Chiedetelo al pallone

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La lettera, che i tifosi napoletani indirizzano all’odiato Meazza, colpevole di aver scippato il posto in Nazionale al loro divo Sallustro; l’arbitro Figuccia, diventato Fiduccia per evitare le battute da stadio nelle trasferte in Alta Italia; il playboy Vinello; Massimo Taibi portiere immortalato in una statua .. e tanti altri aneddoti diventati racconti che testimoniano un’altra epoca, quando gli allenatori non s’affidavano agli I-Pad, ma giravano tra le stanze d’albergo per evitare fughe romantiche, oppure, come Manlio Scopigno, regalavano ai giocatori massime filosofiche più che formule d’alchimista. Questi brandelli di memorie, messi uno dietro l’altro, sono sassolini preziosi; consentiranno di ricordare per sempre un percorso che diverte anche chi, più del calcio, ama una buona lettura.

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Giuseppe Bagnati

Chiedetelo al pallone

Non pentirti mai di questo povero pallone, amico

Giovanni Arpino (Azzurro Tenebra)

Prefazione di Massimo Corcione

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Note sull’autore: Giuseppe Bagnati è nato a Palermo il 18 luglio1950.Giornalista ha lavorato al Giornale di Sicilia, a Il Mattino,E'stato viceredattore capo della redazione romana della Gazzetta delloSport. Ha scritto con Vito Maggio e Vincenzo Prestigiacomo: "Il Pa-lermo una storia di 100 anni" e "Il Palermo racconta Storie, confes-sioni e leggende rosanero". Per questa casa editrice ha scritto conGaetano Sconzo "Il primo capitano Francesco Calì e la Nazionale".

Casa Editrice AntipodesVia Toscana, 2 90144 [email protected]

ISBN: 978-88-96624-02-9

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Prefazione

La memoria è arte che va esercitata, altrimenti le cellule cere-brali si atrofizzano e non c’è Wikipedia che tenga. E poi: avete maiprovato a ritrovare nella Grande Rete qualcosa che sia più remotodell’altro ieri? Troverete pure la citazione, ma il passato ha contornisfumati, il si dice prevale sulla verifica accurata, e l’informazioneperde consistenza, si polverizza. Succede anche nella piccola storiadel calcio: è lunga poco più di un secolo, ma solo l’ultimo decennioè davvero raccontato fin nei particolari apparentemente più trascu-rabili. Sul resto, una nebbia avvolge nomi e fatti, mentre raccoglieretestimonianze dirette è uso poco praticato.

Giuseppe Bagnati è uno dei rari cultori del genere: unisce vogliadi conoscenza a un archivio che negli anni s’è trasformato in patri-monio straordinario al quale attingere. È un piacere quasi fisico perlui affondare le mani in storie ormai lontane, ma proprio per questoancor più affascinanti. La lettera, che i tifosi napoletani indirizzanoall’odiato Meazza, colpevole di aver scippato il posto in Nazionaleal loro divo Sallustro, sarebbe stata destinata all’oblio: citata in unlibro del ’34, non è mai stata ripresa. È tenera la difesa che mammaMeazza fa in tribuna del suo Pepin, ha il piacere sottile della sco-perta, invece, il ritrovamento di personaggi solo apparentementeminori, protagonisti di storie personali esemplari. Questi brandellidi memorie, messi uno dietro l’altro, sono sassolini preziosi; con-sentiranno di ricordare per sempre un percorso che diverte anchechi più del calcio ama una buona lettura. Che il tempo sia passato

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lo ricordano dettagli impossibili oggi da replicare: un allenatore(Nereo Rocco) e un arbitro (Concetto Lo Bello) che dopo una pub-blica scenata fanno pace al matrimonio di un giornalista (Alfio Ca-ruso) sarebbe un remake quasi vietato dai rapporti formali cheregolano la convivenza tra le categorie del calcio.

Ma non sono solo concessioni alla nostalgia, panacea riservataagli inguaribili seguaci del “si stava meglio quando si stava peg-gio”. Piuttosto fotografie, magari un po’ ingiallite, che testimonianoun’altra epoca, quando gli allenatori non s’affidavano agli I-Pad,ma giravano tra le stanze d’albergo per evitare fughe romantiche,oppure, come Manlio Scopigno, regalavano ai giocatori massimefilosofiche più che formule d’alchimista.

Sullo sfondo tanta Sicilia, la Grande Isola nella quale GiuseppeBagnati ha scelto di tornare a vivere e dalla quale mai s’era distac-cato negli anni trascorsi tra Napoli (pochi) e Roma (tanti). Granparte dei personaggi sono nati o sono passati per la Sicilia: dall’ar-bitro Figuccia, diventato Fiduccia per evitare le battute da stadionelle trasferte in Alta Italia, al playboy Vianello, al ginecologo Mo-relli, a Massimo Taibi portiere immortalato in una statua, alle fontidirette di tanti aneddoti diventati racconti. Addirittura qualcuno me-riterebbe di allungarsi fino al romanzo. O, per tornare al presente,di trasformarsi in sceneggiatura di una fiction da destinare alla te-levisione: un centravanti che tira (e sbaglia) un rigore di tacco du-rante una partita di B, che nei giorni di pausa va a New York dallafidanzata americana senza capire una parole di inglese, che portain albergo un pitone o una volpe per farsi compagnia è un soggettoche qualsiasi produttore accetterebbe senza neppure aspettare il co-pione. Sarebbe ininfluente precisare che è una vicenda di quaran-t’anni fa. Sembra oggi.

Massimo Corcione

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FISCHIEREMO MEAZZA

Da Napoli a Roma per contestare il Balilla

“Gonfiatissimo Meazza se Pozzo ha voluto sceglierti per laNazionale al posto del nostro Sallustro, contribuendo cosìalla campagna senza precedenti organizzata dalla stampamilanese per valorizzarti ingiustamente, non credere che tul’abbia a passar liscia. Sappi che saremo sul campo in piùdi tremila napoletani, e saremo col preciso scopo di fi-schiarti, di beccarti ad ogni tuo fallo e ad ogni tuo errore. Tisapremo stroncare in pieno , e ti rimanderemo a casa morti-ficato e avvilito; così come si conviene ad un giocatore chein possesso di nessun merito si vede tanto sfacciatamente fa-vorito” 1.Per un giocatore di 19 anni che sta per esordire in Nazionale non

è certo incoraggiante ricevere una lettera anonima tanto minacciosa.L’unica certezza è che la lettera proviene da Napoli. Ma cosa hafatto Meazza di tanto grave da meritare le minacce degli anonimitifosi napoletani? L’unico suo torto è quello di aver preso il postoin Nazionale di Attila Sallustro, idolo dei sostenitori del Napoli.Sallustro debutta in azzurro contro il Portogallo il 1 dicembre 1929a San Siro, proprio davanti ai sostenitori di Meazza. Finisce 6-1 perl’Italia, Attila segna il quinto gol meritando unanimi consensi.

Scrive la Gazzetta dello Sport a firma di Bruno Roghi: “Sallustro più accorto realizzatore che metodico distribu-tore, ha saputo far valere le sue doti caratteristiche di giuo-catore di testa al volo. …Sallutro si è messo ripetutamente

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in vista con tiri risoluti, guizzi in profondità, battute agili congli interni”.Insomma Roghi lo promuove a pieni voti, sottolineando la dif-

ficoltà di giocare su un terreno fangoso. E Vittorio Pozzo, commis-sario unico della Nazionale, commenta su La Stampa:

<Possiede senso della distribuzione e della posizione il na-poletano. Il meglio di questo giuocatore non fu visto nell’in-contro di ieri. Il suo giuoco di testa è ottimo, il suo sensodella posizione è buono, la sua velocità, anche nel fango, ènotevole>.Detto da Pozzo è un’investitura. Chi lo toglie più il posto in Na-

zionale ad Attila, pensano i napoletani.La partita col Portogallo passa alla storia perché per la prima

volta vanno in Nazionale giocatori meridionali: Mihalic e Sallustrodel Napoli, Costantino del Bari che esordiscono in attacco conMumo Orsi. Sallustro si era meritato la convocazione in azzurrodopo brillanti prestazioni nella Nazionale Goliardica: a Roma con-tro la Cecoslovacchia (6-0, primo e ultimo gol di Attila), quindidopo il debutto di Milano, ancora con gli universitari a Napoli, il26 dicembre, contro l’Ungheria (4-0, doppietta di Sallustro),Invece succede che ai primi di febbraio del 1930 s’infortuna Miha-lic, compagno nel Napoli di Sallustro, anche lui brillante protago-nista nel debutto azzurro (due gol) contro i portoghesi. Pozzo lodefinisce:

<compagno e provveditore di Sallustro in fatto di giuoco.Da solo Sallustro non faceva fuoco>. E così il ct decide di escludere anche Sallustro, sostituendolo

con Meazza.La mattina dell’incontro, il 9 febbraio 1930, i giocatori dell’Italia

si presentano allo Stadio Nazionale di Roma per un sopralluogo:sono tutti in giacca e cravatta, molti col Borsalino sulla testa.

I tifosi napoletani sono di parola. Arrivano da Napoli e si pre-sentano allo stadio con l’unico scopo di contestare Meazza.

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LA BEFFA DELLA CENA

Il ristoratore che invitò il Palermo

Cernobbio, 1 settembre 1976. Il Palermo sta per salire sul pul-lman che lo porterà dal lago di Como a San Siro, dove in serata af-fronterà l’Inter in Coppa Italia. Un signore si avvicina a RenzoBarbera, presidente del Palermo.

<Mi chiamo Luciano Arena, sono un palermitano che vive aMilano da sei anni e sono proprietario di un ristorante. Sta-sera dopo la partita avrei piacere di avervi miei ospiti. Il ri-storante si chiama Altopascio, come la località in cui ilPalermo svolgeva il ritiro precampionato qualche anno fa>.Barbera accetta l’invito: per una volta un tifoso rosanero non gli

chiede biglietti omaggio o favori di alcun genere. E fa accomodareArena sul pullman della squadra, invitandolo ad assistere alla partitain tribuna. Arena discute con i Fraizzoli, invita anche il sindaco diMilano Tognoli .e un assessore a cena. Pochi minuti prima dellafine della partita, Arena si avvicina a Barbera:

<Io vado avanti, il ristorante si trova in viale Papiniano. Civediamo lì>.Il Palermo perde 1-0. Decide un rigore segnato da Mazzola per

un fallo di mano che Brignani giurerà di non aver commesso. Èanche la partita in cui Facchetti subisce due tunnel: uno da FabrizioLarini, futuro direttore sportivo dell’Udinese, l’altro da SalvatoreVullo, che irride il grande Giacinto con un “ chiuditi le gambe” pro-nunciato in siciliano.

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È anche la partita in cui Renata Fraizzoli, moglie del presidentedell’Inter, gratifica i giocatori del Palermo di un inedito neologismo:

<Merdoli>, non proprio consono ad una lady.La comitiva del Palermo raggiunge viale Pepiniano. Il ristorante

c’è, ma le saracinesche sono abbassate. <E Arena? > chiedono ai proprietari. <Mai sentito>

è la risposta. Poi i gestori dell’Altopascio ricordano di aver ricevutoqualche lettera dalla Sicilia indirizzata ad Arena, che anche ai pa-renti a Palermoaveva evidentemente raccontato di gestire un risto-rante a Milano.

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IL DISCO DI LO BELLO

Si fece incidere il coro “duce, duce” a Firenze

Prima un leggero fruscio, poi si sente “duce, duce”. Passano pochisecondi ed ecco la voce di uno speaker, con inflessione toscana:

<Sentite questo coro? Non siamo in piazza Venezia, no, maallo stadio di Firenze per la partita Fiorentina-Cagliari >.

Concetto Lo Bello sorride all’inviato del Corriere della Sera Lam-berto Artioli che era andato a Siracusa nel febbraio del 1972 per in-tervistarlo dopo che Lo Bello aveva arbitrato la sua trecentesimapartita in serie A.

<Non è simpatico? Non è spassoso?> chiede Lo Bello algiornalista che ascolta sorpreso quel disco nel soggiornodella casa Siracusa dell’arbitro. L’urlo “duce, duce” è unodegli episodi più noti della carriera di Lo Bello, ma che quelgrido occupasse un posto di rilievo nella discoteca dell’arbi-tro, lo sapevano in pochi. Ma cosa era successo a Firenze quel 12 ottobre 1969? LaFiorentina, campione d’Italia, dopo quattro giornate la clas-sifica a punteggio pieno, il Cagliari insegue staccato di unpunto. Il grande protagonista è lui, Concetto Lo Bello da Si-racusa: assegna al Cagliari il rigore decisivo, trasformato daRiva, tra le proteste dei fiorentini, annulla un gol ai sardi,nega due rigori alla Fiorentina, annulla ai viola per fuorigiocoil gol del pari a tre minuti dalla fine. “Lo Bello ha scritto laclassifica” titola il Corriere della Sera. E Gino Palumbo, fu-turo direttore della Gazzetta dello Sport, allora inviato del

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Corriere scrive. <Questo non è il resoconto di Fiorentina-Cagliari, questo èil racconto dello show personale che Concetto Lo Bello harealizzato sul terreno dello stadio di Firenze, chissà se inor-goglito o stizzito dal grido ritmico e corale di “Du-ce, du-ce” con cui la folla ne accompagnava ritmicamente ogniintervento>. Anche se verrà riconosciuto che ha vinto la squadra più forte,

non senza una stoccata all’arbitro: <Gli atteggiamenti di Lo Bello rappresentano un pericoloper il torneo> La Gazzetta dello Sport non ha dubbi e titola in prima pa-

gina:<La tv dà ragione a Lo Bello>. E all’interno: <Lo Bello, il coraggio che in molti vorrebbero

avere>.Tre giorni dopo l’arbitro di Siracusa, proprio sul Corriere della

Sera che lo aveva stroncato, trova un insospettabile ed illustre al-leato: Indro Montanelli. In un elzeviro in terza pagina titolato sem-plicemente “Lo Bello”, Montanelli, tifoso dichiarato dellaFiorentina, scrive:

<Amici fiorentini, date retta a me. Anche se domenica vi hairritati e delusi, pregate a mani giunte che Lo Bello torni alpiù presto al Comunale, e quando entra in campo salutatelocon un lungo applauso espiatorio>.E conclude ironico: <Lo Bello sappia che su un posto a tavola e su un letto acasa mia può sempre contarci. Anche se sono sicuro che, dilì a due giorni, mi ritroverei sull’attenti di fronte a lui, aprenderne ordini per la cena>. Tre anni dopo, riascoltando quel disco, Lo Bello sorride: <La tv mi diede ragione>. Nello stesso campionato c’è un’altra partita che fa discutere.

Fuori dai mondiali, in campo a Torino a dirigere Juventus-Cagliari,

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quasi uno spareggio scudetto anche se dopo ci saranno ancora seipartite da disputare. È il 15 marzo 1970. Lo Bello era rimasto fermoun mese, dirigere la sfida di Torino col Cagliari un punto avanti allaJuve ha il sapore di un contentino. Ma Lo Bello la fa diventare la“sua” partita. Prima della gara spiega ad un giornalista che nel mesedi stop si è tenuto in forma giocando a basket, che aveva praticatoda giovane, e a tennis.

<Così è stato meno noioso allenarsi>.Finisce 2-2. <Lo Bello, ancora guai>

titola il Corriere della Sera. L’arbitro dà un rigore che solo lui po-teva vedere alla Juve, lo fa ripetere dopo che Albertosi aveva paratoe la Juve segna, poi rimette le partita in parità dando al Cagliari unaltro rigore, che fa discutere a lungo.

<Tutto regolare> titola la Gazzetta dello Sport. Uno scio-pero della Rai fa saltare la moviola, ma il vero vincitore èlui, Lo Bello.

Scrive Gianni Brera sul Giorno: <Ora più che mai Lo Bello può affermare: il campionatosono me>.Lo definisce mattatore e gli dà 8 in pagella. Il riconoscimento

più gratificante gli arriva da Torino. Stampa sera titola: <Lo Bello goleador> e <Lo Bello divide in due l’Italia>.E pubblica due articoli: pro e contro Lo Bello. La requisitoria

dell’accusa è affidata a Giovanni Arpino che inizia così <Tecnicamente? Quasi ineccepibile>.E ancora <Sbaglia per perfezionismo, per smania di essere precisis-simo e inattaccabile>.Qualche anno dopo Lo Bello confesserà sorridendo a due gior-

nalisti napoletani di essersi divertito. Una sottile rivincita verso chilo aveva escluso dai mondiali, raccomandandogli di non far dannia Cagliari, considerando che Riva e molti suoi compagni di squadra

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CHIEDETELO AL PALLONE

Dizionario filosofico di Manlio Scopigno

Manlio Scopigno è stato l’allenatore dell’unico scudetto del Ca-gliari, conquistato nel 1970. E stato soprannominato filosofo, nonsoltanto perchè si era iscritto in filosofia, ma anche per quel suomodo di prendere il calcio con ironia e disincanto. Indimenticabilile sue battute improvvise e fulminanti.

Chiedetelo al pallone è la risposta che diede ad giornalista chegli chiedeva se il fallo commesso da un difensore avversario fossevolontario.

A come a che cosa . Ultimi minuti di Juventus-Cagliari,15marzo 1970, nell’anno dello scudetto, il risultato è 2-2, Cera si av-vicina alla panchina e chiede: <Quanto manca?>. E Scopigno im-perturbabile: <A che cosa?>.

B come bel gol Niccolai, sempre nella partita di Torino, portain vantaggio la Juve con un autogol dei suoi, anticipando di testa idifensori del Cagliari. Scopigno esclama: <Bel gol>.

C come coriandoli. Boninsegna un martedì mattina si presentaall’Amsicora in smoking, reduce dal Carnevale di Venezia, Scopi-gno lo guarda e gli dice: <Almeno i coriandoli dalla testa potevitoglierli>.

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D come do fastidio. Scopigno entra verso mezzanotte in unastanza piena di fumo dove alcuni giocatori del Cagliari giocavanoa poker. Il tecnico: <Dò fastidio se fumo?>. In mezzora tutti a lettoe l’indomani vittoria (3-0) in Coppa Italia.

E come errori. Un fattorino del presidente Goldoni recapita al tec-nico un biglietto in cui gli comunicava l’esonero dal Bologna. Sco-pigno: <Ci sono due errori di sintassi e un congiuntivo sbagliato>.

F come faccia presto. Al presidente Rocca che gli comunicavaper telefono l’esonero dal Cagliari. <Faccia presto, non vorrei chela minestra si raffreddasse>.

G come giovani. <Mister, come è andato mio figlio?> <Dallafine del secondo tempo in poi benissimo>.

I come insaponato. Al portiere Reginato che si era lasciato sfug-gire due palloni bagnati dalla pioggia. <Ma non sapevi che il cu-stode aveva insaponato il pallone?>.

L come l’ultimo che va via. In ritiro a Bassano Riva, Cera, Lon-goni e Niccolai giocano a carte, fumano e bevono grappa. EntraScopigno: <L’ultimo che va via apra la finestra>.

M come Martin. A Martiradonna: <Se ti chiamassi Martin, gio-cheresti in Nazionale. Ma con un cognome così...>. <Mister, me loaccorci>.

N come non aspiro. <Io non aspiro alla Nazionale, ma la na-zionale>.

O come ostriche. <Il Cagliari ha un buon vivaio?> <Sì, diostriche>.

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