Chi ti paga la pensione - AsiaRisparmio · 10% tra 2009 e 2015. - I giovani tra i 25 e i 34 anni...

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CHI TI PAGA LA PENSIONE... ?

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CHI TI PAGA LA PENSIONE... ?

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INDICE

PARTE PRIMA - La situazione italiana

- Capitolo 1: I contributi volontari per ricevere una pensione pubblica

- Capitolo 2: Si possono recuperare i contributi versati?

- Capitolo 3: Come si sta sviluppando il welfare integrativo italiano?

- Capitolo 4: Le tasse pagate all’estero possono valere per il conteggio di una pensione minima?

PARTE SECONDA: Come costruirsi una pensione autonoma

- Capitolo 1: I rischi di chi non pianifica

- Capitolo 2: Da dove nasce la necessità di assicurarsi una pensione

- Capitolo 3: La tua pensione all’estero

- Capitolo 4: Rendite passive come base della tua ricchezza

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16 Agosto 2019,

Tai Koo,Hong Kong

Recentemente il Sole 24 Ore e' uscito con un articolo che parla di una "bomba a orologeria" che starebbe scandendo il tempo rimasto al sistema previdenziale Italiano.Le pensioni potrebbero presto non essere piu' pagate e questo rappresenterebbe un problema non da poco per i giovani Italiani e per i lavoratori correntemente attivi.Se i migranti all'estero, complice l'iscrizione AIRE e la mancanza di contributi in Italia, hanno gia' inziato a farsi pensioni private, magari sfruttando i contesti finanziari esteri, ben presto il welfare integrativo potrebbe diventare una pratica comune anche al giovane italiano che vive e lavora nel bel Paese.

D'altronde i dati INPS lasciano poco spazio alla discussione:- I redditi medi dei professionisti under 30 sono scesi del 10% tra 2009 e 2015.- I giovani tra i 25 e i 34 anni che non studiano ne' lavorano sono aumentati dal 28,1% del 2012 al 31,4% del 2016 (la cosiddetta generazione NEET)- I contratti a tempo indeterminato si sono ridotti mentre c'e' stato un vero e proprio boom dei contratti a somministrazione (+20,4% nel periodo gennaio-luglio 2017) e dei contratti a chiamata (+124% nell’arco di un semestre).

Come vanno interpretati questi dati?Innanzitutto si scorge una diminuzione di produttivita' da parte delle fasce anagrafiche che dovrebbero porsi come motore dell'economia del Paese. In secondo luogo si evidenzia un consumo della ricchezza prodotta dalle generazioni precedenti, senza di fatto produrne di nuova. Il risultato a livello previdenziale e' una diminuzione dei contributi versati e quindi il rischio di insostenibilita' del sistema previdenziale.Prendiamo il caso di Inarcassa, ossia l'ente previdenziale di architetti e ingegneri. Come riportato dal Sole 24 Ore, nel 2016 c'erano 168.402 iscritti, di cui 79.211 ingegneri e 89.191 architetti. Tuttavia, i professionisti di eta' inferiore a 30 anni erano solo il 5% del totale, contro le percentuale ben piu' alte degli architetti e ingegneri piu' anziani. Non solo: gli ingegneri under 30 guadagnano oggi

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circa 12.674 euro lordi, mentre gli architetti 9.975 euro lordi. Cifre ben diverse dalla controparte piu' "anziana" abituata ad un ben altro tenore di vita. E questo ovviamente si ripercuote sul sistema previdenziale, che riceve contribuzioni piu' basse oggi rispetto a quanto riceveva dalle generazioni precedenti di professionisti.

Ma il problema da dove nasce?Secondo l'articolo, il problema sarebbe da ricondursi all'occupazione: molti dei posti di lavoro riservati a coloro che hanno meno di 30 anni sarebbero scomparsi a causa della diffusione dei contratti a termine; un secondo problema starebbe nella discrepanza tra il livello d'istruzione del lavoratore, generalmente di livello universitario, e il ruolo professionale ricoperto.L'incapacita' da parte delle aziende italiane di assumere lavoratori di alto profilo porterebbe a due conseguenze che gia' si stanno osservando: la prima e' l'impossibilita' da parte di questi giovani di "uscire dall'orbita" della famiglia: in pratica, giovani lavoratori, scoraggiati e delusi, rimangono a casa con i genitori e in alcuni casi non lavorano, in altri casi devono accontentarsi dei cosiddetti "lavoretti"; la seconda conseguenza e' l'abbandono della propria nazione per esplorare migliori opportunita' occupazionali all'estero.

E' importante a questo punto notare una cosa: che la prima rete di protezione sociale per queste fasce inattive di giovani lavoratori e' la famiglia. La famiglia e' stata in grado di generare risorse in passato, e tali risorse stanno adesso supportando questa generazione.Per le generazioni future tale rete di protezione sociale esistera' ancora? In altre parole, i nostri figli saranno in grado di supportarsi con risorse generate da noi? Che cosa avremo da offrire loro?Per chi rimane in Italia, questa possibilita' di generare nuova ricchezza sembra alquanto lontana. Oltre ai gia' menzionati giovani che sono di fatto non-produttivi, anche chi riesce a farsi spazio in qualche modo nel mercato del lavoro non sembra certo brillare per produzione di ricchezza: infatti, secondo l’ultimo report dell’Adepp (Associazione degli enti previdenziali privati) citato dall'articolo sul "Sole", un libero professionista tra i 25 e i 30 anni riuscirebbe in media a portare a casa 12.102,49 euro lordi

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all'anno, che diventerebbero 17.362,28 lordi nella categoria 30-35 anni.

E i migranti? Qui il problema e' diverso. Chi si trasferisce all'estero gode sicuramente di trattamenti salariali favorevoli. L'expat italiano a Hong Kong, per esempio, riesce a mettersi in tasca il 50% di netto in piu' rispetto a un collega che lavora nello stesso settore in Italia. Livelli di occupazione, regimi fiscali e rapidita' di carriere offrono certamente prospettive migliori. Ma spesso questi stipendi sono assorbiti, per gran parte, dai costi della vita, mentre i risparmi sono accumulati in banca, ripetendo uno stile di risparmio che fu dei nostri genitori. Il problema e' che esportare all'estero tale stile finanziario elimina di fatto le possibilita' di creare nuova ricchezza da parte di questi migranti. Infatti chi vive e lavora all'estero non avra' una pensione pagata dallo Stato come l'avevano i nostri genitori, non avra' ammortizzatori finanziari come l'assistenza sociale e non ha la sanita' pubblica. Se il migrante non fa risparmio attivo, creando privatamente la propria pensione e i propri ammortizzatori finanziari, rischia di disperdere tutto il "tesoretto" che e' riuscito ad accumulare durante i suoi anni di lavoro all'estero. E sopratutto, rischia di dover dipendere dal lavoro per sostenersi anche durante gli anni dell'anzianita', senza potersi permettere di andare in pensione. Oppure rischia di dover dipendere dai propri figli, ma qui di nuovo, si ritorna al problema iniziale: che risorse avranno i figli se, in primo luogo, noi non siamo stati in grado di generare nulla per loro? Si replicherebbe una sorta di circolo vizioso di dispersione di ricchezza.

In pratica, se per il lavoratore italiano il problema e' basato su disoccupazione e mismatch tra abilita' e offerta di lavoro, con conseguente consumo della ricchezza prodotta dai genitori, per i migranti si profila il problema opposto: il dover dipendere dal lavoro durante tutto l'arco della propria vita.Con una caratteristica comune: l'incapacita' per entrambi, migranti e non, di creare nuova ricchezza per supportare se stessi e le future generazioni e la mancanza di un sistema previdenziale che sia in grado di supportare sul lungo termine queste categorie di popolazione.

La soluzione rimane quindi nella pianificazione privata. Costruire individualmente le proprie rendite future aprendosi

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al mondo degli investimenti e del risparmio gestito potrebbe essere molto di piu' di una semplice opportunita' per migranti che vivono in contesti finanziari avanzati. Potrebbe trasformarsi in una necessita'. E lo stesso dicasi per chi rimane in Italia: per gli amici che hanno deciso di rimanere tra i confini nazionali per dare man forte all'economia del Bel Paese, l'esplorazione di percorsi pensionistici differenti e alternativi potrebbe diventare un trend nei prossimi anni, portando sempre piu' individui verso soluzioni di welfare integrativo e pianificazione privata, anche esplorando contesti esteri di risparmi gestito.

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PARTE PRIMA: LA SITUAZIONE ITALIANA

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CAPITOLO 1: I CONTRIBUTI VOLONTARI PER RICEVERE UNA PENSIONE PUBBLICA

Lavori all'estero e sei iscritto AIRE. Questo significa che non paghi i contributi in Italia e godi dei vantaggi del regime fiscale del Paese in cui vivi e lavori.Prima di trasferirti all'estero, tuttavia, hai lavorato qualche anno in Italia.Ha versato quindi una manciata di contributi, certamente non sufficienti per garantirti una pensione.Puoi decidere se rinunciarvi completamente o provare a integrarli con contributi volontari per completare il tuo percorso pensionistico.

Ma conviene davvero? E in quale caso?

Il contributo volontario puo' essere devoluto sia per completare il numero di contribuzioni necessarie a ricevere un assegno pensionistico sia per aumentarne l'importo.Tuttavia, prima ancora di vedere se nel nostro caso e' appropriato fare contribuzioni volontarie, bisogna valutare se possediamo i requisiti per ricorrere a tale strumento.Non tutti infatti possono fare contribuzioni volontarie.Innanzitutto, il contributo volontario allo scopo di completamento del percorso pensionistico puo' essere fatto da chi ha gia' terminato o interrotto la propria attivita' lavorativa. Si puo' anche contribuire volontariamente in caso di rapporto di lavoro non cessato per chi possiede un contratto part-time o vuole integrare contributi precedentemente pagati per lavoro agricolo.

Nel caso tu rientri in queste categorie devi inoltre assicurarti che:- tu abbia almeno 5 anni di contributi- tu abbia almeno 3 anni di contribuzione negli ultimi cinque anni precedenti la data dell'applicazione

Una volta stabiliti questi due pre-requisiti, il terzo step e' capire quanto si deve pagare. L'ammontare del completamento volontario varia a seconda della categoria lavorativa ed e' annualmente calcolato dall'INPS sulla base dei dati statistici forniti dall'ISTAT e pubblicato su una circolare annuale. Non e' quindi deciso dal contribuente secondo le sue disponibilita' economiche.

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Come puoi vedere, quindi, fare contribuzione volontaria potrebbe non essere una soluzione accessibile per il migrante italiano all'estero, che e' ancora nel pieno della sua attivita produttiva e lavorativa e punta a sfruttare ancora a lungo le opportunita' offerte da contesti stranieri.

Tuttavia, la contribuzione volontaria potrebbe essere uno strumento da considerare se un domani tu tornassi in Italia a completare la tua carriera. Infatti, in teoria, gli anni di contribuzione perduti possono essere integrati volontariamente per raggiungere i 20 anni di contributi necessari a ricevere la pensione di vecchiaia.

Ma conviene davvero?

Dipende, poiche' ogni storia e' diversa.Tuttavia, la regola generale e' questa: i contributi volontari convengono se hai gia' una storia contributiva alle spalle abbastanza lunga. Se hai gia' pagato 18 o 19 anni di contribuzione, l'integrazione volontaria potrebbe essere un mezzo utile per completare il tuo percorso pensionistico e raggiungere i 20 anni di contributi. Nel casi in cui il tuo trasferimento all'estero sia avvenuto quando gia' ti trovavi in una fase piuttosto avanzata della tua carriera o sia stato soltanto un trasferimento temporaneo, la contribuzione volontaria potrebbe essere una soluzione considerabile per coprire piccoli "buchi contributivi".In altre parole, potremmo dire che la contribuzione volontaria e' utile per perfezionare i requisiti d'accesso alla pensione piuttosto che per costruire una pensione vera e propria.

Infatti, in tutti gli altri casi, i contributi volontari potrebbero non essere lo strumento piu' conveniente per garantirsi una pensione. Non conviene (e comunque potresti non averne i requisiti) se sei un lavoratore attivo all'estero e pianifichi di sfruttare le opportunita' di contesti stranieri ancora per lungo tempo o se ti sei trasferito quando eri ancora in fasi iniziali della tua carriera e non hai pagato molti contributi in Italia. Non conviene se non hai mai contribuito in maniera stabile e consistente al nostro sistema fiscale.Infatti, il primo limite di tale strumento integrativo e' che non tutti vi possono accedere; il secondo e' che le aliquote

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INPS che il contribuente deve pagare sono calcolate sul reddito percepito durante l'attivita' lavorativa e non sulle attuali disponibilita' economiche, e di conseguenza possono risultare o troppo impegnative o troppo basse per chi punta ad un'integrazione del proprio assegno pensionistico; il terzo limite e' che una volta iniziato a fare contribuzione volontaria non si puo' piu' tornare indietro: o meglio, si puo' interrompere soltanto tornando a lavoro, cosa che molti vogliono evitare, specialmente in fasi della vita gia' avanzate. L'alternativa potrebbe essere quella di incorrere in sanzioni piuttosto pesanti.

Pertanto, una soluzione piu' appropriata per chi ha costruito una carriera all'estero e sa di non avere abbastanza contributi per ricevere la pensione pubblica, rimane quella di ricorrere a piani di risparmio privati. Una pensione privata offre un'alternativa piu' accessibile perche' non ha particolari requisti di accesso e si adegua a tutti i tipi di capitale e budget. Inoltre, contesti finanziari come quello di Hong Kong offrono particolare flessibilita', in quanto e' il cliente e non l'istituzione finanziaria a decidere l'importo della propria contribuzione, in relazione alle proprie possibilita'. Le rendite offerte non sono soggette a tasse sul ritorno di investimento e sono "spostabili" in altri contesti qualora tu decida di vivere il tuo ritiro dal lavoro in altri Paesi; inoltre durante gli anni della tua contribuzione, periodi di "pausa" sono permessi e il tempo di "stand-by del piano non e' sanzionato con alcuna penalita'.

Infine, la pensione privata e' uno strumento finanziario che puo' iniziare a generare risorse quando ancora si sta lavorando. Rispetto alla contribuzione volontaria, per la quale bisogna avere gia' cessato l'attivita' lavorativa, un piano pensionistico inizia ad accumulare quando si e' ancora attivi. Nella pianificazione privata delle proprie finanze il tempo e' un vero e proprio capitale, che influisce sull'ammontare della nostra rendita finale. Sebbene l'ammontare del capitale contribuito sia sempre rilevante, una contribuzione relativamente bassa puo' essere compensata e "ottimizzata" da lunghi orizzonti di tempo. Per questo il consiglio generale rimane sempre quello di iniziare presto a pianificare, a prescindere dall'ammontare della contribuzione.

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CAPITOLO 2: SI POSSONO RECUPERARE I CONTRIBUTI INPS GIA' VERSATI?

Prima di trasferirti all'estero hai lavorato qualche anno in Italia, maturando qualche contribuzione al fisco Italiano.Sai per certo che non ti basteranno per ricevere la pensione dall'Italia, ma ti sei chiesto piu' volte se sarebbe possibile recuperarli e disporre di tale liquidita'. Magari potresti reivestirla in altre forme di previdenza supplementare o privata.Ma si puo' fare? L'INPS ti restituisce le contribuzioni versate? Oppure vanno perse per sempre?E' una serie di domande molto comuni tra chi vive all'estero. Infatti, spesso ci si chiede dove vanno a finire quelle tasse versate in tempi remoti per finanziare la nostra pensione. E siccome molto probabilmente non la prenderemo, la questione diviene relativa ad una possibile restituzione. Vediamo di fare un po' di chiarezza.

La regola generale:La regola generale e' che l’INPS non restituisce i contributi insufficenti a garantire una pensione. E sentenze della Cassazione in passato hanno confermato il mancato riconoscimento di tale diritto.La giurisprudenza, in particolare, ha ritenuto che sia sufficente che tali contributi siano "potenzialmente" utili alla costruzione di una pensione affinche' non venga accettata la restituzione. Poco conta se alla fine una pensione non sia stata maturata.Fonti meno ufficiali ritengono che l'INPS non potrebbe permettersi di restituire i cosiddetti contributi "silenti", come appunto vengono definiti quelli che giacciono accumulati senza essere sufficienti per una pensione, altrimenti rischierebbe un'automatica situazione di default.A prescindere da quale sia la ragione, e' molto probabile che il migrante italiano all'estero non sia piu' in grado di rivedere i propri contributi versati, qualora essi non siano sufficenti a generare una pensione.

L'eccezione: i contributi versati erroneamenteSi possono recuperare i contributi INPS versati in eccesso, cioe' qualora si sia pagato piu' del dovuto oppure per tempi piu' lunghi di quanto previsto dalla legge.Vediamo di analizzare dei casi particolari.

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Se nei pochi anni in cui hai lavorato in Italia eri impiegato in un lavoro dipendente, non puoi recuperare i contributi regolari ma solo quelli eventualmente pagati in eccesso. Ma con delle restrizioni: ti verrebbero restituiti soltanto i contributi versati in maniera erronea corrisposti negli ultimi 5 anni. In altri termini, se il tuo impiego risale a piu' di 5 anni fa, i tuoi contributi sono gia prescritti e non possono essere restituiti. Cio' vale anche per i gli agricoli e per i lavoratori autonomi: in particolare, commercianti, artigiani e liberi professionisti non sono sottoposti alla regola dei 5 anni, e possono cioe' recuperare in ogni caso i propri contributi versati IN ECCESSO. Lo stesso dicasi per i Co.co.co, ossia i lavoratori a collaborazione coordinata continuativa: per questi ultimi tuttavia, l'eventuale restituzione dev'essere divisa in maniera appropriata tra datore di lavoro e collaboratore. I contributi non dovuti vengono restituiti senza interesse e senza alcun costo per l'interessato.

Chi non ha invece diritto nemmeno alla restituzione dei contributi in eccesso sono i lavoratori sottoposti a fondi speciali sostitutivi (fondo trasporti, dazieri, fondo elettrici, fondo telefonici, fondo volo, fondo FPLS per lavoratori dello spettacolo e fondo pensione dei giornalisti, fondo volo).Al momento non ci sono disposizioni che prevedono la restituzione di contributi nemmeno per gli autonomi e i liberi professionisti iscritti alla gestione separata.Un tipo particolare di contribuzione erronea e' quella versata ad un fondo diverso rispetto a quello designato per quella classe lavorativa. In tal caso i contributi non sono ne persi ne restituiti, ma trasferiti all'ente di competenza.

La soluzione:Per il migrante estero la soluzione rimane quella di integrare privatamente, cioè di crearsi una pensione individuale. Fare eccessivo affidamento su quello che abbiamo lasciato indietro significa mettere a repentaglio la nostra disponibilita' di risorse future, creando una situazione di potenziale fragilita' finanziaria. Una pensione privata invece rimane sotto il tuo controllo sia dal punto di vista contributivo, sia per quanto riguarda le rendite future in generale. Prodotti finanziari disponibili oggi su mercato ti offrono la possibilita' di decidere quanto mettere nel tuo fondo pensione, quanto aspettare per ritirare la tua rendita

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e sopratutto ti consentono di visionare le proiezioni di rendita future. Il consiglio rimane quello di evitare battaglie poco utili con enti previdenziali che potrebbero farti finire in intricati nodi burocratici; e invece iniziare in maniera tempestiva la tua pianificazione privata, i cui ritorni sono basati, oltre che sul tuo sforzo economico, anche sul tempo e sugli orizzonti che ti poni davanti.

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CAPITOLO 3: COME SI STA SVILUPPANDO IL WELFARE INTEGRATIVO ITALIANO

Ormai siamo tutti coscenti che dovremo farci una pensione in maniera privata o perlomeno crearci un'integrazione.Lo e' migrante moderno, che vive all'estero e costruisce in altri Paesi i propri percorsi di carriera. L'iscrizione all'AIRE e le contribuzioni fatte in diverse giurisdizioni pongono difficolta serie alla possibilita' di avere una rendita che giunga dalle casse pubbliche. Pertanto bisogna farsi le proprie rendite individualmente.Ma la questione e' di attualita' anche per chi vive e lavora in Italia. I rischi di insostenibilita' del sistema assistenziale e il progressivo invecchiamento della popolazione fanno riflettere. E molti ritengono che la previdenza pubblica non sia in grado di elargire piu' assegni pensionistici gia' a partire dal 2030.Ma per gli odierni cittadini del mondo, la domanda sorge spontanea: in che zona del mondo pianificare?Cogliere i vantaggi offerti da contesti esteri dove si lavora o considerare il mercato di prodotti finanziari di casa nostra?

A tal proposito, gia' da qualche anno in Italia si e' iniziato a parlare di Welfare integrativo. Nel 2017 i piani individuali di risparmio (PIR) hanno cominciato ad offrire anche al piccolo risparmiatore o al nucleo familiare la possibilita' di costruirsi una pensione supplementare.Tuttavia, i primi due anni di vita di questo prodotto finanziario sono stati quantomai complicati. E a meta' 2019, il mercato dei PIR e' praticamente fermo. Perche'?

Con la legge di bilancio del 2017, i PIR venivano introdotti per un duplice scopo: da un lato, incoraggiare, attraverso vantaggi fiscali, la sottoscrizione di piani di risparmio privati che andassero a integrare le risorse pensionistiche dell'individuo; dall'altro, dare sostegno alle piccole medie imprese italiane. Infatti tali strumenti finanziari investivano per gran parte in emissioni di aziende italiane o residenti sul suolo nazionale.Tale struttura d'investimento poneva gia' dei problemi, come la mancanza di diversificazione, l'eccessiva esposizione al rischio Italia e il grado di liquidita' del piano di risparmio. Tali problematiche sono state accentuate dalle

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recente riforma di Bilancio del 2019, che pone ulteriori vincoli alla struttura di investimento soggiacente al PIR. Inoltre, secondo le nuove regole, anche imprese di minori dimensioni possono emettere titoli acquistabili, e cio' aumenterebbe il profilo di rischio del prodotto modificandone la natura iniziale: tali strumenti finanziari nascevano infatti come dispositivi di risparmio gestito a basso rischio, finalizzati alla creazione di rendite stabili per famiglia e individui. Tuttavia esponendosi a investimenti in aziende piu' piccole, il PIR accrescerebbe il proprio livello di volatilita', con il risultato che l'intestatario del piano potrebbe interromperlo prima di aver raggiunto gli obiettivi finanziari che lo avevano spinto a sottoscriverlo. Con un prodotto finanziario piu' rischioso rispetto al suo concetto iniziale e un numero crescente di sottoscrittori che abbandonerebbero in anticipo, le istituzioni finanziarie che li promuovono non hanno accettato con eccessivo entusiasmo l'idea di promuovere questi piani.Risultato: il mercato dei PIR e' praticamente fermo, come conferma il comunicato di Assogestioni, l’associazione del risparmio gestito, che segnala come nel primo trimestre del 2019, la raccolta netta di questi prodotti sia immobilizzata.

Insomma, se i Piani Individuali di Risparmio erano partiti piuttosto bene, con una raccolta netta di circa 13 miliardi di Euro tra gennaio 2017 e giugno 2018, dalla seconda meta' dello scorso anno si e' registrato un forte calo. Fino ad arrivare al gennaio scorso quando le sottoscrizioni si sono praticamente fermate.Mentre non si intravede uno spazio per lo sviluppo di nuovi PIR, l’attenzione dei connazionali che risiedono e lavorano in Italia potrebbe finire sugli European Long Term Investment Funds: gli ELTIF, proprio come i nostri PIR, nascono come pensioni integrative per piccoli risparmiatori e nel contempo si pongono l'obiettivo di incanalare fondi nella piccola e media impresa.

Tuttavia, per chi possiede un orizzonte un po' piu' internazionale, lo sguardo potrebbe posarsi sui prodotti di risparmio gestito di Hong Kong, che offrono condizioni vantaggiose a livello fiscale e di mobilita' di capitali, consentendo inoltre diversificazione geografica e solidita' finanziaria. In pratica, utilizzando soltanto il proprio passaporto, e senza dover necessariamente disporre di una carta' di identita' di Hong Kong, anche il cittadino italiano

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non iscritto AIRE e residente in Italia puo' avere una pensione privata a Hong Kong. Successivamente, la presenza di interessi finanziari nella citta' renderebbe piu' agevole l'apertura di conti bancari in filiali locali.

La pianificazione privata nella regione ad amministrazione speciale rimane ovviamene una rilevante forma di convenienza per tutti i migranti che vivono e lavorano in Cina e in generale in Asia, che possono prendersi una vacanza in citta' e nel contempo cogliere la possibilita' di curare i propri interessi finanziari. Pratiche comuni che, per esempio, i cinesi del continente hanno gia' adottato da tempo.

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CAPITOLO 4: LE TASSE PAGATE ALL'ESTERO POSSONO VALERE PER IL CONTEGGIO DI UNA PENSIONE "MINIMA"?

Anche di fronte all'ormai imminente prospettiva di pensioni private e "globalizzate", ci sono alcuni irrducibili della pensione pubblica, che si chiedono se perlomeno una minima potrebbe essere elargita dal settore pubblico, magari calcolando le tasse pagate all'estero.

A tal proposito, bisogna dire che l'Italia ha stipulato alcuni accordi a livello internazionale con Paesi che hanno assistito ad un alto livello di immigrazione dei nostri connazionali. Tali accordi prevedono che l'attivita' svolta dal lavoratore nei suddetti Paesi venga riconosciuta a livello contributivo. In altre parole, le tasse pagate il questi Paesi possono essere utilizzate nel conteggio per la pensione Italiana.Ma cosa fare se il Paese in cui vivi e lavori non appartiene alla lista dei Paesi convenzionati?

L'alto flusso di emigrazione che ha visto protagonisti gli Italiani in eta' da lavoro, negli ultimi anni ha portato il nostro Paese a creare accordi con nazioni estere in tema di sicurezza sociale. Sebbene il sistema previdenziale Italiano potrebbe non essere in grado di elargire pensioni in maniera sostenibile nelle decadi future, potresti comunque essere in grado di ricevere qualcosa dallo Stato se hai lavorato in un Paese convenzionato, e magari integrarlo alle risorse che ti sei costruito privatamente.Come detto in precedenza, allo stato attuale delle cose, ci vogliono almeno 20 anni di contributi per ricevere una pensione dal nostro sistema previdenziale. Poniamo che il lavoratore abbia lavorato 10 anni in Italia e 10 anni in Norvegia. Se tra Italia e Norvegia non vi fossero accordi, i contributi pagati nella nazione estera non verrebbero riconosciuti al livello pensionistico dallo Stato Italiano: in altre parole, di fronte al Welfare italiano, al nostro lavoratore verrebbero calcolati soltanto 10 anni di contributi e pertanto non riceverebbe la pensione di vecchiaia (potrebbe comunque valutare la possibilita' di ricevere la pensione minima). Tuttavia, la Norvegia rientra nella lista dei Paesi convenzionati con l'Italia al livello contributivo. Il professionista avrebbe quindi conteggiato un

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totale di 20 anni di contribuzione che, con le leggi attuali, sarebbe sufficiente per consentirgli di ricevere un assegno pensionistico.Alla luce di tali considerazioni, e' tuttavia importante fare una serie di valutazioni:

1) La sostenibilita' del sistema pensionistico Italiano:Sebbene il nostro lavoratore sia in grado di qualificarsi per il sussidio pensionistico, alla luce della convenzione del nostro Paese con quello estero di residenza, potrebbero tuttavia non esserci abbastanza fondi nelle casse pubbliche per garantire una pensione per tutta la durata dell'anzianita'.

2) Le leggi attuali potrebbero cambiare in futuro:Le leggi che regolano il nostro sistema previdenziale non sono immutabili: e' probabile infatti che in futuro lo Stato divenga piu' restrittivo relativamente ai criteri per elargire una pensione pubblica. I 20 anni di contributi attuali potrebbero non bastare e, per salvaguardare i contribuenti nazionali, i lavoratori esteri potrebbero essere in qualche modo penalizzati. Far dipendere la propria pensione dalle leggi italiane e', insomma, quantomai sconsigliato, sopratutto per chi risiede e lavora all'estero.

3) L'ammontare della pensione pubblica potrebbe non essere abbastanza:Non occorre pensare a scenari troppo lontani nel tempo per una tale prospettiva: gia' oggi molti pensionati decidono di emigrare in Paesi esteri con costi della vita piu' accessibili e con un regime fiscale che grava in misura minore sugli assegni pensionistici ricevuti. L'assegno pensionistico potrebbe insomma non rimanere al passo con i costi della vita e, in ogni caso, avrebbe bisogno di un'integrazione privata.

4) Molti migranti moderni vivono e lavorano in Paesi non convenzionati:Attualmente, oltre alle nazioni dell'Unione Europea, soltanto una manciata di altri Stati figurano nella lista dei Paesi convenzionati per il riconoscimento contributivo a fini pensionistici. Se per esempio vivi e lavori in Asia, i contributi che paghi non verranno riconosciuti dallo Stato nel conteggio della pensione pubblica, a meno che tu non ti trovi in Australia.

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Esiste tuttavia ancora una possibilita' per il migrante moderno in terra asiatica di far valere le proprie contribuzioni. Se infatti il lavoratore all'estero volesse in qualche modo finanziarsi una pensione pubblica, potrebbe tentare con i cosiddetti "contributi di riscatto". Il riscatto e' il pagamento di contributi fatto in maniera spontanea dal lavoratore per pagare periodi previdenzialmente "scoperti": in teoria, il lavoratore estero potrebbe coprire eventuale "buchi contributivi" in maniera retroattiva, causati da periodi in cui non ha versato. E' importante tuttavia considerare alcune questioni: innanzitutto, i contributi di riscatto sono soggetti a disposizioni legislative e come tali potrebbero modificarsi nel tempo; in secondo luogo, i contributi di riscatto hanno un costo (benche' fiscalmente agevolato). Sono cioe' diversi dai contributi figurativi, quelli pagati gratuitamente per situazioni specifiche, quali la maternita' e il servizio militare; in terzo luogo, il contributo di riscatto non va confuso con il contributo volontario, poiche' il riscatto puo' essere esercitato in qualsiasi momento, anche coprendo periodi molto distanti nel tempo.

In conclusione, per il migrante moderno in Asia rimane da valutare quanto valga la pena affidarsi ad una pensione pubblica o tentare di costruirla con operazioni di riscatto, qualora non vi si sia mai contribuito negli anni. La tendenza generale, a mio avviso, rimane comunque quella di un ribaltamento di posizioni tra welfare statale e welfare integrativo. Se per le generazioni precedenti il welfare statale rimaneva il primo pilastro sul quale fare affidamento per le proprie rendite future e per i propri ammortizzatori sociali, con l'integrazione privata come opzione facoltativa, per la generazione attuale le priorita' si invertono: la pianificazione privata diventa il mezzo principale per generare risorse e costruirsi rendite pensionistiche, con la possibilita' di ricevere aggiunte da eventuali fondi aziendali o pensioni minime dal sistema pubblico.

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PARTE SECONDA: COME COSTRUIRSI UNA PENSIONE AUTONOMA

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CAPITOLO 1: I RISCHI DI CHI NON PIANIFICA

Avremo una pensione futura?Alla luce di quanto considerato nel capitolo precedente, la risposta dipendera' da quanto ci renderemo indipendenti nella pianificazione dei nostri futuri percorsi finanziari.Come in molte altre aree, anche in finanze personali il successo dipende dalla chiarezza degli obiettivi e dalla preparazione.E per prepararsi bene bisogna innanzitutto conoscere i rischi a cui ci si espone se si manca di tempestivita'.Conoscere i rischi ci permette di prendere le dovute precauzioni. Vediamoli insieme:

1) Il rischio di scarso ritorno di investimento:Detto in parole molto semplici, minori sono gli investimenti che hai fatto, maggiore e' l'esposizione al rischio di mancanza di risorse, se tale investimento non genera il ritorno previsto. Minore la diversificazione, piu' influente sarebbe una perdita sulla tua stabilita' finanziaria. Come dire, se punti tutto su un cavallo, puoi rimanere senza niente se quel cavallo non vince.Quelli che hanno successo dal punto di vista finanziario lo devono al fatto che hanno investito in diversi tipi di asset e possono permettersi che alcuni investimenti non generino il ritorno previsto poiche' hanno alte probabilita' di ricevere risorse da altre fonti. Quelli che invece hanno una situazione di maggiore fragilita' sono quelli che non hanno pianificato tempestivamente o hanno puntato tutto su un unico tipo di investimento... e devono fare bene per forza! La pianificazione privata è una forma di diversificazione. Se investi tutto nel settore pubblico attraverso le tue contribuzioni fiscali, crei di fatto un unico canale di ricezione della tua pensione e di altre forme di rendita alternativa al lavoro. E come menzionato qualche riga sopra, avere un unica fonte di rendite ti rende dipendente dalla stessa.

2) Il rischio di non tenere il passo dell'inflazione:Fare investimenti proiettando ritorni sul lungo termine permette di spalmare il rischio e aumentare la probabilita' di ricevere i ritorni di investimento progettati. Inoltre, mantenere lunghi orizzonti permette di far capitalizzare prodotti finanziari quali pensioni private e piani di

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risparmio, aumentandone il valore. Ed in generale, se si e' avversi alle perdite, pianificare con un orizzonte di ritorno di due o tre decadi e' sicuramente il consiglio piu' valido per avere ritorni più stabili. Tuttavia, bisogna tenere sempre conto dei costi della vita e dell'inflazione, che fra qualche anno potrebbe aver cambiato il nostro potere d'acquisto. Per tenere il passo con l'inflazione, devi creare piu' ricchezza. E per creare piu' ricchezza, devi contribuire in misura maggiore al tuo piano pensione, attraverso forme di integrazione privata. Molti sono un po' "timidi" nei confronti delle contribuzioni al proprio piano pensione. Le vedono come un costo che devono fronteggiare. Come una tassa da pagare. Come soldi che vengono toldi dalle proprie tasche e che potrebbero invece essere meglio spesi qui e ora. Invece la contribuzione al tuo piano pensione non e' niente di tutto questo. Quando contribuisci al tuo piano di risparmio, pensa che stai contribuendo alla tua ricchezza futura. Stai aggiungendo forze all'esercito con cui fronteggerai l'inflazione. Contribuire un po' di piu' ti permette di generare piu' valore in futuro. Magari proprio quel valore aggiunto che ti permette di stare al passo con l'inflazione.

3) Il rischio di dover coprire i costi di trattamenti a lungo termine:Ci sono situazioni in cui la persona puo' essere chiamata ad assentarsi dal lavoro per un lungo periodo, in seguito a problemi di salute. In tal caso si corre il rischio di diventare un carico su qualcuno che paghi per le cure a lungo termine necessarie. Per evitare tale rischio, e' necessario creare risorse tali da preservare la dignita' e l'indipendenza della persona. Un'assicurazione puo' aiutare, fornendo liquidita' immediatamente disponibile per riorganizzarsi. E un piano di risparmio correlato, che consenta una rendita sul lungo termine puo' essere un ulteriore paracadute, che puo' sostenere anche negli scenari piu' complicati dal punto di vista finanziario. Dal punto di vista pubblico, tale supporto verrebbe dato dall'assistenza sociale, ma vivendo all'estero e uscendo dall'anagrafe nazionale, automaticamente rinunci a tale servizio, che viene riservato ai contribuenti. Ed anche qualora tu decidessi di rientrare in Italia e riguadagnare la residenza, ottenere sussidi e idennizi potrebbe essere piu' complicato del previsto, date le casse dei nostri enti assistenziali che segnano rosso ormai da decenni. Quindi, procurarsi individualmente degli ammortizzatori finanziari potrebbe

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essere la scelta piu' saggia e oculata. E non solo: potrebbe persino presentare una certa convenienza. Infatti, mentre l'assistenza pubblica conferisce risorse economiche solo in caso di bisogno, gli ammortizzatori finanziari privati accumulano ricchezza in tutti gli scenari: in altri termini, se c'e' bisogno di protezione, offrono liquidita'. Se la protezione non viene ma usata, tali prodotti finanziari accumulano ricchezza, che puo' essere riscattata e integrata ad altri piani pensioni attivati, moltiplicando cosi' le fonti di rendita passive (vedi punto 1). Questo è il potere spesso sottovalutato e poco conosciuto dei piani assicurativi.

4) Il rischio della longevita':Molto semplicemente, si parla del rischio di vivere piu' a lungo di quanto i propri mezzi lo consentano. E' un rischio un po' "controintuitivo" poiche' tutti quanti vorrebbero ovviamente vivere a lungo. Ma cosa significa raggiungere un'eta' veneranda senza avere risorse per badare a se stessi? Forse, tornare a lavorare. Ma ne avremmo le capacita'? E le energie? E la voglia? E cosa significherebbe un reinserimento nel mondo del lavoro quando non si e' piu' dei ventenni? Anche volendo, non sarebbe cosi facile, per il semplice fatto che non ci sarebbe certo la fila di datori di lavoro pronti ad assumerci. E allora bisgnerebbe dipendere da qualcun'altro. Essere un carico sui figli, sempre che il loro inserimento nel mondo del lavoro sia avvenuto in maniera tempestiva e che loro abbiano risorse per badare a se stessi. Cosa non cosi' scontata nel mondo sempre piu' legato a mobilita' e carriere flessibili che ci si prospetta davanti. E allora la soluzione rimane quella di costruire valore, generare ricchezza, accumulare abbastanza risorse per non trasformare la longevita' in un problema.

5) Il rischio di distaccamento non previsto dal mondo del lavoro:Diciamo la verita', in molti hanno gia'avuto la lungimiranza di costruire privatamente la propria pensione o di pianificare un'integrazione, per evitare di rimanere scoperti in momenti della vita in cui tranquillita' e sicurezza sono centrali. Ma di solito, anche quelli che hanno la capacita' di guardare ai lunghi orizzonti, pianificano per rendite che siano pronte e mature a 65/66 anni. Questo perche' questa eta' e' quella che siamo stati abituati a considerare come l'eta' della pensione. Questo e' quello che ci ha sempre

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"insegnato" lo Stato. Ma se dovessimo smettere di lavorare prima? Se dovessimo prenderci cura di un nostro caro e non potessimo lavorare full-time? Se dovessimo distaccarci per un certo periodo di tempo dal lavoro per motivi di salute? Se venissimo rimpiazzati sul posto di lavoro e, giunti ai 50, non riuscissimo a riproporci in altre vesti cosi' in fretta? Uno studio del Centro Retirement del Boston College ha mostrato come il 55% di quelli che avevano pianificato per ritirarsi a 66 anni, in realta' hanno dovuto fronteggiare condizioni di ritiro anticipato. E non per spontanea volonta'. E ovviamente, in molti avevano un fondo pensione non ancora maturo per affrontare tale situazione. Quindi, quando si pianifica, bisogna farlo tenendo conto di tali possibilita'. E la soluzione e' creare PIU' ricchezza di quanto riteniamo opportuna per una pensione soddisfacente, disponibile PRIMA del periodo che riteniamo adeguato come eta' pensionabile.

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CAPITOLO 2: DA DOVE NASCE LA NECESSITA' DI ASSICURARSI UNA PENSIONE

Un vecchio manifesto INPS degli anni Quaranta cosi' affermava: “Potresti considerarti soddisfatto se tu dovessi pesare sul bilancio dei tuoi figli o, peggio, se fossi costretto a ricorrere alla beneficenza pubblica o privata?”.Il messaggio esortava la popolazione appena uscita dalla guerra a pensare anche al domani e non solo a focalizzare la propria attenzione sui bisogni immediati di oggi. Si trattava di educare un popolo che di li a poco sarebbe "diventato grande", a pensare alla propria pensione e all'accumulo di risorse per il proprio futuro. Promuoveva valori di indipendenza e dignita' in ogni fase della vita, valori di responsabilita' e cura di se stessi, valori forse nuovi per generazioni che uscivano da guerre e regimi. Il messaggio avrebbe inaugurato una stagione fortunata per il nuovo sistema assistenziale italiano, fatto di previdenza pubblica, ammortizzatori sociali e sanita' garantita ad ogni cittadino.

Il manifesto inoltre sanciva l’obbligatorietà delle assicurazioni previdenziali e sociali: i cittadini non avevano solo il diritto, ma iniziavano ad avere quello che a tutti gli effetti risultava essere un loro dovere: quello di assicurarsi una pensione. Lo Stato partiva dal presupposto che il cittadino non avrebbe dovuto pentirsi in vecchiaia di non aver pensato prima al proprio futuro.Sono passati quasi ottanta anni da quel manifesto. Ma il messaggio e' oggi piu' attuale che mai per quella generazione di migranti che vive e lavora all'estero e che deve seriamente pensare a costruirsi in maniera privata le proprie risorse future.

La storia era partita, per la verita', in maniera un po' diversa: ai suoi albori, i lavoratori Italiani erano invitati a fare contribuzioni volontarie ad un fondo che avrebbe dovuto supportarli durante gli anni dell'anzianita'. Chi vive oggi a Hong Kong, puo' paragonare tale iniziativa alle contribuzioni volontarie al proprio MPF. In quanti le fanno davvero? In tutta onesta', non molti. Ed infatti anche a quel tempo l'iniziativa riscosse poco successo. Pochi erano infatti i connazionali che avevano la lungimiranza di fare versamenti spontanei al proprio fondo pensione, e questo causo' ben presto un problema nell'immediato: non erano tanto

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i lavoratori stessi a patire per le loro mancate contribuzioni, ma erano gli anziani a non avere abbastanza risorse per godere di una pensione. Si capi' infatti abbastanza velocemente che un sistema pensionistico che funziona si basa sul delicato equilibrio tra la generazione attiva che produce, e quella anziana che riceve: attraverso i loro contributi, i lavoratori attuali finanziano le pensioni di chi si e' ritirato. Allo stesso modo, questi cittadini riceveranno la propria pensione dalle future generazioni attive, e cosi' via. Un sistema pensionistico sano si basava, insomma, su quello che poi venne definito come "il patto intergenerazionale": un reciproco sistema di supporto fra le generazioni piu' giovani e quelle piu' anziane.

Alla luce di tale concetto, si decise di ristrutturare il sistema pensionistico, creando il metodo "a ripartizione" che ha conosciuto la sua epoca d'oro nella seconda meta' del secolo scorso. Il sistema "a ripartizione" si poneva come base del sistema pensionistico obbligatorio: ogni lavoratore dipendente privato o pubblico, autonomo o libero professionista, ha l’obbligo di versare all' ente pensionistico-previdenziale di appartenenza, una parte del proprio reddito che viene registrata nel proprio estratto conto contributivo, contenente tutti i contributi versati in carriera. Quando il lavoratore decide di ritirarsi, l'ente pensionistico-previdenziale gli elargisce un assegno mensile basato sulle contribuzioni fatte.E' importante tuttavia sottolineare che tali contributi non sono stati congelati dall'ente fino al momento della restituzione all'ex-lavoratore sotto forma di assegno pensionistico. E' infatti compito dell'ente-pensionistico previdenziale quello di far "girare" tali capitali: infatti, i contributi ricevuti in un certo anno sono usati per pagare le pensioni di quello stesso periodo di tempo. In altri termini, una parte del salario versata dagli attuali lavoratori attivi serve a pagare le pensioni correnti. Ed il ciclo si ripete, con le generazioni successive.

E' evidente come il corretto funzionamento di tale sistema previdenziale si basa sull'esistenza di alcuni requisiti.

Innanzitutto, e' essenziale mantenere un delicato equilibrio tra le generazioni e una forte coesione sociale. Il sistema appena descritto ha funzionato bene negli anni '50 e '60, durante una fase di prosperita' economica e occupazionale.

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Cioe' in un periodo in cui c'erano capitali nelle tasche dei cittadini, nelle banche e nelle casse dello Stato. La conseguenza e che i valori e i percorsi di vita e carriera dei cittadini rimanevano abbastanza statici, in queste prime generazioni. Non si pensava, per esempio, a emigrare all'estero per cercare lavoro, perche' occupazione e ricchezza erano dietro casa. Non si pensava nemmeno a cambiare professione o settore molte volte nell'arco di una carriera, ma al contrario ci si teneva il proprio posto ben stretto, poiche' le industrie e le aziende crescevano e garantivano al lavoratore trattamenti di fine rapporto, benefit e ammortizzatori (non a caso, il mito tutto italiano del "posto fisso" e' stato recentemente rappresentato in film comici). Questo garantiva la coesione sociale necessaria al mantenimento del "patto intergenerazionale", su cui il sistema "a ripartizione" era fondato.

Oggi, tuttavia la situazione appare molto diversa. Le odierne generazioni sviluppano valori e percorsi professionali estremamente differenti da quelle dei loro genitori e nonni. La mancanza di opportunita', la disoccupazione e la pressione fiscale li spinge all'estero, dove cambiano spesso lavoro e dove smettono di contribuire al sistema assistenziale, lasciando un'evidente sbilanciamento nella produzione e redistribuzione della ricchezza.

Non solo. Se la generazione attiva non re-immette capitali nel sistema per mantenere i pensionati correnti, allo stesso tempo la categoria degli ultra-sessantenni vede le proprie file aumentare a dismisura. Questo accade perche' le attuali condizioni economiche e occupazionali non invogliano la generazione piu' giovane e imbarcarsi in progetti familiari, facendo registrare un conseguente calo nelle nascite; ma anche perche' i progressi della medicina e della tecnologia innalzano le aspettative di vita media (e l'Italia primeggia in queste classifiche). Studi indicano che nel 2040 il numero dei connazionali in eta' da pensione sara' pari al 65% della popolazione. Sara' un peso enorme da sostenere per il restante 35% della generazione attiva. Un peso che tuttavia tale generazione molto probabilmente non sosterra', poiche' gran parte di questi lavoratori attivi sara' all’estero a costruire la propria carriera. A tali pensionati non rimarra' quindi altra soluzione, se non quella di emigrare in Paesi con costi della vita piu' bassi e minor pressione fiscale sui propri assegni pensionistici. Il fenomeno dell'emigrazione

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dei nostri pensionati verso paradisi fiscali pensionistici e', per la verita', iniziato gia' da qualche anno e molto probabilmente sara' lo stesso stile di vita che anche i migranti moderni di oggi dovranno mettere in conto, quando arriveranno gli anni del proprio ritiro.

In terzo luogo, bisogna considerare una fatto importante: per mantenere il sistema pensionistico "a ripartizione", l'ordine delle finanze statali e' essenziale. E' infatti dalle casse dello Stato che bisogna attingere, nel caso in cui la generazione attiva non riesca a mantenere il saldo in positivo nella redistribuzione della ricchezza ai pensionati attuali. Il problema, in questo senso, e' che le casse dell'Inps sono in rosso da 25 anni e negli ultimi 10 il costo dell'assistenza sociale ha raggiunto cifre che gravano seriamente sulla stabilita' della previdenza pubblica. Indici internazionali pongono l'Italia agli ultimi posti come sostenibilita' del proprio welfare e c'e' chi dice che gia' dal 2030 le casse dello stato non erogheranno piu' pensioni. E' vero, numeri e statistiche possono essere interpretati in vari modi e lasciare spazio a diverse opinioni. Tuttavia, non c'e' molto da discutere sul fatto che "il patto intergenerazionale", al momento, non trovi nelle finanze pubbliche la sua miglior forma di supporto.

Quello che c'e' di buono e' che non e' necessario tenere gli occhi fissi su quello che "e' stato". In altre parole, il tramonto di realta' che hanno funzionato in passato, offre strada a nuove opportunita'. Gia' da tempo, infatti, il sistema "a ripartizione" e' stato affiancato da altri meccanismi di finanziamento delle pensioni. Nel 2007, un decreto legislativo offri' ai lavoratori aziendali la possibilita' di prelevare il proprio TFR prima del tempo dalle casse aziendali e di reinvestirlo in fondi comuni, tentando di generare una rendita. Negli anni piu' recenti, istituzioni finanziarie hanno ideato e progettato prodotti finanziari di accumulo pensionistico privato (PIR, PAC, PIP, ecc...) al fine di consentire anche al piccolo risparmiatore di mettere a lavoro i propri capitali, accumulando in maniera privata. Pensioni complementari e supplementari hanno inaugurato la stagione del welfare integrativo, basata non piu' sul "patto intergenerazionale" , ma sul concetto di capitalizzazione. Aprendo un fondo privato, la ricchezza prodotta non viene piu' redistribuita nel sistema sociale, ma rimane nominativa, cioe' disponibile e accessibile

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all'intestatario del piano di risparmio: il lavoratore continua a contribuire con una parte del proprio salario o dei propri capitali bancari al proprio fondo pensione, ma l'ammontare e il periodo di contribuzione e ritiro rimangono flessibili e autogestibili. Inoltre, nel momento in cui il fondo abbia accumulato abbastanza interessi e dividendi, le risorse maturate vengono restituite, con rivalutazione a chi li aveva versati.

In questo senso, il manifesto dell'Inps degli anni '40, non solo richiama ad una necessita' ancora attuale per l'odierna generazione attiva, in particolare per chi vive e lavora all'estero. Il messaggio ricorda anche una responsabilita' e il dovere di prendersi cura di se stessi, per non rimpiangere una mancanza di lungimiranza, quando decideremo di ritirarci. E per i migranti di oggi, incita ad esplorare le opportunita' di risparmio offerte da altri contesti che si sono evoluti diversamente rispetto all'Italia, privilegiando fin dall'inizio il sistema di pianificazione privata fondato su capitalizzazione di interessi, che d'ora in avanti dovremo adottare.

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CAPITOLO 3: LA TUA PENSIONE ALL'ESTERO

Quando si vive all'estero, spesso ci si trova a pensare a come costruirsi una pensione futura. Si lavora molto e si inseguono le migliori opportunita' di lavoro e di salario, e siamo aperti a trasferirci in qualsiasi (o quasi) parte del mondo.Ma siamo sicuri che vorremmo fare la stessa a vita a 70 anni?Forse no.Per questo e' importante capire come costruirsi una rendita.Vediamo alcuni modi:

1) Contribuire a una pensione privata:La pensione privata e' uno strumento di risparmio gestito a basso rischio che mira alla creazione di rendite stabili su lunghi orizzonti. Iniziando presto, il tempo aiutera' a capitalizzare le tue contribuzioni e a far crescere il valore contante all'interno della tua polizza. Rispetto ad una pensione pubblica, i vantaggi sono che puoi farti fare delle proiezioni relative alla rendita che potrai avere in futuro e scegliere la tua contribuzione. Se in una pensione pubblica devi contribuire perlomeno vent'anni per ambire ad una pensione d'anzianita'(secondo le attuali leggi italiane), in una pensione privata hai diverse opzioni di durata del tuo piano tra le quali puoi scegliere. Inoltre, la pensione privata e' personale: diversamente dalla pensione pubblica, legata alla giurisdizione in cui vivi e lavori, e al welfare aziendale, legato al tuo lavoro e alle prestazioni svolte per un'azienda, la pensione privata e' legata a te e ti segue dovunque tu vada, a prescindere dalla tua collocazione goegrafica e dal tuo lavoro.

2) Fare un versamento lump-sum:Se hai capitali fermi in banca, puoi evitare di lasciarli a "prendere la polvere" giaciendo inutilizzati sul tuo conto, sopratutto in virtu' dell'inflazione che potrebbe nel tempo eroderne il valore. Se non hai bisogno di tale liquidita', puoi metterla al lavoro tutta in una volta, trasferendola dal tuo conto bancario ad un fondo pensione. Nella sua nuova collocazione, la tua somma avra' un ruolo piu' attivo capitalizzando e rivalutantosi nel tempo: se aspetti orizzonti sufficentemente lunghi, la tua somma si sara' trasformata in una rendita pensionistica stabile e a basso rischio. Il versamento lump-sum puo' essere anche combinato con un piano pensione tipico descritto al punto uno.

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Accumulando in maniera parallela, il tuo piano lump-sum potrebbere fungere da integrazione al tuo piano pensionistico, assicurandoti le risorse che ti servono per affrontare fasi avanzate della vita in maniera serena.

3) Fare contribuzioni volontarieLe contribuzioni volontarie sono strumenti previsti dallo Stato Italiano per colmare "buchi previdenziali". In altre parole, se le tue contribuzioni in Italia non raggiungono i vent'anni previsti dalle leggi attuali per avere una pensione di anzianita', puoi volontariamente colmare tale gap. In generale tali contribuzioni volontarie convengono se si hanno gia 18 o 19 anni di contributi e mancano un paio d'anni a raggiungere il ventennio contributivo. In altri casi potrebbero essere sconvenienti, dati i costi e i requisiti d'accesso richiesti dalla giurisdizione Italiana.

4) Non fare eccessivo affidamento sull'assistenza pubblica:Quando si vive all'estero, si concentrano tutte le nostre energie sul lavoro e poco si pensa alla nostra stabilita' finanziaria futura. Se qualcuno ci ricorda che dobbiamo costruire la nostra pensione, potremmo pensare: "Bah... lo Stato mi dara' qualcosa". Se veniamo invitati a riflettere sulla mancanza di indennizzi e assistenza sociale nel caso dovessimo assentarci dal lavoro per lunghi periodi, il commento rapido potrebbe essere: "Va be'... in un caso del genere tornerei in Italia". Ma tali ragionamenti approssimativi, quanto aiutano le nostre finanze? Al giorno d'oggi, il modo migliore per costruire una pensione e dotarsi di tutti gli ammortizzatori finanziari che ci servono, potrebbe partire dal mettersi l'anima in pace e non considerare il sistema assistenziale come un'opzione sostenibile. Con tale mentalita', diviene piu' facile prendersi le proprie responsabilita' e iniziare a costruire per conto proprio. In tal modo, noi abbiamo fatto il nostro lavoro. Se poi qualcosa giungera' anche dal sistema pubblico, sara' tanto di guadagnato.

5) Fare un piano di risparmio integrativo:Un piano di risparmio permette di costruire una fonte di entrata passiva disponibile prima dell'eta' pensionabile tipicamente riconoscuta. Le cifre elargite probabilmente non sarebbero in grado di sostenere in maniera indipendente un individuo, ma gli garantirebbero un certo margine di liberta' in una fase della vita ancora attiva. In altre parole, con

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una fonte di entrata alternativa al lavoro si potrebbe scegliere di lavorare con orari meno pressanti o di sottrarsi a condizioni di lavoro non ideali; si potrebbe avviare un business affrontando minori rischi oppure semplicemente scegliere di avere piu' tempo libero da spendere con la famiglia o in viaggio. E sul lungo termine, tale piano di risparmio continuerebbe a generare annualita', integrandosi al piano pensione vero e proprio (punto 1) o ad un piano lump-sum (punto 2), aumentando il capitale a disposizione per supportare l'anzianita' ed evitare il rischio della longevita'.

6) Fare una polizza vita con valore contante:La polizza vita non e' una pensione, ma innanzitutto e' una protezione. Permette alla famiglia di mantenere stabilita' finanziaria in caso venisse a mancare uno stipendio e permette all'assicurato di non diventare un carico sulla famiglia nel caso affrontasse situazioni di salute che non gli permetterebbero di lavorare. Quindi, il valore di protezione e' prioritario. Tuttavia, se ci si dota di una polizza vita e non si utilizza mai la protezione, tale polizza accumula valore contante. Nel tempo, tale valore contante capitalizza e puo' generare rendite valide, sopratutto se si e' stipulato la polizza da giovani e la si e' lasciata capitalizzare per diverse decadi. Prelevando tale valore contante, lo si puo' utilizzare per svariati obiettivi finanziari, tra cui l'integrazione di una pensione. E' tuttavia importante non far dipendere la nostra pensione soltanto su tale prodotto finaziario. Infatti, nel caso in cui ci si trovasse a dover utilizzare la protezione, non si avrebbe piu' diritto a prelevare il valore contante accumulato e quindi non avremmo risorse per la pensione. Il consiglio rimane quindi quello di costruire la pensione sui prodotti finanziari indicati ai punti precedenti e considerare la polizza innanzitutto come protezione, e nel caso, come strumento integrativo.

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CAPITOLO 4: RENDITE PASSIVE COME BASE DELLA TUA RICCHEZZA

Le componenti principali della tua stabilita' finanziaria sono rendite passive e ammortizzatori finanziari.Le rendite passive sono capitali che ricevi in maniera indipendente e alternativa alla prestazione lavorativa. In pratica, non devi "vendere" nessun tipo di performance lavorativa per ricevere soldi sotto forma di salario o stipendio. Quando vivi con rendite, puoi vivere con capitali alternativi. Esempio di rendite sono eredita', ritorni di investimenti e pensioni (pubbliche o private).

Gli ammortizzatori finanziari sono rendite o capitali che subentrano nel momento in cui il salario o lo stipendio proveniente da prestazione lavorativa sia, per qualche motivo, sospeso. Per evitare fragilita' o collasso della situazione finanziaria di un individuo o di un nucleo familiare, tali "ammortizzatori" offrono sostegno e permettono il mantenimento delle condizioni di vita. Esempio si ammortizzatori finanziari sono il sussidio di disoccupazione, la cassa integrazione, l'assegno di invalidita' o un'assicurazione sulla vita o sulle malattie.

Lo Stato Italiano, dal secondo dopoguerra ad oggi si e' evoluto secondo i principi del Welfare assisitenziale, per i quali la stabilita' finanziaria e' un diritto di tutti. In tal senso, una qualche forma di rendita passiva o di ammortizzatore sociale deve essere garantito come diritto di cittadinanza. Per tali motivi, per buona parte della seconda meta' del secolo scorso, il sistema sociale italiano, finanziato dalle tasse dei contribuenti, ha elargito con successo pensioni di vecchiaia ed ha garantito sanita' pubblica e prestazioni assistenziali piu' o meno per tutti.Tuttavia con l'entrata nel nuovo secolo, il Welfare State italiano e' entrato in crisi. Il passaggio dal calcolo retributivo al contributivo, in conti in rosso dell'INPS e il colossale debito pubblico hanno messo in evidenza la probabile insostenibilita' del nostro Welfare che, secondo alcuni, potrebbe smettere di pagare prestazioni pubbliche, gia' a partire dal 2030.

Cosi a partire dai primi anni del 2000 si e' assitito allo sviluppo del Welfare complementare e di Welfare integrativo, che richiede al cittadino di essere un attivo investitore dei

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propri risparmi, al fine di generare mezzi di sostegno finanziario alternativi al canale pubblico: sono nati quindi diversi tipi di fondi comuni, piani di risparmio e piani assicurativi, al fine di garantire all'individuo la possibilita' di pianificare la propria stabilita' finanziaria in maniera privata.Di recente, tuttavia, un altro fenomeno sociale ha iniziato a interessare il nostro Paese: la neomobilita'o la cosiddetta migrazione contemporanea, che vede moltissimi connazionali, spesso muniti di master e lauree, scegliere destinazioni estere per sviluppare i propri percorsi professionali. Nel 2018, quasi 285,000 persone hanno scelto l'estero e, con tutta probabilita', in pochi decideranno di tornare indietro.Ma in che modo questo fenomeno rientra nel nostro discorso sulle finanze personali?

Semplice.

Questi migranti, lasciando il Paese, si iscrivono all'AIRE e smettono di pagare le tasse in Italia, cogliendo i vantaggi del regime fiscale del Paese dove vanno a lavorare. Allo stesso tempo, tuttavia, rinunciano alla sanita', agli ammortizzatori sociali e alle pensioni pubbliche fornite dallo stato Italiano. Tali circostanze, spesso, non ottengono la necessaria considerazione da parte del migrante, tutto concentrato a cercare la migliore opportunita' professionale, nel miglior Paese, con il miglior salario e le migliori condizioni. In pratica, la ricerca della situazione piu' interessante sul breve termine, in molti casi non viene affiancata da una prospettiva di tutela e flessibilita' finanziaria sul lungo termine. Sui lunghi orizzonti la mancanza della previdenza pubblica puo' generare crepe rilevanti alla stabilita' finanziaria di un individuo che vive gran parte del suo percorso professionale all'estero.

La soluzione, a piu' riprese descritta tra le righe di questo testo, e' ricorrere alla pianificazione privata, che significa ricreare individualmente le rendite passive e gli ammortizzatori finanziari di cui sopra.A grandi linee, pianificare privatamente significa almeno farsi una pensione privata per garantirsi una rendita futura che supporti l'anzianita' e preservi l'indipendenza della persona. Ci sono molti modi di farla e diverse possibilita' di gestire in maniera attiva i propri risparmi generando delle rendite sul lungo termine. Per il migrante che vive e

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lavora in Asia, il contesto finanziario di Hong Kong rimane il piu' conveniente per la mancanza di tassazione sui ritorni di investimento, per la possibilita' di muovere i propri capitali e per la solidita' e la reputazione delle istituzioni finanziarie sul territorio.

Assieme alla pensione, la stabilita' finanziaria si costruisce con ammortizzatori finanziari, che potrebbero essere implementati attraverso assicurazioni. In luoghi dove la sanita' e' privata, avere l'assicurazione medica e' praticamente imprescindibile se si vuole evitare che un semplice ricovero in ospedale si trasformi in un macigno sul nostro conto corrente bancario. Ma il discorso assicurazioni non si esaurisce alle polizze mediche: stabilita' finanziaria significa anche procurarsi indennita' e sussidi garantiti, nel caso si presentassero eventuali problemi di salute. Per scongiurare una situazione di crisi finanziaria o di prolungata dipendenza da terze persone nel caso non si possa piu' lavorare e ricevere una salario, si puo' fare una polizza vita, infortuni o malattie.

In sintesi, la pianificazione privata e' molto semplice e pone alle fondamenta della tua stabilita' finanziaria due tipi di prodotti finanziari privati: l'assicurazione e la pensione.Tuttavia, la pianificazione privata richiede anche all'individuo uno piccolo sforzo. Uno sforzo che non e' solo finanziario, ma e' anche legato a un cambio di mentalita': invece che pagare le tasse e aspettarsi un aiuto dallo Stato, e' necessario diventare dei piccoli investitori costruendo individualmente la propria muraglia finanziaria. Questo include non far decidere allo Stato quanta parte del proprio salario dev'essere destinata a "esigenze di lungo termine".

Per quanto faccia tendenza lamentarsi delle tasse, la realta' e' che spesso e' comodo avere qualcuno che "decide per te" quanta parte di stipendio dedicare a finanziare la stabilita' finanziaria. Ed e' comodo scaricare le responsabilita' e lamentarsi se qualcosa non funziona. Al contrario, trasformarsi in piccoli investitori significa prendersi le proprie responsabilita': significa mettersi giu' con la penna ed il taccuino e fare i nostri calcoli, decidendo individualmente quanto mettere via; significa trovare la giusta fonte di informazione per capire, nella pratica, che cosa dobbiamo fare, dove dobbiamo mettere i nostri capitali,

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come dobbiamo scegliere i nostri fondi; significa circondarci delle persone giuste, mettere da parte le lamentele sui politici e sull'economia e investire in istituzioni finanziarie valide; e sopratutto significa agire presto e in maniera tempestiva, sfruttando l'accumulo di interessi derivante dalla capitalizzazione composta, ricordandoci che in fin dei conti, il tempo e' il nostro capitale principale.Questa transizione puo' costare fatica, poiche' richiede l'adozione di strategie di iniziativa e proattivita' che non sono proprie del contesto in cui siamo nati e cresciuti. Ma che tuttavia faranno la differenza fra chi costruira' una situazione finanziaria di successo e chi invece si trovera' a lavorare fino a tarda eta'; fra chi lascera' eredita' finanziaria e solidi principi di risparmio ai propri figli e chi invece dovra' chiedere loro aiuto per mantenersi, sperando che entrino velocemente nel mercato del lavoro.

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