiva. Per S. Tommaso è detto contingente l'ente che può es­sere e non essere in senso soggettivo; in quanto nella struttura fisica della sua essenza risulta corruttibile». C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 61. Dire pertanto che «contingente è l'ente che non è da sé» non riflette assoluta­mente il concetto tommasiano di contingenza. Cfr. lvi, p. 68. ·

50 Cfr. C. FABRO, Esegesi tomistica, pp. 67-68. Aveva già risposto, sia a questa che ad altre obiezioni, alla fine del lavoro scritto che aveva pre­sentato per il concorso nel 1934.

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Il saggio si chiude con un invito ad una lettura più pacata e attenta dei testi di san Tommaso.

Una menzione particolare merita Nuovi orizzonti dell'ana­logi,a tomista (pp. 407-419). Anche se non offre uno svilup­po né un'analitica dell'analogia dal punto di vista di Fabro, il breve scritto è tuttavia di grande pregio: esso riproduce la recensione in lingua francese, fatta al noto volume di Ber­nard Montagnes51 , al quale gli si «pourrait donner comme sous-titre "Procès à Cajetan''». Il motivo che ne dà Fabro è molto preciso: la dottrina del Gaetano sull'analogia si è imposta nella scuola tomista «non seulement en raison du prestige personnel de son auteur, mais aussi [ ... ] parce qu' elle correspondait mieux à la directiqn systématico-fornialiste dans laquelle, depuis longtemps et presque dès la première généradon, l'École s' était engagée»52• Il giudizio è decisivo: «Jamais un jugement si sévère, mais en méme temps aussi lé­gi,time, n' avait encore été porté par un disciple dominicain de S. Thomas sur la doctrine de Cajetan»53• E Fabro prende spunto da questi giudizi sul Gaetano per riproporre delle critiche assai acute alla scuola tomistica, la cui lunga serie di infedeltà speculative trova compimento nella dottrina dell'analogia: essa avrebbe preparato l'avvento dell'ateismo, che non è pertanto un fenomeno casuale.

51 B. MoNTAGNBS, La doctrine de /'analogie de l'etre d'après Thomas d'Aquin, Nauwelaerts, Louvain-Paris 1963. ·

52 C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 408. 53 C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 413. (Corsivi nostri). Più avanti si legge

ancora un altro cenno alla flessione formalistica: «c'est surtout pour une qualifìcation théoretique de la tradition dominante dans l' école thomiste que la thèse du P. M. s'impose. Le grave jugement qu' elle porte nous trouve - et dès longtemps - substantiellement d'accorci». Ivi, p. 415.

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Pur ossequioso nelle lodi, Fabro tuttavia fa notare che Montagnes si muove ancora sotto l'influsso dell'intepreta­zione della partecipazione fatta da Geiger, per cui resta are­nato nella posizione formalistica, senza riuscire ad andare fino in fondo nella resolutio ad principia.

Sull'argomento specifico dell'analogia, Fabro si mostra d'accordo nel vedere un regresso nella dottrina del De Vérita­te, q. 2, a. 11 - arriva a chiamarla perfino «aberrante» - che dà chiaramente il primato alla proporzionalità, mentre agli inizi si mostrava molto cauto al momento di prendere posi­zione su sì delicato problema54• Nonostante ciò, per Fabro lanalogia di proporzionalità non va scartata, anzi risulta «in­dispensable pour exprimer le moment logique de I' analogie dans le réalisme thomiste, encore qu' elle soit maintenue au second rang et dans la dépendance de l' analogie métaphysi­que, I' analogie d' ordre, qui est première»55• Di questo brano è da sottolinearsi il cenno ali' analogia metafisica, che qui è detta essere quella «secundum ordinem (unius ad alterum)», e diventa allora la sola vera analogia tomistica, che include, come un suo momento proprio e subordinato anche quella di proporzionalità.

Non ci sono però, oltre a queste scarse indicazioni, pur preziose ma comunque frammentarie, ulteriori sviluppi o tentativi di una presentazione globale e completa della dot­trina dell'analogia. Per uno studio approfondito dell' analo­gia in Fabro, il lettore dovrà :ricorrere alle pagine di Parteci­pazione e causalità dedicate all'argomento.

54 Cfr. C. FABRO, La nozione metafisica, pp. 184-185. 55 C. FABRO, Esegesi tomistica, p. 416.

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Tomismo e pensiero moderno

Gli studi del volume Tomismo e pensiero moderno, sedi­ci in totale, sono, secondo esplicita testimonianza di Fabro, da ritenersi integrativi rispetto a Partecipazione e causalità. Questi studi hanno una tale importanza e profondità, a no­stro avviso, che meritano di essere particolarmente rilevati, almeno all'interno dell'insieme dell'opera fabriana.

Per un tomismo essenziale (pp. 5-19). Il saggio intende pro­porre il «tomismo essenziale» come unica via per assolvere quello che costituisce il compito primario della filosofia eh' è quello cioè del riportarsi al fondamento: soltanto in questa maniera si potrà riagganciare l'uomo al reale e lo si potrà ri­portare all'origine del logo essenziale per «cogliere lo spirito allo stato nascente»56• Limpostazione di fondo, come si vede sin dalle prime battute, risente fortemente dell'influsso di Heidegger. Infatti, Fabro si pone esplicitamente il problema di cosa accada all'uomo mediante il pensiero o come accada all'uomo il pensiero, seguendo il saggio heideggeriano Was heisst Denken, e distinguendo, sulla scia di Heidegger, il pen­siero «scientifico» misurante dal pensiero propriamente filo­sofico: il passaggio dall'uno all'altro si tiene per un salto57•

56 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 5. Con questa espressione Fabro intende indicare l'originario costituirsi della libertà.

57 Riguardo al pensiero, e proprio all'inizio di questa sua (ri)proposta del tomismo (essenziale), si leggono le seguenti affermazioni: «la prima "po­sizionalità"· della realtà è data anzitutto nel pensiero; nella sua attualità di presenza che poi si espande nei vari pensieri e nei diversi modi di pensare. Il pensiero nel suo atto primordiale è il ''situante" origi.nario di fronte alla realtà come tale, che dà a qualsiasi pensiero specifico di potersi situare variamente nei vari orizzonti del reale: il pensiero in quel suo primo atteggiarsi e attuarsi rispetto alla realtà, lungi dall'essere un' astra-

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Ora, per tornare al compito essenziale, la filosofia dovrà restringere il suo campo operando una seria catarsi così da ritrovare, allora, il giusto sentiero, la via della verità di Par­menide58. Quest'affermazione è solidale con l'altra sul falli­mento dell'avventura della filosofia moderna. Fabro accenna infatti alla «morte della filosofia nella sua missione originaria cioè come fondazione autentica della libertà. Senza dubbio allora, non solo l'idealismo o lempirismo, non solo il mar­xismo o l'esistenzialismo, ma tutta la filosofia moderna ha fatto fallimento»59.

Avendo descritto con sì severi tratti la situazione, Fabro inserisceil richiamo di Paolo VI ad un ritorno a san Tom­maso, nella lettera al Maestro Generale dei Domenicani: in

zione vuota, è l'intensivo per essenza, il fondamento per lappunto, il prius e il cominciamento assoluto». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 6. Si noti la forza delle espressioni che abbiamo messo in corsivo - tranne il «prius». Esse sono veramente molto significative per rilevare l'originalità e indipendenza di Fabro, poiché difficilmente reperibili presso i tomisti di scuola: mostrano come non si tratti di un mero ripetere delle formule ormai stabilite, bensl di affrontare con tutta serietà i problemi specula­tivi, senza nascondere le loro vere esigenze.

58 «Più la fìlosofia restringerà il suo campo e più la sua riflessione diverrà essenziale: deve perciò andare controcorrente, non cedere alle lusinghe di programmazione o di etichette contingenti ma piuttosto le converrà col risalire di china in china l'itinerario della sua caduta nell'insignificanza ritrovare il sentiero autentico dell'essere. Se vuole ancora salvarsi, la fi­losofia deve ricongiungersi al primo richiamo, all'essere di Parmenide come fondamento del pensiero». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 6-7.

59 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 7. Le espressioni «riportarsi al fondamento», «cogliere lo spirito allo stato nascente» e «fondazione. autentica della libertà» si corrispondono, e mettono direttamente lo studio in continuità con quello ch'era stato detto nell'avvertenza di Par­tecipazione e causalità, in quanto la speculazione essenziale deve mostrare come l'essere s'illumini nell'uomo e come l'uomo si cerchi nell'essere.

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essa si scorge un contenuto nuovo eh' è il doppio richiamo al confronto del pensiero tomistico con il pensiero moderno e con la coscienza moderna60• Secondo quest'ultima affer­mazione, bisognerà allora distinguere il pensiero moderno in generale e la filosofia moderna61 • Ne consegue che il pro-· gresso dell'uno non significa una convalida dell'altra, poiché non dipendono dagli stessi principi.

Il rapporto allora fra scienza e filosofia non è dunque d'integrazione, né di subordinazione metodologica secondo piani di passaggi intenzionali ascendenti, bensì un rapporto di convergenze, poiché appartengono a diversi piani inten­zionali. La scienza a modo suo viene a confermare la «po­sitività fondamentale e ricchezza della realtà dell'esperienza», accettata dal pensiero realistico classico e cristiano e rigettata invece come negatività o parvenza e comunque come non­verità nelle filosofie dell'immanenza. E conclude Fabro con un giudizio decisivo: «Per essere espliciti e per non essere comunque fraintesi sul punto cruciale, si tratta di questo: la filosofia moderna dell'immanenza ha fatto completo fallimento nella diagnosi della verità, perché è erronea nelle sue ragi,oni

60 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 9. E aggiunge poche righe dopo: «Il documento pontificio procede dalla convinzione che la fìlo­sofìa dell'essere, quale si trova nelle opere di S. Tommaso, è l'orienta­mento fìlosofìco vero per l'uomo». Lo stesso si potrebbe dire, ai nostri giorni, sulla Fides et ratio. Fabro segue il testo inglese della lettera in questione, pubblicato nell'Osservatore Romano del 7 marzo 1964.

61 «[La fìlosofìa moderna] nella sua accezione propria è legata alla dia­lettica rigorosa del principio d'immanenza che ha avuto per esito la morte dell~ fìlosofìa con l'espulsione o nientifìcazione del problema della verità. Il pensiero moderno invece esprime tutto l'ambito delle acquisizioni nelle ricerche storiche, estetiche, ermeneutiche, pedago­giche e scientifiche in ogni campo». C. FABRO, To'mismo e pensiero mo­derno, p. 9.

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formali ed anzitutto aberrante nel suo principio ispiratore eh' è per l'appunto il principio d'immanenza»62•

Bisogna subito dire però, che il Nostro riconosce anche mostrarsi la filosofia classica e quella medievale, nelle rispet­tive figure storiche, inadeguate e insufficienti per l'uomo moderno. Ma è proprio qui, aggiunge, per superare questo punto morto, che la Chiesa fece la «scelta del tomismo come forma di pensiero universale>>. Le reazioni contro il tomismo, lè incomprensioni, quelle vecchie e quelle nuove, si spiegano per la «pregiudiziale storicista», con I' accusa di «indiscrimi­nato medievalismo», e per il «rancore anticlassico e perfino antilatino, ch'è senz'altro gretto e ingiustificato»63 •

Facendo sue le parole del Pontefice, Fabro osserva che si tratta di un riproporre san Tommaso perché «il suo sapere fi­losofico [ ... ] non è medievale, né proprio di un determinato popolo, ma trapassa i tempi e gli spazi, e quindi non è me­no valido per tutta l'umanità ai nostri giorni». Proprio per questi motivi, il ritorno non può essere ad una determinata figura storica, bensì alle radici essenziali e fondanti del tomi­smo stesso64• E dopo aver elencato quelle che, secondo lui,

62 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 10. 63 lvi, p. 11. 64 «È in quest'atmosfera che il "tomismo essenziale" può presentarsi con

tutte le sue carte in regola per essere quella philosophia perennis spesso e con ragione auspicata dagli spiriti migliori di ogni tempo. A questo modo, nella riduzione all'essenziale, il tomismo potrà fare il giudizio dei sistemi ed anche di se stesso nel contingente sviluppo quale sistema e scuola storica particolare». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 11-12. Che non si tratta di un mero ripiegarsi sul passato lo dimostra il fatto che in seguito e a conferma di queste dichiarazioni Fabro si ri­chiama al § 86 dell' Enzyklopiidie di Hegel, che viene citato per intero allo scopo di «afferrare la gravità e insieme l'urgenza di questo compito». Il brano, aggiunge Fabro, «ci può soccorrere».

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dovrebbero essere le caratteristiche di un «tomismo essenzia­le», fa notare· due aspetti che segnano il distacco e la rottura riguardo al trascendentalismo e al formalismo: «1' essenzialità di cui si parla dice intensità di problematica, approfondi­mento di principi, chiarificazione delle differenze ... anzitut­to rispetto·alla dialettica moderna dell'immanenza che, nel suo principio ispiratore più profondo qual è la soggettività trascendentale, ha portato la filosofia alla morte precipitan­dola nel baratro dell'attivismo puro ossia del nulla; poi, anzi prima di tutto, rispetto alla Scolastica formalistica che ha preparato e provocato con la sua vuotaggine e carenza spe­culativa l'avvento del pensiero moderno»65 •

È chiaro allora che non si tratta di un semplice e mero ripetere tesi e frasi di un medievale qualunque, perché una ripetizione passiva farebbe, semmai, l'effetto di riportarci al secolo XIII, mentre la storia non torna mai indietro, e dob­bia~o invece, come ha fatto anche san Tommaso, inserirci nei problemi del nostro tempo.

Lo studio finisce con un accenno alle caratteristiche del «tomismo essenziale».

Presenza. ontica, ontologica e metafisica dell'essere (pp. 21-45). Lo studio risale al 1958 ed è impostato sulla base delle speculazioni heideggeriane e hegeliane sul problema della fondazione della verità dell'essere, in diretto collegamento con la questione della differenza ontologica. Esso prende av­vio con una maestosa affermazione, che segnerebbe lo status quaestionis: «Gli enti rimandano all'Essere come al fonda-

65 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 17-18. E poche righe dopo, con espressione veemente: «il pensiero moderno probabilmente non sa­rebbe esploso [ ... ] se il campo del pensiero non fosse stato minato in ·antecedenza».

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mento della propria verità, del proprio atto: il divario o di­stanza fra gli enti e l'Essere è stata detta la "differenza onto­logicà' (Heidegger) e la risoluzione degli enti nell'Essere è la fondazione della loro verità di essere»66•

Nel saggio viene tematizzata, per la prima volta - a no­stra conoscenza - in ambiente tomista, quella che può dirsi la «positività ontologica del nulla>> - pèr quanto sorprendente la·formula possa risultare. Si tratta di un punto tutt'altro che secondario e non si riduce ad una mera questione retorica. Proprio al contrario, Fabro afferma decisamente: «La tensione di essere e nulla nell'essente finito dà l'autentica posizione teo­retica~ secondo le modalità di questa tensione si distinguono tra loro le fìlosofie essenziali»67• Il testo ha valore di tesi.

La presa di posizione di Fabro riguardo al nulla è quanto mai risoluta. Mentre in Hegel il nulla ha significato soltan­to dialettico e di passaggio, e ridotto a momento dialettico si dissolve .nell'ambito meramente logico e finisce per non essere nulla, e mentre il nulla di Heidegger è «attivo-nientifi­cante» e si collega ali' essere stesso in reciproca appartenenza, «il nulla tomistico invece è positivo» e la realtà di questo nul­la è determinata nella sua assoluta negatività. E spiega Fabro immediatamente: «i:espressione "realtà del nullà' non deve portare fuori strada. Essa afferma la "differenza ontologicà' ed è qui usata in contrapposizione al significato dialettico

66 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 21. Fabro nega decisamente che ci sia un'opposizione fra il primo Heidegger e quello del dopoguerra, e spiega nella nota che laffermazione di Veauthier su un'eventuale oppo­sizione fra Daseinszentrismus e Seinsprimat avrebbe senso solo se intesa in senso dinamico, come due stadi di un processo continuo e unitario. Cfr. lvi, p. 22).

67 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 31. (Corsivi nostri).

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che il nulla ha nelle metafisiche spinoziane (spec. Hegel), e in Heidegger, le quali affermano l'appartenenza intrinseca (reciprocità) e quindi la non-distinzione di essere e nulla. [ ... ] Il "nullà' della creazione biblica resta sempre nulla, pri­ma, durante e dopo la creazione stessa: per questo il nulla è sempre. nulla e non "fà' nulla, e tanto meno il "nulla nienti­ficà' come vuole Heidegger»68•

Le formule fabriane diventano in questo saggio sempre più incisive e profonde. Elenchiamo: «mediante il significa­to positivo del nulla; al quale si rapporta la creazione biblica, si può chiarire radicalmente l'istanza teoretica della verità dello esse come atto semplicemente»; «il nulla "chiarificà' intenzionalmente l'emergenza dell'ente»; «precede nell'ente in quanto l'ente non è lesse>>; «chiarifica la finitezza dell' en­te non in quanto entra come elemento (o momento reale) componente l'ente, ma in quanto riporta il "limite" dell'ente al suo fondamento»69•

Molto precise e accurate sono le conclusioni dello studio, che Fabro espone in dieci paragrafi numerati. Esse risultano dalla discussione del significato del nulla (e dell'essere) in Hei­degger e in Hegel, che costituiscono le divisioni «tematiche» fondamentali dello scritto, alle quali si aggiunge un puntuale confronto fra la posizione di Hegel e quella di san Tommaso.

Dall'ente di Aristotele all'«esse» di S. Tommaso (pp. 47-80 e pp. 81-102). Parte dello studio è stata inserita in Parte-

68 C. FABRO, Tomismo e pemiero moderno, p. 41. Riappare così, osserva in seguito Fabro, il principio di Parmenide, che lessere è e il non essere non è, il quale, malgrado l'apparenza semantica «non è una espressione analitica ma la rivendicazione prima della sinteticità dd reale come apparire».

69 C. FABRO, Tomismo e pemiero moderno, p. 42.

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cipazione e causalità. Esso ha delle osservazioni profonde riguardo al collegamento fra essere e linguaggio, e include un'indagine molto accurata sull'etimologia di «essere», dove si confutano certe espressioni di Heidegger. Pur quando ri­conosce i meriti innegabili delle indagini heideggeriane, in realtà Fabro cerca, muovendo 'da esse, di riproporre l' origi­nalità incontestabile dell'esse tommasiano. Serva come esem- · pio il seguente brano, il cui inizio già conosciamo: «Il merito di Heidegger nel pensiero contemporaneo può essere pari a quello di Parmenide, di Platone e di Aristotele nel pensiero classico, quello cioè di aver posto e svolto il tema dell'essere come costitutivo essenziale della verità riportandola al suo significato originario. Il nostro richiamo in questa ricerca alla posizione heideggeriana ha unicamente l'interesse teore­tico di chiarire l'originalità dell'esse tomistico, quasi obliato finora nel pensiero occidentale perché confuso con la co­mune concezione scolastica dell'ente e fatto sinonimo di esistenza eh' è una determinazione fattuale e non costitutiva dell' ente»70•

Sulla scia di Heidegger, Fabro riconosce che la doman­da sul linguaggio, e soprattutto sulla semantica di «essere», è tutt'altro che superficiale e trascurabile. Questo perché il linguaggio è il veicolo dei concetti, di modo che ogni ricer-

70 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, 64. Si noti bene come Fabro non esiti allora di paragonare Heidegger con i grandi classici: ciò non vuol dire, è chiaro, che ne condivida le soluzioni da lui proposte. Questi riconoscimenti a Heidegger sono ricorrenti nell'opera fabriana: Ecco un altro testo, in apertura della seconda parte dello studio: «Si può ricono­scere all'opera di Heidegger - qualunque possa essere il suo esito - il me­rito di aver ricuperato nel pensiero contemporaneo il significato del pro­blema dell'essere, di aver cioè chiarito in modo radicale l'appartenenza essenziale dell'essere alla verità e della verità all'essere». lvi, p. 81).

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ca per la determinazione del contenuto dei concetti umani deve avere come base o radice lo studio del linguaggio71 • E se questo vale in genere per tutti i termini, vale però soprat­tutto per il termine «essere».

Lo studio si chiude con una critica di fondo del Sein hei­deggeriano, poiché l'essere dell'essente, al di là delle apparen­ze, non è stato da Heidegger compreso in senso metafisico radicale, e resta sospeso in ultima istanza al fatto. E tuttavia conclude: «Ma nulla, meglio delle ricerche di Heidegger, può oggi richiamare al ripensamento dell'originalità specu­lativa ancora nascosta dello esse tomistico nello sviluppo del pensiero»72•

La problematica dello «esse>> tomistico (pp. 103-133). Inda­gine sull'esse che segna una definitiva presa di posizione so­prattutto riguardo alla terminologia da adottare per riferirsi alla speculazione tommasiana sull'essere.

I limiti e lo scopo pr~ciso della ricerca vengono indicati in apertura: «Non è intento di questa ricerca di dare I' espo­sizione della complessa problematica tomistica dell'esse, ma solamente di chiarire il "passaggio semantico" dal sinolo di ens ai suoi principi che sono I' essentia e l' esse>>73•

Questo «passaggio semantico» è presentato e giustificato a partire dalla novità radicale di san Tommaso nell'ermeneu­tica dell'esse nei confronti delle fonti. Tutti quanti conver­gono, in un modo o nell'altro, nel distinguere il contenuto dell' ens come «contenuto realizzato» e il fatto stesso della realizzazione come attualità effettiva di siffatto contenuto;

71 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 67. 72 lvi, p. 102. 73 lvi, p. I 03.

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san Tommaso però non si ferma lì, va oltre, fìno ad arrivare all'esse come actus essendP4•

Seguono validissime osservazioni sui diversi momenti e aspetti della resolutio metafìsica75 e poi, a modo di ferme conclusioni raggiunte, alcune affermazioni fondamenta­li. Ecco un saggio: <<A) Non ci si può limitare a descrivere l'esse intensivo tomistico terminale come "id quod aliquid ponitur extra nihilum et extra causas" [ ... ]. Nella posizione tomistica originaria il termine ''existentia" non ha rilevanza metafisica e va abbandonato [ ... ]. Si conservino allora nella forma originale, se sono intraducibili nelle lingue moderne, le formule tomistiche di quod est et esse, essentia et esse, forma et esse ... , ma soprattutto resti esse, per indicare l' actus essendi intensivo: si eviti soprattutto di tradurre questo esse con "esi­stenzà'. Si può certamente rendere esse con. "atto di essere" (actus essendi), quando si abbia cura di precisare chiaramente il senso dell'espressione. B) eesse intensivo tomistico, ch'è il nuovo principio metafisico, è l'atto dell'ente partecipato come atto dalla potenza che lo riceve [ ... ]. Perciò l'esse [ ... ] è un "actus quiescens" nell'ente in quanto è l'atto realizzan­te intrinseco. [ .... ] Allora come l'atto di esse è incomparabile

7 4 «La riflessione metafisica si può fermare ali' esse come la "realizzazione" dell'essenza ed è il significato tradizionale d~ "existentia" che indica il "fatto" della realtà in atto [ ... ] ma l'Angelico ha poi capovolto mediante l'analisi metafisica la nozione di esse con quello che abbiamo detto il passaggio dallo "esse-in-actu" allo "esse [ut] actus". Questo passaggio com­porta un cambiamento radicale tanto nel concetto della creatura, come nel concetto di Dio». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 104. (Corsivi nostri).

75 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 103, 107, 107-108 (con l'indicazione delle «tre» nozioni di esse, quella iniziale-confusa, quella metodologica-strutturale e quella-intensiva-terminale), pp. 109, 110.

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con gli altri atti (le forme sostanziali e accidentali. .. ), così il cosiddetto concetto di ens-esse è incomparabile con gli altri concetti i quali si esprimono mediante una definizione che allinea due contenuti: in concetto di ens invece esprime la realtà in atto in funzione del rapporto dell'essenza ali' esse ed è quindi un concetto {se concetto può dirsi!) che "converge" sulla realtà singola sia essa Dio e la creatura»76•

Dopo di questo Fabro si sofferma su tre problemi puntuali di esegesi di testi riguardanti l'esse, che hanno fatto faticare i seguaci dell'Aquinate. Si tratta del soggetto proprio dell'esse, ch'è la sostanza, a cui si collega il problema del (presunto) es­se degli accidenti, e poi quello dell'«esse suppositi», in stretto collegamento con la teologia dell'unione ipostatica77•

Ancora a conferma dell'esegesi proposta dell'esse come espressione della personale e speculativa sintesi tommasiana di aristotelismo e platonismo, Fabro studia il principio della perfectio separata indugiando sugli esempi usati da san Tom­maso, con abbondante e precisa documentazione testuale. Segue un accenno a Hegel, con il ricorso all'immagine del «circolo»: <<A questo modo la filosofia ha con l'essere l'inizio e il termine in se stessa e il circolo metafisico è perfetta­mente saldato: e la distinzione tomistica di "essentia et esse" costituisce il punto di volta per approfondire la rivoluzione copernicana operata dall'Angelico nel pensiero cristiano e

76 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 113-115. 77 Come si sa, nel Verbo incarnato c'è un unico esse ut actus, quello nu­

mericamente unico ed eterno, identico - con la sola distinzione delle intradivine relazioni di origine - alla seconda persona della Santissima Trinità, ipsum esse subsistens, mentre c'è un doppio esse in actu: quello che consegue alla natura umana assunta, e quello proprio della natura divina, che anzi s'identifica con essa.

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per attuare un valido confronto con la dialettica del Sein hegeliano [ ... ]. Esse est, è l'unica proposizione analitica del reale ed è la stessa "posizione" di Dio: la realtà di tutti gli altri, dagli infimi ai più nobili, è di natura sintetica e attesta la libertà del Creatore»78•

È ampiamente giustificata, dunque, l'osservazione sul collegamento di questo studio con la tematica di Partecipa­zione e causalità, dal momento che per Fabro: «Nella nozio­ne tomistica dell'esse costitutivo intensivo si attua pertanto e si compie la teoreticità pura della verità»79•

The Problem of Being and the Destiny of Man (pp. 135-163). Lo studio riproduce in inglese il contenuto del secon­do saggio del volume. Una differenza, piccola, con l'altro_ studio è laggiunta di sottotitoli e suddivisioni, che ne seg­nano, per così dire, i passaggi speculativi, secondo i grandi teorici del nulla: Heidegger and the Truth of Being (Being a.$· Presence to Man, Immanence of Being and Absence of God, Being and Nothingness); Hegel and the Truth of Being (The Two Dialectics, Primacy of the Absolute Spirit, The World as Self Manifestation of God, The Finite as Moment in the Life of the Infinite); Hegel and St. Thomas (Role ofNothingness in Hegel and St. Thomas).

Intorno al fondamento della metafisica tomistica (pp. 164-222), ci presenta, in apertura, una pagina esemplare di erme­neutica filosofica, che può risultare molto istruttivo seguire. Fabro esordisce accennando alla situazione speculativa degli studiosi della formazione del tomismo i quali, ormai chiarita nei suoi tratti storici essenziali la fisionomia del pensiero to-

78 C. FABRO, Tomismo e pemiero moderno, pp. 130-131. 79 lvi, p. 125.

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mistico, si dedicano a ricerche più «di fondo», cosicché «alle indagini eh' erano di tipo puramente storico o puramente culturale, fanno oggi seguito le ricerche più propriamente "costitutive" le quali intendono seguire a ritroso, per così dire, le molteplici articolazioni di un pensiero per riportarlo al suo momento originario quasi per "provarlo" nella luce e nell'enigma che al primo passo gli diede l'avvio»80 •

Bisogna, allora, riportarsi al fondamento, ed è necessario determinare di quale fondamento si tratti. Il cenno è im­portante perché mostra in maniera radicale il superamen­to di ogni formalismo e razionalismo: «Il "fondamento", di cui si parla, non è a rigore né la "riflessione sistematicà' che svolge principi o nozioni definite, né la determinazione di una speciale intuizione iniziale la quale già contenga il sen­so e le poss[i]bilità dell'ulteriore cammino. Il fondamento è piuttosto l'illuminazione (Lichtung) che chiarisce e muo­ve quella possibilità, è il plesso intenzionale concreto che esprime la condizione primordiale di siffatta possibilità, ed è perciò a suo modo - eh' è senz'altro paradossale, poiché si parla dell'inizio - un certo status in quo che la coscienza fa in se stessa per compiere quella riflessione ultima ch'è stata chiamata la filosofia. Loggetto costitutivo di tale filosofia essenziale è stato riconosciuto nella nozione dell'essere, eh' è il "tutto-comprendente"; essa rende solidali l'esperienza e il pensiero, l'immediatezza e la mediazione, l'inizio e la conclu­sione, in quanto è precisamente la possibilità trascendentale

80 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 164. Com'era d'aspettarsi, segue immediatamente l'allusione a Hegel e a Heidegger, pensatori es­senziali: «Si tratta di ciò che Hegel, e dopo di lui Heidegger, chiamano il ritorno (Ruckgang) ovvero la riduzione (Zuruckfohrung) nel fondamento ossia l'esigenza di riportarsi al principio».

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del ritorno in sé e con ciò nel fondamento eh' è per lappunto la verità dell' essere»81 •

Il denso discorso sul fondamento si chiude con un brè­ve ma decisivo richiamo alla superiorità del tomismo: «Se Parmenide, Hegel ed Heidegger hanno in particolare pre­so il movimento . dal "concetto" di essere, l'unica forma a nostra conoscenza di un'analitica compiuta dell'essere è la speculazione tomistica, quando sia chiarita nella sua auten­tica struttura. Ciò che Hegel affermava della propria con­cezione dell'Idea come un "appronfondirsi in se stesso" in cui lestendersi e il dilatarsi non è che un intensificarsi: ciò vale soprattutto per la concezione tomistica dell'essere, la cui forza speculativa diventa oggi per noi assai più chiara e sua­siva di fronte alle istanze più radicali e negative del pensiero moderno»82•

Dopo tale esordio, Fabro indica lo scopo preciso dello studio, che è di esaminare «a distanza» le fonti della spe­culazione tomistica dell'essere, per mostrare come l' «idea» di fondo del tomismo trascenda le fonti storiche, le qua­li hanno, semmai, una funzione di «supporto materiale» al _riguardo.

Quindi vengono studiati Aristotele per la dialettica di astratto e concreto, Boezio per la dialettica di forma e atto, e Avicenna per la dialettica del «necesse esse» e «possibile esse».

Riguardo al confronto Avicenna-Tommaso, meritano una menzione speciale le seguenti dichiarazioni, perché espri­mono in maniera assai chiara la novità dell'interpretazio-

81 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 165-166. 82 lvi, pp. 166.

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ne fabriana, nonché dell'esse tommasiano. Avendo indicato che per Avicenna la resolutio suprema della Diremtion delle due «sfere» del reale {il necesse esse e il possibile esse) si stabi­lisce nella semplice dipendenza causale, il Nostro incalza: «I' estrinsecismo avicenniano si chiarifica dalle esigenze più profonde di una tendenza speculativa che sta agli antipodi, sotto questo aspetto, della metafisica tomista e della fun­zione teoretica decisiva che in essa assumerà la distinzione di essenza ed esse: Dio è causa perché è l'esse per essentiam, la creatura è effetto perché è em per participationem, e non viceversa» 83•

In nota a questo brano, Fabro osserva che anche questa metafisica estrinsecista può essere detta «Parmenidismo», ma di tipo formale-esistenziale, poiché la composizione di atto e potenza riguarda la sola struttura dell'essenza, e resta legata quindi alla sfera meramente formale, senz' attingere dunque alla struttura stessa dell'ente riguardo ali' esse. Con­clude la nota: «Per il parmenidismo invece di S. Tommaso, l'esse quale Atto supremo emergente è anzitutto uno in sè e per sè e non solo "in intellectu''».

83 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 206. Come abbiamo ac­cennato, questa veduta va di pari passo con la tesi del contingentismo universale, rigettata apertamente da san Tommaso, ma ingenuamente accettata, anche ai nostri giorni, da tanti tomisti, che si muovono, senza nemmeno sospettarlo, sotto l'influsso del razionalismo di Leibniz-Wolff, e prima ancora di Suarez. La sentenza si ripete più avanti: «Avicenna e S. Tommaso si muovono in senso inverso in quanto Avicenna fonda e risolve la composizione nella causalità, mentre S. Tommaso risolve e fonda la causalità nella composizione ossia nella Diremtion originaria e statica dell'esse, come esse per essentiam ed ens per participationem». Ivi, p. 214. In nota Fabro riconosce un autentico progresso in S. Tommaso, che nelle opere giovanili si muoveva piuttosto sotto l'influsso di Avicenna per dimostrare la distinzione reale di composizione fra essentia ed esse.

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Segue un interessante confronto sulle prime nozioni (ens-res) fra i due autori, e un cenno alle interpretazioni medievali, con precisi riferimenti a Enrico di Gand (che riporta il «vero Avicenna») e Roberto da Lincoln (il Gros­satesta), «vero caposcuola dell' augustinismo avicenniano in metafisica».

Dell'ente, dell'essere e del nulla (pp. 223-241) riprende il confronto con Heidegger sulla questione. del Fondamento . . Si riconosce ancora a Heidegger in apertura il merito di aver fugato gli ultimi residui di gnoseologismo, sulla scia di He­gel, sia sulla linea soggettivistica-trascendentale che su quella del realismo (critico), rivendicando la priorità di fondazione che spetta ali' essere sul pensare84•

Lo studio presenta, seguendo le diverse trattazioni di Heidegger - si vedano, tra altri saggi citati, Was ist Metaphy­sik?, Einfohrung in die Metaphysik, Holzwege, Vom Wlesen des Grundes - la critica heideggeriana alla filosofia occidentale in quanto segnata dall'oblio dell'essere ( Vergessenheit des Seins), in base alla sua piega dualistica e rappresentazionistica per cui «l'errore radicale di questa concezione secondo Heideg­ger, è che l'essere abbia bisogno di una rappresentazione, di essere rappresentato, mentre si deve dire che la "presenzà' è l'essere stesso»85• La tesi viene giustificata con le ormai cele­bri analisi delle nozioni di <!>ilmç, /..6yoç e à/..fi8ELa, la cui

84 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 223. Conclude Fabro: «Pertanto si può convenire con Heidegger nel proposito di redimere con l'es­sere la verità del pensiero». Ibidem. E ciò perché, in termini heideggeriani, «la verità non può essere un'aggiunta ali' essere, la verità appartiene ali' es­senza dell'essere, come il suo disvelarsi, l'atto della sua presenza». /vi, pp. 225. (Corsivi nostri).

85 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 224.

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non adeguata comprensione è stata poi determinante per il precipitarsi del processo medesimo dell'oblio dell'essere.

Fabro dedica dense pagine ali' analisi della domanda me­tafisica fondamentale che Heidegger prende da Leibniz (e Schelling)86, pagine che includono anche un decisivo con­fronto con l'interpretazione heideggeriana della creazione e dell'opera d'arte. Ritorna così la problematica del nulla87,

che è «un documento della "continuità'' del pensiero hei­deggeriano» poiché ci dà «l'unica chiave per intranearci nella "presenzà' ch'è la verità dell'essere»88 •

La conclusione trabocca speranza ed è in collegamento con la tematica dominante del volume: «1' opera di Heideg­ger, come quella di Hegel nel secolo scorso, rimane oggi il richiamo più efficace per tentare questo cammino per la de­terminazione della verità dell'essere dall'interno dell'essere stesso» 89•

Lauspicata soluzione però, era stata già accennata all'in­terno dello studio, prima d'introdurre la problematica hei­deggeriana del fondamento, perché è san Tommaso colui che effettivamente riprende «l'essere parmenideo obliato dalla tradizione. Parmenideismo tomistico allora, non però in senso ontologico secondo il quale è6v ed etvm finisco­no per equivalersi come concreto e astratto, ma nel senso metafisico nel quale l' ens e l'esse esprimono la "Diremtion" metafisica fondamentale e l'esse senz' aggiunta si manifesta come il "fondamento" stesso e il nome proprio dell'Assoluto [ ... ]. È stato allora l'approfondimento tomistico dell'atto, la

86 Cfr. lvi, pp. 228-236. 87 Cfr. lvi, pp. 238-241. 88 lvi, p. 239. 89 lvi, p. 241.

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scoperta dell'esse al di là dell'essenza, quel decisivo "passo indietro" che ha ricuperato la verità appena intuita e subito smarrita dell'ente parmenideo»90•

Per la determinazione dell'essere tomistico (pp. 243-270). Il saggio è diviso in paragrafi numerati che si possono raggrup­pare approssimativamente in tre sezioni, dedicate rispettiva­mente a Hegel, a Heidegger e a san Tommaso.

Se Heidegger spiccava come primo interlocutore negli studi precedenti, in questo invece viene accordato a Hegel il primo posto. Secondo Fabro, le sovrastrutture formali dei diversi tipi di filosofia hanno fatto smarrire il problema fondamentale della presenza stessa dell'essere. Tuttavia: «Il merito principale di questa ripresa del problema dei pro­blemi spetta ad Hegel eh' è un ebbro dell'essere, la cui pas­sione per il fondamento dell'essere non ha confronto che col massimo spirito speculativo dell'Occidente, S. Tommaso d'Aquino»91 •

Fabro non risparmia lodi a Hegel in questo studio. Il ri­chiamo a Hegel è ritenuto da Fabro esemplare per la co­scienza risolutiva e il recupero dell'essere92• Proprio a causa di questa chiara coscienza risolutiva la lezione di Hegel va ritenuta, spiega Fabro, «esemplare, la più esemplare di tut­to il pensiero moderno» per la discussione sull'essere e sul

90 lvi, pp. 226-227. 91 lvi, p. 243. 92 «Il richiamo ad Hegel è particolarmente esemplare sia "per la chiara co~

scienza risolutiva'' eh' egli porta al problema speculativo nel suo divenire storico, sia e soprattutto per il recupero dell'essere (Sein) al centro della dialettica, come inizio, medio e termine della medesima - proprio come Aristotele ma con movimento opposto, non divisivo ma intensivo cioè verso l'interno del processo di fondazione». C. FAsao, Tomismo e pen­siero moderno, p. 244.

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fondamento dell'essere. Tanto è vero che al riguardo, prose­gue Fabro, l'intera opera di Heidegger, per quanto notevole, «non si riduce che a note marginali»93 •

Esemplare nel primo momento, della posizione stessa del problema e della dialettica medesima, la lezione hegeliana si mostra esemplare anche nel secondo momento, quello cioè dell'esplicitazione del Sein iniziale e del passaggio al fonda­mento. Questo doppio passaggio, del Sein al wt-sen e dal wt-sen al Grund, ha tormentato Hegel, che si è dedicato a prospettarlo con estremo impegno94•

Dopo aver sviluppato, con aderenza ai testi fondamenta­li, le diverse forme di questi passaggi nell'ascesa all'Assoluto, distinguendo il momento costitutivo, il momento intensivo e il momento dichiarativo, e avendo prospettato un breve confronto con Kant, Fabro si pronuncia sull'esito e sul valo­re stesso della procedura hegeliana. Ed osserva, innanzitutto, che l'identificazione di Dio con l'essere non è in Hegel per nulla giustificata, anzi nemmeno interessa agli scopi stessi della dialettica95•

Da questa certezza si ricava la conclusione dell'equivalenza teoretica di tutte le forme filosofiche risultanti dalla dissolu-

93 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 245. 94 Per questo motivo Hegel è da annoverare fra i pensatori essenziali: «ba­

sterebbe questa sua sensibilità metafisica e il generoso sforzo che vi ha di­spiegato per indicarlo fra i "filosofi essenziali" più qualificati e indispensa­bili». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 245. (Corsivi nostri) .

. 95 Le affermazioni si mostrano adesso quanto mai incisive: «La nemesi del principio moderno dell'immanenza non poteva essere evitata: ammessa la priorità di fondamento della coscienza sull'essere, ch'è la trascenden­talità dell'essere sul fondamento di quell'esistente ch'è l'uomo, il progresso della trascendentalità deve coincidere con l'affermazione del regnum hominis e con l'espulsione senza residui della trascendenza». c. FABRO,

Tomismo e pensiero moderno, p. 252.

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zione dello hegelismo, sia l'attualismo puro sia lo storicismo radicale, sia il problematicismo sia il prassismo assoluto. La dialettica di essere-essenza infatti non si può concludere con l'Assoluto, se non si vuol dimenticare la qualità dell'essere iniziale «ch'è l'apertura infinita della coscienza»96•

Questa decisiva critica a Hegel crea lo spazio, nello stu­dio, per introdurre una sezione dedicata a Heidegger, il quale non ha torto quando, in coerenza con l'impostazione hegeliana, finisce· per affermare che l'Essere·non è Dio97• Per lo sviluppo della posizione heideggeriana Fabro segue Der Satz vom Grund, e spiega che in ultima istanza l'essere di Heidegger è il fondamento nel senso che esso non ha fon­damento, ma è l'abisso senza fondo. La conclusione è che il pensiero ci porta di nuovo, come prima in Hegel, al «salto» per pensare l'essere in quanto essere. Heidegger si ferma qui, mentre questo sarebbe stato il punto dal quale bisognava incominciare: finito il discorso ontico e ontologico del fon­damento, osserva Fabro, dovrebbe poi cominciare il discorso metafisico sull'atto di essere.

eultima parte, dedicata a san Tommaso, ma senza ri­sparmiare espliciti confronti con Heidegger, è particolar­mente importante per l'interpretazione che si fa del primato dell' ens, con l'esplicito richiamo al celebre testo: illud quod primo intellectus concipit quasi· notissimum et in quod omnes

96 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 252. E più avanti: «Tutto nella speculazione hegeliana, soprattutto quando Hegel accettò l'elevazione fichtiana dello lo trascendentale ad essere, portava alla proclamazione che l'essere non è Dio: particolari condizioni storiche e forse le convin­zioni personali di Hegel, derivanti dalla sua prima formazione teologica, hanno impedito tale proclamazione». lvi, p. 253.

97 Fabro cita la dichiarazione esplicita nel Brief uber Humanismus: «Das Sein - das ist nicht Gott und nicht ein Weltgrund» (Basel 1947, p. 76).

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conceptiones resolvitestens98• Lente però di san Tommaso non è la semplice presenza, ma lattestarsi in atto di un essere-in­atto, cosicché I' ens è il «plesso intenzionale intensivo [ ... ] è il primo ed insieme contiene il supremo momento intenzio­nale energetico di tutto il conoscere»99•

Le ultime pagine vengono dedicate ali' analisi del proble­ma metafisico nel senso dell'ascesa a Dio. I..:aspettata con­clusione: «Mai come oggi pertanto lautentica metafisica tomistica, svincolatasi dalle sovrastrutture storiche, può pre­sentare il significato assolutamente originale e quasi profe­tico dell'essere, rispetto a quella eh' è stata la crisi dissolutiva del pensiero occidentale. Vale anche in questo che il pensie­ro per fondarsi deve riportarsi al fondamento in quanto è il pensiero che appartiene ali' essere e vi· circola come nell'atto ch'esso manifesta, proprio in quanto ne è manifestato»100•

Seguono due articoli in lingua francese. Il primo è Le re­tour au fondement de l'etre (pp. 271-290). Lo studio apparve in un volume nel quale collaborarono, tra altri, Jean-Yves Jo­lif, Stanislas Breton, Roger Verneaux, Georges Kalinowsky, Dominique Dubarle e Louis-Baptist Geiger101 •

98 TOMMASO o'AQUINO, De Yéritate, q. 1, a. 1. Si tratta di una «afferma­zione questa d'incommensurabile valore teoretico, costante in tutte le tappe dell'opera tomistica che contiene la risposta categorica all'accusa e ali' esigenza heideggeriana della Yérgessenheit des SeinS>>. C. FABRO, To­mismo e pensiero moderno, p. 262.

99 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 263. Fabro trova qui occasione per indicare esplicitamente che anche se per tutti e due, san Tommaso e Heidegger, il fondamento dell'ente è l'essere, tuttavia «per S. Tommaso lesse nel senso di atto primo e profondo è un posterius nella riflessione metafisica ed il prius nozionale è proprio l' enS>>. lvi, p. · 264.

100 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 270. 101 Cfr. J.-Y. JoLIF (ed.), Saint Thomas aujourd'hui, (Recherches de Philoso­

phie 6) Desclée de Brouwer, Paris 1963. Per l'articolo di Fabro, Cfr. pp.

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Le o ere

Fabro prende atto della situazione allora contemporanea della filosofia che voleva prospettare un rinnovamento tale come non era mai stato prima nella storia del pensiero. Si assisteva, sia nei confronti del pensiero greco sia di quello moderno specificato dal cog#o «à une nouvelle naissance de la philosophie qui veut tirer au clair et assumer en soi l' etre meme de l'homme et de son destin, sans en rien laisser de coté»102• E prosegue: «la pensée contemporaine a décidé de se débarasser des superstructures complexes qui, au long du développement de l'Occident, ont freiné le libre élan de son acte originaire, sans lequel aucun acte ni aucune liberté ne sont possibles. '[. .. ] les formes dispersées [de la philosophie] ont fait oublier I' etre. Ainsi s' est perdue la source profonde du fleuve de la vie, et l'homme a égaré la signification meme de sa liberté»103•

Così viene proposto largomento iniziale della ricerca, che riguarda soprattutto la posizione e il significato della li­bertà e il suo collegamento con la metafisica e l'Assoluto tra­scendente eh' è Dio. Viene ancora riconosciuto alla filosofia contemporanea «le mérite [ ... ] à partir de Hegel, d'avoir mis en lumière l'actualité de l'etre comme liberté»104•

A questo riconoscimento esplicito segue poi una fine ana­lisi dei rapporti fra la metafisica e la libertà. E, anche se può destare sorpresa, la guida per queste analisi è ni~ntemeno che Aristotele, il quale ha dichiarato «libera» la filosofia pri­ma. Perché questa dichiarazione? - si domanda Fabro. Non, certo, perché essa sia un punto di partenza, ma nel senso

177-196, che porta i paragrafi numerati. 102 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 271. 103 Ibidem. 104 Ivi, p. 272.

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che costituisce il compimento dell'elevarsi al Principio, qua­si come se la metafisica si presentasse comé contemplazione dell'essere in quanto libertà105•

Si tratta, come ognuno può vedere, di una lettura profonda e originale del testo aristotelico, in linea con la problematica indicata all'inizio. Ci permettiamo di citare il lungo brano che segue, perché di una bellezza e profondità poco comuni. Le parentesi quadre son nostre, e intendono evidenziare i mo­menti speculativi principali: «[I. Il Primo Principio è libertà in atto]. Le peu, le minimum dont a alors besoin la vérité pour " fonder "l' existence, est précisément la liberté, l' acte de se soulever jusqu'à la considération du Principe en-soi-pour­soi. Dans la mesure seulement où ce qui est " hors " de tout enchevetrement et rapport est vraiment le Principe et ri appar­tien. pas à la cha!ne de la finitude, il est précisément liberté en acte. [2. La considerazione del Primo Principio è accesso alla libertà] Par suite, la considération d'un tel Principe dans son élévation, dans son éminence au-dessus du fini et de l' etre du monde, est accès à la liberté et vie en celle-ci. [3. Il contatto col Primo Principio è liberante]. Loin donc de rétrécir la li­berté, de rendre l' existence dépendante et conditionnée [ ... ] le contact de l'Absolu n'est pas seulement une condition ou un nioyen pour exprimer et défendre la liberté, mais il se pose comme acte de se construire soi-meme, de na!tre éternelle­ment, pour un su jet tel que l' essence humaine, jeté au monde

105 «Non point parce que l'homme s'y trouverait dès le point de départ, mais parce qu' elle consti tue la supreme "abstraction" spirituelle et donc l'achèvement du retour au Principe: un peu comme si la métaphysique se présentait comme acte supreme et contemplation (Oewela) de l'etre en tant que liberté». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 272. (Corsivi nostri).

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et " hors " de I' etre. [ 4. Il riferimento al Primo Principio ga­rantisce l'autopossesso dell'uomo]. rhomme ne peut prendre possession du monde et de lui-meme, c' est-à-dire ne peut erre libre, qu' en s' élevant à une " présence " de I' Absolu. Sans I' Ab­solu, sans la conscience (présence) de sa propre appartenan­ce à I' Absolu, l'homme ne peut se relever de sa propre chute dans le monde et I' étroitesse du moi. [5. relevazione al Primo Principio è l'essenza.della libertà in atto]. Nous pouvons en conséquence établir. I' équation: I' essence de I' existence est la réalité de la liberté, de meme que l'essence de la liberté est acte de s'élever à l'Absolu, abstraction parfaite, soulèvement de soi jusqu'au Premier Principe»106•

Per questo motivo, nella vita dello spirito landare avanti è un tornare indietro, nel senso di ricollegarsi al Principio e ritornare al Fondamento. Su questo punto, osserva Fabro, si può essere d'accordo con Hegel, poiché tutta la sfera dell'im­mediatezza dell'esperienza è piuttosto qualcosa di derivato e di fondato, e costituisce un invito a passare al di là «jusqu'à l'Absolu de la liberté»107•

Seguono dei cenni alla tutta particolare situazione «epi­stemologica» della metafisica, che si chiudono con una ver­sione parafrasata del celebre testo di Metaphysica XII, 7 sulla natura del dio e la sua operazione beatificante, per la quale egli «s'établit dans la liberté»108•

Dichiarando però che Aristotele si è poi occupato piut­tosto del contenuto e delle articolazioni dei contenuti che

106 Ibidem. (Corsivi nostri). 107 Ibidem. Citando Hegel, Fabro ricorda che in questo cammino «le ré­

sultat se dévoile comme fondement». Il testo che seguiamo porta per error<!: «devoir» al posto di «dévoile».

108 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 27 4.

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non di stabilirsi ovvero realizzarsi in atto nella coscienza dell'essere e della verità 109, Fabro introduce una breve analisi dell' essenzialismo occidentale, sempre sulla scia di Heideg­ger. In questa sede, dunque, della riduzione al fondamento, perfino la distinzione stessa di realismo e idealismo rischia di diventare inessenziale, se essa viene portata sul contenuto e non sul contenente110•

Lo studio prosegue con una magnifica esposizione del commento di san Tommaso al libroV del Peri hermeneias111 ,

e contesta la pretesa di Heidegger, secondo il quale soltanto con Sein und Zeit il senso dell'essere viene posto esplicita­mente come domanda per la prima volta nella storia della filosofia.

Notes pour la fondation métaphysique de l'etre (pp. 291-317). Sarebbe davvero difficile esagerare l'importanza decisiva di questo studio, che ci mostra un Fabro nel massimo splen­dore. Tutt'altro che schematico, il testo è diviso in 29 para-

109 Ciò comporta delle gravi conseguenze riguardo alla libertà stessa. Una volta infatti che lessere viene rimandato all'ambito delle essenze, la fon­dazione della libertà è irrimediabilmente perduta, «l'homme ne peut dé­sormais réclamer sa liberté à I' etre puisqu'il est su jet aux éternelles lois de fer de la contradiction». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 274.

11 O «Que la vérité de I' etre soit fondée à partir de l' expérience, ou de la réfle­xion abstractive, ou encore de la réflexion transcendentale .. ., de toute façon, cela ne change pas la réalité de la situation par rapport au fon­dament, puisque celui-ci se trouve réduit à n'etre qu'un contenu et une structure de contenu (objet, sujet), et non point l'acte lui-meme. [ ... ] la différence se trouve seulement dans le terme de référence et non dans la qualité et la structure du con,tenu en tant que tel». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 275. Fabio però subito riconosce che il realismo­formalista tradizionale ha un vantaggio evidente sull'idealismo, quello

. cioè di muovere dalla recettività -radicale della soggettività, per cui ad essa viene riconosciuta un'apertura illimitata all'essere.

111 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 277-290.

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grafi numerati e costituisce un documento esemplare sia della forma stessa di scrivere di Fabro che della maniera tutta sua di prospettare i problemi e di ricercarne dal vivo la soluzione.

Fin dall'inizio si spiega che si tratta di fondare gli enti nell'Essere (!es étants dans l'Etre), così che il problema alla fin fine è quello di dire cosa sia l'Essere dell'ente (ce qu'est !'Etre de l'étant). Il notissimum di san Tommaso in De Véri­tate, q. 1, a. l, è un'affermazione d'immediatezza primaria, ed esprime un contenuto ( Was) e il fatto della realizzazione stessa (Dass). Siccome però nessuno dei due aspetti si mostra consistente indipendentemente dall'altro, I' ens si rivela esse­re una sintesi, e dunque uh risultato, per cùi non può riven­dicare il titolo di fondamento, e pone lesigenza di trovare il fondamento, appunto, onde ancorare, nel pensiero riflesso, il valore stesso dell' ens come effettiva sintesi.

Il fondamento dovrebbe essere Dio: ma Dio appare alla fine del percorso della fìlosofia, non ancora a questo punto. Il fondamento dell'ente, nel! ente, si trova un po' prima, ed è lesse. Il problema è come lo si scopra: «Par expérience, nous connaissons le fait de l'existence (la notre et celle d'autrui); par démonstration, nous obtenons, par exemple, l' exigence de l' existence de Dieu; par réflexion ou abstraction, nous ac­cédons aux essences des choses. D' après saint Thomas, l'esse comme actus omnium actuum est saisi, semble-t-il, non pro­prement par abstraction, ce qui vaut pour les essences, mais par " réduction " ou résolution, ce qui est un passage d' acte à acte»112•

Così lo studio abbraccia tre punti o aspetti intrinseca­mente collegati: I' afferramento dell'esse, la distinzione di

112 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 292.

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composizione reale di essentia ed esse e la fondazione stessa degli enti nell'esse.

Riguardo all'esse, spiega Fabro, sembra che secondo san Tommaso si abbia bisogno di concepirlo «comme ce qui précisément fait et rend présente toute chose, et qui est l' actualité qui sert meme de fondement à la perception ou appréhension en acte de toute dualité et opposition: monde et moi, su jet et objet, essence et existence. .. dans cet ordre!»113• Questo riferimento all'esse dell'ente - sempre nelf ente - è chiamato da Fabro, in polemica con Heidegger «transascendance» - vale a dire Oberstieg e non Obergang. Ma non è chiaro, nemmeno ai tomisti, come essa accada.

Bisogna dire innanzitutto che si tratta di un prius e non di un posterius. Questa priorità però non è assolutamente da intendere in senso cronologico, ma è la priorità stessa dell' ens nei confronti dei due aspetti prima accennati. Non è anche una priorità che venga poi seguita da un qualcosa di ulteriore; e non lo è neanche nel senso del fondamento come subjectum, sostrato o inroxe(µEvov: è una priorità metafisica per la fondazione stessa della verità, e quindi nel senso origi­nario e indeclinabile di manifestazione dell'atto primordia­le, per cui si può parlare «transascendenza immanente che è implicita in ogni atto di coscienza», in quanto l'esse è al fondo del darsi di ogni atto di pensare, di ogni contenuto e

113 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 293. Immediatamente ag­giunge un chiarimento: «Par conséquent, tandis que l'existence comme "fait " est quelque chose de fondé, l'esse est I' acte qui fonde, et I' essence est une possibilité {réalisée par l'esse dans l' existence): l'ho mm e rì émerge que par un se référer, typiquement sien, à lesse des choses qu'il ren­contre, et non proprement par un se référer au "monde" des essences, comme le pensent les philosophies formalistes, c'est-à-dire d'arrière-plan essentialiste».

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Le opere

atto di coscienza, non essendo esso un contenuto né un atto di coscienza, bensì più precisamente il loro fondamento e loro contenente, dal quale «risulta» la presenza114•

Seguono dei densi brani dedicati alla tematizzazione dell'essere come fondamento in Heidegger e alla sua criti­ca alla filosofia occidentale. All'interno di questi paragrafi Fabro si pone due problemi: quello dell'interpretazione hei­deggeriana del principio d'immanenza e quello del signifi­cato dell'atto dello svelarsi che è nel contempo anche un nascondersi e sottrarsi 115•

Importantissimi si mostrano, per il confronto Heidegger­Tommaso, nonché per l'approfondimento dell'esse inten­sivo, i §§ 25-28, dove si sottolinea l'intrinsecismo dell' es­se tommasiano. Così intrinseco è l'esse da considerarsi, che bisogna parlare nori già di ex-sistentia, bensì di in-sistentia.

114 «La présence est seulement le résultat, l'esse est l' acte comme principe. Vesse donc est le principe" contenant" xa't•t;oxT]v, en un sens bien plus fondamental et plus propre que n'est le je comme sujet pour les actes de conscience: ce qui explique pourquoi le je transcendantal a sombré dans le néant, tandis quel' Ens s'impose comme le vrai transcendantal en vertu de l'acte d'esse>>. C. FABRO, Tomismo eperisiero moderno, pp. 294-295.

115 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 296-308. La linea es­senziale di Heidegger non è facile, riconosce Fabro; nonostante ciò «elle engage les dernières réserves de force dans la première et authentique requete de la réflexion fondamentale: le sens de la vérité de l'etre». E aggiunge: «La réponse de Heidegger est que penser c' est, et ce ne peut erre autre, que "penser l' etre": réponse qui parait simpliste, mais ne [l'est] pas». Ivi, p. 304. Ecco più avanti un'altra dichiarazione notevole sull'im­pegno di Heidegger per il problema del fondamento, e la considerazione in cui la tiene Fabro: «nqus foisons ici de notre mieux pour mettre à profit la leçon décisive que Heidegger nous a donnée et continue de nous donner, pour sortir de l'impasse de la pensée contemporaine et de la pensée mo­derne, et peut-etre de la tradition meme de la philosophie occidentale». lvi, p. 309. (Corsivi nostri).

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Nell'interpretazione tommasiana dell'esse, l'istanza heideg­geriana «de la priorit[é] absolue du Sein, de son "indécli­nabilité" originaire comme acte premier qui fonde, est dès lors plus que satisfaite»116• Tanto è vero che non è difficile percepire nella misteriosa presenza fondante dell'esse nell' ens quel carattere di manifestazione-nascondimento che vole­va Heidegger, e si può perfino parlare nel tomismo di una Seinserfahrung aus dem Seienden her (un'esperienza dell'esse a partire dall'ente) 117• Siccome nell' afferramento dell' ens il pensiero ha fatto già «esperienza» dell'esse, nella dimostra­zione dell'esistenza di Dio quale lpsum Esse Subsistens non si può parlare propriamente di· «salto», bensì di affermazione della transascendenza trascendentale dell'esse in quanto si trat­ta del «passage de l' ens-esse initial à l'esse intensif comme acte de soi en soi {sans essence ou forme) et déploiment pur de l' acte»118•

The Transcendentali-ty of «ens-esse» and the Ground of Me­taphysics (pp. 319-357) è proprio un capolavoro di analisi metafisica. Fabro raccoglie ancora il guanto della sfida hei­deggeriana e si propone di rintracciare nell' ens (being) la chiave per il ritorno al fondamento; il percorso si presenta problematico e impegnativo assai, dal momento che le solu­zioni finora prospettate sembrano estremamente inadegua­te, ed è chiaramente indicato dai titoli, che elenchiamo: The problem of being in modern philosophy, The crisis of being: Kant to Hegel, From the modern to the thomistic notion of being, Transcendentality of being: founding of thephilosophical

116 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 311. 117 Cfr. lvi, p. 313. 118 lvi, p. 315.

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act, Radicality of philosophical procedure concerning being. Se­gue una breve conclusione.

Per quanto riguarda il contenuto, lo scritto muove dall' ac­cenno alla tradizione speculativa dell'Occidente, la quale ha fatto dell' ens un «concetto», il concetto dei concetti, al limite della più alta astrazione. Sulla scia di questa tradizione si muove non solo la scolastica formalistica ma anche il pen­siero moderno, il cui esito fallimentare esige di· riporre con tutta radicalità la questione del pensiero fondazionale.

Il Nostro si· sofferma, inizialmente, sulla posizione di Kant, nella quale è proprio sorprendente lassenza di qualsia­si interesse per lessere come fondamento, e il cui «celebrated example of the "one hundred thalers" clarifìes once and for ali the constitutive formalism of Kant's position, faithful in this respect to decadent scholasticism and rationalism»119•

Per quanto inoltre la sua procedura si mostri valida nella sfera formale per escludere largomento anselmiano, tuttavia sul piano del reale la posizione di Kant resta totalmente pre­caria 120. Questo, per Fabro, non è casuale e sembra essere do­vuto al fatto che «in the Western tradition - beginning with Plato and Aristotle - to know is primarily and especially "to objectify", that is to insure for the subject a content that is the "materiai" to be treated, manipulated, systematized ... for the purpose of science and life." Thus "content" has prevailed over act in such a way that act has been conceived and outli­ned a priori in function of content, or in order to guarantee the grasp of content by consciousness» 121 •

119 lvi, p. 323. 120 lvi, p. 325. E ciò innanzitutto per aver ridotto la «qualità» dell'esistenza

ad una mera determinazione estrinseca. 121 lvi, p. 331.

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Il versante razionalistico del pensiero moderno cade nell'errore di prospettare un cominciamento vuoto con dei principi incondizionati e senza contenuto, astrattissimi: è la tentazione della pura evidenza oggettiva; il versante inve­ce empiristico è stato e rimane nell'errore di muovere dal concreto come autofondato e autogiustifìcato nella sempli­ce immediatezza del suo darsi. Avendo trascurato l'indagine dell' ens come fondamento Kant altro non ha fatto che esa­sperare queste opposizioni, non situandosi «in the center of the speculative act». Ora, per Fabro, non è Kant - neanche Hegel - bensì san Tommaso a fare lautentico cominciamen­to radicale122• Ma neanche la tradizione tomista si è accor­ta dell'importanza dell'inizio di san Tommaso, che muove dall'apprensione dell' ens, ed è molto significativo per Fabro eh' essa sia presentata con assoluta chiarezza fìn dai primi scritti; lente però non è semplicemente la essenza o lesse, bensì I' autodonazione in atto della loro sintesi.

Seguono quindi delle pagine dedicate ali' analisi dei te­sti di Avicenna che hanno ispirato il cominciamento di san Tommaso123, e poi un dettagliato commento fabriano al De Veritate, q. 1, a. I, ch'è considerato «the principal text of the Thomistic doctrine». In esso, prosegue Fabro, possia­mo distinguere tre momenti: quello dell'apparire dell' ens, la «tutto-comprendente» (all-tomprehensive) attuazione in se stesso e la sua espansione intenzionale nelle rispettive sfere predicamentale univoca e trascendentale analoga. Questa procedura è estremamente rigorosa «and perhaps constitutes

122 Cfr. lvi, p. 332. Qui si leggono anche elencate le esigenze che pone il pensiero moderno per la giusta tematizzazione dell' ens tommasiano come cominciamento radicale.

123 Cfr. lvi, p. 334-337.

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the most dense and formai text in the whole history o/Western thought>> 124•

Fabro trova ancora, nelle pagine seguenti, loccasione per rispondere puntualmente alle istanze di Kant, di Hegel e di Heidegger, e non risparmia riferimenti anche a Rosmi­ni e a Fichte125• Dal punto di vista tematico, si sofferma a c.onsiderare i testi allusivi al modo in cui l' ens viene colto, escludendo eh' esso sorga da un'astrazione e tanto meno da un giudizio.

Non sarà però - si domanda Fabro nella conclusione, a modo di obiezione - che si è concesso molto, con que­ste riflessioni, al pensiero moderno, al punto da travisare il pensiero di san Tommaso? Sottolineiamo noi la sua risposta: «Rather, let us observe, they aim at breaking through the dead end in which philosophy stands in its sterile opposition of reali­sm and immanentism, and at discovering precisely in the most profound and authentic Thomistic notion of participation that theory of transcendentality whose function of ground for the insertion of consciousness into the real niodern thought has seen more clearly than scholasticism, though only the originai Thomistic conception can adequately fulfill this function» 126•

Breve discorso sull'essere (pp. 359-380). Questo breve ma denso studio prende -lo spunto da Moira e Aletheia di Heidegger per poi confrontarsi con la teoria hegeliana del cominciamento.

Hegel e Heidegger affermano, con Parmenide e san Tommaso, che «pensare, il pensiero nella sua essenza, è ave-

124 lvi, p .. 337. (Corsivi nostri). 125 Cfr. lvi, p. 356. 126 lvi, p. 357.

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re presente e far presente l'essere, riferire l'essere e riferir­si all'essere»127• Questo implica un richiamo alla missione propria della filosofia, che non deve ripetere gli errori del passato, ma deve impegnarsi di nuovo per la verità, per co­glierla in quel suo «focus · nativus eh' è il rapporto della co­scienza all'essere». Diventa chiave allora capire «che il primo momento della coscienza deve essere e non può non essere che la determinazione ,di questo rapporto», di modo che a motivo di questa tematizzazione radicale del rapporto origi­nario il momento della filosofia si presenta anch'esso costi­tutivo e originario per l'uomo e quindi precedente ed è in sé indipendente da altre istanze come l'etica e la religione. Pro­segue il Nostro: «Di qui il primo momento non può e non dev'essere teologico: l'u~mo deve anzitutto trovare e sapere chi egli è e quale è la sua prima qualità costitutiva originaria. Essa è il rapporto all'essere dell'ente che ha davanti nella vita: se l'Essere stesso sia Dio, lo si potrà vedere solo in seguito. Se lo fosse fin da principio, e se ciò fosse il principio, l'uomo non sarebbe uomo e Dio non sarebbe Dio»128•

Spunta cosl il problema di determinare questo primo mo­mento originario, che costituisce il cominciamento. Fabro si sofferma quindi sui testi hegeliani per esporre la proble­matica e le difficoltà intrinseche al discorso stesso di Hegel. Sono importanti al riguardo i testi in cui cerca di scagionarlo dall'accusa di Feuerbach di essere ritornato all'essere della vecchia metafisica: l'essere della prima immediatezza, osser­va Fabro, va avvicinato piuttosto a quello kantiano129•

127 lvi, p. 359. 128 lvi, p. 364. (Corsivi nostri). 129 Cfr. C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 374-378.

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La conclusione contiene due puntualizzazioni molto si­gnificative: 1) La filosofia deve limitarsi ad essere filosofia semplicemente, e deve badare soltanto alla ricerca del fon­damento, cosicché termini come «filosofia antica» o «mo­derna» o «cristiana» hanno un significato di limite storico o polemico o culturale e comunque accidentale130• 2) Tutti i termini introdotti con «neo-» (kantismo, scolastica, positivi­smo, tomismo ecc.) si presentano dal punto di vista teoreti­co ambigui, dispersivi e inconsistenti.

E l'ultima osservazione, incisiva e decisiva, riguarda il significato filosofico, e storico, del tomismo: «Il tomismo dev'essere solo se stesso nel progresso dei tempi, deve tendere ad esprimere l'atteggiamento origi,nario della ragi,one umana come coscienza dell'essere, dev'essere cioè filosofia umana sem­plicemente: ciò che non è poi un'impresa tanto utopistica, dopo la corsa al nulla delle filosofie dell'immanenza. Ad un patto però, cioè di liberare il tomismo dalle pesanti catene che

130 Non sembra che si possa parlare propriamente di un cambiamento di po­sizione sulla filosofia cristiana nell'ultimo Fabro: «La "filosofia cristianà' [ ... ] si attiene ·al suo metodo sintetico: essa opera con i primi principi na­turali della ragione ma li muove all'interno della realtà trascendente ch'è Dio creatore e l'anima come soggetto libero spirituale» e il suo compito è «di aprire e consolidare l'orizzonte della trascendenza a cominciare dai due pilastri dell'esistenza di Dio e dell'immortalità dell'anima». C. FABRO, Per un progetto di filosofia cristiana, D' Auria, Napoli 1990, p. 34; Cfr. già prima l'articolo C. FABRO, Il metodo della filosofia cristiana, in Il metodo della.filosofia della religione, La Garangola, Padova 1975, pp. 205-227. Per Fabro è possibile una filosofia cristiana come riflessione speculativa del cre­dente sulle diverse istanze e i diversi presupposti della storia della salvezza. Si tratta dunque di una situazione «dialettica» di indipendenza formale e condizionamento esistenziale, come affermava molti anni prima. Cfr. C. FABRO, Filosofia cristiana, in «~Osservatore Romano», 16.10.1959, p. 3; Cfr. anche C. FABRO, S. Tommaso e la filosofia cristiana nel tempo presente, in «Filosofia e Vita», I, (1960), 1, pp. 46-65.

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lo legavano all'aristotelismo e al platonismo per farl'O emerge­re nella sua rivoluzionaria prospettiva dell'atto che l'impone come l'unica filosofia coerente sull'atto di essere, nel senso di atto di ogni atto e di fondamento dell'atto di coscienza come attuazione della presenza e possibilità della sua emergenza infinita» 131 •

L'«esse» tomistico e la ripresa della metafisica (pp. 381-407). Il saggio riprende alcune tematiche già accennate senza tut­tavia essere ripetitivo. I; aspetto che lo rende notevolmente originale è l'inserimento del tema della caratterizzazione del pensiero metafisico come riflessione assoluta, in quanto es­so presenta il pensiero come dev'essere nella sua fondazione radicale.

Fabro formula quindi esplicitamente la tesi che difende nello scritto: «La tesi che qui si presenta è esplicita al massi'" mo: la concezione di S. Tommaso del rapporto coscienza-realtà e di essere-pensiero, ed essa soltanto, può soddisfare ali' esi­genza radicale della fondazione assoluta del pensiero e questo secondo lesigenza propria della filosofia moderna ossia quella del "trascendentale", ma in direzione opposta»132•

Come ognuno può vedere, si tratta di tutt'altro che di un «tomismo tradizionale» mascherato. In questo tentativo sincero e deciso di soddisfare questa esigenza, il lettore po­trà trovare importantissime osservazioni sulle indagini di Heidegger, che coprono gran parte dello studio, così come anche riferimenti a certe interpretazioni assai superficiali del pensiero di san Tommaso133, e poi sul rapporto fra esse-

131 C. FABRO, Tomismo e pemiero moderno, p. 380. (Corsivi nostri). 132 lvi, p. 382. (Corsivi nostri). 133 Cfr. la puntuale critica a Bernard Welte in C. FABRO, Tomismo e pensiero

moderno, p. 403 (testo e nota).

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re-pensiero e storia, che viene esplicitamente tematizzato, perché: «Il problema di fondo è sempre quello del rapporto fra l'essere e il pensiero, fra la verità e l'uomo, fra la verità e la storicità. Per coloro che si tengono ancorati alla linea Hegel-Heidegger, la storicità della verità sembra un prin­cipio per se notum e quindi le formule classiche apparten­gono al passato e per noi non hanno più senso [ ... ]. [Ma] i pensatori essenziali, mentre esigono, più di qualsiasi altro, di essere riportati al proprio momento storico, insieme lo trascendono nell'inizio di un nuovo cammino. È questo il "criterio dinamico" o dialettico, che dir si voglia, per l'in­terpretazione di quella storia incomparabile eh' è lo svilup­po del pensiero umano [ ... ]. Proprio in forza della lezione di Heidegger, crediamo si debba rifiutare la "storicità'' del­la filosofia, ossia l'affermazione della relatività transeunte .delle figure speculative»134•

S. Tommaso e il pensiero moderno (pp. 409-434) riproduce il discorso tenuto dinanzi a Paolo VI nell'ottobre del 1963. Si riprende la distinzione fra scienza e filosofia in quan­to appartenenti «a prospettive intenzionali radicalmente diverse»135 e si chiarisce che il confronto non può assolu­tamente essere fra filosofia classica e scienza moderna, i cui acquisti sono una valida conquista della cultura moderna136,

ma unicamente fra filosofia classica e filosofia moderna, e più precisamente riguardo ai due principi opposti cioè quel­lo della trascendenza e quello dell'immanenza.

134 C. FABRO, Tomismo e pemiero moderno, pp·. 406-407; Cfr. anche, per esempio, Ivi, pp. 402-403.

135 lvi, p. 418. 136 «S. Tommaso sarebbe il primo a rallegrarsene e ad accoglierne i validi

risultati». C. FABRO, Tomismo e pemiero moderno, pp. 419-420.

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Fabro si sofferma poi ad analizzare, in quel «romanzo­fìume» eh' è lo sviluppo del pensiero moderno, le posizioni di Cartesio e di Spinoza. Lo studio si chiude con un noto brano che può essere ritenuto la professione fabriana di to­

mismo essenziale. Pur essendo una precisa confutazione dell'interpretazione

di Kremer, Platonismo, neoplatonismo e tomismo: convergenze e divergenze (pp. 435-460), è uno studio molto misutato137•

Avendo presentato con chiarezza e pertinenza le linee principali di un'opera del Kremer, il Nostro si sofferma sulla sua trattazione di san Tommaso, contestando con dovizia nell'analisi dei testi e nell'argomentazione 'specu­lativa stessa, l'identificazione attribuitagli dal Kremer fra esse commune e ipsum esse subsistens e le due conseguenze che tira fuori l'autore - che pur riconosce il suo disaccor­do fondamentale coi testi espliciti di san Tommaso - cioè la validità dell'argomento ontologico e la negazione della distinzione reale fra essenza ed esse - che Kremer, sorpren­dentemente, chiama «esistenza»138• Non si tratta pe~ò sol­tanto di confutare: s'indicano inoltre le radici dell'errore, che vanno viste soprattutto nell'essersi lasciato fuorviare dai commentatori, anche da quelli contemporanei, senz'anda­re direttamente in primis ai testi stessi, e poi, e non meno importante, nell'impostazione ermeneutica, inchiodata ad un presupposto storicistico, che vuole san Tommaso ricon-

137 Fabro infatti riconosce: «Evidentemente la difficoltà per l'interpretazione di un pensatore essenziale, appartiene al destino stesso della ragione e nessuno può pretendere di poter dire l'ultima parola». C. FABRO, To­mismo e pensiero moderno, p. 437. E poche righe dopo esprime l'accordo con Kremer su alcuni punti fondamentali.

138 Cfr. specialmente C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 443-448.

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ducibile alle fonti: «Può darsi benissimo, anzi sono con­vinto anch'io come il Kremer, che siffatta composizione com'è presentata nei testi tomistici non si trova nel Neo­platonismo, né di Plotino, né di Proclo e neppure dello Ps. Dionigi o nel De Causis, ai quali S. Tommaso fa ricorso con maggior preferenza: ma può valere anche qui [ ... ] il principio che il " ... falsus Plato, falsus Aristoteles, falsus Dionysius, falsus Boethius, falsus (m) De Causis ... " sia pro­prio il verus Thomas!»139•

Il lettore si aspetterebbe, a chiusura del volume, la «Po­stilla>> promessa all'inizio di Esegesi tomistica, che invece non compare.

La fenomenologi-a della percezione - Percezione e pensiero

«Quando dico "lo vedo un albero, la casa, il cielo ... " mi riferisco ad un fatto noto a tutti e che ciascuno è in grado di realizzare per suo conto quando voglia: giovani o vecchi, europei o papuasici, fìlosofì o uomini della strada. Esso era un fatto noto ai tempi della preistoria, non diversamente di quanto lo è oggi e di quanto lo sarà per i secoli dei nuo­vi lumi da venire: alla sera gli uomini tornavano, tornano e torneranno alla caverna, alla capanna, alla casa ospitale e non le scambieranno - come non le scambiamo noi, né la scambiarono coloro che ci hanno preceduti - con gli albe­ri o con il cielo o con qualsiasi altro oggetto. Si vuol dire che gli oggetti si "segregano" in modo autonomo nel campo dell'esperienza e per ogni coscienza matura, in ogni forma

139 lvi, pp. 453-454.

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di civiltà, essi sono allo stesso modo ciò che sono una volta per sempre» 140•

All'indagine di questo fotto si ordinano le due opere sul­la percezione. Abbiamo già accennato alla loro origine: si tratta di opere «giovanili» ma che rivelano una non comune penetrazione dd grandi problemi speculativi unita ad una seria e competente erudizione. Dobbiamo presentarle assie­me perché Fabro stesso le ritiene strettamente collegate, e la seconda, a dire il vero, non si può capire se non sullo sfondo· della prima.

La fenomenologia della percezione costituisce una riven­dicazione del principio della totalità, alla luce delle allora ultime indagini della Gestalttheorie, ma oltre la medesima. Diciamo qualcosa sulla problematica generale del problema percettivo, come lo presenta Fabro nell'Introduzione, per poi esaminare brevemente la struttura dell'opera.

Fabro contesta già in apertura, e poi a più riprese e con si­cura argomentazione, la nozione atomista di sensazione che l'empirismo voleva alla base della conoscenza stessa. Non c'è una tale sensazione atomica, ma ali' origine dello sviluppo psichico c'è invece un «tutto»141 • ·La sintesi che comporta

140 C. FABRO, Percezione e pensiero, p. 8. 141 «Pertanto il "vero" punto di partenza di una psicologia, ed almeno fino

ad un certo punto anche di una critica della conoscenza, è quella forma di "tutto" inizialmente dato alla coscienza nel quale l'intelletto possa trovare presenti od in qualche modo adombrati i contenuti ed anche le forme stesse di connessione che saranno poi affermate nel giudizio». C. FABRO, La fenomenologia della percezione, p. 31. La critica alla nozione empirista e neoscolastica di sensazione è quanto mai decisa: «la posizione del problema, quale potrebbe risultare in alcune forme della Scolastica ed anche dalle stesse espressioni surriportate, tradisce un concetto dell' espe­rienza sensibile che non si può più difendere. La "sensation pure", di cui parla il P. Maréchal, è veramente un prodotto di riflessione quanto mai

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l'atto del giudizio suppone in precedenza un'analisi e «fram­mentazione» dell'oggetto, per cui si presuppone anche una sintesi implicita antecedente dalla parte dell'oggetto stesso di percezione. Quella sintesi però non si può trovare nelle singole idee che costituiscono il giudizio prese isolatamente, come invece era la pretesa del razionalismo.

Ora, il percepire è l'accorgersi di qualcosa in concreto, in quanto è immediatamente dato nella sua presenzialità in atto. Nel percepire, un primo aspetto è l'attenzione. Ma, per quanto necessaria a suo modo, l'attenzione non esaurisce il fatto e non costituisce una spiegazione consistente poiché richiamandosi soltanto ad essa si finisce per ignorare il pro­blema dell'oggetto, che resta senza spiegazione riguardo al suo contenuto. Il ricorso all'attenzione spiega, semmai il fat­to contingente di come fra tanti oggetti fisicamente presenti si faccia invece psichicamente presente uno e non l'altro, ma resta in sospeso il come ad un certo momento il sog­getto apra le sue capacità assimilative verso l'oggetto. Biso­gna dunque considerare le caratteristiche del fatto percettivo anche dal lato dell'oggetto. E balza subito agli occhi che, mentre l'accorgersi è semplice e immediato, il contenuto si mostra piuttosto complesso.

La percezione, infatti, è innanzitutto l'apprensione di un oggetto unificato, perché in esso c'è una complessità di ele­menti che convergono in un'unità. Siccome però l'oggetto si manifesta con una certa estensione e dotato di una certa

difficile a realizzare ed essa non può fornire alcun punto di partenza né per una riflessione psicologica, come neppure per una riflessione cri­tica»; lvi, p. 32. E spiega nella nota che il «preconcetto di una "sensation pure" sta all'origine dell'empirismo associazionista non meno che del problema kantiano».

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struttura, la percezione è inoltre l'apprensione di un oggetto configurato. Questa stessa configurazione però sarebbe me­no osservabile se non ci fossero delle variazioni cromatiche, poiché l'occhio vede i colori: la percezione è quindi l' appren­sione di un oggetto qualificato142•

Ci sono pertanto, dal punto di vista fenomenologico, di­versi piani oggettuali. La distinzione dei piani oggettuali non ha, a questo punto dell'indagine, una portata ontologica; potrà ben darsi che alcuni aspetti finiscano per identificarsi, ma resta salda la distinzione fenomenale nel tutto dell'atto percettivo. Ammessi questi tre piani oggettuali, il percepire si pone come problema da risolvere. I tre piani sono nei loro ordini eterogenei, ma questa eterogeneità non significa una estraneità reale né incompatibilità. Al contrario, osserva Fa­bro, essi si danno sempre insieme per la costituzione dell' og­getto della percezione e s'impongono in un'appartenenza e solidarietà reale di unificazione oggettiva. Ciò implica che i diversi piani, oltre al mero aspetto del darsi dei dati, implica­no un certo processo costruttivo d'integrazione.

A sondare le leggi interne di ognuno dei piani e indagare le tappe di questo processo d'integrazione si ordina la feno­menologia fabriana, che intende superare l'opposizione si­stematica fra psicologismo e logicismo, e che non è .da iden­tificarsi con la fenomenologia metodologica husserliana, in ordine ad una reine Wesensschau.

Il Nostro si sofferma a spiegare dettagliatamente quale sia la natura e lo scopo di questa sua fenomenologia: essa non

142 Cfr. C. FABRO, La fenomenologia de/Ja percezione, pp. 34-35. Fabro fa notare che questa «complessità» intrinseca ali' oggetto della percezione, anziché nuocere, rafforza piuttosto la convinzione di esperienza imme­diata di trovarsi dinanzi ali' oggetto.

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consiste in altro che in una descrizione - sulla base dei risul­tati acquisiti dalla scienza sperimentale - dei piani oggettuali e delle tappe di sviluppo della coscienza, indipendentemen­te da ogni pregiudizio sistematico; Per distinguerla da altre fenomenologie Fabro preferisce chiamarla «fenomenologia analitico-funzionale generale»143• È «fenomenologia» e «ana­litica» perché comporta due momenti, quello cioè oggettivo e descrittivo che cerca di afferrare il «modo originario» di apparire delle forme e degli oggetti principali, e poi un altro momento, «soggettivo», d'interpretazione, nel quale si pro­spettano in generale le fonzioni per cui il soggetto s'impos­sessa dell'oggetto a seconda dei diversi piani, che rendono possibile in ultima istanza l'apprensione intelligibile dell' og­getto concreto in esercizio dell'esistenza: propriamente per questo è da dirsi «funzionale». Il termine «funzionale» e il corrispondente «funzioni», mostrano che l'analisi resta sul piano strettamente fenomenologico, evitando di parlare di «potenze» e «facoltà». Si tratta, per ultimo, di fenomenolo­gia generale perché prende in esaine i contenuti e le funzioni più generali, per l' appunto144•

Il metodo dell'opera è piuttosto espositivo. Con grande imparzialità Fabro cerca di seguire, a partire da Cartesio, lo sviluppo graduale del principio della coscienza nella forma

143 C. FABRO, La fenomenologia della percezione, pp. 49-51. 144 Fabro riconosce che il metodo e le finalità critiche del suo tentativo

hanno" un r~contro, fra i moderni, nelle posizioni di Dilthey e di Stumpf, dei quali presenta le critiche mosse al trascendentalismo e apriorismo kantiano (Cfr. C. FABRO, La fenomenologia della percezione, pp. 52-58) trovando possibile accostare alla dottrina aristotelico-tomistica della «co­gitativa» ciò che Dilthey intravedeva con il suo richiamo al «pensiero silenzioso», e accettando volentieri l'originale difesa della dottrina dei sensibili comuni intrapresa dallo Stumpf.

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che ha portato al fenomenismo, che è sbocciato poi nel dua­lismo kantiano.

La prima sezione, dedicata ali' Associazionismo, studia, tra altri argomenti, le radici cartesiane del principio dell'asso­ciazione, con la frammentazione dell'oggetto negli empiristi (Locke-Hume) e la radicalizzazione del principio dell'idea in Berkeley. C'è posto anche per lo studio dell'associazionismo sperimentale (per esempio, Ebbinghaus, Miiller, Wundt), e il tentativo di recupero della dispersione empiristica da parte degli immediatisti scozzesi e la scuola del Common Sense145•

I..: esposizione della Gestalttheorie viene preparata dall'ultimo capitolo di questa sezione, ·che ne studia gli esordi, grazie ai discepoli del Brentano, e particolarmente a Christian von Ehrenfels (teoria della Gestaltqualitiit).

La seconda sezione è tutta dedicata ali' esposizione anali­tica della Gestalttheorie. Se ne studia levoluzione storica, i principi che regolano, secondo la scuola, la percezione nor­male, vale a dire le leggi dell'organizzazione, con il primato del tutto, e la «tensione» di sfondo e figura (Wertheimer, Rubin), le percezioni fondamentali di spazio e movimento (con cui si dà risposta in ambito esperimentale all'apriori­smo kantiano), e si presentano certe constatazioni ancora esperimentali richiamandosi alla Gestalt nei casi di patolo­gia, con dei paragrafi dedicati pure al pensiero infantile, a quello primitivo e a quello astratto. Si finisce la sezione con un cenno al principio delle forme fisiche, il quale principio dà luogo alla rivincita dell'associazionismo.

145 Molto valide sono al riguardo le pagine dedicate a Reid, a Hamilton e al confronto tra loro. Cfr. C. FABRO, La fenomenologia della percezione, pp. 125-138; e specialmente pp. 135-136 con la comparazione a due colonne, e poi la conclusione in collegamento con l'aristotelismo.

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Lultima sezione dell'opera è più consistente dal punto di vista speculativo, nel senso che presenta tutta la discus­sione critica sulla Gestalttheorie, le controversie suscitate da­gli studi, e la tendenza associazionistica della scuola stessa, in base al principio dell'isomorfismo. Lultimo capitolo, in buona logica, studia dunque «la posizione speculativa» della Gestalttheorie, esaminando e valutandone il suo tentativo di recupero del realismo, che resta a metà strada; La risposta invece viene dal riconoscere i diversi piani oggettuali, che obbligano a distinguere i momenti della «configurazione» dell'immagine percettiva, il significato come contenuto em­pirico di esperienza, e il significato come contenuto intelli­gibile. E diventa allora un problema lo spiegare come dalla «forma» si passi al significato ( cfr. la controversia del Rigna­no con Kohler, anche la posizione di Meinong).

Dopo aver delineato le idee fondamentali che sarebbero apparse nel secondo volume, l'opera si chiude con il richia­mo al principio della totalità, in un serrato confronto fra il senso ch'esso ha in Hegel e in Aristotele (e san Tommaso). Citiamo le ultime righe: «Sarà riconosciuta al tutto adeguata quella teoria della percezione che riuscirà, nel campo della fenomenologia, a specificare il principio della Totalità sen­za incappare nelle secche del monismo gnoseologico; e sarà filosoficamente fondata quando riconoscerà, tanto al sog­getto come ali' oggetto, considerati come due totalità corri­spondenti, un proprio momento decisivo nella costituzione dell'atto conoscitivo»146•

Percezione e pemiero è, dal punto di vista tematico, la «con­tinuazione speculativa» e il prolungamento naturale, se si

146 C. FABRO, La fenomenologia della percezione, p. 402.

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vuole, dell'opera precedente, la quale, dal punto di vista «di­dattico», costituisce a sua volta I'«introduzione obbligata»147•

Il volume muove ancora dal fatto della percezione e ri­propone in apertura la tematica dei piani oggettuali. Ci sono però, già dall'inizio, certe sfumature che permettono di af­ferrare in tutta la sua portata la novità della trattazione. In­fatti, Fabro si richiama al fatto immediato e insormontabile della percezione del concreto reale: «io vedo la casa, I' albe­ro, il cielo ... ». Qui si dice «io ... », e non «locchio vede». È il soggetto intelligente a realizzare il contatto con la realtà ef­fettiva? anche se attraverso i sensi. Ora «attribuire al soggetto intero, alla persona, la percezione ovvero lapprensione im­mediata della realtà, vuol dire almeno queste cose: a) che la percezione della realtà è !"'effetto" immediato della messa in atto di tutte le facoltà apprensive, sensitive ed intellettuali, ad un tempo; b) che tale apprensione complessiva ha da far capo ad un principio di ordine e di organizzazione, il quale in ultima istanza non può venire che dall'intelletto; e) infine che è l'intelletto ad apprendere propriamente la realtà e la sostanza concreta: non però l'intelletto astratto che attende agli intelligibili pllri, ma un intelletto che può applicarsi e continuarsi, nelle sue funzioni, con i sensi»148•

Segue nel testo, immediatamente, un riferimento a Kant, tutt'altro che secondario, sia perché mostra benevolenza e sincerità nella lettura del fllosofo di Konigsberg, sia perché dà a Fabro occasione di mostrare, almeno in maniera preli­minare, quale sia la strada giusta da percorrere: «Anche qui Kant vide profondamente: se non che presso di lui I' appli-

147 Cfr. C. FABRO, Percezione e pensiero, p. 6. 148 lvi, p. 10.

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cazione dell'intelletto alla sensibilità resta, nel contenuto e nei princìpi che la regolano, estranea alla sensibilità, ai suoi contenuti ed ai suoi princìpi. Kant, è vero, escogitò, per col­mare lo hyatus, la funzlone intermediaria degli "schemi": ma per il fatto che anche gli "schemi" sono ricondotti alle funzioni delle categorie a priori, restano anch'essi confinati [all']a priori e non possono esercitare alcuna mediazione. La quale è possibile soltanto quando si ritenga che gli ''schemi': secondo i quali si organizza la ·esperienza, non sono estranei all'esperienza stessa, ma nascono in seno al suo divenire» 149•

Detto questo, Fabro presenta la sua tesi fondamentale: <<Allora si può concludere che la percezione è una certa qual "sintesi" di sensibilità e di pensiero. Meglio ancora, più che parlare di una sintesi che sa troppo di estrinsecità, diciamo che la stessa percezione è un pensiero, non puro astratto però, ma in quanto è oggettivato immediatamente nei contenuti sen­sibili; un pensiero che "incorporà' a sé l'esperienza.>>150•

Ciò vuol dire che la percezione non è sensazione pura, e tanto meno pensiero puro; essa è piuttosto un pensiero vissuto, senza il quale non è possibile il pensiero «puro», e al quale, pertanto, quest'ultimo non resta estraneo. C'è quindi una immanenza dell'astratto nel concreto, la quale rende possibile sia il pensiero che la percezione, per cui non c'è assolutamente percezione senza qualche pensiero, e non c'è alcun pensiero senza qualche riferimento ai contenuti di percezione: è·la dottrina tommasiana della conversio.

Nella percezione assistiamo, pertanto, ad un'immediatez­za gnoseologica che comporta necessariamente una media-

149 Ibidem. (Corsivi nostri). 150 Ivi, pp. 10-11. (Corsivi nostri).

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zione funzionale. La percezione non è una conoscenza sem­plice, e non è l'effetto o risultato dell'attuazione di una sola funzione di coscienza, ma essa è una «conoscenza complessa alla quale collaborano tutte le funzioni apprensive, ciascuna secondo un compito speciale», e anche quelle tendenziali. Così, sotto il comando dell'_intelletto come «suprema uni­tà di coscienza», viene resa possibile la integrazione, in un solo oggetto, dei diversi piani oggettuali prima accennati, e quest'integrazione si opera mediante la subordinazione, in un solo atto complessivo di percezione, di tutte le «funzioni» del soggetto conoscente151•

I.: opera si divide in tre sezioni. La prima studia le orga­nizza.zioni sensoriali, e prende avvio con un capitolo dedica­to ali' analisi fìlosofica della conoscenza. Il capitolo, molto interessante, si apre con una esposizione della critica mossa dal Wittmann, della scuola funzionalista di Kiel, alla Ge­stalttheorie. Wittmann ne contestava l'originalità e, ricondu­cendola, nella sua origine prossima, alla teoria della Gestal­tqualitiit di von Ehrenfels, la faceva poi risalire perfino alla dottrina aristotelica delle species (El~a), che in realtà avrebbe riprodotto il materialismo democriteo. Fabro smonta, det­tagliatamente, la superficiale spiegazione, per passare poi ali' esposizione della dottrina aristotelica della conoscenza come maniera totalmente originale di alterazione, non già corruttiva bensì perfettiva, seguendo da vicino sia il De Ani­ma, che i commentatori. Dopo l'esposizione della dottrina della «qualità media» o «medietà» (µea6't'T)ç) il capitolo si chiude con una esposizione e critica dell'interpretazione hegeliana della species come principio d'immanenza, racco-

151 Cfr. lvi, p. 11.

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gliendo poi le conclusioni sulla nozione aristotelica di assi­milazione conoscitiva.

Il capitolo secondo è dedicato all'organizzazione senso­riale primaria. Qui Fabro tenta, e raggiunge in mani.era assai soddisfacente, un accostamento fra gli ultimi acquisti della fenomenologia e della psicologia cognitiva sperimentale e la dottrina aristotelico-tomistica dei sensibili comuni. I sensi­bili comuni sono oggetto del senso esterno, e i· sensibili per se, propri e comuni, vengono raccolti e unificati nel senso comune, radice comune di tutti i sensi esterni, onde vie­ne spontaneamente «ricuperata» l'unità dell'oggetto fram­mentata dai singoli sensi. Il senso comune allora «acquista un'importanza fondamentale nella funzione percettiva» poiché «tanto i singoli sensi, come i singoli loro atti non possono esistere indipendentemente dall'unione che hanno con il senso comune - senza del quale non sono che delle astrazioni»152• Lorganizzazione primaria quindi è data fin dall'inizio: innanzitutto nella sintesi oggettiva di sensibili propri e comuni, per cui l'oggetto è già strutturato, pur con un'organizzazione confusa e di minimo contenuto, indi­pendentemente dall'intervento del senso comune; e poi, nel senso comune, per la co-presenza di tutti i dati attuali dei sensi rispetto al medesimo oggetto, quest'oggetto acquista una fisionomia propria, anche se iniziale.

La fantasia viene chiamata in causa nel terzo capitolo, nel quale si studiano i problemi dell'organizzazione primaria: si tratta di considerare la questione della percezione del movi­mento, indi del tempo e dello spazio e, in genere, del conti­nuo. Fabro espone qui la dottrina della fusione simultanea e

152 Ivi, p. 93.

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dellafosione successiva, che richiama necessariamente l'inter­vento della fantasia o immaginazione.

Un conto però è la con.figurazione dell'oggetto, nello spa­zio e nel tempo, e la «costruzione» dell'immagine, e un altro conto ben diverso è il significato che questo oggetto può acquistare. Mentre il senso comune e la fantasia si esaurisco­no nella mera «presentazione» di valore neutro dell'oggetto, è alla ·«cogitativa» che spetta di coglierne il significato, in quanto essa opera sotto il comando dell'intelletto e secun­dum intentiones decem praedicamentorum. Bisogna allora accettare, con san Tommaso e Averroè, e contro la Gestalt­theorie, la distinzione fra forma e significato: mentre quel­la viene data dalla sola configurazione, quest'altro richiede l'interpretazione; non sono quindi da ricondursi allo stesso piano funzionale, per cui necessariamente s'impone il parla­re di una organizzazione sensoriale secondaria, nel senso che si tratta di una seconda sintesi psichica. Sono di particolare importanza in questo capitolo l'esposizione delle funzioni della cogitativa e soprattutto la fondazione metafisica del­la cogitativa153, la quale fa capo alla nozione metafisica di partecipazione; molto importante è pure la critica dell'oblio della «cogitativa» presso Suarez e i neoscolastici, che rende impossibile sia l'astrazione (in quanto manca il termine a quo, come significato concreto) che il pensiero vissuto (in quanto manca il termine ad quem per l'oggettivazione).

La mediazione però funzionale che opera la «cogitativa» come potenza dei sensibili per accidens è un invito ad un rinnovato recupero dell'istanza kantiana degli schemi, non già in chiave aprioristica, bensì in chiave genetica e aposte-

153 Cfr. lvi, pp. 175-185.

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rioristica. È l'argomento del capitolo sesto, nel quale si stu­diano le dottrine, tra altri, di Piaget e di Janet, e si presenta la teoria aristotelica della btaywyi] che si vede corrispondere alle dottrine citate154• Fabro spiega che nel rendimento at­tuale della percezione non solo si ritengono semplicemente i caratteri comuni degli oggetti sperimentati, e si lasciano da parte i propri; nella percezione si trovano piuttosto «solidi­ficati» quelli costitutivi e perduti quelli accessori. Lo sche­ma percettivo non è dunque un'immagine, bensì l'effetto di questa «solidificazione» discriminativa. Così, la percezione,

· come si realizza nella coscienza matura, e comunque secon­do le diverse tappe di sviluppo, consiste nell' «animazione» dello schema percettivo e nella «realizzazione» dei suoi con­tenuti come contenuto di esperienza attuale155•

154 Fabro è convinto dell'attualità della dottrina così antica e tradizionale dell'aristotelismo tomista, la quale è in grado di «assimilare ed interpre­tare, nella forma più soddisfacente, i risultati positivi della scuola della Gestalt, integrati che siano [ ... ] con le psicologie recentissime dello sche­matismo sia descrittivo {Revault d'Allonnes), come genetico (Piaget, P. Janet)». C. FABRO, Percezione e pensiero, p. 229.

155 Cfr. C. FABRO, Percezione e pensiero, p. 193. Il capitolo finisce con un confronto fra schematismo kantiano e schematismo tomista. Si legge verso la conclusione l'affermazione che poiché non si danno mai sen­sazioni prive di organizzazione, l'esercizio del pensiero, per quanto in forme le più elementari, può essere parallelo a quello del sentire. Anzi: «Più ancora si può dire, e lo provano i fatti della costanza percettiva e l'influsso del significato sui contenuti di percezione, che l'organizzazione dei dati spaziali e temporali è influenzata dai fattori intellettuali in grado non minore degli altri contenuti». lvi, p. 233. Segue la critica a Kant: «Da un lato Kant ha fatto gli schemi troppo separati dai contenuti sen­soriali - riducendoli a funzioni a priori - dall'altro ha messo un divario troppo grande fra le due forme della sensibilità nelle quali si realizzano

. gli schemi e le dodici categorie: il tutto imbrogliato nella inestricabile matassa di una necessità di applicare una forma {intelligibile o sensibile) alla materia caotica, e della impossibilità di farlo, una volta che forma e

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La seconda sezione dell'opera porta il titolo: La percezione del concreto. I due primi capitoli, sulla conoscenza (perce­zione) intellettiva del singolare materiale e dello spirituale, costituiscono un vero gioiello di ermeneutica tomistica.

Particolare rilevanza merita però il paragrafo dedicato ai principi che regolano la dialettica dell'atto percettivo. La conoscenza umana ascende per tappe e si organizza secon­do piani di contenuti: sintesi sensoriale primaria (sensibili per se propri e sensibili per se comuni, più le fusioni, simul­tanea e successiva), sintesi sensoriale secondaria (sensibili per se e sensibili per accidens), sintesi fra astratto e concre­to (sensibili per accidens e intelligibili per se ... ), cosicché si constata una dualità intrinseca ad ogni funzione e forma di conoscenza umana, ed è un'astrazione il voler conside­rare il contenuto di un ordine in maniera completamente indipendente nei confronti di un altro ordine. Nell'atto percettivo, allora, «sono presenti in collaborazione e subor­dinazione, i contenuti di tutti gli ordini: è questo il princi­pio della complementarietà»156• Il secondo principio è quello dell'emergenza. La sola complementarietà resta statica e non saprebbe rendere ragione del sorgere di un contenuto nuo­vo, si esaurirebbe in una reciprocità circolare. Lemergenza consiste nel fatto che 'ad un certo momento di maturazione della sintesi inferiore sorge un contenuto qualitativamente nuovo; essa «si sviluppa di grado in grado e si estende a tutto

materia sono poste all'inizio essere al di fuori ed eterogenee (sachfremde, direbbe il Wertheimer) l'una all'altra». E conclude: «Il ricorso fatto da Kant allo schematismo è un opportuno suggerimento alle teorie realiste per integrare la propria posizione, ma alla sua non può portare alcun giovamento» Ibidem.

156 C. FABRO, Percezione e pensiero, p. 291.

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l'ambito della vita cosciente». I.:emergenza «in ogni caso ha per termine "a quo" la funzione e l'oggetto immediatamente inferiore; per termine "ad quem", la funzione ed il contenu­to che si dice appunto emergente; per principio generatore prossimo, la dialettica interiore agli oggetti e alle funzioni; e per principio generatore remoto il grado di perfezione onto­logica dell'anima secondo il quale essa è trascendentalmente ordinata a perfezionarsi all'infinito, pur restando soggetta ad uno sviluppo nel tempo»157• Questi due principi si anco­rano, dal punto di vista della fondazione ontologica ultima, alla nozione metafisica di partecipazione; e l'unità soggettiva di coscienza. è la condizione fondamentale dello sviluppo dia­lettico del conoscere: un'unità di coscienza predicamentale, quale san Tommaso aveva sfiorato nella sua polemica antia­verroistica con il richiamo allo.hic homo intelligit.

Dopo l'analisi dègli strati oggettuali e delle funzioni, e dei principi dell'atto stesso percettivo, l'opera si concentra attorno a tre grandi gruppi di problemi: è l'ultima sezione. Il primo problema è quello dello sviluppo stesso del sogget­to, il diramarsi e attuarsi delle potenze e il loro sinergetico funzionamento: problema psicologico. Riguardo a questo pri­mo problema si mostrano molto interessanti le osservazio­ni sull'astrazione e la percezione come «costruzione feno­menale», che non contraddice l'immediatezza fenomenale, ma che invece si svolge tutta quanta proprio in funzione di quest'immediatezza: immediatezza pertanto di contenuto e

· mediatezza di funzioni, onde è da rigettarsi la teoria dell'in­ferenza. In collegamento con la precedente osservazione sull'unità di coscienza nella maturazione percettiva, Fabro

157 lvi, p. 292.

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fa in questo contesto un chiarimento fondamentale riguar­do all'integrazione funzionale delle potenze, affermando che nell'atto unitario e complesso della percezione hanno parte principale sia l'intelletto che la «cogitativa»: forma/iter il pri­mo, materia/iter la seconda158•

Un secondo problema è quello del contatto stesso del soggetto con l'oggetto, e la sua validità: problema critico. Qui Fabro studia il problema del valore di oggettività delle quali­tà secondarie e primarie, con ogni serietà e senza pregiudizi, approdando alla tesi della relativa soggettività delle qualità secondarie (i sensibili propri) in quanto esse non sono la mera trascrizione «speculare» e fìsica della realtà corporea nelle pot~nze sensitive. In un secondo momento si studia l'intermediario soggettivo-oggettivo che è l'idea: problema della species e del verbum, con accenni polemici alle critiche di Hamilton e Martinetti, e una stupenda esposizione della dottrina dell'intenzionalità. ~argomento si chiude con l'ana­lisi della «persuasione di realtà», che è una risultante psichica la quale sorge su di uno sfondo assai complesso di condizio­ni e da un gioco interiore di funzioni159; resta tutt'altro che estranea ad essa l'intenzionalità della percezione affettiva, che può perfìno svolgere un ruolo non solo d'integrazione bensì anche di correzione nella costruzione fenomenica.

~ultimo problema riguarda, sullo sfondo della fenome­nologia della percezione, la realtà nella sua assolutezza, e quindi come si pongano e si fondino i contenuti «assoluti» di realtà: problema metafisico. Esso riguarda l'apprensione dell'essenza e affermazione di esistenza, nella «tensione» di

158 Cfr. Ivi, p. 340. 159 Cfr. Ivi, p. 388.

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essere e apparire, che sono, secondo i rispettivi piani, «1' uno per l'altro». Infatti, «il realismo critico o "mediato" ritiene che lapparire in tanto rivela l'essere in quanto è un "segno" ch'è l'effetto di una causa»160• Il vero è però che i contenuti fenomenali, dell'apparire dell'essere, sono contenuti anche reali. È l'intelletto ad afferrare la realtà: ma non l'afferra che nel! esperienza, ·i cui contenuti hanno un riferimento im­mediato all'essere. «Esperienza e realtà non stanno quindi, anzitutto e come tali, nel rapporto di effetto e causa, ma in un rapporto assai più intimo: in quello appunto di "segno" e "segnato"»161 ; anzi, spiega il Nostro, la realtà «che è l'oggetto intelligibile di cui si occupa la metafisica, non è "fuori" di quella che è loggetto dell'esperienza, ma è "dentro" di es­sa». E chiarisce subito: «Qui il "dentro" non ha significato sp~iale, ma gnoseologico [ ... ]; l'essenza di cui si occupa la metafisica si trova subito là ove l'intelletto apprende qualche aspetto di realtà». E così come c'è una progressione fenome­nale, c'è anche una progressione metafisica nell'assimilazione dell'esperienza. Fatte queste indicazioni, Fabro dedica delle pagine di particolare densità alla fenomenologia della so­stanza e della causa.

La conclusione del volume non disdice affatto l'intensità speculativa che caratterizza tutta lopera. Sono tre i momenti principali: Fenomenologia e metafisica; Fenomenologia della metafisica; Metafisica della fenomenologi-a - dove Fabro stu­dia l'apprensione originaria e la percezione dell' ens, e trova occasione per esporre la dottrina dell'astrazione e accennare al metodo proprio della metafisica. Le ultime battute del

160 lvi, p. 401. 161 lvi, p. 404.

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volume sono caratterizzate da una particolare elevazione spi­rituale: «Dio viaggia con lanima in incognito e quaggiù non vuole svelarsi»162•

Pensiamo sia decisivamente importante, per afferrare lo sviluppo del pensiero personale di Fabro, la nota eh' egli mise a chiusura della prefazione nella seconda edizione di Perce­zione e Pensiero. Dopo aver indicato che è stato cancellato per intero il capitolo VII, osserva che la parte «propriamente teoretica è stata conservata nella sua esposizione originale, anche se oggi - dopo la dissoluzione dell'idealismo ad opera della problematica marxistico-esistenzialistica - quei princì­pi sono stati riportati più decisamente al "fondamento"»163•

E si rimanda a Dall'essere all'esistente.

Dall'essere all'esistente

Limportanza storica particolare del volume è di essere stato preparato in vista dell'ordinariato nella Cattolica di Milano. Lopera vide due edizioni164 ed è composta anch'essa

162 lvi, p. 488. 163 lvi, p. 13. 164 C'è una terza edizione, del 2004, della Marietti, con presentazione di

Umberto Regina, dal sottotitolo: Hegel Kierkegaard, Heidegger, ]aspers. Gli editori - a quanto pare Emmanuele Morandi e Riccardo Panattoni, direttori della Collana - oltre all'invenzione del sottotitolo si sono in­credibilmente permessi di togliere un intero capitolo. Riportiamo la spiegazione che dànno all'inizio, tutt'altro che soddisfacente: «l:unico capitolo escluso da questa edizione è 'Tessere e l'azione nello sviluppo della fìlosofìa di M. Blondel", che nella prima edizione risultava essere l'ultimo, cioè l'ottavo. Il motivo di tale esclusione è solo e unicamente la non congruità, sia di stile sia tematica [ci siamo!] di questo capitolo con il resto del volume [?]. Abbiamo preferito difendere l'intensità e

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da diversi studi. Tre acuti testi di Fichte, Kant e Heidegger, sull'appartenenza del fìlosofare e della metafisica all' essen­za stessa dell'uomo, messi .all'inizio a modo di epigrafe ci danno subito la tonica del volume. Con data del 25 marw 1956, la Premessa, che andrebbe riletta per intero, costitui­sce un gioiello non solo di riflessione esistenziale, ma anche letterario165•

Il volume è diviso in otto lunghi capitoli, più una con­clusione piena di originalità e che merita uno studio più approfondito di quanto finora sia stato fatto.

Il primo capitolo porta il preciso titolo: La verità dell'es­sere e l'inizio del pensiero (pp. 11-70). Vorremmo subito far

tematicità del problema affrontato da Cornelio Fabro piuttosto che la fedeltà ad una completezza storiografica che sarebbe stata pagata come un inutile e "stonato" appesantimento della lettura». O gli editori non hanno letto il capitolo, o non hanno capito il volume; inoltre, mettersi a «difendere» Fabro ... contro Fabro non può che destare ilarità - se non altro - come lo fa anche il mettersi a decidere come Fabro debba scrivere i propri libri, anche quando certi capitoli fossero «non congrui» in «stile e tematica». Parentesi quadre nostre.

165 Essa inizia con la perentoria affermazione: «Il tempo dei sistemi è pas­sato». Alcuni aspetti della Premessa che si potrebbero rilevare: 1) Caperta dichiarazione del superamento e diffida di ogni pretesa di sistema. 2) C«inserimento» attivo, se così si può dire, della riflessione nella situazione effettiva dell'esistenza, quale si legge nell'accenno alle guerre mondiali: il filosofare fabriano è tutt'altro che alieno alle vicende della storia. 3) Spunta la tematica del fondamento (Heidegger) con un accenno al pro­filarsi dell'orizzonte del nulla. 4) Si fa la sorprendente osservazione che non solo l'Idea hegeliana, ma anche il Singolo kierkegaardiano «si son consumati a vicenda», e si prospetta l'emergere del sentimento dell'an­goscia. 5) Cesigenza di decidersi per una presenza dell'Essere che più non deluda. 6) Cinserimento della «fede» nell'ambito della riflessione fìlosofìca, che ora diventa decisamente esistenziale. 7) C'è un ultimo cenno al «sentiero» che rileva ancora della familiarità con le riflessioni di Heidegger (specialmente Holzwege, 1950).

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notare che le prime dieci pagine costituiscono, a nostro avvi­so, uno dei migliori pezzi che Fabro abbia mai scritto. Senza citazioni - solo tre riferimenti all'inizio della Wissenschafi der Logik - anche se con tante allusioni ai pensatori essen­ziali, il testo ci presenta un Fabro in esercizio in atto della riflessione quanto mai impegnativa sulla coappartenenza di essere e pensiero secondo l'esigenza parmenidea - intravista poi anche da Heidegger, ma solo da san Tommaso piena­mente soddisfatta.

Particolarmente importanti e originali sono le riflessioni offerte in apertura sulla proprietà della coscienza di «esse­re per l'essere»166• In virtù di questa proprietà, la coscienza diventa la «mediante soggettiva» dell'essere ed è infinita in quanto inizio, medio e termine del proprio movimento: così come l'essere non è mediabile, ma è invece il mediante tra­scendentale dell'ente, così anche la coscienza copulante è la «mediante soggettiva della finitezza», che è l'uomo, e tutta­via dev'essere anch'essa funzionaimente, nella sua apertura,

166 Le seguenti citazioni, che potrebbero ancora prolungarsi, servano a te­stimonianza: «È questa infatti la proprietà della coscienza di "essere-per-1' essere" e quindi di risolvere l'ente in un rapporto interno di essere, di cui precisamente il pensiero è lespressione: Essere-lessere è la tautologia suprema ed è anche l'ultima meta della coscienza». C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 13. Poco più avanti: «Ma la qualità ch'è essere-per-l'essere è ovvia per ogni coscienza; lessere cioè si presenta da sé, per ognuno che ha coscienza e per qualsiasi forma di coscienza, dalla percezione della qualità sensibile nella vita ordinaria fìno alle più complesse sintesi della scienza e della cultura. Perciò essere in guisa di "essere-per-l'essere" non è più espressione tautologica, ma pone la coscienza sul bilico del suo costituirsi e muoversi immanente e la stabilisce sul vertice della sua libertà originaria di essere per la verità dell'essere. "Essere-per-lessere" è pertanto la deter­minazione essenziale della coscienza secondo l'essere suo ch'è di far apparire l'essere e di apparire nell'essere». Ibidem. (Corsivi nostri).

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infinita, se il suo essere si rivela come «essere per lessere», e se essa media lessere per lattuazione (soggettiva) della verità dell'essere. Così, afferma Fabro: «Nel suo momento origina­rio e costitutivo la coscienza si manifesta anch'essa indetermi­nata in senso positivo ovvero apertura infinita verso l'essere e proprio in virtù dell'affermazione dell'essere che da essa sgorga: se essa attesta sempre lessere, ciò è perché per essa lessere si pone indeterminato ovvero infinito; quindi infini­ta deve pur essere anch'essa, se si rivela come inizio e medio e termine del proprio infinito movimento»167•

Segue una significativa osservazione sull'essere e il pensie­ro: «Ma nell'essere come tale né ci si muove né si sta fermi, né si perde né si conquista alcunché; perché lessere è il luogo assoluto di ogni verità ed è l'identità assoluta e indivisibile di forma e contenuto, di contenuto e valore [ ... ]. Nella ri­chiesta perciò del cogito cartesiano come inizio assoluto, così come sembra in Cartesio, c'è assieme ad una verità un errore fondamentale: la verità, che il pensiero non può cominciare che da se stesso, e da cos'altro potrebbe mai incominciare? I...:errore di Cartesio è stato di elevare l'Io come soggetto immediato nella situazione di mediante soggettivo in virtù dell'atto di pensare sotto la forma del dubbio; lerrore cioè di far passare per immediati primari esclusivi l'Io sul non-io e il dubbio sulla certezza. Mentre è chiaro che le coppie oggettivo-sog­gettivo, io.;. non io, dubbio-certezza ... presuppongono il sem­plice eh' è lessere, dato che quelle coppie non si dànno né si pongono rispettivamente che come soggetto e come richie­sta della verità dell'essere. Non è tanto allora di psicologismo che si deve accusare Cartesio[ ... ]. I...:errore di prospettiva qui

167 C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 14. (Corsivi nostri).

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è di aver obliato il "semplice" [ ... ] ch'è l'unico fondamento della verità dell'essere, l'essere stesso. Da questo punto di vi­sta costitutivo del pensiero in atto non è allora più permesso neppure di parlare di un inizio o di un punto di partenza particolare del pensiero o del filosofare come tale. Poiché se la verità del pensiero è la verità dell'essere, essa coesiste ed è soli­dale col pensiero stesso di cui è precisamente la sostanza; s'inizia quindi col pensiero stesso, cioè sempre mai, perché tutto quel che il pensiero, qualsiasi pensiero, può dire è che ciò è e non può non essere, vale a dire che la verità dell'essere si ma­nifesta {si svela) come un attestare la sua realtà nelle forme di "apparire" che sono accessibili unicamente alla coscienza. In questo senso - ch'è criticamente, come si vedrà, il più radicale - non e' è per il pensiero un punto isolato o isolabile d'inizio che sia come un chiodo fermo a cui poter attaccare il peso e lo sforzo dello sviluppo successivo; perché il pensiero difatti si origina sempre e ogni volta nel certificare se stesso . in ogni suo atto in quanto attesta la presenza {della verità) dell'essere. Non esiste allora in anticipo un momento privi­legiato della coscienza che abbia il compito di redimerla una volta per sempre dall'errore e dal dubbio, che non sia il pri­vilegio assoluto- della stessa verità dell'essere la quale rinnova e perpetua in ogni atto»168•

Fabro prosegue con lanalisi del cominciamento del Sein hegeliano e lo smontaggio della critica di Feuerbach al ri­guardo; aggiunge un confronto in contrappunto fra Hegel e san Tommaso, delle indicazioni particolarmente pregevoli sulla fenomenologia (con cenni a Husserl, Conrad-Martius e alla Edith Stein), dove arriva a parlare perfino della <<nostra

168 lvi, pp. 17-18. (Prima corsiva di Fabro).

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difesa della validità teoretica della fenomenologia» 169 - anche se non propriamente nella forma sistematica specificamente husserliana. Distingue anche i diversi momenti fondamenta­li per la determinazione del reale: quello fenomenologico, quello ontico e quello metafisico, la esplicitazione dei quali «è per la fìlosofia costruire il nostro accesso al reale»170•

La conclusione è chiaramente rivelativa della tesi di fon­do del volume. In essa il Nostro afferma che l'unica espe­rienza in senso forte è quella dell'essere; essendo però l'essere .,'rascendentalizzante rispetto all'ente, «il suo attuarsi è per un intelletto finito come il nostro lo sviluppo di tale trascendenza attivo-passiva che si deve perciò qualificare e prospettare senza limiti, non solo rispetto all'oggetto ma all'atto stesso. E questa è l'apertura positiva dell'esistente finito, ch'è l'uomo, verso l'Asso­luto. E l'esperienza di tale apertura orientata verso l'Assoluto è il vertice più alto in cui la coscienza finita può prospetta­re e invocare la presenza dello "Essere-senza-predicati". Ma poiché l'Essere-senza-predicati non è un concetto fra gli altri concetti, ma è l'Assoluto nella forma di vita sempiterna e di spirito perfetto, allora - checché dica Hegel - non è cer­tamente nel pensiero puro che la coscienza finita l'attinge, ma nello slancio, nel pungolo che la punge dentro, a portarsi al di là in una forma di trascendenza che deve impegnare tutto l'uomo e che alla fine non deluda» 171 •

Muovendo dunque dalla presenza dell'essere e dalla sua tematizzazione così com'è stata prospettata dalla forma più incisiva dell'idealismo, Fabro dimostra, per via del confron-

169 lvi, p. 57. 170 lvi, p. 62. 171 lvi, p. 70. (Corsivi nostri).

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to con la trascendentalità dell'esse intensivo tommcisiano che rimanda ali' ipsum esse subsistens, come non sia possibile un ancoraggio effettivo a tale «presenza definitiva» dell'essere se ciò venisse accordato soltanto al pensiero concettuale o alla sola sfera della ragione. Si esige pertanto l'impegno di tutta la persona per una presenza. dell'essere che più non deluda. Ciò apre il richiamo allora alla sfera della lìbertà, che sf~anifesta tramite la fede come sintesi della persona in quanto singolo esistente.

Si fa palese, in questo modo, il filo conduttore del suc­cedersi dei titoli che svolgono la problematica della ten­sione di fede e ragione con lo spostamento dello sguardo dalla religiosità protestante, tipicamente moderna, verso la situazione della coscienza allora contemporanea profonda­mente segnata dall'esistenzialismo. Così, il secondo capitolo viene dedicato al protestantismo: La spiritualità protestan­te e i/pensiero moderno (pp. 71-125). Lesito del «dogma» nel protestantismo è stato «al centro una teologia ortodossa travagliata da un equilibrio continuamente instabile perché minacciato alla periferia dal razionalismo assoluto e dal fi­deismo assoluto che premono ai lati»172• Il protestantismo resta affetto da una particolare negatività teologica; si tratta di una flessione negativa del dogma «che sta alla radice della tragedia della coscienza occidentale>P3• Il problema è che il

172 lvi, p. 73. 173 Ibidem. Fabro critica qui Kierkegaard, il quale «erra [ ... ] quando rimpro­

vera al Protestantismo unicamente un conformismo mondano nella vita mentre "la verità del dogma è a posto"». C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 74. Il protestantismo ha avuto però momenti di autentica grandezza spirituale, che sarebbero la teologia scolastica protestante e il pietismo. La prima, sviluppatasi nei Libri symbolici, ha attinto abbondantemente alla teologia cattolica e a san Tommaso, seguendo il metodo tradizionale. lvi,

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protestantismo «ha abbandonato il dogma alla soggettività e la soggettività si è sostituita al dogma ed ha oggettivato nelle manifestazioni culturali, politiche, emozionali... della storia il contenuto della religione»174• Fabro accenna inoltre allo sviluppo della teologia protestante fino ai nostri giorni e poi, passando ad uno studio più «di fondo», si sofferma sull'analisi del significato del Glaube di Jacobi, il cui orga­num sarebbe il sentimento ( Gejùhl), in opposizione all'Io astratto di Kant e dell'idealismo: Dio è allora persona e non può essere l'Assoluto di stampo razionalistico-spinoziano­hegeliano, e la fede sarebbe, al dire di Jacobi, il prius origi­nario della conoscenza umana. A questo modo, tramite il ricorso alla fede, ci si mantiene in· un certo senso sulla linea della Kritik der reinen Vernunft, ma s'individua nella fede l'elemento originario e il momento iniziale, e non .derivato, della conoscenza. La fede però sarà ricondotta da Fichte alla libertà stessa, in tal maniera che Dio diventa non già oggetto di conoscenza, bensì di aspirazione, approdando così a una «mistica» della fede175• Fabro poi analizza anche la dottrina del Fries, con abbondanti e curate citazioni, e mostrando co­me essa abbia avuto approfonditi sviluppi in Schleiermacher e anche in Rudolf Otto. Si apre così il passaggio teoretico (non storico) alla fede esistenziale di Jaspers, nella quale la ragione non conclude, vale a dire non si chiude, ma vive la propria dialettica delle opposizioni, in una «sintesi piuttosto

p. 75. Fabro si rivela infaticabile studioso e lettore, anche qui, di prima mano, con ampie e pertinenti citazioni di Johannes Arndt, il cui Das wahre Christentum sarebbe il «capolavoro del pietismo luterano» lvi, p. 76.

17 4 C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 9 L 175 Cfr. lvi, pp. 110-112.

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complicata di Kant-Hegel-Nietzsche-Kierkegaard»176• Fabro fa una molto precisa e giusta esposizione della dottrina di Jaspers, concludendo alla fine che la sua fede filosofica si rivela come la negazione della filosofia autentica e della fede autentica177•

Il terzo capitolo intende trattare «brevemente» (per ben cinquanta pagine!) il problema della fede nell'opera di Kierkegaard: Fede e ragione nella dialettica di Kierkegaard (127-185). Fabro riconosce apertamente di distaccarsi dalla maggior parte degli interpreti del pensiero kierkegaardiano: «contro la qua.si totalità degli autori, noi siamo persuasi che si debba dare un contenuto ed una soluzione assolutamente ·positive»178 alle istanze kierkegaardiane sulla fede. Kierkega­ard «potrà continuare a sfuggire ad ogni classificazione, po­trà non sembrare né cattolico né protestante. Il problema es­senziale non è questo»179• Ma Fabro aggiunge subito di avere la persuasione che «questa voce, questo "grido nella notte" [ ... ] costituisce nel suo momento essenziale un ritorno alla posizione cristiana autentica e, se si vuole, perfino alla po­sizione cattolica e tomista, almeno su certi punti». La dife­sa fabriana di questa sua tesi è molto equilibrata, con salda documentazione testuale e curate analisi di testi e contesti. Verso la conclusione, lo studio contiene anche un'esplicita dichiarazione della preferenza per san Tommaso e Kierkega­ard: «presenterò a mia volta le mie conclusioni citando i se­guenti testi dei due pensatori che ho più studiato fra gli altri,

176 lvi; p. 118. 177 Cfr. lvi, p. 125. 178 lvi, p. 130. 179 Ibidem.

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che amo particolarmente ed a cui mi sento più vicino»180•

Segue quindi una presentazione in contrappunto di sugge­stive sentenze di san Tommaso e del pensatore danese.

Jaspers riappare nel capitolo seguente, Ragione e fede nella dialettica di ]aspers (pp. 187-239). Fabro muove dalla pro­blematica esistenziale di Nietzsche e Kierkegaard, che costi­tuiscono le fonti alle quali attinge evidentemente Jaspers, ma si sofferma con particolare cura a indicare i punti principali dell'opera kierkegaardiana che hanno attirato l'attenzione di Jaspers. Notevoli le differenze fra Jaspers e Kierkegaard, come si evince dalla nota accusa jaspersiana di teologismo. Mentre per Kierkegaard infatti l'enigma dell'uomo si risolve mediante l'esistere nella fede, che è accettazione di Cristo,

. senso e compimento della storia, invece per Jaspers anche l'opera e religione di Cristo appartengono. alla storia, e non possono emergere sì da chiudere l'apertura dell'esistenza. Lintermediario teoretico però, sia esplicito che implicito, per questo passaggio o travisamento, se si vuole, dell'istanza di Kierkegaard, è stato Kant; un Kant assimilato e ripensa­to alla luce dello sviluppo delle scienze, della storia e della situazione esistenziale, per l'appunto181• In realtà, ciò che riappare in Jaspers nella sua polemica con il «teologismo» di Kierkegaard è il problema di Lessing, per cui la realtà espressa dalla fede cristiana sarebbe un ostacolo per il filo­sofare. Citiamo alcune righe eloquenti: «Lessenza del dibat­tito e del confronto fra Jaspers e Kierkegaard è tutta qui: per Kierkegaard il Cristianesimo del Nuovo Testamento è

180 lvi, pp. 181-182. 181 Per un'analisi della fede filosofica in confronto con la fede e religione

razionale di Kant, Cfr. C. FABRO, Dall'essere all'esistente, pp. 216-222.

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Cornelio Fabro

l'unica religione assoluta e immutabile per tutti gli uomini e per tutti i tempi perché Gesù Cristo ha dimostrato di es­sere veramente l'Uomo-Dio, Gesù Cristo, Verbo eterno del Padre e nato in terra da una povera Vergine [ ... ]. Quindi tutte le altre religioni restano false. - Per Jaspers invece il "sacro" (das Heilige), come per R. Otto, è una categoria del­la coscienza umana universale e va preso unicamente nella sua universalità»182• C'è una divergenza pertanto teologica di fondo, e c'è una divergenza teoretica di fondo, perché Kier­kegaard ripropone il realismo greco-classico contro la fìloso­fia moderna, che ha assolutizzato la ragione, mentre Jaspers, all'interno dell'arco aperto dal pensiero moderno, intende salvare la filosofia estendendo la ragione così che nella sua riflessione sapienziale abbracci anche lesistenza e la storia intera. Pertanto, I' aut-aut fra i due autori è categorico.

Se Cristo però è Dio fattosi uomo, bisogna allora con­siderare quale sia il modo di trasmettere la verità che salva. Affrontare il problema della «comunicazione della verità» è lo scopo del quinto capitolo183, d'impostazione nettamente kierkegaardiana. Il modo proprio in cui si può comunicare la verità è «standoci dentro», perché la verità è la soggetti­vità. La comunicazione della verità che salva non è, quindi, anzitutto una comunicazione di sapere, bensì un invito ad «appropriarsene». Fabro studia poi le distinzioni offerte da Kierkegaard nelle sue opere, e si sofferma, come il tema tra l'altro lo richiedeva, sulla comunicazione nella vita di Kier­kegaard, approfondendo così la comunicazione indiretta, e poi quella diretta.

182 C. FABRO, Dall'essere all'esistente, pp. 235-236. 183 Cfr. Ivi, pp. 241-277.

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Le o ere

Il cristianesimo del pensatore danese viene studiato nel capitolo sesto184, dove si mostrano le sue progressive critiche al protestantismo, nonché i suoi rapporti con il Cattolicesi­mo. Se si vuole capire Kierkegaard, dice Fabro, lo studio del pietismo non va trascurato, poiché «non c'è problema dal rapporto al padre e a Regina, fino alla lotta finale contro la "Cristianità" che non si alimenti alla spiritualità pietista»185•

I.:impianto generale della dinamica dell'opera e interpreta­zione del cristanesimo in Kierkegaard, può ben dirsi cattoli­cizzante: «Mi pare che tutti questi concetti: "esistenza'', "de­cisione", il "salto", il "singolo", che il pietista Kierkegaard ha formulato in contrasto alla teologia ortodossa [protestante], abbiano un significato reale soltanto per un cattolico che si trova davanti al problema della "sua vocazione"»186• Lo studio è documentato assai, e non risparmia critiche a certe interpretazioni ritenute superficiali 187•

184 Cfr. lvi, pp. 279-336. 185 lvi, p. 325. 186 lvi, p. 327. 187 Durissima, quanto precisa, la critica a Emanuel Hirsch, oppositore

dell'interpretazione «cattolicizzante» dell'opera del danese. Le citazioni sono imprecise, le sue osservazioni lasciano intatta la critica di Kierke­gaard a Lutero, e poi sbaglia grosso quando vuole Kierkegaard ammi­ratore e discepolo di Schleiermacher (nientemeno!), senza citare un sol testo, «ed è un peccato, perché così si espone al rischio di passare anche lui fra la categoria di quanti parlano di K. senz' averlo letto con com­prensione: ciò che è il primo requisito per pretendere di accostare uno scrittore così dialettico e complesso». C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 329. Fabro però non fa di Kierkegaard un cattolico: «le sue stesse tendenze e posizioni cattolicizzanti dal punto di vista teologico restano ambigue e inoperanti e quindi non vanno riconosciute per cattoliche in quanto mancano della "situazione" propria della teologia cattolica», perché «prive dell'effettiva inserzione nella Chiesa visibile ch'è l'unica depositaria e la maestra infallibile della verità». lvi, pp. 318 e 319.

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Il grande teorico dell'essere però, e maturato anche in ambiente esistenzialistico e alle dipendenze di Kierkegaard, è senz'altro Heidegger: Ontologi.a e metafisica dell'ultimo Hei­degger (pp. 337-424) è il titolo del settimo capitolo. È prati­camente un trattato, di quasi cento pagine, con una lettura «intensiva» di tutti gli scritti post-bellici. I...:inserimento di Heidegger nel volume si giustifica ampiamente dal momen­to eh' egli interpreta l'essere come presenza ed è alla libertà che accorda di essere l'essenza della verità: «Lasciarsi essere in quest'apertura è lasciar essere la verità dell'essere, è essere nella verità; lasciar essere lesistente nell'apertura dell'essere è "decidersi" per la verità dell'essere; è la libertà perciò che co­stituisce l'essenza della verità dell'essere»188• Con Heidegger però, così come con Jaspers, ma più radicalmente ancora, si assiste ad un capovolgimento totale della situazione: «1' esi­stenza che in Kierkegaard è la protesta dell'uomo "davanti a Dio" per salvarsi con la decisione della fede per l'eternità, diventa nell'esistenzialismo contemporaneo la decisione per la finitezza nel tempo»189•

Poi Fabro sviluppa un confronto fra Hegel-Kierkegaard e l'esistenzialismo. I.:esistenzialismo però prospetta diversa­mente la finitezza dell'essere a seconda delle opzioni fon­damentali: cosl Sartre ha optato per Cartesio1.90, Jaspers ha optato per Kant191 e Heidegger ha optato per Holderlin e Nietzsche192• I...:analisi dell'ontologia (fondamentale) heideg­geriana sboccia poi nel problema m_etafisico e la possibilità

188 C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 340. 189 Ibidem. 190 Cfr. lvi, p. 344. 191 Cfr. lvi, p. 345. 192 Cfr. lvi, p. 346. Francamente, ci saremmo pure aspettato «per Hegel».

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dell'apertura a Dio193• La conclusione è un invito alla lettu­ra dell'intero capitolo: «Il Sein di Heidegger si muove nella scia del Sein selbst di Hegel, il Sein selbst di Hegel richiama l'esse ipsum (esse per essentiam) di S. Tommaso: tre tappe di un processo spirituale decisivo per l'Occidente, ma anche tre momenti della struttura di un problema al quale l'uomo contemporaneo non si può più riflutare»194•

Ritorna quindi e viene riproposta la tesi centrale del vo­lume a cui abbiamo prima accennato. Il volume «si muove» dall'essere e dalla presenza dell'essere ali' esistente in quanto l'esistente «si cerca» nell'essere mediante lesercizio della li­bertà come prius originario della soggettività.

L'ottavo capitolo è intitolato L'essere e l'azione nello svi­luppo della filosofia di M Blondel (pp. 425-489). Il volume richiedeva questo capitolo su Maurice Blondel perché que­sto autore, con il suo dinamismo ottimistico, prospetta, a modo suo, e certamente per Fabro tutt'altro che soddisfa- · cente, una spinta originaria per l'orientamento dell'uomo nel «mare» dell'essere e la costituzione esistenziale della persona.

Ci sentiamo pressoché obbligati a presentare tutta la struttura dell'intero capitolo minuzioso e dettagliato più che mai, che costituisce, da parte di Fabro, una vera e decisiva demolizione delle tesi blondeliane: ·

I. Osservazioni preliminari: argomento e metodo.

IL Il problema centrale.

Parte prima: il dinamismo dell'essere. Parte seconda: il dinamismo dell'agire.

193 Cfr. lvi, p. 393-408. 194 lvi, p. 424.

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III. Valutazione critica: Leibniz e Blondel.

Osservazione preliminare.

1. La «piccola tesi» su Leibniz.

2. Le citazioni di Leibniz nel «ciclo conclusivo».

3. Classificazione qualitativa delle citazioni di Leibniz.

a) Vinculum e dinamismo universale.

b) Monadismo e dinamismo universale.

c) Ottimismo e libertà (determinazione del volere?).

Conclusione.

A) Ambiguità del metodo.

B) Volontà ovvero velleità di Tomismo in Blondel.

C) Blondel e l'idealismo.

D) Blondel, Leibniz e Sartre: il problema della libertà.

E) La prima <<Action» e il «ciclo conclusivo»: il problema di Dio.

1) Irruzione e primato assoluto dell'azione.

2) Criterio e inizio assoluto dell'azione.

3) Lo scacco dell'esistenza in Sartre e la salvezza in Blon­del: intorno alla «possibilità» di Dio.

Lo studio si svolge con copiose citazioni che seguono le diverse opere,' secondo le diverse tappe dello sviluppo del pensiero blondeliano195• Fabro dichiara praticamente in apertura di non aver dubbi sulla buona fede di Blondel196•

Segnala però i grossi difetti della sua produzione filosofica, come l'abuso dello psicologismo alla Maine de Biran e l' as-

195 La serietà metodologica e critica di Fabro non ammette discu~sioni. Nel presente caso, Fabro stesso avverte al lettore di essere in possesso dell'edi­zione originale dell'opera prima e principale del Bionde! (L'Action, Alcan, Paris 1893) «eh' egli, a causa della gravità delle critiche suscitate, ritirò subito, per quanto potè, dal commercio e difatti sono rarissime le copie dell'edizione originale». C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 426.

196 C. FABRO, Dall'essere all'esistente, p. 429.

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senza «di una conoscenza adeguata dell'idealismo tedesco da Kant ai trascendentali fino alla fenomenologia di Husserl (completamente ignorata), e all'esistenzialismo (inutilmente maltrattato): tutto viene rigettato in massa sotto la comoda etichetta di "soggettivismo"»197•

Entrando in argomento e dopo aver analizzato minuzio­samente i resti e i contesti, Fabro afferma: «La conclusio­ne del nostro studio su questo punto risolutivo è del tutto categorica: "La filosofia di Blondel scaturisce da una unica fonte principale e questa è LEIBNIZ". Il dinamismo e l' otti­mismo blondeliano si riducono all'ottimismo e dinamismo leibniziano»198• La conclusione viene confermata da uno stu­dio puntuale di Leibniz come fonte, con una lunga lista di citazioni esplicite, aggiungendosi una classificazione qualita­tiva delle citazioni.

Verso la fine, lo studio riserva una sorpresa: l'accostamen­to in parallelo fra significativi testi di Sartre e di Blondel199•

Sartre, l'ultima tappa per la dissoluzione della libertà e dell'esistente, avrebbe avuto di mira propriamente Blondel, soltanto che è più robusto teoreticamente e più deciso nella dissoluzione della libertà. Così, Fabro mostra come Blondel nella linea dello spiritualismo francese sia un anello impor­tante della catastrofe spirituale causata dalla produzione sar­triana. _Ed ecco perché Fabro lo ,ritenne l'ultimo passaggio, doveroso, prima della conclusione.

La conclusione del volume, come abbiamo già indicato, costituisce un progresso nel pensiero fabriano e merita di es-

197 lvi, p. 430. 198 lvi, p. 462. 199 lvi, pp. 486-489.

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sere profondamente meditata. Basteranno però per il nostro scopo brevi cenni.

Innanzitutto, Fabro riprende la linea generale del vo­lume: «Loscillazione perpetua della filosofia a rompere la dialettica di fede e ragione per assorbire l'una nell'altra [ ... ] dev'essere considerata superata grazie ad un approfondi­mento della struttura (effettiva) della coscienza nel suo rap­porto al reale»200• Ora, anche se la fede è un atteggiamento di conoscenza, il suo oggetto non s'identifica tuttavia con quello della conoscenza: a questa è riservato il momento formale (dell'essenza), mentre loggetto della fede appartie­ne alla sfera esistenziale. Mentre l'assenso della conoscenza procede dall'evidenza univoca (a seconda dei piani e delle diverse facoltà) dell'oggetto, l'assenso della fede «scaturisce dall'impegno della persona operante come un tutto»201 • Spon­tanea sarà la fede, se spontaneo è l'impegno; sarà riflessa, se riflesso. Questa fede naturale, spontanea, procede «per im­pulso della coscienza, nella sua totalità operativa e non dipende affatto dalla volontà riflessa, ma emana dalla volontà di vi­vere insita in ciascuno»202• Pertanto, fede e conoscenza sono due momenti complementari e presenti in ogni forma di conoscenza del reale, in quanto alla fede appartiene la con­vinzione del reale in atto e alla conoscenza l'apprensione e determinazione del contenuto e strutture dell'essere che sul piano esistenziale invece diventano oggetto della fede. Fa­bro distingue, inoltre, i diversi motivi della fede, a seconda dei diversi tipi e piani di fede (spontanea, riflessa naturale,

200 lvi, p. 491. 201 lvi, p. 492. 202 Ibidem.

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riflessa soprannaturale). Questa è la formula a cui approda: «la convinzione di realtà, su cui si fonda l'affermazione o negazione del reale, si fonda sul conoscere ma trascende il semplice conoscere nella sua forma d'immediato apprendere e comprendere ed è perciò oggetto di fede. La "fede" così intesa diventa lorgano di convinzione del reale, in tutte le sue forme, in quanto è l'atteggiamento sintetico della persona nella sua totalità»203•

In questo modo, Fabro sposta il momento sintetico glo­bale costitutivo dell'unità di coscienza dal mero piano in­tellettivo a quello esistenziale della libertà. Pertanto «il mo­mento della fede - nella struttura della coscienza umana come atto proprio della personalità - corrisponde precisa­mente ali' orientazione trascendentale che ha la detta perso­na umana ali' essere stesso, ali' essere in quanto essere, dentro il quale essa ha da assolvere il processo del proprio i:ÉA.oç esistenziale»204• Di conseguenza, l'atto di fede «è l'atto sin­tetico risolutivo mediante il quale l'oggetto è "situato" nel mondo reale secondo una precisa determinazione di realtà e di valore nella sfera della vita vissuta»205• E subito il pas­saggio all'Io: «Poiché nell'uomo tutto fa capo al soggetto operante nella totalità prima e ultima ch'è la "personà': la "fede" che attinge la totalità della realtà, nel suo presentar­si al soggetto, è l'atto proprio della persona nel suo momento intenzionale dentro il quale si dà l'essere stesso che si attesta come reale». Si tratta, allora, di una fede ontica originaria eh' esprime l'atteggiamento di fondo del dinamismo proprio

203 Ivi, p. 496. 204 Ivi, p. 498. 205 lvi, p. 499.

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della coscienza nella sua appartenenza inscindibile ali' essere come presenza del presente. Ciò non è fideismo, perché non si cambia il segno della verità, ma soltanto se ne distinguono i piani, gli oggetti, e le diverse articolazioni. I.:uomo non vive allora né di sola fede, né di sola ragione ed è mediante l'incommensurabilità fra il possibile e il reale, fra l'universale e il particolare che s'impone la fede: «come l'essenza è l'oggetto della scienza, così l'esistenza è l'oggetto della fede>>206, cosicché la fede come organo dell'esistenza è ciò che esprime l'essenza dell'uomo come essere ec-statico.

Non si tratta pertanto di riproporre vecchie formule ma di accogliere la sfida che comporta la situazione attuale della filosofia occidentale e di avviare dunque un nuovo inizio che consenta all'uomo «di toccare l'essere e di prospettare l'Assolllto mediante un unico processo in cui la razionalità apra alla libertà l'itinerario della salvezza»207• Si tratta - nien­temeno - del nuovo cominciamento fabriano; ed è l'ultima citazione: «Il nuovo inizio che così si propone al fìlosofare è quello dell'uomo come un tutto ovvero della "riflessione totale" che ha nei due momenti della fede e della ragione i due poli di tensione fra l'essere e l'esistente»208•

Riflessioni sulla libertà

I.:opera è apparsa nel 1983 e raccoglie diversi articoli de­dicati ali' argomento, con 1' aggiunta di una Premessa nella

206 lvi, p. 510. 207 lvi, p. 511. 208 Ibidem.

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quale viene esplicitamente accentuata loriginalità della li­bertà come creatività partecipata.

La scelta degli articoli rivela una struttura tematica abbastan­za chiara: la tensione della libertà, la dissoluzione della libertà, il recupero della libertà, il dramma esistenziale della libertà209•

La prima parte prospetta l'analisi della libertà con due articoli dal taglio nettamente tomista, anche se molto critici nei confronti delle posizioni tradizionali e perfino di certi testi espliciti di san Tommaso. È composta da due studi: Orizzontalità e verticalità nella dialettica della libertà (1971) e La dialettica d'intelligenza e volontà nella costituzione esi-: stenziale dell'atto libero ( 1977).

Dedicata alla dissoluzione della libertà, la seconda par­te inizia con uno studio sul trascendentale esistenziale del­la libertà, in senso heideggeriano, e mostra poi con grande dovizia il punto di arrivo della parabola della riflessione mo­derna sul soggetto autonomo, una volta che si sono defini­tivamente eliminate le pretese onto-teologiche dell'Assoluto idealista. Quattro sono gli studi che appartengono a questa parte: Il trascendentale esistenziale e il fondamento della libertà (1973), Dialettica della libertà e autonomia della ragione in Fichte ( 1980), La dialettica della situazione nell'etica di Kier­kegaard (1974), Kierkegaard e la dissoluzione idealistica della libertà (1975).

La terza parte, che tratta del recupero della libertà, è sotto la guida di Kierkegaard: La fondazione meta.fisica della libertà

209 Ciò risulta sia dalla distribuzione stessa della materia come dalle divi­sioni in diverse parti che apparivano nelle prime bozze (Cfr. Archivio del «Proggetto Culturale Cornelio Fabro»). Era prevista l'inclusione di più articoli, che per motivi editoriali si son dovuti escludere; il titolo anche doveva essere, in un primo momento, ·«Essere e libertà».

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di scelta in SfJren Kierkegaard (1975) e La dialettica qualitati­va della libertà in Kierkegaard (1977).

Per ultimo, la riflessione si estende al dramma esistenziale della libertà, considerando da vicino il problema del male in relazione alla posizione stessa del problema di Dio e la possi­bilità dell'ateismo, e soprattutto, di fronte alla destinazione ultima della persona nell'alternativa di' tempo ed eternità, di finito ed Infinito, di morte eterna e vita eterna. Espliciti so­no i titoli: Ateismo e deviazione radicale della libertà (1981), Dio e il mistero del male ( 19 81).

Orizzontalità e verticalità nella dialettica della liber­tà (pp. 13-55). «La tensione di orizzontalità e verticali­tà della libertà esprime la dialettica interiore della storia nell'aspirazione inesauribile quando l'uomo prova a chia­rire a se stesso il fondo della verità e lesito ultimo del suo destino»210•

Nella penetrante Introduzione~ Fabro afferma che è stato loblio dell'essere a togliere la piattaforma della libertà, tanto da far sì che la crisi della verità della libertà si presenti nel contempo come crisi della libertà della verità. Prendendo atto della dichiarazione di Hegel che è con il Cristianesimo che l'idea della libertà entrò nel mondo, egli si sofferma poi a presentare «in modo largamente schematico» - ma non per questo poco preciso - le vicende del pensiero moder­no come ricerca della fondazione dell'attività dello spirito come libertà: il verticalismo razionalista dell'astrattezza, I' orizzontalismo empirista della concretezza, poi l'idealismo come sintesi convergente dei due momenti, fino ad arrivare alla filosofia novissima dove la libertà è intesa come sempli-

210 C. FABR'.O, Riflessioni sulla libertà, p. 14.

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ce apertura secondo le infinite, cioè indefinite, possibilità dell' esperienza211 •

Il corpo dello studio intende presentare la complessa ana­litica della libertà in san Tommaso, procedendo «per mo­menti dialettici»212• Diamo a seguire la «struttura» dell' arti­colo per evidenziare questi passaggi:

A) Dominio oggettivo formale dell'intelletto (p. 22).

1) La «intentio finis» segue alla «apprehensio boni in communi» (la felicità} (p. 23). 2) La «electio mediorum adfinem» (p. 24). 3) La superiorità dell'intelletto sulla volontà (p. 26).

B) Dominio soggettivo esistenziale (reale) della volontà (p. 27).

1) Superiorità dinamica della volontà [quanto} all'oggetto ch'è il bene (p. 28). 2) Superiorità ontologica della volontà quanto all'oggetto ch'è Dio (p. 30). 3) Superiorità «metafisica» della volontà sull'intelletto: superiorità della «libertas quoad exercitium» sulla «libertas quoad specifica­tionem» (p. 32).

C) La struttura trascendentak (esistenziale) del/,a libertà radicak (p. 35). 1) L'autodeterminazione originaria della volontà (p. 36). 2) L'autoappartenenza originaria della libertà alla volontà (p. 37).

3) L'oscuramento della dinamica esistenziale della «electio» (p. 40).

D) La scelta esistenziale delfine (p. 43). 1) Scelta esistenziale del fine e determinazione morale (p. 44). 2) Scelta esistenziak del fine e origine vo!Ontaria del male (p. 46). 3) Originarietà fondante della scelta esistenziale del fine (p. 48).

211 Cfr. C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, pp. 17-22. La conclusione, che è il punto d'inizio della seconda parte dello studio, è tagliente: «La fìlosofìa moderna quindi è permeata di volontarismo».

212 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 22.

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Le conquiste speculative dell'arduo percorso si raccol­gono ·in una formula sintetica e molto precisa: «Primato quindi formale e oggettivo dell'intelletto, ma primato rea­le e soggettivo (esistenziale) .della volontà»213• Lo studio si chiude poi con il rimando all'esse come atto· fondante originario.

La dialettica d'intelligenza. e volontà nella costituzione esi­stenziale dell'atto libero (pp. 57-85). Di tematica, in superfi­cie, simile al precedente, questo saggio si propone invece di rilevare, nell'esercizio concreto della libertà e in confronto con le rivendicazioni del pensiero moderno, il ruolo del sog­getto singolo esistente come «lo» personale, quale «principio esistenziale incomunicabile-comunicante».

Lo studio procede in maniera non lineare, quasi come una conversazione tenutasi dal vivo. In esso, r argomento del primato dell'intelletto o della volontà viene trattato, ma co­me in concomitanza, e sempre in funzione di quell'aspetto principale: anzi, Fabro pensa che sia stato proprio il mettere fra parentesi il singolo esistente ciò che ha provocato delle serie sviste e ha occasionato dei seri equivoci al riguardo, di cui rende testimonianza l'aspra polemica nel tardo medioe­vo fra domenicani e francescani.

Dopo un prologo in cui viene ancora ricordata la tema­tizzazione esplicita della libertà come contributo del Cri­stianesimo in Hegel, dove si accenna anche alla presenza di Dio nel fundus animae secondo la sentenza di Taulero, Fabro cerca di scagionare san Tommaso dall'accusa d'intellettuali-

213 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 55. È tutt'altro che poco rilevante la modifica riguardo alla prima apparizione dell'articolo, appena citato, dove si legge, al posto di «primato reale», primato «materiale» (Cfr. l'ar­ticolo nella rivista «Angelicum», 48, (1971), p. 353).

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smo: è la prima parte dello studio. La trattazione procede qui per paragrafi numerati e sì concentra soprattutto attorno all'emergenza dinamica della volontà, la scelta del fìne ulti­mo in concreto, e la principalità del soggetto libero c0me causa sui (al nominativo).

Nella seconda parte, lo studio cerca di prospettare il con­fronto con l'interpretazione moderna della libertà, e presen­ta una puntuale discussione di alcuni testi (di san Tomma­so) diventati celebri nella tradizione della scuola. Ci sono delle importanti osservazioni sulla dialettica d'intelletto e volontà nell'origine del male morale, con esplicito richiamo a Kierkegaard214• .

Nell' «epilogo» Fabro conclude affermando che nella con­cezione della libertà in san Tommaso ci sono «degli spiragli notevoli per soddisfare all'esigenza moderna della princi­palità dell'io e di conseguenza dell'atto di scelta del "fìne concreto esistenziale" come dialettica del doppio rapporto dell'io a se stesso e a Dio (Kierkegaard) ch'è fondamentale e costitutiva nell'atto di scelta»215•

Accenni al divinus instinctus, alla creatività partecipata, e alla misteriosa presenza di Dio nel fondus animae chiudono lo studio, con un riferimento finale a Taulero.

214 Cfr. C. FABRO, Riflession sulla libertà, pp. 76-80. Sia Kierkegaard che san Tommaso vedono nella volontà la spinta originaria della libertà e l'origine quindi della responsabilità, anche se c'è una differenza: «La differenza fra questi due sommi interpreti del mistero della salvezza dell'uomo è che Kierkegaard raccoglie il conflitto dialettico all'interno dell'io». lvi, p. 80. Gli scolastici hanno accentuato il momento delle facoltà, mentre in realtà esse sono dei principia quibus, indi funzionali all'io come totalità operante nell'identità di coscienza e autocoscienza, che viene ad essere il vero principium quod della sfera esistenziale.

215 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, pp. 82-83.

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Con il chiarimento, a modo di sottotitolo, «La fine della metafisica e l'equivoco della teologia trascendentale», segue il saggio Il trascendentale esistenziale e il fondamento della libertà (pp. 87-132), che dà inizio alla «seconda parte» del libro.

La denuncia heideggeriana del fallimento della filosofia ha aperto la strada a diverse espressioni ateistiche (esistenzialismo, strutturalismo, positivismo logico, marxismo, per esempio) nelle quali l'uomo muove se stesso per se stesso come inizio e scopo di se stesso, con il risultato ultimo di un uomo senza di­mensioni poiché si dilegua nel farsi della storia. Così scompare ogni dualismo, la verità diventa effettualità o presenza e la li­bertà si manifesta nell'apertura illimitata per siffatta presenza.

Muovendo dal celebre testo di Kant sull' «essere», che non è un predicato reale, Fabro indica, sulla scia di Heidegger, che l'oblio dell'essere viene sancito definitivamente dall'in­felice distinzione fra essenza ed esistenza: essa è il punto di arrivo della riduzione 1) della verità a oggettività, 2) dell'idea oggettiva a causalità e 3) della trasformazione dell'atto (del causare) nell' actualitas come risultato e quindi come effet­tualità. Così, essenza ed esistenza indicano i due aspetti della possibilità e della realtà effettuata rispettivamente.

Analogo processo si verifica all'interno del pensiero mo­derno nel quale 1) la veritas oggettiva si trasforma nella certi­tudo soggettiva, 2) la verità-certezza razionalistica si trasforma ulteriormente nell'oggettivazione attiva e ponente della sog­gettività trascendentale, per poi 3) arrivare alla pura volontà di volontà, sia come volontà di potenza in Nietzsche, sia come semplice volontà di fare come nel marxismo, nell' esi­stenzialismo, nel pragmatismo, nel neopositivismo ... 216•

216 Cfr. Ivi, pp. 88-98 e specialmente pp. 97-98.

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Fabro si sofferma poi sull'aspetto «costruttivo» dell'inter­pretazione heideggeriana della libertà, che vorrebbe «essere solidale sia col principio classico della verità come con la rivendicazione moderna della libertà»217• Per riportarsi però all'intima ispirazione del pensiero di Heidegger su questo punto, Fabro si rifà alle ricerche schellinghiane sulla libertà, da Heidegger ritenute l'apice del pensiero moderno - e non a torto, aggiunge Fabro. Risultano importanti queste righe, in cui si propone, anche se veloce, un confronto fra Schel­ling e san Tommaso: tutti e due, anche se da prospettive «diametralmente opposte», rimandano la fondazione della libertà dell'uomo alla causalità divina stessa218•

Il risultato delle riflessioni di Heidegger è la riduzione orizzontale della libertà intesa come semplice apertura in funzione della verità dell'essere: la libertas indifferentiae che era il punto di partenza nella scolastica decadente, diventa adesso il punto di arrivo della nuova concezione, eh' esprim,e la storicizzazione radicale dell'essere. Ciò comporta l' espul­sione di ogni alone di sacralità dalla storia, e trova riscontro,

217 lvi, p. 101. 218 Cfr. lvi, pp. 101-102; importante anche al riguardo la nota 32. Siccome

però l'interpre~ione della causalità è in ambedue completamente di­versa, altrettanto diversa sarà la «situazione» di Dio nei confronti della creatura: per Schelling, che interpreta la calisalità in chiave moderna come semplice posizione e rimane dunque ancorato alla distinzione di essentia-existentia, l'unica soluzione possibile per «salvare» la realtà della libertà· dell'uomo è quella «inclusiva-assorbente»; per san Tommaso in­vece, che conosce l'esse intensivo, la causalità divina è proprio fondante, e non viene intaccata quando si afferma «un'altra "potenza"» accanto ad essa, grazie alla dialettica, appunto, della partecipazione. Non s'insi­sterà mai troppo sul significato e l'importanza della riscoperta fabriana dell'esse intensivo al momento di rintracciare la fondazione metafisica della libertà creata ancorandola alla divina onnipotenza.

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secondo Fabro, anche nelle formulazioni della teologia con­temporanea protestante e cattolica, di Bultmann e di Rah­ner rispettivamente.

Dopo aver dedicato alcune pagine ali' esposizione dell'iden­tificazione senza residui di essere e tempo come (presenza nella) storia, Fabro presenta nella conclusione la «resa al mondo» della teologia contemporanea, discutendo con pre­cisi riferimenti teoretici e testuali le posizioni dei due teologi appena indi~ti.

Dialettica della libertà e autonomia della· ragione in Fichte (pp. 133-159). Pubblicato prima in francese, è uno dei tre travagliati e profondi artiçoli dedicati nominatim a Fichte, che Fabro ritiene il classico della libertà nel pensiero moderno219•

I:avanzamento del saggio è guidato da titoli non nume­rati, che indicano i passaggi speculativi: L'identità di essere e pensiero nell1o come libertà (p. 135), L'immanenza di neces­sità e libertà nell1o (p. 140); L'unità di realismo e idealismo {«Ideal-Realismus») (p. 143); La dissoluzione del peccato come responsabilità individuale (p. 146); La costruzione immanente del reale (p. 149); Il «passaggio» dall'essere al dover-essere (p. 152); Dialettica fichtiana e dialettica tomistica della libertà (p. 154), un confronto, quest'ultimo, che è diviso in tre par­ti: a)· Il fatto dell'esistenza,, l'esigenza della libertà; b) La qua­lità della scelta dell'atto della libertà; c) La struttura dialettica dell'atto della libertà.

L articolo è caratterizzato da una solida documentazio­ne testuale, che dimostra, da parte di Fabro, una profonda

219 «Forse nessun filosofo moderno, e forse nell'intero arco del pensiero di tutti i tempi, è stato così avvinto dal problema della libertà come Fichte: la tensione eccezionale della sua riflessione e delle sue polemiche hanno qui il centro, l'oggetto e lo scopo». C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 132.

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conoscenza di Fichte e dell'evoluzione del suo pensiero220•

Dal punto di vista tematico, il Nostro cerca di prospetta­re inizialmente la fondazione della libertà in Fichte per poi concentrarsi attorno al problema del fine ultimo. È così che viene preparato il confronto con san Tommaso «il quale, per la sua radicalità speculativa, resta ancora l'unico pensato­re cristiano che possa confrontarsi con Kant e gli idealisti trascendentali»221 • Ma prima di prospettare il confronto, e dopo aver mosso delle forti critiche all'interpretazione fìch­tiana, Fabro dichiarava: «Quanto è stato raccolto dai testi più impegnativi di Fichte può bastare per orientare il lettore sul gramo destino ossia circa la morte a cui va incontro ogni "sistemà' ed in particolare ogni fìlosofìa trascendentale nella fondazione della libertà»222•

La dialettica della situazione nell'etica di Seren IGerkegaard (pp. 161-179). Fabro dichiara in apertura ·che la chiave per l'esplorazione della struttura dell'esistenza in Kierkegaard è il momento etico. Nel considerare il momento etico, lo stu­dio ha di mira specialmente la polemica di Kierkegaard con Hegel (e l'idealismo in genere). Il danese oppone dialettica a dialettica, alla dialettica quantitativa hegeliana oppone una dialettica qualitativa, e così prende distanza anche da Myn­sterche si richiamava a Jacobi per opporre alla mediazione della dialettica limmediatezza della fede, avvicinandosi alla

220 Ciò traspare, per esempio, nel delicato accenno della nota 34: «Per quanto mi consta, ogni richiamo alla Croce di Cristo .è completamente assente nell'opera di Fichte nella sua interpretazione del Cristianesimo sia nella Anweisung des seligen Lebens come nella Angewendete Philoso­phie». C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 148.

221 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 154. 222 Ibidem.

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dottrina di Schleiermacher del sentimento. Ma, osserva Fa­bro, per Kierkegaard «tutta l'esistenza è dialettica, non solo quella propriamente religiosa ma anche quella morale: ovun­que c'è riflessione, c'è interiorità cioè soggettività, ed appena l'uo­mo diventa spirito egli entra sotto la sfera della dialettica»223•

E prendendo le mosse da queste precisazioni fondamentali, Fabro inizia lo studio della dialettica nella sfera etica, dove la dialettica si pone come tensione fra l'io e il dovere.

Il saggio si sviluppa in sette paragrafi numerati, che pre­sentano le tappe principali dell'itinerario kierkegaardiano, seguendo le diverse opere. Lincisività dell'impegno etico con lesigenza del dovere è presentata nel secondo paragrafo, con il riferimento a Enter-Eller - che registra i ricordi kierkegaar­diani delle prime impressioni nell'incontro con l'imperativo etico. Nel paragrafo III si registra l'accusa fondamentale di Kierkegaard all'idealismo: il sistema manca di etica. Puntua­lizza Fabro: «il risultato della risoluzione idealista è che non c'è più posto per la morale» e questo perché, in un inodo o nell'altro, «il dovere coincide con l'essere e la storia con la morale»224•

Gli scritti pseudonimi s'impegnano nel mettere in chiaro la situazione «ideale» dell'etica, cioè considerano letica nella sua possibilità. Il paragrafo IV fa notare la svolta decisiva che spunta nel volume Il concetto dell'angoscia, dove si di-

223 lvi, p. 162. 224 lvi, p. 167. Siccome l'istanza kierkegaardiana è concreta «non sembra

esatto. affermare che in lui lo stadio etico corrisponda all'universale hege­liano: [ ... ] egli ha visto chiaro fin da principio su questo punto». Ibidem. I.;opera decisiva al riguardo, del ciclo estetico, è Timore e Tremore, che tematizza la sospensione teleologica della morale come espressione del trovarsi il Singolo «di fronte a Dio».

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stinguono due etiche: quella ideale (sarebbe quella naturale) che ignora il peccato e si esaurisce in precetti, ma naufraga perché urta con la peccaminosità reale dell'individuo; e l'al­tra, quella cristiana, eh' è un'etica nuova perché «presuppone il peccato e si muove in senso inverso della prima». La pri­ma etica presuppone la metafisica, che lascia il peccato co­me possibilità; la seconda invece presuppone la dogmatica, che glielo consegna come un fatto: poiché però il peccato si estende a tutto il genere umano, esso si può considerare come «lessenza della libertà come realtà»225•

Nella Postilla conclusiva quest'apertura dell'etica alla sfera religiosa si fa più decisa: «letica, più che esprimere uno sta­dio intermedio, costituisce il "momento decisivo" cioè criti­co originario che dà alla vita un valore infìnito»226• Così, nel V paragrafo Fabro spiega che l'impegno etico non costitui­sce ormai soltanto un indifferente stato intermedio, ma esso «costituisce la soggettività dell'uomo in quanto opera sotto lo sguardo onnipresente di Dio», in tal modo da venir in­corporato nello stadio religioso, continua Fabro, «come prova probante ossia come momento critico della sua autenticità». La sfera etica resta allora come tale l'espressione dell'uma­no generale, non nel senso impersonale hegeliano, bensì nel senso socratico; il fondamento però del suo imperativo è lAssoluto teologico.

I.: ultima svolta di Kierkegaard è presentata nel paragrafo seguente: è «la rivendicazione radicale dell'etica come costitu­tivo esistenziale dell'essere cristiano»227• Letica non costituisce

225 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 169. 226 lvi, p. 170. 227 lvi, p .. 173.

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più uno stadio accanto a quello estetico e a quello religioso, ma esprime il carattere distintivo dell'impegno assoluto re­ligioso. Questa rivendicazione si presenta in due momenti: lesigenza del «volontario» come contemporaneità e lattua­zione dell'imitazione di Cristo, imitazione che costituisce il vertice dell'etica.

L'elemento della conformità volontaria, allora, come principio della soggettività, è più importante del princi­pio protestante della sola fides. È la conclusione: «Perciò l'ultimo Kierkegaard at.tacca alla radice il cardine prote­stante della sola fides ed anche se ancora non riesce a com­prendere il senso preciso della dottrina cattolica del me­rito proclama che "il principio degli atti" è. più semplice del "principio della Fede", per la ragione che il principio degli atti è alla portata di tutti ed è con esso che tocca fare il cominciamento»228 • Si tratta della libertà radicale come nuovo inizio esistenziale.

Di nuovo è Hegel il bersaglio nel saggio, Kierkegaard e la dissoluzione idealistica della libertà (pp. 181-200). Esso incomincia con una presentazione breve ma precisa della libertà in Hegel, seguendo le sue lezioni sulla Storia della filosofia, e i§§ 4, 7 e 27 della Filosofia del diritto229• Fabro constata che le illusioni delle pretese teologiche del discor­so hegeliano vengono smentite, dal momento che dopo la morte di Hegel, ad opera della sinistra hegeliana, la sua teologia finisce per risolversi in antropologia, in tal modo che poi I' anticristianesimo di Nietzsche «appare alla fine come il vertice dell'aspirazione di una libertà sovrana sicu-

228 Ivi, p. 179. (Due ultimi corsivi nostri). 229 . Cfr. lvi, p. 183.

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ra di se stessa che ha determinato la filosofia moderna col cogito fin dall' inizio»230•

Il Nostro si sofferma ad indicare come la libertà di scel­ta non si possa salvare nel «sistema» e quindi vada perduta nell'idealismo, e non solo in Hegel, ma anche in Fichte e Schelling, e anche poi nell'analisi di Heidegger, il quale, pur avendo «sfruttato abilmente la tematica profonda e l' affasci­nante semantica del grande danese», ha finito poi per r~spin­gere «le istanze metafisiche e religiose della sua opera»231 • Di Heidegger si ricordano due contestazioni puntuali alle pun­genti critiche kierkegaardiane al Sistema: di avere ristretto il significato di «sistema» a quello hegeliano e di aver frainteso quest'ultimo, e poi di muovere dal punto di vista del creden­te cristiano e di non procedere dunque in senso strettamente filosofico232•

A queste due obiezioni Fabro da risposta nelle pagine che seguono. E riguardo alla prima afferma che, pur essendo ve­ro eh' egli indica con il «sistema» preferentemente la filoso­fia hegeliana, tuttavia resta il fatto che così egli «attacca alla radice l'intero indirizzo della filosofia moderna a partire dal cogito ergo sum»233• I.: accusa complessiva di Kierkegaard è che la filosofia moderna è disonesta, sia perché costituisce un au­toinganno, sia perché aberrante. Qui Fabro inserisce l'analisi critica kierkegaardiana del cogito, con dei cenni allo sviluppo

230 lvi, p. 185. 231 Ibidem. 232 È Heidegger stesso però a dare l'interpretazione panteistica dell'idea­

lismo in genere, accennando alla riduzione lineare dell'essere al volere e dell'essere alla libertà: ciò conferma la validità e l'attualità della critica di Kierkegaard. Cfr. C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 187.

233 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 187. ·

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delle conseguenze del cogito in Heidegger, che verrebbero a confermare la validità di siffatta critica. Il punto chiave però dell'argomentazione riguarda la seconda obiezione ed è il ricorso all'istanza kierkegaardiana della primitività: il siste­ma si rifugia nell'astrattezza e per questo appunto manca di primitività e diventa disonesto; la primititivà porta a porre con totale sincerità il problema decisivo dell'esistenza stes­sa e richiama perciò l'impegno etico e pertanto l'apertura all'imperativo dell'Assoluto teologico reale: non fideismo, dunque, ma un portare a fondo l'esigenza stessa della realtà originaria della libertà234•

Fabro dichiara per ultimo che Heidegger «ha inciampato male con Kierkegaard fin da Sein und Zeit», e che sbaglia grosso quando accusa Kierkegaard di aver trattato il pro­blema dell'esistenza soltanto in senso tradizionale, senza co­gliere la problematica propriamente esistenziale (heidegge­riana: die existentiale Problematik) poiché si troverebbe sotto l'influsso di Hegel dal punto di vista dell'ontologia: tutt'al contrario, in realtà l'interpretazione kierkegaardiana dell' esi­stenza è completamente capovolta riguardo a quella hegelia­na, e coglie il momento originario della libertà.

Le battute conclusive non lasciano dubbi sulla valuta­zione fabriana della critica di Heidegger, la quale è respinta con la perentoria dichiarazione: «l'uomo di Heidegger è ridotto ad un es impersonale, ad un soggetto incapace di

234 Cfr. C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, pp. 196-198. Dopo una lunga citazione Fabro conclude: «Tale è perciò ogni pensiero impersonale ed ogni storicismo, sia hegeliano come marxista ed esistenzialista, perché hanno tolto la dialettica di "sapere" e "potere", di oggettività e soggetti­vità, di intelletto e volontà, di necessità e libertà, di legge e coscienza, di esterno ed interno». lvi, p. 199.

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dirsi io, ad una cosa che si "lascia essere". Heidegger ha reso impossibile, perché insignificante, il concetto stesso di libertà»235• Seguono due studi che prospettano il recupero della libertà.

La fondazione metafisica della libertà di scelta in Soeren Kierkegaard (pp. 201-230). Il confronto fra Schelling e san Tommaso, con l'interpretazione heideggeriana delle ricerche di Schelling sulla libertà, già apparso in un articolo prece­dente, riappare nelle prime pagine di questo studio236• Ora, mentre Heidegger dilegua la libertà nel tempo, la libertà in Kierkegaard si rapporta all'eternità. In questo modo, il pensatore danese si pone anche agli antipodi di Hegel, il quale procede dalla soggettività trascendentale che poi sva­nisce nella storia universale, mentre il Singolo kierkegaar­diano muove invece dalla situazione storica precisa per di­ventare sempre più soggettivo, nel suo rapporto all'Assoluto sussistente.

I...:io dell'uomo kierkegaardiano si costituisce però me­diante un doppio rapporto interno ad un rapporto, in tal maniera che l'io è principio (principiante) ma come rappor­to derivato, in quanto sorge dal rapporto di due principi: il finito e l'Infinito, il tempo e l'eternità, la possibilità e la ne­cessità. I..:io, che è inizialmente libero come possibilità, per essere effettivamente libero deve, rapportandosi a se stesso, mettersi in rapporto con ciò che ha posto il rapporto intero, riflettendosi infinitamente nel rapporto con la Potenza che l'ha posto. I...:io allora è libero non perché esso si «annienti» (Schelling, Hegel), né perché si «lasci essere» (come dirà poi

235 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 200. 236 Cfr. lvi, pp. 101-105 e pp. 201-205, con modifiche irrilevanti.

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Heidegger) ma «perché si erge come affermazione di capaci­tà di scegliere l'Assoluto»237•

Si veda il seguente brano, bellissimo e tipicamente fabria­no, eh' espone in poche battute la «dialettica» tensoriale atti­va dell'io e la libertà. È «esegesi kierkegaardiana», ma dentro e' è tutto Fabro: «Per Kierkegaard invece l'io si afferma sol­tanto mediante l'io, la libertà si attua mediante la libertà: io e libertà sono come il concavo e il convesso e crescono l'uno per l'altro poiché l'io è essenzialmente libertà. Questa scelta che l'io deve fare e fa di se stesso davanti a Dio è l'attuar­si originario formale della libertà; esso è lantitesi del cog#o moderno»238•

Lo studio è II?-olto valido per approfondire le categorie kierkegaardiane della possibilità e della realtà239, quelle del Singolo come soggetto della libertà240, dell'Assoluto come fondamento della libertà241 e della critica di Kierkegaard alla libertas indifferentiae242, quindi del concetto stesso kierkega­ardiano di scelta, e del dovere morale243•

La conclusione raccoglie la tesi di fondo: «La struttura della libertà è quindi un plesso di necessità oggettiva - poi­ché il Sommo bene è esclusivo, non ha rivali, ed è perciò escludente - e di contingenza (scelta) soggettiva, poiché toc­ca ad ognuno fare anzitutto la scelta dell'Assoluto (che non

237 Ivi, p. 206. 238 Ivi, p. 223. 239 Cfr. lvi, pp. 207-210. 240 Cfr. Ivi, pp. 210-212. 241 Cfr. Ivi, pp. 212-219, con l'esposizione analitica del testo forse più im­

portante di Kierkegaard al riguardo. 242 Cfr. Ivi, pp. 219-222. 243 Cfr. Ivi, pp. 222-228.

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è propriamente "sceltà' ma lo stabilirsi nel fondamento) per fondare le ulteriori scelte»244•

Laltro studio che prospetta il recupero della libertà è La dialettica qualitativa della libertà in S~ren Kierkegaard (pp. 231-270). Esso però include una decisiva critica alla conce­zione kantiana della qualità, nonché all'essere vuoto dell'ini­zio hegeliano.

Per Kierkegaard la dialettica qualitativa non è altro che il cammino della libertà per diventare cristiani e nel suo mo­mento speculativo si contrappone al pensiero moderno, ri­vendicando la distinzione di essere e pensiero sul piano me­tafisico e quella di pensare e volere su quello esistenziale.

Il saggio è molto denso e merita uno studio approfondito. Diamo i titoli principali che segnano l'articolazione interna. La divisione in paragrafi numerati è di Fabro:

I. Introduzione: Dialettica quantitativa e dialettica qualitativa (pp.

231-235). Il. Il rovesciamento-dissoluzione della dialettica qualitativa in Kant­Hegel (pp. 235-239). III. La «dequalificazione» dell'essere in Kant (pp. 239-244). lV: La «dequalificazione» dell'essere nella dialettica hegeliana (pp.

244-248). V. La critica di Kierkegaard all'«essere vuoto» di Hegel (pp. 248-250). VI. La critica di Kierkegaard alla dialettica quantitativa hegeliana (pp. 250-253). VII. Il recupero kierkegaardiano della dialettica qualitativa (pp. 253-257). VIII. La fondazione cristiana della «dialettica qualitativa» (pp. 257-263). IX. La dinamica della dialettica qualitativa kierkegaardiana (pp.

263-269).

244 lvi, p. 228.

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X. Conclusione: la libertà dell'uomo di fronte a Dio e di fronte a Cristo come principio della dialettica nella qualità e della qualità nella dia­lettica (pp. 269-270).

Interessante quanto mai il titolo della conclusione. La formula non è di Kierkegaard, ma tipicamente fabriana: la libertà è principio della dialettica nella qualità e della qualità nella dialettica.

La conclusione è sotto la guida di un testo particolarmen­te pregevole del pensatore danese: «Luomo si distingue dalle altre specie animali non solo per i pregi d'intelligenza che di solito si enumerano, ma, qualitativamente (cioè) per il fatto che grazie alla libertà l'individuo è più 3.Ito della specie. Ma questa qualità è di nuovo dialettica; perché essa da una parte significa che il Singolo è peccatore, ma anche d'altra parte essa afferma che la perfezione è essere il Singolo»245•

Un particolare rilievo meritano le analisi della categoria kierkegaardiana della contemporaneità e quella della misura dell'io, antropologico, teologico, e anche cristologico, svilup­pate sulla falsariga del Libro su Adler, nei numeri VIII e IX.

Lultima sezione tematica del libro, sul dramma esisten­ziale della libertà, si apre con il saggio Ateismo e deviazione radicale della libertà (pp. 271-314). In apertura si suggerisce che il fatto stesso della possibilità dell'ateismo finisce per dimostrare palesemente che Dio non è un «risultato» nel­lo sviluppo della coscienza dell'uomo: altrimenti Dio non sarebbe Dio, ma svanirebbe in finzione, in pura proiezione antropologica - come voleva Feuerbach.

245 S. KrnRKEGAARD, La malattia mortale, in In., Opere; tr. it. di C. Fabro, , Sansoni, Firenze 1972, p. 684.

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Diversi tipi di ateismo sono chiamati in causa nelle prime pagine dello studio: quello della negazione, virulento contro la religione, dei secoli XVIII e XIX; quello poi d'indifferen­za o assenza, e quello positivo, di convinzione246• [ateismo però, di per sé, sempre implica una distorsione, una piega difettosa dell'intelletto o un certo disordine: «Un uomo di vita integra e di intelligenza limpida non può essere e dichia­rarsi ateo: l'ateismo o è una stortura iniziale dell'intelligenza o procede da un guasto del cuore»247•

Stando a questo travisamento dell'intelletto bisogna in­dividuare un ateismo di qualità speciale, l'ateismo dei filo­sofi: «Sia il teismo come l'ateismo, cioè tanto l'affermazione come la negazione di Dio-persona, esprimon~ un atteggia­mento esistenziale della persona. [ateismo dei filosofi ha una qualità originaria, quella della ribellione al fondamento: co­sì nella prima origine (Adamo nella Bibbia, Prometeo nella mitologia)»248• E Fabro incalza subito, prendendo di mira Nietzsche: «Vediamo meglio: lo sbocco più recente dell'atei­smo moderno rivive quella stessa crisi originaria. "Se Dio esiste, come posso tollerare di non essere io Dio?" si chiede Nietzsche e con ciò esprime una ribellione a Dio che sor­passa di molto tutte le rivoluzioni della storia umana~ dan­done inoltre un motivo che fa apparire tutte le altre in una luce miserabilmente piccola, crepuscolare. Questo motivo è di una specie così spirituale che si direbbe sia stato quello dello stesso angelo caduto». Il Nostro dedica delle pagine notevoli a prospettare l'analisi della genesi dell'ateismo speculativo,

246 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, pp. 274-275. 247 lvi, p. 274. 248 lvi, p. 276. (Corsivi nostri).

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la cui possibilità si radica precisamente nella divaricazione operativa fra intelletto e volontà, che poi «passa» nella preva­ricazione della scelta fuorviante. C'è un parallelo strutturale fra la caduta del demonio e l'assunzione speculativa dell' atei­smo, nell'uomo riflettente, ed un punto d'incontro: «più una natura è perfetta ed elevata nella spiritualità, e quindi nel conoscere, e più risolutiva è la decisione ch'essa prende sulla qualità finale della sua spiritualità: perciò ha valore de­finitivo pressoché immutabile»249•

Dopo ben undici pagine dedicate all'analisi esistenziale dell'ateismo dei filosofi, dalle caratteristiche «agghiaccian­ti», l'attenzione si sposta su quella che possiamo chiamare l'atmosfera ateistica del razionalismo. Le divisioni sono: 1. - L'ateismo come stoltezza emergente, dove Fabro esor­disce citando il Salmo 13 per poi soffermarsi sulla testi­monianza di Heine nel Romanzero. 2. - Il triangolo dello spirito: Libertà-immortalità-Dio (l'esigenza kantiana); qui, con grande perizia, il Nostro si propone di prescindere per un momento dallo sfondo agnostico eh' è il punto di par­tenza di Kant, allo scopo di far emergere soprattutto lo sfondo esistenziale della rivendicazione di quelle tre verità. Da qui in avanti il percorso si concentra attorno al filosofo di Konigsberg. 3. - La dinamica originaria della libertà in Kant. 4. - Le aporie della libertà kantiana. Fabro osserva che, anche se non e' è in tutta l'opera kantiana un' afferma.,. zione esplicita di ateismo, bisogna tuttavia parlare in lui di una «atmosfera atea ch'è data dall'inizio antropologico radicale dell'Io penso in generale nel campo della ragione speculativa e dell'esigenza del dovere puro ("tu devi") per

249 lvi, p. 281.

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la ragione pratica»250• La morale kantiana e I' «etica» kierke­gaardiana si trovano proprio agli antipodi nella fondazione stessa delle rispettive esigenze.

Il dramma però della libertà emerge con tutta la sua in­tensità in Dio e il mistero del male (pp. 315-346). Lo scritto traspare una spasimante sincerità nell'affrontare il problema, ponendo le esigenze senz'alcuna riserva.

La trattazione viene divisa in tre parti. La prima s'intitola «Il male e il problema di Dio», e in essa Fabro discute aperta­mente le soluzioni proposte dagli spiriti più alti che abbiano considerato speculativamente il problema. Il male, afferma il Nostro, costituisce un'obiezione ali' esistenza di Dio, la più seria, anzi lunica. Ma non bisogna fermarsi a illazioni trop­po affrettate: «È superfluo osservare che per gli atei la realtà del male è il pezzo forte, cioè largomento decisivo contro lesistenza di Dio, ma si tratta di un'illazione troppo facile e semplicistica la conseguenza: cioè di una concezione mecca­nicistica della realtà e perciò aprioristica. Lesistenza del male è un grosso problema, il più grave e intricato, non solo per il teismo ma anche per I' ateismo»251 •

La risposta di san _Tommaso, presa in sé, isolata dal dovu­to contesto· teologico, non s9lo «non appare soddisfacente, ma diventa perfino irritante. e repellente», e fa inoltre ram­mentare il primato della totalità di hegeliana memoria252• Sia lui che sant'Agostino non dovrebbero soffermarsi a risposte formali, ma stare a quelle reali, che devono essere anzitutto bibliche, e poi razionali. E la Bibbia riconduce al primo pec-

250 lvi, p. 304. 251 lvi, p. 316. 252 Il richiamo a Hegel è di Fabro. Cfr. C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p.

317.

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cato dei progenitori lorigine dei mali che assediano la vita dell'uomo: essi sono «la diretta conseguenza della ribellione originaria dell'uomo a Dio». E continua: «Non si compren­de perciò come Agostino e Tommaso, trattando dell'origine del male, abbiano lasciato in ombra questa considerazione; ch'è poi la considerazione più esistenziale e convincente, almeno nella sfera dei credenti»253• Questa soluzione «reale-esisten­ziale» smentisce le soluzioni formali della «filosofia pura», che finiscono per approdare all'universale totalizzante. La soluzione, pertanto, - se soluzione può dirsi - è di ordine esistenziale, ed è l'abbandono in Dio: «rabbandono.in Dio è allora lo stato esistenziale che più si addice ai "figli di Dio'' quali devono essere soprattutto i cristiani». Segue, come svi­luppo di questa proposta di soluzione esistenziale, un inte­ressante accenno ai testi kierkegaardiani.

La seconda parte, «Problema del male e l'esistenza di Dio», affronta il problema dei santi innocenti uccisi da Erode, e risponde alle obiezioni di Tonini sulla scia del Crisostomo, il quale però lascia anche lui in secondo piano la questione dell'origine del male già accennata, che fa capo all'esercizio stesso della libertà creata. La risposta fabriana - esistenziale - dell'abbandono, si allarga in. queste righe per inserirsi più esplicitamente nel mistero dell' oeconomia salutis, dunque an­che della riparazione espiatoria dei giusti, primo di tutti Ge­sù. resistenza del male allora non è una prova dell'esistenza di Dio, e tanto meno una prova della sua non-esistenza; essa semmai è, a modo suo, una prova dell'esistenza della libertà umana, e costituisce poi un richiamo a tirar fuori le migliori risorse per trasformare il male in bene doè le sollecitazioni

253 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 319. (Corsivi nostri).

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del peccato in un fiorire di frutti di santità. Pertanto, altro che accusa contro Dio, l'esistenza del male è una «condanna del Principe del male».

Lo studio si chiude con un terzo momento: «Lateismo, inevitabile?». Qui è Camus, con L'homme révolté, l'interlo­cutore: la sua lezione «è importante perché ci mostra senza mezzi termini il vicolo cieco della contraddizione e dell' as­surdo in cui si è cacciato l'uomo moderno»254• Ma c'è spazio pure per Sartre e anche per Voltaire - con cenni al. suo po­

. ema sul terremoto di Lisbona. La conclusione, del saggio e dell'intero volume sulla libertà, è piena di speranza ed è una testimonianza della soluzione esistenziale sopraindicata. È con un testo di san Paolo, che si chiude il volume: «come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saranno vivificati» (lCor 15,22).

L'uomo e il rischio di Dio

La Prefazione inizia con queste parole: «la ricerca di Dio è il segno più autentico della vita dello spirito perché ri­spetto a Dio ogni epoca della storia dell'umanità, le singole civiltà e le stesse coscienze singole si specchiano come nella misura del proprio rapporto all'Assoluto»255•

254 lvi, p. 341. 255 C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, p. 7. Il testo prosegue con una breve

ma precisa presentazione del «rapporto dialettico» dell'uomo e delle umane civiltà a Dio lungo l'arco intero della storia. Per un' approfondi­mento della fenomenologia e della fìlosofìa della religione in Fabro, cfr. le dispense del corso «La crisi della ragione nel pensiero moderno» (Uni­versità di Perugia, facoltà di magistero, 1966-1967), riapparse poi fram-

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Nell'Introduzione dell'opera, Fabro analizza il problema di Dio in relazione alla coscienza umana, con riferimento esplicito alla coscienza infantile e alla coscienza dell'uomo comune. In questo contesto, «coscienza>> va inteso non in senso tecnico definito (come atto, ovvero anche come prin­cipio dell'atto), bensì nel senso fenomenologico indicativo e diretto di «avvertenza», avvertenza dell'oggetto e avvertenza del soggetto stesso nell'atto medesimo di avvertire a sé pre­sente l'oggetto.

Il problema di Dio è caratterizzato innanzitutto da due aspetti: la sua universalità e la sua trascendenza. Luniversa­lità si riferisce soprattutto all'estensione totale del problema stesso, che si può porre ad ogni livello e tipo di coscienza; la trascendenza, all'inesauribilità stessa del problema, che nes­suna forma di coscienza può affrontare esaustivamente.

Sei parti, dense assai, compongono il volume. Nella prima, dedicata all'ateismo, vengono studiate la nozione, divisione e possibilità del medesimo, e la sua storia. Interessanti osservazio­ni sulla possibilità di una morale atea, con delle critiche molto incisive al trascendentalismo di Rahner256, e anche sulla possibi­lità di un dialogo fra il cristianesimo e l'ateismo marxista.

La seconda parte consider~ il problema dell'agnosticismo: le sue origini, le forme storiche, il significato teoretico. No­tevole il paragrafo quarto - «La scienza moderna e l'apertura al problema di Dio» - che mantiene tutt'ora la sua validità257

e che include importanti riferimenti a M. Planck e alle di­spute con i marxisti. La continuità del pensiero di Fabro si

mentariamente in diversi articoli. Cfr. però ora, C. FABRO, La crisi della ragione nel pensiero moderno, M. Nardone [ed.], Forum, Udine 2007.

256 Cfr. lvi, pp. 54-61. 257 Cfr. lvi, pp. 108-131.

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constata a partire dal suo riferimento all'articolo del 1938 sulla contingenza, che viene messa in stretto rapporto con le ultime - allora! - acquisizioni delle scienze sperimentali: in base a dette acquisizioni viene accennata anche la valenza intrinseca della finalità così come appare nella «quinta via» di san Tommaso, nella quale viene scartata ogni interpreta­zione estrinsecista, come se la finalità fosse qualcosa di so­vraggiunto dall'esterno ai fenomeni naturali, mentre invece è proprio costitutiva della natura.

La terza parte è dedicata direttamente alla conoscenza di Dio. Viene studiata la sua esistenza - possibilità della dimostra­zione, le vie di san Tommaso, con riferimento al textus princeps «che non è permesso sciupare con un arido riassunto»258 - e la maniera analogica di conoscerlo. Importanti sono i paragrafi dedicati al rapporto fede e ragione e ali' esperienza religiosa259•

Sono inclusi come appendici alcuni articoli già noti: «La dife­sa critica del principio di causa», «Sviluppo, significato e valo­re della "N via''»; «Il fondamento metafisico della "IV via''».

Accurate analisi sul grande problema dell'argomento «ontologico» compongono la quarta parte del volume. Do­po aver presentato l'argomento anselmiano, e la discussione che ne fa san Tommaso260, vengono studiate le variazioni razionalistiche che esso ha avuto in Cartesio, Malebranche e Leibniz~ la critica di Kant e la ripresa che ne fece Hegel261 •

258 Cfr. lvi, p. 143. 259 Sono i§§ 3-4 e 5. Cfr. C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, pp. 164-178.

Precisi e opportuni i rimandi bibliografici, che dimostrano una cono­scenza di prima mano degli autori.

260 Cfr. C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, pp. 275-287. 261 Cfr. C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, pp. 288-309. Fabro riporta i

riferimenti principali della trattazione hegeliana, sulla quale si sofferma con particolare interesse: la critica kantiana ha provocato, per contrasto,

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Un giudizio particolarmente penetrante - anche se non è l'unico al riguardo - si legge nella conclusione di questa par­te, in seguito alla presentazione delle critiche dell'argomento in Barth e diversi autori inglesi, quando Fabro indica che ciò che Gaunilone critica, come poi anche san Tommaso, non è propriamente la prova di sant'Anselmo, bensì una sua ver­sione262. Nonostante ciò, Fabro afferma decisamente in se­guito che. «il richiamo ali' esperienza ovvero alla presenza del mondo», così come si trova nella concezione tomistica, per la conoscenza delle cose e per la fondazione stessa del giu­dizio di esistenza, invita ad una «considerazione più cauta e pertinente» delle prove dell'esistenza di Dio, le quali dunque non possono fare a meno del dato di esperienza.

La critica kantiana alle prove dell'esistenza di Dio occupa tutta la quinta parte del volume. Il significato della critica ali' argomento ontologica' è affrontato nel paragrafo terzo, con ampia presentazione dell'argomento in Mosè Mendelsohn. Bisogna aspettare il quinto paragrafo per vedere il confronto con san Tommaso: «Lesistenza di Dio nella tensione di ens­essentia-esse», pagine queste che vanno ritenute, dal punto di vista speculativo, fra le migliori di Fabro263. La conclusione di questa parte riserva un paragrafo all'aspetto della persona e della libertà riguardo ali' affermazione dell'esistenza di Dio. Qui Fabro fa notare che la proposizione «Dio è» è in real­tà l'unica proposizione assolutamente e veramente analitica nella sfera formale «ossia vista all'interno della natura di Dio ch'è lo Esse puro: qui è il fascino e il trabocchetto dell'argo-

secondo Fabro, «lapoteosi» che largomento ha ottenuto nell'opera di Hegel. Cfr. lvi, p. 303 e nota 59.

262 Cfr. C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, p. 324. (Primi corsivi nostri). 263 lvi, pp. 363-372.

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mento ontologico»264 • Essa tuttavia è, dal punto di vista del dinamismo della·coscienza stessa, l'affermazione «più sinte­tica che si possa mai pensare», che richiede dunque lattuarsi del salto della libertà nel senso della posizione stessa esplicita del problema di Dio. Pertanto, la reazione di Kant «ali' argo­mento ontologico, contro l'astrattezza pura del rapporto a Dio eh' esso esprime, ha la sua ragione in questa istanza che alla dimostrazione dell'esistenza del Sommo Bene non può esse­re estranea ma è decisiva quella libertà che costituisce l'origina­lità dell'essere dell'uomo come soggetto di moralità e quindi il fattore principale della personalità». Anzi: «la dimostrazione dell'esistenza di Dio appartiene alla costituzione della persona e si radica nell'intimo della sua libertà»265•

Le posizioni di Barth, Bultmann, Tillich e Bonhoeffer vengono studiate e fortemente criticate nell'ultima parte, «Teologia dialettica e problema di Dio», arricchita con sei appendici266•

La conclusione, in collegamento con la prefazione, consi­dera lesistenza di Dio e l'in.tero arco della vita .dello spirito. Quindi, l'etica e il diritto, la politica e la storia, la provvi­denza divina e il problema - nonché mistero - del male ven­gono trattati quasi come in contrappunto con la trattazione hegeliana, e con accenni alla problematica esistenziale kier­kegaardiana. La risposta al problema del male può iniziare,

264 Ivi, p. 373. 265 Ivi, p. 376. 266 Ecco la lista dei titoli: 1. Kierkegaard e la Teologia dialettica. - 2. I.:in­

significanza della semantica metafisico-teologica. - 3. Bonhoeffer e· la diagnosi dell'ateismo moderno. - 4. Demitizzazione, ateismo e teismo esistenziale. - 5. Dalla Teologia dialettica alla «Teologia radicale» CTohn A. T. Robinson). - 6. Sul significato e i fondamenti della fine dell'«era religiosa».

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sì, con la ragione, ma non trova soddisfacimento se non nel «passaggio al limite» della religione «la quale trascende l'As­soluto statico della ragione e si volge a Dio come al Padre degli uomini»267•

Introduzione all'ateismo moderno

Ciò che valeva per la presentazione delle altre opere vale più ancora per questa, sicché si commetterebbe una grave ingiustizia, a volere riassumere in due battute il contenuto di quest'opera monumentale. Sia per l'estrema seriètà del­la problematica, sia per la difficoltà stessa speculativa, così come anche per l'estensione e l'imponente documentazione testuale, oltre che la chiarezza e precisione nelle conclusioni, essa è da ritenersi un vero capolavoro e forse lopus maior fa­briano, almeno per certi aspetti - poiché il tema, per quanto importante, è di per sé più ristretto.

La prefazione spiega chiaramente la situazione da cui prende le mosse il volume e il suo scopo: «Nello sviluppo del pensiero moderno, l'avventura della libertà ha percorso ormai l'intero arco delle sue contrastanti possibilità: non a caso per­ciò I' oblìo dell'essere, proclamato dal cogito, ha portato, per cadenza inarrestabile, alla perdita dell'Assoluto e ora l'uomo erra ramingo nel mondo che ne definisce i limiti e il suo pericolo mortale. [ ... ] Ed il pensiero contemporaneo all9ra, che ha fatto del nulla il fondamento dell'essere, ha saldato il cerchio della coscienza in se stessa. Così per l'emergere di questo nulla attivo al centro della coscienza, non solo la filo-

267 C. FABRO, L'uomo e il rischio di Dio, p. 488.

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sofia si è fatta deserta del Dio vivo, ma anche la letteratura, larte, la politica e l'intero complesso delle scienze dello spi­rito hanno bandito dalla loro prospettiva l'Iddio vero che ha sostenuto nei secoli i fondatori della civiltà e i difensori della libertà, come il Padre degli uomini e l'unico desiato rifugio nel dubbio e nel dolore. Scopo di queste scarne note è di chiarire anzitutto l'itinerario essenziale del nulla scavato dal cogito che ha portato l'uomo alla disperazione radicale, sca­turita dall'esito immanente al principio - in pieno contrasto col suo proposito di libertà rinnovato ad ogni tappa - che l'uomo non può salvare l'uomo, per autenticare una non più elusiva invocazione di salvezza. Non quindi una storia del pensiero - troppe sono le lacune e troppo intensificata è la prospettiva - ma piuttosto un'analisi in diagonale dell'istan­za ultima della libertà dalle viscere dell'aspirazione suprema a svincolarsi dalla tirannia del finito a cui l'ha condanna­ta la coerenza del principio. Perciò si è preferito insistere, con una meditazione diretta dei testi ed una fedeltà continua all'idea, sul medesimo nucleo teoretico ch'è ricomposto e ripreso di volta in volta nell'articolarsi mutiforme della sua avventu­ra speculativa»268 •

Subito, ancora nella prefazione, Fabro osserva che il pen­siero moderno ha un itinerario appassionante, sì da non aver pari nella storia del pensiero, e dichiara di voler coglierlo e interpretarlo «nel suo momento nascente» - un approccio metodologico tipicamente fabriano. Pertanto tratterà non solo il problema di Dio, bensì anche quello dell'uomo, ma neppure questo solo, o quello del mondo, o quello del co-

268 C. FABRO, Introduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma 19642, pp. 7-8. (Corsivi italiani nostri).

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noscere, o quello dell'essere ... «ma il momento dell'incande­scenza della loro crisi». E spiega: «è il momento cioè dell'at­tesa ossia il giudizio che il pensiero ha fatto di se stesso per autenticare una realtà di presenza che più non deluda». Ri­torna dunque un richiamo che avevamo già letto in Dall'es­sere all'esistente.

Per avere una panoramica elenchiamo i titoli dei capitoli:

Introduzione: Intorno alla determinazione del concetto di ateismo (pp. 11-108). I. Le polemiche sull'ateismo del razionalismo (pp. 109-232). II. Deismo e ateismo nell'empirismo inglese (pp. 233-388). III. Ateismo illuministico (pp. 389-520). IV. La risoluzione atea dell'idealismo (pp. 521-664). V. L'ateismo esplicito costruttivo post-hegeliano (pp. 665-776). VI. L'ateismo religi.oso dell'empirismo anglo-americano (pp. 777-900). VII. La libertà come negazione attiva di Dio nell'esistenzialismo (pp. 901-1000). VIII. Carattere fondamentale dell'ateismo moderno (pp. 1001-1088). Conclusione (pp. 1089-1100)269.

269 La conclusione inizia con il titolo: J. Immanenza e ateismo. Due termini e un destino. Poi però non appare il 2, che il lettore si aspetterebbe. Se­guono duecento pagine di indici. Se la vastità delle pagine e la chiarezza dei titoli non fossero ~ufficienti per farsi un'idea della portata dell'opera, ecco un' elenco di alcuni degli autori studiati, oltre alle «classiche» e più celebri figure della fìlosofìa moderna: Rensi (per il passaggio dallo scet­ticismo all'ateismo), Bouterwerk (ateismo negativo), Bayle, Pufendorf, Spedalieri, H. de Cherbury, Hobbes, Shaftesbury, J. Toland, Collins, Lavater, La Mettrie (ateismo edonistico), Diderot (passaggio dal deismo all'ateismo), Barone D'Holbach (ateismo naturalistico), Abbé Meslier (ateismo radicale), Lessing e Jacobi (studiati per la Spinozasstreit), von Baader, Forberg, Bauer, Lenin, Bradley, Royce, Morgan e Alexander (l'emergenza), Whitehead, Dewey, McTaggart (ateismo personalistico). Aggiungiamo inoltre che, tra altre caratteristiche dell'opera, merita un particolare rilievo laspetto della serietà critica e documentaria: Fabro

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La tesi di fondo del volume si potrebbe formulare nel seguente modo: il principio d'immanenza, nell'espressione iniziale e radicale da esso avuta nel cogito cartesiano, porta necessariamente e invariabilmente ali' ateismo.

Fabro riconduce abilmente a Cartesio la spaccatura del pensiero moderno in spiritualismo assoluto e materialismo sensistico. Egli sa, ovviamente, e lo fa notare, che il materia­lismo si era già fatto presente nella fìlosofìa inglese, come tra l'altro lo testimonia lenorme opera di Hobbes. Tanto è vero che l'opera dell'inglese ben può dirsi, per certi tratti «ancor più risoluta di quella di Cartesio nel proclamare la nuova via del pensiero»270• Lateismo di Hobbes era deciso e si trovava nell'ordine delle cose e nell'evidenza stessa dei principi; nello sviluppo però dell'ala materialistica dell'ateismo moderno, quel che è decisivo non sarà il sensismo inglese quanto inve­ce il meccanicismo cartesiano. È a questo materialismo che attingeranno i loro principi gli illuministi francesi: «non a caso allora, possiamo .osservare, le due scaturigini principali dell'ateismo moderno quali l'idealismo e il materialismo si trovano congiunte nella medesima fonte eh' è la dissociazio­ne radicale in Cartesio di natura e spirito, di conoscere ed essere, di anima e corpo»271 • Il testo prosegue, con risolu­tiva profondità: «Così sul fìlo di tale isolamento imposto

non scrive «per sentito dire», ma ha studiato profondamente gli autori e conosce anche la bibliografia più importante riguardo ad ognuno.

270 C. FABRO, Introduzione all'ateismo, p. 341. 271 C. FABRO, Introduzione all'ateismo, pp~ 341-342. E un po' dopo, con

non minore forza, afferma: «Si può allora sostenere con ragione che pro­prio il dualismo metafisico di Cartesio fra res cogitans e res extensa fu il primo passo decisivo verso il naturalismo come materialismo ateo e verso l'idealismo come antropologismo ateo». lvi, 3p. 43. (Nel testo si legge rex extensa, anziché res extensa).

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dal "metodo" ognuno dei due principi, privo dello sfondo e della fondazione reale e intenzionale del suo opposto, corre­va inesorabilmente verso la negazione del fondamento della verità dell'essere e della trascendenza: come alla negazione del trascendimento dell'essere rispetto alla coscienza doveva seguire alla fine la "chiusurà' dell'essere da parte della co­scienza e quindi a risolvere l'immanenza del cogito nella fi­nitezza (Kant) o infinitezza (Hegel) dell'essere del mondo per sfociare nella negazione esplicita di Dio delle filosofie posthegeliane, così nella concezione rigorosamente mecca­nicistica che Cartesio ha proposto della natura è seguita, a distanza appena di un secolo, l'espulsione radicale di Dio dal mondo che ha nel meccanismo delle sue leggi necessarie e delle sue forze insite i principi validi e sufficienti per evol­versi e governarsi da sé»272•

Da profondo interprete, e per evitare qualsiasi tipo di equivoco, Fabro chiarisce: «Non giunse il filosofo (Cartesio) all'ateismo, perché ciò sarebbe stato per l'uomo Cartesio il culmine della follia»273• Anche se la frase è ispirata al Varta­nian, che nel contesto Fabro segue da vicino, essa tuttavia esprime dal vivo, poiché lo mostra operante, il principio er­meneutico con il quale va accostata l'opera. Un conto è infatti l'ateismo virtuale e inevitabile del principio d'immanenza, qualitativamente caratteristico del pensiero filosofico mo­derno, e un altro conto ben diverso è il teismo dell'uomo filosofante, che non ha niente a che fare con la coerenza stessa del principio. Mostrare questa coerenza, seguire il suo sviluppo fino in fondo, è lo scopo fondamentale dell'opera.

272 C. FABRO, Introduzione all'ateismo, p. 342. 273 Ivi, p. 344.

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Tra naturale e soprannaturale: cenni a opere varie

Non vorremmo chiudere questa sezione senza fare una brevissima menzione su alcune opere fabriane di carattere piuttosto teologico o «filosofico-esistenziale-religioso», la cui omissione potrebbe compromettere la completa visione d'insieme.

La preghiera nel pensiero moderno. Mentre preparava la monumentale opera sull'ateismo, Fabro prendeva note e ap­punti sull'aspetto religioso dei pensatori moderni. Da que­ste note sorse il materiale presentato nel volume, che Fabro chiamava spesso «1' opera di tutta una vita»274• · L argomento non era mai stato trattato prima, e Fabro se ne accorge: «Pur limitandoci a indicare i caratteri elementari di quest'istan­za, completamente trascurata dalla storiografia filosofica, abbiamo fiducia eh' essa giovi sia a collocare l'atto religioso al suo debito posto nella vita dello spirito, sia anche a spez­zare certi comodi canoni storiografici nello studio del pen:. siero moderno»275• Per questa giusta collocazione, risultano quanto mai attuali le parole con cui inizia l' epilogus brevis: «La preghiera, nell'area culturale eh' è la civiltà dell'Europa cristiana, è l'atteggiamento più profondo e misterioso: è un rivolgersi di persona a Persona, non solo della persona smarrita o bisognosa che si volge alla luce e alla potenza del

274 Cfr. R. GoGLIA, Cornelio Fabro, pp. 199-200. 275 C. FABRO, La preghiera nel pensiero moderno, Edizioni di Storia e Lette­

ratura, Roma 19832, p. 2. Fabro ritiene inoltre che le pagine del volume siano da integrarsi con l'Introduzione all'ateismo moderno, cosa che taglia corto contro l'accusa di mancata sensibilità nei confronti del pensiero moderno o di unilateralità e di mancanza di equilibrio nella critica del medesimo. Cfr. lvi, n. 2.

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Cornelio Fabro

creatore ma del peccatore colpevole che cerca anzitutto il perdono e l'amore del suo redentore»276•

Il problema religioso è inscindibile per Fabro da quello filosofico, poiché tutti e due esprimono la tensione per la ri­cerca, esistenziale o speculativa che sia, dell'Assoluto. Il filo­sofo però «non può accontentarsi di incontrare il problema religioso come qualsiasi altro uomo, per effettualità storica o di semplice educazione, per aspiraziOne soggettiva, per rive­lazione interiore; egli ha da prospettarlo nella linea del suo oggetto in forma di complemento, eh' è esigenza e appello ad una posizione più conclusiva per la totalità dell'essere e del conoscere»277• Ora, la preghiera è l'atteggiamento' esistenzia­le fondamentale che scaturisce dall'esperienza esistenziale del limite e della finitezza, per cui si trova condizionata dal nulla, che è il non-essere dell'essere dell'ente. Leffettivo fon­damento però per la fondazione metafisica della preghiera è la libertà stessa, sia da parte di Dio che da parte dell'uomo: e la dialettica stessa della libertà, da parte di quest'ultimo, è l'approfondimento dell'immanenza nella trascendenza, per cui la salvezza stessa della libertà è nell'elevazione all'Assolu­to e il momento privilegiato di questa elevazione è appunto la preghiera.

La ultime righe del volume costituiscono uno stimolo alla sua lettura: «filosofia nella preghiera e preghiera nella filosofia in un movimento alterno, orizzontale e verticale, nell'oscillazione della libertà sopra i flutti della storia e i con­flitti dell' anima»278 •

276 C. FABRO, La preghiera nel pensiero moderno, p. 443. 277 lvi, p. 4. 278 lvi, p. 448.

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Le opere

L'avventura della teologi.a progressista. Il volume inizia con la citazione della celebre dichiarazione di fede del Newman, e ciò è già una presa di posizione fìn dall'inizio. Non si può infatti andare avanti in teologia se si taglia con la tradizio­ne vivente della Chiesa e chi «pretende avanzare tagliando i ponti con il passato non avanza ma precipita nel vuoto» cosicché «la teologia contemporanea sembra in crisi proprio su questo punto»279• In quanto tentativo di piegare il dogma in funzione del trascendentale moderno, alcuni teologi ope­rano, secondo Fabro, una mediazione gnostica soppiantan­do la trascendenza di Dio e lordine soprannaturale stesso. Il volume pone degli interrogativi molto incisivi ai teologi progressisti, argomenta con molta forza a partire dalla tradi­zione e dall'autorità magisteriale e mostra quali siano i pre­supposti che hanno portato alla dissoluzione del dogma e della morale: la svolta antropologica e la crisi della morale sono, appunto, le due parti dell'opera. Meritano particolare considerazione le riflessioni su temi puntuali e molto attua­li, come la crisi del celibato e del sacerdozio. Un epilogus brevis chiude il volume indicando che la crisi è innanzitutto di natura metafisica e consiste nell'oscuramento, se non nel rifiuto esplicito, dell'Assoluto nell'orizzonte della coscienza dell'uomo contemporaneo.

La svolta antropologica di Karl Rahner. Uscita contem­poraneamente a quella che abbiamo appena presentato, quest'opera costituisce una decisa confutazione dell' erme­neutica che Rahner propone dei testi di san Tommaso, con il tentativo di piegare la dottrina dell'Angelico al trascen-

279 C. FABRO, L'avventura della teologi-a progressista, Rusconi, Milano 1974, p. 15.

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Cornelio Fabro

dentale kantiano e alla mondanità heideggeriana. Le conse­guenze dell'operazione rahneriana erano la negazione della metafisica e poi della medesima teologia speculativa come applicazione della ragione al contenuto della fede. Fabro stesso dichiarava che opporre queste critiche e osservazioni a Rahner «non è opera di pensiero conservatore, ma la più semplice esigenza dell'onestà del metodo scientifico: se si dovesse accettare lo storicismo eclettico, deformante e con­cordista radicale di Rahner, la storia stessa delle lotte della fede, delle persecuzioni e delle eresie, dall'epoca dei martiri fino al modernismo, non avrebbe senso»280•

Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale: Lo scritto ha valore di tesi. Non si tratta di una mera traccia biografi­ca, bensì di uno studio «in filigrana» della complessa e ricca «personalità· spirituale» di santa Gemma, la cui «normalità supernormale» offre all'analisi certi aspetti che . non sem­brano trovar riscontro in tutta la vasta letteratura mistica cattolica.

All'insorgere dissolvente dell'eresia modernista e delle di­verse tendenze razionalistiche e naturalistiche, si oppone la figura egregia di santa Gemma, nella ·quale Fabro vede un «testimoniante» e un «testimoniato»: «C'è in quel "sopran­naturale" l'attestazione di una realtà trascendente, di una fondazione metafisica che certa cultura relativistica e certa teologia stavano obliando o addirittura combattendo. C'è in quel "testimone" l'aspetto esistenziale, personale, fondativo, relazionale di una creatura con il Dio entrato nel tempo»281 •

Ora, la «costituzione ontologico-esistenziale» del testimone

280 C. FABRO, La svolta a~tropologica di Karl Rahner, p. 185. 281 R. GoGLIA, Cornelio Fabro, p. 218.

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Le o ere

fa capo alla partecipazione mistica, per cui esso diventa, nel tempo, un riflesso storico, effettivo, vivente e tangibile, dei misteri della salvezza~ Santa Gemma, allora, è tutta coinvol­ta in un'atmosfera di elevazione e di mistero, per cui «sente ma non capisce», sa e vede ma non può spiegare ... partecipa effettivamente ai dolori della passione e, ancora in un senso misterioso, alla solidarietà di comunanza con tutti i peccati degli uomini, i quali come posizione effettiva e concreta si attuano nel tempo e «ancora» feriscono Gesù.

Il recupero della figura di santa Gemma da parte di Fabro non ha però significato soltanto storico, in quanto rivolto al passato ma, includendo questo, ha innanzitutto il signifi­cato del prolungamento della testimonianza per l'uomo del nostro tempo che ha perso di vista nell'orizzonte della co­sdenza la presenza dell'Assoluto e il suo richiamo all'adesio­ne della libertà per la consumazione nell'amore del mistero della salvezza.

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Il pensiero

Da ciò che finora è stato detto, siamo certamente in gra­do di formarci un'idea sia sulla consistenza quantitativa sia sull'eccellenza qualitativa della produzione di Fabro.

Il Nostro si è preoccupato inoltre di lasciarci una presen­tazione sintetica delle linee fondamentali del suo pensiero. Si tratta degli Appunti di un itinerario, che seguiremo da vicino aggiungendo qualche considerazione integrativa1•

1 Gli Appunti si chiudono con un ringraziamento, inserito alla fine del volume: «Ringraziamento: l'intesa e l'attesa». Cfr. C. FABRO, Appunti di un itinerario, pp. 537-545. Agli Appunti, in quanto presentazione sin­tetica del pensiero, si deve aggiungere il Prologo fenomenologico, che per diversi motivi non si è potuto inserire in quell'edizione, ed è apparso nella traduzione spagnola. Cfr. C. FABRO, Prologo Fenomeno!Ogico, in «Gladius», 23, (1992), pp. 107-122. ~originale italiano del «Prologo fenomenologico» si può consultare adesso nella nuova edizione degli Ap­punti, appena uscita, a cura di Rosa Goglia ed Elvio Fontana, che riporta la versione integrale delle tre stesure, più parti inedite, oltre al «Pro­logo». Un tentativo precedente di «ricostruzione», anche se più ristretto all'ambito speculativo e specialmente tomistico, può essere considerato l'insieme delle 35 nuove tesi tomistiche. (Cfr. C. FABRO, Introduzione a San Tommaso, Ares, Milano 1983, pp. 204-224 - sotto il titolo «Nuove

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Cornelio Fabro

Le direzioni fondamentali del pensiero fabriano

Nel Prologo degli Appunti Fabro scrive: «Tre mi sembrano le direzioni fondamentali di una ricerca, certamente modesta e forse destinata ad essere presto dimenticata, alla quale ho cercato di rimanere fedele nell'arco di quasi mezzo secolo: 1° L'approfondimento della nozione metafisica di partecipazio­ne; 2° La determinazione dell'essenza metafisica del principio moderno d'immanenza come ''ateismo radicale':· e 3° Il recupe­ro del realismo classico-cristiano nell'esistenzialismo metafisico di Kierkegaard contro l'antropologismo ateo dell'immanenza moderna»2•

Come si può vedere, si tratta di argomenti ricorrenti, che appaiono riallacciandosi e richiamandosi a vicenda pratica­mente fin dagli inizi dell'intensa vita di ricerca del nostro pensatore essenziale.

L'approfondimento della nozione metafisica di partecipazione

Secondo Fabro, la nozione metafisica di partecipazione esprime perfettamente l'essenza del tomismo come sintesi definitiva del pensiero cristiano~ mettendolo inoltre in con­dizioni di soddisfare ampiamente l'esigenza metafisica della fondazione del rapporto fra il finito e l'infinito. Le due gran­di opere sull'argomento vengono ricordate negli «Appunti» con uno sguardo retrospettivo.

tesi tomistiche proposte dall'Autore». Nell'edizione postuma, curata da Antonio Livi [Ares, Milano 1997], sono stati inseriti-altri due blocchi di tesi riguardanti la filosofia della natura e le scienze, e l'ordine morale).

2 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 17.

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Il pensiero

Come sappiamo, il Nostro distingue con molta cura e pre­cisione due partecipazioni: partecipazione predicamentale3 e partecipazione trascendentale. Un testo molto preciso, della seconda opera sull'argomento, riassume le conclusioni prin­cipali sulla partecipazione: « 1. C'è anzitutto nell'ente una partecipazione come "composizione trascendentale", eh' è propria del tomismo, di essenza ed esse ("actus essendi"); per essa si dà la "differenzà' ontologica radicale dell'esse dall'ente e quella metafisica della creatura dal creatore. [ ... ] Nella par­tecipazione trascendentale come composizione, la totalità che fonda la "Diremtion" della partecipazione è la pienezza di perfezione dell'esse come atto intensivo rispetto al quale qualsiasi essere finito e qualsiasi perfezione - generica, spe­cifica e individuale - si presenta come parte~ipazione [ ... ]. 2. La partecipazione come "composizione predicamentale" ha per fondamento le perfezioni generiche e specifiche con­siderate nel loro àmbito come "totalità intensive" di essere: i generi rispetto alla specie e la specie rispetto agli individui. Benché tanto il genere come la spede esprimano nell'ordine logico-formale una formalità indivisibile e identica, tuttavia nell'ordine reale, le specie di un genere sono fra loro l'una più perfetta dell'altra e anche gli individui sono fra loro più o meno perfetti nella medesima specie» 4•

Due partecipazioni dunque, sempre in riferimento all' es­se. Secondo questo testo la partecipazione implica sempre una divisione della perfezione partecipata, per cui questa perfezione svolge il ruolo di una certa totalità che verrà divi-

3 «Semantema [ ... ] del tutto nuovo nella storiografia filosofica». C. FABRO,

Appunti di un itinerario, p. 24. 4 C. FABRO, Partecipazione e causalità, pp. 639-640.

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Cornelio Fabro

sa. Si evince, dunque, la necessità della riflessione intensiva affinché la mente arrivi ad afferrare la totalità in questione.

Certamente, non era il modo abituale di prospettare la metafisica, e di ciò Fabro si mostra pienamente consapevole. Sono quanto mai esplicite al riguardo le dichiarazioni degli Appunti: «La nuova prospettiva rompeva il binario della tra­dizione formalistica [ ... ] e prospettava un capovolgimento di rotta nel compito arduo e sempre contrastato di realiz­zare in Occidente [ ... ] un'autentica riflessione speculativa, la quale potesse fare un incontro con il nuovo clima del mondo moderno»5• E proseguiva: «Lobiettivo dell'introdu­zione e accentuazione della nozione di partecipazione era duplice, negativo e positivo: quello di distaccare l'Angelico dalla tradizione razionalistica[ ... ] e dagli indirizzi con preoc­cupazioni storiche, sociologiche, apologetiche [ ... ], e quello di trovare il plesso radicale e originale delle sue riflessioni e novità radicale». Più particolarmente ancora, con speciale riferimento alla partecipazione predicamentale, Fabro affer­ma: «Lanalisi nella seconda parte della concezione tomistica della partecipazione predicamentale apre per la prima volta una breccia nel cosiddetto aristotelismo tradizionale in quanto all'interno dei rapporti formali univoci di genere-specie e di specie-individui introduce un rapporto di pattecipazioné reale che prepara perciò la riflessione metafisica intensiva»6•

I punti più salienti della prima opera, a detta dello stesso Fabro, corrispondono alle tre parti del volume, quella cioè sulle Fonti; quella sulla nozione stessa di partecipazione, predicamentale e trascendentale - la cui espressione ultima

5 C. FABRO, Appunti di un itinerario, pp. 19-20. 6 Ivi, p. 25. (Corsivi nostri).

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Ilpemiero

speculativa è la composizione di essentia ed esse come di po­tenza e atto - e la imponente «verifica» testuale «di una sif­fatta virata di 180 gradi>?.

È caratteristica della seconda opera invece «la sua risoluta proiezione dal classico e dal moderno verso il futuro» 8•

Dopo essersi soffermato sui due volumi, Fabro presenta ancora delle considerazioni particolari sul primato dell' ens e il problema del cominciamento (Anfang). Il problema del cominciamento, per quanto sentito nel pensiero moderno, non ha tuttavia trovato in esso una giusta risposta; non cer­tamente in Hegel, che l'ha proposto, e tanto meno ancora in Heidegger. La risposta si trova in san Tommaso, e Fabro ci tiene a ripeterlo: «Sembra che solo l' ens tomistico soddisfi ed insieme trascenda l'esigenza speculativa del cominciamen­to immediato, enunciato e con buon diritto, sotto I' aspetto speculativo, dal pensiero moderno: è il punto sul quale ritor­no continuamente e che non posso tralasciare anche questa volta [ ... ]. Difatti il Sein hegeliano, del tutto indeterminato, astratto e vuoto[ ... ] non è il punto di partenza da mantenere ma da superare e lasciare [ ... ]. Il Sein des Seienden (''esse en­tis") di Heidegger perciò sembra più pertinente, ma in realtà sottrae l'esse dell'ente all'ente stesso»9•

Se Heidegger sottrae l'esse all'ente stesso, non fa invece così san Tommaso, il quale comincia non con il Sein, che è una pura astrazione, ma con l' ens. Lens con il quale comincia san Tommaso è ens precisamente per via dell'esse ch'esso in-

7 lvi, p. 26. 8 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 27. Nella presentazione di Parte­

cipazione e causalità Fabro ripropone il Prologo di Prof. De Raeyinaeker, traducendo i brani principali.

9 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 35. (Corsivi italiani nostri).

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elude come il suo fondamento, e per questo motivo ens dice innanzitutto la posizione primaria di realtà. All'ente va per­tanto riconosciuta una «doppia concretezza, anzi triplice»: ad esso. va riconosciuta la concretezza dell'atto primo, poiché ens dice prima di tutto essere in atto e lesse è il primo atto, e la concretezza fondante in quanto ogni altro atto si dice in atto in virtù dell'atto espresso dall' ens; da dove consegue inoltre che esso ha anche una concretezza di priorità realiz­za.nte, in quanto latto dell' ens è l'atto che dice la posizione stessa della realtà10•

Lens-esse allora «Sottende» il significato e l'esercizio stesso di ogni altra attualità e realtà, per cui la riflessione metafisica, così prospettata, «ha esigenze e ritmo capovolti rispetto alla riflessione formale» 11 • Riesce difficile però afferrare il senso di questa esigenza e di questo ritmo capovolti se non tenia­mo presente quale sia il significato speculativo che Fabro as­segna alla scoperta tommasiana dell'esse come atto intensivo, poiché, se I' ens costituisce il cominciamento per l'intelletto, l'esse costituisce il cominciamento stesso per l' ens, in quanto nucleo genetico, appunto, dell' ens. Per Fabro, infatti, come I' ens è il plesso supremo del concreto, l'esse è il plesso supre­mo dell'atto12•

Secondo il Nostro, la determinazione dell'esse come atto intensivo costituisce la originalità più ragguardevole della speculazione tomistica. San Tommaso, spiega Fabro, ha avu­to il chiaro proposito «di dare ali' esse il significato di "atto" emergente per eccellenza» prospettando «il "passaggio" dall' es-

10 Cfr. lvi, p. 38. 11 lvi, p. 39. 12 Cfr. C. FABRO, Il posto di Giovanni di S. Tommaso nella Scuola Tomistica,

in «Angelicum», LXVI (1989), 1, p. 84.

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se funzionale (esse in actu) delle metafisiche contenutistiche della "forma'', all'esse attuale (esse ut actus) ch'è l'esse sempre atto e soltanto atto»13• Per san Tommaso, infatti, come anche per Fabro, «esse>>, nel senso tecnico ·e risolutivo del termine, non è il semplice sinonimo di «ens», come invece accade nel linguaggio volgare (per esempio, quando parliamo degli «esse­ri»), e non significa neanche «esistere», vale a dire, il mero fat­to di «essere reale», di «essere una realtà», di «trovarsi essendo». Questo «esistere» è il semplice trovarsi in atto della cosa e, se si vuole, l'essere in atto, che è sostenuto, stando alla struttura ontologica, da due atti: l'atto intrinseco che è l'essenza - e riduttivamente la forma - e l'atto estrinseco che è l'esercizio della causalità efficiente, proprio, in questo contesto, di Dio come creatore. In questo senso; l'essere in atto della cosa è allora una «risultante», che rimanda a due atti più profondi e originari, cioè la forma e la causa. Tutto questo è pacifico, ma Fabro ritiene, e giustamente, che san Tommaso vada oltre, capovolgendo il significato stesso dell'esse, che non sarà più l'esse in actu, bensì l'esse ut actus. Un capovolgimento, questo, che comporta anche un capovolgimento nella determinazione nozionale di Dio, che è da dirsi lpsum esse subsistens, e nella trama metafisica costitutiva della creatura come ens per parti­cipationem, in quanto composta di essentif1- et esse.

·In realtà però non si può dire che san Tommaso inco­minci direttamente con l'esse come atto intensivo. Fabro si mostra molto preciso al riguardo, e rintraccia tre momenti, con due passaggi, nella speculazione tommasiana sull'esse: «[I] C'è una "nozione iniziale" di esse (come di ens), ch'è l'atto· dell'ente nel senso più indeterminato, quello che S.

13 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 103.

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Tommaso qualche volta indica come "esse commune": l'esse può indicare qualsiasi realtà e attualità, l'essenza (albedo) e I' actus essendi, lappartenenza ali' ordine reale come ali' ordine logico. È detta nozione iniziale perché è dalla sua avvertenza, dalla riflessione su di essa, che s'inizia la ricerca metafisica e che in questo suo primo momento semantico è uguale eco­mune a tutte le filosofie perché esprime l'istanza stessa del­la filosofia eh' è la determinazione della verità dell'essere in quanto essere°[...]. [2] Seconda nell'ordine segue la "nozione

di . "dli' " "dli' meto o og1ca e esse come atto e ente ovvero come principio realizzante di una formalità o perfezione reale: in questa nozione si determina il rapporto dell'essenza all'esse in vista dell'ultima determinazione del reale sia del finito in se stesso, sia del finito rispetto all'Infinito. È questo il momento cruciale in cui si differenziano le varie filosofie e metafisiche: in questa nozione metodologica l'esse esprime l'attuazione o realizzazione dell'essenza in qualche ordine. Ogni tipo di metafisica si struttura nel suo proprio indi­rizzo secondo. la "qualità ontologicà' che nella realtà è fatta corrispondere ali' esse come atto: la nascita e divergenza delle varie metafisiche si pone quindi nel passaggio dalla nozio­ne iniziale ovvero ontica e descrittiva di esse a quella me­todologica ovvero ontologica e costitutiva. [3] Come terza ed ultima viene la "nozione intensivà' di esse, secondo che si assume con S. Tommaso [ ... ] che l'esse come tale espri­me la perfezione assoluta e il plesso emergente di tutte le perfezioni le quali così si rivelano le participazioni dell'esse stesso. Questa nozione è il punto di arrivo e la conclusione di tutta la speculazione tomistica la quale determina la "na­tura metafisicà' (l'essenza!) di Dio come esse puro (esse per ess~ntiam, esse imparticipatum) e la creatura come ens (esse

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per participationem)»14• La grande «difficoltà» consiste non tanto nel primo passaggio, dalla nozione iniziale a quella tecnica metodologica, come nel secondo, cioè nel passaggio dall'esse come attuazione dell'essenza in senso largo all'esse come atto intensivo e plesso di tutte le perfezioni. E pro­prio qui si trova, secondo Fabro, la svolta copernicana di san Tommaso, che costituisce la sua più notevole originalità e conquista speculativa.

In questa svolta hanno giocato un ruolo importante lo Pseudo Dionigi e il De Causis, che l'Angelico ha saputo rie­laborare in maniera tutta sua, dando all'esse la rilevanza se­mantica e metafisica suprema.

Riguardo allo Pseudo Dionigi, Fabro osserva che nel commento al cap. V del De divinis nominibus san Tomma­so mette di rilievo «l'emergenza metafisica dell'esse dall'in­terno del concetto di atto in due momenti, uno intensivo formale e l'altro intensivo attuale»15• Vediamo il testo di

14 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 107-108. (Parentesi quadre nostre). Ecco uno dei principali testi tommasiani che Fabro riporta per esemplificare questo duplice passaggiò: «[1. Nozione iniziale] Ipsum esse est communissimum; unde ipsum quidem participatur in aliis, non autem participat aliquid aliud [ ... ]. Quia ip$Um esse signifìcatur ut ab­stractum, id autem quod est ut concretum. [2. Nozione metodologica] Sed id quod est sive ens, quamvis sit communissimum, tamen concretive dicitur et ideo participat ipsum esse [ ... ]per modum quo concretum par­ticipat abstractum ( ... ) Manifestum est quod id quod est, potest aliquo partecipare. Est autem considerandum quod sicut esse et quod est diffe­runt in simplicibus secundum intentionem, ita in compositis differunt rea­liter. [3. Nozione intensiva, terminale] Id autem erit solum vere simplex, quod non participat esse, non quidem inhaerens sed subsistens [ ... ].Hoc autem unum simplex et sublime est ipse Deus». TOMMASO o'AQUINO,

Expositio libri Boetii De ebdomadibus, lect. 2. 15 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 106.

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san Tommaso, per poter cogliere meglio la profondità e precisione dell'esegesi fabriana. Il primo momento è quello della emergenza formale dell'esse: «Quod autem per se esse sit primum et senius quam per se vita et per se sapientia, ostendit dupliciter; primo quidem, per hoc quod quaecu­mque participant aliis participadonibus, primo participant ipso esse: prius enim intelligitur aliquod ens quam unum, vivens, vel sapiens»16• In questo segmento del testo, Fa­bro legge la emergenza formale dell'esse, in quanto tutte le perfezioni si riducono all'esse per via della partecipazione, vale a dire, perché sono tutte quante una partecipazione all'esse stesso. I..: osservazione è molto importante perché da qui consegue, innanzitutto, che se c'è un esse separatum - ed è l' lpsum esse subsistens, appunto, che è Dio - allora non gli mancherà assolutamente nessuna perfezione; e poi, consegue la determinazione precisa dello statuto ontologi­co dell'essenza, che non è una «realtà» eterea, a sé stante, ma che acquista consistenza soltanto come grado forma­le espressivo dell'esse, che poi deve rimandare pertanto, e necessariamente, all'esse come atto attuante originario. Ma questo ci porta già nel secondo momento, che è quello dell'emergenza attuale: «Secundo, quod ipsum esse com­paratur ad vitam, et alia huiusmodi sicut participatum ad participans: nam etiam ipsa vita est ens quoddam et ,sic esse prius et simplicius est quam vita et alia huiusmodi et comparatur ad ea ut actus eorum» 17• Questo secondo momento è da dirsi allora il momento reale, in quanto for-

16 TOMMASO o'AQUINO, In librum B. Dionysii De divinis nominibus expo­sitio., c. V, lect. l; ed. Taur., n. 635, 235 b- 236 a.

17 lvi, p. 236 a.

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Il pensiero

nisce la lettura, dalla prospettiva della dottrina aristotelica dell'atto e la potenza, della situazione ontologica di tutte le altre perfezioni, che riguardo all'esse si dicono e sono propriamente «potenza». :Lesse allora è atto e solo atto e sempre atto in tutta la linea metafisica. In questo modo san Tommaso ricupera, secondo Fabro, l'esigenza parmenidea della priorità e superiorità assoluta dello eLvm, per cui si può e si deve parlare, in questo senso, di un autentico «par­menidismo tomistico»18•

Per quanto riguarda poi il De Causis, l'originalità consiste nella promozione dell'esse a principio metafisico assoluto. Infatti, mentre per il neoplatonico autore del De Causis, co­me si sa, l'esse è la «prima rerum creatarum»19, per san Tom­maso invece l'esse è increato ed è Dio stesso. Il testo citato da Fabro è decisivo e ha il vantaggio di abbracciare insieme sia il momento posizionale costitutivo che quello dinamico per la fondazione del reale e del divenire (del) reale, con la con­clusione dell'identificazione dell'essenza divina con I' ipsum esse: «Omnis actus qui est citra ultimum, est in potentia ad ultimum actum. Ultimus autem actus est ipsum esse. Cum enim omnis motus sit exitus de potentia in actum, opor­tet illud esse omnium actum in quod tendit omnis motus: et cum motus naturalis in hoc tendat quod est naturaliter

18 <<Anche per S. Tommaso, come per Aristotele, l'ens è polivalente: non però per disperdersi nella forma ma per raccogliersi nel suo atto fon­dante ch'è l' ~sse, riprendendo così l'essere parmenideo obliato dalla tra­dizione. Parmenideismo tomistico allora [ ... ] nel senso metafisico nel quale l' ens e l'esse esprimono la "Diremtion" metafisica fondamentale e l'esse senz'aggiunta si manifesta comeH "fondamento" stesso e il nome proprio dell'Assoluto». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, pp. 226-227.

19 De Causis, prop. 4 (Bardenhewer, p. 166).

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desideratum, oportet hoc esse ultimum actum quod omnia desiderant. Hoc autem est esse. Oportet igitur quod essentia divina, quae est actus purus et ultimus, sit ipsum esse»20•

Superamento · dunque del neoplatonismo dello Pseu­do Dionigi, superamento anche del neoplatonismo del De Causis, ma superamento, anche, e altrettanto decisivo, dell'aristotelismo storico, portando a fondo l'esigenza stessa dell'atto aristotelico. Infatti, se l'esse è l'atto primo, fondan­te, costitutivo e originario dell' ens, intimissimo, primissimo e formalissimo, allora l'essenza è da dirsi nei suoi confronti «potenza», e anche nel caso in cui si trattasse di una forma pura. Ma questo non è ormai aristotelismo storico, bensì tomismo, e tomismo essenziale, che tiene accuratamente di­stinti l'esse ut actus e l'esse in actu: quello è fondante, questo risultante; quello è l'esse intensivo, l'atto attuante originario, come atto di tutti gli atti e perfezione di tutte le perfezioni, quest'altro è l'attualità stessa che acquista l'essenza per via dell'esse che essa partecipa misurandone l'intensità, e può es­sere allora sia sostanziale che accidentale21 •

20 TOMMASO o' AQUINO, Compendium theologiae ad fratrem Raynaldum, c. 11 Item.

21 «I: esse in actu corrisponde all'esse essentiae: come all'essenza sostanziale corrisponde un esse sostanziale, così all'essenza accidentale (la quantità, la qualità, la relazione ... ) corrisponde l'esse accidentale. Ma l'esse ut actus essendi è il principium subsistendi della sostanza». C. FABRO, Partecipa­zione e causalità, p. 201; cfr. anche lvi, p. 203. Con questa distinzione, Fabro supera definitivamente tutte le esitazioni di quei discepoli di san Tommaso che parlavano, confusamente, di un «esse» degli accidenti, confondendo l'esse in actu con l'esse ut actus. Non possiamo qui soffer­marci a considerare le conseguenze di questa interpretazione fabriana per l'analisi della costituzione della persona: basta con dire che per Fabro, come per san Tommaso, c'è un unico esse suppositi, anche se ci sono molti, e tanti, esse in actu.

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Il pensiero

Come si può vedere, l'interpretazione fabriana dell'esse tomistico si trova agli antipodi di quella tradizionale del- · la scuola tomistica (il Gaetano, 'il Bafi.ez, Giovanni di san Tommaso ... ) che vedeva nell'esse il semplice principium quo della positio rei extra causas et nihil, rendendosi colpevole della flessione formalistica. Infatti, secondo Fabro, se questo fosse il significato dell'esse, allora non sarebbe l'esse il nu­cleo genetico dell' ens, e si limiterebbe alla sola attuazione e realizzazione dell'essenza22, la quale sarebbe invece la por­tatrice originaria di tutta la ricchezza e attualità dei gradi di perfezione dell' ens. Ciò andrebbe benissimo in un'inter­pretazione avicenniano-aristotelizzante di san Tommaso, ma non rispecchia fedelmente l'atteggiamento dell'Angelico. Lo scambio dell'esse con la «existentia>> non risulta allora una semplice questione terminologica, ma rivela alla radice il travisamento della più grande scoperta di san Tommaso: la coppia di essentia-existentia resta di stampo estrinsecista e non riesce, ovviamente, a sfuggire all'accusa heideggeriana di «oblio dell'essere». Lesse di san Tommaso invece è atto dell' ens e come atto dell' ens rende reale l'essenza che è il suo

22 «Se l'attualità della "existentià' si esprime e si esaurisce nel "porre" un'altra cosa che è la "essentià' e nel porla "extra nihil", si tratta unica­mente di una funzione estrinseca che ha per suo termine la "essentià' e non la "costituzione" intrinseca come atto dello em: l'ente si riduce all'essenza in quanto realizzata cioè per l'appunto in quanto si viene a trovare "extra causas" ed "extra nihil", per opera della causa efficiente». C. FABRO, Il posto di Giovanni di S. Tommaso nella Scuola Tomistica, p. 67. Da qui il logico scivolamento della Scuola Tomistica nel contingen­tismo universale, secondo il quale sarebbero contingenti tutti gli enti, e Dio il solo necessario; una tesi che san Tommaso rigetta apertamente e che invece è tipica sia dell' avicennismo sia del razionalismo leibniziano­wolffiano, nonché delle diverse scuole scolastiche cristiane. Per questa denuncia fabriana, cfr. lvi, p. 73.

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soggetto potenziale immediato, per cm, m questo senso, «1' atto che entra in composizione con la potenza diventa principio intrinseco della potenza stessa che passa ali' atto e così diventa reale cioè in atto»23 •

Lesse intensivo non è dunque la mera existentia scolastica, ma I' actus omnium actuum e, perciò, perfectio omnium per­fectionum, dove il genitivo non ha [soltanto] senso letterario superlativo, bensì e innanzittutto, senso determinante e co­stitutivo: ogni atto è atto nella misura in cui è una parteci­pazione ali' esse e ogni perfezione è perfezione esattamente nella misura in cui rispecchia qualche aspetto dell'esse. Lesse intensivo abbraccia allora tutto il plesso delle perfezioni, sia predicamentali che trascendentali, e costituisce il significato risolutivo dell' ens in quantum ens aristotelico.

La determinazione dell'essenza radicalmente atea del principio d'immanenza

In un secondo momento, Fabro considera negli Appunti I' «appartenenza essenziale» dell'ateismo all'immanenza mo­derna. Nello sviluppo di questo punto, egli segue da vicino lopera sull'ateismo, della quale abbiamo già parlato in pre­cedenza. È importante tuttavia rilevare l'impostazione ini­ziale dell'argomento.

Fabro ricorda all'inizio, e in collegamento con le riflessioni precedenti, il principio del realismo della conoscenza, prin­cipio caratterizzante il pensiero classico e tomistico. A quel

23 C. FABRO, Il posto di Giovanni di S. Tommaso nella Scuola Tomistica, p. 77.

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Il ensiero

principio si oppone l'immanenza moderna. Ora, il pensiero cosiddetto tradizionale ha assunto riguardo a quest'ultima un atteggiamento ambiguo: c'è chi l'ha combattuta aperta­mente, c'è chi si è mostrato piuttosto benevolo e accoglien­te. Un'ambiguità questa, continua Fabro, che si è ripetuta ed è risorta ad ogni variazione del principio della coscienza, sia sul versante empirista che su quello razionalista, sia su quello positivista che su quello idealista, e via dicendo. In questo contesto, emerge per Fabro, quale «pomo della discordia», il rapporto di fede e ragione proposto dal Cristianesimo come chiave per l'affermazione del suo principio di salvezza. Chec­ché sia degli oppositori radicali (Spinoza, Feuerbach ... ) e dei difensori risoluti (Vico24, Kierkegaard), è possibile identifi­care un'ampia fascia di simpatizzanti che vedono una conti­nuità fra ragione e fede. E osserva qui Fabro: «Di conseguen­za costoro non vedono la "differenza" fra fondare il pensiero sull'atto di essere e pertanto a partire dall'apprensione dello ens concreto come id quod habet esse, oppure su lo [sic] ens come l'astratto concetto estremo dell' essenza»25• Continua ancorai! Nostro: «Ed è la "differenzà' che più non conta (e da cui perciò si può astrarre), non solo quella fondamentale

24 Vico è un autore al quale Fabro ha dedicato pagine e osservazioni interes­santi. Ed è riferendosi a Vico che il Nostro trova l'occasione per evocare la figura del Capograssi, il quale si troverebbe sulla linea della protesta dell'anima cristiana contro l'energia dissolvente del moderno immanen­tismo. Così, Fabro arriva a riconoscere che Capograssi denuncia con intensità pari a quella sua, anche se sul fronte politico, l'immoralità dello Stato moderno laico ateo. Cfr. C. FABRO, L'Ateismo costitutivo del pen­siero moderno secondo Giuseppe Capograssi, in Due Convegni su Giuseppe Capograssi [Roma-Sulmona 1986], Atti a cura di Francesco Mercadante, Giuffré, Milano 1990, p. 796. Vico e Capograssi sono, per Fabro, «pro­feti della speranza».

25 C. FABRO, Appunti di un itinerario, pp. 43-44.

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di essentia ed esse (e questo esse poi è diventato la existentia), ma anche quella che distingue essenza da essenza così che si può fare benissimo il cominciamento con il cogito vuoto, senza contenuto, nel senso di essenza assolutamente indeter­minata, indifferenziata ... : perciò cogito puro, pensiero vuoto, pensiero che non pensa nulla!»26•

La tesi che riassume chiaramente il pensiero fabriano è la seguente: «In altre parole: lessenza del principio moder­no d'immanenza, in quanto è l'affermazione di posizione dell'essere riferito alla coscienza è, e altro non può essere, che la negazione della trascendenza riferita al conoscere in cui è fatto consistere nel pensiero moderno il senso fondamentale ed· il primo passo della libertà»27•

Ed è netta allora lopposizione fra l'istanza tomistica della partecipazione che comporta il cominciamento con l' ens e l'istanza moderna dell'immanenza: «Come la partecipazione [ ... ] ha portato alla Diremtion reale cioè alla composizione reale dell' ens di essentia e di esse nell' ens finito o creatura, co­sì per l'opposto la riduzione dell'essere ali' atto di coscienza ha portato all'unificazione di cogito e volo, di conoscenza ed esperienza, di fenomeno e realtà così che ogni realtà si risol­ve, a diversi livelli, in realtà di coscienza»28 •

Non si tratta di una valutazione biografica riguardo ai pensatori, bensì di una ricerca di coerenza radicale nel senso di riduzione al fondamento dello sviluppo stesso del princi­pio della coscienza. Pertanto, per Fabro, la critica del pensie­ro moderno non riguarda innanzitutto il problema di Dio e

26 Ivi, p. 44. 27 Ivi, p. 47. 28 Ibidem.

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dell'ateismo, ma riguarda innanzitutto il problema dell'esse­re delr ente e quindi il problema del cominciamento: per lui, soltanto chi comincia coni' ens intensivo come plesso reale di essenza ed esse e fa leva sull'atto di essere delr ens può arrivare in maniera speculativamente fondata all'Assoluto di essere che è Dio. Dio allora non è un «doppione del mondo», una oggettivazione della soggettività storica o trascendentale che sia, ma è raggiunto, attinto, nella sua emergenza assoluta, grazie alla riflessione metafisica che arriva alla trascenden­za in quanto muove dall' afferramento dell' actus essendi nella sua originarietà radicale.

Riteniamo opportuno richiamare alla memoria due te­si tipicamente fabriane che si collegano strettamente con quanto è stato detto in questo secondo punto e prolun·­gano il primo. Secondo Fabro, infatti, l'unica maniera in cui si può sfuggire speculativamente alla morsa dello storicismo radicale e quindi alla assillante minaccia del nichilismo, è il ritorno ali' emergenza dell' ens-esse tomma­siano: «senza la concezione tomistica dello ens-esse non ve­do come si potrebbe rispondere efficacemente alle istanze radicali di nientifìcazione del reale e sfuggire quindi alla dissoluzione storicistica di Hegel e Heidegger»29• A questa osservazione bisogna aggiungere laltra, altrettanto decisiva e radicale, che riguarda, a livello epistemologico e quindi di pensiero riflettente, la originarietà e inderivabilità della metafisica. I.:osservazione è presa dal libro su Rahner e, più precisamente, dalla critica all'interpretazione rahne­riana (e heideggeriana) dell'essere come questionabilità: «La conclusione: come I' ens è il primum cognitum origi-

29 C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 365.

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nario e trascendentale, e non puramente psicologico, co­sì la metafisica è derivante originaria e non derivata: non risolvibile quindi in antropologia, fenomenologia, ecc.»30•

:L emergenza e trascendentalità fondante dell' ens richiama, pertanto, la priorità e superiorità epistemologica della me­tafisica, come la forma più compiuta ed elevata del sapere umano naturale.

Ritornando alla linea principale degli Appunti, bisogna notare che dopo le decisive critiche .mosse al principio d'im.,. manenza, Fabro accenna tuttavia ad un aspetto positivo. I.: affermazione dell'originalità della coscienza da parte del pensiero moderno permette una riscoperta del primato della soggettività personale, e apre lo spiraglio per l'espansione antropologica della nozione di partecipazione31 • E così in­troduce Fabro il terzo punto.

Il recupero del realismo nell'esistenzialismo metafisico di Kierkegaard

Il titolo del paragrafo destinato al pensatore danese suo­na: «Rivendicazione della contestazione antihegeliana di Kierkegaard: la libertà come indipendenza del "Singolo" per l'impegno della "scelta'' dell'Assoluto». Prima però di esporre i tratti principali del pensiero kierkegaardiano, Fabro parla dc:;l suo incontro personale con Kierkegaard. «Il primo avvi­cinamento o incontro con Kierkegaard fu per me una mezza disgrazia», dichiara Fabro in apertura, non senza un pizzico

30 C. FABRO, La svolta antropologica di Karl Ra.hner, p. 143. 31 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 61.

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di comicità32• Le difficoltà che gli si facevano avanti pro­venivano da diversi fattori. Se infatti la traduzione tedesca - il primo contatto avvenne, come abbiarrio visto, tramite la difettosa traduzione di Christoph Schrempf - gli sembrava un gergo inintelligibile, tuttavia il testo stesso gli era sembra­to «di estrema importanza per la profondità e pertinenza di critica al principio d'immanenza». Fabro aveva colto al volo, dunque, l'importanza eccezionale del grande pensatore. Alle difficoltà appena indicate era d'aggiungersi anche la situa­zione storica, perché Fabro vedeva anche lo sfruttamento a cui Kierkegaard veniva sottomesso, in quanto era usato per elevare l'irrazionalismo contro il logo filosofico e dare . avvio alle diverse ultime forme d'immanentismo e di teolo­gie dialettiche. D'altronde queste deviazioni, a giudizio di Fabro, avevano a supporto delle interpretazioni superficiali e un atteggiamento tutt'altro che pervaso dalla serietà del­la speculazione: l'orientamento assunto dagli esistenzialisti italiani gli sembrava «un compromesso in partenza. cioè un pretesto e diversivo alla moda per conservare e varare la mer­ce immanentista e quindi una mistificazione per giustificare le vecchie cose»; e anche le Etudes kierkeg04rdiennes di Jean Wahl, lo misero «presto in sospetto per il modo sbrigativo di prospettare i problemi speculativi e per l'approssimazione superficiale della tematica teologfra basata specialmente sulle traduzioni tedesche»33•

Fabro aveva dunque motivi, e molto seri, per dedicare il suo tempo allo studio di Kierkegaard. Uno studio che però si è mostrato sempre irto di difficoltà. Ciò obbedisce allo stile

32 Cfr. lvi, pp. 61-68. 33 lvi, p. 62. (Corsivi nostri).

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proprio del danese, pensatore «di un'originalità eccezionale» che «non ha né vuole avere un "sistemà' perché era giusta­mente convinto che ogni classificazione del reale in funzione di un'ideologia, come vuole il sistema, tende a identificare, senza residui, verità e libertà, fenomeno e noumeno e, più esattamente, essenza ed esistenza... così da far perdere ogni miraggio di verità ed ogni speranza di libertà»34•

Riguardo al contenuto e al significato stesso del pensiero kierkegaardiano, Fabro fa una stupenda ricostruzione sinte­tica percorrendo i momenti essenziali delle principali opere. Nel pensiero di Kierkegaard egli trova innanzitutto I' ele­mento realista, e questo sia perché in continua polemica con il principio d'immanenza - Cartesio, Spinoza, Kant, Fichte, Schelling e Hegel vengono qui chiamati in causa - sia perché Kierkegaard si richiama esplicitamente ai Greci dichiarando a più riprese di essere stato formato alla loro scuola. Poi c'è l'aspetto che possiamo dire esistenziale-soggettivo di un au­tore dotato di una «eccezionale penetrazione dei tormenti dell'anima», cosa che si può quasi palpare quando si leggo­no le sue opere, specialmente il Diario, dove si trovano fuse «una inconfondibile aderenza dello stile all'idea e dell'idea all'impressione interiore», l'unione «di un continuo agitarsi rimanendo in quiete e di un crescente rinnovarsi rimanen­do ancorato all'identico». Da qui prende lo spunto Fabro per illustrare succintamente il rapporto stretto fra vissuti e categorie esistenziali in Kierkegaard: «i rapporti al padre, alla fid?.flzata Regina, al vescovo Mynster ... , sboccano nel­le categorie esistenziali della decisione, contro le scappatoie della dialettica; del Singolo, contro l'anonimato della Folla;

34 lvi, p. 64.

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della contemporaneità contro l'irresponsabilità dell'Ordine stabilito»35•

L ultima concretezza esistenziale si trova nella riflessione attorno all'Io che si pone come rapporto a se stesso mediante il suo rapportarsi in atto all'Assoluto, pef- fondarsi in tra­sparenza ~ vale a dire per rendersi chiaro a se stesso - nel­la potenza che l'ha posto. I...:Io pertanto manifesta di essere il principio tensoriale della scelta, e si presenta sotto due aspetti, poiché c'è I' lo meta.fisico e c'è l' lo teologico: mentre la prima espressione è di Fabro, la seconda è di Kierkega­ard, ed esprime che l'Io «diventa» se stesso mediante la scelta dell'Assoluto, salvandosi così dalla disperazione. In questo senso, l'Io di fronte a Dio acquista una dignità infinita «per­ché partecipa dell'assolutezza (infìnità)»36• Dal momento poi che Dio è entrato, mediante l'incarnazione, nella storia, sorge per la considerazione esistenziale anche l' lo cristologfro - ancora una formula fabriana - che costituisce il potenzia­mento ultimo dell'Io, in quanto è un «lo di fronte a Cristo». Fabro fa qui «suo» un testo bellissimo del grande pensatore: «Un io di fronte a Cristo è un io potenziato da un'immensa concessione di Dio, potenziato per l'importanza immensa che gli viene concessa dal fatto che Dio anche per amore di quest'io si degnò di nascere, s'incarnò, soffrì e morì. Come si è detto più sopra, più idea di Dio, più io, anche qui bisogna dire: più idea di Cristo, più io. Un io è qualitativamente ciò ch'è la sua misura. Nel fatto che Cristo è la misura, si esprime da parte di Dio con la massima evidenza l'immensa realtà

35 Ivi, p. 65. 36 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 66. Fabro non lascia sfuggire l' oc­

casione per mostrare in nota a piè di pagina la vicinanza di Kierkegaard con san Tommaso, pur con diverse sfumature.

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che ha l'io; perché soltanto in Cristo è vero che Dio è meta e misura, ovvero misura e meta dell'uomo. Ma più io, e più intensivo il peccato»37•

Laccenno al peccato mostra come per Kierkegaard sia soltanto Cristo la via della salvezza, e Fabro si dilunga quin­di per accennare ai rilievi cristologici e apologetici dell'opera kierkegaardiana la quale ha pochi riscontri storici nella chia­rezza e veemenza per quanto riguarda la linea differenziale fra Chiesa e mondo. «Si poteva lasciare nell'ombra - conclu­de Fabro - tutta questa protesta che si richiama ai Profeti, a Cristo, agli Apostoli, ai martiri...?»38•

La fondazione esistenziale dell'Io di fronte a Dio conferi­sce, nel superamento del peccato, il dominio su tutto il cam­po del finito, come «libertà di trascendenza sul fìnito»39 •

. Il «momento kierkegaardiano» per eccellenza è dunque il momento della libertà: l'intera opera di Kierkegaard è considerata dal Nostro «una palestra di fondazione della libertà»4°. Fabro però ha saputo assimilare all'interno del tomismo essenziale i contributi kierkegaardiani (e moder­ni) al riguardo. Sempre in maniera riassuntiva e - fìn trop­po - semplifìcatrice, si potrebbe dire che tre risultano i «momenti» chiave dell'interpretazione fabriana della liber­tà radicale: I) riguardo all'atto e all'oggetto, si ha soprat­tutto la tesi della scelta esistenziale del fìne ultimo in con­creto; 2) riguardo alla potenza (e le potenze), l'emergenza

37 S. l<IERKEGAARD, La malattia mortale, P. Il, BC; tr. it. di C. Fabro, San­soni, Firenze 1965, p. 344. Cfr. anche in S. l<J:ERKEGAARD, Opere, San­soni, Firenze 1972, p. 682.

38 C. FABRO, Appunti di un itinerario, p. 68. 39 Ivi, p. 66. 40 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 162.

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Ilpemiero

qualitativa della volontà, che diventa la facultas princeps in quanto dominante e «primum motor omnium virium»: superiorità metafisica fondata sull'emergenza della libertas exercitii sulla libertas quoad specificationem; 3) riguardo al soggetto, la volontà come potenza della persona in quanto tale (con riscontro testuale diretto in san Tommaso: liberum arbitrium ... dicitur ... tota animtfi1). Ne consegue il «rap­porto» fra la libertà e l'io, quindi l'emergenza dell'io come «assoluto esistenziale», «totalità operante» e principio atti­vo «incomunicabile-comunicante». Tutti questi momenti convergono nella formula squisitamente fabriana che ve­de la libertà come «creatività partecipata»42, una formula che richiama la partecipazione ali' esse nel grado massimo d'intensività ch'è quello, appunto, della libertà, espressione propia della forma spirituale nella quale trasparisce in tutto il suo splendore l'esse come atto. Ci soffermiamo un po' sui tre punti accennati, perché sono caratteristici del tomismo essenziale di Fabro, un «tomismo» che è tutt'altro di una mera ripetizione scolare pedissequa e dogmatica di testi or­mai saputi a memoria.

1) Per quanto riguarda la scelta del fìne, è risaputo che il tomismo di scuola tiene fermo alle perentorie sentenze di san Tommaso: «ultimus fìnis nullo modo sub electione cadit»43• E il motivo è che «illud cadit sub electione, quod se habet ut conclusio in syllogismo operabilium. Finis autem in operabilibus se habet ut principium, et non ut conclusio [ ... ] Unde fìnis, inquantum est huiusmodi, non cadit sub

41 TOMMASO o'AQUINO, Scriptum super Sententiis. Liber secundurn, d. 24, q. l, a. 2 ad lum.

42 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 13. 43 TOMMASO o'AQUINO, Summa Theologiae, Ja-Ilae, q. 13, a. 3.

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electione»44 • Fabro riconosce che nell'ambito formale le cose stanno così, nel senso che l'uomo desidera la felicità, la be­atitudine, ma in communi. Un conto allora è il fine ultimo in generale e un' altro conto ben diverso è il fine ultimo in concreto, vale a dire, quella realtà concreta che la persona stabilisce come oggetto della sua felicità e verso la quale in­dirizzerà poi tutte le sue ulteriori scelte. Per difendere questa tesi Fabro presenta molti testi tommasiani che permettono di sfumare le affermazioni appena accennate. Infatti, è chia­ro che nell'ultimo fine come «felicità» in genere, tutti quanti gli uomini convengono. È anche vero che in realtà, l'unico capace di soddisfare quest'apertura dell'anima umana è Dio stesso. Ma non è vero che tutti quanti gli uomini concordano nell'accettare quest'ultima affermazione: per quanto resti ve­ra oggettivamente, essa, sul piano soggettivo-esistenziale non è «necessitante», per cui ognuno può liberamente scegliere dove porrà la sua felicità, rendendosi colpevole, appunto, se quest'oggetto contraddice l'apertura della sua anima. Tut­ta la quaestio 2 della Ja-Ilae, dove san Tommaso procede per scarti e poi conclude che la beatitudine dell'uomo si tro­va, in quanto alla ipsa res, in Dio stesso, altro non è che l'esposizione dettagliata di questa situazione. Luomo allora si dice buono non perché ha un buon intelletto, non perché ha buone capacità artistiche, non perché ha buone capacità politiche ... ma perché ha una volontà buona. Infatti, per la volontà l'uomo mette in opera tutte le altre facoltà. Queste idee si trovano in un testo importante di san Tommaso che Fabro cita spesso, con i suoi paralleli, e che gli consente di dare una svolta all'interpretazione tradizionale: «Unde non

44 Ibidem.

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Il pensiero

dicitur bonus homo, qui habet bonum intellectum, sed qui habet bonam voluntatem. Voluntas autem respicit finem ut obiectum proprium»45• È un brano decisivo: se la chiave della bontà morale dell'uomo è il fine, allora questo fine non può essere il fine ultimo in generale, «la felicità», perché que­sta intentio communis è uguale per tutti quanti e allora tutti quanti sarebbero buoni, giacché «voluntas ... respicit finem ut obiectum proprium». Non tutti però si dicono buoni, e ciò dipende dalla scelta libera, è questione di electio, la quale «non è propriamente "sceltà' ma lo stabilirsi nel fondamen­to per fondare le ulteriori scelte»46• Si tratta, allora, di una vera «opzione fondamentale», la quale però non ha niente di «trascendentale», ma resta completamente trasparente e sempre riformabile, secondo le effettive capacità del sogget­to: «È mediante questa scelta del fine ultimo personale che si costituisce la moralità fondamentale dell'atto umano e che la volontà umana si dice buona o cattiva, ed è mediante lo sviluppo di questa scelta che si viene formando e qualifican­do la personalità morale dell'uomo nella sua integrità»47•

C'è dunque un'istanza che è stata saltata dall'esegesi tra­dizionale e che bisogna ricuperare, se si vuole afferrare la coerenza interna nonché la forza dei testi dell'Angelico. Af­ferma Fabro: «Allora nell'etica tomistica - ormai è chiaro - il fine ultimo reale dell'uomo è Dio eh' è "oggetto di sceltà' sul piano esistenziale, mentre sul piano formale il bonum in communi è solo oggetto di "intentio": come fine liberamente scelto, Dio deve dominare tutto il settore intenzionale delle

45 TOMMASO o'AQUINO, Summa Theologiae, I•, q. 5, a. 4 ad 3um. (Corsivi nostri).

46 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 228. 47 lvi, p. 44.

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ulteriori scelte richieste per giungere a Lui " ... post han e vi­tam". E così si stabilisce nel bene l'intero dinamismo della volontà e perciò la qualità morale dell'intera persona»48• Non si può passare direttamente dalla semplice intentio naturale necessaria del fine in communi alla electio mediorum, ma è doveroso porre frammezzo la scelta del fine in concreto, la «electio finis del progetto di vita in concreto, secondo l'alter­nativa di finito (creatura-io) e Infinito» la quale è, osserva Fabro in seguito, «latto fondamentale della libertà esisten­ziale. A.questo modo si può e si deve allora ammettere una libera voluntas rispetto al fine ultimo in concreto»49• È que­sta, appunto, la verticalità della libertà.

48 lvi, p. 50. Un brano dal contenuto simile: «Bisogna perciò ammettere una electio finis ch'è la scelta del proprio ideale o della propria vocazione in questa vita: una scelta sempre riformabile secondo tutto lambito della pro­pria libertà>> (lvi, p. 43). Quando parla della propria vocazione e dell'ideale di vita, Fabro non intende negare quello che afferma sulla scelta di Dio, bensl mostrare come questa scelta venga àppunto a informare, ovvero, se si vuole, possa o debba informare, le ulteriore scelte, in quanto la scelta del fìne ha una funzione anche più globale e abbracciante riguardo alla totalità della vita. San Tommaso è molto flessibile nell'uso delle formule e, anche se evita normalmente di chiamare «electio» l'atto della volontà nei confronti del fìne, talvolta usa comunque questo termine. Si veda, per esempio, il seguente testo esplicito, che Fabro avrebbe potuto riportare: «Sicut boni in carne viventes omnium suorum operum et desideriorum fìnem constituunt in Deo, ita mali in aliquo indebito fìne avertente eos a Deo. Sed animae separatae bonorum immobiliter inhaerebunt fìni quem in hac vita sibi praestituerunt, scilicet Deo. Ergo et animae malorum immobiliter inhaerebunt fini quem sibi elegerunt» (TOMMASO n'AQUINO, Summa contra Genti/es, lib. 4, cap. 93, Praeterea; corsivo nostro). In questo brano appaiono anche le altre espressioni, che ricorrono spesso negli altri testi: «sibi fìnem praestituere», «fìnem constituere in».

49 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 41. Il brano conclude indicando che «prima della scelta del fìne ultimo in concreto della nostra vita, il tendere al fìne ultimo in astratto non pone alcun problema>>.

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Ilpemiero

2) Il secondo aspetto che bisogna rilevare, ed è in un certo senso una conseguenza speculativa del precedente, è quello della superiorità della volontà. Fabro riconosce apertamente una emergenza qualitativa della volontà, e ritiene di indivi­duarla in san Tommaso. Ovviamente questa interpretazione non può destare altro che sorpresa nei lettori formati alle esposizioni tradizionali che parlano, come si sa, del cosid­detto intellettualismo di san Tommaso. Secondo l'interpre­tazione tradizionale, infatti, quando si comparano intelletto e volontà, bisogna distinguere, seguendo san Tommaso, una considerazione assoluta (simpliciter) e una considerazione relativa (secundum quid). Dunque, simpliciter, vale a dire, in senso proprio e strettamente parlando, l'intelletto andrebbe detto superiore alla volontà, sia perché il suo oggetto, il ve­rum, è più elevato e nobile di quello della volontà, il bonum,. la cui ratio {boni appetibilis) si trova nell'intelletto stesso, sia perché l'intelletto è inoltre possessivo del suo oggetto, mentre la volontà è soltanto tendenziale. La volontà, allora, sarebbe da dirsi più nobile e migliore soltanto sotto un certo aspetto e in certi casi, ma non propriamente e strettamente parlando50•

Fabro però contesta decisamente questa dottrina e ritiene che ci sia in san Tommaso un vero progresso al riguardo. Secondo Fabro, dire che l'intelletto è simpliciter più nobile della volontà risulta «davvero sconcertante, almeno a prima vista»51 , e la ragione invocata da san Tommaso è tutta aristo­telica e assai discutibile. Infatti «in tutta questa questione la

SO Questa dottrina si trova in san Tommaso, effettivamente. I testi prin­cipali, resi celebri dalla scuola, sono De Véritate, q. 22, a. 11 e Summa Theologiae, I", q. 82, a. 3.

51 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 26.

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conclusione ovvia - se non dominasse Aristotele - sarebbe la priorità psicologica del verum e la priorità metafisica con la superiorità reale del bonum (come "perfectum et perfec­tivum'') sul verum e perciò della volontà sull'intelligenza»52•

A Fabro non convince che la ratio boni appetibilis si trovi nell'intelletto, perché il bonum è appunto oggetto della vo­lontà, e il trascendentale bonum sorge in riferimento ali' ap­petito e non in riferimento all'intelletto. Non convince ne­anche l'affermazione che il verum sia più astratto ed elevato del bonum, perché si tratta soltanto di distinzioni di ragione, mentre, invece, bisogna considerare la situazione concreta e quindi tenere conto del criterio della perfezione come com­piutezza di essere: e allora il primato sarebbe da darsi alla volontà. E neppure convince l'affermazione che l'intelletto «possegga» il suo oggetto, perché il possesso resta sempre intentionale (almeno «in statu viae»), mentre la volontà si volge ali' oggetto così com' esso è in sé, con· tutta .la ricchezza del suo contenuto reale53• E inoltre non convince Fabro la tesi che la felicità o beatitudine consista di per sé, propria­mente e innanzitutto, nella visio più che non nell'amore di Dio, una tesi, questa, solidale ali' affermazione della supe­riorità dell'intelletto. E non convince perché - ed è pacifico anche nel tomismo tradizionale - la volontà è da dirsi supe­riore quando si considerano le rispettive potenze riguardo a oggetti più elevati, il più elevato dei quali è, appunto, Dio stesso come Sommo Bene (sarebbe la celebre superiorità se­cundum quid). Con pieno dominio delle premesse, conclude il Nostro: «È questa la superiorità esistenziale della volontà

52 Ivi, p. 27, n. 26. 53 Cfr. lvi, p. 27, p. 32 e p. 61.

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sull'intelletto da cui segue che l'amore di Dio è migliore del­la conoscenza di Dio. Ma Dio non è forse il nostro Sommo Bene? E non basta allora questa superiorità della volontà su questo punto, per trascinare al livello della libertà tutta la dignità della persona? Sta bene quindi, o almeno passi, che l'intelletto sia detto prior, non però superior sulla volontà e questo in virtù degli stessi principi tomistici»54• Non si tratta di un punto secondario, ma d'importanza centrale, poiché comporta l'intera strutturazione esistenziale della persona. Perciò l'argomentazione fabriana è molto forte.

Il progresso decisivo però di san Tommaso si trova, se­condo Fabro, nella Quaestio VI De Malo, dove l'Angelico prospetta un'analisi quanto mai dettagliata della dialettica operativa d'intelletto e volontà. Lo scopo dell'articolo è di contrastare il determinismo e la dottrina che faceva della volontà la mera esecutrice passiva dei dettami dell'intellet­to. Uno dei punti più rilevanti .dell'argomentazione, nota Fabro, è l'ardita formula intelligo enim quia volo, usata già più volte da san Tommaso, ma che compare ora proprio nel contesto della distinzione fra la mozione quoad determina­tionem e la mozione quoad exercitium actus, acquistando per­ciò un valore decisivo. La formula intelligo quia volo sembra capovolgere la convinzione più evidente e quotidiana, che per volere bisogna prima conoscere: ma sul piano dinamico dell'esercizio stesso dell'attività della persona in quanto tale, le cose stanno propriamente così e l'intelletto viene «direzio-

54 lvi, p. 32. Obiettare poi che prima è il movimento verso l'oggetto e poi verso l'atto (e la facoltà), per cui, essendo la beatitudine oggetto della volontà non saprebbe essere il suo atto, è un ricorso meramente formale, perché la stessa ragione, osserva Fabro, vale per l'intelletto, che «prima» capisce l'oggetto e «poi» capisce di capire. Cfr. lvi, p. 28.

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nato» e messo ad opera dalla volontà, la quale non è a sua volta mossa da nessun'altra potenza ma da se stessa. Fabro spiega dunque che, in questo modo, san Tommaso arriva alla presentazione più riuscita dell'emergenza dinamica e quindi della superiorità metafisica della volontà sull'intellet­to, in quanto la volontà è il «luogo metafisico» della libertà radicale. La libertà radicale allora come libertà di esercizio dell'atto, del voler volere, non si perde mai, perché è parte, se così si può dire, della struttura stessa della volontà, ed è all'interno di questa libertà di esercizio che si dischiude loggetto stesso della scelta. La conclusione di san Tomma­so è chiarissima: «Sic ergo quantum ad aliqua voluntas ex necessitate movetur ex parte obiecti, non autem quantum ad omnia; sed ex parte exercitii actus, non ex necessitate movetur»55• Il dominio però della volontà, come si è appena

55 TOMMASO n'AQUINO, De Malo, q. 6, in fine. Fra i testi, poi, da Fabro in­vocati per mostrare_ i nuovi spunti dell'ultimo san Tommaso c'è questo, della Summa; un testo molto valido, e profondamente esistenziale: «Vo­luntas movet alias potentias animae in suum 6,nem [ ... ].Et ideo religio, quae est in voluntate, ordinar actus aliarum potentiarum ad Dei reveren­tiam. Inter ALIAS autem potentias animae, intellectus altior est et voluntati propinquior. Et ideo post devotionem, quae pertinet ad ipsam volun­tatem, orario, quae pertinet ad partem intellectivam, est praecipua inter actus religionis, per quam religio intellectum hominis movet in Deum» (TOMMASO o' AQUINO, Summa Theologi.ae, n•-nae, q. 83, a. 3 ad 1 •m). Un' altro brano, anche questo di ultima maturità, e che Fabro avrebbe potuto usare, è il seguente: «per odium deordinatur voluntas hominis, quae est potissimum in homine» (TOMMASO n'AQUINO, Summa Theolo­giae, II•-II••, q. 34, a. 4). Con questi accenni, san Tommaso mostra anche di ritornare a certe intuizioni giovanili, come quando affermava che «intellectus est altior secundum originem et voluntas secundum perfec­tionem» (TOMMASO o' AQUINO, Scriptum super Sententiis. Liber primum, d. I, q. I, a. 1 ad I •m; ed. Mand., t. I, 34), dove «origine» e «perfezione» stanno ovviamente come priorità e superiorità. (Corsivi nostri).

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visto, non è soltanto dinamico di mera efficienza ma abbrac­cia tutto il settore intenzionale della coscienza e comporta pertanto l'intera strutturazione esistenziale della persona. È sulla base di questo effettivo dominio esistenziale che biso­gna riconoscere la superiorità della volontà.

La formula riassuntiva che Fabro propone si articola in tre momenti o piani di considerazione: [I] dal punto di vista formale, che qui significa il dinamismo psicologico riguardo all'ordine dell'attuarsi delle facoltà, ordo originis, l'intelletto fonda a modo di condizione, ma non propriamente come causa, tutta .l'attività volontaria; [2] sotto l'aspetto meta­fisico, che è l'ordine dell' ens in quantum ens e quindi dei trascendentali e dell'emergenza dell'atto, ordo perfectionis, la volontà ha come oggetto il bonum, all'interno del quale vengono compresi gli oggetti e gli atti di tutte le altre facol­tà, quindi anche l'intelletto e il verum, per cui ne consegue che [3] sotto l'aspetto esistenziale la volontà tiene il primo posto e non solo come primum motor bensì come principio formale morale, dal momento che l'uomo si dice buono, per la volontà buona56•

3) Il terzo aspetto riguarda il momento del soggetto e quindi la volontà come potenza espressiva della persona in quanto tale. Si tratta di un aspetto dell'analisi fabriana della libertà così importante purtroppo trascurato per cui merita, proprio per questo, di essere rilevato. Il punto si potrebbe concentrare attorno a questa domanda: com'è possibile che il fine qualifichi la persona? Secondo Fabro, ciò è possibile perché, proprio a causa della struttura stessa della libertà ra­dicale, l'Io è coinvolto come oggetto intrinseco della scelta, in

56 Cfr. C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, pp. 71-72.

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ogni scelta di qualsiasi fine e oggetto, nel senso che quando, per esempio, lo scelgo Dio, scelgo «nel contempo» me stesso scegliente Dio: «Infatti è possibile amare Dio e fare dell'amo­re di Dio il movente della propria vita soltanto in quanto l'uomo porta sempre con sé cioè riporta alla sua coscienza la scelta che ha fatto di Dio. Cioè in quanto non solo in ogni atto di virtù si autoriconosce ma anche in quanto si autopone - al meno con l'intenzione abituale - nella scelta di tendere a Dio ovvero in quanto si "sottende" o sottintende come colui che tende a _Dio»57• Questo, per così dire, «raddoppia­mento soggettivo» della scelta fa sì che l'intera persona ven­ga coinvolta nella scelta dell'oggetto che è il fine e, così, da quest'ultimo effettivamente qualificata, secondo la propria responsabilità. Fabro ritiene, pertanto, che si debba parlare di una funzione strutturale fondante dell'Io e dell'amore di sé nell'esercizio stesso della libertà e quindi di una «struttura egologica» della medesima: «Si deve allora riconoscere che se l'amor sui è fondante, lo è l'io stesso al doppio titolo di soggetto ed oggetto non per un'identità formale, ma per una appartenenza necessaria di processività reale. È in quest' ap­partenenza che consiste la struttura trascendentale ossia an­tropologica - che si potrebbe meglio dire "egologicà' (non direi ancora "egocentricà') della libertà»58•

Conseguenza di tutto questo è la principalità esistenzia­le dell'Io. Si noti adesso come lo-volontà-fine si trovano strettamente collegati, in quanto l'Io è ricondotto, in vir­tù dell'accennata «riflessività radicale» della volontà, all'atto stesso del volere come suo oggetto intrinseco, e la volontà

57 C. FABRO, Atto esistenziale ed impegno della libertà, p. 135. 58 Ibidem.

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diventa, adesso sì, e proprio per questo, il principio sogget­tivo della qualificazione morale in virtù della sua scelta del fìne: «In realtà l'io è coinvolto in modo primario nel volere, in ogni atto di volontà, come oggetto immanente del volere stesso, poiché è proprio della volontà stabilire e realizzare la corrispondenza fra la natura e condizione attuale del sog­getto e la perfezione eh' egli intende e decide di raggiungere [ ... ]. Nella scelta poi del fìne esistenziale l'io passa in primo piano»59• Ora, questa principalità dell'Io vuol dire che, per Fabro, esso non è il mero «spettatore» come semplice prin­cipio concomitante accompagnatore (der Begleiter aller vor­stellungen), al modo dell'Io trascendentale kantiano, bensì il principio attivo ponente e quindi come «estremo» insop­primibile e tensoriale della scelta60• La principalità dell'Io da Fabro rilevata vuol dire inoltre che, per quanto sul registro ontologico e metafisico sia Dio stesso come Ipsum Esse subsi­stens a fondare tutto, invece sul piano esistenziale «l'io non ha

59 C. FABRO, Atto esistenziale ed impegno della libertà, p. 136. Un altro brano, più sintetico: «Poiché la scelta implica l'atto di scegliersi ovvero l'autòporsi dell'io come soggetto, la libertà ovvero l'esercizio della scelta decide cioè costituis.ce la qualità ontologica dell'io stesso». C. FABRO,

Libertà teologica, antropologica ed esistenziale, in Ragione pratica, libertà, normatività, Marcelo Sanchez Sorondo (ed.), PUL-Herder, Roma 1991, p. 16.

60 Fabro riconosce che è stato merito dell'Idealismo l'aver rilevato l'origina­rietà dell'Io, anche se poi l'ha seriamente compromessa a causa del prin­cipio sistematico del trascendentale: «Sempre sul piano non formale ma esistenziale, è al soggetto che compete, mediante la libertà, di dominare l'oggetto e la sfera operativa dell'essere: in questa affermazione dell'asso­lutezza fondante del soggetto in quanto spirito e quindi nella posizione della libertà radicale dell'io ha visto bene l'idealismo il quale però [l']ha traviato elevandolo a soggetto trascendentale eh' è un negarlo nell'atto stesso di porlo». C. FABRO, Atto esistenziale ed impegno della libertà, p. 137.

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presente immediatamente come soggetto operante che se stesso: (in questo senso] il mondo è opaco,[ ... ] Dio è un nome[ ... ]. Orbene, il piano esistenziale ha per principio l'io come soggetto spirituale e principio in sé inderivabile ossia persona, e questo equivale a dire: soggetto libero»61 • E ciò vuol dire ancora che il vero principio del piano esistenziale, il quale va trattato a tutti gli effetti come soggetto responsabile indipendente, e non solo da parte degli altri uomini, ma anche da Dio, è l'Io stesso, reale e concreto, per cui «il piano esistenziale sta quindi a sé ed esso è costituito dalla realtà nuova ch'è l'effet­to della libertà»62• E più profondamente ancora, questa prin­cipalità vuol dire, per Fabro, che l'Io è veramente un assoluto esistenziale: «assoluto esistenziale eh' è la libertà in atto ossia [ ... ] l'io che ha scelto se stesso davanti all'Assoluto reale ossia metafìsico»63 • Quest'assolutezza esistenziale dell'Io però ha come fondamento l'assolutezza dell'esse come actus essendi, che la creatura spirituale partecipa con necessità ab alio. In questo modo, Fabro riesce, acutamente, a,ricondurre all'in­terno della robusta e solida metafisica dell' ipsum esse come atto intensivo la sentita esigenza moderna e anche kierkega­ardiana del primato dell'Io e della soggettività: «Pertanto il soggetto spirituale che è l'io individuale o persona, in quan­to partecipa ovvero assume in sé diretta.men.te l'esse come actus essendi con appartenenza necessaria, si pone e s'impone come "persona sussistente" che è in sé libera nell'agire e im­mortale nell'essere in ascendenza metafisica: è l'ardita con­cezione tomistica del necessarium ab alio che fa del conoscere

61 C. FABRO, Atto esistenziale ed impegno della libertà, p. 142. (Corsivi nostri).

62 lvi, p. 143. 63 C. FABRO, Riflessioni sulla libertà, p. 224.

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nell'apprensione del vero e della libertà nella decisione del bene nell'intero ambito della persona, una sfera a sé di qua­lità assolute. È il rimando di fondazione originaria dell'in­dipendenza dell'agire nell'assoluto dell'esse quale atto primo di sussistenza nello spirito creato, librato sulle vicissitudini del tempo, che impegna in assoluto la libertà di fronte a Dio e di fronte a Cristo (Dio entrato nel tempo)»64• Questo «radicamento» della libertà nell'esse fa sì che la creatura spiri­tuale partecipi in maniera tutta sua alla suprema autonomia dell' lpsum esse subsistens, per cui essa possiede una propria creatività come positività attiva assoluta. Fabro non esita a mostrare come sia san Tommaso stesso ad offrire la formula più decisiva al riguardo: «Lo spirito creato, anche l'uomo, si distingue dalla realtà materiale [ ... ] in quanto è padrone dei suoi atti cioè è dotato di una propria creatività eh' è la libertà. La libertà, come capacità di disporre da sé nelle pro­prie scelte, è per san Tommaso possibilità attiva assoluta[ ... ]. ruomo singolo come spirito è causa sui al nominativo per san Tommaso, l'espressione più ardita che mai siasi udita nella storia del pensiero umano» 65 •

64 lvi, p. 55. 65 C. FABRO, Attualità della contestazione tomistica, p. 8. (Ultimo corsivo

nostro). Ci sono molti testi di san Tommaso che accennano a questa principalità esistenziale e consistenza operativa originaria dell'Io. Per esempio: «lntellectus intelligit non solum sibi, sed omnibus potentiis; et voluntas vult non solum sibi, sed omnibus potentiis. Et ideo homo im­

'perat sibi ipsi actum voluntatis, inquantum est intelligens et volens» (TOM­MASO o'AQUINO, Summa Theologiae, I•-11••, q. 17, a. 5 ad 2"m; corsivi nostri). Dire che l'uomo stesso, impera a se stesso l'atto della volontà in quanto è intelligente e volente, altro non è che parlare della struttura egologica della libertà, dalla quale sorge anche l'energia stessa imperante. E si veda ancora quest'altro brano, che parla della creatura spirituale, e i cui termini sono prettamente moderni: «Sed in ordine ad princi-

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A conclusione dei momenti centrali dell'itinerario deline­ato da Fabro stesso, possiamo dire che convergono nella spe­culazione fabriana l'antico e il nuovo. Ne dà testimonianza un brano di estrema precisione che prendiamo dall'opera su Rahner: «C'è una propria problematica profonda già in Kant, Fichte e Schelling, ma soprattutto in Hegel e Heidegger che può rinnovare e chiarire _in modo originale il vigore e la consi­stenza speculativa del tomismo. Nel pensiero moderno infatti si è venuto sempre più chiarendo che il momento costitutivo della verità appartiene alla fondazione del problema dell'essere, mentre il problema risolutivo dell'esistenza appartiene alla fon­dazione della libertà: cosl la meta.fisica non si chiude in sistema ma apre la prospettiva della storia. È su questa doppia istanza che pensiero moderno e tomismo si devono incontrare»66•

E così si esprimono i «due cominciamenti fabriani», quel­lo ontologico e quello antropologico, vale a dire quello me­tafisico oggettivo e quello soggettivo esistenziale.

Riassunto fabriano in chiave dialettica: rotture e aperture

Vale la pena trascrivere qui integralmente le battute con­clusive del testo di Fabro, introdotte da lui stesso con il titolo «Riassunto». «Qui il termine "riassunto" non va preso nel si-

pium quod est voluntas, ipse volens est primus et supremUS>> (TOMMASO n'AQUINO, Summa Theologiae, I•, q. 107, a. 2; corsivi _nostri). Il volente stesso è il primo e il supremo ... Affermare questo non è fare dell'Io, del volente stesso, un assoluto esistenziale, e il principio esistenziale origi­nario come prima diceva Fabro? Un Fichte sottoscriverebbe senz'indugio quest'affermazione. Ma il punto è che prima l'aveva detto san Tommaso, ed è Fabro a rivendicare queste scoperte.

66 C. FABRO, La svolta antropologica di Karl Rahner, p. 21. (Corsivi nostri).

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gnifìcato ordinario di "compendio" italiano, corrispondente all'inglese "summary'' e al tedesco Zusammenfassung, Inhalt, ma piuttosto a quello di raccolta e collocazione speculativa dei punti intensivi del cammino percorso».

La spiegazione è molto chiara. Si tratta di rilevare i pun­ti nei quali si concentrano e sui quali ritornano le diverse tematiche prospettate durante il suo itinerario speculativo. «Gioverà osservare subito eh' essi hanno in comune un com­pito o indirizzo caratteristico, eh' è ripreso di volta in volta (superamento della Scolastica essenzialistica con la metafisi­ca di partecipazione, risoluzione dell'immanenza moderna nell'ateismo, rivendicazione dell'esistenza kierkegaardiana come "scelta davanti a Dio e a Cristo") nel senso di unari­flessione radicale per i singoli momenti o capi di riflessione: il compito dialettico di rottura-apertura per uscire dal "fal­limento" dell' essenzialismo sistematico classico, scolastico, moderno e guadagnare un "più spirabil aere;'».

La «ripresa» delle linee di pensiero si attua, dunque, me­diante una riflessione di fondo che comporta una revisione totale dell'indirizzo stesso nonché una presa di posizione cri­tica nel senso o di superamento o di rivendicazione e anche d'integrazione. È importante notaie che, in questo modo, Fabro mostra di essere un pensatore veramente libero, non attaccato a nessun sistema o presupposto ma soltanto in­teressato all'individuazione della verità delle cose, restando sempre fedele al principio che stabilisce la fìlosofìa stessa co­me ricerca della verità nella libertà per attuare la libertà nella verità.

Sono tre i punti rilevati. «A - Rottura col pensiero forma­le della tradizione greco-scolastica che interpretava l'essere secondo le varie categorie nei due modi di possibile-reale,

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di essenza-esistenza... ed apertura verso lo "ens" tomistico eh' è il sinolo reale composto di essenza reale e di. esse-actus essendi (sinolo di potenza e di atto in linea entis). Primato ontometafìsico dello esse come "atto" sulla "formà' intesa sia nel senso realista come idealista».

Si potrebbe dire che questo primo pµnto riguarda, dun­que, la «liberazione dell'atto» nel senso della roÙura con le maglie del primato dell'essenza, della forma e delle strutture trascendentali della coscienza con la conseguente rivendica­zione dell'emergenza assoluta dell'atto di essere, che detie­ne la qualità della priorità metafisica originaria riguardo ad ogni altro atto e forma.

«B - Rottura col soggettivismo moderno d'immanenza che fa della coscienza il principio dell'essere e mette nel pen­sare universale lessenza della libertà... ed apertura alla pre­senza realistica dell'essere che si dà alla coscienza nella realtà della natura come oggetto secondo l'alternativa di vero-falso e nella responsabilità della persona concreta come soggetto responsabile nell'alternativa di bene-male. Primato dell'im,.. manenza metafisico-spirituale della persona sull'immanenza antropologica del genere e perciò della verità nel conoscere e del bene nell'agire».

La liberazione autentica dell'atto comporta la posizione della vera trascendenza e pertanto la rottura con il principio soggettivista d'immanenza. Quest'ultima rottura però, anzi­ché nuocere alla principalità dell'Io, garantisce la fondazione speclllativa della sua effettiva consistenza in quanto libera la persona dal dileguarsi nel genere, nella situazione e nella storia. Si apre allora la strada per il terzo punto.

«C - Rottura con l'empirismo etico dell'esistenzialismo di sinistra (e col marxismo) che abbandona l'uomo al fato sto-

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rico... ed apertura all'esistenzialismo dell'emergenza dell'Io singolo come persona davanti a Dio e davanti a Cdsto, così che la responsabilità dell'agire si richiama alla responsabilità del pensare e l'una rifluisce nell'altra mediante il "salto" della decisione. Primato esistenziale della libertà come indipen­denza radicale del soggetto spirituale dal finito. e come inizio della libertà in e con se stessa: movet seipsam et intellectum a seipsa et omnes facultates per seipsam».

La rivendicazione della consistenza ontologica della per­sona si espande conseguentemente nella rivendicazione del primato esistenziale della libertà. Mediante la libertà il Sin­golo si pone davanti a Dio, e davanti a Dio dirime, nell'at­to della scelta, la qualità della propria esistenza. La libertà costituisce pertanto un vero cominciamento antropologico esistenziale.

Dopo aver indicato i tre punti, segue l'analisi del signifi­cato della coppia «rottura-apertura» che ben potrebbe dirsi «l'anima dialettica» del movimento del pensiero fabriano: «"Rottura-aperturà' sono perciò due momenti inscindibi­li, come già avevano intravisto gli antichi con il principio dell'opposizione dei contrari (specialmente Eraclito) e che è l'anima del pensiero moderno. (specialmente Hegel-Marx): è di qui che si alimenta la dinamica sia del pensiero come ri­cerca, sia della volontà come aspirazione e decisione. Rottura anzitutto perché ogni pensiero formale, che vuol chiudersi in sistema, deve rinunziare all'originalità sempre rinascente del reale per costringere la verità e la libertà in un unica di­mensione: quella appunto del sistema "prescelto". Apertura poi, e soprattutto come possibilità di libertà, sia perché ogni realtà - dall'atomo fino alle galassie, dai globuli rossi fino al completo organismo, dalle sensazioni immediate fino al-

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le più geniali intuizioni artistiche, scientifiche, filosofiche, dalle più elementari necessità dell'aria, dell'acqua e del cibo per vivere finò alle supreme aspirazioni dell'ultima testimo­nianza per la verità e la libertà... - è in sé originale e non riducibile a nessun paradigma; sia perché l'autentica libertà non diventa comunicabile e comunicante che mediante il suo rapporto all'Assoluto»67•

A modo di conclusione: per una panoramica fabriana

È stato detto, e con ragione, che Fabro si mostra diffi­cilmente riconducibile alla schiera dei neotomisti68• È vero. Dopo aver esaminato questi momenti tensoriali e inscindi­bili di rottura-apertura che caratterizzano il suo pensiero, non ci possono essere dubbi: non si può dire che Fabro sia un tomista nel senso corrente del termine. La sua maniera personale di scrivere, la sua maniera personale d'impostare i problemi, di misurarsi con gli autori, di prospettare le solu­zioni, non è riconducibile agli schemi abituali della scuola tomista. Il suo pensiero non è allineato con quello del rea­lismo metodico di un Gilson, come non è sulla linea di un Ramfrez, e tanto meno in linea con il - autodenominato -«paleotomismo» di un Maritain. In questo senso resta fermo e assodato che Fabro non appartiene a nessuna scuola.

Neanche si può dire che non sia tomista) se per «essere to­mista» s'intende «seguire san Tommaso»: perfino quando si

67 C. FABRO, Appunti di un itinerario, pp. 68-70. 68 Cfr. D. CASTELLANO, La libertà soggettiva. Cornelio Fabro oltre moderno e

antimoderno, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1_984, pp. 135-136.

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sente nel bisogno di - almeno apparentemente - discostarsi, come nel caso della vulgata tomista sulla libertà e la volontà, egli comunque cerca di difendere san Tommaso, e di trovare riscontro nei testi e nei contesti. Non si può negare dunque che Fabro si pone l'obiettivo di seguire san Tommaso.

Diremmo, stando alle sue stesse parole, che è un tomi­sta essenziale. eespressione, per quanto giusta, non è per ciò esente da equivoci.

Se per «tomismo essenziale» s'intendesse la sola fedeltà «ai principi» dell'Angelico, ancora avremmo detto poco, e non ci sarebbe nessun tomista «tradizionale» che non volesse rivendicare il titolo. Se invece s'intendesse la mera manie­ra di cercare la verità al di sopra di tutto, allora il termine «tomismo essenziale» sarebbe coestensivo ad ogni proposta filosofica sincera, e ogni fìlosofo di buona volontà potrebbe autoproclamarsi tomista essenziale: ma sarebbe un senso fìn troppo debole di dirsi tomista, e anche gli avversari di san Tommaso - Scoto, Occam, Suarez ... - potrebbero dirsi in quel senso «tomisti». eassurdo è alle porte.

Altrettanto problematico sarebbe interpretare I' espressio­ne nel senso di un «tomismo aperto», come potrebbe esser­lo quello di stampo maréchaliano, il cosiddetto «tomismo trascendentale», sorto dal confronto e dali' assunzione non critici del principio moderno del trascendentale (kantiano). Il tomismo di Fabro non è contrassegnato da aperture che verrebbero a specificarlo e integrarlo in altri spazi fìlosofìci.

Quando diciamo che Fabro è «tomista essenziale», si vuole accennare alla sua maniera originale di essere tomista. Egli è tomista, profondamente tomista, ma non è un tomista con­venzionale: questa è, a nostro avviso, l'osservazione chiave. Il tomismo fabriano è caratterizzato da una maniera tutta sua

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di fare ermeneutica, che gli consente di penetrare i principi, ma non come semplice elenco di formule e di frasi standard dalle quali poi procedere per trarre fuori conclusioni. Egli li penetra e li assume invece nel loro sorgere, li prende «dal vivo», forte di una notevole documentazione storica e di un'approfondita analisi storico-critica dei testi e dei contesti del Dottore comune. Individuati così, allo stato «nascente», i principi, egli è capace inoltre di trasferirli in clima moderno e nella problematica contemporanea per riviverli nella loro piena pregnanza speculativa e decisiva profondità. Perciò il tomismo essenziale è un tomismo essenzialmente vivo, capa­ce anche di assimilare sempre il nuovo.

Quali sono le caratteristiche, allora, di questo auspicato tomismo essenziale? Dalle riflessioni fabriane possiamo rica­varne almeno cinque: 1) un tomismo essenziale deve innan­zitutto trascendere qualsiasi sistema chiuso o figura storica69,

2) deve saper inserirsi nella problematica della cultura mo­derna e dare maggior considerazione alla soggettività costi­tutiva70, 3) deve approfondire il problema del cominciamen-

69 «Un "tomismo essenziale" [ ... ] trascende qualsiasi sistema chiuso o "fi­gura storicà' particolare, compresa quella stessa di S. Tommaso nei punti in cui essa resta legata ai limiti della cultura del suo tempo; tanto più esso deve anche superare il limite storico del "sistemà' della sua Scuola, qua­lora esso avesse qua e là sfocato il centro specifico del tomismo originario o comunque fosse un ostacolo per il cammino naturale del pensiero o nascondesse e velasse lorizzonte infinito della libertà». C. FABRO, To­mismo e pensiero moderno, pp. 16-17.

70 «Un tomismo essenziale ancora deve sapere non solo inserirsi nella pro­blematica della cultura moderna, ma soprattutto deve.poter interpretare dall'intimo le istanze nuove di libertà: per questo esso deve dare mag­gior considerazione alla soggettività costitutiva nel senso nuovo eh' essa ha assunto - ed in profondo accordo con la concezione tomistica del soggetto spirituale libero - come caratteristica fondamentale della vita

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to come incontro originario della «coscienza» con l' essere71 ,

4) dev'essere in grado di fare un giudizio attivo su ogni linea fìlosofìca - anche sulla propria figura storica72 - e 5) deve avere un'autentica apertura verso tutto quello che per diritto proprio appartiene alla verità dell' essere73•

Le linee fondamentali del tomismo essenziale di Fabro, riprendendo le tesi principali che abbiamo cercato di pre­sentare lungo il nostro percorso, possono essere prospetta­te in maniera sin tetica al· fìne di cogliere ad uno sguardo «essenziale» la complessità del suo itinerario intellettuale e speculativo.

È chiaro che ognuno dei temi e degli argomenti richia­mano uno sviluppo analitico molto più dettagliato e appro­fondito del pensiero fabriano, la cui intensa penetrazione e

dello spirito, a differenza della soggettività trascendentale cioè negativa e negativizzante della filosofia moderna». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 17.

71 «Un tomismo essenziale infine deve approfondire il "problema del co­minciamento" del pensiero mediante l'apprensione originaria dello ens e avviarne con risolutezza l'itinerario speculativo all'interno della dialet­tica di essenza e dell'atto di esse cosl da mostrare di volta in volta eh' è in questa tensione che si propone e si svolge l'esigenza propria per il pen­siero, nella concretezza e pienezza insieme ultima dello esse in modo che in questo riferimento ogni problema può avere il suo senso definitivo ed il proprio locus theoreticus». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 17.

72 «Un "tomismo essenziale" comporta quindi un giudizio attivo sul pen­siero umano e cristiano in generale e sullo stesso tomismo di fronte al pensiero moderno». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, 19.

73 «Non si tratta tanto - almeno nel primo momento del confronto col pensiero moderno - di un tomismo di tesi statiche e rigide che impon­gano un sistema, quanto di un tomismo di approfondimento di prin­cipi, dinamico e aperto sul fondo di tutte le valide acquisizioni di analisi e di metodo della scienza e della cultura moderna». C. FABRO, Tomismo e pensiero moderno, p. 19.

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vivacità speculativa non trova riscontro, a nostro avviso, che tra i pochi più grandi della storia del pensiero umano.

Dal punto di vista storico-genetico i punti più rilevanti del pensiero di Fabro vanno considerati in relazione alle sue fonti e ai suoi principali interlocutori: san Tommaso, Kier­kegaard, Hegel e Heidegger. Una ricostruzione del suo itine­rario speculativo e del suo progetto di tomismo essenziale non può certamente prescindere da loro. Come principio ispira­tore profondo, dal punto di vista «soggettivo-esistenziale» se si vuole, bisogna indicare il suo amore disinteressato e nel contempo appassionato per la Verità che salva, insieme alla sua incondizionata fedeltà alla Chiesa, colonna e fondamen­to della verità ( 1 Tim 3, 15). Dal punto di vista degli elementi speculativi che polarizzano il suo tomismo essenziale, vanno indicati l'esse intensivo e la libertà, la cui scoperta e sviluppo tematico e dottrinale sono diretti dalla nozione metafisica di partecipazione, tramite la quale si procede dall' ens all' ipsum esse subsistens, che si mostrano dunque essere ens per partici­pationem e ens {esse) per essentiam, e si arriva alla fondazione definitiva della libertà creata come creatività partecipata.

Secondo Fabro l'essenza del tomismo si esprime adegua­tamente nella nozione metafisica di partecipazione, per la quale esso merita il carattere di sintesi definitiva del pen­siero cristiano e viene messo nelle condizioni di soddisfare ampiamente all'esigenza metafisica del rapporto fra finito e infinito e della trascendentalità dell'appartenenza di essere e pensiero, proposte dal pensiero moderno.

La nozione tommasiana di partecipazione è una nozione metafisica e non fisica, poiché non si riferisce anzitutto ad un prendere-parte quantitativo, bensì al realizzare, in maniera derivata e limitata, quel che la perfezione partecipata richia-

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ma nel proprio contenuto. Non si tratta però di una mera ripetizione della formula platonica, ma di una profonda tra­sformazione della medesima mediante la sua incorporazione vitale e non artificiale alla metafisica aristotelica dell'atto e la potenza. Il tomismo viene a configurarsi, in questo mo­do, come sintesi emergente e superamento comprensivo di verticalismo platonico e orizzontalità aristotelica. In questo senso, le coppie «partecipante-partecipato» e «potenza-atto» finiscono per corrispondersi e proiettarsi a tutti i livelli di struttura della realtà finita, fondando, nello stesso tempo, la composizione, anche la somiglianza (analogia) e la dipenden­za (causalità). Spetta alla nozione di partecipazione un vero primato metodologico per l'impostazione e la risoluzione dei problemi, mentre il binomio di atto e potenza si mostra esse­re più adatto nel momento posteriore della sistematizzazione armonica, chiarimento e classificazione delle conclusioni.

Seguendo san Tommaso, Fabro distingue accuratamen­te due modi fondamentali di partecipazione, quella predi­camentale e quella trascendentale. Nel primo modo, ogni partecipante ha in sé la medesima formalità secondo tutto il suo contenuto essenziale, e il partecipato esiste soltanto nel soggetto partecipante: onde la partecipazione predicamenta­le dell'essenza resta, in questo senso, nel più stretto ambito dell'univocità formale. Nel secondo caso invece, ogni parte­cipante possiede soltanto una somiglianza del partecipato, mentre la formalità esiste separata, fuori dei partecipanti, con la realizzazione suprema di tutto il proprio contenuto: partecipazione trascendentale analoga. Mentre la prima for­ma di partecipazione si avvera soltanto all'interno dell'ambi­to dell'ente finito, quest'altra è quella che vige fra l' ens e l' lp­sum esse subsistens, vale a dire, fra la creatura e il Creatore.

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Oltre alla somiglianza, la partecipazione comporta anche la composizione e poi conseguentemente la molteplicità, sia in ordine trascendentale che predicamentale, sia in quello dell'essere come dell'operare.

Il primo livello di composizione è quello dell'ente in quanto tale. Poiché I' ens non è I' ipsum esse, la partecipazione assume nel tomismo fabriano il valore di ratio propter quid nella dimostrazione della distinzione di composizione reale fra essentia et esse, come soggetto partecipante e atto parteci­pato. Lesse è dunque ciò che ha ragione di atto nella costitu­zione originaria dell'ente, essendo partecipazione di Dio in quanto atto puro e ipsum esse subsistens. In relazione ali' atto di essere, lessenza stessa ha il ruolo di potenza, in maniera tale che l'esse è atto e solo atto, e resta atto sempre in tutta la linea metafisica. Nel riconoscere e portare a fondo I' emer­genza dell'esse, il tomismo si mostra essere la metafisica della teoreticità pura dell'esse come atto, soddisfacendo l'istanza di Parmenide dell'indeclinabilità della verità dell'essere.

All'interno dell'ente finito si ha la partecipazione predica­mentale primaria (subiectum participat accidens) e secondaria (materia participat formam). La nozione di partecipazione rende ragione, allora, anche della moltiplicazione predica­mentale dell'essenza negli enti corporei e della sua realiz­zazione secundum .magis et minus, in ciò· che Fabro chiama «univocità formale e analogia reale». Lidentità formale è ga­ranzia dell'appartenenza alla medesima specie come grado di perfezione essenziale, ma la materia come soggetto reale del­la forma fa sì che questa si realizzi più o meno perfettamen­te, ciò che si esprime poi nelle diverse attuazioni accidentali proprie degli individui, e vale a fortiori per le specie nei con­fronti del genere: Omnia animalia sunt aequaliter animalia,

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non tamen sunt aequalia animalia, sed unum animai est altero maius et perfectius74•

La nozione di partecipazione non si esaurisce nella sola chiarificazione del momento della costituzione e struttura dell'ente, ma si estende fino al problema della fondazione e della produzione del medesimo, sia in ordine trascendentale che predicamentale: problema della causalità.

La causa propria 'tOU esse è l' ipsum esse subsistens: l' actus essendi è l'effetto proprio di Dio. Sennonché, pur rilevan­do che sarebbe assurdo attribuire a qualsiasi creatura una collaborazione strumentale nella produzione trascendenta­le dell'esse absolute, bisogna comunque accordarle una ve­ra incidenza predicamentale, indiretta, nella produzione dell'atto di essere, mediante l'eduzione della forma da parte dell'agente. In questo modo, il principio aristotelico forma dat esse acquista un nuovo significato alla luce dell'esse inten­sivo, nei confronti del quale l'essenza è e resta potenza: non solo la forma dà l'esse formale sive specificum, ma essa diventa anche il principium quo dell'acquisizione dell'atto di essere nell' ens per participationem, misurandone l'intensità (esse ut actus - esse in actu). Dunque, anche se nessuna creatura può causare l'esse absolute, la creatura può causare l'esse in hoc, in quanto la causalità seconda ha come termine la costituzione di un nuovo ens mediante l'emergere di una nuova forma, senza la quale l'esse partecipato non può essere: Omne esse est secundum aliquam formam75•

La .nozione di partecipazione permette di ottenere la più perfetta e precisa espressione del principio di causalità, in

74 TOMMASO o'AQUINO, De Malo, q. 2, a. 9 ad 16"m. 75 TOMMASO o'AQUINO, De Anima, q. 2, lect. 5, nr. 286 (Marietti).

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quanto, una volta che si siano capiti i termini della propo­sizione - «per participationem» e «per essentiam» - balza immediatamente agli occhi lappartenenza diretta di tali termini e non si potrebbe negare la relazione causale senza negare che il per participationem rimandi al per essentiam, ciò che sarebbe porlo e toglierlo nel contempo come «ens per participationem»; la formula si mostra inoltre essere la più valida per la difesa critica del medesimo principio, in quanto il soggetto «per participationem» abbraccia ogni tipo di ef­fetto, sia in ambito predicamentale che trascendentale.

Nell'ambito della conoscenza, l'itinerario gnoseologico per l'uso euristico e metodofogico della nozione di parte­cipazione è chiamato da Fabro riflessione intensiva e si trova in diretto collegamento con il metodo della metafisica, che non è la dimostrazione deduttiva, bensl la resolutio, e del quale la riflessione intensiva costituisce, a modo suo, qua­si la dimensione soggettivo-psicologica. Infatti, mentre nel processo di astrazione le formalità vengono isolate e riac­quistano nell'intelletto la purezza formale di estensione che avevano perduto nella loro realizzazione individuale, la ri­flessione metafisica procede in direzione inversa consideran­do le diverse formalità a seconda del loro modo di essere nella realtà. Tramite la riflessione intensiva ogni formalità viene a inserirsi gerarchicamente, secondo i diversi livelli e strati di perfezione, sullo sfondo dell' ens, e si mostra come un tutto virtuale che gli individui non riescono a realizzare se non parzialmente. Il fulcro della riflessione intensiva è la nozione intensiva di ens-esse, come plesso supremo di tutte le perfezioni e formalità.

Nella nozione intensiva di esse si tiene allora il significato risolutivo dell' ens in quantum ens aristotelico e l'espressione,

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sempre in maniera analoga e a infinita distanza, della pienez­za assoluta di Dio come ipsum esse subsistens, nella promo­zione suprema della valenza positiva dell'essere come atto. Da qui anche l'importanza metodologica della nozione di partecipazione, in via inventionis, nella celebre quarta via di san Tommaso - ove si vedono richiamarsi in saldatura onto­logica ascendente secondo la contrarietà metafisica i diversi gradi di perfezione, nella continuità metafisica degli esseri - la sua valenza decisiva per approfondire l'intima presenza, per via dell'esse partecipato, di Dio nelle cose per essentiam, nonché la fondazione speculativa ultima della causalità tut­toabbracciante che caratterizza la causa prima come causa di ogni essere, di ogni operare e di ogni causalità.

Per aver tematizzato e approfondito l'emergenza assolu­ta dell'esse come atto, Fabro ritiene che il pensiero· di san Tommaso sia l'unico a poter accogliere e soddisfare adegua­tamente l'esigenza heideggeriana del ritorno al fondamento (Ruckkehr in den Grund) come anche a sfuggire dall'accusa dell'oblio dell'essere (Vergessenheit des Seins). Sia il pensiero antico che la scolastica - dunque anche la scuola tomista - e il pensiero moderno hanno piegato l'essere nel contenuto - sia nell'essenza, sia nelle forme del pensiero: il pensiero antico, perché la scoperta del fondamento era ancora gra­duale e incipiente; la scuola tomista, perché ha tralasciato la precisa· terminologia dell'Angelico per usare quella pro­pria degli avversari, generando l'equivoco semantico dello scambio dell'esse per l' existentia, che poi ha finito per tradire la concezione tommasiana dell'esse come atto intensivo ri­ducendolo alla mera positio extra causas, e quindi una risul­tante dell'essenza; il pensiero moderno, perché altro non ha fatto che trasferire la fondazione della situazione dell'essenza

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posta fuori del nulla, dalla creatività divina alla soggettività fondante, in qualunque modo quest'ultima venga intesa.

Sempre in quest'istanza risolutiva,.Fabro sostiene inoltre che san Tommaso anticipa e soddisfa l'esigenza hegeliana del cominciamento (Anfang). Mentre Hegel, infatti, muove dal puro essere (das reine Sein), ch'è una mera astrazione, san Tommaso invece muove dall' ens eh' è il concreto in atto nell'esercizio stesso dell'essere, che pertanto «porta>> la sinte­si come tensione-distinzione di essentia et esse e conseguen­temente richiama la fondazione nel fondamento ultimo dell' lpsum esse subsistens, in modo tale che il primo plesso si converte nel primo nesso per l'ascesa speculativa verso Dio. Non è pertanto il Nichts hegeliano che è un mero momen­to logico e si esaurisce nella sola funzione di passaggio, né tanto meno il Nichts heideggeriano che si muove sulla fal­sariga della dialettica fenomenologica di presenza-assenza e resta ancorato alla presenza ontica dell'essere nel tempo, ma il «nulla reale» tommasiano a permettere di chiarire in ma­niera definitiva la sinteticità dell' ens.

I..:incontro con il plesso di ens si realizza nell'apprensione sintetica originaria, che è costitutiva dell'intellezione del re­ale in atto. Si tratta di un afferramento primario e prelogico, che non è da ridurre all'astrazione intellettuale né all'intui­zione sensibile, ma si realizza nella confluenza sinergetica di tutte le facoltà. Poiché infatti l'anima razionale dà al corpo lo statuto di «corpo urna.no», le facoltà sensitive non soltanto interagiscono, ma inoltre possono collaborare con l'intellet­to e la volontà, dal momento che sensus est quaedam defi­ciens participatio intellectus. In maniera speciale, corrisponde alla cogitativa, il senso interno confinante con l'intelletto, d'incorporare il significato all'immagine formata dalla fan-

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tasia per la preparazione dell'intellezione, e per rendere così possibile il contatto dell'intelletto con il concreto materiale nell'ambito percettivo (conversio ad phantasmata).

Il soggetto, in quanto conoscente, acquista allora una partecipazione formale-oggettiva alla realtà conosciuta, a seconda dei diversi gradi e specie di conoscenza, dal mo­mento che verum est perfectivum alicuius secundum rationem speciei. Invece, il bonum est perfectivum non solum secundum rationem speciei, sed etiam secundum esse quod habet in re76,

onde il volere fornisce al soggetto volente una partecipazio­ne reale-soggettiva all'oggetto voluto. Per questo motivo, al momento dell'introversione formale che caratterizza il co­noscere viene poi incontro l'estroversione reale che caratte­rizza il volere, cosicché il singolo io, come incomunicabile­comunicante e principio principiante esistenziale, si rivolge mediante la volontà, nell'esercizio personale e insostituibile della sua responsabilità, alla consecuzione effettiva del bene e del proprio compimento.

La nozione di partecipazione si mostra, così, capace an­che di fondare metafisicamente la dignità della persona. Poiché infatti ha una forma che è spirituale, l'uomo par­tecipa all'atto di essere non in maniera contingente come gli altri enti della natura, bensì in maniera necessaria, co­me ens necessarium ab a/io. Ora, perché la forma spirituale dell'uomo, come anche quella dell'angelo, ha l'esse con ap­partenenza necessaria, si può e si deve dire che la creatura spirituale partecipa all'esse intensivo nel grado della libertà. Questa espansione dell'intensività dell'esse nel grado della· libertà fa sì che l'esse «trasparisca» e «trabocchi» richiaman-

76 TOMMASO n'AQUINO, De Veritate, q. 21, a. 3.

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do la derivazio.ne dall'anima, nell'ambito dinamico, delle proprietà operative spirituali ovvero facoltà, che sono l'in­telletto e la volontà. Si ha dunque che la traduzione ope­rativa di questa sufficienza ontologica partecipata, propria dello spirito in quanto ens necessarium ab alio, è la libertà radicale, per la quale la volontà ha il dominio non solo del proprio oggetto, bensì anche del proprio atto, quindi degli atti di tutte le altre facoltà, incluso l'intelletto. Da qui l'ar­dita formula tommasiana che segna il passaggio al limite di tutto il pensiero occidentale e il superamento definitivo dell'intellettualismo razionalista: intelligo enim quia volo77•

Con questa formula, la libertà è liberata definitivamente dalle maglie del contenuto, nel senso che la libertà di spe­cificazione viene ricondotta fondativamente alla libertà di esercizio dell'atto, e questa ancorata all' emergenia dell'esse. Ne consegue che la dignità della volontà passa in primo piano, per cui la volontà va ritenuta la facultas princeps, essendo il primum motor omnium virium e la potenza della persona in quanto tale. Ed è per questa circolazione radi­cale e riflessa di dominio, che il libero arbitrio può essere anche chiamato «l'anima intera» (tota anima), in quanto tutte le facoltà soggiacciono al suo dominio e, sotto questo dominio, vengono sinergeticamente integrate per la costi­tuzione esistenziale della persona. Dire «lo» e dire libertà è, per Fabro, dire la stessa cosa: un Io non libero non è un Io, e una Ìibertà che non sia di un Io non è libertà. La libertà è la libertà dell'Io e l'Io è l'Io di una libertà. È pertanto innanzitutto nella libertà, come espressione dinamica della consistenza ontologica della persona, che va rintracciato il

77 Cfr. TOMMASO n'AQUINO, De Malo, q. 6.

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Il pensiero

suo essere ad Dei imaginem. E la libertà stessa è da dirsi, dunque, creatività partecipata.

In questa nuova e profonda lettura dei testi di san Tom­maso, Fabro si serve della rivendicazione kierkegaardiana, in decisiva polemica con Hegel, dell'atto della scelta come espressione della consistenza ontologica ed esistenziale del Singolo (der enkelte) di fronte a Dio, come anche dell' ori­ginalità della sua fondazione della. libertà nella divina on­nipotenza: dialettica qualitativa. Il primato della volontà si estende, allora, non solo alla sfera orizzontale dei mezzi, ma arriva inoltre alla sfera verticale del fine, per cui, fra il mo­mento astratto formale della sola tendenza al fine in com­muni, e quello della tendenza effettiva al fine, bisogna porre la scelta esistenziale del fine ultimo in concreto - che san Tommaso a più riprese chiama «determinatio .finis» e «sibi .fi­nem praestituere» - la quale si converte pertanto nell'atto più importante della libertà come creatività partecipata e inizia­tiva della soggettività, per la costituzione esistenziale della persona. Primato formale, dunque, e priorità «temporale» (ratione ordinis) ovvero psicologica dell'intelletto, ma prima­to metafisico, reale, dinamico ed esistenziale della volontà.

È nell'atto della libertà e nella rivendicazione del primato della soggettività che possono incontrarsi san Tommaso e luomo moderno. Il pensiero moderno però ha dissolto la consistenza ontologica della soggettività metafisica sia nel mito ontoteologico dell'assoluto impersonale - verticalismo razionalistico, idealismo - sia nelle strutture dell'evoluzione dialettica della materia - marxismo, che sulla scia di Feuer­bach vuole l'uomo un'essenza generica ( Gattungswesen) - sia nella semplice trascendenza ·orizzontale del farsi temporale e impersonale dell'evento (esistenzialismo, storicismo radica-

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le e relativismo culturale). Questa dissoluzione è una delle conseguenze del principio d'immanenza, che è il principio fondamentale del pensiero moderno, e che, a causa della sua natura espulsiva, non può non portare, ex natura sua appunto, all'ateismo. Lateismo è pertanto la conseguenza necessaria del principio d'immanenza in tutte le sue forme e derivazioni e direzioni della sua proiezione, indipenden.,. temente dalla buona volontà e dalla professione personale di teismo dei singoli autori «filosofanti», poiché in esso è il pensiero stesso riflettente a chiudersi, già in apertura, ad ogni prospettiva di vera trascendenza, escludendo Dio dal settore intenzionale della coscienza.

Se il principio d'immanenza si caratterizza per la sua esclu­sione di Dio, è allora assurda ogni pretesa di elaborazione di una teologia che a quel principio si richiami. Fabro contesta, dunque, fortemente la teologia progressista nei suoi nuovi progetti di dottrina morale e nel suo nuovo linguaggio ed er­meneutica esistenziale che, a suo giudizio, finisce per negare il contenuto di fondo della vera fede tramandata da venti se­coli. In maniera particolare; egli critica la svolta antropologi­ca (die antropologische ~nde) di Rahner smantellando la sua interpretazione dei testi di san Tommaso, secondo la quale il celebre teologo della Maréchal-Schule vorrebbe accostare san Tommaso al trascendentalismo kantiano.

In aperta opposizione con la teologia progressista che, se­condo lui porta alla sua dissoluzione del dogma e alla conte­stazione dell'autorità magisteriale, Fabro presenta la figura di alcuni santi, e dando particolare rilievo a santa Gemma Gal­gani, testimone del soprannaturale, la quale, con la sua par­tecipazione reale alle sofferenze di Cristo, insegna a vivere nel tempo rivolgendo lo sguardo all'eternità e orienta il credente

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verso la scelta radicale dell'Assoluto. Latto di fede, allora, che come espressione della libertà radicale costituisce la sintesi esistenziale della persona nel suo inserimento nel mondo, si eleva e ancora in un orizzonte e dimensioni che trascendono le forze della natura, e dà luogo all'atteggiamento esistenziale fondamentale ed essenziale che è la preghiera.

La partecipazione si trasferisce, in questo modo, all' or­dine soprannaturale, nel quale la grazia stessa si costituisce come partecipazione alla natura divina, per dare poi com­pimento alla persona, nell'eternità, tramite l'attingere: così, più perfetta è la partecipazione, e tanto più si converte in un raggiungere e toccare, attingere, appunto, mediante l' ope­razione. Lattingere è dunque la realizzazione suprema della partecipazione soprannaturale come contatto diretto di vi­. sione intuitiva e di possesso del Sommo Bene nell'assimila­zione e trasformazione suprema dell'amore beatificante.

Lasciamo l'ultima parola a Fabro stesso. Si tratta di un testo al quale abbiamo già accennato, senza citarlo, e che costituisce quella che ben potrebbe chiamarsi la sua «pro­fessione essenziale di tomismo essenziale». Il testo apparve per la prima volta nella Prefazione della prima edizione di Dall'essere all'esistente_, con data 25 marzo del 1956; riap­parve ancora più volte: nella Prefazione di Partecipazione e causalità, in Tomismo e pensiero moderno e poi in uno degli ultimi scritti, degli anni '90, poco prima della morte. Ciò significa la continuità dell'aspirazione nell'intensità della ri­cerca e il radicarsi della convinzione néll' approfondimento della riflessione: «Una volta che si riconosca, come si deve, la derivazione e deviazione onto-teologica della metafisica moderna dell'immanenza, con le sue propaggini, il compito del tomismo del futuro sembra debba essere l'approfondi-

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mento dell'esigenza dell'atto di essere, traendola dentro il problema essenziale del pensiero eh' è la fondazione del fini­to nell'Infinito: chiarendo così i propri principi della "meta­fisica dell'atto", non come una figura culturale transeunte ed isolata in sistema, ma come la sostanza perenne dell'umano filosofare in cui si dileguano le manchevolezze e le deviazio­ni dei sistemi. Ed è perciò al tomismo essenziale, più che a qualsiasi altra scuola di pensiero cristiano, che si addice tale unificazione dell'umana coscienza, dai frammenti del suo divenire storico, nella sua struttura teoretica univel'.sale»78•

78 C. FABRO, Libertà teologica, antropologica ed esistenziale, p. 25.

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Appendice

LIBERTÀ E PERSONA IN S. TOMMASO*

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Ha ragione S. Tommaso di appellarsi anche all'eviden­za immediata (manifeste apparentia) per confutare l'aver­roismo, lontano precursore del monismo idealistico ma in senso rovesciato. Ma si potrebbe anche porre la domanda:

* Il titolo è aggiunto a mano sul dattiloscritto, che abbiamo consultato insieme al manoscritto. Questo articolo - che ci mostra un Fabro ve­ramente efficace - costituisce la seconda parte di Atto esistenziale e im­pegno della libertà, in «Divus Thomas (P.)», LXXXVI, (1983), 2-3, pp. 125-161. Cintero studio doveva essere inserito Riflessioni sulla libertà, come consta dalle bozze; per motivi editoriali è stato tolto, e una parte è stata inviata alla Divus Thomas per la pubblicazione. Caltra parte è apparsa dopo in lingua spagnola sulla rivista «Gladius», 6, (1986), pp. 5-32, con traduzione di P. Arturo Ruiz, IVI, e viene qui pubblicata per la prima volta nell'originaleitaliano. Ringraziamo il «Progetto Culturale Cornelio Fabro» per averci gentilmente fornito il manoscritto, la cui pubblicazione era prevista per la serie delle Opere Complete. Rispettiamo con massima precisione il qiodo di numerare i paragrafi scelto da Fabro, come anche il suo modo di citare.

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il suo insistere sull'intelletto, come id quod est principale in homine, non ha contribuito a mantenere la convinzione che la nostra attività spirituale ha il suo fulcro nell'intendere, cioè nella scienza, più che nella libertà e nell'amore? E non è allo scopo di garantire la certezza assoluta della scienza e per debellare lo scetticismo che è sorta e si è affermata la filosofia moderna?1

Ma se l'uomo si rivela spirito ossia indipendente nella sfera della conoscenza e della scienza, quest'indipendenza diventa reale ed effettiva realmente, soltanto e soprattutto nella volontà mediante la libera scelta. Procediamo ora per gradi.

1. - Nella sfera del conoscere, l'indipendenza è di natura formale e statica e per questo si esprime mediante il verbo «essere»: se esso fosse dominante, bisognerebbe dare la su­periorità e precedenza ali' essenza sull'essere - quindi la for­mula suprema della verità sarebbe A = A, quindi il mondo è increato come per il pensiero greco e luomo è causa sui come Assoluto per il pensiero moderno. Il dominio o su­premazia del pensiero, eh' è il tarlo della civiltà occidentale ed in particolare dell'età moderna dominata dalla scienza e dalla tecnica, si è intromesso in dosi più o meno rilevanti an­che nel pensiero cristiano: non tanto e solo in Tommaso (e più nel Tomismo), ma (anche) in Bonaventura, in Anselmo e già nello stesso S. Agostino2• Contro quest'osservazione

Titoli caratteristici in questo senso sono il Discours de la méthode di Car­tesio, La Kritik der reinen Vernunft di Kant, le varie Wissenschaftslehren di Fichte, la Wissenschaft der Logik di Hegel.

2 Kierkegaard, mentre apprezza in Agostino la difesa della verità cristiana in forma di «autorità» (Myndighed) in quanto è verità divina (fournal

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Appendice - Libertà e persona in S. Tommaso

sul carattere statico del pensiero occidentale si può avanzare lobiezione della rivoluzione copernicana dei giudizi sinteti­ci a priori di Kant. Ma a questo si può osservare anzitutto eh' essa è stata superata all'interno dell'idealismo subito da Fichte e riportata all'identità di «lo è lo» in quanto l'Io pone l'Io; ma questo superamento del dualismo kantiano è costa­to il sacrifìcio dell'Io singolo come persona singola. Ma già in Kant il dualismo sia a livello teoretico come a livello pra­tico è statico perché sia lo «lo penso in generale» sia il sollen come dovere in generale sono analitici3: la sintesi erompe come bisogno e richiesta formale a priori della scienza e co­noscenza necessaria, della morale in generale e non a partire dal conoscere e dal volere del soggetto concreto. A suo mo­do anche Kant rimane averroista. Niente più statico quindi dell' apriori idealistico: lo dimostra anche il procedimento assolutamente riduttivo all'Io di Fichte che conosciamo, la dialettica della storia in Schelling ed Hegel che identifìca l'accadere della storia universale con la verità e la moralità. Di qui il «salto»4•

2. - La struttura statica e formale del pensiero è rivelata dal verbo «essere» che afferma l'appartenenza di presenza: per questo si può estendere al passato che non è più ed all'universale che non è proprio di alcuno perché si rife-

1853-1855, XPA328), gli rimprovera di aver preso il concetto di «fede» (Tro) dalla Repubblica di Platone (ibid. XP A 380; trad. it.3, n.ri 4420; 4445; t. XII, pp. 32 e 42). Ovviamente la posizione di S. Agostino sull'atto di fede è più complessa.

3 Perciò Kant parla della analytische Einheit der Apperzeption {Kr. d. r. Vér­nunft, B 133) ch'è presupposta alla sintesi.

4 Cfr. il testo esplicito di Hegel, Enzyklop. d. philos. Wiss., § 50 {ed. Jo. Hoffmeister, Hamburg 1959, p. 75).

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risce a tutti i soggetti di cui si predica allo stesso modo, benché esista in ciascuno diversamente. Infatti l'umanità ha un modo diverso di esistere non solo in Pietro e Maria ma anche in Pietro e Paolo - anche se sono fratelli, anche se impegnati nelle medesime occupazioni, anche se hanno gli stessi gusti ecc. ecc. Si può dire allora che il pensiero è livellante: anche quando mi rivolgo al singolo per cogliere i tratti individuali, di individuale c'è soltanto il riferimento al soggetto (la predicazione) ma le cosiddette «note indi­viduanti», che si possono rilevare, restano formali perché rilevate dall'esperienza soggetta al pensiero. Cosi dico che Pietro è un uomo di statura media, età 45 anni, comples­sione robusta, capelli brizzolati, forte memoria, intelligen­za media, indole quieta ... - tutte qualità ed attribuzioni che possono appartenere e appartengono di fatto a chissà quanti altri uomini ed è quest'appartenenza universale che mi sostiene e me li fa percepire presenti in Pietro - ma li percepisco dall'esterno; non ne percepisco l'intima azione e coesione nel loro scaturire - vedo dall'esterno e attesto cosi la loro presenza (o assenza) e basta. E questo vale tanto per i caratteri somatici quanto per le qualità psichiche, intellet­tuali e morali. Non colgo né posso conoscere la loro genesi dall'interno ossia il dinamismo del loro libero costituirsi, in strutture operanti, dall'individualità di ciascuno. Quanto al conoscere, neppure io e nessun uomo può conoscere la realtà dell'attuarsi di tutte queste realtà, anche di quelle che si compiono in lui, ma che non dipendono da una sua decisione per farle incominciare e mantenere in essere5•

5 Cfr.: Riflessioni sull.a libertà, Perugia 1983, spec. p. 57 ss. e 231 ss.

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3. - La stessa osservazione, che mi sembra in sé molto semplice, può prendere un'altra forma ch'è in sostanza uno sviluppo della precedente. Laltra forma è quella di identi­ficare il cogito col volo cioè superando il dualismo o nella «forma classica» dell'idealismo che vede il realizzarsi della libertà nell'elevarsi della coscienza ad autocoscienza nella forma di pensiero assoluto, o «nella forma irrazionalistica» ed esplicitamente atea di Feuerbach, Schopenhauer, Nietz­sche ... Infatti già nella prima formula che la libertà si attesta ed attua come passaggio da coscienza ad autocoscienza si afferma l'identità e quindi la staticità parmenidea dell'esse­re: il divenire appartiene al fenomeno nel suo ·porsi come «ex-porsi» nello spazio e nel tempo. E questo perché il fon­damento è l'essere formale cioè vuoto - in cui finisce ogni dialettica eh' è l'astrazione dell'essere inteso come copula fra S e P su cui fa leva ogni idealismo. Ma anche, e con evidenza pili immediata, nella formula irrazionalistica il fondamento è necessariamente statico: la volontà che si mette in primo piano come totalità e rappresentazione del mondo, ha il fon­damento nel nulla ch'è l'illusione ed il velo d~ Maya di cui è fasciata la vita e la coscienza dell'uomo. La realtà ultima è il nulla, quello che ci gira attorno e quanto si agita in noi è solo apparenza. Una scelta creativa in questa prospettiva ossia che decida il livello della realtà, non è possibile perché è senza senso: qui, il singolo non ha nulla da decidere non perché come nell'immanentismo idealistico dove già tutto è deciso nel tutto di quanto è passato e tutto si deciderà sempre nel tutto di quanto è futuro: qui non e' è nulla da decidere per nessuno perché tutto comincia dal nulla e tutto ritorna nel nulla di ogni cosa per «pagare il fio - come vuole Anassimandro - del suo essere».

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4. - La polemica di Fichte verso Kant per superare il punto morto, è molto istruttiva. Kant dice - scrive in un corso del 18126 - che lunità sintetica dell'appercezione, lo lo penso, deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni. Anche la W.-L. mostra lo lo come il fondamento di tutte le rappresen­tazioni. Ma Kant chiama quest'unità sintetica cioè l'unità che si realizza mediante la connessione del molteplice ... Invece per Fichte si tratta di una unità analitica sia perché essa è, non diviene, sia perché essa non è vista attraverso il molteplice ma è piuttosto il molteplice eh' è visto mediante essa. Essa non co­mincia mediante la connessione del molteplice, ma è questo che comincia con la distruzione, diffusione e divisione dell'uno sopra un molteplice mediante la forma di un divenire. Ogni molteplice dovrà mostrarsi mediante l'analisi dell'Una apparizio­ne e non lo comprenderemo veramente.se noi non lo comprendia­mo come tale. Solo in questa forma - che non è certamente quella di Kant- si può accettare il principio dell'unità sintetica dell'appercezione. Così lunità sintetica di Kant non è altro che una riproduzione (Nachbild = copia) dell'analitico.

Ma com'è che Fichte introduce di punto in bianco il «di­venire» (~rden)? Perché, come si è già visto, il Bild o im­magine primordiale è l'Io, un lo oggettivo (p. 210) e l'Io non è ma diviene, l'Io è principio nel quale e' è l'assoluto divenire (p. 203). Di qui la conclusione: «dire che tutto è visto come immagine, significa che tutto è visto nell'Io» (p. 215). Ma il fatto che l'oggetto è indicato come imma­gine eh' è intuita nell'Io nel suo urto o rimbalzo dal Non-lo conferma che il divenire ri$uarda sempre il contenuto· eh' è

6 Fichte, Ober da.s Verhaltnis der Logik zur Philosophie oder transzendentale Logik, VIII Vortrag; Medicus VI, 195.

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quello dato dall'immagine che viene «limitata» (beschriinkt), come Fichte faticosamente espone, nel darsi all'Io della pre­sentazione dell'apparizione (Erscheinung). Qui ancora tutto si stabilizza in quiete: dire che l'Io non è ma diviene, non è affatto contrapporre all'essere il divenire, poiché l'Io diviene in quanto immagine dell'immagine (Bild des Bildes) e conte­nitore d'immagini, come si è visto. Quindi il divenire nell'Io non è che il succedersi o depositarsi nell'Io dei· Bilder delle Erscheinungen ovvero un affermare l'essere delle immagini e affermarsi di volta in volta come l'essere di tali immagini. Si deve osservare poi e ripetere che anche per Fichte - come per tutto l'idealismo - l'Io è trascendentale: esso è possibilità a priori, e quindi impersonale, delle immagini che si costitui­scono in sintesi nell'unità analitica dell'Io stesso.

Il pensare nell'idealismo è statico per l'esigenza del princi­pio moderno d'immanenza: dove l'unica realtà è rappresen­tata dal mondo come oggetto e dall'uomo come soggetto, l'attuarsi dell'uomo è il suo rappresentarsi al mondo come soggetto impersonale ad un oggetto (impersonale) che si ri­solve di volta in volta in un riferimento di un soggetto im­mobile ad un oggetto immobile ossia post-factum.

5. - Fondare pertanto la verità sulla libertà, come ha fat­to il pensiero moderno, è capovolgere il significato origi­nario dei termini e del problema: la verità porta sull'essere, sulla presenza (o assenza) dell'essere, poiché è disvelamento dell'essere e sua manifestazione, come richiama Heidegger con un ritorno ai Greci. Ma è proprio Heidegger a definire «l'essenza della verità come libertà>/. La definizione può

7 M. Heidegger, ~m Wésen der Wahrheit, Frankfurc a. M. 19492, p. 12.

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essere comprensibile nel plesso del concetto capovolto di essere a partire dallo !eh denke di Kant al quale Heidegger guarda di continuo ed ha dedicato anche uno studio spe­ciale8: l'essere diventa così il presentarsi di una presenza, l'apparire del presente, grazie al comportamento ( Verhal­ten) del soggetto. Ecco che allora la verità o disvelamen­to della presenza del presente (Sein des Seienden = essere dell'essente) è funzione dell'apertura ( Ojfenheit) o aperità ( Ojferbarkeit) sempre aperta per ricevere ogni presente e attuarsi nella presenza ... E questa è appunto la libertà co­me disponibilità radicale, possibilità inesauribile ... di at­tuarsi di volta in volta (la]emeinigkeit). La verità non dice affatto più la «conformità» dell'intelletto con le cose, dei contenuti della mente con (i contenuti del-)la realtà, non è più un rapporto né del soggetto all'oggetto (realismo), né dell'oggetto al soggetto (immanentismo e idealismo), ma è «presenza» semplicemente e attuarsi di una presenza - essere semplicemente. I.:errore o piuttosto la non verità è il negativo di tale presenza ed il suo momento dialetti­co indispensabile come «non-ancora» (nicht noch). Siamo quindi ancora tornati all'essere statico.

Bisogna riconoscere perciò che ciò che Heidegger afferma di Kant (e dell'idealismo) secondo il quale l'essere è «una po­sizione» del soggetto, significa eh' esso è riportato all'interno del soggetto ossia si pone come un rapporto dell'oggettività dell'oggetto alla soggettività del soggetto, cioè come un rap­porto regressivo (Ruckbeziehung) allo lo pensante. Questo rapporto, che termina all'essere come posizione, a sua volta si mostra come una riflessione sulla riflessione ossia come

8 M. Heidegger, Kants These uber das Sein, Frankfurt a. M. 1962.

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un pensare del pensiero riferito alla percezione. Così risolve Kant il problema del rapporto essere e pensiero in continui­tà con la problematica di tutta la storia della filosofia ed in particolare con la concezione della metafisica tradizionale della existentia: «actus quo res sistitur, ponitur extra statum possibilitatis»9• Per Heidegger perciò Kant risolve l'essere con «posizione» e il pensiero (ponente l'essere, suppongo) con «riflessione della riflessione»: di qui l'identità di esse­re e pensiero. Ora l'essere concepito come posizione ed un essere-posto' dalla coscienza (nella riflessione della riflessio­ne) significa che lessere è un che di mediato dall'Io, dalla riflessione dell'Io ossia un che di posto dall'Io mediante l'Io - come spiegherà subito Fichte affermando che l'Io è l'Io ossia pone l'Io così che l'Io è un porre che ha per fondamen­to l'Io stesso eh' è quindi un esser-posto. E, come si è visto, questo è staticità in quanto tutto si svolge nel circulus eon­e/usus dell'Io. E così il problema della libertà - eh' è la novità dell'essere, la nuova produzione di essere - è spacciato per sempre.

e esistenza come posizione procede dall'interno dell'Io co­sì come nella metafisica formalista lesistenza era l'effetto (la posizione) della causalità totale di Dio. Qui la conseguenza era ambigua rispetto a Dio: (tutto e solo dipende dall'uomo) pelagianesimo e predestinazionismo (tutto e solo dipende da: Dio). La situazione è altrettanto ambigua: contingenti­smo radicale (del soggetto) e necessità radicale dell'evento nel Tutto.

9 M. Heidegger, Kants These uber das Sein, ed. cit. p. 32. Heidegger ri­manda per questo punto capitale al suo Nietzsche, Pfullingen 1961, Bd. Il, p. 417 ss.

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6. - La formula heideggeriana che «lessenza della verità è la libertà»10 non è altro che lesplicitazione del principio moderno dell'autonomia del soggetto e dell'identità dina­mica del cogito-volo la quale, in quanto è «circolare» {Hegel), si rivela nel fondo come staticità sia eh' essa venga riferita al circolo dell'Io (dialettica di coscienza-autocoscienza), sia che venga riferita al tutto (dialettica di particolare ed universale). I..:assorbimento della libertà {come Grund) all'interno del plesso della verità come sua possibilità ha per conseguenza lassorbimento delle opposizioni qualitative - come direbbe Kierkegaard - di vero e falso per la verità, di bene e male per la libertà. La Libertas indifferentiae in cui era sfociata la metafisica scolastica della existentia diventa così I' indifferen­za della libertà della Existenz-philosophie: vale anche qui il principio che capovolto lordine dei termini, il prodotto non cambia. Infatti lapertura, in cui si mostra 1' essere dell' es­sente come una presenza, si fonda {rimanda) sulla aperità - come si è già detto - la quale è intrinsecamente illimitata (anche se di volta in volta la presenza è sempre di un pre­sente in sé limitato - come ha dimostrato Fichte e già prima Kant con la funzione categoriale). Quest~ libertà, fondata a partire dalla aperità illimitata :-- che richiama l'aristotelico intelletto possibile (intellectus quo est omnia fieri) 11 - trova la sua attuazione e verifica nel «lasciar essere» lessere dell' es­sente eh' è l'indifferenza costitutiva radicale nel senso dello «scambio costitutivo» di conoscere e volere e pertanto di ve­rità e libertà.

1 O Seguo l'esposizione analitica che Heidegger dà in: vom Wésen der Wahrheit, II Aufl., Frankfurt a. M. 1949, p. 14 s.

11 De anima, III, 5, 430 a IO ss.

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Appendice - Libertà e persona in S. Tommaso

Così dalla complessità della sintesi kantiana, dalla enfasi della «analisi» fìchtiana della libertà che si attuano nel circo­lo interno all'Io, Heidegger ha riportato la libertà nel circolo esterno del presentarsi del mondo mediante il «lasciar esse­re - cioè il lasciar presentarsi - dell'essente» (Seinlassen des Seienden). Per questo ... la libertà è stata prima determinata come libertà per «I' aperibile di un (che di) aperto» nel senso che «la libertà dell' a peri bile di un aperto lascia· lessente di volta in volta essere l'essente ciò che è» e pertanto la libertà si manifesta ora come «lasciar-essere.dell'essente». E Heideg­ger spiega che qui «lasciar-essere» ha il signifÌC!'J.tO negati­vo del «prescindere da quàlcosa, del rinunciare a qualcosa, dell'indifferenza e addirittura dell'omissione»12• A questo modo Heidegger capovolge l'itinerario della Fenomenologia hegeliana la quale considera l'immediatezza esistenziale del «questo, qui, ora>> (dieses, hier, jetzt) come la sfera astratta dell'essere (Sein), mera parvenza (Schein), e pertanto come non-verità, così che la posizione della verità deriva dal «pas­saggio dialettico» al Tutto e all'Assoluto mediante il nulla. Anche per Heidegger, come per Hegel, lessere ed il nul­la sono [al livello della coscienza immediata] la stessa cosa: «Il nulla non rimane l'indeterminato opposto per lessente, ma esso si svela come appartenente ali' essere dell'essente. "Il puro essere ed il puro nulla è quindi il medesimo". Questa proposizione di Hegel13 è esatta. Lessere e il nulla (si) appar­tengono ma non perché essi - visti dal concetto hegeliano del pensiero - ambedue coincidono nella loro indetermi-

12 «Das Seinlassen von etwas hat hier den verneinenden Sinn des Absehens von etwas, des Verzichtens auf etwas, der Gleichgiiltigkeit und gar der Unterlassung» (Op. cit., p. 14).

13 Heidegger rimanda a Wissenschaftder Logik, I Buch (W.W. III, p. 74).

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natezza, ma poiché lessere stesso è nell'essenza finito e si manifesta soltanto nella trascendenza del soggetto umano che si è mantenuto fuori nel nulla.>> 14• E giustamente, nel suo contesto, Heidegger può affermare che qui «lasciar-essere - l'essente cioè come l'essente, che è - significa immettersi nell'aperto e nella sua apertura, nella quale ogni essente di­mora e porta quella [apertura] parimenti con sé». È questo, a suo avviso, che significa appunto il greco à-À.fl0ELa nel sen­so etimologico e originario di non nascondimento ( Unver­borgenheit) e pertanto di disvelamento (Enthullug, Entbor­genheit) dell'essere dell'essente. In questo significato della verità vale ancora il significato di «esattezza>> dell'asserzione (del discorso) nelpensare e riflettere a ciò che non è aricora compreso del non-nascondimento dell'essere. Ecco perché il «tenersi nell'aperto» garantisce il lasciar-essere dell'essente e si compie nell'uomo come esistenza: Dasein, Existenz. A differenza di Hegel e Jaspers che si richiamano alla Vernunft, Heidegger pone giustamente la libertà all'inizio ossia a fon­damento del primo presentarsi dell'essere.

Diverso è quindi anche il significato dell'identità di es­senza e di esistenza in Heidegger ed in Hegel ed in generale nella filosofia moderna: il più vicino (forse).mi sembra Hu-

14 «Das Nichts bleibt nicht das unbestimmte Gegeniiber ftir das Seiende, sondern es enthiillt sich als zugehorig zum Sein des Seienden. "Das reine Sein und das reine Nichts ist also dasselbe". Dieser Satz Hegels (Wissen­schaft der Logik, I. Buch, W.W. III, S. 74) besteht zu Recht. Sein und Nichts gehoren zusammen, aber nicht weil sie beide - vom Hegelschen Begriff des Denkens aus gesehen - in ihrer Unbestimmtheit und Un­mittelbarkeit iibereinkommen, sondern weil das Sein selbst im Wesen endlich ist und sich nur in der Transzendenz des in das Nichts hinausge­haltenen Daseins offenbart" (Was ist Metaphysik?, V Aufl. Frankfurt a. M. 1949, p. 36).

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me con la sua teoria della fondazione delle ldeas sulle cor­rispondenti lmpressions come «distinte esistenze», ma non è questo ciò che ora c'interessa eh' è la chiarificazione del fon­damento della libertà e rispettivamente della libertà come fondamento. Essa si è chiarita come il disvelarsi (apparire) dell'essere garantito dal lasciar-essere dell'essente che così viene allo scoperto dello «eksistieren». Existenz pertanto non significa qui existentia nel senso dell'accadere (Vorkommen) e semplice «esserci» (Da-sein) come il trovarsi a portata di ma­no (Vorhandensein) di un essente. E neppure Existenz signi­fica qui «esistenzialmente lo sforzo morale dell'uomo per il suo lo rivolto alla sua costituzione somatofisica». Niente di tutto questo: la verità come libertà ha fatto il suo comincia­mento nel momento in cui il primo pensatore ha avvertito il manifestarsi dell'essente nel Tutto come cj>umç e si è posto perciò la questione: «cosa sia lessente» (was das Seiende sei).

Ma a questo modo anche il significato dell'uomo come «soggetto» è capovolto e l'Io stesso non può affatto presen­tarsi come il «contenitore», secondo la pitt~resca espressione di Fichte soprariportata. Se infatti, spiega Heidegger, lo es­ser-ci ec-sistente come il lasciar essere lessere libera l'uomo alla sua «libertà» in quanto essa gli pone in generale anzitut".' to la possibilità (l'essente) di scelta e l'incarica del necessario (l'essente), allora il capriccio umano non dispone più della libertà. Non è più l'uomo che «possiede» (besitzt) la libertà «come proprietà» (als Eigenschaft), ma al massimo viceversa: la libertà, lo esser-ci ec-sistente e disvelante possiede l'uomo e questo in modo così originario eh' essa soltanto conserva ad una umanità il rapporto che fonda anzitutto e caratterizza tutta la storia nel Tutto come tale. È la verità come apertu­ra che, per noi, si qualifica come inclusione dell'uomo nel

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tempo. E Heidegger può concludere: «La libertà cosl intesa, come il lasciar-essere dell'essente, riempie e compie lessenza della verità nel senso di disvelamento dell'essente. La "ve­rità" - conclude - non è una proprietà della proposizione esatta eh' è predicato di un "oggetto" da parte di un "sogget­to" umano e che allora "vale" ovunque, non si sa in quale ambito; ma la verità è il disvelamento dell'essente mediante il quale si mostra un'apertura. Nel suo aperto è esposto ogni comportamento umano e la sua condotta» (p. 16). Soltanto che allora, osserviamo noi, tale comportamento e tale con­dotta non offrono più alcun problema di norma, dovere, impegno, obbligo, incitamento ... che non sia quello origi­nario e neutro di «lasciar essere l'essente» ossia del semplice «stare a vedere» di Hegel (rein zusehen) 15•

Heidegger conosce e discute la nozione tradizionale di ve­rità come adaequatio intellectus et rei (ad rem) la quale nella formula di adaequatio intellectus humani ad rem, eh' è la ve­rità ontologica suppone la verità metafisica come adaequa­tio rei ad intellectum: in ambedue i significati la verità è un «indirizzarsi verso» e la verità è quindi [un rapporto di] esat­tezza16. Ma l'una non· è il semplice rovesciamento dell'altra poiché sia la res come lo intellectus sono nell'una e nell'altra pensati in modo diverso. E questo diventa chiaro quando le due definizioni vengono riportate alla loro origine prossima ch'è la fìlosofìa cristiana. medievale. Infatti la veritas come

15 «lndem das BewuBtsein sich selbst priift, uns auch von dieser Seite nur das reine Zusehen bleibt» (Hegel, Phii.nom. des Geistes, Einleitung, ed. Jo. Hoffmeister, p. 72).

16 Il tedesco ha un bel gioco di parole: «Sichrichten nach ... und denken somit die Wahrheit als Richtigkeit» (Op. cit., p. 7) che non si può ren­dere in italiano.

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adaequatio rei adintellectum non significa già i pensieri pos­sibili trascendentali di Kant sul fondamento della sogget­tività della essenza umana, così eh' essi «si indirizzano agli oggetti secondo la nostra conoscenza», ma secondo la fede teologica cristiana ossia che le cose in ciò che esse sono. e se esse sono, sono soltanto in quanto esse come create (ens cre­atum) corrispondono alla idea prepensata nello intellectus divinus, cioè nello spirito di Dio e sono quindi giustificate dell'idea {esatta) ed in questo senso «vere». E continua: un «ens creatum» è anche lo «intellectus humanus». Esso deve soddisfare alla sua idea come la presenza eh' è stata concessa all'uomo da Dio.

La spiegazione heideggeriana può considerarsi con la cri­tica immanente alla metafisica essenzialistica che fonda la libertà da una parte sulla triade di contingenza-indetermi­natezza-indifferenza da parte dell'uomo e sulla causalità fon­dante e infallibile da parte di Dio, allineati su di uno stesso piano metafisico mediante l'identificazione appunto del pia­no metafisico della prima origine e struttura dell'ente e del piano esistenziale dell'auto porsi della libertà eh' è proprio del soggetto umano {spirituale) come tale. Ma l'intelletto, con­tinua invece Heidegger, è conforme all'idea17 soltanto per questo eh' esso nelle sue proposizioni compie l'assimilazione di ciò eh' è pensato alla cosa, la quale per suo conto dev'essere conforme all'idea [divina]. La possibilità allora della veri­tà della conoscenza umana si fonda, se ogni essente è una «creatura» (geschopfliches), in questo che la cosa e la propo­sizione corrispondono all'idea (ideegerecht) in egual maniera e pertanto dall'unità del piano divino della creazione l'una è

17 Così traduco: Ideegerecht.

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riferita all'altra. Se non che - osserviamo a questo proposito alla deduzione semplicistica di Heidegger - l'uomo, anche il cristiano più fervente e convinto della causalità universale di Dio, non sperimenta alcun rapporto diretto con l'idea divi­na che gli sia di aiuto e guida nella sua ricerca sul piano esi­stenziale: fuori dei concetti e prin~ipi formali, i quali di per sé non offrono da soli nessuna garanzia per il conseguimento reale della verità di fatto e fuori dei fatti immediati che bat­tono alle finestre della sua multiforme esperienza, egli deve -anche il cristiano - cercare la verità a proprio rischio e peri­colo, soggetto perciò ad incertezze e dubbi, sbandamenti ed errori. Quando perciò Heidegger conclude: «La veritas co­me adaequatio rei (creandae) ad intellectum (divinum) dà la garanzia ( Gewiihr) per la veritas come adaequatio intellectus (humani) ad rem (creatam). Nella sua essenza la veritas si­gnifica dappertutto la convenientia, l'accordarsi dell'essente fra sé come una creatura col suo creatore secondo la determi­nazione dell'ordine della creazione» (p. 8). Niente affatto! La deduzione di Heidegger può valere per una concezione della verità secondo la harmonia praestabilita di Leibniz oppure forse per un' ontologismo od esemplarismo rigido: non certo per il realismo tomistico che attinge la verità dell'essere, così come dei primi concetti e principi, nella apprensione diretta dello ens. Il problema stesso dell'esistenza di Dio, e tanto più quello dei suoi attributi e della actio ad extra (creazione) viene in un secondo tempo: la metafisica tomistica procede in forma di spirale dal finito all'infinito e non si chiude nel «circolo dei circoli» come il pensiero moderno.

Si può essere perciò d'accordo quando, nel seguito del te­sto, Heidegger dichiara che« ... questo ordine può ora anche essere rappresentato in modo universale e indeterminato co-

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me "ordine del mondo" (als Weltordung), prescindendo dalla tesi della creazione». Laccordo però viene subito a mancare quando Heidegger pretende di sostituire l'ordine della cre­azione, concepito secondo la teologia, con una non meglio precisata - e che ha tutta l'apparenza di essere postulata -«progettazione di tutti gli oggetti mediante la Ragione uni­versale (P/,anbarkeit aller Gegenstiinde durch die Weltvernunft) la quale dà a se stessa la legge e pertanto rivendica anche la immediata comprensibilità del suo procedere». Qui i punti oscuri sorgono dalla coerenza stessa, gravemente compro­messa a mio avviso, dal discorso heideggeriano. Infatti:

a) Non si vede come Heidegger, che non si appella mai anzi respinge la onto-theologia di Hegel, introduca con un colpo di pistola la Weltvernunft la cui parentela stretta con il Weltgeist hegeliano non sfugge a nessuno18•

b) Non si vede come in una filosofia che riduce il Sein alla «presenza» del semplice darsi (es gibt) del reale si possa par­lare con fondamento di una Weltordnung, la quale suppone una struttura ed una strutturazione del cosmo. Sarà ancora l'Assoluto hegeliano che s'intrufola nell'esistente «dietro le spalle»19 senza eh' egli sappia come ciò gli accada?

e) La Weltvernunft dà a se stessa la sua legge: che significa? Il problema è quello di spiegare, e pertanto fondare, l'ordine del mondo così da garantire al pensiero un senso ed una co­erenza. Ora dire che la Weltvernunft dia a se stessa un ordine, questo può significare: 1. o eh' essa stessa si struttura per se stessa (com'è proprio della metafisica idealistica) ed allora il

18 Altrove Heidegger attribuisce questa Weltvernunft all'Illuminismo, in contrasto con la metafisica greco-cristiana della creazione (Cfr.: Nietz­sche, Pfullingen 1961, Bd. I, 478).

19 Cfr. Hegel, Phiinom. des Geistes, Einleitung; ed. Jo. Hoffmeister 74.

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mondo continua come tale ad essere e mantenersi caos. - 2. Oppure la Vernunft penetra la Welt, come la «luce» rompe la tenebra e illumina i corpi -l'immagine del Licht è frequente nell'idealismo romantico20 - così da identificarsi col mondo stesso. Ma allora è un postulato senza fondamento, un «deus ex machina» che ha contro di sé la protesta del male, della morte e di tutti gli orrori e gli errori dell' esistenza21 •

d) Come allora la Weltvernunft possa rivendicare la «immediata comprensione del suo procedere», Heidegger non lo spiega ma si limita a dichiarare: la verità effettiva (Sachwahrheit) significa sempre la concordanza (Einstim­migkeit) della cosa presente con il suo «concetto razionale dell'essenza», è un girare attorno al pozzo fin quando non si spieghi l'origine, la natura ed il comportamento di sif­fatta Weltvernunft che ora è chiamata a fare le funzioni di Wesensvernunft.

8. -Nella posizione heideggeriana di fare della verità una funzione della libertà, il presupposto del pensiero moderno dell'essere come un essere-posto dal pensiero «Va a fondo» secondo lespressione di Hegel: la libertà è la stessa indeter-

20 Si vedano p. e. le riflessioni sulla luce, cosparse ovunque in Fichte (vedi l'Indice, s. v. di Medicus VI, p. 661). Per Hegel basti rimandare alle sezioni sul Licht in Enzyklop. §§ 275-278; 317-320. Al§ 324 la luce è detta la «realtà dell'Io astratto» (Nicolin-Poggeler 269). Heidegger parla della «illuminazione dell'essere» (Lichtung des Seins) ch'è il trovarsi at­tivo nel «disvelamento dell'essere» da parte del Dasein nel mondo e nel tempo. Un'esposizione sintetica si trova in: Fr. W. Herrmann, Die Selb­stinterpretation Martin Heideggers, Meisenheim am Glan 1964, p. 11 ss.

21 Cfr.: Dio e il male, Asprenas, 3-4, Napoli 1981, p. 301-329. Anche:

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Peguy. Il mistero dei Santi Innocenti, in «Momenti dello spirito», Assisi -S. Damiano 1983, t. Il, 212 ss.

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minazione della coscienza che sta a monte della sua attività e ch'è quella in fondo la quale permette di scoprire l'identità di essere e nulla. Essa fa capo perciò a questo nulla che in Hegel ha ancora il richiamo al dogma biblico della creazione dal nulla che Heidegger invece - come si è visto - intende esorcizzare al fine di pianificare senza residui ogni contrap­posizione di essere e pensiero, di essere e nulla, di essere e apparenza... cosl come di ragione e volontà e di pensiero e libertà22• La libertà è il fondamento del pensiero cosl che la libertà di pensiero ha per oggetto e scopo lo stesso pensiero della libertà. Questo capovolgimento sistematico del «cogito­volo» in volo-cogito, già operante nell'idealismo metafisico di Fichte, Schelling, Hegel23, ottiene la sua resolutio nella «vo­lontà di potenza» di Nietzsche che compie l'opera di svuo­tamento del Begriff idealistico intrapreso da Schopenhauer. Secondo Heidegger questa risoluzione del pensiero nella vo­lontà risaliva a Leibniz il quale aveva concepito « ... lessenza dell'essere come l'unità originaria di perceptio e appetitus, come rappresentazione e volontà»24• Al pensar (di) pensare dell'idealismo speculativo succede cosl il voler (di) volere del Wille zum Wille che diventa il Wille zur Macht di Nietzsche, eh' è la formula ultima e scoperta della svolta antropologica.

Qui sorge, per la nostra ricerca, il prob_lema del rapporto fra intelletto e volontà nell'intento di caratterizzare il mo­mento specifico della libertà. I..: inchiesta si pone a due livelli:

22 Cfr.: M. Heidegger, Oberwindung der Metaphysik, in: «Vortrage und Au­fsatze» § 8, Pfullingen 1954, p. 78.

23 Schelling aveva proclamato: «Non c'è nell'ultima e suprema istanza altro essere dal volere. Volere è l'essere originario» ( Untersuchungen uber das WCsen der Preiheit: Werke, ed. cit. I Abt., Bd. VII, p. 3SO).

24 M. Heidegger, Nietzsche, Pfullingen 1961, Bd. I, p. 45.

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anzitutto a quello del rapporto fra volontà e conoscenza, poi a quello fra volontà e libertà ed il secondo ovviamente di­pende dal primo. Osserviamo subito che «porre» il rapporto fra volontà e conoscenza è «supporre» una distinzione fra i due atteggiamenti dell'Io che il pensiero moderno ha identi­ficato, mentre il pensiero classico li concepiva con Aristotele come due attività diverse dovute a due facoltà distinte. Fin quando allora - per rispondere al secondo problema - si ammette che la volontà non solo presuppone ma «dipende» intrinsecamente dall'intelletto ossia che il suo agire è intrin­seco al cogito ed una sua funzione, il volere non tanto si ri­solve nel conoscere quanto ~ come si è visto - il conoscere nel volere. In Leibniz, come si è detto, agere e percipere coin­cidono nell'Idea, nel rappresentare (Cfr. la produktive Ein­bildungskraft di Fichte). In Kant la volontà è quella facoltà appetitiva che opera secondo concetti. Questa concezione è (o sembra) superata nell'idealismo: per Hegel sapere e volere sono la stessa cosa: ciò significa che il vero sapere è anche agire, ed agire è soltanto nel sapere. Per Schelling il princi­pio, che vuole nel volere, è l'intelletto. Allora anche qui la bilancia torna a pendere dalla parte del sapere e dell'intelli­genza. Secondo Heidegger invece qui c'è una novità, rispet­to alla tradizione intellettualistica dell'Occidente, questa: per l'idealismo «sapere» ( Wissen) è aprirsi ali' essere e questo è volere. Nel linguaggio di Nietzsche «volere» è un affetto (Ajfekt), poiché« ... volere è ordinare (Befehlen) ma ordina­re è un determinato affitto (quest'affetto è una «improvvisa esplosione di forze» - eine plotzliche Kraftexplosion) - che suppone di avere davanti agli occhi, quindi di rappresentarsi (sich vor-stellen), una certa cosa. _Quindi anche qui non si sfugge all'intellettualismo.

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Più positiva - secondo Heidegger - diventa la concezione che Nietzsche presenta della volontà come «anti affermazio­ne» ch'è la «volontà di potenza» (Wille zur Macht). Si tratta quindi di passare dall'essere (di coscienza, cioè come spirito) come volontà ali' essere come potenza, forza ... che Heidegger trova già indicato - con profondo intuito - nelle nozioni aristoteliche di buva.µLç, ÈVEQYELa., ÈvtEÀ.EX,Ei.a. del libro IX della Metafisica, alle quali si collega e avvicina (a suo avviso) il nuovo concetto di Nietzsche molto più delle concezioni della Scolastica. Heidegger osserva a questo proposito: «Non si esagera se si dice che di questa dottrina di Aristotele noi oggi non comprendiamo e presentiamo più assolutamente nulla. La ragione è semplice: s'interpreta questa dottrina an­zitutto con laiuto delle corrispondenti dottrine della fìloso­fìa medievale e moderna le quali per parte loro sono soltanto un capovolgimento ed una caduta (Abwandlung und Abfall) da quelle aristoteliche e pertanto non sono adatte a fornici un punto di attacco per un comprendere»25•

Non trovo più in Heidegger I' avvertimento dello scoglio in cui incappò Aristotele quando nell'Etica Nicomachea dichia­ra la sua incertezza se la scelta appartenga in proprio all'in­telletto od alla volontà e qualifica perciò la scelta tanto come «intelletto appetitivo» quanto come «appetito intellettivo»26•

Non vediamo perciò come Heidegger trovi la strada per fon­dare l'affermazione dell'originalità della libertà.

25 M. Heidegger, Nietzsche, ed. cit;, Bd. I, p. 78. 26 ilLÒ 'i\ ÒQEX't'Lxòç voflç i} 3TQOClLQEOLç 'i\ OQd;Lç [)LaVO'YJ't'LXTJ. Un po'

prima aveva detto: 3TQclSEOOç µÈV OVV ÙQ'.)(.TJ 3TQOClLQEOLç - 00EV Tj xi'.vriotç àA.A.'oùx où ~vexa - 3TQOaLQéoeroç M oQesLs; xal 6 Myoç 6 evexa -rLVoç (VI, l, 1139 a 31-33).

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La conclusione paradossale, alla quale sembra che siamo arrivati, è che· una volontà-libertà dipendente totalmente dall'intelligenza così come un'intelligenza totalmente di­pendente dalla volontà, non lasciano spazio per la «libertà di scelta»: lo scoglio è comune, benché non allo stesso mo­do, tanto alla filosofia cristiana quanto per le altre filosofie non-cristiane, prima e dopo Cristo. Lo scoglio per la filo­sofia cristiana si fa più evidente dal lato della causalità ossia per il fatto che la creatura spirituale opera· in dipendenza della scienza (pre-scienza) e della causalìtà che Dio ha ed esercita sulla creatura. Infatti, benché sia vero che sul piano metafisico la causalità divina non solo non pregiudica ma anzi fonda e sostiene l'esercizio della libertà, si deve dire che sul piano esistenziale - come· già si è detto - quest'in­flusso non è computato perché esso è sottratto per defini­zione - in quanto di ordine metafisico - alla presenza di coscienza. Nella coscienza dell'atto umano sono presenti e ad esso concorrono l'Io, la sfera conoscitiva (sensi e intel­letto) e la sfera tendenziale (appetito sensitivo e volontà). Nell'Io si fronteggiano (collaborano, si attraggono e si re­spingono ... ) due sfere di attività: il conoscere ch'è la sfera dell'essere ed il tendere eh' è la sfera del bene. Ora l'essere dell'essente quand'è indicato come la «presenza del reale» (una tautologia) è evidente per tutti, colti e incolti così come anche eh' esso sia oggetto del conoscere in quanto è chiaro per tutti che conosco solo se, quando e perché avverto e ciò che avverto. E può essere anche riconosciuto nella riflessione come un agire e quindi per un «effetto» dell'attività dello spirito. Sul piano però dell'immediatez­za esisten.ziale il conoscere è un «aver presente» che vie­ne al soggetto dalla presenza dell'essere e, se torniamo a

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Appendice - Libertà e persona in S. Tommaso

chiamare il soggetto «lo»27, dobbiamo subito riconoscere che l'Io in tanto avverte la presenza dell'essere (di questo o quell'oggetto, persona, evento ... ) del mondo in quanto si distingue da esso. È superfluo dichiarare che su questo piano dell'immediatezza non si avverte né si può avvertire in senso proprio la presenza di Dio né come un che di «dato» né come un principio operante e presente ali' occhio interiore della coscienza.

Un'osservazione analoga vale per I' «lo voglio, desidero, cerco, amo ... » dell'attività tendenziale superiore, ma qui la faccenda sembra complicarsi perché io posso ben dire: «pen­so lessere dell'ente», perché l'ente l'ho sempre a portata di mano: il bene no - almeno ciò non sembra. Quando io pen­so lessere dell'ente che ho a portata di mano - p. es. questo raro albero di sughero, come mi accade spesso nelle passeg­giate alla Villa Borghese nei pressi del Laghetto - il pensie­ro riposa nel suo oggetto. Invece la volontà riposa nel suo oggetto, non quando si limita ad aspirare al bene di fronte ai beni che può progettare, ma quando li fa suoi ossia se li appropria e li possiede nella realtà - quando (nell'esempio indicato) mi decido a comperare .. , la Villa Borghese od al­meno il parco del Laghetto! Ma per arrivare a· questa decisio;.. ne, per compiere questa scelta - prescindendo dai problemi empirici eh' essa può comportare - il cammino della volontà

27 In polemica con la posizione averroistica dell'intelletto separato, e perciò impersonale, S.T. contesta « ••• quod talis copulatio sufficeret ad hoc quod hic homo intelligeret. [ ... ] Impossibile est ergo salvaci quod hic homo intelligat secundum positionem Averrois» (De unitate intellectus contraAverroistas, ed. Taur., nr. 220, p. 77 b).Anche: S. Theol. Ia, q. 76, a. I. A pari, anzi con maggior ragione si deve dire: <;Hic homo vult, amat ecc.»

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non può ridursi o adeguarsi in nessun modo direttamente a quello dell'intelligenza.

Si dice che l'oggetto dell'intelletto è l'essere dell'ente co­me vero, e questo è chiaro; parimenti che l'oggetto della vo­lontà è il bene, ed anche questo è chiaro - od almeno sembra chiaro. Si aggiunge infatti che la volontà tende al bene in quanto appreso dall'intelletto ossia mediato dall'intelletto cioè si presenta tome bene grazie all'intelletto e quindi - la conclusione non è affatto una forzatura sillogistica - l'intel­letto nell' ens non apprende cioè avverte e presenta soltanto la ratio veri, ma avverte e pone anche la ratio boni et finis sia in communi come in particulari. A questo modo non si sa cosa resti da fare più alla volontà, e quale possa essere il cam­po della libertà di scelta: il determinismo quindi, così come l'indeterminismo, sono sempre in agguato in ogni conce­zione che subordina - non diciamo «condiziona», nel senso già sopra indicato e che ora spiegheremo - la tendenza della volontà al bene, ali' apprensione del bene da parte dell'intel­letto. Bisogna pertanto battere un'altra strada che non può essere che quella dell'Io come principio assoluto della strut­tura esistenziale a cui abbiamo accennato trattando dell' ap­prensione dell'essere e che ora dobbiamo affrontare nel suo momento decisivo.

Per sfuggire alla morsa della necessità dell'Io trascenden­tale Nietzsche ha proposto la «filosofia dei valori», in quanto il valore (Wért) è l'oggetto proprio della volontà. Ma, senza entrare ora in discussioni complicate, basti notare che per Heidegger anche Nietzsche ricade - e· inevitabilmente - nel circolo dell'identità di essere =bene e di verità= giudizio di valore e viceversa - d'accordo quindi con Kant. Nella Kritik der reinen Vernunft si legge infatti che la verità va intesa come

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Appendice - Libertà e persona in S. Tommaso

«accordo della conoscenza con il suo oggetto»28• Ora, mal­grado le apparenze, Nietzsche è in fondo su questo d' accor­do con Kant e con l'intera tradizione occidentale ossia che la «verità è esattezza» (Richtigkeit) come si è visto. Infatti Niet­zsche, osserva Heidegger, si muove a partire dal presupposto del «giudizio di valore>> ... come essenza della «verità» («Die Wertschiitzunf/> ... als Wesen der «Wahrheit»). Questo signi­fica: lessenza della verità come esattezza (l'esattezza come tale) è propriamente un «giudizio di valore». In altre paro­le Nietzsche risolve anche il giudizio di valore nell'esattezza ch'è l'essenza della verità come «conformità» dell'intelletto con le cose (realismo) o con i suoi oggetti (idealismo) - una volta che «giudicare» è sempre e dappertutto un «tener.,-per­vero o un tener-per-non-vero»29• E così si ricade nel primato dell'intelletto e la stessa libertà diventa l'attuarsi dell'essere. A questo modo il cerchio torna a chiudersi.

Ora si comprende meglio perché anche Heidegger rimane imbrigliato nel cerchio intellettualistico del cogito-volo mo­derno. Ma se la filosofia è scienza, e dev'essere a suo modo, scienza non può avere altro esito: è vero che Heidegger respin­ge il carattere scientifico della filosofia e la vuole nell' aper­to dell'essere, ma è precisamente lessere considerato come l'alfa e l'omega della riflessione che si pone nell'apertura del «sempre aperto» che ricostituisce il circolo dell'identità del­lo spirito. A questo punto sembra che la dottrina tomistica

28 «Was ist Wahrheit? ... die Ùbereinstimmung der Erkenntnis mit ihren Gegenstande» (A 58, B 82).

29 «Das Urteilen ist unserer lii.tester Glaube, unser gewohntestes Fiir-wahr­oder Fiir-Unwahr~halten» (Apud: M. Heidegger, Nietzsche, ed. cit. Bd. I, p. 514. Cfr. anche p. 546 s.). Sulla di critica di Heidegger alla Filosofia dei valori, v.: Op. cit. Bd. Il, p. 98 ss.

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dei trascendentali ossia del rapporto di appartenenza dello ens allo unum, al verum ed al bonum possa aprire uno spi­raglio per sfuggire alla morsa del razionalismo o scientismo e dell'irrazionalismo della Lebensphilosophie di Nietzsche e delle fìlosofìe contemporanee. Ricordiamo i punti salienti del processo della deduzione tomistica dei trascendentali la quale, se sta agli antipodi della moderna come articola­zione interiore, conviene nell'istanza dell'unità dell'atto di coscienza e proprio in questo ed in quanto si mantiene in questo, sta, a nostro avviso anche il suo tallone di Achille qualora non si approfondisca la natura e la dinamica dell'at­tività tendenziale ed in particolare della volontà.

1. È vero che la dottrina tomistica compiuta dello ens - ch'è il trascendentale fondante - e dei trascendentali che lo seguono come fondati presuppone - come Heidegger ha osservato - discutendo il problema dell'essenza della verità - la dottrina teologica dell'esemplarità divina: si deve però anche affermare che l'impostazione iniziale e fondamentale può .;..... e a nostro avviso - deve anche prescindere per mettere prima le basi per quell'ascesa.

2. Come per il trascendentale moderno - ma con signi­ficato opposto, anche per il trascendentale tomistico: si può dire che non si occupa di oggetti ma del «modo» del presen­tarsi degli oggetti stessi. I trascendentali quali ens, res, unum, aliquid, verum, bonum ... non sono certamente da dire og­getti per il nostro intelletto come casa, cavallo, trireme ... ma sono i modi secondo i quali anzitutto o meglio soprattut­to la mente deve considerare la realtà per rendere possibile l'orientamento nella vita dello spirito. Essi possono anche

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dirsi «fondanti» e presupposti ad ogni conoscenza ulteriore - come il trascendentale moderno - ma non sono aprio­ri cioè forme a priori anticipanti di contenenza e funzioni universalizzanti: al contrario si presentano alla coscienza in dipendenza della presenza attuale del reale.

3. Inoltre a differenza del trascendentale moderno fon­dante originario eh' è unico - l' lo pemo in generale per Kant (lo so per Fichte, la volontà per Schelling, la Vernunft per Hegel..., come si è visto) - nel tomismo abbiamo prima il trascendentale fondante assolutamente ch'è l' em - al quale conseguono nella sfera statica la res che indica l'essenza ossia il contenuto e l'unum che indica l'indivisione del reale - e due trascendentali corrispondenti alle due facoltà del sog­getto spirituale che sono il verum per l'intelletto ed il bonum per la volontà di cui appunto stiamo trattando. Del verum si è già detto eh' esso non può essere il prius fondante nella coscienza se non alla condizione che sia il pensiero a fondare l'essere com'è il postulato del pensiero moderno il quale si è rivelato insostenibile se pretende di precedere l'eme assorbi­re in sé il bonum.

4. Mentre il trascendentale moderno è stato escogitato, e poi variamente indicato, allo scopo di poter pensare il reale in modo necessario, in funzione del conoscere scientifico: il trascendentale tomistico intende garantire anzitutto la realtà di presenza del reale, eh' è offerto nell'esperienza come ta­le, il quale può essere oggetto di riflessione ed elaborazione scientifica solo sulla base di quella presenza ed in un secondo tempo. Il reale infatti nel suo presentarsi non mostra affatto caratteri di necessità, ma è tutto immerso nella contingenza

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·sia della natura da una parte come dell'apprensione varia del soggetto dall'altra. Necessari e costitutivi sono invece i rapporti intrinseci al plesso di ciascun trascendentale: ens, unum, verum, bonum ... ed i principi formali corrispondenti (contraddizione, identità, terzo escluso ... ).

5. Il passo primo della mente secondo S. Tommaso, che in questo conclude gli sforzi più che millenari della metafi­sica occidentale, è l' afferramento da parte della coscienza del plesso di ens (il 'tÒ ov dei greci). Avendo cercato di chiarire altrove l'importanza di questo primo passo per la fondazione della metafìsica30, qui ci occupiamo soltanto di svolgere il problema dei trascendentali, in funzione della fondazione della libertà ed in particolare del passaggio dal piano metafi­sico a quello esistenziale eh' è il momento cruciale e insieme più arduo della nostra ricerca. Una prima osservazione, o piuttosto aspetto, è che dal momento che S. Tommaso fa del plesso ens il trascendentale fondante anche rispetto al bonum, anche questa fondazione portò alla staticismo di cui si è detto sopra.

6. Per S. Tommaso il plesso trascendentale di ens costitu­isce insieme il prius assoluto di afferramento e posizione ed il posterius assoluto di risoluzione o fondazione: «Illud quod primo intellectus concipit quasi notissimum et in quod om-

30 Cfr. p. es.: Il nuovo problema dell'essere e la fondazione della metafisica, in: «S: Thomas Aquinas 1274-1974», Commemorative Studies, Pon­tifìcal lnstitute of Mediaeval Studies, Toronto 1974, vol. Il, p. 423 ss. Vedi anche: Introduzione a San Tommaso, La metafisica tomista e il pensiero moderno, Milano 1983, spec. C. IV: I principi dottrinali, p. 96 ss.

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nes conceptiones resolvit, est ens»31 • Osserviamo subito a) che I' ens indica il reale (presente) in quanto ha un «contenu­to»: significa infatti id quod habet esse, ove id quod è lessenza in atto (habet esse) e l'esse è pertanto latto realizzante e per­ciò sostenente. e «manifestante» tale presenza. - b) così l' ens come id quod habet esse è insieme responsabile della presen­za del reale al soggetto conoscente: «Primum quod cadit in imaginatione intellectus est ens sine quo nihil potest appre­hendi ab intellectu, sicut primum quod cadit in credulitate intellectus sunt dignitates et praecipue ista, contradictoria non esse simul vera: unde omnia alia includuntur quodam­modo in ente unite et distincte, sicut in principio»32•

È vero che si resta· anche qui sul piano formale, e pertan­to statico; ma poiché I' ens è un plesso che riferisce il dato di esperienza e non una costruzione a priori, esso è dato e accolto dalla coscienza, dall'Io ossia dall'uomo nell'esercizio delle sue funzioni di soggetto spirituale.

7. Le funzioni fondamentali del soggetto spirituale sono lapprendere il reale nel suo contenuto formale e il tendere al reale nel suo contenuto reale; alla prima corrisponde il trascendentale verum,·alla seconda il bonum. Evidentemente l'uno e l'altro non escono ma coincidono, quanto al conte­nuto, col plesso di ens e qui si fonda secondo S. Tommaso la loro trascendentalità: essi sviluppano, si potrebbe dire, la presenza dello ens all'interno del soggetto spirituale secondo le sue due capacità («aperture») fondamentali.

31 De Veritate q. I, a. 1; ed. Leon., Roma. 32 In I Sent. 8, I, 3: Mandonnet I, 200. Per uno sviluppo, rimando al

saggio: Per la determinazione dell'essere tomistico, in «Tomismo e pensiero moderno», Roma 1969, p. 262 ss.

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8. La spiegazione però che ne dà S. Tommaso, almeno per il verum, sembra di natura statica e questo si comprende. I..:aspetto profondo è anche per l'Aquinate la caratteristica dello spirito come «apertura infinita» secondo l'alta idea di Aristotele che l'anima «è in qualche modo [grazie all'intellet­to] tutte le cose»33• Un testo ove ogni termine rivela un valo­re sostanziale e pone un problema che interessa l'intera vita dello spirito che l'uomo non cessa di scrutare per orientarsi sull'enigma del proprio destino.

a) «È in qualche modo» (n<i>ç): il «modo» è anzitutto quello· di essere in potenza cioè di avere la capacità recettiva poiché in principio l'anima intellettiva umana è spoglia di ogni di ogni contenuto. Quindi deve procurarselo: a questo provvedono i sensi e l'intelletto, ma solo quest'ultimo, in quanto apprende l' ens ut ens, si può affacciare su tutto il fronte del reale.

b) Il «qualche modo», una volta che l'intelletto è in atto, è quello della presenza immateriale o intenzionale poiché « ... lapis non est in anima, sed species lapidis»34 eh' è un' an­ticipazione del Bild di Fichte. Quindi «è» significa «diventa>> ossia l'essere in potenza come capacità di essere che implica il «diventare». E così un contenuto spirituale «conviene» ad uno spirito e insieme mediante la species la mente «si confor­ma alle cose». S. Tommaso scrive stupendamente: «Sic ergo entitas rei praecedit rationem veritatis, sed cognitio est qui­dam veritatis effectus» e questo risolve in anticipo la critica

33 De anima, III, 5, 430 a 10 ss., spec.: 8, 431 b 21: ii 'ljlll)(T] i;à ovm :n:Wç ÈITT'LV. E in confronto con la funzione della mano: xaì. yàQ ii ')(.EÌ.Q

oQyav6v èo'nv ÒQy6.vwv, xaì. ò voilç eU>oç eLbcilv xaì. ii aì'.o0eOLç d6oç aLo0'1']'tcilv (432 a 1~3).

34 De anima, III, 8, 431 b 21: ou yàQ À.i0oç èv 'tfl '\jlll')(.fl, <ÌÀ.À.à i;ò e16oç.

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di Heidegger, poiché « ... ens non potest intelligi sine vero, quia ens non potest intelligi sine hoc quod concordet vel adaequetur intellectui».

e) «Tutte le cose» - Lespressione ha significato ovvio e insieme intricato al massimo. Lanima di nessuno diventerà mai tutte le cose, ma quelle soltanto che gli capitano a tiro, quelle a cui si applica. E poi e' è lanima propria, e lanima al­trui, e c'èDio ... : qui la presenza intenzionale col Bild non ha senso alcuno. Ecco il limite dell'intelligenza nella vita dello spirito che mette in dubbio la superiorità dell'intelligenza affermata dall'aristotelismo e seguita da S. Tommaso. E e' è . tutto il problema d'intendere in quale modo e senso si può parlare di «conformità» fra le cose reali sensibili o spirituali, e la loro presenza nell'intelletto in cui consiste il conoscere e quindi la loro verità appunto per l'intelletto. Aristotele par­la della «species» come intermediario ed i moderni del Bild come oggetto: sembra davvero poco per quel che dev'essere lattuazione della vita dello spirito.

9. A questa carenza del conoscere ch'è l'introverso forma­le dovrebbero supplire le facoltà tendenziali e specialmente la volontà eh' è estroversa sul reale e tende al conseguimento del bene com'è nelle cose: il bene infatti è la «convenientia entis ad appetitum», una nozione anch'essa assai vaga e ap­pena iniziale.

a) Si dice che il bene ha per il soggetto il carattere di «perfettivo» e quindi di fìne35: perfettivo certamente è anche il conoscere in quanto fa presente I' ens ma soltanto come «presenza formale» oV".'ero (nella terminologia dell' aristote-

35 Seguo ora: De ~r. q. 21, a. 1: ed. Leon. Roma 1973, fol. 593 ss.

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lico S. Tommaso) «secundum rationem speciei tantum» e non «secundum esse naturale» - perciò « ... unumquodque ens in tantum dicitur verum in quantum est conformatum vel conformabile intellectui» - una definizione che non va assolutamente intesa nel senso del trascendentale moderno che si fonda sullo lo penso («voglio») in generale, mentre qui si parte e ci si fonda sullo lntellectus il quale primo cogitat ens e si distingue cogito da volo, come lattuarsi formale dall' at­tuarsi reale.

b) Il «bonum» è detto perciò «perfectivum alterius non solum secundum rationem speciei sed etiam secundum quod habet in rerum natura» - e si precisa: «perfectivum et consummativum» in quanto «habet rationem finis respec­tu illius quod ab eo perficitur». E sta bene anche la defi­nizione aristotelica qui riportata: «Bonum est quod omnia appetunt»36 - la quale però si ferma al «fatto» e non tocca il modo proprio dell'attuarsi da parte dell'appetito cosl da portarsi alle cose nella loro realtà fisica, per dir così. Osser­viamo inoltre, in questo contesto, che proprio l'intellettuali­sta Aristotele afferma - e lo mette in capo alla sua metafisica: «Omnes homines naturaliter scire desiderant»37, facendo ca­pire - e questo è di estrema importanza per la nostra ricerca - che lattività tendenziale è più originaria e sta a fondamen­to nel soggetto per lo stesso conoscere.

e) Il «modo di rapportarsi ali' oggetto eh' è proprio dell' ap­petito, è espresso col termine «inclinatio» e «inclinari» ch'è letteralmente «piegarsi» e «curvarsi» ed in senso psicologico

36 La definizione è presa da Aristotele: Eth. Nic. I, 1, 1094 a 3: i:'à.ycx0òv o'Ò :n:cxvi:'ècpt'.ei:m.

37 Ilét.vi:eç av0QW:nm i:ofl EL~évm ÒQÉyovi:m cpUoEL (Metaph. I, l, 980 a 21).

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«essere attirati o attratti o trascinati» da parte di qualcuno o di qualcosa. Questo evidentemente esprime il momento iniziale dell'appetito quando si tratta di muoversi alla con­quista o conseguimento del bene e del fine, Ma S. Tom­maso assegna, con Aristotele, vari atti e atteggiamenti della volontà nella sua «inclinatio ad bonum» come il desiderio e l'intenzione, la scelta, il consenso, il godimento lfruitio), l'amore ... dove l' inclinatio ha un dinamismo di volta in volta diverso: chi ancora desidera, non è allo stesso punto di chi ha già fatto la scelta e chi gode, ha già conseguito il fine propo­stosi. E l'amore? Esso circola in tutta l'attività tendenziale e propriamente volontaria da principio alla fine. Lasciamo da parte lo appetitus naturalis fin quando è la spinta immanente ai corpi alle modificazioni (fisiche, chimiche, dinamiche ... ) proprie secondo la propria natura. Ma si tratta di un modo di parlare astratto, che dice poco o nulla nella realtà.

1 O. Più comprensibile diventa il discorso sull'amore nell' am­bito degli animali, dotati di conoscenza sensibile e dominati dall'istinto (dove anche l'amore è istintivo), e soprattutto per gli uomini che si elevano alla vita spirituale. Qui S. Tommaso esce con una dichiarazione di principio sorprendente, soprat­tutto per il contesto: cosa infatti significa l'amor naturalis ap­plicato alle pietre, all'aria, all'acqua alle piante, agli elementi... non è· facile capire, Un po' più comprensibile è l'amor nella vita degli animali che partecipano con gli uomini al conoscere ed al tendere, nel perfezionarsi biologico: ma qui il fonda­mento del tendere e dell'agire è dato e regolato in gran parte dall'istinto e sfugge alla sfera della libertà.

Profonda e inattesa è la presentazione dello amor intel­lectivus seu rationalis: <<Alius est appetitus consequens ap-

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prehensionem appetentis secundum liberum judicium; et talis est appetitus rationalis, sive intellectivus qui dicitur voluntas. In unoquoque autem horum appetituum amor dicitur illud quo est principium motus tendentis in fìnem amatum»38• Ma cos'è e come sorge l'amore? Il nostro testo fa un po' di luce, ma non rischiara ancora il vero nocciolo del problema:

a) Sta bene che anche nel volere lo « ... appetitus (sia) con­sequens apprehensionem», poiché se devo andare verso il re­ale per soddisfare gli impulsi e le aspirazioni della vita, devo sapere e vedere dove vado.

b) Ma che significa affermare che il tendere della volon­tà al (suo) bene dipende dalla libertà (secundum liberum ar­bitrium)? Lespressione credo sia propria di S. Tommaso e potrebbe darci la chiave del problema della libertà nella sua struttura esistc;:nziale. Un primo passo è quello di indicare il dinamismo dell'amore come « ... connaturalitas>> eh' è spiegata per i viventi dotati di conoscenza come «coaptatio» e questa è detta «complacentia appetibilis». Però si tratta qui di tre momenti distinti e quasi in progressione: la «COnnaturalitaS» corrisponde ali' assimilazione da parte del conoscere o avere la forma della realtà del mondo (nel caso del mondo co­noscitivo e dell'uomo in particolare) in modo intenzionale. Ma l'uomo nel suo aspirare e tendere intende raggiungere la realtà nei suoi contenuti effettivi ossia non va a compiacersi della presentazione o rappresentazione della cosa, ma è la cosa (o persona) come tale che l'interessa. C'è qui allora un «intervallo» (hyatus) fra la presenza della cosa al conoscere e il muoversi e attuarsi della sfera tendenziale.

38 S. Th., 1-11, q. 26, a. 1; ed. Leon. 155 b.

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c) In questo momento cruciale S. Tommaso sembra voler completare Aristotele con il platonismo di Dionigi (a. 2). È loggetto stesso (appreso come appetibile ossia come bene anzi come bene proprio - si badi alla progressione su cui torneremo fra poco) ad iniziare il processo: «Sic etiarri ipsum appetibile dat appetitui primo quidem quamdam coaptatio­nem ad ipsum, quae est quaedam complacentia appetibilis, ex qua sequitur motus ad appetibile. Nam appetitivus motus circulo agitur, ut dicitur III De Anima»39• Aristotele ritorna nello ad 2 per dirci che la unio dell'amante con loggetto amato est opus amoris. Un'affermazione ovvia ma tautolo­gica come quando dicasi che l'unione del conoscente con l'oggetto conosciuto è la conoscenza!

11. S. Tommaso infatti tenta un'analisi interna al processo della «nascita dell'amore» in un testo di estrema densità e pro­blematicità - almeno per parte mia: è la descrizione del «cir­colo» - ch'è un'immagine affascinante ma sospetta, come si è visto, di staticismo e razionalismo. Eccolo: <<Appetibile enim movet appetitum, faciens quodammodo in eo eius intentio­nem, et appetitus tendit in appetibile realiter consequendum, ut sit ibi fìnis motus uhi fuit principium»40• Bene, ma si può chiedere: a) che significa: appetibile «movet» appetitum? il ter­mine movere è del tutto generico, poiché indica il lfar) passare dalla potenza ali' atto. - b) la spiegazione: fociens se quodam­modo in eius intentione, è certamente profonda ma «di colore oscuro», per dirlo con padre Dante (lnf III, 10). Essa sembra

39 Leon. 156 a. Cfr.: De anima III, 1 O, 433 b 26: bLò bet &orreg Èv xuxì..cp µÉVELV "CL, xaì. ÈV"CEU0Ev UQJ(E00aL "CTJV 'X.LYrJOLV.

40 Leon. 156 b.

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significare che l'appetibile muove in quanto opera nel sog­getto una nuova forma di presenza <faciens se quodammodo in eius intentione). Ma cosa signific~ qui intentio se non l'essere o diventare oggetto del tendere del soggetto spirituale? Ma come? Il quodammodo del testo è un po' come un «vattelape­sca» e ci lascia a mani vuote. Il dire pertanto, nel seguito del testo, che « ... prima immutatio appetitus ab appetibili vocatur amor, qui nihil est aliud quam complacentia appetibilis» è un discorso circolare e non una nuova spiegazione. Il problema è intorno a quella «immutatio appetitus ab appetibili» che può avere una doppia risposta di carattere opposto:

1. -1' appetibile significa qui il contenuto dell'oggetto se­condo che è conosciuto dalla mente e si trova nella mente? ma l'oggetto come si trova nella mente è il verum non il bonum. Non è il verum come tale che può produrre la immu­tatio la quale deve essere intesa - mi sembra - nel senso della coaptatio e complacentia ex qua sequitur motus ad appetibile del periodo precedente.

2. - Se il determinarsi dello ens come appetibile è opera dell'intelletto, ossia se l'avvertire la coaptatio e il provare la complacentia che è ciò che costituisce per la volontà l' appeti­bile in atto è dato (causato) dall'intelletto, siamo davvero nel circolo, ma è il circolo dell'intelligenza e non c'è posto per la libertà come scelta. Di qui si comprendono le tesi tomisti­che della superiorità dell'intelletto sulla volontà e dell' essen­za della beatitudine nella visione intellettuale di Dio41 •

12. Uno spiraglio di luce sembra venire dal.seguente art. 3: Utrum amor sit idem quam dilectio, che nel «sed contra»

41 Cfr.: L'ordine morale in 19 tesi, Studi Cattolici 1984, nr. 276, p. 83 ss.

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celebra con Dionigi la superiorità dell'amore sulla dilezio­ne42. S. Tommaso si ferma su amor e dilectio in quanto essi indicano «atti» che sono propri della creatura razionale. Ora l'amore spazia ovunque e' è conoscenza, mentre la «dilectio - si badi bene alla distinzione e precisazione - addit supra amorem electionem praecedentem, ut ipsum nomen sonat». La distinzione è profonda come il solito, ma il nostro pro­blema eh' è quello dell'origine della Diremtion fra, il conosci­bile e 1' appetibile no ha fatto un passo. Fra i due e' è un «salto di qualità» tanto più evidente in S. Tommaso che pone una distinzione reale fra intelletto e volontà. Si può ammettere perciò che l'inizio del processo volitivo (motus) sia nell'avver­timento della coaptatio e che si manifesti con la complacen­tia mediante le quali diventa reale e movente la appetibilitas o attrazione del bene. Ma affinché questo si trovi inserito nell'attività della volontà, deve procedere anch'esso dalla vo­lontà ed appartenere ad un suo «circolo» proprio, diverso da quello dell'intelligenza: il cogito ens non può continuarsi ov­vero spingere se stesso ad iniziare il volo (amo) bonum. Tanto più che nel raggio di azione della volontà - anche secondo S. Tommaso - rientrano tutte le attività soggette alla coscienza ed in particolare quelle intellettuali (intelligo quia volo ... )43•

Il nodo del problema si concentra allora, per noi, sulla dialettica del circolo di amor-dikctio. Bisogna però riconosce­re che come l'intelletto, quale facoltà di apprendere l'essere dell'ente comincia da se stesso e che i sensi gli offrono, non

42 De divinis nominibus, c. 4, § 12: KahOL efo!;é 'tLOL i:&v xa8'ruwç LegoMyoov xat 8eL6i:egov elvm i:ò wil egoowç ovoµa wil i:f)ç àya:lt'l']ç (P.G. 3, 709 A. Nel Commento di S. Tommaso, v. lect. IX, n.ri 419-421).

43 Q disp. De Malo, q. VI, a. unicus.

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loggetto, ma la materia ex qua, analogamente, ma non pro­prio allo stesso niodo, la volontà come facoltà di tendere e raggiungere il bene, comincia da sé ossia che il motus verso il bene eh' è il «lasciarsi attirare» comincia in e da se stessa: anzi esso è lattività sua propria e fondamentale. Ed è un «atto», come anche S. Tommaso chiama «atti» lamore e la dilezione. Dire pertanto che la vis o potentia appetitiva e la stessa volontà è passiva, potrebbe avere un senso sistematico soltanto formale e non reale, anche S. Tommaso v'insiste44: ma può portare fuo­ri strada cioè rendere impossibile o inintelligibile non solo la libertà ma anche l'intendere. Questa situazione fa a pari forse con la prevalenza della causalità in metafisica come responsa­bile dell' essenzialismo il quale sul piano esistenziale dell'azione ha· portato al contingentismo e all'indifferentismo, come già si è accennato: per questo abbiamo intrapreso questo sforzo di raddrizzamento di una situazione nella quale è coinvolta gran parte d~lla teologia e fìlosofìa cristiana «come sistema».

Ora S. Tommaso, dopo aver distinto l'amore di amicizia che ha per termine la persona e l'amore di concupiscenza che ha per oggetto il bene che si vuole a favore dell'amico, passa a considerare la causa dell'amore45• La soluzione for-

44 È vero che S. Tommaso distingue tre forme di passività: « ••• a) communiter, secundum quod omne recipere est pati etiam si nihil abiiciatur a re [ ... ] Hoc autem magis proprie est perfici, quam pati. b) Alio modo dicitur pati proprie, quando aliquid recipitur cum alterius abiectione. Sed hoc con­tingit dupliciter. Quandoque enim abiicitur id quod non est conveniens rei, sicut cum corpus animalis sanatur, dicitur pati, quia recipit sariitatem, aegritudine abiecta. c) Alio modo, quando e converso contingit, sicut ae­grotare dicitur pati, quia recipitur infirmitas, sanitate abiecta. Et hic est propriissimus modus passionis» (S. Th. Ja_JJ••, q. 22, a. 1).

45 S. Th. I•-11"', 26, 4. S. Tommaso distingue l'amore di amicizia e l'amore di concupiscenza: quello ha per oggetto la persona alla quale noi vo­gliamo il bene, questo invece ha per oggetto il bene che uno può avere

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Appendice - Libertà e persona in S. Tommaso

male o risposta sistematica date le premesse, è prevedibile: è il bene la propria causa dell'amore in quanto è conosciuto: «Cognitio est causa amoris ea ratione qua et bonum, quod non potest amari nisi cognitum» (a. 2). Ci troviamo sempre davanti allo stesso equivoco o scambio: per il fatto che per volere bisogna prima conoscere, si passa ad affermare che la conoscenza è causa dell'amore: tanto vale allora affermare che l'intelletto causa la volontà e nel «circolo» della vita del­lo spirito s'identifica con il medesimo. Uno spiraglio, per uscire dallo impasse, poteva venire dall'analisi dello amor amicitiae eh' è l'amore dell'uomo per luomo cioè il tendere « ... in bonum quod quis vult alteri, vel si bi, vel alii»: qui è ricordato anche l'Io fra i destinatari del bene, ma appena di passaggio, perché il destinatario del bonum amore be­nevolentiae è un terzo, lalter e I' alius. Fermo sullo schema classico di soggetto-oggetto, S. Tommaso, riversa [la qualità morale] l'atto dell'esercizio delle facoltà sull'oggetto: questo è importante perché significa che lordine metafisico è fon­damentale per l'ordine morale. Così allora come la verità del conoscere (e la sua falsità) dipende dalla conformità o non conformità dell'intelletto conoscente con le cose cono­sciute, così la bontà (o malizia) della volontà dipende dalla scelta (o dal rifiuto) dell'oggetto e pertanto del bene e del male nell'ordinazione della volontà al primo Bene oggettivo ch'è Dio.

così da comunicarlo a noi o agli altri. Si potrebbe dire che il primo è l'amore disinteressato, il secondo invece interessato. Vedi anche la mira­bile analisi esistenziale di Kierkegaard: Gli atti dell'amore, Rusconi, Mi­lano 1983 (pp. 195 ss., 345 ss.).

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Bibliografia

La presente bibliografia è stata redatta sulla base di quel­la apparsa per la prima volta nel volume Esegesi tomistica (1969), e poi rivista, aggiornata nonché ampliata a più ripre­se da Suor Rosa Goglia, ASC, e pubblicata nei volumi che poi s'indicheranno (cfr. qui sotto, la letteratura secondaria). Ora la si può consultare sul sito web del «Progetto culturale Cornelio Fabro».

Per motivi di spazio, abbiamo escluso la maggior parte delle recensioni e tutte le presentazioni fatte da Fabro a di­versi volumi e tesi dottorali: includerle tutte, avrebbe pra­ticamente portato a raddoppiare l'estensione dell'elenco. Abbiamo anche omesso le traduzioni delle opere fabriane in altre lingue, nonché le traduzioni fatte da Fabro stesso.

Sia per i libri che per gli articoli, l'ordine scelto è quello cronologico (per anni) e in seconda istanza quello alfabeti­co. Nei libri ormai apparsi nella serie delle Opere Complete, il numero di edizione, anche se si tratta sempre della prima edizione nella serie, è correlativo a quelle precedenti.

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Cornelio Fabro

A: Scritti di Fabro

Libri

1939 La nozione metef1sica di partecipazione secondo San Tommaso d'Aqui­

no, Vita e Pensiero, Milano 1939; S.E.I., Torino 19502, 19633; in Opere Complete, vol. 3, Ch. Ferraro {ed.), Edivi, Segni 20054•

1941 La Fenomenologia della percezione, Vita e Pensiero, Milano 1941;

Morcelliana, Brescia 19612; in Opere Complete, vol. 5, Ch. Ferra­ro (ed.), Edivi, Segni 20063•

Neotomismo e suarezismo, ed. Divus Thomas, Piacenza 1941; in Ope­re Complete, vol. 4, M. Lattanzio {ed.), Edivi, Segni 20052•

Percezione e Pensiero, Vita e pensiero, Milano 1941; Morcelliana, Brescia 19622; in Opere Complete, vol. 6, Ch. Ferraro {ed.), Edivi, Segni 20083•

1943 Introduzione all'esistenzialismo, Vita e Pensiero, Milano 1943; in

Opere Complete, vol. 7, E. Fontana (ed.), Edivi, Segni 20072•

1945 Problemi dell'esistenzialismo, A.V.E., Roma 1945; in Opere Complete,

vol. 8, M. Lattanzio (ed.), Edivi, Segni 20092•

1952 Tra Kierkeggard e Marx. Per una definizione dell'esistenza, Vallecchi,

Firenze 1952; Logos, Roma 19782; in Opere Complete, vol. 9, M. Lattanzio {ed.), Edivi, Segni 20103•

1953 Dio. Introduzione al problema teologico, Studium, Roma 1953; in

Opere Complete, vol. 10, M. Lattanzio {ed.), Edivi, Segni 20072•

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Bibliografia

1954 L'Assoluto nell'esistenzialismo, Guido Miano, Catania 1954; in Opere

Complete, vol. 11, E. Fontana (ed.), Edivi, Segni 20102•

1955 L'anima. Introduzione al problema dell'uomo, Studium, Roma 1955;

Ch. Ferraro (ed.), Edivi, Segni 20072•

1957 Dall'essere all'esistente, Morcelliana, Brescia 1957; 19652•

Profili di santi, Istituto Padano di Arti Grafiche, Rovigo Ì957; in Opere Complete, vol. 14, Maria de la Salette Casariego (ed.), Edi­vi, Segni 20082•

1959 Vangeli delle domeniche, Morcelliana, Brescia 1959; in Opere Complete,

vol. 15, Maria de la Salette Casariego (ed.), Edivi, Segni 20112•

1960 Breve introduzione al tomismo, Desclée, Roma 1960; in Opere Com­

· plete, vol. 16, M. Lattanzio (ed.), Edivi, Segni 20072 •

. Giorgio G. E Hegel. La dialettica, La Scuola, Brescia 1960 [Antolo­gia sistematica, con Introduzione, traduzione e note].

Partecipazione e causalità, SEI, Torino 1960; in Opere Complete, vol. 19, Ch. Ferraro (ed.), Edivi, Segni 20102; tr. francese, Partici­pacion et causalité selon S. Thomas D'Aquin, Univ. de Louvain, «Chair Card; Merciet» (1954), Paris-Louvain 1961.

1962 Feuerbach-Marx-Engels. Materialismo dialettico e materialismo stori­

co, La Scuola, Brescia 1962 [Antologia, con Introduzione, tradu­zione e note].

1964 Introduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma 1964; 19692•

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Cornelio Fabro

1967 L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma 1967.

1969 Esegesi tomistica, PUL, Roma 1969. Tomismo e pensiero moderno, PUL, Roma 1969'.

1974 L'avventura della teologi.a progressista, Rusconi, Milano 197 4. La svolta antropo/,ogica di Kart Rahner, Rusconi, Milano 197 4; 197 42 (ri­

st.); in Opere Complete, vol. 25, Ch. Ferraro (ed), Eciivi, Segni 20113•

1977 L'essenza del cristianesimo. Ludwig Feuerbach, L. U. Japadre Editore,

rAquila, 1977.

1979 La preghiera nel pensiero moderno, Ed. di Storia e Letteratura, Roma

1979; 19832•

La trappola del compromesso storico. Da Togliatti a Berlinguer, Logos, Roma 1979.

1981 L'alienazione dell'Occidente, Quadrivium, Genova 1981.

1983 Introduzione a san Tommaso. La metafisica tomista e il pensiero mo­

derno, (Faretra 9) Ares, Milano 1983; 19972 (edizione ampliata con presentazione di G. Cottier, curata da A Livi).

Momenti dello Spirito, 2 voll., ed. Sala Francescana di Cultura «P. Antonio Giorgi», Assisi-San Damiano, 1983.

Riflessioni sulla libertà, Maggioli, Rimini 1983; Ch. Ferraro (ed.), . Edivi, Segni 20042•

1987 Gemma Galgani. Testimone del soprannaturale, Cipi, Roma 1987;

rist. 1989.

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Bibliografia

1988 L'enigma Rosmini. Appunti d'archivio per la storia dei tre processi

(1849, 1850-1.854, 1876-1887), Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1988.

1989 Le prove dell'esistenza di Dio, La Scuola, Brescia 1989.

1990 Per un progetto di filosofia cristiana, D'Auria, Napoli 1990.

1999 Santa Gemma Galgani. Breviario d'amore (antologia), ed. Eco, Lucca

1999.

2000 Libro dell'esistenza e della libertà vagabonda, E. Morandi - G.M. Piz­

zuti - R. Goglia (ed.), Piemme, Casale Monferrato 2000.

2002 Commento al Pater Noster, M. Sanchez Sorondo (ed.), PAST, Città

del Vaticano 2002.

2004 La prima riforma della dialettica hegeliana, Ch. Ferraro (ed.), Edivi,

Segni 2004.

2006 L'io e l'esistenza - e altri brevi scritti, A. Acerbi (ed.), PUSC, Roma

2006.

2007 La crisi della ragione nel pensiero moderno, M. Nardone (ed.), Forum,

Udine 2007.

2011 Appunti di un itinerario. \krsione integrale delle tre stesure con parti

inedite, R. Goglia - E. Fontana (ed.), Edivi, Segni 2011.

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Cornelio Fabro

Articoli e contributi vari

1935 Avicenna e la conoscenza divina dei particolari, in «Bollettino Filoso­

fico», I, 1935, 1, pp. 45-55.

1936 La difesa critica del principio di causa, in «Rivista di filosofia neosco­

lastica», XXVIII, 1936, 2, pp. 101-141.

1937 L'origine psicologica della nozione di causa, in «Rivista di filosofia

neoscola.Stica», XXIX, 1937, 3-4, pp. 207-244. Un saggio di Filosofia della Biologia, in «Bollettino Filosofico», III,

1937, 4, pp. 65-77.

1938 Cartesianesimo e Neoscolastica, in «Bollettino Filosofico», IV, 1938,

2, pp. 189-196. Il problema della percezione sensoriale, in «Bollettino Filosofico», IV,

1938, l, pp. 5-62. Intorno alla nozione ''tomista" di contingenza, in «Rivista di filosofia

neoscolastica», XXX, 1938, 2, pp. 132-149. Knowledge and Perception in the Aristotelic-Thomistic Psychology, in

«The New Scholasticism», Xli, 1938, 4, pp. 337-365. La distinzione tra "Quod est" e "Qµo est" nella ''Summa De Anima" di

Giovanni de la Rochelle, in «DivusThomas (P.)», XLI, 1938, 5-6, pp. 508-522.

1939 . Circa la divisione dell'essere in atto e potenza, in «Divus Thomas (P.)»,

XLII, 1939, 4, pp. 529-562 .. Idealismo e realismo nella percezione sensoriale, in «Rivista di filosofia

neoscolastica», XXXI, 1939, 2, pp. 117-135. La percezione intelligibile dei singolari materiali, in <<Angelicum»,

XVI, 1939, 4, pp. 429-462.

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Bibliografia

Le grandi correnti della Scolastica e S. Tommaso d'Aquino, in «Rivista di filosofia neoscolastica», XXXI, 1939, 4-5, pp. 329-340.

Realismo, idealismo e moralità, in «Divus Thomas (P.)», XLII, 1939, 3, pp. 357-362.

Un itinéraire de saint Thomas, in «Revue de Philosophie», 1939, 4, pp. 285-310.

1942 Una nuova teologia: la 'Teologia della predicazione': in «Divus Tho­

mas (P.)», XLV, 1942, 2, pp. 202-215.

1943 Analitica dell'esistenza, in L'Esistenzialismo, Studium, Roma 1943,

pp. 18-33. Hegel e Cristo, in Il «Regno», XV, 1943, pp. 33-38; rist. in «Aqui­

nas», XIII, 1970, pp. 355-366. L'esistenzialismo, in «Acta Pontificia Academia S. Thomae Aquina­

tis», VIII, 1943 pp. 154-191. La religiosità della filosofia, in <<Archivio di Filosofia», 1943, pp. 71-

91. Rassegna dell'esistenzialismo italiano, in «Divus Thomas (P.)», XLVI,

1943, 4, pp. 431-440.

1944 Esistenzialismo e realismo», in «Acta Pontificia Academia S. Thomae

Aquinatis», IX, 1944, pp. 242-263.

1945 Coscienza filosofica e coscienza religiosa nel momento presente, in <<Ar­

chivio di Filosofia», 1945, pp. 73-91.

1946 L'esigenza dell'immortalità, in «Archivio di Filosofia», 1946, pp. 30-

52. Logica e Metafisica, in «Acta Pontificia Academia S. Thomae Aqui­

natis», XII, 1946, pp. 129-150.

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CorneliiJ Fabro

1947 Kierkegaard e Marx, in Atti del Congresso Internazionale di Filosofia (Ro­

ma, 10-15novembre1946), Castellani, Milano 1947, pp. 3-16. La metafisica tomista della partecipazione come sintesi di classicismo

e cristianesimo, in Filosofia e Cristianesimo. Atti del Il Convegno italiano di studi filosofici cristiani (Gallarate, 4-6 settembre 1946), Marzorati, Milano 1947, pp. 181-186.

Una fonte antitomista della metafisica suareziana, in «Divus Thomas (P.)», L, 1947, 1-2, pp: 57-68.

1948 Critica di Kierkegaard all'Ottocento, in Atti del XV Congresso naziona­

le di.filosofia (Messina, 24-29settembre1948), D'Anna, Messina 1948, pp. 375-385.

Cronache dell'esistenzialismo, in «Divus Thomas (P.)», LI, 1948, 3-4, pp. 333-342.

Foi et raison dans l'oeuvre de Kierkegaard, in «Revue de sciences phi­losophiques et théologiques», 32, 1948, pp. 169-206.

Il X Congresso internazionale di Filosofia (Amsterdam, 11-18 agosto 1948), in «Divus Thomas (P.)», LI, 1948, 3-4, pp. 342-348.

Il XV Congresso nazionale di Filosofia (Messina, 24-28 settembre 1948), in «Divus Thomas (P.)», LI, 1948, 3-4, pp. 348-353.

Kierkegaard, poeta-teologo dell'Annunciazione, in «Humanitas», Il, 1948, pp. 1025-1034; rise. col titolo Kierkegaard e la Madonna, in «Mater Ecclesiae», VII, 1971, 3, pp. 132-144.

La non filosofia del marxismo nell'anniversario di un congresso, in «Ri­vista di filosofia neoscolastica», XL, 1948, 1, pp. 91-100.

La religiosità di Kierkegaard nel suo Diario, in «Humanitas», Il, 1948, pp. 209-215.

Sull'oggetto della metafisica. Ad sup. Animad P. Kwant responsio, in «DivusThomas (P.)», LI, 1948, 1, pp. 152-154.

1949 Aporie dell'ideologia comunista, in «Doctor Communis», Il, 1949, 2,

pp. 180-192.

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Bibliografia

Edith Stein, dalla filosofia al supplizio, in «Ecclesia», IX, 1949, 7, pp. 344-346.

Essere ed esistenza, in Actas del I Congreso Nacional de Filosofia (Men­doza, marzo 30 - abril 9 de 1949), Instituto de Estética de la Facultad de Filosofia y Letras, Buenos Aires, 1949, t. I, 105-107 et. II, pp. 723-728.

Kierkegaard, precursor del despertar cristiano, in «Arhor», 41, 1949, pp. 111-124.

L'uomo difronte a Dio in Soeren Kierkegaard, in «Euntes Docete »,II, 1949,3,pp. 291-320.

Logica, gnoseologia e ontologia in G. Calogero, in «Rivista di filosofia neoscolastica», 1949, 2, pp. 255-260.

Responsabilità della cultura, in «Humanitas», IV; 1949, pp. 770-777. Sur la détermination du réel, in Library of the X International Congress

of Philosophy (Amsterdam, 11-18 August 1948), vol. I, North­Holland Publishing Co., Amsterdam 1949, 332-334; tr. it. in «Humanitas», IV, 1949, pp. 256-261.

1950 Commemorazione di S; Tommaso d'Aquino, in «Humanitas», V, 1950,

pp. 236-238. Esistenzialismo teologico, in «Città di Vita», V, 1950, l, pp. 16-43. I fondamenti dell'ateismo marxista, in «Humanitas», V, 1950, pp.

435-449. ' L'idea di Dio nella storia della filosofia, in Dio nella ricerca umana,

Coletti, Roma 1950, pp. 541-568. L'uomo e il problema di Dio, in Dio nella ricerca umana, Coletti,

Roma 1950, pp. 1-115. La struttura dialettica del valore, in Fondazione della morale. Atti del

V Convegno di studi filosofici cristiani (Gallarate, 1949), Liviana, Padova 1950, pp. 334-341.

1951 Attualità perenne del tomismo nel Magistero Pontificio, in «Euntes

Docete», IV, 1951, 1-2, pp. 149-162.

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CQrnelio Fabro

Campanella e Machiavelli, in Umanesimo e Scienza politica. Atti del Congresso internazionale di stwli umanistici (Roma- Firenze 1949 ), Marzorati, Milano 1951, pp. 156-161.

L'Assoluto come fondamento della libertà, in «Città di Vita», VI, 1951, pp. · 340-348; rist. col titolo La dialettica della libertà e l'Assoluto, in <<Archivio di Filosofia», II, 1953, pp. 45-69.

L'Assoluto nel tomismo e nell'esistenzialismo, in «Salesianum», XIII, 1951, 2-3, pp. 185-201.

Natura e missione della filosofia, in Quaderni di ricerca (Temi di stu­dio per l'anno accademico 1951-1952), F.U.C.I. ed. Università Cattolica Italiana, Roma 1951, pp. 3-16.

Per una storia del tomismo, in «Sapienza», 1951, 1, pp. 27-43. Ragione e fede nel pensiero moderno, in Atti del III Congresso Tomisti­

co, Torino 1951, pp. 1-15. Singolo e società nel cristianesimo kierkegaardiano, in «Città di Vita»,

VI, 1951, pp. 228-235. Valori della cultura contemporanea, in «Humanitas)>, VI, 1951, 11,

pp. 1053-1058.

1952 Arte e poesia nell'ultimo Heidegger, in Estetica. Atti del VII Conve­

gno di Studi filosofici cristiani (Gallarate 1951), Liviana, Padova 1952, pp. 434-439.

Il concetto dell'essere e la metafisica, in «Giornale di Metafisica», VII, 1952, 6, pp. 661-668.

]asperse l'evasione dell'assoluto, in «Città di Vita», VII, 1952, 6, pp.

637-647. L'annientamento in Sartre, in «Città di Vita», VII, 1952, 4, pp. 406-

415. L'edizione critica Vaticana di Giovanni Duns Scoto, in «Humanitas»,

VII, 1952, pp. 838-841. La teologia dogmatica e l'interiorità protestante, in Teologia e spiritua­

lità, Vita e Pensiero, Milano 1952, pp. 25-60.

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Bibliografia

Le direzioni principali del pensiero contemporaneo, in «Euntes Doce­te», V, 1952, 3, pp. 403-413.

Ontologia dell'arte nell'ultimo Heidegger, in «Giornale critico della filosofia italiana», VI, 1952, 3, pp. 344-361.

Orientamenti al problema della verità, in Gioventù studentesca, Roma 1952, pp. 1-12.

Sui presupposti del problema della storia, in «Sapienza», 6, 1952, l, pp. 1-7.

1953 Expérience et Métaphysique, in Actes du Xème Congrès International de

Philosophie (Bruxelles, 20-26 aout 1953), Nauwelaerts; Louvain 1953, pp. 57-63.

Il problema di Dio nel pensiero contemporaneo, in Docete, ed. Cenac, Torino 1953, pp. 15-34.

Il senso filosofico della fede, in Il problema della filosofia oigi. Atti del XVI Congresso nazionale di filosofia (Bo/,ogna, 19-22 marzo 1953), Bocca, Milano 1953, pp. 181-184.

]aspers et Kierkegaard, in «Révue des sciences philosophiques et théo­logiques», XXXVII, 1953, pp. 209-252.

L'uomo nell'esistenzialismo, in Umanesimo e mondo moderno, Stu­dium Christi, Roma 1953, pp. 117-139.

La dialettica della libertà e l'Assoluto, in «Archivio di Filosofia», 1953, 2, pp. 45-69.

Laicismo e filosofia, in Storia e filosofia del laicismo, Guido. Miano, Catania 1953, pp. 17-24; rist. in «Humanitas», IX, 1954, pp. 723-727.

Nuove interpretazioni del tomismo, in «Rassegna di filosofia», II, 1953,3,pp.239-251.

Ontologia esistenzialistica e metafisica tradizionale, in «Rivista di filo­sofia neoscolastica», XLV, 1953, 6, pp. 581-618.

Riflessi religiosi nel pensiero contemporaneo, in Storia e filosofia del lai­cismo, Guido Miano, Catania 1953, pp. 136-144.

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Cornelio Fabro

Tomismo e pensiero moderno, in «Rassegna di Filosofia», II, 1953, 4, 339-349.

Umanesimo e filosofia moderna, in Umanesimo e mondo moderno, Studium Christi, Roma 1953, pp. 64-97.

1954 "Contingenza" del mondo materiale e indeterminismo fisico, in Il pro­

blema della scienza. Atti del IX Convegno di Studi tra Prof Univer­sitari (Gallarate 1953), Morcelliana, Brescia 1954, pp. 274-279.

Filosofia e religione in Benedetto Croce, in «Studia Patavina», 1954, 1, pp. 99-113.

Il problema. di Dio nel pensiero di Heidegger, in «Studi filosofici», LXVII, 1954, pp. 17-29.

Sviluppo, significato e valore della '1V via", in «Doctor Communis», 1954, 1-2, pp. 71-109.

1955 Genesi e sviluppo della filosofia di M. Blondel, in «Studia Patavina»,

II, 1955, 1, pp. 245-266 e pp. 98-130. Lesse tomistico e il Sein hegeliano, in Sapientia Aquinatis, Roma

1955, pp. 263-270. La dialettica della fede nell'idealismo trascendentale, in «Archivio di

Filosofia», 1955, l, pp. 105-137.

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La.filosofia anticristiana en elsigloXIX, in «Adantida>>, 51, 1971, pp. 260-284 ..

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La svolta antropologi.ca in teologi.a, in Ermeneutica e teologi.a, Città di Vita, Firenze 1975, pp. 131-161.

Libertà e peccato, in Ortodossia e ortoprassi. Atti del ·I Convegno Internazionale di «Chiesa Viva» (Roma 1-4 ottobre 197 4), Civiltà, Brescia 1975, pp. 205-219.

1976 Eine unverojfentlichte ,, Geschichte der mittelalterlichen und neuren

Philosophie" E. Zellers, in «Archiv flir Geschichte der Philoso­phie», LVIII, 1976, 2, pp. 164-182.

L'eliminazione dell'Uomo-Dio nel pensiero moderno, in Il Cristo dei filosofi, Morcelliana, Brescia 1976, pp. 51-86.

La libertà in S. Bonaventura, in Atti del Congresso Internazionale per il VII centenario di S. Bonaventura da Bagnoregi.o, t. II, Editrice Miscellanea francescana, Roma 1976, pp. 507-537.

1977 Il senso della filosofia cristiana oggi., in Atti del XXXII Convegno del

Centro di studi filosofici tra professori universitari, Gallarate 1977, pp, 46-49.

La dialettica d'intelligenza e· volontà nella costituzione dell'atto libero, in «Doctor Communis», 1977, 2, · 163-191; rist. in Etica e società contemporanea. Atti del III Congresso internazionale della S.I. rA., voi. I, Roma 1992, pp. 25-:S3. ·

La dialettica qualitativa in S. Kierkegaard, in Dialettica e Religi.one, Benucci, Perugia 1977, pp. 1-50. ·

Le problème de l'Église chez Newman et Kierkegaard, in «Revue Thomi­ste», 1977, l, pp. 30-90; rist. in Internationale Cardinal Newman Studien, Glock und Lutz Verlag, Heroldsberg 1978, pp. 120-139.

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Cornelio Fabro

Sorpresa ed attesa cristiana della morte in Kierkegaard, in «La nuova rivista di ascetica e mistica>>, Il, 1977, pp. 297-310.

1978 Breve discorso sulla libertà (Annotazioni su Fichte), in «Rivista di filo­

sofia neoscolastica>>, LXX, 1978, 1-2, pp. 267-280. Edith Stein, Husserl e Martin Heidegger, in «Humanitas», 1978, 4,

pp. 485-517. La critica di Kierkegaard alla dialettica hegeliana nel "Libro su Adler'',

in «Giornale critico della filosofia italiana», LVII, 1978, l, pp. 1-32.

1979 L'antropologia teologica, in AA.Vv. Giovanni Paolo Il Enciclica «Il

Redentore dell'uomo», Logos, Roma 1979, pp. 37-50. Ricordo di Ugo Spirito, in «Humanitas», XXXIV, 1979, 3,_pp. 277-

285. San Tommaso davanti al pensiero moderno, in Le ragioni del tomismo,

Ares, Milano 1979, pp. 50-95.

1980 Actuali'ty (Reality), in Concepts and alternatives in Kierkegaard, (Bi­

bliotheca Kierkegaardiana 3) ed. Niels Thulstrup - Marie Mi­kulova Thulstrup, Reitzels Boghandeln, Copenhagen 1980, pp. 111-113.

Ànalogy, in Theological Concepts in Kierkegaard, (Bibliotheca Kierke­gaardiana 5) Copenaghen 1980, pp. 96-98.

Desperation, in Kierkegaard and human values, (Bibliotheca Kierke­gaardiana 7) Copenaghen 1980, pp. 126-134.

Dialectique de la liberté et autonomie de la raison chez Fichte, in «Re­vue Thomiste», LXXXVIII, 1980, 2, pp. 216-240.

Dialettica· di libertà-necessità nella storia in Tolstoj e Kierkegaard, in Tolstoj oggi (Quaderni di S. Giorgio), Sansoni, Firenze 1980> pp. 111-128.

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Bibliografia

Domande di Heidegger, risposte del Tomismo (Attualità della '54.eterni Patris'), in «Studi Cattolici», XXIV, 1980, 227, pp. 3-5.

Fichte e l'annunciazione di Maria, in «Humanitas», XXXV, 1980, 2, pp. 173-186.

L'alienazione dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero di E. Severino, in «Renovatio», XV, 1980, 2, pp. 171-230; 1980, 3, pp. 329-371; 1980,4,pp.489-543.

L'angoscia esistenziple come tensione di essere-nulla, uomo-mondo nella prospettiva di Kierkegaard e Heidegger, Psicoterapie, metodi e tecni­che (numero unico 1979), C.I.S.S.P.A.T., Padova 1980, pp. 63-81; rist. in «La Panarie», XV, 1982, 55, pp. 79-94.

L'ateismo ieri e oggi, in «Asprenas», 1980, 2-3, pp. 209-227. Riflessi gi.oachimiti nell'idealismo tedesco, in «Laurentianum», 1980,

2, pp. 285-299. Tomismo essenziale e crisi dei tomismi (nel I centenario dell'Enciclica

Aeterni Patris), in «Renovatio», XV, 1980, 1, pp. 81-102.

1981 Aristotle and Aristotelianism, in Kierkegaard and Great Traditions,

(Biblioteca Kierkegaardiana 6), Copenhagen 1981, pp. 27-53. Circa l'ispirazione cristiana dell'opera di Kierkegaard. In margi.ne ad

una nota di Franco Lombardi, in Scritti in onore di Nicola Petruz­zellis, Giannini, Napoli 1981, pp. 105-112.

Die Wiederaufnahme des Thomistischen ,,Esse" und der Grund der Meta­physik, in «Tijdschriftvoor Filosofie», 43, 1981, 1, pp. 90-116.

Dio e il male, in <<Asprenas», 1981, 3-4, pp. 301-329. El primado existencial de la libertad. Mons. E. de Balaguer, in «Scripta

Theologica», XIII, 1981, 2-3, pp. 323-337. Il primato della libertà in S. Caterina da Siena, in Atti del Congres­

so Internazionale di Studi Cateriniani (Siena-Roma, 24-29 aprile 1980), Roma 1981, pp. 145-162.

Il significato e i contenuti dell'Enciclica '54.eterni Patris", in Atti dell'VIII Congresso Tomistico Internazionale, vol. I, Roma 1981, pp. 66-88.

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Cornelio Fabro

La dialettica della prima e seconda immediatezza nella soluzione dis­soluzione dell'Assoluto hegeliano, in «Aquinas», XXIV, 1981, 2-3, 245-278.

La negazione assurda. Nel secondo centenario della I ed. della ''Kritik der reinen Vemunft" (Riga 1781), in «Renovatio», XVI, 1981, 4, pp. 488-534.

Libertà e grazia in S. Caterina, in «Rivista di vita spirituale», 1981, 1, pp. 79-99.

Nuova ermeneutica hegeliana e crisi della teologia. Apropo$ito dell'ope­ra di B. Lakebrink, ''Kommentar zu Engels Logik in seiner Enzyclo­padie 1830'', Freiburg-Miinchen 1979, in «Humanitas», XXXVI, 1981,5,pp.666-678.

1982 L'angoscia esistenziale come tensione di essere-nulla, uomo-mondo nella

prospettiva di Heidegger e Kierkegaard, in «La Panarie», XV, 1982, 55, pp. 79-94; rist. in «Psichiatria e Territorio», IV, 1987, 1, pp. 10-24.

Problematica della Teologia contemporanea, in «Renovatio», XVII, 1982, l, pp. 53-67. . .

The Overcoming of Neop~tonic Triad of Being, Life, and lntellect by Saint Thomas Aquinas, in Neoplatonism and Christian Thought, ed. by D. J. O' Meara, Norfolk, Virginia 1982, pp. 97-108.

Tomismo e Tomismi - Attualità della presenza di Maritain. Nel I cen­tenario della sua nascita, in «Giornale di Metafisica», IV, 1982, 3, pp. 419-432.

1983 Atto esistenziale e impegno della libertà, in «Divus Thomas (P.)»,

LXXXVI, 1983, 2-3, pp. 125-161. Dall'ammirazione alla riprovazione della linea di Spinoza-Lessing

nell'evoluzione del pensiero di S. Kierkegaard, in «Studi Urbinati», LVI, 1983, 1, pp. 9-39.

Il trascendentale moderno e il trascendentale tomistico, in <<Angelicum», 60, 1983,4,pp.534-558.

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Bibliografia

Intorno al fondamento dell'essere, in Gracefol Reason, ed. by Lloy P. Gerson, Pontif. Inst. of Medioev. Studies, Toronto 1983, 229-237; rist. in «Giornale di Metafisica», V, 1983, pp. 227-237.

L'emergenza dell'atto di essere in S. Tommaso e la rottura del formali­smo scolastico, in Il concetto di «Sapieniia» in san Bonaventura e san Tommaso. Testi della I Settimana Residenziale di Studi Medie­vali (Carini, ottobre 1981), Offi~ina di Studi Medievali, Palermo 1983, pp. 35-54. . .

La ''sicurezza del numero" come ·''oppio del popolo" nell'ultimo Kierke­gaard, in «Humanitas», XXXVIII, 1983, pp. 213-226.

La comunicazione nella dialettica ·esistenziale di S. Kierkegaard, in Conoscenza e Comunicazione nella filosofia moderna e contempora­nea, Studium, Roma 1983, pp. 33-46.

Probkmaiica del tomismo di scuola. Nel 100° anniversario della na­scita di J Maritain, «Rivista di filosofia neoscolastica>>, LXXV, 1983, 2, pp. 187-199.

1984 Appunti di un itinerario, in Essere e libertà, Fs. Cornelio Fabro, Mag­

gioli, Rimini 1984, pp. 17-70. Kierkegaard e Lutero: incontro-scontro, in «Humanitas», XXXIX,

1984, 1, pp. 5-12. L'ordine morak in 19 Tesi, in «Studi Cattolici», XXVIII, 1984, 276,

pp. 83-87. Mutuo accrescimento di libertà e grazia secondo S. Caterina, in «Nuovi

Studi Cateriniani», 1984, 1, pp. 54-65. . Ringraziamento: l'intesa e l'attesa, in Essere e libertà, Fs. Cornelio Fa­

bro, Maggioli, Rimini 1984, pp. 535-545.

1985 Dal Protestantesimo all'Ateismo nella denuncia di un teologo polacco

del Cinquecento, in «Divinitas», XXIX, 1985, l, pp. 86-90. L'emergenza dell'atto nella riflessione speculativa, in Cinquant'anni di

Magistero teologjco. Fs. Mons. Piolanti nel 50° del suo sacerdozio, Libreria Editrice Vaticana, Roma 198 5, pp. 167-172.

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Cornelio Fabro

Una confutazione recente di Rosmini, in «Divus Thomas (P.)», LXXXVIII, 1985, 4, pp. 225-246.

1986 Alla ricerca della fondazione della meta.fisica, in «Choros», I, 1986,

l, pp. 7-18. Libertad y Persona en Santo Tomds, in «Gladius», 6, 1986, pp. 5-32. Partecipazione agostiniana e partecipazione tomistica, in «Doctor

Communis», XXXIX, 1986, 3, pp. 282- 291.

1987 Dall'anima allo spirito: l'enigma dell'uomo e l'emergenza dell'atto, in

L'anima nell'antropologi.a di San Tommaso d'Aquino. Atti del Con­gresso della Società internazionale S. Tommaso d'Aquino (Roma 2-5-gennaio 1986), Massimo, Milano 1987, pp. 457-467.

1988 L'Ateismo ieri e oggi, in Ateismo e Bibbia. Atti del XIII Convegno Bibli­

co Italiano Italiano Francescano (Verona, 23-28 settembre 1985), Porziuncola, Assisi 1988, pp. 27-52.

Le ''Liber de bona fortuna" chez Saint Thomas, in «Revue Thomiste», LXXXVIII, 1988, 4, pp. 556-572.

1989 Apertura al problema di Dio in Ugo Spirito. Testimonianza, in «Annali

della Fondazione Ugo Spirito», 1989, pp. 217-302. Il posto di Giovanni di S. Tommaso nella Scuola Tomistica, in <<Ange­

licum», 66, 1989, l, pp. 56-90. Kierkegaard e la Chiesa in Danimarca, in «Nuovi Studi kierkegaar­

diani», Centro italiano di Studi kierkegaardiani, Potenza 1989, pp. 117-123.

Nuovi studi kierkegaardiani, in «Nuovi Studi kierkegaardiani», Cen­tro italiano di Studi kierkegaardiani, Potenza 1989, pp. 7-22.

Pensiero e linguaggio in S. Tommaso, in Homo Loquens. Uomo e lin­guaggio - pensiero, cervelli e macchine, E.S.D., Bologna 1989, pp. 167-182.

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Bibliografia

Un inedito elenco preparatorio delle 40 proposizioni rosminiane (di C Mazze/la), in «Sapienza», XLII, 1989, 4, pp. 361-362.

1990 Gaspare Bertoni, testimone del soprannaturale, in Symposium Berto­

nianum (Angelicum, 28-10-1989), Stimmgraf, Verona 1990, pp. 36-60.

Histoire et Providence, in «Catholica», 1990, 4, pp. 43-57. L'Ateismo costitutivo del pensiero moderno secondo Giuseppe Capogras­

si, in Due Convegni su Giuseppe Capograssi (Roma-Sulmona 1986. Atti a cura di Francesco Mercadante), Giuffré, Milano 1990, pp. 793-811.

L'emergenza dello Esse tomistico sull'atto aristotelico: breve prologo. L'origine trascendentale del problema, in L'atto aristotelico e le sue ermeneutiche. Atti del colloquio internazionale (Laterano, 17-18-19gennaio1989), Herder, Roma 1990, pp. 149-177.

L'odissea dell'ateismo e del nichilismo, in «Sapienza», 43, 1990, 4, pp. 401-410.

L'origine dell'atto. Avviamento alla riflessione speculativa, in «Velia», 1990, 1, pp. 58-68.

Odissea del Nichilismo, in La lettera e lo spirito. Miscellanea per il cinquantennio del Magistero «Maria SS. Assunta» (1939-1989), Roma 1990, pp. 417-483.

1991 Kierkegaard e il concetto dell'ironia, in Occasioni filosofiche, G.M. Piz­

zuti (ed.), Ermes, Potenza 1991, pp. 123-130. La vittoria e la redenzione sul peccato ·nel ''Sanguis Christi" secondo

Soeren Kierkegaard, in Atti del Convegno Pastorale «Il mistero del Sangue di Cristo e la catechesi», Roma 1991, pp. 331-351.

Libertà teologica, antropologica ed esistenziale, in Ragione pratica, li­bertà, normatività. Atti del Colloquio internazionale di Etica, M. Sanchez Sorondo (ed.}, PUL- Herder, Roma 1991, pp. 15-30.

Positivismo e idealismo in Ugo Spirito, in «Studium», 1991, 2, pp. 289-291.

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Cornelio Fabro

1992 Prologo FenomenolOgico, in «Gladius», 23, 1992, pp.107-122.

1993 Ragi.one e fede in Rasmus Nielsen, in «Nuovi studi Kierkegaardiani»,

1993,. pp. 11-24.

1995 Gaspare Bertoni, Riflessioni. Una vita illuminata dal soprannaturak,

in San Gaspare Bertoni. Riflessioni, Parrocchia. Sta. Croce al Fla­minio, Roma 1995, pp. 1-34.

ltOci di enciclopedie, antologie e dizionari

Bibliotheca Kierkegaardiana, Copenaghen 1980-1981, voci: «Actua­lity», <<Analogy>>, «Desperation», «Aristotle and Aristotelianism», «Peter Aqolf Adler». .

Dictionnaire de Théologi.e catholique, Gentilly, France 1972, voi. XIII, voce: «Tabarelli R.».

Dizionario di Morak, Studium, Roma 1957. Dizionario Enc~clopedico di Spiritualità, Studium, Roma 1975, vo­

ci: <~Boehme», «Esistenzialismo», «Theologia deutsch», «Pantei­smo», «Spiritualismo»; nell' ed. 1990, in tre volumi, voci: «Noia», «Pascal», «Protestantesimo», «Valore».

Enciclopedia Cattolica, Sansoni, Firenze 1948 ss., dal voi. I al voi. XII, 113 voci: voi. I: <<Accidente», «Adamo di Marsh», <<Adamo di Petit Pont», «Adamo Wodeham», <<Adelardo di Bath», «Agno­sticismo», <<Agrippa di Nettersheim», <<Alfredo di Sareshel», <<Anima (Dottrina)», <<Anima (Storia), <<Appercezione»; voi. II: <<Astratto, Astrazione», <<Ateismo», «Attenzione», «Avempace», <<Avicebron», «Bene»; voi. III: «Brentano», «Broglie (de)», «Ca­so», «Categoria», «Clarembaldo di Arras», «Cogitativa»; voi. IV: «Come se», «Comportamento», «Concreto», «CondiZione», «Contingenza», «Coscienza», <lD~terminismo», «De Wulf (M.)», «Dionigi»,. «Distinzione»; voi. V: «Egidio (di Lessines)», «Ente-

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Bibliografia

Essere», «Esistenza», «Esistenzialismo», «Esperienza religiosa», «Essenza», «Estimativa», «Eternità», «Evo», «Fantasia», «Fata­lismo», «Fato», «Fechner (Th.)», «Fede (e ragione)», «Fenome­nologia», «Feuerbach», «Filosofia», «Finalità, «Finalismo», «Fine ultimo», «Finito», «Forma»; voi.VI: «Hegel», «Idealismo», «Idee (Associazione delle)», «Identità», «Immaginazione», «Immanen­za>>, «Immortalità (Storia)», «Immortalità (Teoria)», «Impres­sione!», «Inclinazione»; voi. VII: «Intelletto», «Intellettualismo», «Introspezione», «Kierkegaard», «Legge», «Libertà», «Male»; voi. VIII: «Memoria», «Metafisica», «Modernismo», «Natura», «Necessità»; voi. IX: «Ontologia», «Panpsichismo», «Passione», «Percezione», «Persona», «Personalità», «Pessimismo», «Piacere», «Possibilità»; voi. X: «Problematicismo», «Provvidenza», «Psico­logia>>, «Ragion sufficiente», «Ritschl (A.)», «Sabatier (A.)»; vol. XI: «Schleiermachen>, «Scolastica», «Sentimento», «Sigwart (Chr. W.)», «Singolare», «Sostanza», «Stein (Edith)», «Storia (Filosofia della)», «Subcoscienza», «Sussistenza», /fabarelli (R.)», «Teismo», «Teologia naturale»; voi. XII: «Tommaso d'Aquino», «Trendelen­burg (A.)», «Vailati (G.)», «Varisco (B.)», «Volontà», «Volontari­smo», «Wundt (G.)», «Zamboni (G.)».

Enciclopedia filosofica, Sansoni, Firenze 19672, voci: «Feuerbach», «Ironia>>, «Kierkegaard», «Passioni». ·

Enciclopedia medica italiana, Sansoni, Firenze 1950, voci: «Percezio­ne», «Sensazione», «Sentimenti», «Introspezione».

Encyclopaedia Britannica, t. Il, Heilen Hemingway Benton Publi­sher 1974, voce: <<Atheism».

Encyclopedie de l 'Athéisme (II), t. I, Desclée e Cie, Paris 1970; tr. di Ateismo contemporaneo, voi. II, S.E.I. Torino-Roma 1968, voce: «Genesi storica dell'ateismo contemporan~o», 1-54.

Gran Enciclopedia Rialp, Madrid 1971-1976; 19792; voi. XI: «He­gel, Georg W.-F.», «Hegelianos», «Heidegger, Martin>>; voL ~I: «lmmanencia»; voi. XIII: «Kierkegaard, Soeren A.»; voi. XXI: «Sartre, Jean-Paul».

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Cornelio Fabro

Grande Antologia Filosofica, vol. V, Marzorati, Milano 1953, voce: «La storiografia nel pensiero cristiano».

Sowietsystem und demokratische Gesellschaft. Eine vergleichende En­zyklopadie, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1969, Sdg. I A, III­VI; B; C, I, coll. 1314-1324, 1326-1327, 1329-1333, voce: «ldealismus».

The New Catholic Encyclopedia, New York 1966, voci: «Fichte», «Schelling», «Hegel», «Baader E», «Schleiermacher», «ldealism», «Romanticism».

B: Scritti su Fabro

Diverse opere sono state pubblicate come raccolte di studi fa­briani, sia in occasione di qualche ricorrenza speciale, sia «ii:i memo­riam». Le principali sono le seguenti.

La prima raccolta è quella curata da PIERETTI A., Essere e libertà, Fs. Cornelio Fabro, Maggioli, Rimini 1984. Pubblicata come omag­gio dei colleghi di Perugia, in occasione del settantesimo anno di età, la raccolta è divisa in tre parti che riguardano, rispettivamente, la partecipazione e la metafisica dell'atto, il problema dell'immanen­tismo e lateismo, e gli studi kierkegaardiani. Ci sono alcuni con­tributi piuttosto critici, come quelli del Vansteenkiste, di Miccoli e di Penro; altri piuttosto originali, come quello di Mons. Sanchez sulla grazia; altri che invece non mostrano di avere un diretto col­legamento con Fabro. Particolarmente valido quello del Duquesne, che mette di rilievo l'originalità dell'esegesi fabriana di Kierkegaard. Significativo il contributo di Pieretti, sul rapporto fra filosofia e re­ligione, e fra preghiera e libertà. - I.: elenco dei principali contributi, sia di questa che delle altre raccolte, si vedrà sotto, secondo lordine cronologico.

Due raccolte sono dovute a P1zzuTI G.M.: la prima è Veritatem in Caritate. Studi in onore di Cornelio Fabro in occasione dell'LXXX genetliaco, (Quaderni di Velia 3) Ermes, Potenza 1991; la seconda,

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Bibliografia

a distanza di quattro anni, vide la luce nel nr. monografico della rivista «Velia», 1995, 1: Maestro di verità e di libertà. Cornelio Fabro (1911-1995). Testimonianze e ricordi, Ermes, Potenza. La prima rac­colta è introdotta da un saggio molto interessante del curatore, che rileva i punti più importanti del pensiero fabriano, per presentar­lo, alla fine, come un «innamorato della libertà>>. Alcuni contributi della raccolta non si collegano direttamente con tematiche fabriane (p. es. quelli di Severino e di Sorrentino}. Include l'aggiornamento della bibliografia dall'anno 1984 fino a settembre 1991, e una nota biografica: tutte e due di suor Rosa Goglia.

CAsTELLANO D. (ed.), Per Cornelio Fabro. Cinque saggi in me­moria raccolti e introdotti da Danilo Castellano, LNB, Udine 1999. Omaggio nel quarto anniversario della morte. La molto calda intro­duzione di Castellano è ricca d'interessanti particolari biografici.

CosTANTINI F. (ed.), Cornelio Fabto e il problema della libertà, Forum, Udine 2007. Il volume raccoglie i contributi del Convegno tenutosi sull'argomento. Gli autori: A. Livi, D. Castellano, M. Nar­done, M. Sanche~ Sorondo, U. Galeazzi, E. Fontana, B. Romano, G. Goisis.

Merita particolare attenzione il numero monografico dedicato a Fabro dalla rivista in «Euntes Docete», L, 1997, dal titolo: Articoli. Percorsi. Testimonianze.

Va inclusa sotto lo stesso genere la prima sezione della rivista «Sapientia», LXI, 2006, dove si riproducono i quattro contributi per il Convegno svoltosi alla UCA (Università Cattolica Argentina), in omaggio a Fabro, in occasione del 50° dell'Università, il 26.5.2006. Le comunicazioni sono state tenute da Mons. H. Aguer (Argentina}, M. Sanchez Sorondo, D. Castellano, Ch. Ferraro.

1957 HENLE R., A Note on Certain Textual Evidence in Fabro's La nozione

metafisica di partecipazione, in «The Modem Schoolman», 34, 1957, pp. 265-282.

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Cornelio Fabro

1962 ]OHN N.-J., The Emergence of the Act of Existing in Recent Thomism, in

«International Philosophical Quarterly)), 1962, 2, pp. 595-620. ]OHN N.-J., Participation Revisited, in «The Modem Schoolman»,

69; 1962, pp. 154-165. Mo:NTAGNES B., Compte rendu sur Participation et causalité de C.

Fabro, in «Bulletin Thomiste», 1960-1962, 11, pp. 15-21.

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Indice dei nomi

ACERBI A., 46, 303, 339. ADAMO DI MARSH, 328. ADAMo DI PETI'.I' PoNT, 328. ADAMO WonEHAM, 328. ADELARDO DI BATH, 328. AGOSTINO (S.), 43, 61, 185, 186,

260, 261. AGRIPPA DI NETTERSHEIM, 328. AGUERH., 331, 339. ALEXANDER s., 194. ALFREDO DI SARESHEL, 328. ALIGHIERI DANTE, 293. .ANASSIMANDRO, 263. ANSELMO (S.}, 190, 260. ARnmò R, 27. ARISTOTELE, 29, 35, 38, 39,

40, 46, 61, 63, 70, 73, 76, 99, 105, 109, 113, 115, 129, 135,213,230,278,279,288, 289,290,291,293,328.

ARNDT J., 153.

AVERROÈ, 140. AVICEMBRON, 328. AVICENNA,38,61,89,105, 106,

107, 122.

BAADER CHR. VON, 194, 330. BANEZ D., 80, 215 BARTH K., 190, 191 BA.UER B., 194. BAYLE P., 194. BERKELEY G., 134. BERLINGUER E., 18 . BwcHE., 5. BLONDELM., BOEZIO SEVERINO, 146, 159,

160, 161. BoGuow L., 332: BoLLAND G.J.P.J., 38. BONAVENTURA (S.), 30, 260. BoNHOEFFER D., 191. BoNTADINI G., 49.

341

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Cornelio Fabro

BouTERWERK F., 194. BRADLEY F., 194. BRENTANO F., 134, 328. BRETON ST., 112. BROGLIE DE L., 328. BuLTMANN R, 172, 191.

CALTAGIRONE C., 7. CAMusA., 187. CANGIALOSI 0., 7. CAPOGRASSI G., 50, 217. CARABELLESE P., 13. CARDINALI M., 7. CA.ru>ONA C., 334 URTESIO R, 128, 133, 149,

158, 189, 195, 196,222,260. CAsTELLANO D., 242, 331, 333,

337, 339. CASTELLI E., 319. CENACCHI G., 334. CHALYBAUS H.M., 38. CHERBURY D. DE, 194. CHESTERTON G.K, 50. CHESTOV L., 27. CIALEO B., 12. CLAREMBALDO DI ARR.As, 328. CLAVELL L., 336. COLLI G., 37. CoLLINs J ., 194. COMPOSTA D., 17, 333, 335,

336, 338. CoNRAD-MARnus H., 150. CoNTAT A., 339, 340. CoRETH E., 334.

342

CosTANTINI F., 331. COTTIER G., 302. CROCE B., 27.

D'ALEMBERT H., 46. DALLEDONNE A., 332, 333, 334,

335, 336. DALLE VEDOVE N., 10, 13, 14,

50. DE.ANNA G., 337. DELFGAAUW B., 333. DEL GIUDICE M., 7. DE MARGERIE B., 84. DE RAEYMAEKER L., 207. DE ROSA G., 333. DE VRIES J., 89. DEGL'INNOCENTI u., 49. DESCOQS P., 49, 83. DEWEY J., 194. DE WULF M., 328. DIDEROT D., 46, 194. DILTHEY W., 133. DIONIGI Ps., 61, 68, 76, 129,

211,214,293,295,328. D1 STEFANO T., 333. D'HoLBACH P. H. BARONE, 194. DosTOIEVSKI F.; 27. DuBARLE D., 112. Ducc1 E., 20. DuHEM P., 59. DUQUESNE M., 330, 333.

EBBINGHAUS H., 134. EGIDIO DI LESSINES, 328;

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Indice dei nomi

EHRENFELS VON CHR., 134, 138. ENGELS F., 28. ENRICO DI GAND, 107. ERDMANN J., 38.

FECHNER TH., 329. fEUERBACH L., 28, 46, 124, 150,

182, 217, 255, 263, 329. FICHTE G., 27, 31, 58, 123,

147, 153, 172, 173, 177,22, 238,260,261,264,265,267, 268,271,276,277,278,285, 288, 330.

FICINO M., 46, 82, 83. FoNTANAE., 17, 203, 300, 301,

303, 331, 336, 339, 340. FoRBERG F.C., 194. FRANCO F., 340.

GAETANO TH. DE VIO CARD., 90, 215.

GALEAZZI u., 331. GAMBARDELLAA., 46. GARRIGOU-LAGRANGE R., 85. GAUNILONE, 190. GEIGER L.B., 49, 72, 91, 112. GEMELLI A., 16, 39. GEMMA GALGANI (S.), 200,

201, 256. GENTILE G., 13, 27, 37, 39 .. GEYSER]., 85. GIACOMETTI G., 337. GIACON c., 332. GIANNATIEMPO A., 336.

GIBELIN 1~. 47. G1LSON É., 242. GIOVANNI CRISOSTOMO (S.),

186. GIOVANNI DE LA RocHELLE,

82. GIOVANNI DI SAN TOMMASO,

80, 215. GIOVANNI PAOLO II (B.), 19,

54. GIOVANNI XXIII (B.), 19, 54. GIUROVICH G., 337. GLOCKNER H., 47. GoGLIA R., 9, 10, 11, 12, 13;

16, 17,18, 19,20,28,39,46, 47, 48, 197, 200, 2Ò3, 399, 303,331,336,338,340.

G01s1s G., 331. GoNzALEZ A.L.,. 332. GuRRIERI C., 337.

HAMILTON W., 134, 144. HEGEL G.-W.-F., 5, 15, 25, 26,

27,28,31,34,36,38,40,41, 46,50,56, 71, 75,80,95,97, 98, 012, 103, 104, 105, 107; 108, 109, 110, 111, 113, 11~ 122, 123, 124, 127, 135, 150, 151, 154, 158, 159, 166, 168, 173, 176, 177, 178, 179, 185, 189, 190, 196, 207, 219, 222, 238, 241, 246, 252, 255, 260, 161,268,269,270,272,275, 276,277,278,285,329,330.

343

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Cornelio Fabro

HEIDEGGER M., 26, 27, 28, 29, 40, 41, 46, 50, 58, 71, 74, 75,92,97,98,99, 100, 103, 104,105, 107, 108,109,110, 111,112,116,118,119, 120, 123,126, 127, 147,148,158, 159, 170,171, 177, 178,179, 180,207,219,238,246,265, 266, 267, 268, 269, 270,271, 272,273,274,275,276,277, 278,279,282;283,284,289, 329.

HEINE H., 184. HEISENBERG W., 33. HENLE R., 331. HESSEN J., 85. HIRSCH E., 157. HoBBES T., 194, 195. HoFFMEISTER}o., 46, 261, 272,

275. HowERLIN E, 158. HUME D., 11, 27, 134. HussERL E., 150, 161. HYPPOLITE}., 47.

lLTING K-H., 47.

}ACOBI E H., 153, 173, 194. }ANET P., 141. }ANKÉLEVITCH S., 47. }ASPERS K, 153, 154, 155, 156,

158, 270. ]OHN N.-J., 332. }OLIF J.-Y., 112.

344

l<ALINOWSKY G., 112. KANT I., 27, 31, 36, 40, 46, 50,

58, 110, 121, 122, 123, 136, 137, 141, 142, 147, 153, 154, 155,158,161,170, 173,181, 184, 189, J91, 196,222,238, 260,261,264,266,267,268, 273,278,282,283,285.

KIERKEGAARD s., 15, 19, 25, 26,27,31,34,35,39,40,41, 43, 46, 58, 152, 154, 155, 156,157,158,165, 169, 173, 174, 175, 176, 177, 178, 179, 180, 181, 182,191,217,220, 221,222,223,224,246,260, 268,297,329,330.

KoHLER w., 135. KREMER K, 49, 128, 129. KwANT R., 49.

LAMETTRIE}., 194. LAMINNE}., 84, 87. LAssoN ]., 46. LATTANZIO M., 300, 301. LAvATER}.C., 194. LEIBNIZ G., 88, 106, 108, 160,

161, 189,274,277,278. LENIN V., 194. LESSING G., 155, 194. LIVIA, 204, 302,331, 332, 335. LocKE J ., 134. LoTz}.-B., 50, 319. LUMBRERAS P., 12. LUTERO M., 157.

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Indice dei nomi

MAINE DE BIRAN F., 160. MAl.EBRANCHEJ., 189. MAR.e A., 45, 72. MARcEL G., 27. MARÉCHAL}., 130. MARITAIN J., 85, 242. MA.iulANZINI A., 49. MARTINETTI P., 144. MARX K., 28, 46, 56, 241. MA.zzAlIBLLA P., 333. MAzzorrA G., 336. Mc!NERY R., 332. McTAGGART E., 194. MEINONG A., 135. MENDEL G., 33. MENDELSOHN M., 190. MÉNDEZ J.R., 333. MERCADANTE F., 217. MESLIER}., 194. Miccou P., 330, 333, 337, 339. MONDIN B., 337 MoNTAGNES B., 90, 91, 332. MoRANDI E., 146, 303. MoRGAN TH., 33, 194. MiiLLER G. E., 134. MURA G., 334. MYNSTER}. P., 173, 222.

NARoONE M., 188, 303, 331, 337 NEWMAN J. H. (B.), 199. NIETZSCHE F., 25, 154, 155,

158, 170, 176, 183,263,277, 278,279,282,283,284.

NIGRO c., 3;U.

Oc.Aruz F., 333, 335. OCCAM G., 243. 0LSEN REGINA, 157, 222. Orro R., 153, 156.

PACAUD B., 37. PANATTONI R., 146. PANGALLO M., 334, 337. PAOLO VI, 19, 54, 93, 127. PAOLO APOSTOLO (S.), 187, 262. PARMENIDE, 29, 39, 40, 73,

74, 76,93,98,99, 105, 123, 248.

PASCAL B., 43, 328. PASQUALE G., 7. PEcKAMJ.; 59. PELLECCHIA P., 335. PENZO G., 330, 334, 335. PIAGET J., 141. PIERETTI A., 330, 333, 334. Pio Xli, 19. 54. PIZZUTI G.M., 50, 303, 327,

330, 335, 335. PLANCK M., 33, 188. PLATONE, 29, 39, 40, 61, 63,

73, 76, 99, 261. PLOTINO, 129. PORCELLONI B., 337. PRINI P., 336. PROCLO, 129. PUFENDORF S., 194.

RAHNER K, 44, 49, 57, 72, 172, 188, 199,200,219,238,256.

345

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Cornelio Fabro

RAMfREZ s.,. 242. REGINA u., 146. REm TH., 134: RENSI G., 194. REvAULT D1ALLONNES G., 141. REvERBERI G., 13, 15. RIGNANO E., 135. RITSCHLA., 329. RIZZACASA A., 337. ROBERTO DA LINCOLN, 107. ROBIGLIO A., 338. RoBINSON J. A.T., 191. RoLAND-GossELIN M.-D., 72. ROMANO B., 331. RoMERA O:NATE L., 336 RosMINI A., 44, 123. RouGIER L., 59. RoYCE J ., 194. RuBIN E., 134. RmzA., 259.

SABATIERA., 329. SAITTA G., 59. SANcHEZ SoRONDO M., 20, 235,

303,327,331,334,335,339. SANGUINETI J.J, 337. SANMARCHI A., 338. SARTORI L., 49. SARTRE J.-P., 27, 258, 160, 161,

187, 329. SAWICKI FR., 85. ScHELLING G.-W., 31, 58, 108,

171, 177, 179, 222, 238, 261, 277,278,285,330.

346

SCHLEIERMACHER F., 153, 157, 174, 329, 330.

ScHOPENHAUER A., 263, 277. ScHOPFLIN M., 16, 339. SCHREMPF CHR., 221. ScOTo D., 243. SEVERINO E., 27, 42, 331. SHAFTESBURY A., 194. SIGWART CHR. W., 329. SIMONIN P., 12. SLADECZEK FR., 72. SoAJE RAMos J ., 334. SORRENTINO S., 331. SPEDALIERI N., 194.

' SPINOZA B., 128, 217, 222. STEIN E., 150, 329. STUMPF K., 133. Su.AREz F., 106, 143, 243.

TAULERO J., 168, 169. TABARELLI R., 328, 329. TEODORICO DA CHARTRES, 38. TILLICH P., 191. Tocco G. DA, 32. ToLAND J., 194. TOMMASO (S.), passim ToNINI V., 186. TQZZI c., 20. TRAVERSA G., 337. TRENDELEMBURG A., 329. TREMESAYGUES A., 37.

VAILATI G., 329. VANSTEENKISTE C., 330, 334.

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VARISCO B., 329. VARTANIAN A., 196. VEAUTHIER R-W., 97. VERAA.,47. VERNEAUX R., 112. VERRA V., 26, 319. Vico G., 217. VIGJEN J., 339. V1LLAGRASA}., 338. VOLTAIRE R, 187.

WAHLJ., 221.

Indice dei nomi

WELTE B., 126. WERTHEIMER W., 134, 142. WHITEHEAD A.D., 194. WIPPEL J ., 338. W1TTGENSTEIN L., 57. WITTMANN J., 138. WoLFF CHa., 42, 88, 106 Wu:NoTW.,,134, 229.

UMBONI G., 329.

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Indice

Introduzione ........................................................................... 5

La vita e il contesto ................................................................. 9

Cimpegno di una vita come indagine speculativa e ricerca vissuta .............................. .-.................................................... 9

Un'esistenza segnata dal mistero del dolore e della grazia ......... 9 Interessi tematici ed evoluzione del pensiero .......................... 20 Aspetti vari della personalità e dello stile intellettuale di Fabro ... 32 Testamento di P. Cornelio ................................................... 53

Leopere ................................................................................. 55

Citinerario speculativo attraverso i testi.. ............................ 55 La nozione metafisica di partecipazione ............................... 59 Partecipazione e causalità ................................................... 70 Esegesi tomistica ................................................................. 82 Tomismo e pensiero moderno ............................................... 92 La fenomenologia della percezione - Percezione e pensiero ... 129 Dall'essere all'esistente ....................................................... 146

349

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Cornelio Fabro

Riflessioni sulla libertà ...................................................... 164 L'uomo e il rischio di Dio .................................................. 187 Introduzione all'ateismo moderno ..................................... 192 Tra naturale e soprannaturale: cenni a opere varie .............. 197

Il pensiero ........................................................................... 203

Le direzioni fondamentali del pensiero fabriano ............... 204 L'approfondimento della nozione metafisica di partecipazione .............................................................. 204 La determinazione dell'essenza radicalmente atea del principio d'immanenza ............................................... 216 Il recupero del realismo nell'esistenzialismo metafisico di Kierkegaard ................................................................. 220

Riassunto fabriano in chiave dialettica: rotture e aperture .............. ~ ................................................ 238

A modo di conclusione: per una panoramica fabriana ...... 242

Appendice ........................................................................... 259 Libertà e persona in S. Tommaso (Cornelio Fabro) .................. 259

Bibliografia ......................................................................... 299

Indice dei nomi .................................................................... 341

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Collana Filosofi Italiani del Novecento

Volumi pubblicati 1. Abbagnano Nicola 2. Bontadini Gustavo

. 3. Carlini Armando 4. Fabro Cornelio

Prossimi volumi in uscita (elencati alfabeticamente per cognome del filosofo) Banfì Antonio Bobbio Norberto Cacciari Massimo Calogero Guido Capograssi Giuseppe Carabellese Pantaleo Castelli Enrico Croce Benedetto Del Noce Augusto Della Volpe Galvano Eco Umberto Gentile Giovanni Gentile Marino Gramsci Antonio Jaia Donato Mancini Italo Martinetti Piero Masnovo Amato Michelstadeter Carlo Paci Enw Pareyson Luigi Piovani Pietro Prini Pietro Quinzio Sergio Sciacca Michele Federico Severino Emanuele Spirito Ugo Stefanini Luigi Sturzo Mario Vanni-Rovighi Sofia Varisco Bernardino Vattimo Gianni Zamboni Giuseppe