CHIESA E NAZISMO

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Berlino, 20 aprile 2005. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il giovane Joseph Ratzinger fu iscritto alla Gioventù Hitleriana: lo ha spiegato lo stesso cardinale, in alcune interviste, nelle quali ha motivato la sua presenza sporadica nella sede dell'organizzazione giovanile nazista con la necessità di procurarsi la riduzione delle tasse scolastiche di cui aveva bisogno per studiare. Lo stesso Papa ha ammesso, dunque, di aver fatto parte della gerarchia nazista. Belgrado, 20 aprile 2005. Insieme alla fredda accoglienza riservata al nuovo papa da parte della Chiesa Ortodossa Serba, la stampa di Belgrado ha sottolineato il conservatorismo di Ratzinger e la sua appartenenza da ragazzo alla "Hitler Jugend". Il quotidiano indipendente Danas ha annunciato l'arrivo di ''un tedesco dopo 1.000 anni'' a capo della Chiesa Cattolica, accompagnando l'articolo con una foto di Ratzinger quattordicenne con l'uniforme della gioventù hitleriana. D'altronde, molti cristiani serbi ortodossi non hanno mai perdonato la Chiesa Cattolica per il suo sostegno all'occupazione nazista dei Balcani durante la Seconda Guerra Mondiale, quando centinaia di migliaia di serbi morirono nei campi di concentramento. Anche un altro giornale, Kurir, ha ricordato il passato di giovane nazista del neo pontefice, pur aggiungendo che ''non esistono prove che Josef Ratzinger abbia partecipato o svolto un qualsiasi ruolo nei crimini di guerra commessi dal nazismo '' (così come non esistono prove del contrario, ndr). Il quotidiano Glas Javnosti lo ha definito invece un ''intransigente guardiano del dogma cattolico''. «Dalla gioventù hitleriana a Papa Ratzi». Questo il titolo che il Sun, il più venduto e popolare quotidiano inglese, ha dedicato al nuovo Pontefice, reo di aver indossato («a forza», ammette a

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"Mai, durante la guerra, s’era udita una parola del Santo Padre contro il nazionalsocialismo; mai una sua parola di condanna delle stragi dei polacchi e degli ebrei, né dei campi di sterminio, né di tutti gli altri raccapriccianti orrori, di cui – più di qualsiasi uomo politico – Pio XII era a conoscenza, per i dettagliati rapporti che riceveva dal clero dei paesi belligeranti e dagli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede"...

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Berlino, 20 aprile 2005. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il giovane Joseph Ratzinger fu iscritto alla Gioventù Hitleriana: lo ha spiegato lo stesso cardinale, in alcune interviste, nelle quali ha motivato la sua presenza sporadica nella sede dell'organizzazione giovanile nazista con la necessità di procurarsi la riduzione delle tasse scolastiche di cui aveva bisogno per studiare. Lo stesso Papa ha ammesso, dunque, di aver fatto parte della gerarchia nazista.

Belgrado, 20 aprile 2005. Insieme alla fredda accoglienza riservata al nuovo papa da parte della Chiesa Ortodossa Serba, la stampa di Belgrado ha sottolineato il conservatorismo di Ratzinger e la sua appartenenza da ragazzo alla "Hitler Jugend". Il quotidiano indipendente Danas ha annunciato l'arrivo di ''un tedesco dopo 1.000 anni'' a capo della Chiesa Cattolica, accompagnando l'articolo con una foto di Ratzinger quattordicenne con l'uniforme della gioventù hitleriana. D'altronde, molti cristiani serbi ortodossi non hanno mai perdonato la Chiesa Cattolica per il suo sostegno all'occupazione nazista dei Balcani durante la Seconda Guerra Mondiale, quando centinaia di migliaia di serbi morirono nei campi di concentramento. Anche un altro giornale, Kurir, ha ricordato il passato di giovane nazista del neo pontefice, pur aggiungendo che ''non esistono prove che Josef Ratzinger abbia partecipato o svolto un qualsiasi ruolo nei crimini di guerra commessi dal nazismo'' (così come non esistono prove del contrario, ndr). Il quotidiano Glas Javnosti lo ha definito invece un ''intransigente guardiano del dogma cattolico''.

«Dalla gioventù hitleriana a Papa Ratzi». Questo il titolo che il Sun, il più venduto e popolare quotidiano inglese, ha dedicato al nuovo Pontefice, reo di aver indossato («a forza», ammette a denti stretti il giornalista del Sun) la divisa dell'esercito nazionalsocialista durante la Seconda Guerra Mondiale. «L'ultraconservatore Ratzinger è nato 78 anni fa nel villaggio bavarese di Marktl-am-Inn, dove ieri notte la banda del paese ha festeggiato con fiumi di birra», ha ironizzato il giornalista. Poi, la zampata finale, per la gioia dei lettori e sudditi di sua Maestà: «Ratzinger aveva quattordici anni quando fu costretto ad aderire alla Gioventù Hitleriana». Il sottinteso è chiaro: il giovane Joseph si batté contro il glorioso esercito inglese. Che l'adolescente Ratzinger avesse prestato servizio nella Wehrmacht si sapeva. Che i tabloid britannici continuassero a soffiare sul fuoco della diffidenza anglo-tedesca è stata invece una scoperta. Basti pensare che, oltre al

Sun, anche il Mirror ha definito il Papa il «Rottweiler germanico», battendo perfino il

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nostrano Manifesto che è uscito in prima pagina con il titolo «Il Pastore Tedesco». Più sfumata (e ironica) la polemica che ha viaggiato via sms, parafrasando l'antica esortazione di Papa Giovanni nei primi anni '60: «Kari fratelli, kvando tornate a kasa, tate ein ceffone ai fostri pampini. Tite loro ke essere ceffone ti Papa».

From the Hitler Youth to Papa Ratzinger

Was Pope Benedict XVI (Joseph Ratzinger) A Nazi?

Hitler Youth - Wikipedia

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Nell'Europa dell'ovest, persino prima della guerra ci furono preti che presero parte attiva nella caccia ai beni degli ebrei: dopo l'Anschluss (l’annessione dell’Austria alla Germania per formare la "Grande Germania"), nel giugno 1938, Eugen Haisler, segretario di Innitzer, giunto in Francia per predisporre "un comitato cattolico di amicizia franco-tedesca", incontrò fra gli altri Rossé, il capo degli autonomisti alsaziani finanziati dal Reich, che gli chiese di acquistare per lui a Vienna, a un prezzo vantaggioso, una stamperia ebraica. Oggi disponiamo di informazioni sostanziali sui membri del clero francese che erano a capo della collaborazione (Suhard, Baudrillart, Beaussard, vescovo ausiliare di Parigi): Suhard dimostrava grande spirito di conciliazione durante le perquisizioni della Gestapo del 26 luglio 1940 tendenti a stabilire la collusione fra il defunto cardinale Verdier e gli ebrei e il complotto tramato contro il Reich dagli emigrati politici e dall'arcivescovato di Parigi; nella stessa sede dell'arcivescovato di Parigi, la Quinta Colonna aveva i propri informatori, come dimostrò l'irruzione tedesca durante la quale fu sequestrato un esemplare del rapporto sulle conversazioni tra mons. Verdier e Benès, - verosimilmente sulle alleanze franco e ceco-sovietiche - in occasione del congresso cattolico di Praga (dal 27 giugno al 1 luglio 1935). Ma, riguardo all'Europa orientale, le informazioni sono molto più nutrite. Perché, di fronte ad una opposizione forsennata della curia, in occasione dei grandi processi a cavallo degli anni Quaranta-Cinquanta, gli stati estrassero dagli archivi nazionali ed ecclesiastici massicce informazioni (sequestrate una volta acquisite). Documenti che aprono scenari inquietanti sulle posizioni assunte dalla Chiesa Cattolica. Saul Friedlander parla della "libertà di azione lasciata ai vescovi" che si tradusse in comportamenti molto diversi: mentre il patriarca ortodosso di Costantinopoli ordinava ai suoi vescovi di fare il massimo per salvare gli ebrei, nessun ordine di questo genere giunse da Roma. Nella Russia occupata, le responsabilità della Chiesa furono identiche a quelle della Croazia di Pavelic o della Slovacchia di Tiso, senza che il Vaticano potesse invocare l'ignoranza di quanto stava succedendo: il Vaticano era la migliore agenzia d'informazioni del mondo e il pontefice era il primo a essere informato sui minimi particolari degli avvenimenti bellici. Fin dal settembre 1939, Pio XII era perfettamente al corrente dei metodi tedeschi. Gli archivi francesi confermano le fonti polacche e jugoslave. Non è possibile distinguere le organizzazioni terroristiche, "l'esercito cattolico d'Ucraina" uscito dall'Organizzazione degli Ucraini Nazionalisti (OUN) del capo nazista ucraino Stefan Bandera, dai loro tutori religiosi, preti o laici che fossero. Al terrorismo degli anni precedenti la guerra, guidato dal Reich, seguì il terrorismo di guerra che ha consentito a questa "polizia ausiliaria" di massacrare soldati dell'Armata Rossa, ebrei e partigiani, con entusiasmo a volte più grande di quello dei tedeschi, preoccupati di garantire una liquidazione "razionale" e organizzata. È quanto ha messo in rilievo Raul Hilberg a proposito di tutti gli ausiliari dei nazisti, si trattasse di ucraini o di slovacchi, di croati, di

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baltici, di rumeni o di ungheresi, e non solo dei "tedeschi etnici" trovati sul posto. Così come ha rilevato il divieto di aiuto agli ebrei perseguitati dagli Einsatzgruppen (reparti speciali tedeschi, composti da uomini delle SS e della polizia), notificato ai preti da vescovi come il lituano Brizgys.

Pio XII e il nazismo

SS GALICIA

È nei ranghi della polizia baltica, bielorussa e ucraina che furono reclutati gli effettivi della divisione SS Galicia (SS-Galizien) - più tardi fu conosciuta con il nome di 1a Divisione Ucraina dell'Esercito Nazionale Ucraino - formata nel 1942-1943. I carnefici erano scortati dai preti come dopo il massacro di 6.000 ebrei che durò tre giorni e tre notti, di cui fu testimone il giovane Simon Wiesenthal. Il massacro, perpetrato nell'estate 1941 dall'OUN per celebrare il rientro a Lvov (sede di monsignor Szepticky), fu interrotto al suono delle campane della chiesa. Una voce ucraina urlò: "Basta per questa sera! È l'ora della messa!". A dispetto delle pretese reticenze della Chiesa, peraltro posteriori a Stalingrado, verso le atrocità tedesche e affini, i prelati controllarono strettamente l’alleanza fra laici e religiosi, come il vecchio vescovo uniate di Lemberg (Lvov), mons. Szepticky, vero simbolo della penetrazione germanica in territorio slavo: la sua lotta antirussa (e antipolacca) al servizio dell'Austria (prima del 1914) poi del Reich, ebbe nuovo slancio con la guerra, dal giugno 1941. La sua crociata e le azioni dei suoi subordinati non distinsero mai fra l'imperativo di vincere una volta per tutte il comunismo ateo e militante e quello di sbarazzarsi degli ebrei. Egli dette la sua benedizione alla divisione SS Galicia guidata dai suoi cappellani uniti all'assalto degli "empi bolscevichi".

14th Waffen Grenadier Division of the SS (1st Ukrainian) - Wikipedia

Quanto si sa della Russia vale anche per tutta l'Europa centrale e orientale, dove la gerarchia cattolica, oltre a non proteggere le vittime, vietò ad altri di proteggerle. Del resto, i prelati notoriamente antisemiti di Polonia, Ungheria, Slovacchia e Romania, in paesi dotati di una severa legislazione antiebraica prima della guerra, avevano partecipato attivamente all'elaborazione e all'adozione di queste stesse leggi che, nel 1945, si mostrarono ben felici di rispettare. È noto l'eminente contributo della Slovacchia di mons. Jozef Tiso, ex-arcivescovo di Bratislava, alle deportazioni degli ebrei. Il 9 marzo 1939, a Berlino, dopo essersi accordato con Hitler, Tiso proclamò la Repubblica Indipendente Slovacca, collaborazionista, di cui fu il presidente del consiglio dal 1939 al

1944. Alla fine della guerra mondiale fu processato e giustiziato per alto tradimento. Gli archivi, aperti dopo la guerra, hanno provato che l'atteggiamento dei vescovi verso il massacro degli ebrei slovacchi era stato per lo meno sospetto e che essi non avevano mostrato un grande disinteresse verso i beni terreni. Il processo "per alto tradimento", nel gennaio 1951, di tre vescovi slovacchi (mons. Vojtassak, Bulzaka e Godjte), condannò Vojtassak per aver approvato la deportazione degli ebrei e partecipato al saccheggio dei loro beni, in particolare a Baldovce e a Betlanova.

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In Croazia, la "purificazione etnica" colpì tanto i serbi ortodossi quanto gli ebrei. Non è più il caso di chiedersi se Roma ignorò i misfatti del paese di Pavelic e l'eminente contributo di un clero "(composto) per lo più di fanatici o di uomini pietrificati dalla paura", dal più alto al più basso livello della gerarchia. Il Vaticano, e in primo luogo Pio XII, ha sostenuto il regime ustascia fino alla caduta. Ha coperto i crimini dei preti, si trattasse di partecipazione individuale o adesione a massacri e saccheggi dei beni degli ebrei e degli ortodossi. Pio XII preferì parlare dei rischi di fallimento della "crociata militare comune contro il bolscevismo". Il tesoro ustascia, trovato all'inizio del 1946 nel convento francescano di Kaptol a Zagabria, conteneva gioielli, oro, denti in oro in mandibole intere, anelli su dita tagliate, provenienti dal saccheggio di ortodossi ed ebrei assassinati in massa. Inoltre, sono noti fin dagli anni Sessanta i silenzi di Pio XII sull'anti-cristianesimo del regime hitleriano, le persecuzioni, le deportazioni, i terrificanti metodi di guerra e di occupazione dei tedeschi. Da questo dossier, studiato da Saul Friedlander, è emerso che la curia fu informata nei minimi particolari da fonti ebraiche, americane (l'americano Myron Taylor, rappresentante personale di Roosevelt presso papa Pio XII, le fornì uno stato particolareggiato degli stermini in Polonia il 26 settembre 1942) e tedesche. La curia non denunciò nulla di tutto ciò nemmeno quando, dal luglio all'ottobre 1942, gli Stati Uniti e altri governi, fra cui quello inglese, unirono i loro sforzi per ottenere dal papa una protesta pubblica contro le atrocità naziste nei territori occupati dalla Germania. Il 30 dicembre 1942, Pio XII invocò una certa esagerazione a fini propagandistici nei rapporti degli alleati sulle atrocità. Spiegava che, quando parlava delle atrocità, non poteva nominare i nazisti senza menzionare allo stesso tempo i bolscevichi, "cosa che potrebbe non piacere agli alleati". Pio XII non disse nulla invece sulle deportazioni di massa degli ebrei, come quelle che si svolsero sotto le "sue" finestre, nella città di Roma occupata dai tedeschi, a partire della metà dell'ottobre 1943.

Egli aveva affidato al vescovo Alois Hudal il compito di discutere con il generale Stahel, comandante in capo della città di Roma, la questione delicata e sgradevole delle relazioni germano-vaticane, ma che fu "liquidata" - secondo von Wreiszècher, neo-ambasciatore del Reich dall'inizio di luglio 1943 - in meno di due settimane: da sola, questa missione costituiva una ammissione, tenuto conto dell'antisemitismo del nazista austriaco Hudal e dei suoi contatti a Roma con Walter Rauff, capo dei servizi di sicurezza delle SS, responsabile del programma delle camere a gas mobili, dal 1941 all'est (inviato nella primavera 1943 a Roma per sei mesi da Martin Bormann, Rauff fu assegnato in settembre ad un'unità SS operante nella regione di Genova-Milano-Torino con lo stesso obbiettivo). Né si sentirono ulteriori dichiarazioni da parte di Pio XII

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sulle deportazioni del 1944, in particolare su quelle degli ebrei ungheresi, che furono massicce a partire dal mese di maggio.

Alois Hudal - Il vescovo nazista

Nel 1963, il drammaturgo tedesco Rolf Hochhut scrisse su Pio XII l’opera "Il Vicario" (Feltrinelli, Bologna, 1964), in cui erano contenute numerose accuse contro il pontefice, tra cui quelle di essere filonazista, antiebraico, opportunista politico e per nulla evangelico (il regista Costa-Gravas ne ha poi tratto il film "Amen", con Mathieu Kassovitz, Francia, 2002, ndr). L’opera scatenò un violento dibattito su Papa Pacelli e sorsero parecchie pubblicazioni pseudo-storiche tendenti a dimostrare queste tesi, spesso di carattere emotivo e problematiche, come anche altre di segno opposto. Questo fatto, però, è servito alla critica storica, in quanto

la Santa Sede incaricò tra la fine del 1964 e gli inizi del 1965 un gruppo di gesuiti, storici di fama internazionale, come P. Blet, R.A. Graham, A.Martini e B.Schneider, di fare luce, pubblicando gli atti e documenti vaticani sulla Seconda Guerra Mondiale, pubblicazione conclusasi con l’ultimo libro di Pierre Blet su Pio XII ("Pio XII e la Seconda Guerra Mondiale negli Archivi Vaticani", Roma, Edizioni San Paolo, 1999).

"Il Vicario" del tedesco Rolf Hochhuth

AMEN di Costa Gavras

P. Pierre Blet S.J. su Pio XII

Un’altra opera molto problematica, apparsa su Pio XII e l’antisemitismo della Chiesa Cattolica, è stata quella di Ernesto Rossi, "Il Manganello e l’Aspersorio", del 1957 (ristampata, in occasione del Giubileo, dalle edizioni Kaos), in cui l’autore prova a dimostrare le collusioni nazifasciste della Chiesa. Si tratta di un’opera molto dettagliata, in cui sono riportati stralci interi di documenti. Il Rossi sottolinea come le tendenze antisemite presenti nella Chiesa Cattolica, soprattutto in ambiente gesuita, fornirono la giustificazione religiosa ai fascisti per introdurre e difendere le leggi razziali. Il saggio "Della Questione Giudaica in Europa", apparso su Civiltà Cattolica nel 1889 e ripubblicato a nel 1891 con le stesso titolo, in un opuscolo di 90 pagine, un capolavoro – secondo l’autore – della letteratura gesuitica antirisorgimentale del secolo, afferma con crudezza che "la gran famiglia israelitica, disseminata tra le genti del globo, forma una nazione straniera nelle nazioni in cui dimora e nemica giurata del loro benessere…" e che il Talmud, oltre ad essere la fonte di una morale "esecranda", prescrive "l’odio a tutti gli uomini che non hanno sangue giudaico, in specie a’ cristiani, e faccia lecito il depredarli e malmenarli quasi bruti nocivi". Queste sorprendenti affermazioni, in uno scritto cattolico, in verità sono abbastanza gravi, in quanto offrirono un fondamento dottrinale al fascismo nella lotta antigiudaica, e misero in serio imbarazzo le gerarchie

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cattoliche, anche perché con chiarezza, forse perché gli anticlericali dell’epoca avevano eletto sindaco di Roma un ebreo, Natan, nello scritto si dice che il fatto che il Papa avesse perso Roma era imputabile alla "peste ebraica" e che l’Italia era divenuta "un regno di ebrei anticristiani". I rimedi suggeriti dall’opuscolo erano l’abolizione dei regimi democratici, fondati sui "diritti dell’uomo", confiscare tutti i beni dei giudei ed espellerli dai paesi cristiani, anche se queste misure sarebbero dovute essere messe in atto secondo giustizia e carità, non penalizzando gli ebrei onesti. Una via necessaria era individuata nel ripristino, come nella Russia zarista, delle leggi che togliessero ai giudaici l’uguaglianza civile e il confinarli in ghetti, in quanto data la loro indole di "stranieri", di "nemici" di ogni paese, e costituenti una "società separata". Lo scritto, inoltre, considerava non giusta e cristiana la loro soppressione ed uccisione, che anzi era ripudiata. Sorprendentemente, nella prassi fascista delle leggi razziali, fu attuata tutta la filosofia soggiacente a questo scritto, così come nello spirito dei pronunciamenti: non "persecuzione" degli ebrei ma "discriminazione". Successivamente, Ernesto Rossi, ripercorrendo le pagine della rivista gesuita, dimostra come questa più volte sia ritornata sul problema giudaico con gli stessi argomenti del 1889, come nel 1928 e nel 1934, quando uscirono due articoli, di padre E. Rosa, di pieno appoggio alle teorie esposte in un "Manuale Nazista di Propaganda Antisemita". Nel 1936 fu recensito, sulla stessa rivista, con accenti positivi, un libro antisemita del cattolico Léon De Poncins, in cui si sottolineava il carattere "comunista" e "capitalista" degli ebrei , mentre nel 1937, nell’articolo "La Questione Giudaica e il Sionismo", si sottolineava che per conquistare il dominio del mondo, gli ebrei si servivano dell’oro (che già possedevano) e dell’ "internazionalismo proletario", essendosi già infiltrati nella Società delle Nazioni e nella Massoneria. Questa "mentalità nefasta" dei giudei si doveva "soltanto tenerla a freno con il ghetto, cioè con restrizioni giuridiche e coercitive, senza persecuzioni, in modo adatto ai nostri tempi". L’obiettivo doveva essere quello, tramite le persecuzioni "moderate", della conversione al cattolicesimo, come veniva spiegato nella rivista del 19 giugno 1937. Nel 1938, sulla stessa rivista, si plaudiva alle tesi di espulsione dai quadri dirigenti della nazione degli ebrei, proposta dal fascista Giacomo Acerbo, mentre sul quaderno del 27 marzo e successivi ci si allineava alla propaganda fascista, se non la si ispirava. Il Rossi, scorrendo diversi numeri della rivista, sottolinea sempre più questa consonanza tra la persecuzione ebraica messa in atto dai fascisti e gli articoli della rivista gesuitica, spesso vogliosi di distinguere tra "antisemitismo nazista" e "giusto antisemitismo fascista" . Riguardo a Papa Pio XII, il Rossi scrive: "Mai, durante la guerra, s’era udita una parola del Santo Padre contro il nazionalsocialismo; mai una sua parola di condanna delle stragi dei polacchi e degli ebrei, né dei campi di sterminio, né di tutti gli altri raccapriccianti orrori, di cui – più di qualsiasi uomo politico – Pio XII era a conoscenza, per i dettagliati rapporti che riceveva dal clero dei paesi belligeranti e dagli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede".

Ernesto Rossi, Il manganello e l'aspersorio

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Un altro autore "problematico", il teologo tedesco Hans Kung, ha affrontato nel suo volume "Ebraismo" (Rizzoli “Bur saggi”, 1999) la questione del rapporto tra Chiesa Cattolica ed ebrei. Ripercorrendo la Storia della Chiesa Cattolica, Kung evidenzia dapprincipio il legame tra le prescrizioni canoniche, dal sinodo di Elvira del 306, fino al Concilio di Basilea del 1434, con le leggi razziali nazifasciste, trovandovi una singolare affinità: anche i cristiani avevano proibito i matrimoni misti, i rapporti sessuali, i pranzi con gli ebrei; avevano vietato loro le cariche pubbliche, di tenere presso di sé servi, serve, schiavi e schiave cristiani, come anche di farsi vedere per strada durante la settimana santa; avevano ordinato il rogo del Talmud e di tutti gli altri libri ebraici; proibito di consultare medici giudei e abitare presso famiglie di questa razza; li avevano obbligati a versare le decime alle chiese e a non lavorare la domenica; avevano impedito loro di accusare o

testimoniare contro i cristiani; avevano vietato di diseredare i loro fratelli di fede passati al cristianesimo; li avevano costretti a portare un distintivo sui vestiti, impedito di costruire sinagoghe; c’era il divieto di partecipare alle feste ebraiche per i cristiani; li avevano costretti ad abitare in quartieri ebraici rigorosamente delimitati, non potevano acquistare o affittare beni e terreni dai cristiani; avevano impedito le conversioni all’ebraismo, e viceversa, il ritorno di un ebreo convertito alla propria fede; proibito di fare da mediatori in contratto tra i cristiani. Il tutto proprio come i nazifascisti. Kung sottolinea che proprio questa cultura cristiana "negativa" e spesso ideologica, non raccordabile con il "depositum fidei", è stata la causa della dottrina nazifascista sul razzismo, sulle persecuzioni razziali, ed è questa la prima cosa di cui la Chiesa deve fare "memoria" e chiedere perdono delle proprie colpe. Questi fatti non possono essere rimossi: "Come è noto, fin dall’illuminismo la chiesa cattolica austriaca aveva fomentato il tradizionale antisemitismo della popolazione, anzi lo aveva usato perfino come strumento politico, e precisamente sia contro la monarchia sia contro la democrazia". Con un'unica differenza: l’antisemitismo cattolico non mirava alla soppressione degli ebrei, bensì alla delimitazione e alla conversione. Quello fascista e hitleriano era discriminatorio e fondato su presunte ragioni biologico-razziste. Kung si pone delle domande: "Che cosa sarebbe successo se il Vaticano – invece di accreditare Hitler già il 20 luglio 1933 con un concordato – avesse messo in guardia la Germania e il mondo da un uomo le cui disastrose intenzioni erano enunciate in maniera inequivocabile nel Mein Kampf e nel programma in 24 punti del suo partito…?". Il teologo riconosce che singoli gruppi di cattolici hanno fatto moltissimo, ma giudica preoccupante il silenzio della Conferenza Episcopale tedesca e riporta una lettera di Konrad Adenauer al pastore di Bonn, Bernhard Custodis, del 23 febbraio 1946: "A mio avviso il popolo tedesco porta, come pure i vescovi e il clero, una grande responsabilità per i fatti accaduti nei campi di sterminio… La colpa è stata commessa prima. Il popolo tedesco, e in buona misura anche i vescovi e il clero, ha aderito al nazionalsocialismo. Ci si è lasciati uniformare… quasi senza resistenza, in parte anzi con entusiasmo. Qui sta la colpa…Io credo che se i vescovi tutti insieme ed in un determinato giorno avessero preso posizione dal pulpito contro ciò, avrebbero potuto impedire molte cose. Così non è avvenuto e per questo non ci sono scuse. Se per tale motivo i vescovi fossero finiti in prigione o in un campo di sterminio, non sarebbe stato un male, al contrario. Tutto questo non è accaduto e perciò è meglio tacere". Parlando di Pio XII, il teologo tedesco afferma che la sua figura è discutibile per la "diplomaticissima politica ebraica", in quanto il pontefice è stato estremamente riluttante nei confronti di una condanna pubblica dell’antisemitismo e del nazionalismo. Perché? "Perché Eugenio Pacelli, per mentalità e carriera, era un germanofilo dichiarato, che si circondava esclusivamente di collaboratori

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tedeschi (il papa dei tedeschi), pensava soprattutto secondo criteri giuridico-diplomatici e non teologico-evangelici, operava secondo una mentalità curiale e attaccata all’istituzione piuttosto che da pastore attento agli uomini; ossessionato dopo la sconvolgente esperienza vissuta a Monaco nel 1918… dalla paura del contatto fisico e dal terrore del comunismo, era di orientamento profondamente autoritario ed antidemocratico… era addirittura predisposto a una pragmatica alleanza anticomunista con il nazismo totalitario… Per il diplomatico di professione Pacelli era importante la "libertà della Chiesa", intesa come il riconoscimento più ampio possibile, da parte dello stato, dell’istituzione ecclesiastica e del nuovo codice di diritto canonico (quello del 1917, ndr)… Diritti dell’uomo e democrazia sono realtà rimaste fondamentalmente estranee a questo papa". Lo studioso mette sotto accusa la politica di Segretario di Stato di Pacelli e in modo particolare il Concordato del Reich del 20 luglio 1933, perché, a suo giudizio, legittimò il regime nazista e lo riconobbe sotto il profilo della politica estera, integrando in questo sistema i cattolici. Conclude il teologo: "Il mondo attese invano Pio XII, i cui appelli alla pace restavano senza eco, non faceva che ribadire la propria neutralità, manifestava ad alcune vittime la propria solidarietà, ma per il resto preferiva tacere, anche durante la guerra… tacque anche di fronte all’annientamento degli ebrei, il più grande massacro di tutti i tempi, sul quale egli fin dal 1942… era certamente informato meglio di ogni altro uomo di stato occidentale. E Pacelli…non si risolverà a cambiare idea quando, nel corso della guerra, gli verrà richiesta una presa di posizione… da organizzazioni ebraiche, dallo stesso presidente Roosevelt… e infine anche dal rabbino capo della Palestina, Herzog. E questo rimase il suo immutato atteggiamento durante e dopo la breve occupazione di Roma da parte delle truppe tedesche (dall’ottobre 1943 al giugno 1944) – benché proprio allora la soluzione finale raggiunse il suo culmine con la deportazione degli Ebrei ungheresi ad Auschwitz… Papa Pacelli ha rinunciato non soltanto a scomunicare, ma anche a condannare pubblicamente eminenti assassini come Hitler, Himmler, Goebbels e Bornmann…, per non dire nulla del prelato cattolico antisemita e capo della Slovacchia occupata Tiso, del parimenti antisemita capo ustascia Ante Pavelic come pure del maresciallo francese Petain". Pesantissimo è il giudizio complessivo sull’episcopato tedesco.

Il capo del cattolicesimo politico, mons. Ludwig Kaas, amico di Pacelli, spianò di fatto la strada a Hitler, facendo votare il suo Partito del Centro a favore della "Legge per i Pieni Poteri", cosa che è stata definita l’errore "cardinale" del cattolicesimo tedesco da parte di tutti gli storici contemporanei. Il fatto più grave, secondo Kung, è che l’episcopato tedesco fino ad oggi si è astenuto dal fare una chiara confessione delle proprie responsabilità. Quello che è innegabile, che va riconosciuto, deprecato e condannato, è l’ideologia antisemita coltivata nella Chiesa dal Concilio di Elvira del 306 fino a Pio XII. Sicuramente – e storicamente – essa ha contributo a rendere drammatico il problema ebraico nei giorni dell’olocausto e della Seconda Guerra Mondiale. Sicuramente è inspiegabile la durezza e la fermezza, tipica di Papa Pacelli, avuta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale nei confronti degli Ebrei e dello Stato di Israele, come anche l’omissione di confessione della colpa.

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Ludwig Kaas - Wikipedia

CRISTIANI E NAZISTI (di Vittorio Messori)

A cent'anni dalla nascita di Hitler, un promemoria. È ad uso di quei cattolici che recitano solo mea culpa in risposta all'annoso coro di accuse, come se la Chiesa fosse responsabile dì quel battezzato austriaco. Ma la verità è questa: ciascuno ha la sua parte, piccola o grande, di responsabilità in ciò che avvenne tra il 1933 e il 1945. Eppure, se la Germania fosse stata cattolica, non ci sarebbero responsabilità da rinfacciarsi: il nazionalsocialismo sarebbe restato una frangia politica impotente e folkloristica. Prima Lutero e i suoi successori e poi, tra cui Otto von Bismarck, cercarono, con ogni sorta di violenza, di sradicare dalla terra germanica il cattolicesimo, visto come una sudditanza a Roma indegna di un buon patriota tedesco. Il "Cancelliere di ferro" definì “Kulturkampf”, "lotta per la civiltà", la sua persecuzione dei cattolici, per staccarli con la forza dal Papato "straniero e superstizioso" e farli confluire in una zelante Chiesa nazionale, come già da secoli i luterani. Non ci riuscì, e alla fine fu lui che dovette cedere. Solo un terzo dei tedeschi, in seguito alla Riforma luterana, era rimasto cattolico. Hitler andò al potere non con un colpo di stato, ma in piena legalità, col metodo democratico delle libere elezioni. Ebbene, in nessuna di quelle elezioni ebbe mai alcuna maggioranza nei Länder cattolici, i quali, ossequienti (allora lo erano) alle indicazioni della gerarchia, votarono come sempre compatti per il glorioso Zentrum, il loro partito, che già aveva sfidato vittoriosamente Bismarck e che si oppose sino all'ultimo pure a Hitler. E ciò (lo si dimentica troppo) a differenza dei comunisti, per i quali, sino al '33, il nemico principale non fu il nazismo ma l’ "eretica" socialdemocrazia. Si è fatto di tutto anche per farci dimenticare che Hitler non avrebbe mai scatenato la guerra senza l'alleanza con l'URSS che, per spartirsi la Polonia, scese in campo nel '39 con i nazisti. E furono i sovietici che, liberando il Führer dalla minaccia del doppio fronte, gli permisero, dopo Varsavia, di volgersi verso Parigi. Sino al "tradimento" di Hitler dell'estate del 1941, per ben 22 mesi, le materie prime russe sostennero lo sforzo germanico (il patto Molotov-Ribbentrop). I motori dei carri nazisti del Blitz in Polonia e in Francia e degli aerei della battaglia per l'Inghilterra girarono con il petrolio della sovietica Bakù. Sino a quella data, nei Paesi occupati, come la Francia, i comunisti locali - ossequienti alle direttive di Mosca - stavano dalla parte dei nazisti, non da quella della resistenza. Questi fatti valgano per decenni di sbandieramento di "decisivi meriti anti-fascisti" del comunismo internazionale, così pronto a definire i cattolici (i "clerico-fascisti") manutengoli della grande tragedia. Non meriti, quelli comunisti, bensì responsabilità gravissime. Il nazismo non fu certo vinto per iniziativa di Stalin il quale, al contrario, si sentì tradito dall'improvviso attacco dell'alleata Berlino. Né fu vinto dalla resistenza, di cui poi il marxismo cercò di appropriarsi ogni merito, ma a cui si decise tardivamente, costrettovi dal voltafaccia tedesco. Il nazismo fu vinto dall'ostinazione dell'Inghilterra che riuscì ad attirare dietro a sé la potenza industriale americana e che, seguendo la sua politica tradizionale più che motivazioni ideali (lo stesso Churchill era stato ammiratore di Mussolini e aveva avuto parole di stima e di elogio per Hitler; nell'isola raccoglieva simpatie e consensi il locale partito fascista), mai aveva sopportato una potenza egemone nell'Europa continentale. Così era stato anche per Napoleone e per la discesa in campo nel 1914: non guerra di principi ma di strategia imperiale. Contro i Boeri sudafricani, al principio del secolo, la Gran Bretagna vittoriana non era stata molto dissimile, per scopi e metodi, dalla Germania hitleriana. Purtroppo, in politica (e in quella sua continuazione che è la guerra), non esistono i paladini immacolati dell'ideale. Per tornare all'ascesa di Hitler: anche le decisive elezioni del marzo del '33 gli diedero la

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maggioranza nei Länder protestanti, ma lo mantennero in minoranza nelle zone cattoliche. Il presidente Hindenburg, rispettando la volontà della maggioranza degli elettori, affidò a quel quarantaquattrenne austriaco di origini oscure (forse addirittura almeno in parte ebraiche, secondo alcuni storici), la Cancelleria. Il 21 marzo, giorno della prima seduta del Parlamento del Terzo Reich, fu proclamato da Goebbels "giornata della riscossa nazionale". Le solenni cerimonie furono aperte con un servizio religioso nel tempio luterano di Potsdam, antica residenza prussiana. Scrive il biografo di Hitler, Joachim Fest: "Al servizio religioso (luterano) nella chiesa dei santi Pietro e Paolo, i deputati del Zentrum cattolico avevano avuto il permesso, in segno di dileggio e di vendetta, di accedere soltanto per un ingresso laterale. Hitler e i gerarchi nazisti non si fecero vedere, a causa, dissero, dell'atteggiamento ostile dell'episcopato cattolico. Sui gradini del tempio protestante, fu scattata la famosa foto di Hindenburg che stringe la mano a un Hitler in marsina. Subito dopo, l'organo intonò l'inno di Lutero: Nun danket alle Gott, e ora tutti lodino Dio".

Quanto alla Chiesa luterana, sin dal 1930 i Deutsche Christen (i Cristiani Tedeschi) si erano organizzati, sul modello del partito nazista, nella "Chiesa del Rekh" che accettava solo battezzati "ariani". Dopo le elezioni del '33, Martin Niemoller, il teologo passato poi all'opposizione, a nome di oltre 2500 pastori luterani pur non appartenenti alla Chiesa del Reich, inviò a Hitler un telegramma: "Noi salutiamo il nostro Führer, rendendo grazie per la virile azione e le chiare parole che hanno restituito l'onore alla Germania. Noi, pastori evangelici, assicuriamo fedeltà assoluta e preghiere ardenti". Storia lunga e penosa ché, ancora nel luglio del '44, dopo il fallito attentato a Hitler, mentre ciò che restava della Chiesa cattolica tedesca manteneva uno stretto silenzio, dai capi della Chiesa luterana giunse un altro telegramma: "In tutti i nostri templi si esprime oggi nella preghiera la gratitudine per la benigna protezione di Dio e la sua visibile salvaguardia". I

Cristiani Tedeschi avevano come motto: "Una Nazione, una Razza, un Führer". Il loro grido: "La Germania è la nostra missione, Cristo la nostra forza". Lo statuto della Chiesa fu modellato su quello del partito nazista, compreso il cosiddetto "paragrafo ariano" che interdiceva l'ordinazione di pastori non di "razza pura" e dettava restrizioni per l'accesso al battesimo di chi non avesse buoni requisiti di sangue. Ecco - tra gli altri documenti che devono far riflettere tutti i cristiani, ma in modo particolarissimo i fratelli protestanti - il servizio inviato dal corrispondente in Germania dell'autorevole giornale americano Time e pubblicato nel numero che porta la data del 17 aprile 1933, cioè un paio di mesi dopo l'ascesa al cancellierato di Hitler: "Il grande Congresso dei Cristiani Germanici è stato tenuto nell'antico palazzo della Dieta prussiana per presentare le linee delle Chiese evangeliche in Germania nel nuovo clima portato dal nazionalsocialismo. Il pastore Hossenfelder ha cominciato annunciando: Lutero ha detto che un contadino può essere più pio mentre ara la terra di una suora mentre prega. Noi diciamo che un nazista dei Gruppi d'Assalto è più vicino alla volontà di Dio mentre combatte che una Chiesa che non si unisce al giubilo per il Terzo Reich" (allusione polemica alla Gerarchia cattolica che si era rifiutata di "unirsi al giubilo"). Continuava Time: "Il pastore dottor Wieneke-Soldin ha aggiunto che la croce a forma di svastica e la croce cristiana sono una cosa sola. Se Gesù

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dovesse apparire oggi tra noi sarebbe il leader della nostra lotta contro il marxismo e contro il cosmopolitismo antinazionale". L'idea basilare dì questo cristianesimo riformato è che l'Antico Testamento, essendo un libro ebraico, debba essere proibito nel culto e nelle scuole di catechismo domenicali. Il Congresso ha infine adottato questi due principi: 1) "Dio mi ha creato tedesco. Essere tedesco è un dono del Signore. Dio vuole che mi batta per il mio germanesimo"; 2) "Servire in guerra non è una violazione della coscienza cristiana ma obbedienza a Dio". Non fu, quella dei Deutsche Christen, la penosa bizzarria di un gruppetto di minoranza, ma l'espressione della maggioranza dei luterani: alle elezioni ecclesiastiche del luglio del 1933, i "Cristo-nazisti" ottenevano oltre il 75% di suffragi da parte di quegli stessi protestanti i quali, alle elezioni politiche, a differenza dei cattolici, avevano assicurato la maggioranza parlamentare alla NSDAP (il Partito Nazional-Socialista del Lavoratori Tedeschi).

Cristiani e Nazisti

Kulturkampf - Wikipedia

Storia scomoda: l' alleanza tra Stalin e Hitler

Patto Molotov-Ribbentrop - Wikipedia

German Christians - Wikipedia

LA LETTERA DI EDITH STEIN [Tratto da Le Monde del 1 marzo 2003]

Il 12 aprile 1933, alcune settimane dopo l'insediamento di Hitler al cancellierato, una filosofa cattolica tedesca di origine ebraica trova l'ardire di scrivere a Roma per chiedere a papa Pio XI e al suo segretario di Stato - il cardinale Pacelli, vecchio nunzio apostolico in Germania e futuro Pio XII - di non tacere più e di denunciare le prime persecuzioni contro gli ebrei. Si tratta della voce di Edith Stein. Nata nel 1891 a Breslavia, convertitasi nel 1922, Edith Stein viene espulsa dall'università nel 1934, prima di entrare nel Carmelo di Colonia. Nell'agosto del 1942, in un convento olandese in cui i suoi superiori la credevano al sicuro, viene arrestata e deportata ad Auschwitz insieme a sua sorella Rosa. Entrambe vengono uccise nei forni crematori immediatamente dopo il loro arrivo. Edith Stein è stata canonizzata da Giovanni Paolo II l'11 ottobre 1998. Gli storici del Vaticano conoscevano l'esistenza di questa lettera indirizzata al papa nel 1933, ma ne ignoravano il contenuto: lo hanno appreso in séguito all’apertura degli archivi del Vaticano riservati al pontificato di Pio XI (1922-1939). La chiaroveggenza con cui Edith Stein testimonia la crudeltà del regime nazista è pari al coraggio del suo intervento: "Si tratta di un fenomeno che provocherà molte vittime.

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Si può pensare che gli sventurati che ne saranno colpiti non avranno abbastanza forza morale per sopportare il loro destino. Ma la responsabilità di tutto ciò ricade tanto su coloro che li spingono verso questa tragedia, tanto su coloro che tacciono. Non solo gli ebrei, ma anche i fedeli cattolici attendono da settimane che la Chiesa faccia sentire la sua voce contro un tale abuso del Nome di Cristo da parte di un regime che si dice cristiano". Ella aggiunge: "L'idolatria della razza, con la quale la radio martella le masse, non è di fatto un'eresia esplicita? (...) Noi temiamo il peggio per l'immagine mondiale della Chiesa se il silenzio si prolungherà ulteriormente". La notorietà di Edith Stein non era certo allora quella attuale, ma questo documento prova - se ancora ce ne fosse stato bisogno - come la Chiesa, ai più alti livelli, fosse informata delle persecuzioni naziste ed abbia taciuto.

Le Monde rende nota la scoperta di una lettera di Edith Stein a papa Pio XI

CROAZIA 1941-1944: UNA CATTOLICISSIMA MACELLERIA

Il testo che segue è la traduzione letterale di quello presentato da Karlheinz Deschner il 26/12/1993 in occasione dell'ultima puntata della sua serie televisiva sulla politica dei Papi nel XX secolo, trasmessa in Germania da Kanal 4. Il testo è stato ripreso dalla rivista marxista tedesca "Konkret" (n.3-1994) e tradotto in italiano a cura del Coord. Romano per la Jugoslavia.

Il Papato di Roma - divenuto grande attraverso la guerra e l'inganno, e attraverso la guerra e l'inganno conservatosi tale - ha sostenuto nel XX secolo il sorgere di tutti gli stati fascisti con determinazione, ma più degli altri ha favorito proprio uno dei peggiori regimi criminali: quello di Ante Pavelic in Jugoslavia. Questo ex-avvocato zagrebino, che negli anni '30 addestrò le sue bande soprattutto in Italia, fece uccidere nel 1934 a Marsiglia il re Alessandro di Jugoslavia in un attentato che costò la vita anche al ministro degli Esteri francese. Due anni più tardi, celebrò con un libello le glorie di Hitler, "il più grande ed il migliore dei figli della Germania", e ritornò in Jugoslavia nel 1941, rifornito da Mussolini con armi e denari, al seguito dell'occupante tedesco. Da despota assoluto, Pavelic si pose nella cosiddetta Croazia Indipendente a capo di tre milioni di Croati cattolici, due milioni di Serbi ortodossi, mezzo milione di Musulmani bosniaci, nonché numerosi gruppi etnici minori. Nel mese di maggio cedette quasi la metà del suo paese con annessi e connessi ai suoi vicini, soprattutto all'Italia, dove con particolare calore fu accolto e benedetto da Pio XII in udienza privata (benché già condannato a morte in contumacia per il doppio omicidio di Marsiglia sia dalla Francia che dalla Jugoslavia). Il grande complice dei fascisti si accomiatò da lui e dalla sua suite in modo amichevole e con i migliori auguri,

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letteralmente, di "buon lavoro". Così ebbe inizio una crociata cattolica che non ha nulla da invidiare ai peggiori massacri del Medioevo, ma piuttosto li supera. Duecentonovantanove chiese serbo-ortodosse della Croazia Indipendente furono saccheggiate, annientate, molte trasformate persino in magazzini, gabinetti pubblici, stalle. Duecentoquarantamila serbi ortodossi furono costretti a convertirsi al cattolicesimo e circa settecentocinquantamila furono assassinati. Furono fucilati a mucchi, colpiti con la scure, gettati nei fiumi, nelle foibe, nel mare. Venivano massacrati nelle cosiddette "case del Signore", duemila persone solo nella chiesa di Glina. Da vivi venivano loro strappati gli occhi, oppure si tagliavano le orecchie ed il naso, da vivi li si seppelliva, erano sgozzati, decapitati o crocifissi. Gli Italiani fotografarono un sicario di Pavelic che portava al collo due collane fatte con lingue e occhi di esseri umani. Anche cinque vescovi ed almeno 300 preti serbi furono macellati, taluni in maniera ripugnante, come Branko Dobrosavljevic, al quale furono strappati la barba ed i capelli, sollevata la pelle, estratti gli occhi, mentre il suo figlioletto era fatto letteralmente a pezzi dinanzi a lui. L'ottantenne Metropolita di Sarajevo, Petar Simonic, fu sgozzato. Ciononostante, l'arcivescovo cattolico della città di Oden scrisse parole in lode di Pavelic, "il duce adorato", e nel suo foglio diocesano inneggiò ai metodi rivoluzionari, "al servizio della Verità, della Giustizia e dell'Onore". Le macellerie cattoliche nella "Grande Croazia" furono così terribili che scioccarono persino gli stessi fascisti italiani; anche alti comandi tedeschi protestarono, diplomatici, generali, persino il servizio di sicurezza delle SS ed il ministro degli Esteri nazista Von Ribbentrop. A più riprese, di fronte alle "macellazioni" dei serbi, truppe tedesche intervennero contro i loro stessi alleati croati. E questo regime - che ebbe per simboli e strumenti di guerra "la Bibbia e la bomba" - fu un regime assolutamente cattolico, strettamente legato alla Chiesa Cattolica Romana, dal primo momento e sino alla fine.

Il suo dittatore Ante Pavelic, che era tanto spesso in viaggio tra il quartier generale del Führer e la Berghof hitleriana quanto in Vaticano, fu definito dal primate croato Stepinac "un croato devoto", e da papa Pio XII (nel 1943) "un cattolico praticante". In centinaia di foto egli appare fra vescovi, preti, suore, frati. Fu un religioso ad educare i suoi figli. Aveva un suo confessore e nel suo palazzo c'era una cappella privata. Tanti religiosi appartenevano al suo partito, quello degli ustasa, che usava termini come dio, religione, papa, chiesa, continuamente. Vescovi e preti sedevano nel Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano da ufficiali della guardia del corpo di Pavelic. I cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a due candele, un crocifisso, un pugnale ed una pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani, comandavano bande armate ed organizzavano massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano

giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano "non essere più peccato uccidere un bambino di sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa". "Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro programma" dal francescano Simic, un vicario militare degli ustasa. Francescani erano anche i boia dei campi di concentramento. Essi sparavano, nella "Croazia Indipendente", in quello "Stato cristiano e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno di Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica del paese, che encomiava anche Adolf Hitler definendolo "crociato di Dio". Il campo di concentramento di Jasenovac ebbe per un periodo il francescano Filipovic-Majstorovic per comandante, che fece ivi liquidare 40.000 esseri umani in quattro mesi. Il seminarista francescano Brzien ha decapitato qui, nella notte del 29 agosto 1942, 1360 persone con una mannaia. Non per caso il primate del paradiso dei gangsters cattolici, arcivescovo Alojzije Stepinac, ringraziò il clero croato "ed in primo luogo i

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Francescani" quando, nel maggio 1943, in Vaticano, sottolineò le conquiste degli ustasa. E naturalmente, il primate, entusiasta degli ustasa, vicario militare degli ustasa, membro del parlamento degli ustasa, era bene informato di tutto quanto accadeva in questo criminale eldorado di preti, come d'altronde Sua Santità lo stesso Pio XII, che in quel tempo concedeva un’udienza dopo l'altra ai Croati, a ministri ustasa, a diplomatici ustasa, e che alla fine del 1942 si rivolse alla Gioventù Ustasa (sulle cui uniformi campeggiava la grande "U" con la bomba che esplode all'interno) con un: "Viva i Croati!". I Serbi morirono allora, circa 750.000, spesso in seguito a torture atroci, in misura del 10-15% della popolazione della Grande Croazia - tutto ciò esaurientemente documentato e descritto nel mio libro "La Politica dei Papi nel XX secolo [Die Politik der Paepste im XX Jahrhundert, Rohwohl 1993; si veda pure "L'Arcivescovo del Genocidio", di M.A. Rivelli, ediz. Kaos 1999]. E se non si sa nulla su questo bagno di sangue da incubo non si può comprendere ciò che laggiù avviene oggi, avvenimenti per i quali lo stesso ministro degli Esteri dei nostri alleati Stati Uniti attribuisce una responsabilità specifica ai tedeschi, ovvero al governo Kohl-Genscher. Più coinvolto ancora è solo il Vaticano, che già a suo tempo attraverso papa Pio XII non solo c'entrava, ma era così impigliato nel peggiore degli orrori dell'era

fascista che, come già scrissi trent'anni fa, "non ci sarebbe da stupirsi, conoscendo la tattica della Chiesa romana, se lo facesse santo". Comunque sia: il Vaticano ha contribuito in maniera determinante alla instaurazione di interi regimi fascisti degli anni Venti, Trenta e Quaranta. Con i suoi vescovi ha sostenuto tutti gli Stati fascisti sistematicamente sin dal loro inizio. È stato il decisivo sostenitore di Mussolini, Hitler, Franco, Pavelic; in tal modo la Chiesa romano-cattolica si è resa anche corresponsabile della morte di circa sessanta milioni di persone, e nondimeno della morte di milioni di cattolici. Non è un qualche secolo del Medioevo, bensì è il ventesimo, per lo meno dal punto di vista quantitativo, il più efferato nella storia della chiesa.

POSTILLA

In occasione del primo viaggio in Croazia di Giovanni Paolo II, il quotidiano italiano la Repubblica taceva su tutto quanto sopra raccontato, ma scriveva: "... il contatto con la folla fa bene a Giovanni Paolo II. I fedeli lo applaudono ripetutamente. Specie quando ricorda il cardinale Stepinac, imprigionato da Tito per i suoi rapporti con il regime di Ante Pavelic, ma sempre rimasto nel cuore dei Croati come un'icona del nazionalismo. Woityla, che sabato sera ha pregato sulla sua tomba, gli rende omaggio, però pensa soprattutto al futuro..." (la Repubblica, 12/9/1994). Tre anni dopo, lo stesso papa proclamava beato il nazista Stepinac, con una pomposa cerimonia alla quale partecipava pure Franjo Tudjman, regista della cacciata di tutta la popolazione serba delle Krajne nella versione di fine secolo della "Croazia indipendente".

(Ci fermiamo qui, per non rendere troppo ipertrofico l’esperimento, evitando di riportare alla luce ulteriori prove della natura anti-cristica della Chiesa, come ad esempio i massacri dei gentili, le ignobili crociate dei bambini, fino alle più note efferatezze compiute da Papi Re, santi inquisitori e pedofili recidivi, tutte informazioni a portata di un clic).

Siamo ora pronti per accogliere nei nostri cuori il discorso di Papa Ratzinger, custode della dottrina, tenuto in occasione della messa "pro eligendo Romano pontifice", il giorno precedente al suo trionfo.

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(…) In quest'ora di grande responsabilità, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice con le sue stesse parole. La prima lettura offre un ritratto profetico della figura del Messia che, parlando di sé, dice di essere mandato "a promulgare l'anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio". (…) Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore. (…)

L'omelia è un inno all'ortodossia. Ratzinger snocciola uno ad uno i pericoli che nel secolo passato hanno insidiato il pensiero del buon cattolico (come mai non nomina né nazismo né fascismo?, ndr). Una vera e propria condanna della modernità. Un tentativo di condizionare la rotta futura della Chiesa?

(…) Preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia. Amen.

L'omelia si chiude con un lungo applauso.

Croazia 1941-1944: una cattolicissima macelleria

Pio XII e l'Olocausto - Wikipedia

PIO XII Documentazione Storica Ebrei-Chiesa-Nazismo

Nazisti e Vaticano: storia fotografica delle connivenze fra clero cattolico e Vaticano.