CHI E' IL SALESIANO COADIUTORE · pazientemente delineato è venuto così a occupare nella ... meno...

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RIVISTA DELLA FAMIGLIA SALESIANA FONDATA DA SAN CHIE'ILSALESIANO COADIUTORE ANNO105N .9 1 QUINDICINA 1GIUGNO1981 SPEDIZIONEINABBONAMENTOPOSTALEGRUPPf2°170)

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RIVISTA DELLA FAMIGLIA SALESIANA FONDATA DA SAN

CHI E' IL SALESIANOCOADIUTORE

ANNO 105 N.9 • 1 • QUINDICINA • 1 GIUGNO 1981SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE GRUPPf 2° 170)

CHI SONO I SALESIANI COADIUTORI

La figura del Coadiutore Salesianoè stata da Don Bosco pensata e costruitaa poco a poco, attraverso un quarto di secolodi esperienze dal vivo . Il religioso laico da luipazientemente delineato è venuto così a occupare nellasua Congregazione uno spazio e un ruolo insostituibili,per la realizzazione del progetto apostolico salesiano nel mondo

Ascadde negli anni '50, a bordodi un transatlantico appenasalpato da Genova per il Nord

America. Nella sala da pranzo di se-conda classe tre persone siedono a untavolo: due uomini e una donna . Unaddetto si avvicina, taccuino in mano,a rilevare i nominativi e le qualifichedei passeggeri. Uno degli uomini de-clina il nome e la qualifica di docenteuniversitario ; la signora si presentacome sua consorte . Anche il terzoviaggiatore dice nome e cognome, epoiché l'addetto attende anche laqualifica, aggiunge : « Metta la siglaSDB » .L'addetto esegue, poi ringrazia

compìto, e saluta. Ma sul volto deidue coniugi si dipinge una certa de-lusione: hanno perso l'occasione diconoscere qualcosa in più sul lorocompagno di viaggio. Anzi comincia-no a sospettare che dietro a quellastrana sigla si nasconda chissà cosadi poco chiaro, forse l'appartenenza aun servizio segreto . . . E da quel mo-mento si mostrano più riservati nellaconversazione. Del resto il viaggiatoremisterioso col suo comportamentoautorizza i sospetti : è taciturno, so-

vente è appartato, evita la ressa e lemanifestazioni troppo mondane . Ep-pure il suo volto è aperto, il suo trattogarbato, la conversazione affabile . . .

Un giorno la signora si fa coraggioe gli domanda il significato di quellasigla . « Non c'è nulla di misterioso -spiega l'altro con un sorriso -. SDBsignifica semplicemente Salesiano diDon Bosco » . «Salesiano! Ma chi nopli conosce i salesiani? squittisce lasignora -. Lei dunque è un sacerdotesalesiano? » « Sono salesiano ma nonsacerdote - precisa l'altro - . Sonoun Salesiano Coadiutore. -E vado inAmerica a insegnare nei nostri collegil'arte tipografica » .

La signora è interdetta, non riesce acapire come si possa essere salesianie non sacerdoti. E il suo compagno diviaggio deve mettersi a spiegare checi sono appunto due tipi di salesiani, isacerdoti sì, ma anche i laici ; spiegache questi ultimi hanno lo stessoscopo dei sacerdoti, cioè la formazio-ne cristiana della gioventù, che loperseguono in maniera alquanto di-versa ma che lavorano tutti insieme esi completano a vicenda . Così la si-gnora si persuade che per questa

singolare categoria di salesiani laici sitratta proprio di « servizio segreto » : èun servizio che essi rendono allagioventù del mondo, e è segreto al-meno nel senso che da lei e da tan-tissima altra gente non è per nullaconosciuto . . .

Perché i Coadiutori . Il fatto è cheDon Bosco aveva - e continua adavere anche oggi - due mani : unamano sacerdotale con cui traccia lar-ghi segni di croce sui giovani per li-berarli dal peccato, con cui di-stribuisce l'Eucaristia e magari unbuffetto sulla guancia ; e una manolaica, a volte callosa, con cui fa gio-care i ragazzi, insegna loro a usare glistrumenti di un mestiere, li accom-pagna e li guida verso il mondo degliadulti. In altre parole, c'è nel suoprogetto apostolico sia il salesianosacerdote che il salesiano laico, daDon Bosco detto Salesiano Coadiuto-re (e che per brevità chiameremo SC) .

In questa, come in ogni altra cosadi Don Bosco, se si vuol capire biso-gna partire dai giovani . Essi sono ilsignificato della sua vita, la chiavecapace di schiudere la porta sul mi-stero del suo essere e agire . Davanti al

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compito immane di formare e cre-scere cristianamente i giovani, DonBosco ha cercato di convogliare tuttele forze umane e divine, tutti i mezzidella natura e della grazia . A quell'o-biettivo ha voluto orientare le energieideali e l'azione concreta non solo deisacerdoti ma anche dei laici impe-gnati. Se il compito è immenso,perché avrebbe dovuto privarsi del-l'apporto insostituibile dei laici? Li haquindi coinvolti .Quando ancora faceva l'oratorio

volante, attorno all'anno 1845, DonBosco si circondò di laici che pur ri-siedendo a casa loro lo aiutavano intutti i modi: essi poi diedero origineall'associazione dei Cooperatori Sale-siani . Ma per dare sicurezza e stabi-lità al progetto apostolico che stavaavviando aveva bisogno di più: avevabisogno di collaboratori stabili, di-sposti a risiedere dentro le sue operee a lavorare « a piena esistenza » conlui . Tra il 1854 e il '59 li trovò : eranochierici e sacerdoti, e con loro fondòla Congregazione Salesiana. Però tra isuoi amici c'erano anche dei laici di-sposti a « piantare tutto e a mettersicon Don Bosco » per lavorare con igiovani. E a partire dal 1860 cominciòa organizzarli : con i voti religiosi lifece salesiani a pieno titolo, e li asso-ciò ai suoi sacerdoti e chierici perchécostituissero insieme le sue comunitàeducative .Ne nacque qualcosa di originale,

quel « Don Bosco con una mano sa-cerdotale e l'altra laica » che è diven-tato in grado di occuparsi in manierapiù piena ed efficace della gioventù .Anche il suo impegno per i ceti po-polari attraverso la stampa trassedall'apporto dei SC un grande poten-ziamento. E qualche anno più tardi,quando si buttò nell'avventura mis-sionaria, a beneficiare della collabo-razione dei SC furono anche i popoliprimitivi delle missioni salesiane .

Questi laici amici di Don Bosco ecapaci di una donazione totale nellavita religiosa erano uomini concreti,sovente dalla personalità ricca diumori e di valori, che - se si vuolecapire davvero cosa sia il SC - è be-ne conoscere da vicino .

iPreistoria dei Coadiutori

s in cerca della loro identità

I filosofi, si sa, partono dai princìpiastratti, da essi deducono con sicu-rezza le cose da fare, e appena simettono a farle quasi sempre sba-gliano. Don Bosco, concreto, con ipiedi in terra, in ogni cosa seguiva ilmetodo opposto . Si guardava beneattorno, provava a fare, poi speri-mentava qualcosa di nuovo, poi mo-dificava ancora, e solo alla fine enu-24 ∎ BOLLETTINO SALESIANO ∎ 1 ' GIUGNO 1981 ∎

cleava i princìpi . Princìpi che risulta-vano solidi e concreti, perché benfondati sul reale . Con questo metodoDon Bosco ha costruito anche la fi-gura del SC .

Essa al principio appare a noi -ma appariva anche a lui - ancorasbiadita, senza contorni precisi ; allafine risulterà invece nitida, suggesti-va, capace di affascinare, e di pro-porsi anche oggi come valido proget-to di vita .

Il primo vero SC può essere consi-derato un certo Giuseppe Buzzetti,che Don Bosco incontrò ai tempidell'oratorio volante, e che non loabbandonò più . Ufficialmente fuCoadiutore molto tardi, perché « nonse ne sentiva degno », ma in pratica fuda sempre Coadiutore di Don Bosco .

Buzzetti, testimone dagli inizi. Anove anni arrivò a Torino dalla nativacampagna milanese per fare il garzo-ne di muratore : era il 1841, l'anno in

La panetteria di Valdocco . In un primo tempocon la parola Coadiutore s'intendeva una per-sona che aiutava in casa e per la sua presta-zione veniva retribuita . Poi il termine acquistòil significato preciso - proposto dai docu-menti della Santa Sede - di religioso laicoconsacrato per una missione .

cui Don Bosco cominciò a lavoraretra i ragazzi di Torino. Portava aspalle da mattino a sera la secchiadella calce e i mattoni, e alla dome-nica correva all'oratorio da Don Bo-sco. Era intelligente e bravo, e appe-na l'oratorio piantò stabilmente letende a Valdocco, nel '47, Don Boscogli propose di studiare latino per di-ventare un giorno sacerdote . Buzzettiaccettò con entusiasmo, era già chie-rico con la talare, quando lo scoppiodi una pistola gli lacerò l'indice dellamano sinistra a tal punto che dovet-tero amputarglielo. Questa menoma-zione bastava allora a chiudere la viaal sacerdozio .

Scoraggiato, il ragazzo un giorno sipresentò a Don Bosco per accomia-tarsi da lui . Voleva andarsene . Si sentì

dire: « Ricordati che l'oratorio è sem-pre casa tua, e che Don Bosco saràsempre tuo amico. Quando non tipiacesse più stare fuori, torna pure esarai sempre ben accolto». Buzzettichinò il capo e dopo una lunga pausamormorò : « Non voglio più abbando-nare Don Bosco, voglio stare semprecon lui » .

Suo pensiero fu di rendersi utile ilpiù possibile. Trovava tempo a tutto,non diceva mai basta. Don Boscoquando non sapeva a chi affidareun'incombenza diceva : « ChiamatemiBuzzetti », e Buzzetti arrivava con lasua folta barba rossa, pronto a cari-carsi la nuova croce sulle spalle . As-sisteva i ragazzi, faceva il catechismo,cercava in città lavori da affidare ailaboratori, a lungo fu anche respon-sabile della libreria salesiana, nel '52diventò amministratore della collana« Letture Cattoliche », fascicoli popo-lari che Don Bosco diffondeva a mi-lioni di copie .

Col suo talento musicale guidò lacorale dei ragazzi finché il chiericoCagliero non fu in grado di sostituir-lo; ma quando Don Bosco portava isuoi ragazzi in giro per il Monferratonelle gite autunnali, la sua chiassosafanfara scandiva le marce e attiravale simpatie di villaggi e paesi .

Aitante nella persona, solido e co-raggioso, in svariate occasioni Buz-zetti tutelò l'incolumità fisica di DonBosco contro chi attentava alla suavita. Abile organizzatore, divenne ilcervello delle lotterie che a lungo ognianno Don Bosco organizzò per raci-molare aiuti economici. Nel 1884 unalotteria era stata indetta a Roma permandare avanti la costruzione delTempio al Sacro Cuore, ma languiva ;Don Bosco mandò nella capitaleBuzzetti : «Tu solo sei capace», glidisse, e risultò vero. Presa in manol'iniziativa, la portò al successo .

Intanto la Congregazione salesianaera nata già da parecchio tempo,molti aiutanti di Don Bosco eranodiventati SC, e lui non aveva presen-tato domanda. Diceva : « Non ne sonodegno ». Nel 1877 Don Bosco lo in-contrò in cortile e gli espresse un ti-more : che loro due non si sarebberotrovati vicini in paradiso . « Perché? »,domandò Buzzetti sorpreso. « Perchéio starò in mezzo ai miei salesiani, edovrò rassegnarmi a vedere lontanida me coloro che non lo sono diven-tati» . Ce n'era a sufficienza per lateologia semplice ma schietta diBuzzetti, e subito si decise. Ma inpratica, anche diventato SC, noncambiò in nulla la sua vita esteriore,perché Coadiutore lo era da sempre .Dopo la morte di Don Bosco, lui

che era stato per decenni il suo brac-cio destro, si sentiva ormai inutile . Gli

parve che la sua missione sulla terrafosse finita . Questo uomo-chiave intanti momenti cruciali della vita diDon Bosco, fin dagli inizi testimonedei mille prodigi avvenuti a Valdocco,gli sopravvisse quattro anni appena .Il tempo per prepararsi alla morte,che lo raggiunse a 60 anni. Ma perchéavrebbe dovuto tardare ancora? DonBosco facendolo SC gli aveva assicu-rato un posto in paradiso accanto a sée si affrettò a raggiungerlo .

Coadiutori secondo l'etimologia . Ilcoadiutore era dunque accanto a DonBosco già molto prima che questaparola fosse stata introdotta a Val-docco. E quando fu usata, all'inizioessa significò una realtà molto diver-sa dal SC di oggi. Stando alla « Ana-grafe dei giovani » compilata annodopo anno a Valdocco, il primo a es-sere chiamato Coadiutore fu, sulla fi-ne del 1854, un certo Alessio Peana :

prossimo . . . Da tale sera fu posto ilnome di salesiani a coloro che si pro-posero e si proporranno tale eserci-zio » .Ad agosto altro fatto decisivo : un

certo don Vittorio Alasonatti era ve-nuto per stare con Don Bosco e aiu-tarlo in tutto ; da quel momento DonBosco non sarà più l'unico prete al-l'oratorio, e si sentirà più libero nellesue iniziative . Altro passo avanti eracompiuto nel marzo 1855 : prima ilchierico Rua, e poi anche don Alaso-natti, emettono i voti privati nellemani di Don Bosco .La svolta decisiva avviene però

sulla fine del 1859 : il 9 dicembre DonBosco comunica ai suoi collaboratori,nel frattempo aumentati di numero,la sua intenzione esplicita di fondarela Congregazione salesiana. E novegiorni dopo, raccoglie le adesioni diquanti intendono fondarla con lui : al

aveva 34 anni, prestava servizio incasa, e per questo servizio veniva re-tribuito. Insomma il termine Coadiu-tore in un primo tempo venne presonel suo significato etimologico eniente più.

Ma all'inizio di quello stesso annoDon Bosco - sempre in fase creativa- aveva già introdotto un altro ter-mine nuovo, quello di «Salesiano », edato così il primo avvio alla sua inci-piente congregazione . Scrisse l'allorachierico Michele Rua : « La sera del 26gennaio 1854 ci radunammo nellastanza di Don Bosco : esso Don Bo-sco, Rocchietti, Artiglia, Cagliero eRua. E ci venne proposto di fare -con l'aiuto del Signore e di san Fran-cesco di Sales - una prova di eser-cizio pratico della carità verso il

La banda dell'Oratorio negli anni '60 . Alla destra di Don Bosco c'è Giuseppe Buzzetti non ancoraCoadiutore, alla sua destra don Giovanni Cagliero da poco sacerdote . Tra i due, nella fila supe-riote, il maestro Giuseppe Dogliani non ancora maestro ma già coadiutore .

suo appello rispondono tutti gli invi-tati meno due . Sono con lui don Ala-sonatti, 15 chierici e uno studente .

Intanto, in tutti quegli anni anche ilnumero dei cosiddetti Coadiutori eraandato crescendo nell'oratorio, comerisulta dall'« Anafrage dei giovani » .Essi in massima parte non eranoproprio dei « giovani » ma di età me-dia sui 40 anni ; pagavano una men-silità alla casa per vitto e alloggio, evenivano retribuiti in base al lavoroche svolgevano: alcuni come perso-nale di servizio (pulizie, cucina ecc .),altri come operai nei laboratori di artie mestieri aperti all'oratorio . Ma or-mai la parola Coadiutore era sulpunto di acquistare il nuovo e piùpieno significato .Coadiutori in senso salesiano . Il 2

febbraio 1860 « il Capitolo (cioè l'in-sieme dei superiori) della Società sa-lesiana . . . si radunava nella cameradel rettore (Don Bosco), per l'accet-tazione del giovane Giuseppe Rossi .Quivi pertanto. . . terminata la vota-zione e fattone lo spoglio, risultò cheil giovane fu accolto a pieni voti .Perciò venne ammesso alla praticadelle regole di detta Società» . Conqueste ultime parole si intendeva direche il giovane veniva considerato no-vizio. Ma era anche primo SC . Nonuno stipendiato, ma un giovane ge-neroso che si donava a Dio senzachiedere altra contropartita chequella di poter lavorare con Don Bo-sco per il bene dei ragazzi .Questo Rossi qualche tempo prima,

a 24 anni, aveva avuto tra mano unlibro di Don Bosco e, lasciato il pae-sello in provincia di Pavia, aveva de-ciso di andare per sempre con lui .Dapprima fu semplice guardarobiere,poi anche assistente nei laboratori,poi imparò a sbrigare piccole com-missioni in città. Ma aveva stoffa diamministratore, e nel '69 Don Boscolo nominò «Provveditore generaledella Società salesiana » . Divenne uo-mo di fiducia, aveva la responsabilitàdi tutti i beni materiali della congre-gazione. Una congregazione che ognianno cresceva, e richiedeva semprepiù impegno e dedizione . Lui era so-vente in viaggio, in Italia e all'estero,per seguire da vicino l'espansionedelle opere. Don Bosco gli voleva be-ne, scherzava sovente con lui, e persottolineare l'aria distinta che colpassare degli anni aveva assunto lochiamava conte : « Ecco il conte Ros-si, grande amico di Don Bosco » .

Intanto la terminologia si andavaprecisando . Nelle «Anagrafi dei gio-vani» si troverà ancora per qualchetempo il termine Coadiutore applica-to al personale salariato, ma perqueste persone si era già trovato iltermine più preciso - usato alloraper i domestici delle famiglie nobili oborghesi - di famigli. Ben altra cosaera ormai il SC, laico consacrato alSignore nelle mani di Don Bosco, percollaborare strettamente con lui nelcercare il bene della gioventù. La pa-rola Coadiutore aveva così assunto ilsuo profondo significato religioso esalesiano .

La prima fioritura&* dei Salesiani Coadiutori

Giuseppe Rossi fu il primo Coa-diutore novizio, ma non fu il primo aemettere la professione religiosa . lasua « prova » durò 4 anni, fino al 1864 ;e intanto altri due laici - più maturiper età - con la professione emessa∎ BOLLETTINO SALESIANO ∎ 1°GIUGNO 1981 ∎ 25

nel 1862 diventarono SC a pieno titoloprima di lui. Ambedue però lasciaro-no poi l'oratorio e Don Bosco, siapure in circostanze molto diverse .

Uno si chiamava Giuseppe Gaia, edera un bravo cuoco : dopo qualchetempo, poverino, perse il lume del-l'intelletto e dovettero ricoverarlo . Mamerita il ricordo per un episodio chemise in risalto il cuore di Don Bosco .Una sera del 1875 egli aveva termi-nato molto tardi la confessione deisuoi ragazzi, e giunse nel refettorio incerca di un boccone . Gaia, che eraalle pentole, versò in un piatto un po'di riso stracotto e freddo . Il giovaneche doveva portarlo in tavola os-servò: « Ma è per Don Bosco! » E ilpovero Gaia, già roso dal suo male :« Oh, Don Bosco è uno come tutti glialtri » . La risposta fu riferita a Don

Bosco, che replicò tranquillo : «Haragione Gaia, è vero» .

Di ben altra statura risultò il se-condo SC : il cav . Federico Oreglia diSanto Stefano .

Lo afferrò per la barba. Nel luglio1860 Don Bosco giungeva a Sant'I-gnazio sopra Lanzo per prestare as-sistenza spirituale - com'era solitofare da diversi anni - a un corso diesercizi per laici. Aveva la salute apezzi, e la prima sera, in chiesa, cad-de svenuto. Quando si riebbe si ri-trovò in camera sua, e vide ai piedidel letto un giovane elegante, in la-crime. Era lui, il cav . Oreglia, il buonsamaritano che l'aveva portato deli-catamente fin nella sua stanza .

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Don Bosco lo conosceva, apparte-neva a una famiglia bene. Quandol'ebbe vicino lo afferrò per la barba :« Ora lei è nelle mie mani . Che cosa nedevo fare? » E finì che il cav . Oregliasi confessò. Era andato lassù a quelritiro per insistenza di sua madre, chelo voleva - dopo un periodo disbandamenti - di nuovo sulla buonastrada . E con l'aiuto di Don Bosco sirimise davvero in carreggiata .

Qualche mese dopo si presentò aDon Bosco nell'oratorio chiedendogliospitalità: aveva bisogno di tempoper decidere della sua esistenza, e in-tanto pensava di potersi rendere utilelì a Valdocco . La vita all'oratorio eraquanto mai dura ma egli la accettòcon coraggio, adattandosi in tutto,negli orari, nella preghiera, nel lavo-ro. La sua vasta esperienza gli con-

Documento storico : il verbaledi accettazione nella SocietàSalesiana del primo Coadiuto-re . Vi si legge:

«L'anno del Signore mille otto-cento sessanta il 2 febbraio al-le ore 9,30 pomeridiane inquest'Oratorio di San France-sco di Sales il Capitolo dellaSocietà dello stesso titolo,composto dei sacerdote BoscoGioanni rettore, del sacerdoteAlasonatti Vittorio prefetto, delsuddiacono Rua Michele diret-tore spirituale, del diacono Sa-vio Angelo economo, dei che-rico (sic) Cagliero Gioanni pri-mo consigliere, del chericoBonetti Gioanni secondo con-sigliere, del cherico GhivarelloCarlo terzo consigliere, si ra-dunava nella camera del Ret-tore per l'accettazione dei gio-vane Rossi Giuseppe di Matteoda Mezzanabigli.

«Quivi pertanto dopo brevepreghiera coll'invocazione alloSpirito Santo il Rettore dàprincipio alla votazione . Ter-minata questa, e fattone lospoglio, risultò che il dettogiovane fu accettato a pienivoti . Perciò venne ammessoalla pratica delle regole di dettaSocietà .» .

sentiva di rendere a Don Bosco pre-ziosi servizi, e quando gli chiese didiventare salesiano, subito Don Bo-sco lo accettò .

Lo mise a capo della tipografia elibreria, gli assegnò pratiche delicateda sbrigare, gli affidò la responsabi-lità delle lotterie . Il bravo cavalierediventò il tratto d'unione fra DonBosco e le famiglie agiate non solo diTorino, ma anche di Firenze e Roma(dove aveva uno zio cardinale) .

Nove lunghi anni lavorò all'orato-rio, rendendosi indispensabile . Maintanto maturava in cuore il desideriodi essere sacerdote nelle file dei Ge-suiti, dove già aveva un fratello . La-sciò Don Bosco nel '69 con grande

rimpianto reciproco. Ma i due conti-nuarono a essere profondamenteamici, anzi in numerose occasioni ilcav. Oreglia ebbe la gioia di rendersiancora utile a Don Bosco, sempre bi-sognoso di tutto e di tutti .Provvisorio per 48 anni. Per due

che lo lasciarono, Don Bosco trovò intantissimi altri SC una fedeltà incrol-labile.

È il caso di un altro Rossi, di nomeMarcello. Dovette attendere la mag-gior età per poter disporre libera-mente di sé, ma nel 1869 si presentò aDon Bosco per restare sempre conlui . Di costituzione piuttosto fragile,nel '75 si ammalò di petto e sembravaavesse i giorni contati . Don Bosco gliimpartì una benedizione e lo rassi-curò che avrebbe invece continuato alavorare a lungo con lui . Di fatto siriprese, e Don Bosco avendo bisognodi un uomo accorto e coscienzioso damettere in portineria, gli affidò prov-visoriamente quel compito . Lo svolseprovvisoriamente per 48 anni.

Ogni mattino alle 4,30 era puntualeall'apertura della chiesa, poi mettevaordine in ogni angolo della portineria,poi prendeva posto al suo sportello .Da quel punto di osservazione avevamodo di rendersi utile a tutti, infor-mando e avvertendo, evitando di-sguidi e inconvenienti. Si assentavasolo una settimana all'anno per gliesercizi spirituali, e qualche ora alladomenica per il catechismo ai ragazzidell'oratorio. Altrimenti era sempre lì .Lo chiamavano « la sentinella dell'o-ratorio », oppure - con riferimento alfamoso e misterioso cane che in anniprecedenti aveva difeso Don Bosco -« il grigio » .

Ma era tutt'altro che un cerbero :sempre pacato e sereno, padronedelle situazioni, sapeva accontentaretutti e rendersi utile in mille occasio-ni. La sua portineria divenne un uffi-cio di collocamento : vi incontravaallievi in cerca di lavoro, e vi incon-trava anche le persone agiate dispo-ste ad assumerli . O disposte a pagarela retta a qualche ragazzo povero . . .

Nel 1911 sulla piazza di Maria Au-siliatrice venne eretto il monumentoa Don Bosco ; qualche tempo dopo ilcard. Cagliero rientrò in Torino daisuoi soliti lunghi viaggi, ed era curio-so di vedere il tanto declamato mo-numento. Come si affacciò alla piaz-za, guardando da lontano, vide ancheMarcello Rossi sull'uscio della suaportineria, e additandolo ai suoi ac-compagnatori disse: «Eccolo là, ilvero monumento di Don Bosco » .I talenti di Pelazza . Ricchi di ge-

nerosità, non pochi dei primi SC ri-sultavano anche ricchi di talenti, eDon Bosco questi talenti li seppe in-tuire, sviluppare, e - secondo il con-

L'austera figura del maestro Giuseppe Doglia-ni a 85 anni (foto del 1934).

siglio del Vangelo - trafficare. È ilcaso di Andrea Pelazza, ragazzo del-l'oratorio festivo, che a vent'anni de-cise di mettersi agli ordini di DonBosco. Nel '63 era SC, e venne messoalla prova col solito incarico di guar-darobiere. Risultò diligente . In piùaveva una magnifica voce e delicatoorecchio musicale, perciò fu messo ainsegnare canto . Recitava bene, sullascena era uno schianto, al punto chegente venuta da fuori gli propose unacarriera nel gran mondo del teatro .Ma lui rispose che non avrebbe la-sciato Don Bosco per tutto l'oro delmondo.

Partito da Valdocco il cav . Oreglia,Don Bosco gli affidò la tipografia . Luisi tirò indietro dicendo che non eraall'altezza, ma Don Bosco insistetteperché almeno provasse . Provò, edera l'uomo giusto . Ampliò la scuolatipografica, ammodernò gli impianti,portò quell'arte ai vertici in Valdocco .E dimostrò pure doti di vero educa-tore, giungendo a maturare i suoi ra-gazzi con il dialogo e la schietta ami-cizia.

Don Bosco sovente usciva percommissioni in città, e si faceva ac-compagnare da lui: erano per Pelazzale occasioni d'oro per affrontare iproblemi, per imparare, per « cresce-re » nello spirito. Don Bosco aprìnuove tipografie a Genova e a SanBenigno, e a lungo volle che fosserosotto i suoi ordini. Nel '78 aggiunse aquesti stabilimenti anche la cartieradi Mathi torinese, e anche quella laaffidò a Pelazza, che ormai era di-ventato un manager . Perfetto nellatenuta dei registri, gentile e concretonelle relazioni pubbliche, dal suo uf-ficio dirigeva uomini e cose secondolo spirito di Don Bosco . A essere unmoderno capitano d'industria solo glimancavano i telefoni e la determina-zione nel fare quattrini : lui mirava

solo al bene dei suoi allievi, e alladiffusione dei buoni libri .

Un suo exploit fu la partecipazioneall'Esposizione nazionale che si tennea Torino nel 1884. Nel padiglione sa-lesiano concentrò tutti i macchinarioccorrenti per la nascita di un libro :la fabbricazione della carta, la com-posizione, la stampa, la rilegatura . Lemacchine non erano ferme, ma tenu-te sempre in funzione dagli allievidella scuola. La gente affollava quelpadiglione, entusiasta di vedere tuttiquei prodigi della tecnica snocciolatiin bell'ordine e messi in moto dasemplici ragazzi .

La tipografia di Don Bosco fu il suoregno per 35 anni : nel 1905, quando ilsuo cuore si fermò, lo trovarono re-clinato sulla scrivania .

Il talento di Dogliani . C'è poi lastoria di un ragazzino arrivato a Val-docco per imparare il mestiere di fa-legname, e diventato insigne musico :Giuseppe Dogliani. Aveva letto d'unfiato la vita di Domenico Savio scrittada Don Bosco, e venendo all'oratoriopensava di trovarlo popolato da ra-gazzi tutti buoni come lui . Invece inlaboratorio si trovò accanto certepellacce . Spoetizzato corse da Don

II Coadiutore Marcello Rossi, portinaio «prov-visorio» per 48 anni .

Bosco a dirgli tutta la sua delusione eche voleva tornare a casa ; Don Boscoriuscì con fatica a richiamarlo allarealtà, e visto che era un piccoloBeethoven lo avviò alla musica . Al-l'oratorio c'erano, in quell'anno digrazia 1864, quattro scuole serali dimusica vocale con 83 allievi, 6 corsi dicanto gregoriano con 161 cantori, unascuola di musica strumentale per 30suonatori . Il piccolo Giuseppe si ci-mentò col genis e dopo soli due mesiera promosso titolare in banda; poiimparò il basso flicorno, e lo suonava

così bene che gli composero un con-certo apposito in cui potesse esibirsida solista .

A 19 anni compose lui stesso unamarcetta per banda dal titolo elo-quente ; « Un pasticcio qualunque », efu avviato allo studio del pianoforte edella composizione . Nel '75 don Ca-gliero partì missionario per l'America,e la sua bacchetta del comando passònelle mani di Dogliani .Era un innovatore . Bandì dalla

chiesa gli strumenti rumorosi dell'e-poca, preferì il limpido canto grego-riano e la polifonia classica. Tanti nonlo capivano, e lo criticavano ; ma lariforma operata poi da Pio X col suomotu proprio arrivò a dargli piena-mente ragione . Don Bosco nell'87 lovolle a Roma con tutta la sua scholacantorum per la consacrazione deltempio al Sacro Cuore, e gli fiocca-rono elogi anche sulla stampa . Nel1894 lo chiamarono a Marsiglia per ilcentenario di santa Giovanna D'Arco .Nel 1900 i salesiani d'America lo vol-lero per festeggiare il 25" della loroopera in quel continente, e lui appro-fittò dell'occasione per riorganizzarele scuole salesiane di canto, collau-dare nuovi organi, tenere corsi ai sa-lesiani maestri di banda . Appena tor-nato a Torino, gli assegnarono laparte musicale per i funerali del reUmberto 1, perito tragicamente in unattentato .Fu compositore, ma soprattutto

educatore (tra i suoi allievi il tenoreFrancesco Tamagno), e autore dimetodi per l'insegnamento del canto .I governi lo coprirono di riconosci-menti, i competenti dissero che « colmaestro Dogliani la musica classicaera tornata in chiesa» ; ma lui sem-plice in tanta gloria, rimpiangeva itempi fortunati quando Don Bosco loaveva incaricato di servire in refet-torio e aveva così modo di stargli alungo accanto .La grandeur di Garbellone . Nella

sua arte di liberare i talenti Don Bo-sco riusciva a mettere a frutto perfinoi difetti : è il caso di quelli - moltovistosi ma spassosi - di GiovanniGarbellone, un ragazzo dell'oratoriofestivo a cui affidò piccole incom-benze nel «magazzino generale» diValdocco . Si dimostrò generoso e dibuona volontà, al punto da farsi per-donare le stravaganze . Anzi, da ren-derle accettabili e utili .Alto e imponente, con spiccata

tendenza a mettersi in vista, al ma-gniloquio, aveva nel sangue un pizzi-co di grandeur (che gli derivava forsedall'essere nato . . . in Francia) . Chi loconosceva superficialmente gli rin-facciava vanagloria, o ambizionepersonale, e lo considerava - con unbel termine dialettale - gonfianuvo-

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le . Ma chi lo conosceva a fondo sa-peva che dietro la facciata c'era ungenuino amore a Don Bosco, rettitu-dine di intenzione, spirito di sacrificioe capacità di dedizione ai ragazzi .Faticò un poco a farsi accettare

come SC da Don Bosco, ma una voltastrappata la sua fiducia, seppe meri-tarsela. Nel magazzino passò dallepiccole mansioni alle grosse respon-sabilità, come provvedere l'occorren-te per le spedizioni missionarie, e vi-sitare le opere di Don Bosco apertenei vari paesi d'Europa e MedioOriente, dalla Gran Bretagna al Por-togallo, all'Egitto e Palestina .Il suo vero campo di battaglia fu

però l'oratorio festivo da cui prove-niva. I 500 ragazzi piuttosto turbo-lenti avevano bisogno di briglie, e civoleva l'imponente statura e il cipi-glio fiero di Garbellone per tenerli inriga. Se durante l'omelia i ragazzichiacchieravano, egli sbucava dallasacrestia, interrompeva con un ampiogesto della mano il predicatore, face-va una solenne filippica in dialetto,poi - in un silenzio di tomba - re-stituiva la parola al fragile oratore . Ilsuo posto naturale era, si capisce, inpalcoscenico . Organizzava anchepasseggiate e gite, e presentandosi aidirettori delle ferrovie a nome di DonBosco otteneva vagoni e vagoni aprezzi stracciati .

Dirigeva la banda dell'oratorio e laportò a farsi onore in un sacco dimanifestazioni . Il pezzo raro di quellabanda era proprio lui : con la staturasovrastava tutti, e si imponeva con ladivisa gallonata come un generaledell'esercito in abito di gala, col pettofregiato dalle medaglie guadagnatenei concorsi, con l'elmo in testa sor-montato da un vistoso pennacchio .Questo personaggio incredibile di-ventava credibile quando accompa-gnava i suoi bandisti alla messa e liprecedeva con l'esempio alla comu-nione. In un albo del suo archiviopersonale, tenuto con la massimaprecisione, figurano i nomi dei ra-gazzi e giovani tirati su in 40 anni didirezione della banda : quasi 3 .000 .

Sempre nell'oratorio riservava a séil compito delicato di preparare ibambini alla prima comunione : ave-va per loro cure materne, li radunavaa parte, li istruiva per bene, li im-mortalava perfino nelle fotografie .Un altro grosso albo nel suo archivioconteneva le foto e i nomi di 6 .000ragazzi da lui preparati al primo in-contro col Signore .Garbellone dava una mano anche

per le confessioni . La domenica mat-tina i ragazzini con un sacco di ma-rachelle da raccontare si riversavanoa sciami sul confessionale del diret-tore dell'oratorio, impazienti di essere28 ∎ BOLLETTINO SALESIANO ∎ 1°GIUGNO 1981 ∎

assolti per poter commettere altremarachelle, e se il direttore don Paviaavesse dovuto confessarli tutti chissàa che ora sarebbe cominciata lamessa. Allora Garbellone apostrofavai ragazzini : « Chi ha peccati grossi re-sti qui con don Pavia, chi li ha piccolivenga con me ,> . Almeno metà dei ra-gazzi lo seguivano, lui faceva loro unbel predicozzo, e li rimandava . . . as-solti .

Era furbo la parte sua, ma i suoischerzi erano sempre cordiali e inof-fensivi. Sul biglietto da visita avevafatto precedere al suo nome la quali-fica di «Comm .». Non era commen-datore, ma lasciava che gli altri locredessero . Se poi lo interrogavano,lui spiegava che comm. voleva direcommissioniere (quale di fatto era) .

3 Un quarto di secolo. per maturare l'idea

Col passare degli anni Don Bosco sirendeva conto di avere in mano -con i SC - un tesoro di valore ine-stimabile, delle pedine preziosissimeper realizzare il suo progetto aposto-

l'oratorio in data 1867 presenta icompiti del Coadiutore, che risultanolimitati a tre e di second'ordine: cuo-co, cameriere, portinaio . Il termine èquindi usato in senso molto ambiguo .Ma la realtà già scavalca i documentidi carta: di fatto nel '69 GiuseppeRossi si rperitava da Don Bosco laresponsabilità di «Provveditore ge-nerale della Società Salesiana » . E nel'70 ancora Rossi con Andrea Pelazzavenivano coinvolti da Don Bosco co-me proprietari legali di beni immobi-li . Quello stesso anno i Coadiutorierano già 23 su 101 salesiani (26 eranoi sacerdoti, 52 i chierici) .Don Bosco comincia a spiegarsi .

Nell'ottobre 1862 Don Bosco presen-tava ai novizi una concezione «orga-nica» della sua congregazione: unorganismo vivente - diceva - habisogno di parti ben differenziate maarmoniosamente fuse e in piena col-laborazione fra loro ; così in congre-gazione occorrono il sacerdote e ilchierico, ma anche altri che si occu-pino di tutti gli aspetti materiali . Epoiché « tutto ciò che fa uno va anchea profitto dell'altro », esortava a « fare

Uno dei primi laboratori, quello dei tipografi impressori . I ragazzi sotto la guida dei Coadiutoriimparavano un mestiere, e sul loro esempio imparavano a vivere «da buoni cristiani»,

lico . E fece loro spazio sempre mag-giore nella sua congregazione e neisuoi piani .

La realtà scavalca i documenti . Nelfebbraio 1860, meno di due mesi dopol'inizio ufficiale della congregazione,Don Bosco aveva accettato il primoCoadiutore Giuseppe Rossi, poi que-gli altri due laici che nel '62 avevanoprofessato per primi : il cav . Oreglia eil povero cuoco Gaia . Poi altri ancora .In un quadernetto contenente il pri-mo abbozzo delle Costituzioni sale-siane, scritto in quegli anni da donRua, Don Bosco parlava di « membriecclesiastici, chierici e anche laici » ;nelle edizioni successive la parolaanche scompare. Il Regolamento del-

tutto bene, nel modo che a Ginevra sifanno gli orologi » . . .Come concreta applicazione di

questo principio, nella prima spedi-zione missionaria salesiana per l'A-merica (1875) su dieci partenti DonBosco ha fatto posto a quattro Coa-diutori (uno di essi è troppo giovane,non può avere il passaporto, e perpoter partire andrà a imbarcarsi dinascosto a Marsiglia) .

Nel 1876 (i SC sono già 78, gli arti-giani intenzionati a divenirlo 25) indue occasioni Don Bosco approfon-disce il suo pensiero sul SC. Il 19marzo raccoglie 205 tra salesiani, no-vizi e allievi che desiderano ascoltar-lo, e li intrattiene sul tema « La messe

è molta, gli operai sono pochi » . Esgretola l'idea che operai nella messesiano soltanto i sacerdoti : « NellaChiesa c'è bisogno di ogni sorta dioperai, ma proprio di tutti i generi » .Perciò passa in rassegna alle tanteattività che anche i laici possonosvolgere nel campo della chiesa edella congregazione salesiana .

Agli artigiani Don Bosco torna aparlare pochi giorni dopo, il 31 mar-zo, e per la prima volta prospetta loroin termini espliciti la vocazione delSC, invitandoli a prenderla ben inconsiderazione . Dice che la congre-gazione « non è fatta solo per i preti oper gli studenti, ma anche per gli ar-tigiani . Essa è una radunanza di preti,chierici e laici, specialmente artigiani,i quali desiderano unirsi insieme cer-cando di farsi del bene tra loro, e an-che di fare del bene agli altri » . Ponein modo radicale il principio dell'u-guaglianza fra tutti i salesiani : « Nonc'è distinzione alcuna: sono trattatitutti allo stesso modo, siano artigiani,siano preti; noi ci consideriamo tutticome fratelli, e la minestra che man-gio io l'hanno anche gli altri ; e lastessa pietanza, lo stesso vino cheserve per Don Bosco, si dà a chiun-que faccia parte della congregazio-ne». (Magari un po' più abbondante,perché Don Bosco il vino l'assaggiavaappena) .Non servi, ma padroni . Con questa

concretezza si spiegava Don Bosco, ealle parole faceva seguire i fatti. Nel1877 radunava a Lanzo il primo Ca-pitolo generale della sua congrega-zione, e chiamava a parteciparvi an-che un Coadiutore, Giuseppe Rossi(lo chiamerà ancora, con altri, anchenei Capitoli successivi) .

Nell' '80 per avere più CoadiutoriDon Bosco inviava ai parroci soprat-tutto del Piemonte una circolare, in-vitandoli a orientare verso la congre-gazione salesiana i giovani che aves-sero qualità idonee . I Coadiutori in-tanto quell'anno raggiungevano ilnumero di 182.

Nel 1883 Don Bosco affrontaespressamente in un nuovo Capitologenerale l'argomento dei SC . Si poneil problema del nome e si decide dimantenerlo, perché è quello propostodalla Santa Sede : «Fratres Coadiuto-res » . Ma si decide pure di non appli-carlo più ai collaboratori senza voti,che prenderanno d'ora innanzi il no-me di famigli . Un prete, don LuigiNai, in piena riunione sostiene questaopinione: « I Coadiutori bisogna te-nerli bassi, formare di essi una cate-goria distinta. . . » . Non l'avesse maidetto : Don Bosco si oppone, visibil-mente commosso: «No, no, no! Iconfratelli Coadiutori sono come tuttigli altri! » .

In realtà dovevano essere non po-chi tra i salesiani i preti e chierici apensarla come quel don Nai, che erapoi pensarla secondo le idee del tem-po. A Don Bosco era giunta voce chedavvero in diverse case i Coadiutorierano « tenuti bassi », che non vede-vano adeguatamente riconosciuta laloro preparazione professionale e ca-pacità di contribuire al lavoro tra igiovani, che cominciavano a scorag-giarsi . Perciò, appena potè, andò atrovare i suoi novizi Coadiutori etenne loro una conferenza « per sol-levare il loro spirito abbattuto » . Unaconferenza programmatica, « permanifestarvi - come disse loro - lamia idea sul Coadiutore salesiano » .E precisò: « Io ho bisogno di aiu-

tanti. Vi sono delle cose che i preti e ichierici non possono fare, e le faretevoi » . Non si fermò alle solite faccen-

Giovanni Garbellone, direttore delladell'oratorio festivo e «gonfianuvole» .

de di cucina e portineria, ma parlò ditipografie, librerie, laboratori ; piùancora: « Ho bisogno di avere in ognicasa qualcuno a cui si possano affi-dare le cose di maggior confidenza, ilmaneggio del denaro, il contenzioso ;ho bisogno di chi rappresenti la casaall'esterno . . . Voi dovete essere questi .Voi non dovete essere chi lavora ofatica direttamente, ma bensì chi di-rige. Dovete essere come padroni su-gli altri operai, non come servi . . . Nonsudditi, ma superiori . . . Questa è l'ideadel Coadiutore salesiano » .Tre anni dopo, Don Bosco trasferì

tali idee all'ultimo Capitolo generale acui potè partecipare. Il documentofinale del 1886 riferiva : «Ai nostri

banda

tempi più che in ogni altro, le operecattoliche - e fra queste la nostracongregazione - possono avere dailaici efficacissimo aiuto ; anzi in certeoccasioni possono fare maggiormen-te e più liberamente il bene i laici, chenon i sacerdoti ». Più esplicito : « AiCoadiutori è aperto un vastissimocampo . . . col dirigere e amministrarele varie aziende della nostra società,col divenire maestri d'arte nei labo-ratori, o catechisti negli oratori festi-vi, e specialmente nelle nostre mis-sioni estere » . Quanto ai sacerdoti, iCoadiutori dovranno « riguardare inessi dei padri e dei fratelli, a cui vi-vere uniti in vincolo di fraterna ca-rità, in modo da formare un cuor soloe un'anima sola » .

Ora sì, Don Bosco si era formatoidee chiare e precise, e aveva comin-ciato a trasmetterle e a farle accettaredagli altri . C'era arrivato non attra-verso la speculazione astratta, tantevolte inconcludente . L'etere è pienodi programmi dichiarati e non realiz-zati, il terreno è disseminato di tanteprime pietre che sono rimaste anchele ultime. Don Bosco invece ha co-struito la figura del SC attraverso laconcretezza di sperimentazioni e os-servazioni sul vissuto, durate unquarto di secolo, e così questa figuragli è uscita solida, pratica, concreta .

4 1 Coadiutori*secondo Don Bosco

La riflessione su quelle vicende, aun secolo di distanza, ha permesso difare luce sulle novità introdotte daDon Bosco . Si è notato che i «FratresCoadiutores » (o conversi, o fratelli)erano negli istituti religiosi una con-suetudine, e che Don Bosco volendofondare una sua congregazione do-veva per analogia fare posto « anche »a loro . Ma il posto da lui assegnato èrisultato insolitamente spazioso eimportante .

1 . Lo spazio laico. Nella vita reli-giosa d'un tempo i fratelli laici for-mavano una specie di secondo ordi-ne, inferiore e dipendente dal primo .In missione per esempio non eranoconsiderati veri missionari ma soloaiutanti del sacerdote missionario, equasi un suo accessorio. In questaprospettiva perfino il numero dei laicitalvolta veniva a essere condizionatodalle esigenze del sacerdote : non erapiù una questione di vocazione, ma laloro presenza in congregazione di-pendeva dalla necessità o meno che ilsacerdote aveva di fratelli laici . Lachiamata del Signore alla vita reli-giosa, qualche volta poteva risultaresuperflua . . .Niente di tutto questo con Don

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Bosco. Per lui tutti i salesiani, sacer-doti, chierici e laici erano con ugualidiritti (a parte le maggiori responsa-bilità connesse con l'ordine sacro sa-cerdotale) . I SC non costituivano unceto inferiore, ma come religiosi era-no sollecitati al medesimo impegnoascetico e all'identico apostolato tra igiovani. Inoltre non c'era limite alnumero dei Coadiutori, anzi l'aposto-lato salesiano appariva sempre piùbisognoso della presenza dei laici .L'impegno con i giovani, l'organizza-zione materiale e i mezzi esterni diapostolato venivano ad assumereun'importanza sempre più rilevante .Questo apostolato infatti richiedescuole, laboratori, attrezzature agri-cole, impianti sportivi eccetera. Lapresenza salesiana tra i ceti popolaririchiedeva librerie, tipografie, attivitàdi distribuzione e spedizione. L'im-pegno missionario, specie negliavamposti tra i popoli primitivi, ri-chiedeva la presenza del laico a voltecome condizione per la sopravviven-za fisica, e poi per aiutare quei popolia crescere sul piano socio-economico .Questo « spazio laico » nella con-

gregazione salesiana appare perfinonel linguaggio di Don Bosco e del-l'ultimo Capitolo Generale : accantoalla terminologia prettamente reli-giosa (missioni, catechisti ecc.), com-paiono - con riferimento esplicito aiCoadiutori - termini laici comeazienda, dirigenti, amministratori . . .

2. In maniche di camicia . Sonotanti i motivi che spiegano perchéDon Bosco sia stato così vicino alCoadiutore : egli, sacerdote, per giun-gere a quella vetta era passato attra-verso un'intensissima esperienza dilaicità, aveva dovuto imparare un po'tutti i mestieri : era stato pastorello,agricoltore, saltimbanco, sarto, gar-zone di trattoria, calzolaio, fabbro,falegname. . . Tanti suoi Coadiutori in-somma, insieme con i loro allievi,potevano dire con compiacimento :anche Don Bosco ha esercitato il miomestiere .Questa esperienza del lavoro lo

portò un giorno a rispondere, a chi glichiedeva quale sarebbe stata la divisadel religioso salesiano, « in manichedi camicia » .

Questa esperienza comune di lavo-ro deve aver spinto Don Bosco a su-scitare nei suoi Coadiutori una men-talità non di subalterni ma di corre-sponsabili per il buon andamentoeconomico, professionale, finanzia-rio, religioso della loro congregazio-ne. Erano uomini liberi, perché go-devano fiducia, e perciò si impegna-vano a fondo . Soprattutto i primicresciuti attorno a Don Bosco risul-tavano frugali, parsimoniosi, tenaci,concreti e realizzatori : tutte virtù - è

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stato notato - che Don Bosco pos-sedeva, e che in altra dimensionepossedavano anche i pionieri del lan-cio industriale del Piemonte d'allora .

3. Cose che i preti non possonofare. Nella conferenza del 1883 aiCoadiutori novizi, Don Bosco avevadetto : « Ci sono cose che i preti nonpossono fare, e le farete voi » . Questeparole hanno destato sorpresa, a vol-te sono state male interpretate . Aprima vista anche oggi può sembrareche Don Bosco ritenesse certe attività« non degne » del sacerdote, e quindida lasciare a categorie « inferiori » . Inpassato una certa teologia del sacer-dozio aveva condotto a tabù sociali ea proibizioni canoniche nei confrontidi certi lavori servili ; tanti libri asce-tici non si stancavano di predicare aipreti un rispetto della propria dignitàche giungeva fino al rifiuto di tutto ilprofano. Ma la vita intera di DonBosco era stata una contestazione

Altro laboratorio dei primi tempi di Valdocco, quello degli scultori .

esplicita di simile mentalità .Già da ragazzo soffriva di fronte a

certi preti che nel trattare con lagente sembrava avessero ingoiato ilmanico della scopa, e lui stesso dive-nuto prete aveva fatto da sguattero amamma Margherita. Figlio del popo-lo, aveva dissacrato molte distinzionisociali e contribuito col suo stile adabbattere i tabù anacronistici . Se maiai suoi occhi c'erano cose che i pretinon potevano fare nel loro apostolatoper la gioventù, dovevano essere diben altro genere .E una balza subito agli occhi: i

pregiudizi molto diffusi allora controil prete, in una società civile sostan-zialmente anticlericale, toglievano difatto al prete molte possibilità di ma-novra. Erano tanti gli ambienti in

scarsa dimestichezza con il sacerdote,inquinati da diffidenza e sospettoverso l'uomo vestito in nero ; in questiambienti il prete avrebbe fallito, ilCoadiutore invece avrebbe avuto li-bero accesso, consentendo un'effica-cia apostolica altrimenti non rag-giungibile.

Altro ruolo insostituibile compete-va e compete al SC nello stretto am-bito dell'educazione dei giovani . Ilragazzo, di passaggio nell'opera sale-siana in attesa di ritrovarsi immersonelle faccende del mondo, cercaistintivamente negli adulti i modelli dicomportamento; e trova più vicino asé non certo il sacerdote - avvoltonell'alone mistico della vita sacra-mentale -, ma il SC in maniche dicamicia e con le mani impastate nellecose concrete. Se poi questo laico incui si imbatte, oltre che esempio diattività manuale è anche esempio dionestà e di vita cristiana, l'efficacia

educativa risulta evidente : il ragazzoimpara dal maestro lavoratore cri-stiano come potrà lui stesso vivere dacristiano e da lavoratore .

4. Uniti dal vincolo della carità .Nel pensiero di Don Bosco il SC ap-pare un protagonista in senso pienonon solo come educatore, ma primaancora come religioso. Don Bosco haportato fino alle estreme conseguen-ze l'idea della chiamata universalealla santità : Dio vuole tutti santi, equindi impegnati in una tensione chestimola al bene e al dono di sé . Tutti :i laici non meno dei sacerdoti, i suoiCooperatori nelle società civile e isuoi Coadiutori nelle comunità sale-siane. E anche i ragazzi (DomenicoSavio insegna), e magari i bambini . . .

Allievi, chierici, coadiutori, sacer-

doti, sono chiamati a fondersi nelcrogiolo della comunità salesiana inuna sintesi felice di fraternità e digrazia. La vita diventa allora comune,sotto un unico tetto : i ragazzi si sen-tono amati come figli ; e anche i preti• Coadiutori vivono in perfettaosmosi: hanno in comune il lavoro ela missione, pregano insieme, condi-vidono tra loro i momenti di disten-sione e di festa come quelli di dolore .« Uniti dal vincolo della carità e daivoti », essi formano « un cuore solo eun'anima sola » .

S Pietro Enrias infermiere di Don Bosco

Se mai qualcuno visse « cuore solo• anima sola con Don Bosco », fu ilsuo infermiere Pietro Enria . Don Bo-sco lo accolse tredicenne a Valdocconel 1854, anno del colera, quando l'e-pidemiq lo aveva lasciato orfano .« Vuoi venire con me? - gli disse - .Saremo sempre buoni amici, finchépossiamo andare in paradiso! Seicontento?»

Gli inizi furono duri ; Don Boscoaveva riempito di orfani il suo orato-rio, non c'era posto per tutti, al pic-colo Pietro toccò di dormire per pa-recchie notti su un mucchio di foglie• con una semplice coperta . Ma DonBosco gli voleva bene sul serio, e glitrovò subito un posto da garzone inun'officina di fabbro .

Enria era un piccolo prodigio, sa-peva fare di tutto . Fu maestro dimusica, regista teatrale, pittore, cuo-co, infermiere. Nel dicembre 1871Don Bosco cadde gravemente mala-to. Era a Varazze, la malattia risulta-va molto seria, gli mandarono Enriaad assisterlo . «Partii subito - scri-verà nei suoi appunti personali -.Ero pronto a dare la vita perché egliriavesse la salute » . Fu accolto congioia da Don Bosco, ma lui rimasesgomento nel vedere quanto fossegrave. Si riservò quattro ore di notteper riposare, e tutto il resto del tempolo passò accanto al suo letto . Quasiogni giorno scriveva una lettera all'o-ratorio, al suo amico Buzzetti, comeun bollettino medico, ma ricco di tuttii particolari che l'affetto gli suggerivadi raccontare . E Buzzetti all'oratorioinformava come un giornale radio .Dopo un buon mese Don Bosco

migliorò . Ed ecco arrivare da Morne-se, dove stava per nascere l'istitutodelle Figlie di Maria Ausiliatrice, unostrano fagotto destinato a Don Bosco .Apertolo, ne saltò fuori un abito dareligiosa : era un modello, una provadella futura divisa delle FMA, e DonBosco doveva esaminarlo per dare lasua approvazione. Bisognava che

qualcuno lo indossasse : « Se no, comefaccio a dare un giudizio? », uscì adire Don Bosco . Ed Enria se lo infilò .« Tu stai benone! - rise Don Bosco-. Quanto all'abito non c'è male ; bi-sogna solo che non sia di un marronecosì chiaro » . Pertanto Enria è stato- per la storia - il primo Coadiutoresalesiano che abbia dato una manoalla nascente congregazione di santaMaria Mazzarello .

Dopo un altro mese Don Bosco eraguarito, e rientrava a Valdocco . Al-l'oratorio esplode come una festa,anche in refettorio si festeggia quelritorno tanto atteso . Ma in refettorioEnria non c'è. Lo cercano dappertut-to, lo trovano in chiesa, che dice conle lacrime agli occhi il suo lunghissi-mo grazie al Signore . « Perché piangi?Non sei contento? » « Appunto, sonotroppo contento » .

Ti saluto. Nel '78 Don Bosco ricademalato, e per una ventina di giorniEnria non lascia più il suo capezzale .Nell'87 Enria è nel collegio di Este, eda Valdocco lo fanno tornare in fret-ta : Don Bosco sta perdendo rapida-mente le forze, e lo desidera al suofianco . Il bravo Coadiutore accorre, enon lo lascerà più . Durante l'estate loaccompagna a Lanzo, lo porta a pas-seggio su una carrozzella a mano,come una mamma. Lo riaccompagnaa Valdocco, e il 20 ottobre vede consgomento che non si alza più : è l'ini-zio della fine . « Povero Pietro, abbipazienza - gli dice Don Bosco -. Titoccherà passare molte notti . . . » EdEnria gli dice che tanti altri suoi figliavrebbero desiderato avere la fortunache ha lui di poterlo assistere .

Una dolorosa fortuna, durata più ditre mesi. La notte fra il 30 e il 31gennaio 1888 Don Bosco, agli estremi,gira un poco il capo verso Enria, loriconosce, cerca di parlargli e bisbi-glia : «Di' . . . ma . . . ma . . .» . Nelle pochemente non riesce più a esprimersi, econclude: «Ti saluto». Nelle pocheore che rimangono prima che il suocuore si fermi, Don Bosco mormoreràancora alcune parole, ma sarannobrevi preghiere rivolte al_ Signore .L'ultima sua conversazione con gliuomini, era stata quel saluto al suobravo infermiere Pietro Enria .

Morendo, Don Bosco lasciava nellasua congregazione già 284 SC . Leprime vocazioni cominciavano a ger-mogliare già in Francia, in Spagna enell'America Latina . Man mano inquesti paesi si apriranno presto lescuole professionali, dove i ragazzi -tanto spesso proprio i ragazzi dellastrada - guardando ai Coadiutoricome a loro modelli impareranno unmestiere e uno stile di vita cristiana .

Enzo Bianco(1. continua)

Segue da pag. 18

Documentatol'amore

del popoloalla Madonna

sferire tutto a Valdocco, dove ho tro-vato questa bella sede per sistemar-lo ». E precisa che la sua non è laprima mostra del genere organizzataa Valdocco : « Già nel 1918 un anzianomissionario di ritorno dall'Americadopo una trentina d'anni di lavoronella Terra del Fuoco, don Maggiori-no Borgatello, aveva organizzato quiun Museo del culto di Maria Ausilia-trice . Poi i locali sotto la basilica pas-sarono attraverso numerose traver-sie : lavori di ampliamento del san-tuario, allagamenti, bombardamentiaerei, trasformazioni varie, e il mate-riale del museo andò praticamentequasi tutto disperso » .Come è nato in don Ceresa questa

originale idea di raccogliere il mate-riale mariano? « Nel 1954 ero vice-parroco al santuario del Sacro Cuoredi Bologna, quando fu indetta la Vi-

sitatio Mariae nelle famiglie . Dovettioccuparmene, e organizzare ancheuna mostra sui santuari mariani inItalia . La visita del Madonna finì, mail materiale rimase, e da allora hocontinuato a curarlo e ad accrescerlo .Ma non è stato, per quel che mi ri-guarda, il vero inizio, perché l'attrat-tiva a raccogliere il materiale maria-no già l'avevo fin da bambino . Ri-cordo che mio papà alla domenica midava 20 centesimi (e allora era unpiccolo patrimonio) ; molte volte, in-vece di comperare golosità, io andavodal cartolaio a comperare immagi-nette della Madonna . C'erano quelleche costavano cinque centesimi, ederano le più scadenti, quelle da diecierano già su buon cartoncino, maquelle da venti avevano il pizzo in-torno ed erano il mio sogno . . . Quel-l'ingenua collezione iniziata da bam-bino l'ho accresciuta col passare deglianni e conservata a lungo, e solo laperdetti negli anni 1944-45 nel caosdella guerra » .Se dunque è una passione comin-

ciata nell'infanzia e continua a essereviva a 61 anni, si può stare sicuri cheil Centro di Documentazione marianaè in buone mani. Certo, precisa donCeresa. E dice chiaro che «chi avessein casa immagini, statuette, stampeantiche della Madonna, o materialedel genere, farebbe bene a portar-glielo : quante cose belle a volte sibuttavano via e forse qualcuna vale-va la pena di conservarla » . Come nondargli ragione?

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