Chi da un lager, chi dalla vita - ecn.org · che va dal 25 marzo al 26 aprile 2004, con quattro...

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Viviamo in tempi di guerra. Se in alcune parti del mondo lo urlano le bombe e gli eserciti, in altre lo sibila il terrore di non avere di che so- pravvivere, di finire in carcere, di dover lasciare le proprie terre in cerca di migliori condizioni di vita, per poi essere sfruttati e derubati della propria esistenza allo stesso modo, ma altrove. Questo altrove è allora dovunque. Ma se siamo in grado di riconoscerne le cause e nominarne gli artefici, può cessare di essere un’odiosa e inevitabile realtà, per tramutarsi in mille possi- bilità di riscatto, aprendo prospettive di lotta e angoli d’attacco. Quelli di questo bollettino sono i lager per gli immigrati e il meccanismo delle espulsioni. Tenteremo di fornire più materiale possibile su tutto ciò che li fa esistere e funzio- nare - strutture e ingranaggi, gestori e collabo- razionisti - senza mai perdere di vista il mondo che li ha generati. Ma molto più che un prezioso elenco di infor- mazioni per conoscere un meccanismo al fine di incepparlo, Tempi di guerra vuol diventare una corrispondenza fra chi non tollera che un indi- viduo possa venir internato perché è senza un pezzo di carta o perché non accetta di diventa- re uno schiavo. Vuol diventare il luogo dove far emergere, dal silenzio in cui vengono volutamen- te costrette, le molte esperienze di rifiuto di questa realtà e metterle in rapporto, perché si stimolino, si confrontino e trovino nuovi modi di esprimere l’insofferenza che le accomuna. Per questo invitiamo tutti gli interessati ad inviarci cronache di lotte, volantini, considerazioni, no- tizie, informazioni, anche attraverso semplici ritagli di giornale, e quant’altro possa fornire nuovi spunti. Il bollettino vivrà soprattutto delle lotte e delle storie che potrà raccontare. Queste dipendono da voi come da noi. Chi da un lager, chi dalla vita N. 2 MA . 2 MA . 2 MA . 2 MA . 2 MAGGIO 200 GGIO 200 GGIO 200 GGIO 200 GGIO 2004 esce quando vuole e come vuole Una bella notizia, di quelle che scaldano gli animi. Fra marzo ed aprile, in quattro diverse occasioni, qualche decina di immigrati riesce ad evadere dal lager bolognese di via Mattei. Contro un sistema in- fame che li vuole rinchiusi solo perché privi dei pezzi di carta giu- sti, contro tutte le anime pie antirazziste che vorrebbero dei lager più umani e colorati, ora sono liberi – in una società ostile e sfruttatrice, ma liberi. Il nostro cuore è con loro. Anche altri prigionieri sono evasi, ma per sempre. Si tratta delle dete- nute morte durante un assalto ad una prigione irachena, a metà aprile. Quella che sembrava sulle prime un’azione incomprensibile quanto disperata, risulterà fin troppo chiara quando si verrà a sa- pere che le prigioniere di quel car- cere venivano sistematicamente stuprate sia dalla polizia irachena che dai militari americani. Un loro disperato appello, circolato nei quartieri, invitava a porre fine, con qualsiasi mezzo, a quelle terri- bili violenze. Così è stato. Le due facce della stessa realtà. Una lontana guerra di occupa- zione, fatta di bombardamenti, repressione e stupri. La guerra quotidiana dello sfruttamento, fatta di miseria, gabbie e razzi- smo di Stato. Se avremo il coraggio di guardarla in faccia, questa realtà, non vedre- mo alcuna separazione fra una lot- ta contro le espulsioni e la più ge- nerale ostilità verso un ordine so- ciale assassino che sta facendo della guerra infinita la sua stessa condi- zione di sopravvivenza. Allora la guerriglia sociale irachena si af- fiancherà, nelle sue prospettive come nel suo attuale isolamento, alle rivolte in Occidente. Allora apparirà sempre più chiaro che chi non è con i fuggiaschi di Bologna è con i secondini dell’Iraq. La libertà. La breccia nel filo spinato ce ne dava l’immagine concreta. P. Levi, Se questo è un uomo

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Viviamo in tempi di guerra. Se in alcune parti

del mondo lo urlano le bombe e gli eserciti, in

altre lo sibila il terrore di non avere di che so-

pravvivere, di finire in carcere, di dover lasciare

le proprie terre in cerca di migliori condizioni di

vita, per poi essere sfruttati e derubati della

propria esistenza allo stesso modo, ma altrove.

Questo altrove è allora dovunque. Ma se siamo

in grado di riconoscerne le cause e nominarne

gli artefici, può cessare di essere un’odiosa e

inevitabile realtà, per tramutarsi in mille possi-

bilità di riscatto, aprendo prospettive di lotta e

angoli d’attacco. Quelli di questo bollettino sono

i lager per gli immigrati e il meccanismo delle

espulsioni. Tenteremo di fornire più materiale

possibile su tutto ciò che li fa esistere e funzio-

nare - strutture e ingranaggi, gestori e collabo-

razionisti - senza mai perdere di vista il mondo

che li ha generati.

Ma molto più che un prezioso elenco di infor-

mazioni per conoscere un meccanismo al fine di

incepparlo, Tempi di guerra vuol diventare una

corrispondenza fra chi non tollera che un indi-

viduo possa venir internato perché è senza un

pezzo di carta o perché non accetta di diventa-

re uno schiavo. Vuol diventare il luogo dove far

emergere, dal silenzio in cui vengono volutamen-

te costrette, le molte esperienze di rifiuto di

questa realtà e metterle in rapporto, perché si

stimolino, si confrontino e trovino nuovi modi

di esprimere l’insofferenza che le accomuna. Per

questo invitiamo tutti gli interessati ad inviarci

cronache di lotte, volantini, considerazioni, no-

tizie, informazioni, anche attraverso semplici

ritagli di giornale, e quant’altro possa fornire

nuovi spunti.

Il bollettino vivrà soprattutto delle lotte e delle

storie che potrà raccontare. Queste dipendono

da voi come da noi.

Chi da un lager,chi dalla vita

NNNNN. 2 • MA. 2 • MA. 2 • MA. 2 • MA. 2 • MAGGIO 200GGIO 200GGIO 200GGIO 200GGIO 20044444

esce quando vuole e come vuole

Una bella notizia, di quelle chescaldano gli animi. Fra marzo edaprile, in quattro diverse occasioni,qualche decina di immigrati riescead evadere dal lager bolognese divia Mattei. Contro un sistema in-fame che li vuole rinchiusi soloperché privi dei pezzi di carta giu-sti, contro tutte le anime pieantirazziste che vorrebbero deilager più umani e colorati, orasono liberi – in una società ostile esfruttatrice, ma liberi. Il nostrocuore è con loro.Anche altri prigionieri sono evasi,ma per sempre. Si tratta delle dete-nute morte durante un assalto aduna prigione irachena, a metàaprile. Quella che sembrava sulleprime un’azione incomprensibilequanto disperata, risulterà fintroppo chiara quando si verrà a sa-pere che le prigioniere di quel car-cere venivano sistematicamentestuprate sia dalla polizia irachenache dai militari americani. Unloro disperato appello, circolato neiquartieri, invitava a porre fine,con qualsiasi mezzo, a quelle terri-bili violenze. Così è stato.Le due facce della stessa realtà.Una lontana guerra di occupa-zione, fatta di bombardamenti,repressione e stupri. La guerraquotidiana dello sfruttamento,

fatta di miseria, gabbie e razzi-smo di Stato.Se avremo il coraggio di guardarlain faccia, questa realtà, non vedre-mo alcuna separazione fra una lot-ta contro le espulsioni e la più ge-nerale ostilità verso un ordine so-ciale assassino che sta facendo dellaguerra infinita la sua stessa condi-zione di sopravvivenza. Allora laguerriglia sociale irachena si af-fiancherà, nelle sue prospettivecome nel suo attuale isolamento,alle rivolte in Occidente. Alloraapparirà sempre più chiaro che chinon è con i fuggiaschi di Bologna ècon i secondini dell’Iraq.

La libertà.La breccia nel filo spinato

ce ne daval’immagine concreta.

P. Levi,Se questo è un uomo

2IN FUGA

Un bel mese intenso quelloche va dal 25 marzo al 26aprile 2004, con quattroepisodi di rivolte e successi-ve fughe dal Lager di viaMattei a Bologna.Il 25 marzo, nel tardo po-meriggio, inizia una prote-sta provocata dal fatto chetre studenti, nonostante sia-no in possesso di una certi-ficazione del Consolato cheattesta la richiesta del per-messo di soggiorno, vengo-no condotti dentro al Cpt.Qualcuno, dall’interno,manda un segnale fuori chequalcosa sta succedendo.Poco dopo iniziano ad arri-vare sulla strada, che dà sul-le mura di cinta, diversi“disobbedienti”ai quali pre-sto si aggiungeranno altrisolidali. Nel frattempo alcu-ni immigrati reclusi salgonosul tetto e un gruppo si dàalla fuga scavalcando il re-cinto di filo spinato aiutatida chi, fuori, ostacola glisbirri che tentano di fer-marli. Sono circa le sette disera. Le radio di movimentotengono informati e invita-no a presidiare il Centro,molti sono ancora sul tettoe ovviamente si teme per ipestaggi che regolarmenteiniziano subito dopo le fu-ghe. Sono sedici quelli cheriescono a scappare mentre,verso le 21.30, scendonodal tetto gli altri tra i qualiuna donna che ingoia quat-tro pile e un ragazzo chemostra una lacerazione adun braccio. Il presidio, conblocco stradale, che nel frat-tempo si è andato ingros-sando, prosegue fino a dopola mezzanotte mentre duedeputate sinistre entranonel carcere per assicurarsi,dicono, che non inizino ipestaggi, che naturalmenteavvengono nonostante illoro intervento.La mattina seguente vengo-no rimpatriati in quattro,tra i quali anche la donna

che aveva ingerito le pile.Davanti alla Prefettura diBologna si organizza unpresidio contro il Centro diPermanenza Temporanea econtro le espulsioni, solitamusica e soliti interventi.Una sola voce, quella di unragazzo tunisino, portaun’accusa e un attacco pre-cisi: «Per liberarsi dei Cptoccorre liberarsi di questasocietà».L’8 aprile altri sette riesconoad andarsene scavalcando ilmuro alle 21 aiutati dalbuio e da due diversivi: unragazzo riesce a scappare eviene inseguito, per fortunainutilmente, nei campi da-vanti al carcere; nel frattem-po all’interno parte unaprotesta e gli altri, che era-no pronti acquattati vicinoal muro da scavalcare, sidanno alla fuga indisturba-ti. La caccia ai fuggitivi saràsenza esito. Dopo l’evasionela solita vendetta degli sbirrigabbati, con pesanti manga-nellate in faccia e in testa achi capitava sotto tiro, unimmigrato viene colpitogravemente alle anche e unaltro parlerà, in un’intervi-sta al giornale di Bologna,dell’umiliazione di esserequotidianamente malmena-ti da ventenni arrogantidentro le loro divise.Il 18 aprile altri otto inter-nati riescono ad andarsene,tra i quali una donna. L’ini-zio della rivolta è alle 21quando qualcuno tenta discavalcare il “gabbione”,una centralina dell’Enel chefunge da scaletta; la fuganon riesce ma dopo mez-z’ora ci riprovano e questavolta in diversi prendono lavia della libertà. Alcuni in-vece vengono ripresi ancheperché l’unica via di allon-tanamento possibile è attra-verso i campi e quindi conun lungo percorso da fareallo scoperto. Intanto esplo-de la protesta perché un ra-gazzo è stato gravemente fe-rito. È un ragazzo tunisinodi 23 anni che “cade” dalla

recinzione, la cosiddetta tet-toia delle rivolte, perché,mentre cercava di scavalca-re, i poliziotti sotto batteva-no i sostegni della rete. Inun primo momento le noti-zie danno il ragazzo in gravicondizioni, il giorno se-guente si parlerà di diecigiorni di prognosi per feritelacero-contuse alla testa.Cosa le avrà provocate? Aseguito di una fitta sassaiolalanciata verso gli sbirri, perprotesta contro il ferimentodel ragazzo e per favorire ifuggitivi, cinque carabinierie tre poliziotti rimangonoferiti. Alle 23 si sentono an-cora grida e rumori metalli-ci dall’interno quando unimmigrato è ricondottodentro dopo essere stato ri-preso. I soliti macabri ru-mori di pestaggi. Un uomopakistano di 35 anni viene

purtroppo arrestato e porta-to al carcere della Dozza. Igiornalisti si lamentano perl’ennesima notte insonnedei cittadini della zona.Il sottosegretario al ministe-ro degli Interni visiterà neigiorni successivi il prefettodi Bologna per redarguirlo einvitarlo a una maggiorepresenza al fine di garantirela sicurezza e il buon fun-zionamento del loro Lagerin città.Il 26 aprile c’è un altro ten-tativo di fuga, alle 22 unaventina di immigrati sca-valcano il muro e se nevanno. Solo uno però rie-sce a non farsi riprendere,gli altri (dobbiamo al mo-mento ancora capire se lapolizia si è organizzata po-sizionandosi in mezzo aicampi antistanti) sono statiriportati dentro.

Il lager di Bologna

Indirizzo: Via Mattei, 60

Bologna

Gestione: Croce Rossa

Direttore: Roberto Sarmenghi

Direttore

sanitario: Dott. Pasquale Paolillo

Via Allende,15

Calderino Monte S.Pietro (Bo)

051/6760116

338/1466999

Il Dottor Paolillo, specialista in pediatria, è direttore sa-

nitario anche del carcere della Dozza. Nota è la sua fra-

se: «do gli psicofarmaci perché me li chiedono», pronuncia-

ta riferendosi alla notizia del gennaio scorso secondo la

quale i reclusi di Via Mattei vengono sistematicamente se-

dati grazie a farmaci mischiati al cibo.

Ditta appaltatrice per la ristrutturazione

dell’edificio:

CO.GE Spa,

via Nobel Alfredo 15/A

Parma

0521/60703

CO.GE Costruzioni generali

strada dei Mercati 9

Parma

0521/942594

3IL RACCONTODI UN EVASO

Un pezzo di carta. Un tim-bro. La firma di qualcunoche non conosci.Quando lasci il tuo paese, ituoi familiari, le persone ate care, tutto dovrebbe esse-re tranne che quell’oggettoinsignificante possa improv-visamente determinartil’esistenza.Nel cuore della notte loschifiguri fanno irruzione a casatua e ti ordinano di fare fa-gotto. Destinazione: viaMattei, alla periferia Est diBologna.Una ex caserma militare,completamente ristrutturatain funzione del suo utilizzocome lager per immigrati. Ilcorpo dell’edificio principa-le, in cui sono situate le cel-le dei clandestini, è circon-dato da una cancellata chedelimita lo spazio di massi-ma agibilità per i reclusi.Un secondo sbarramento ècostituito da un muro di ol-tre due metri circondato dafilo spinato. Più avanti sitrova uno spazio aperto, lar-go una trentina di metri, asua volta separato dall’enne-simo muro con l’ennesimofilo. Fuori, le guardie, mol-to simili a quelle che ti han-no svegliato la notte… Sal-vo casi particolari, neglispazi di reclusione gli agentinon fanno ingresso. Quan-do lo fanno, sono semprecinque o sei, in tenuta anti-sommossa e molto arrogan-ti. Tra i due sbarramenti eall’esterno della strutturastazionano gli sbirri chefanno da guardia al Cpt,compito in cui si alternano,a turno, polizia, carabinierie guardia di finanza. L’unicapossibilità di fuga è verso icampi, al di là della stradache passa davanti all’entra-ta, perché ai lati e sul retroil Centro è chiuso dalla su-burbana (dopo la quale c’èuna sorta di landa desolatacon parcheggi ed edifici incemento con spazi moltoaperti e quindi visibili) e dacapannoni artigianali a loro

volta cinti da alte mura.Nel Centro di PermanenzaTemporanea di via Matteisono rinchiuse diverse deci-ne di persone, divise tra uo-mini e donne nelle celle.Ma anche “all’aria” c’èun’inferriata che li separa:«Si può parlare, stringere lemani, anche baciarsi, masempre con il ferro in mez-zo». Le donne possono usci-re solo due ore al giornoquando gli uomini vengonorimandati dentro. È rarotrovare pakistani e cinesidentro il lager che “contie-ne” soprattutto magrebini,centro africani, zingari edest europei.“Fuoco” (così si fa chiama-re), un ragazzo tunisino divent’anni circa, parla delposto dal quale è riuscito afuggire, uno dei primi a far-cela, diversi mesi or sono.Lo scorrere del tempo è se-gnato dalla noia continua eda un’angoscia latente cheriempie i discorsi e le gior-nate. Ti poni ossessivamen-te la stessa domanda: «Mirimanderanno indietro?»,che è la preoccupazione piùgrave.«Non ti senti niente, non tisenti niente proprio, hai ca-pito? Non c’è voglia di sve-gliarti perché non c’è nienteda fare, niente di niente,solo aspettare tutto il gior-no. Aspetti notizie e al 90%pensi che saranno notiziebrutte, che ti rimandano acasa».Quando le guardie vanno aprelevare la gente da rimpa-triare lo fanno di notte ecosì, nei giorni in cui sonopreviste partenze di navi o

di aerei verso i vari paesi diorigine, i clandestini nondormono. Nel caso dei tu-nisini mercoledì e venerdì,perché giovedì parte unanave da Genova e sabatol’aereo da Bologna.Ma anche negli altri giorni sidorme a fatica e in tantissimisi fanno dare dal personaledella Croce Rossa presenteall’interno del lager (una de-cina di persone in tutto) deitranquillanti, che vanno asommarsi ai sedativi sommi-nistrati col cibo. «Io le primevolte li ho presi, per passareun po’ il tempo, ma poi hosmesso perché al mattino misvegliavo rincoglionito,come drogato».I pasti, tre al giorno, vengo-no distribuiti in mensa, machi ha del denaro può anda-re al market del Cpt. Ovvia-mente i soldi non vengonolasciati in mano ai clande-stini, ma registrati e scalatiad ogni spesa extra, edeventualmente restituiti al-l’uscita (sempre che non si-ano stati rubati dagli uomi-ni in divisa al momentodell’arresto, cosa che avvie-ne spesso).Questa miscela di tedio epaura, unita alla difficoltàdi comunicare fra personeche parlano quasi esclusiva-mente la lingua d’origine,fomenta le divisioni, nonsolo fra aree geografiche maaddirittura tra città dellostesso paese. Anche dietro lesbarre continua la separa-zione tra sfruttati e la guerrafra poveri. In diversi casi cisono stati ferimenti e rissefra i tunisini di Tunisi equelli di Sfax.

E la gente che fugge? Si orga-nizza in qualche maniera? Edopo, una volta usciti dal Cpt?«Una volta non sapevo digente che scappa, ma ora lagente sta scappando, anchese non è facile. Ma quandouno ci prova, prova al100%, perché se lo prendo-no lo menano e lo riporta-no dentro. Noi quando sia-mo scappati, in quattro,eravamo tutti della stessacittà, ci conoscevamo benee ci fidavamo, e credo cheanche adesso è così, perchéhai sempre paura che qual-cuno possa rovinare tutto,però adesso non so».“Fuoco” è stato anche nelCpt “San Benedetto” diAgrigento. «Via Mattei inconfronto è un albergo. Lìfaceva proprio schifo. Tuttidentro… come si chiamanoquei cosi dove si mette lafrutta… – i magazzini – sì,tutti dentro i magazzini,come animali. Senza tettoche se fa freddo hai freddo,se piove ti bagni. I bagnic’erano ma io preferisco farefuori perché facevano dav-vero schifo. E poi comun-que sei sempre rinchiuso,non sei libero. In questo è lastessa cosa di via Mattei.Dentro via Mattei hai la TVin camera, hai da mangiare,c’è il caffè e le sigarette e lanotte stai al caldo. Ma iopreferisco dormire tre nottiin montagna, senza niente eal freddo, piuttosto che ri-manere dentro».E alla fine della chiacchera-ta, «dovete fare qualcosa –ci dice -, dobbiamo farequalcosa».Le fughe dal Centro si sus-seguono ora con notevolecontinuità, segno forse cheall’interno si sta costruendouna comunicazione tra i de-tenuti. Quasi tutti gli episo-di recenti di evasione sonostati caratterizzati da diver-sivi, proteste, tentativi discavalcare il muro e ricercadi aiuto dall’esterno, messiin atto per attirare le guar-die e dare quindi tempo aglialtri di scappare.

Da solo, il filo spinato basta a evocare il campodi concentramento o di prigioniae in generale l’oppressione. [...]

Attraverso un’accumulazione storicaè diventato una metafora della violenzapolitica che collega i disastri moderni:

l’etnocidio degli indiani, la carneficina del 1914-’18 e gli stermini nazisti.

Olivier Razac, Storia politica del filo spinato

4UNA LEZIONE DA COGLIERE

Il legame fra guerra, migrazioni edespulsioni è evidente. Basta pensare chesolo in seguito alla prima guerra delGolfo qualcosa come cinque milioni diprofughi si sono riversati sul Mediterra-neo. Allo stesso modo, stretto è il rappor-to fra la lotta contro le espulsioni e leforme di resistenza contro i piani assassi-ni di spartizione del mondo. Non stupi-rà dunque che in questo numero diTempi di guerra ci sia una parte dedi-cata alla guerriglia in Iraq.

È urgente ricordare alcuni fatti per ca-pire la situazione in Iraq al fine di dareun’altra prospettiva alle voci che chie-dono il ritiro delle truppe italiane.Nel 1991, dopo una guerra scatenatadalla Coalizione occidentale che avevaprovocato centinaia di migliaia dimorti, in Iraq esplose un’insurrezionesociale contro la fame e contro il regi-me di Saddam Hussein. Migliaia disoldati iracheni abbandonarono l’uni-forme, mantenendo però le armi perrivolgerle contro un sistema che li vo-leva soltanto carne da cannone. Con-tagiando ben presto l’insieme deglisfruttati, la sommossa si allargò a nu-merose città, dando vita a forme diautorganizzazione chiamate shoras(Consigli). Tutti gli Stati occidentali,temendo gli effetti di una tale solleva-zione, armarono il regime affinchésoffocasse nel sangue la rivolta genera-lizzata. Così fu. Le tanto sbandierate“armi di distruzione di massa”, i mici-diali gas chimici vennero allora impie-gati dall’esercito di Saddam Husseincon la complicità, nelle regioni anord, dei partiti nazionalisti curdi.L’instabilità sociale sconsigliò agli StatiUniti e ai loro tirapiedi o concorrentidi occupare direttamente il paese.Dopo più di dieci anni di embargo –il quale è costato la vita a un milionedi iracheni – gli Stati Uniti hanno de-ciso, in nome della “guerra al terrori-smo”, che il momento dell’occupazio-ne era venuto. Ciò che la stampa as-servita ha debitamente nascosto è chel’occupazione militare del 2003 nonsarebbe mai stata così rapida se i pro-letari iracheni non avessero disertatoin massa l’esercito, per nulla disposti afarsi ammazzare per interessi che non

erano i loro. Ancora una volta, pen-sando bene di disertare con le armi, inattesa. Il resto è storia recente.Di fronte a condizioni di vita semprepiù miserabili, appena crollato il regi-me, gli sfruttati saccheggiano tutti iluoghi che ricordano l’odiato potere eil suo partito. La repressione alleata èbrutale, andando ad aggiungersi al-l’odio contro i “liberatori”, già re-sponsabili, tra bombardamenti edembargo, di un gigantesco massacro.Quello che nessun esercito potevafare – e cioè mettere in difficoltà lapiù grande potenza militare del mon-do – riesce ad una guerriglia sociale.Dagli attentati contro i convogli mi-litari a quelli contro le ambasciate e iquartier generali, dagli attacchi con-tro la nuova polizia irachena ai sabo-taggi ai danni di oleodotti e raffine-rie, dai linciaggi dei marines agli scio-peri di massa, oramai nessuno puòbersi la menzogna di una popolazio-ne che ama i “soldati portatori dipace”. Nessuno che abbia un minimodi lucidità può credere che una similesollevazione possa essere opera unica-mente di gruppi islamisti. Tanto perfare un esempio, durante i saccheggiil “comitato supremo della rivoluzio-ne islamica” invitava, senza successo,a restituire i beni al governo…Certo, di fronte all’estremo isolamen-to in cui si trovano gli sfruttati irache-ni, stretti fra la peste dei massacri de-mocratici e il colera del racket integra-lista, le forze islamiste, strumento del-

la classe proprietaria, accrescono illoro potere. E noi?La logica della guerra, con la sua vio-lenza indiscriminata e dunque terrori-sta, espone le popolazioni dei governiguerrafondai a terribili rappresaglie(come le bombe di Madrid insegna-no). Non si tratta più di uno spettaco-lo televisivo.C’è un solo modo per uscire da questaspirale di morte: dimostrare nella praticache gli sfruttati occidentali non sonoalleati dei propri padroni, bensì com-plici dei propri fratelli iracheni che ibombardamenti e la repressione nonsono riusciti a domare. La situazioneirachena dimostra che il capitalismogronda sangue, ma che non è invincibi-le (come se ne partono in fretta e furiamolte delle sue truppe!). Ecco una le-zione da cogliere nella lotta contro i ne-mici di casa nostra. Lasciamo ai nazio-nalisti le lacrime di circostanza per lavita dei mercenari italiani al soldo deicapitalisti, lacrime mai versate per tuttii morti iracheni. Lasciamo agli ipocritiil pacifismo di facciata che invocal’Onu, cioè uno dei principali respon-sabili del massacro iracheno. Lasciamoai tardostalinisti il richiamo alle lotte diliberazione nazionale, da sempre men-zogna dei padroni in ascesa e strumen-to di una nuova oppressione. Quella incorso a Baghdad, a Bassora, a Falluja oa Nassiriya ha forme diverse, ma unvecchio nome: lotta di classe.

alcuni internazionalisti

5IL SANGUESULLE MANI

Quello che segue è l’elenco dialcune delle imprese italianepresenti, a vario titolo, in Iraq.

· Agrex Spavia Balla, 55-5735010 Villafranca (Pd)Tel. 049-9075524/9075524Dirigente: Silvano Barbieri

· Alenia Marconi Systemvia Hermada 6/b16154 GenovaTel. 010-65461/6546607Dirigente: Antonio Bonteri

· Ansaldo Energiavia N. Lorenzi 816152 GenovaTel. 010-6551/6556209Dirigente: Giuseppe Zampini

· Bertoli Srlvia Tomasicchio 3/543013 Longhirano (Pr)Tel.05-21861386/21858265

· Caprari Spavia Emilia Ovest 90041100 ModenaTel. 059-897611/897897

· Chimech SpaVia delle Ande00144 RomaTel. 06-918251

· Fata groupStrada Statale 24 Km 1210044 Pianezza (To)Tel. 011-96681/9672673

altre sedi:- via Torino 1510044 Pianezza (To)- via Monte Nevoso 1620131 Milano- via Chivasso 15/1710098 Rivoli (To)

· Co.Ri.Mec.via Caorsana 19/Aloc. Fossatello29012 Caorso (Pc)Tel. 0523-810410/821345Dirigenti: Gianfranco Casti-glioni; Marina Affri;Annarita Vassalli; GiorgioRizzi

altre sedi:- via Cosimo del Fante 420122 Milano

· Nuova Magrini Galileovia Circonvallazione est 124040 Stezzano (Bg)Tel. 035-4151111/4153100

Dirigenti: François Tichit;Marcello Mazza; GiovanniNutini; Paolo Paganessi;Alessandro Roggerini

· Officine Meccaniche Gali-leovia Brigata Tridentina 235020 Pernumia (PD)Tel. 0429-778388/778290

· Fiat Aviovia Nizza 31210127 TorinoTel. 011-0058111Dirigenti: Saverio Strati;Franco Canna; Giuliano Ca-sagni

· Ficep SpaVia Matteotti, 2121045 Gazzada Schianno (Va)

Tel. 0332-876111/462459Dirigenti: Ezio Colombo;Edoardo Fusi; Pierluigi Giu-liani; Onorio Colombo; Ing.Martini; Claudio Colombo;Barbara Colombo

· Presidium InternationalCorporationViale Isola Bianca07026 Olbiatel. 0789-200800/347-4015147

· Renco Spavia Sismondi 5320123 MilanoTel. 02-716343/7381280via Venezia 5361100 Pesaro

· Soilmecvia Disrano 58/9

47023 Col Pievesestina (Fc)Tel. 0547-319119/319204

· Speekavia C. Pisacane 42MilanoTel. 02-29514666/0229534639

Le aziende italiane in Iraqsono tutte assicurate dalla· Sa.Ce.Piazza Poli 37/4200187 RomaTel. 06-67361/6736225che fa riferimento alla BancaSan Paolo Imi

Altre aziende, invece, hannopreferito restarsene in Italia efare affari direttamente con ilministero della Difesa. Traqueste:

· ATI di Briganti Filomenavia G. Messina 1574100 TarantoTel. 099-4775539/4775537Dirigenti: Armando De Cori-te; Addolorata Ruggiero;Francesco Mirervini

· Bioplast Srlvia Durano 26Nocera Inferiore (Sa)via Cervito - Fisciano (Sal)Tel. 089-8201238/8201409

· Com-Cavi Spavia Nuova delle Breccie 324NapoliTel. 081-7523222/5591816Dirigente: Vincenzo Latella

· Ge.Ca. Sasvia Ferrante Imparato 190Napoli - Tel. 081/7524504via Cattaneo 41 - loc. Olmo30030 Martellago (Venezia)Tel. 041-5461835/5468400

altre sedi:- via Vanzetti 60Z.I. Baratta Bassa05100 TerniTel. 0744-611333/301416

“Guerra e guerriglia sociale in Irak”

In preparazione. Opuscolo sulla situazione attuale nel paese del golfo, concronache e documenti a proposito dell’insurrezione del 1991. Potete richie-derlo ad Adesso - Cp 45 - 38068 Rovereto (Tn) oppure al Centro di Documen-tazione Porfido - Via Tarino 12/c -10124 Torino.Chi volesse ricevere copie del manifesto Babilonia Brucia, (50x70, un colore)può scrivere all’indirizzo di Porfido.

6MURI DI CEMENTOE MURI DI IDEE

Dalla testimonianza di unamico e compagno israelia-no abbiamo un resocontodiretto delle accesissimeproteste contro la costru-zione del muro nei territoridella striscia di Gaza. Il ri-sultato di quest’opera sa-rebbe la creazione di unghetto palestinese, ma è orapiù che mai che, in questoscenario di umana vergo-gna, la rabbia scavalca con-fini e check-point e uniscenella lotta palestinesi deiterritori, musulmani e laicicon dissidenti israeliani,anarchici, libertari, ebrei,atei, sfruttati. È nella rivol-ta accesa contro l’autorità,la polizia, le imprese di co-struzione, che nasce l’in-contro tra israeliani e pale-stinesi. Un rapporto nonsemplice ma già frutto dianni di resistenza comune,che l’informazione ufficialetende a non riportare.«La scorsa settimana —, ciracconta il compagno, — aBait Liqya siamo riusciti(per lo più palestinesi) a fer-mare i lavori del muro perdue giorni, abbiamo fattoscappare tre bulldozer inse-guendoli, uno è stato spac-cato a sassate! Cerco di nonessere troppo ottimista masembra che la lotta contro ilmuro stia guadagnandosempre più forze».L’incontro tra rivoltosi pale-stinesi e israeliani avviene inun contesto particolare edha, proprio per questo, unsignificato profondissimoper l’umanità a venire per laquale stiamo lottando:chiunque si batta per uncambiamento radicale dellasocietà saprà coglierlo. Asperimentare una fiducia re-ciproca e un’unità per uncomune desiderio di libertàe riscatto, infatti, non cisono qui solo una popola-zione oppressa e dissidenti

del paese oppressore, ma so-prattutto due visioni delmondo molto diverse basatesu idee spesso strumentaliz-zate dal potere, e anche pro-fondamente radicate nelpensiero e nella vita dellepersone appartenenti a que-sti mondi.Il nostro corrispondentesolidale ci spiega comequesto incontro avvienenella pratica. Gruppi diisraeliani attraversano icontrolli per andare dall’al-tra parte, mostrando ancheloro un tesserino dello stes-so colore di quello che i la-voratori palestinesi devonomostrare tutte le volte perrecarsi nei luoghi di sfrut-tamento in territorio israe-liano. Il lavoro, lo stessosfruttamento che conoscia-mo in tutti i paesi demo-cratici non in guerra.“Di là” e a ridosso deicantieri del muro uominie donne, palestinesi e isra-eliani, musulmani, ebrei,laici, atei, organizzano lalotta e quando il proble-ma è di imminenza prati-ca c’è poco da discutere,sono pietrate. «Ieri siamostati al villaggio di DeirQaddis dove i bulldozer

israeliani stavano rivol-tando la terra per traccia-re il percorso del muro ta-gliando e sradicando uli-vi, sono bastati 15 minutidal nostro arrivo perchégli sbirri cominciassero atirare lacrimogeni e shockgranade (bombe assordan-ti) su una folla di donne euomini anziani e bambi-ni. Per le successive quat-tro, cinque ore, abbiamocercato di irrompere tralo schieramento dell’eser-cito ma senza riuscire asfondare per fermare i la-vori. A un certo puntosenza motivo i soldati in-cazzati hanno iniziato aspararci contro proiettilidi plastica, allora i piùgiovani, dai 5 ai 25 anni,hanno cominciato a tirarpietre riuscendo anche afermare i lavori per unamezz’ora, questo ha por-tato all’arrivo di altra po-lizia e altri proiettili digomma sparati. Ci siamoriposati un po’ mentre lagente era andata a pregareper poi tornare... l’eserci-to rimaneva in attesa conun carico di gas e proiet-tili, tutto è finito alle16.30 con una quindicina

di persone ferite, oggi lagente è ritornata e l’eser-cito ha sparato di nuovo(anche proiettili veri). Ioci tornerò domani».Non siamo di sicuro difronte alla fusione tra mon-do arabo e quello occiden-tale, anzi, la separazione ènetta, ma viene accantonatain virtù di necessità comu-ni, quali la resistenza all’an-nientamento quotidiano diuna sorella, un fratello o unvicino sconosciuto.Gli spostamenti e le fusionidi popoli e civiltà sono piùche mai dettati da condizio-ni forzate di povertà, mise-rie, annientamento e cata-strofi; la necessità di unalotta comune contro questecondizioni e il nemico chele causa si intravede anchenella possibilità di scardina-re le leggi del più forte cheschiaccia il più debole, o il“buono” che si disfa del“cattivo” con un ghetto, unTso, il carcere, o un bel in-tervento sul Dna, tutto se-condo i principi utilitaristie autoritari del mondo pa-triarcale. La rivolta comuneè l’unica via d’uscita.

7DA LECCE...

• Giovedì 1 aprile 2004, una quindicina di perso-ne presidiano, con volantinaggio, megafonaggio estriscioni, la cappella dell’Università di Lecce,dove si tiene la messa pasquale celebrata da Mons.Ruppi, Arcivescovo di Lecce. L’alto prelato è acapo della fondazione “Regina Pacis” che gestisceil Cpt di San Foca.Il presidio va avanti per circa un’ora, nonostantel’intervento delle forze dell’ordine. Alla fine dellacelebrazione, fortemente disturbata da slogan e di-scorsi al megafono (i contestatori, di fatti, eranosulla porta della cappella), il Vescovo è stato fattouscire da una porta secondaria. Nei giorni succes-sivi la stampa locale riporta l’accaduto distorcen-do i fatti evari esponen-ti politici, trai quali unarappresen-tante del“Lecce SocialForum”, con-dannano laprotesta. Icontestatoririspondonocon un vo-lantino.

• Domenica 18 aprile 2004, è in piazza il “ProgettoMarta”. Sotto questo nome, la fondazione “Regina Pa-cis” tenta di ripulire la propria immagine, raccoglien-do viveri e ridistribuendoli tra i poveri, gli immigrati ei senzatetto della città. Alcuni compagni contestanol’iniziativa con un proprio volantino. La polizia inter-viene per bloccare il volantinaggio ed identificare ipresenti. Al loro rifiuto di esibire i documenti seguonospinte, strattonamenti e il tentativo di portare alcunicontestatori in questura. Alla fine però tutti riesconoad allontanarsi senza essere identificati.Alcuni giorni dopo, in seguito all’affissione sui muridi Lecce di un volantino che riporta l’accaduto, la po-lizia ferma e trattiene per diverse ore in questura uncompagno perquisendolo, fotografandolo e rilevando-ne le impronte digitali.

8IL LAGER DI LECCE

Fondazione “Regina Pacis” (gestione)Via Lungomare Matteotti - 73026 San Foca (Le)Tel. 0832-881094/840723/840717/881165(tutti i numeri sono attivi, ma agli ultimi duedifficilmente rispondono)Fax. 0832-840973/881237Curia Arcivescovile (proprietà dello stabile)P.za Duomo, 2 - 73100 LecceTel. 0832/251111 - Fax 0832/251431Don Cesare Lodeserto (direttore del Cpt)Via Sagrado, 19 - 73100 LecceTel. 0832/342373 - Cell. 335/8061783Giuseppe Lodeserto detto Luca (collaborato-re, cugino di Don Cesare) Cell. 335/5350488Anna Catia Cazzato (dottoressa)Via Circonvallazione, 90 - 73021 Calimera (Le)Tel. 0832/873124 - cell. 335/8327571Giovanni Roberti (dottore)Via Corvaglia, 18 - 73100 LecceTel. 0832/343369Michele Coscia (22 anni, carabiniere di leva,congedato)Via Rocco Scotellaro, 39 - 70010 Valenzano (BA)Tel. 080/4672338 - Cell. 333/8713503Vito Mele (24 anni, carabiniere, fine leva feb-braio 2004)Via Sorrento, 26 - Modugno (BA)Tel. 080/5326587 - Cell. 349/2921566

Avvocati che difendono i gestori e gli ope-ratori del centro, accusati di pestaggi adanno dei reclusi:Pasquale Corleto (abitazione)Via Vernole (Merine) - 73100 LecceTel. 0832/623839Pasquale & Giuseppe Corleto (studio legale)Via Mazzarella, 29 - 73100 LecceTel. 0832/342976Angelo Pallara (studio legale)Via Foscarini, 7 - 73100 LecceTel. 0832/344118Francesca Conte (studio legale)Via SS. Giacomo e Filippo, 7 - 73100 LecceTel. 0832/314172 - 0832/396812

Banca:Il Cpt raccoglie donazioni tramite un contocorrente aperto presso la sede di Lecce dellaBanca Intesa BCIVia Oberdan, 28 - Tel. 0832/344521 - Fax0832/344907

Alberghi:A San Foca due alberghi ospitano tutto l’anno leforze dell’ordine predisposte alla sorveglianza delCpt ed al pattugliamento delle coste.Hotel “Cote D’Est”Via G. Matteotti - 73026 San Foca (LE)Tel. 0832-840947/881146/881148Hotel “La Loggia”Via Rinascimento - 73026 San Foca (LE)Tel. 0832/881056 - 0832/881814

I fornitori:Aliver s.r.l. (distribuzione bibite)Via Lecce, 315 - 73020 Merine (Le)Tel. 0832-623594/629265 - Fax 0832/623594Chimical Meridionale s.r.l. (prodotti per l’igie-ne industriale)Via Zona Industriale - 73048 Nardò (Le)Tel. e Fax: 0833/800020 - 832213Amministratore unico: Durante SalvatoreVia Impestati, 38 - 73048 Nardò (Le)Tel. 0833/562603De Giorgi Giovanni (elettricista)Ufficio: Via Palermo, 6 - 73029 Vernole (Le)Tel. e Fax: 0832/891415D.A.M. s.r.l. (distributori automatici)Via dei Mille, 22 - 73052 Parabita (Le)Tel. 0833/509880

UNA SEMPLICE VERITÀRegina Pacis, San Foca, Lecce.

Luogo di carcerazione, di abuso e di sopraffazione. Luogo in cui esseri umani, senza distin-zione di età e di sesso vengono reclusi perché, da stranieri, si trovano in Italia senza undocumento, diretta conseguenza della loro povertà o della disperazione da cui fuggono,provocata da guerre, miseria, carestie, licenziamenti di massa e quant’altro. Se avessero lapossibilità di rispettare tutti i requisiti previsti dalla legislazione italiana, probabilmente nonrischierebbero la propria vita pur di attraversare il mare o varcare la frontiera, ma sceglie-rebbero forse di fare i turisti.

Ma in questo mondo chi fa le regole, il Capitale e gli Stati, decide chi ci deve vivere e chi cideve morire, magari sotto le bombe. Chi può abitare tranquillamente nel luogo dove è nato,e chi è costretto ad errare, non avendo nessun’altra alternativa. Stabilisce che pochi privile-giati possono starsene sereni a godersi il proprio congruo stipendio, e molti altri precarizzatiinvece debbano vivere sotto una minaccia.

Sotto la minaccia di non trovare lavoro, o di rischiare in continuazione di perderlo; sotto laminaccia di non potersi permettere un tetto, a causa dell’alto costo degli affitti; sotto laminaccia di un “nuovo terrorismo”, che per gli Stati e i suoi portavoce è il motivo che devefarci accettare qualsiasi sottomissione e controllo, pur di essere “difesi”. Di certo un buonalibi per nascondere i misfatti di chi da sempre si nutre come un parassita della vita e dellavoro dei suoi cittadini. Molto più tragicamente la minaccia che maggiormente incombe èquella di perdere la libertà. Chiunque si opponga oggi alle imposizioni e alle violenze delpotere, è considerato un criminale, così come chi non viene ritenuto un ingranaggio utile alsuo funzionamento, è considerato un indesiderabile. Gli uni e gli altri vengono rinchiusi odeportati in carceri, centri di permanenza temporanea o case di cura, alla faccia della retori-ca dei diritti umani e del progresso della civiltà. Chi continua a sfruttare, a uccidere, a render-si complice di questa guerra contro l’umanità, gode invece del massimo rispetto. Uno diquesti sciacalli è proprio Mons. Ruppi, vescovo di Lecce, che gestisce insieme a Cesare Lode-serto il Regina Pacis.

In esso vi reclude le persone, le priva del loro tempo e della loro libertà; decide per lorodella loro vita e specula sulla loro speranza e disperazione che permette solo di fuggire allaricerca di una vita migliore; eppure è considerato un benefattore. Una persona che continuaa dare lezioni agli altri su ciò che è bene e su ciò che è male, mentre consapevole di avere lemani sporche di sangue, scarica la propria colpa sulla legge. Ma non è forse più immoraleapplicare una legge palesemente iniqua - semmai equa possa essere una legge emanata dalloStato -, piuttosto che opporsi alla sua attuazione?

Qualcuno ha deciso di spezzare questa catena di menzogne e non intende fermarsi nean-che di fronte alla meraviglia di chi si indigna per l’interruzione di una messa da parte di alcunimanifestanti, avvenuta pochi giorni fa, intenti ad esprimere la loro disapprovazione perl’operato del vescovo Ruppi; indignazione che non appare così forte invece di fronte allamorte di migliaia di persone, avvenuta nel tentativo di raggiungere le nostre coste, per viadella militarizzazione delle frontiere.

Non ci sarà pace fino a che tutti gli esseri viventi non saranno padroni della loro vita.Il Regina Pacis deve chiudere.

Nemici di ogni frontieraDonne e uomini innamorati della libertà

c/o Capolinea Occupato Via Adua - Lecce

Fax 0833/509600 - num.verde: 800-837318 -e-mail: [email protected]: Alberto SpinelliVia Zara, 43 - 73052 Parabita (LE) - Tel. 0833/594104

Questo è un contributo alla lotta contro i Cpt ele espulsioni, lotta che ci auguriamo si estenda amacchia d’olio. Cercheremo di aggiornare spessoquesti dati ed invitiamo chiunque abbia infor-mazioni utili a contattarci, in particolare sulmeccanismo delle espulsioni e su persone, ditte oaziende coinvolte a vario titolo nella gestionedel Cpt ed anche sul centro di prima identifica-zione “Don Tonino Bello” di Otranto.

Nemici di ogni frontieraLecce

9DALLA MILANO MALE

Milano si è giocata uno spa-zio importante: lo spazio incui la comunità Rom-Rume-na era riuscita a ritagliarsiun luogo da abitare che nonfosse un campo nomadi, uncampo profughi, un campodi concentramento con tantodi filo spinato come quelloche l’amministrazione comu-nale ha voluto costruire afianco all’accampamento divia Barzaghi.Via Adda è stata per alcuni,purtroppo troppo pochi,un’esperienza ispiratrice.La resistenza portata avanticon tenacia e coscienza delfatto che ciò che si difendevaapparteneva agli occupanti,che la casa è di chi l’abita,avrebbe dovuto e potuto darenuovo impulso e nuovi sboc-chi alla lotta per la casa inco-minciata da alcuni compagnia Milano.Ma lo sgombero è avvenutoin un momento in cui questalotta era stata accantonata,per vari motivi: dall’urgenzache trascinava verso altre esi-genze a dinamiche interne almovimento milanese ormaitroppo inquinato dalla politi-ca dei Palazzi, alla situazionerepressiva in senso stretto chevede degli ostaggi nelle patriegalere. E non a caso tra questiostaggi ci sono compagni cheall’interno della città, ed inparticolare nel quartiere Tici-nese, si sono mossi per la que-stione della casa dando unarisposta precisa a questo biso-gno: l’occupazione.Da più parti, e a ragione, sidice che lo sgombero è statauna vera e propria azione mi-litare, un esempio vero e pro-prio di guerra al “nemico in-terno”, incominciata, comele guerre moderne, con unacampagna mass-mediatica,per sua natura menzognera ecriminalizzante. Questa hapreparato fin nei minimiparticolari lo spettacolo delladeportazione, decine e deci-ne di fotografi e reporter ap-pollaiati come avvoltoi in at-tesa della sceneggiata.

A chi le avrà vissute attraver-so il piccolo schermo, questeimmagini non avranno dettomolto, ma questa non è“L’isola dei famosi”, qui, daquest’altra parte, le cose suc-cedono davvero...Sono molti quelli che han-no responsabilità precise inquesta brutta faccenda, dachi l’ha fortemente voluta eottenuta a chi l’ha realizzatamaterialmente. Un’aberran-te complicità tra sfruttati esfruttatori che ha reso possi-bile lo sgombero: dai Vigilidel Fuoco che hanno sfon-dato la porta per permettereai servi in divisa di dividerele madri dai propri figli;agli assistenti sociali chenon si sono opposti a questisequestri, che sono stati usa-ti come ricatto per far scen-dere gli uomini dal tetto; ailavoratori Atm e all’Azien-da, che si sono resi disponi-bili al trasporto dei deporta-ti, cosa gravissima di per sé,ma tanto più se si pensa cheall’epoca della lotta dei la-voratori Atm, la comunitàdi via Adda si era espressa invarie forme in solidarietà aquesti caproni! Poi c’è ilNuir, Nucleo InterventoRapido della Provincia diMilano, ovvero operai, qua-si sempre stranieri (sic!), cheeffettuano lo sgombero deimobili ed altro, dalle caseche poi sigillano.Particolare responsabilitàl’hanno avuta Lega e ForzaNuova che, appoggiati daicommercianti di via Fara,adiacente a via Adda, hannosfilato con celtiche e striscio-ni xenofobi. Anche in questocaso, come sempre, Borghe-zio ed i vecchi amici fascistialimentano l’odio razzialeprovocando una guerra trapoveri funzionale alle strate-gie dei palazzi. Ed è vera-mente il caso di parlare dipalazzi, visto che lo sgombe-ro di via Adda era assoluta-mente improrogabile perl’inaugurazione di quelloscempio urbanistico cono-sciuto come il Pirellone, dapoco ristrutturato. A pocopiù di due settimane di di-

stanza, esattamente il 18aprile 2004, è stato inaugura-to l’Auditorium interno alPalazzo che ospita la RegioneLombardia, chiuso da più di20 anni. Qui, fino al 25 apri-le, si è tenuta una tavola ro-tonda su Gio Ponti,l’“artista” che negli anni Cin-quanta fece dono all’umanitàdi questo eco-mostro. Nono-stante le tresche e i dissidi in-terni al “palazzo”, il ciellinoFormigoni è riuscito in unabattaglia personale, per cuiha speso molte energie colla-borando strettamente con icoordinatori dei lavori, dal-l’architetto Renato Sarno,progettista e coordinatore ge-nerale del restauro; al profes-sor De Maio, coordinatore ea Maria Antonietta Crippa(ordinaria di Storia dell’Ar-chitettura del Politecnico diMilano), membro del Comi-tato tecnico-scientifico per ilrestauro del Palazzo; all’asses-sore regionale alle Culture,Identità e Autonomie della

Lombardia, Ettore Albertoni.L’iniziativa è stata sponsoriz-zata dalla Pirelli ed ha vistol’apertura di una terrazza pa-noramica al trentunesimopiano del Palazzo.È evidente che lo sgomberodi via Adda, che non era sta-to possibile per due anni, vi-sta la resistenza degli occu-panti, è strettamente collega-to a questa inaugurazione. Isignori non avevano tempoda perdere e quindi hannousato la maniera sbrigativa,un piccolo esercito e via: cen-tocinquanta deportati in Ro-mania, un’ottantina stipatinel campo-carcere di via Bar-zaghi... ed altri in giro per lacittà in cerca di un po’ ditranquillità dopo oltre unasettimana di inferno.Molti Rom hanno rispostoallo sgombero nella manierapiù diretta, cioè con nuoveoccupazioni che per il mo-mento sopravvivono.Il resto della Milano Malecome risponderà?

10DAL QUESTORE?A QUEST’ORA? IN QUESTURA?

Riprenderemo questo triplice, perples-so interrogativo di Totò, ospite perl’occasione della Casbah, per raccon-tare di certe voci raccolte in giro suuna recente trovata delle forze dell’or-dine per rendere più rapido e funzio-nale lo smaltimento del carico di lavo-ro supplementare che la Bossi-Fini haprovocato.Si sa che quando dei cittadini extraco-munitari vengono per qualsiasi motivotratti in arresto l’occasione è ghiotta perfinalmente provvedere, senza eccessivodispendio di energie, a notificare e sedel caso applicare i vari provvedimentiche li riguardano, ed in particolareeventuali ordini di espulsione. Così,senza troppo girovagare e perder tem-po, durante la detenzione torna como-do verificare la posizione del soggettoin questione e provvedere a tutti gliadempimenti che questa richiede, inmodo da essere pronti, al momento delrilascio, ad eseguire i provvedimentiche dovessero risultare o quelli che nelfrattempo si è riusciti a preparare, peresempio accompagnando il neo scarce-rato alla frontiera o in un confortevoleCpta (centro di permanenza tempora-nea e di assistenza).Succede tuttavia che la legge vigentepreveda dei limiti piuttosto ristrettiperché si possa privare qualcuno dellasua libertà personale senza il giudiziodi un magistrato: dall’arresto deve in-tervenire la convalida entro quarantot-to ore e, spesso, dopo l’udienza diconvalida, nei casi meno gravi vienedisposta la scarcerazione, magari conuna denuncia a piede libero. Troppopoco tempo per portare a termine tut-te le verifiche del caso. Anche perchéspesso i bricconi non collaborano, de-clinano generalità di fantasia e bisognaquindi procedere ad attente verifiche econfronti.Ma gli zelanti tutori dell’ordine non sisono persi d’animo e, per guadagnartempo a tutela della sicurezza naziona-le, hanno inventato una prassi chesembra ormai diffusa e consolidata:quando il pericoloso immigrato, dopoun paio di nottate di galera, viene rila-sciato da qualche magistrato senzascrupoli, dovrebbe essere, a norma dilegge, un uomo libero a tutti gli effet-ti, a meno che, come si diceva, mentre

è ancora detenuto non gli venga noti-ficato qualche altro provvedimento.Però, al momento del rilascio, trovaspesso ad attenderlo una delegazionedi forze dell’ordine che, senza darespiegazioni particolarmente dettagliate(anche perché non ne ha), lo fa acco-modare sulla propria vettura e lo ac-compagna in questura. Lì, tra passa-carte indaffarati e svogliati piantoni,tutti molto restii a illustrare cosa stiasuccedendo, il pericolo pubblico vienefatto “aspettare” in una curiosa salad’attesa. Si tratta, stando ai racconti dichi ha vissuto questa bella esperienza,di uno stanzone interrato di grandi di-mensioni, diviso a metà da una gabbiache separa i maschietti dalle femmi-nucce e reso confortevole da un lavaboa cui abbeverarsi e da certe panche inferro e cemento su cui riposare dopole scomodità della cella.È bene chiarire che quando si dice«aspettare», si intende per tutto il tem-po necessario per vedere se vi sia qual-che provvedimento da eseguire o se,ricorrendone i presupposti, sia possi-bile farsene fare uno fresco fresco: 20,30, 40 ore o più.Ed è bene chiarire anche che questegiornate, o mezze giornate, di “attesa”,non hanno la benché minima legitti-mazione in nessuna delle pur restritti-ve leggi che attualmente regolano la“materia”; anzi, se fino ad ora questapratica, che sembra anche essere piut-tosto frequente e diffusa, è stata possi-bile, ciò è dovuto all’equivoco su cui ègiocata. Quasi mai quelli che hannosubito un simile trattamento si sono

resi conto di essere in tal modo statisottoposti ad un totale abuso e hannoinvece creduto di essere incappati inun incolpevole ritardo della laboriosaburocrazia di un regime democratico.Di diverso avviso è stato invece, di re-cente, un giudice del Tribunale di To-rino, che, sentito di un simile episo-dio, ha provveduto a trasmettere gliatti alla procura ipotizzando a caricodegli agenti il reato di sequestro dipersona.A quanto se ne sa, comunque, neppu-re questo è servito a far cessare l’an-dazzo, che sembra proseguire conl’unica differenza di una maggiore at-tenzione nella redazione dei verbali inmodo che non sia possibile ricostruirei tempi.Né molto di meglio c’è da aspettarsidalla recente sentenza con cui la CorteCostituzionale è intervenuta sulla leg-ge Bossi-Fini, sollevando perplessitàsul fatto che uno straniero possa essereespulso in assenza di uno specificoprovvedimento giudiziario. Ma ancoraè presto per capire come si andrà a fi-nire, visto che il governo ha già antici-pato che intende con un decreto rein-trodurre in forma diversa le disposi-zioni che la Corte si era permessa diinvalidare.Quel che per il momento ci sentiamodi cuore di suggerire è, specie quandoci si lascia alle spalle le patrie galere, dinon accettare ove possibile passaggi dasconosciuti, soprattutto se portano ladivisa.

L’avvocato nel cassonetto

11DALL’INGHILTERRA...

Anche la Gran Bretagna,come ogni altra potenza ca-pitalista della fortezza-Euro-pa, si è ormai trasformata inuno stato-prigione dai con-notati fortemente razzisti.Anche qui, come nel Belpae-se, esistono numerosi centridi detenzione per migrantinonché svariati posti di bloc-co dove gli sbirri di frontierafermano gli “stranieri” perimpedir loro di stabilirsi nelregno di sua maestà.E anche qui, purtroppo, lalegislazione razzista sull’im-migrazione è stata la causaprincipale di terribili carnefi-cine, come quella accadutanel giugno del 2000, quandocirca sessanta migranti asiati-ci morirono soffocati nel re-tro di un camion diretto aDover.In tempi recenti, precisamen-te il 6 febbraio scorso, si èconsumata l’ennesima trage-dia di cui è trapelata notizia,

Distruggiamo le frontiere!Distruggiamo la schiavitù!

Il nostro disgusto verso le frontiere si estende a tutta questa societàdi schiavi dove ciascuno gioca il suo ruolo nel mantenimento di un siste-ma di saccheggio generalizzato. Nella sua spietata scelta del prezzo piùconveniente, tale saccheggio non conosce frontiere.

Gli schiavi più benvoluti sono allegri e compiacenti, felici di sacrifica-re le loro vite in cambio di una posizione sociale, di uno stipendio men-sile e di un generoso conto in banca. Lasciamoli con le loro illusioni,tanto faremo del nostro meglio per renderle di breve durata.

Altri milioni di schiavi si trascinano con fatica nella loro quotidianità,aggrappandosi a ciò che hanno in questo mondo precario dove i sinda-cati si sono alleati ai padroni all’insegna di “mobilita’”, “flessibilità”, “con-certazione”. Ma vi è un livello di sfruttamento che essi non superano,un livello indispensabile al tranquillo andamento della macchina dellaproduzione.

I supermercati, i servizi industriali, l’assemblaggio elettronico, ecc., sibasano invece su un’enorme massa di altri schiavi sradicati e sottopa-gati che non hanno più niente se non i fardelli del debito, dell’esclusio-ne e della paura. Alloggiati in tuguri per i quali pagano affitti da estor-sione, essi lavorano giorno e notte fino a che non crollano. Sono indesi-derabili, “barbari” che vengono da terre lontane, dilaniati da guerre ecarestie (disastri naturali del capitalismo pianificati nei palazzi non lon-tani da noi), privati di qualsiasi connotato che li qualifichi come “cittadi-ni”, “persone” e perfino “esseri umani”. Senza di loro il perverso mec-canismo del capitale crollerebbe per intero.

Per un paio d’ore gli appartenenti a queste categorie di schiavi sie-dono fianco a fianco nello “Eurolink”, superbo mezzo di trasporto dimerce umana, assistiti da hostess sorridenti. Ora, raggiunta la destina-zione, si svela una terribile verità. Perché è proprio qui, dietro questogrande atrio decorato con allettanti pubblicità di romantici week-end aParigi, che si nasconde un luogo dove vengono continuamente esegui-te operazioni in perfetto stile Gestapo. Gli indesiderabili vengono iden-tificati, trattenuti, criminalizzati e spediti in campi di concentramentocircondati da filo spinato, lasciati marcire per mesi prima di essere ri-mandati nei loro paesi d’origine. Alcuni “fortunati” ottegono dei docu-menti e possono incrementare la schiera dei super-sfruttati, di cui ipadroni di questo paese hanno così tanto bisogno.

Siamo qui perché ci sentiamo legati ai migranti. Anche noi siamoclandestini, indesiderabili in un mondo del quale non vogliamo far par-te. Non siamo venuti qui per reclamare il dialogo, l’integrazione demo-cratica o “documenti per tutti”. Xenofobia, gerarchie e razzismo non sicombattono con tali mezzi. Per rompere il silenzio e l’indifferenza deicivilizzati occidentali, vogliamo allargare lo spazio della rivolta, aumen-tare le possibilità dell’attacco diretto ai pilastri di questo mondo. Gliobiettivi sono ovunque: i campi di concentramento, le compagnie ae-ree che deportano i migranti, le “zone d’attesa”, gli schiavisti, le vie dicomunicazione, ecc.

Solo attraverso la solidarietà con chi è oppresso si può fomentare latempesta sociale della guerra di classe, del sabotaggio e dell’attaccodiretto, affinché la divisione tra connazionali e stranieri, immigrati le-gali e clandestini, si dissolva in una gioiosa fusione contro il nemico checi opprime tutti.

cuori vagabondi, nemici di ogni frontiera the world wide web of insurgents

questa volta nel nord dell’In-ghilterra, a Morecambe Bay,Lancashire: mentre erano in-tenti a raccogliere vongole,una trentina di lavoratori ci-nesi, quasi tutti “illegali”,sono stati travolti improvvi-samente dall’alta marea. Di-ciannove persone sono morteannegate.Si trattava di veri e proprischiavi, come ce ne sono tan-ti in questo paese, costretti aeseguire i lavori più massa-cranti e assurdi in cambio diun salario irrisorio. A More-cambe essi guadagnavano cir-ca una sterlina ogni nove oredi lavoro, in condizioni a dirpoco aberranti: la baia diMorecambe è tristementenota per la sua pericolosità,dovuta non solo alle sabbiemobili ma anche alle mareeche si innalzano all’improvvi-so. Le vittime di questo terri-ficante episodio non solonon avevano la benché mini-ma protezione contro tali pe-ricoli ma non erano neanchestate avvertite adeguatamente

sui rischi che correvano inquel luogo.Qui di seguito il testo di unvolantino, in traduzione ita-liana, distribuito pochi gior-ni prima della tragedia diMorecambe nella stazionelondinese di Waterloo, dovesi trova uno dei tanti posti diblocco della polizia di fron-tiera inglese. A Waterloo, in-fatti, arriva il terminale “Eu-

rolink” che collega Londradirettamente con la Francia.Disgustosi tutori dell’ordine,armati e in divisa, controlla-no scrupolosamente i docu-menti di che arriva o parte,attenti a non lasciar passarealcun “sans papiers” che po-trebbe essersi infiltrato tra iviaggiatori per bene, gli one-sti lavoratori pendolari e i tu-risti dal ricco portafoglio.

12METTERSI D’ACCORSUI CENTRI DI DETENZIONE...

L’equivalente francese dei Cpt sono i «centri di detenzione»(Centres de Rétention). Occorre tuttavia precisare che la Fran-cia possiede una lunga tradizione di internamenti ammini-strativi (come semplice misura di polizia), ereditata diretta-mente dalla sua gestione coloniale (dall’Africa all’Oceania), eche quindi questi campi moderni fanno parte di una lungacatena di infamie che da oltre 150 anni ha visto transitarecentinaia di migliaia di ribelli e di indesiderabili. Più recen-temente, i rifugiati spagnoli che a migliaia attraversavano iPirenei a partire dal 1938 sono stati ammassati in una decinadi «campi di raggruppamento» nel sud della Francia, mentretutti gli stranieri «indesiderabili» avevano subito la stessa sor-te prima di loro. In seguito, nel 1940, questa misura è stataestesa a tutti gli individui «pericolosi per la sicurezza nazio-nale» sotto il regime di collaborazione con l’occupante nazi-sta. I «campi di raggruppamento» sono allora diventati«campi di transito» utilizzati come anticamera prima dellapartenza verso i campi di sterminio nazisti. Nel dopoguerraè toccato agli algerini subire questo internamento ammini-strativo, durante la guerra d’Algeria e fino al 1961.Il primo centro di detenzione, che rinchiude gli stranieriirregolari su semplice decisione della polizia, è stato creatonel 1964 ad Arenc, in un hangar su un molo di Marsiglia.Inizialmente raggruppava gli stranieri cui era proibito l’in-gresso in territorio francese, poi ha cominciato ad ammuc-chiare quelli in attesa di espulsione. Ha funzionato inmodo clandestino fino al 1975, senza che qualche decretoo circolare interna ne prevedesse l’esistenza. È appunto intale data, in seguito allo scandalo sollevato da alcuni immi-grati che hanno sporto querela per «sequestro», che la suaesistenza è stata rivelata e ufficializzata.La prima legge che organizza i centri di detenzione vienevotata nel 1979: da allora in poi il soggiorno irregolare saràsanzionato con l’espulsione, mentre la reclusione ammini-strativa avverrà in campi legalizzati. La durata viene fissatain sette giorni, prorogabili in caso di «urgenza assoluta» odi «minaccia di particolare gravità» (che il governo utilizze-rà contro i ribelli sociali di origine straniera al momentodel loro rilascio dal carcere, contro gli oppositori politicidei regimi post-coloniali prima e di quelli «islamici» poi).Nel 1981, il quadro legale definitivo dei campi viene stabi-lito dalla sinistra: il soggiorno irregolare, una semplice in-frazione passibile d’ammenda, diventa addirittura un reatopunibile con un anno di prigione; quindi crea altri dodicicrimini fra il 1983 e il 1984, senza contare le celle improv-visate annesse ai commissariati e alle gendarmerie.Il tasso reale delle espulsioni resterà tuttavia limitato, giac-ché lo Stato impiega spesso più di sette giorni per scoprirela nazionalità dei «clandestini» (che non di rado distruggo-no le proprie carte di identità o se ne inventano una nuo-va), i funzionari dei consolati hanno qualche difficoltà a ri-conoscere i soggetti del loro paese e occorre diverso tempoper organizzare una espulsione (trasferimento dai campiperiferici verso una imbarcazione o un aereo, prenotazionedei posti, gestione degli effettivi polizieschi necessari in

caso di resistenza). Anche per ovviare a questo verranno fir-mati diversi accordi di «cooperazione economica» con leantiche colonie, di modo che da quel momento in poi de-terminati paesi riconoscano più facilmente come propriconnazionali molti individui internati, e la destra e la sini-stra prolunghino ulteriormente questo termine legale (tregiorni in più nel 1993 con la legge Pasqua e due giornisupplementari nel 1998 con la legge Chevènement). Il nu-mero dei campi di detenzione è così passato da tredici a ol-tre trenta in dieci anni, senza contare le «zone d’attesa» cre-ate nel 1992 per le persone che vengono fermate al loro ar-rivo nelle stazioni, nei porti e negli aereoporti aperti al traf-fico internazionale, e la cui detenzione legale è di 20 gior-ni. Attualmente sono un centinaio.Nel 2003, al fine di accrescere il tasso effettivo di espulsio-ni del 54% dell’anno precedente, il ministro dell’Internoha cominciato a fare sul serio: la durata passa da 12 a 32giorni, l’espulsione di stranieri già segnalati come respintida un altro paese della zona Schengen diventa automatica,il processo d’appello contro la reclusione in questi campipotrà avvenire... per telefono o videoconferenza, collegaticol tribunale direttamente dagli areoporti!Come per la gestione delle carceri, anche la macchina delleespulsioni ha bisogno di parecchi collaboratori. In questonumero di Tempi di guerra ci occuperemo del più famosofra loro, il gruppo Accor.Questa multinazionale affittava due interi piani dei suoi al-berghi Ibis degli areoporti parigini di Roissy e d’Orly al mi-nistero dell’Interno, da utilizzare come centro di detenzione.Le 120 camere del campo di Roissy hanno talmente concen-trato ogni sorta di protesta umanitaria contro le abiezioniche vi avvenivano quotidianamente a partire dalla fine deglianni Novanta (igiene, sovraffollamento, pestaggi), che unnuovo centro è stato costruito. Ed è stato proprio il ramoimmobiliare del gruppo Accor a vincere il contratto pubblicoper costruire un nuovo campo di 180 posti nell’areoporto,campo che nel gennaio 2001 è stato inaugurato col nome di«Zapi 3» («zona di attesa per persone in partenza»). Accornon ha dunque perso nulla, avendo potuto accumulare note-voli profitti con l’hotel Ibis, per poi passare ad un’immaginepiù pulita diventando soltanto costruttore del nuovo campo,che ha giustificato in quanto comprende «tutti i servizi al-

Il Gruppo AccorAlberghi: Ibis (in Italia sono a Cremona, Milano,

Padova, Roma, Sesto Fiorentino, Verona),

Sofitel, Novotel (Bologna, Brescia, Caserta,

Firenze, Genova, Milano, Roma), Mercure

(Alessandria, Bari, Bergamo, Brindisi, Roma,

Foggia, Genova, Milano, Modena, Napoli,

Parma, Reggio Emilia, Rimini), Formule 1,

Aria, Thalassa, Coralia, Pannonia, Etap,

Hotélia, Parthénon, Motel 6

Ristorazione: Lenôtre, Courtepaille

Noleggio: Europcar

Agenzie viaggi: Go Voyages,

Carlson Wagon-lit Travel, Frantour

13berghieri» richiesti e affidati ad un’altra impresa, la Orlysien-ne de Restauration (che già gestiva la foresteria, la ristorazionee la manutenzione del centro di detenzione di Mesnil-Ame-lot, nella periferia parigina).Beninteso, il campo Zapi 3 è perennemente sovraffollato:ad esempio, nel marzo 2003 a Roissy gli internati erano400 per una capienza di 294 posti ufficiali, prima che di-versi voli charter europei venissero organizzati d’urgenzacon destinazione Senegal, Costa d’Avorio e Romania. Gliespulsi parleranno poi alla stampa nazionale di quel viag-gio, testimoniando di aver viaggiato ammanettati e bloccaticol nastro adesivo, di aver subito percosse e insulti, di esse-re stati, alcuni di loro, drogati con iniezioni di sedativi. Ilministero è stato costretto a riconoscere che numerosi sonostati i morti durante le espulsioni, la maggior parte deiquali soffocati in seguito a rivolte, come Mariame GetuHagos, un etiope di 24 anni assassinato il 18 gennaio 2003da tre poliziotti dopo essere stato sottoposto a schiaccia-mento per venti interminabili minuti.Ma non è tutto. Giacché restava un altro filone da sfrutta-re, quello delle espulsioni propriamente dette. Ed è un’altrafiliale del gruppo Accor, la Carlson Wagon-lit Travel (gestitaassieme al gruppo americano Carlson), ad aver ottenuto dalministero dell’Interno il monopolio della prenotazione deibiglietti d’aereo per gli immigrati espulsi, quelli degli sbirriche li accompagnano e l’alloggio fornito a questi ultimi nelpaese d’arrivo prima del loro rientro. Incassa il 9% di com-missione per ogni trasferimento aereo, considerando che ilcosto di un solo volo come il charter franco-tedesco del 3marzo 2003 viene stimato dal ministero in 200.000 euro.Ed era sempre questa filiale a gestire la prenotazione dei bi-glietti ferroviari allorché gli espulsi venivano trasportatidalle ferrovie francesi dai campi lontani verso gli areoportie i porti (Marsiglia), prima che fosse la polizia ad occuparsidirettamente del trasporto.Dall’affitto dei piani degli alberghi Ibis alla costruzione di-retta di un campo, dall’alloggio e la ristorazione in hotelper gli agenti della scorta durante gli scali alla gestione ealla prenotazione di biglietti ferroviari e poi aerei con laCarlson Wagon-lit Travel, il gruppo Accor si è arricchito adogni livello grazie alla macchina delle espulsioni.E siccome tutte le responsabilità in materia di collaborazio-ne con i differenti ingranaggi della macchina delle espul-sioni sono ben visibili e attaccabili, la sua fama ha già pro-curato al gruppo Accor diverse visite ostili: l’occupazionedella terrazza dell’hotel Ibis di Roissy il 23 gennaio 1999 epoi la devastazione della hall di tre alberghi a Parigi per ot-tenere il rilascio di otto persone arrestate nel corso dell’oc-cupazione, l’occupazione di un hotel Ibis il 20 marzo 1999a Dijon, il saccheggio di una agenzia Carlson Wagon-lit Tra-vel a Parigi il 6 giugno 1999, l’occupazione della «zonad’attesa» Roissy 3 in costruzione il 16 dicembre 2001, nu-merose vetrine Ibis e Carlson infrante nel corso di manife-stazioni in diverse città.In effetti non si tratta di una macchina invincibile e astrat-ta, dato che richiede la partecipazione di numerose struttu-re, di amministratori e di collaboratori per funzionarebene. Accor è uno di questi in Francia, e non il minore.

F.

29 gennaio 2003 San Maurizio (To). Ignotioscurano con la vernice alcune telecamere dicontrollo piazzate nel centro del paese.

inizio febbraio 2004 San Foca (Le). Un re-cluso nordaricano nel locale Cpt ingerisce duepile stilo e viene trasferito all’Ospedale di Lec-ce, dal quale in breve riesce a fuggire.

14 marzo 2004 Corridonia (Mc). Molotovcontro il portone della casa di Sandro Giu-stozzi, assessore municipale all’Urbanistica.Secondo lo stesso amministratore il gesto è dacollegare alla proteste contro il progetto diaprire un Cpt nel territorio comunale, in con-trada Piedicolle. Giustozzi si dice comunquetranquillo, «protetto e ben tutelato dalle forzedell’ordine».

16 marzo 2004 Maglie (Le). Attacco fallitoad una filiale di Banca Intesa, che gestisce iconti del Cpt “Regina Pacis”. Un congegnorudimentale consistente in due sigarette accesecollegate a dei fiammiferi ed uno straccio im-bevuto di benzina innescano una fiammatache purtroppo non riesce a distruggere il ban-comat. Sul posto viene rinvenuto un volanti-no con la scritta: «Nessuna pace per i complicidel Regina Pacis: libertà per i reclusi».

23 marzo 2004 Corridonia (Mc). Nuova bot-tiglia incendiaria contro l’assessore all’Urbani-stica Sandro Giustozzi. Questa volta l’attaccoavviene in pieno giorno, contro la sua auto-vettura parcheggiata davanti al palazzo muni-cipale. Ora l’assessore dichiara: «sono dispostoa lasciare la politica».

11 aprile 2004 Lecce. Nel giorno di Pasquacompare, su una impalcatura nei pressi delDuomo, uno striscione riportante la scritta:«Chiudiamo i Lager per immigrati. LiberiTutti».

13 aprile 2004 Provincia di Trento. Ignoti ta-gliano le pompe di tre stazioni di benzina (duedella Esso e una della Omv) e sabotano le co-lonnine del self service. Stando ai giornali, inun distributore è stato lasciato questo volanti-no: «Queste compagnie sono direttamente re-sponsabili dei massacri in Iraq. Viva l’insurre-zione irachena, terrorista è il capitalismo».

16 aprile 2004 Galatina (Le). Un distributoredella Esso riceve la visita di anonimi sabotato-ri. Sei pompe vengono tagliate, causando undanno di cinquemila euro. Sul posto gli ano-nimi lasciano un biglietto: «Sabotaggio per laEsso che ha interesse nell’occupazione militaredell’Irak».

14CONTRO LEESTRADIZIONI

Oggi il concetto di «terrori-smo» è un’arma formidabileutilizzata dai diversi Ministe-ri della Paura per imporrecondizioni sociali ogni gior-no più invivibili. Chiunquemetta in discussione l’ordinedel denaro e dei manganelli èun “terrorista”. Si tratta, in-fatti, di una rappresentazionemediatica in cui il nemicoesterno – lo straniero, il bar-baro – si confonde con il ne-mico interno – il non-sotto-messo, il ribelle.È in questo contesto che bi-sogna collocare le richieste diestradizione contro i rifugiatiitaliani in Francia e il linciag-gio orchestrato dai mass me-dia italiani contro CesareBattisti, ex militante dei Pac(Proletari Armati per il Co-munismo) – una delle decinedi formazioni armate deglianni Settanta –, anch’egli esi-liato in Francia.A partire dagli inizi deglianni Ottanta, come è noto,qualche centinaio di militan-ti di gruppi armati è riparatoin Francia per sottrarsi allacattura. In seguito ad una si-tuazione esplosiva nelle car-ceri italiane, e giocando sualcune differenze fra le ri-spettive leggi, lo Stato france-se decise di assumere il ruolodi quella che viene definita,nel gergo burocratico dei go-verni, «camera di decompres-sione»: una soluzione per as-sorbire altrove i conflitti so-ciali di un paese. Che non sitrattasse e non si tratti della«Francia terra d’esilio e di li-bertà» lo sanno fin troppobene le migliaia di immigraticlandestini espulsi dal suolofrancese, imbavagliati e legatisui charter dell’abiezione, op-pure gli indipendentisti ba-schi estradati o riconsegnatidirettamente alla polizia spa-gnola (quando non assassina-ti al di qua dei Pirenei). Aquesto va aggiunto che moltiex-rivoluzionari italiani han-no sottoscritto, a suo tempo,un patto con il quale si im-pegnavano a non svolgere al-cuna attività sovversiva in

Francia in cambio dell’ospi-talità. Qualcuno, come ToniNegri, si spinse qualche annodopo fino a dichiarare accet-tabile l’estradizione di chi sifosse «macchiato in Italia direati di sangue». Ma non èquesta la sede per ricostruirela storia degli esiliati italiani,alcuni dei quali non si sonomai dissociati (né sul pianopenale né su quello politico).Sarà sufficiente dire che, conMitterand prima e Jospindopo, le richieste di estradi-zione sono state sia respintesia disattese in tutti questianni, cosicché molti rifugiatisi sono stabiliti in Francia evi hanno costruito la lorovita. A parte il caso prece-dente di un anarchico per cuiera stata concessa l’estradizio-ne, nel 2002 veniva “rimpa-triato” Paolo Persichetti, datempo “clandestino ufficiale”(nel senso che, pur avendo ri-cevuto un parere favorevoleall’estradizione, la sua pre-senza veniva “tollerata”). Ilpretesto della sua situazioneparticolare (i fatti per cui erastato condannato in Italiasono relativamente recenti equindi non rientrerebberonei criteri della cosiddetta«dottrina Mitterand») e inuovi accordi di Schengenavevano deciso altrimenti.Ora lo Stato italiano, fortedel clima generale da cacciaalle streghe e della creazionedel mandato di cattura euro-peo, torna alla carica. Comeal solito, le posizioni più in-fami e forcaiole sono quelledella stampa legata alla sini-stra istituzionale, che non hamai perdonato alla generazio-ne scritta sull’acqua la rivoltaarmata contro il racket deisuoi partiti e sindacati. Sonopronte ottanta richieste diestradizione, di cui tre giàinoltrate con mandato di cat-tura (è su questa base cheBattisti è stato arrestato perqualche settimana e poi rila-sciato in attesa che la cortefrancese si esprima). A ri-schiare è soprattutto chi èstato condannato all’ergasto-lo in Italia (nell’immediatoproprio i tre per cui era statochiesto l’arresto). Tanto piùche qualcuno già all’epoca

aveva ricevuto un parere fa-vorevole all’estradizione. Ècomunque evidente che,quale che sia la situazionegiuridica dei singoli rifugiati,i conti sono politici – e l’ariaè pesante. Vista la classica so-lidarietà fra Stati nella cacciaai ribelli, e alla luce dei nuovidispositivi europei, la «guerraal terrorismo» è gravida d’av-venire e di galere…Purtroppo, finora ad opporsiall’estradizione è soprattuttol’ambito degli intellettualifrancesi di sinistra, anche perle prese di posizione triste-mente democratiche di alcu-ni fra i diretti interessati.Eppure la posta in gioco, peril dominio come per i sovver-sivi, è considerevole. Si trat-ta, da un lato, del delirio se-curitario che vorrebbe eter-nizzare il presente, e dall’altradi una polizia della memoriache vorrebbe rinchiudere die-tro le sbarre un passato anco-ra esplosivo.È il fondamento etico dellarivolta con tutte le sue armi adessere in discussione. Ed èqui che bisogna far diga con-tro questo nuovo assalto deitribunali («la giustizia, questaforma domenicale della ven-detta!»). Anche la continuainsistenza sul fatto che alcunirifugiati non si sono mai dis-sociati né pentiti non è ca-suale: l’abiura della violenzarivoluzionaria è sempre piùmerce di scambio per ottene-

re da una parte la clemenzadello Stato e per giustificaredall’altra una maggiore re-pressione di quelli che nonabiurano un bel nulla. La lo-gica premiale, basata sul col-laborazionismo, parte dai tri-bunali e si allarga a tutto ilsociale. Anche in tal senso,mistificare ed imprigionare lastoria dell’assalto al cielo è peril dominio fondamentale.Della rivolta generalizzata inItalia degli anni Settanta,come di qualsiasi tempestasociale, difendiamo una pos-sibilità non realizzata ma fe-conda: la possibilità di sabo-tare un ordine mercantile etecnologico disumano e diarmarsi contro il potere, fuo-ri da ogni specializzazionegerarchica e militarizzata. Sequella storia continua a par-larci, è perché le ragioni perinsorgere non hanno fattoche aumentare.Opporsi a queste estradizio-ni, nel quadro di una lottapiù ampia contro tutte leespulsioni, significa opporsi aquell’Internazionale dellemerci e delle polizie i cui ef-fetti peseranno su tutti. Si-gnifica, allo stesso tempo, ri-mettere in gioco quel passatoper riprendere le ostilità e li-berare tutti i prigionieri. Suimezzi per farlo, l’azione di-retta ha l’imbarazzo dellascelta.

S.L.

Purtroppo non ci sono paesi dove l’esiliato sia sicuro.Dovunque vada, conoscerà il tocco avvilente della mano

poliziesca. - Perché tutte le polizie sono sorelle,come tutte le libertà. [...]

Separarci dallo spazio e dal tempo, rompere i nostri lega-mi col passato e con l’avvenire, strapparci bruscamentealle nostre preoccupazioni d’ogni giorno, alla nostra so-

cietà, ai nostri vicini; significa farci respirare il vuoto,condannarci a morte lenta.

La vigliaccheria dei governi preferisce queste silenzioseesecuzioni alle altre, perché li espongono a minori rimpro-veri e rappresaglie. [...] Essi sanno quanti soccomberanno

al rigore del clima, quanti alla nostalgia,quanti alla miseria, quanti alle sollecitazioni dei parenti,

e quanti al disprezzo.Spetta a noi farli sbagliare nei loro calcoli e stancarli

col rumore della nostra esistenza.Ernest Coeurderoy, Giorni d’esilio

15UN APPELLO

Lettera da dietro le mura di un carcere italiano: comedobbiamo fare per vivere e non morire “sotto tortura”?

Il motivo per cui ci troviamo in carcere è dovutoall’accusa di appartenere ad un gruppo di “terroristimussulmani”, che avrebbe operato in Italia, colle-gato addirittura con Bin Laden e Al Quaeda.Ma a questo proposito vogliamo far sapere che,secondo noi, il terrorismo islamico in Italia nonesiste e ciò è dimostrato dal fatto che, malgrado lascandalosa campagna denigratoria fatta ai dannidegli arabi da giornali e televisioni, e i numerosiarresti, non è mai successo nulla.La cosa che teniamo a sottolineare è quella che,dopo essere stati inizialmente e ingiustamente accu-sati di terrorismo in seguito, non avendo riscontra-to nulla a nostro carico, siamo stati condannatisolo per gli articoli 81/416/110/648 che nulla han-no a che vedere con il terrorismo.Per questo primo motivo già siamo stati giudicati econdannati da tribunali militari tunisini, in contu-macia e senza alcuna possibilità di difesa per noiche sino alla conclusione del processo non ne era-vamo neppure a conoscenza.Quindi se il governo italiano o le autorità prepostedovessero decidere per la nostra estradizione, tenia-mo a sottolineare che, in Tunisia, per noi ci sarebbeuna inimmaginabile sequenza di torture con il fina-le della nostra morte.La sorte, infatti, degli oppositori politici del gover-no tunisino è notoriamente rimessa all’arbitrio del-l’autorità militare che risponde unicamente ad esi-genze ed interessi del potere politico e ciò in pienainosservanza delle regole democratiche vigenti neipaesi europei ed in Italia.La Tunisia è, sotto gli occhi di tutti, un regimeche non ammette oppositori e che, pur di garan-tirsi il potere, viola i diritti umani, civili e politicipropri dei cittadini.È notizia nota, per essere stata pubblicata, tra gli al-tri, su Il Manifesto in data 15.12.02, l’aggressionesubita da un ex giudice, Sig. Mokhtar Yahyaoui,per aver reclamato l’indipendenza della giurisdizio-ne; lo stesso trattamento veniva riservato al suo av-vocato Saida Akremi Bhiri.Per cui appare superfluo ribadire la fine che natu-ralmente faremmo noi se venissimo espulsi dall’Ita-lia e portati in Tunisia.

Da tanto tempo avevamo inviato istanze a molticentri politici, questure di vari paesi, ad AmnestyInternational, senza avere mai nessuna risposta checi dia la speranza di poter sopravvivere ed appunto:come dobbiamo fare per vivere e non morire “sottotortura”?Chiediamo a questo punto a tutti coloro che siadoperano per i diritti e\o la dignità dell’uomo divalutare ed aiutarci per la nostra difficile posizionee lasciarci ancora una speranza per vivere. Io e imiei coimputati attendiamo con ansia una vostracortese e generosa risposta.Distinti saluti

Essid Sami Ben Khemais

Essid Sami Ben KhemaisVia Trodio 889015 Palmi (Rc)

Charaabi TarekVia San Biagio, 681030 Carinola (Ce)

Kammoun MehdiVia Lamaccio, 267039 Sulmona (Aq)

Ben Soltani Adel è già stato scarcerato e portatonel Cpt di Agrigento

Bouchoucha MoktarCarcere Badu’E Carros08100 Nuoro

Aouadi MohamedVia Andria, 30070059 Trani (Ba)

BabeleBabeleBabeleBabeleBabeleSul Sito di “Tempi di Guerra” http://digilander.libero.it/tempidiguerra potete trovare le traduzioni di alcuniarticoli del bollettino.

16

LAGER PER MIGRANTI ATTUALMENTE IN FUNZIONECPT: Centro di Permanenza Temporanea a di Assistenza

CPA: Centro di Prima Accoglienza

PIEMONTE

CPT: CORSO BRUNELLESCHI, TORINOGestione: Croce Rossa

COMUNITÀ PER MINORI STRANIERI NON AC-COMPAGNATI: VIA lA SALLE, TORINOGestione: consorzio Imprese Coop-erative Sociali (l’I.C.S. ha sede inc.so Francia 126, Torino; la sede le-gale è in via Bobbio 21/3, Torino)

LOMBARDIA

CPT: VIA CORELLI 28, MILANOGestione: Croce Rossa(resp. capitano Cappelletti)

Sempre a Milano è in progettazioneun centro di identificazione perrichiedenti asilo

VENETO

È in progettazione la costruzione diun CPT, forse a Rovigo

FRIULI VENEZIA GIULIA

CPA PER RICHIEDENTI ASILO:SAN GIUSEPPE, GORIZIA

È in fase di progettazione un centrodi identificazione per richiedentiasilo, a Gradisca d’Isonzo (Gorizia)

LIGURIA

È in progettazione la costruzione diun CPT a Savona

EMILIA ROMAGNA

CPT: VIA MATTEI 60, BOLOGNAGestione: Croce RossaDirettore: Roberto SarmenghiDirettore sanitario: Dott. PasqualePaolillo (Via Allende 15, CalderinoMonte S.Pietro BO)

CPT: VIA S. ANNA, MODENAGestione: MisericordiaDirettore: Ignazio MessinaA Bologna è in fase di progettazioneun centro di identificazione perrichiedenti asilo

MARCHE

È in progettazione la costruzione diun CPT ad Ancona ed uno a Corri-donia (Mc)

UMBRIA

È in progettazione la costruzionedi un CPT nel comune di Bettona(Perugia)

LAZIO

CPT: PONTE GALERIA,VIA PORTUENSE KM 10.400, ROMAGestione: Croce Rossa(resp. capitano Bomba)

Sempre a Roma è in fase di proget-tazione un centro di identificazioneper richiedenti asilo

PUGLIA

CPT: RESTINCO (BRINDISI)Gestione: Associazione “Fiamme d’ar-gento” (composta da ex carabinieri)

CPA PER RICHIEDENTI ASILO:BORGO MEZZANONE, FOGGIAGestione: Croce Rossa

CPA: DON TONINO BELLO,OTRANTO (LECCE)Gestione: Caritas

CPT: REGINA PACIS, VIA LUNGOMAREMATTEOTTI, SAN FOCA (LECCE)Gestione: Fond. Regina PacisDirettore: don Cesare Lodeserto (viaSagrado 19, LE)Proprietà dello stabile: Curia Arcive-scovile (P.za Duomo 2, LE). Il vesco-vo di Lecce è Mons. Cosmo France-sco Ruppi

CENTRO DI TRANSITO E SMISTAMENTO:BARI PALESE

CALABRIA

CPT: CONTRADA PIANO DEL DUCA,LAMEZIA TERME (CATANZARO)Gestione: Caritas e Coop. Malgrado

Tutto (contr. Baronello, contr. PilliCapizzagli, contr. Piano del Duca), ilcui presidente è Raffaello Conti

CPT: SANT’ANNA, CROTONEIl progetto esecutivo del centro èstato realizzato dall’ingegnere Gi-anfranco De MartinoA Crotone è in fase di progettazioneun centro di identificazione perrichiedenti asilo

SICILIA

CPT: SERRAINO VULPITTA,VIA TUNISI, TRAPANIGestione: Coop. Insieme, via V.Emanuele 128, CastelvetranoDir.: cav. Giacomo Mancuso

CPA: SALINAGRANDE, TRAPANI

CPT: SAN BENEDETTO, AGRIGENTOGestione: Misericordia

CPT: LAMPEDUSA, AGRIGENTOGestione: MisericordiaGli immigrati vengono trasferiti suvoli della compagnia aerea “Azzur-ra” e su traghetti della “Siremar”

CPT: PIAN DEL LAGO, CALTANISSETTA

CENTRO D’IDENTIFICAZIONE PER RICHIEDEN-TI ASILO: OSTELLO BELVEDERE, SIRACUSA

A Pozzallo (Ragusa) e a Pala Nitta(Catania) c’è una palestra adibita acentro di transito

A Siracusa è in fase di progettazioneun centro di identificazione perrichiedenti asilo

Avviso ai CorrispondentiI CONTRIBUTI AL PROSSIMO NUMERO DI

“TEMPI DI GUERRA”DEVONO ESSERE INVIATI

ENTRO LA FINE DI AGOSTOE NON DEVONO SUPERARE

LE 2500 BATTUTE.CHI SPEDISCE RITAGLI DI GIORNALE E ALTRO

MATERIALE CARTACEO, È PREGATO

SE POSSIBILE DI AVVISARCI VIA E-MAIL

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