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Che Ore sono, Sig. Lupo? - Un progetto educativo per aiutare un gruppo di bambini con problemi psichici a stare insieme serenamente, mediante lo strumento del gioco. Studente/essa - Elisa Ruda Corso di laurea Opzione - Lavoro Sociale - Educatrice Progetto - Tesi di Bachelor Luogo e data di consegna - Manno, settembre 2015

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Che Ore sono, Sig. Lupo? - Un progetto educativo per aiutare un gruppo di bambini con problemi psichici a stare insieme serenamente, mediante lo strumento del gioco. Studente/essa

- Elisa Ruda Corso di laurea Opzione

- Lavoro Sociale - Educatrice

Progetto

- Tesi di Bachelor

Luogo e data di consegna

- Manno, settembre 2015

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Immagine di copertina: Sono raffigurate le mani dei bambini protagonisti del mio progetto educativo. Completata la mia tesi, desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno supportata e aiutata. In particolare, i docenti della Commissione, tutta l’équipe del Centro-Psico-Educativo di Stabio e la bibliotecaria della Supsi. Ringrazio anche tutte le persone incontrate durante il percorso formativo, iniziando dalle Educatrici conosciute durante il Servizio Civile, proseguendo con gli operatori che mi hanno seguita nel primo stage di formazione della Supsi e terminando con gli psicologi che, con la loro professionalità mi hanno aiutata ad affrontare l’ostacolo della dislessia. Dedico questo lavoro di tesi alla mia famiglia che mi è sempre stata vicina e mi ha continuamente sostenuto. L’autrice è l’unica responsabile di quanto contenuto nel testo

“Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione”

(Platone)

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ABSTRACT Che ore sono Sig. Lupo. Il tema, affrontato in questo lavoro di tesi, è maturato dopo alcuni mesi di osservazione e avvicinamento al Centro Psico-Educativo di Stabio. L’attenzione si è soffermata sulla grande difficoltà, da parte dei bambini residenti, di riuscire a iniziare e a portare a termine delle attività ludiche durante il Momento Interno Ricreativo. Un momento caratterizzato da attività meno strutturate. Dopo aver svolto un’attenta riflessione sull’importanza di provare ad organizzare quello spazio, è nato il Progetto educativo intitolato “Che ore sono Sig. Lupo”. Un progetto che è stato sviluppato per circa tre mesi, l’obiettivo era di riuscire a far giocare insieme i bambini residenti in modo più armonioso e meno conflittuale. Le loro capacità limitate e immature rendevano questo spazio difficile da gestire. L’intervento educativo è nato con un iniziale approfondimento teorico per capire e conoscere meglio il tema scelto, cioè il gioco. Sono iniziate le ricerche di giochi ed attività idonee alle capacità e all’età dei bambini; attività che potessero interessare e incuriosire i bambini per poi avvicinarsi al piacere del gioco. Analizzate e selezionate le attività sia competitive sia collaborative, il Progetto si è avviato gradualmente. Nel corso dei mesi i bambini hanno sperimentato diverse attività ludiche, sono stati accompagnati nel mettersi in gioco, nel riuscire a sopportare le frustrazioni, ma soprattutto sono stati sostenuti e stimolati ad ampliare le loro capacità. Con un graduale accompagnamento i bambini sono diventati più autonomi, fino ad arrivare a giocare in modo più strutturato e piacevole. I momenti di eccitazione, confusione e ansia sono diminuiti, lasciando il posto a momenti gioiosi e divertenti. Hanno imparato dei nuovi giochi da poter presentare ad altri bambini, il loro bagaglio era aumentato e possedevano più strumenti utili per relazionarsi con gli altri. È stato possibile svolgere il Progetto educativo pianificato e progettato perché i bambini in quel momento erano in grado di investire nell’attività ludica. Erano in grado di rispondere alle diverse richieste fatte, come ad esempio essere attenti, portare pazienza, riuscire ad aspettare oppure avere agilità e forza fisica. Questo intervento ha permesso di evidenziare l’importanza di un continuo accompagnamento di un educatore anche nei momenti meno strutturati. Questo è un Progetto che si può adattare alle esigenze e alle capacità dell’utenza, per cui i giochi possono essere modificati con regole e tempi diversi. È importante considerare sempre lo stato d’animo dei bambini nel momento in cui si propone un’attività ludica. Elisa Ruda, settembre 2015.

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ABSTRACT Indice:

1. Introduzione: ................................................................................................................ 5

2. Descrizione del contesto lavorativo: ......................................................................... 7

3. Presentazione del gruppo: ......................................................................................... 9

3.1 Presentazione della problematica: ........................................................................... 10

3.2 Metodologia e strumenti utilizzati: ........................................................................... 12

4. La teoria utilizzata: .................................................................................................... 13

4.1 La parola “gioco” origini e significato: .................................................................... 13

4.2 La psiche dell’essere umano e le linee evolutive: .................................................. 17

5. Dissertazione: ............................................................................................................ 20

5.1 Preparazione delle attività: ....................................................................................... 20

5.4 La ricerca e la pianificazione: ................................................................................... 21

5.5 La modalità di presentazione dei giochi: ................................................................. 23

5.6 L’attivazione del progetto. Dalla teoria alla pratica: ............................................... 23

5.7 L’evoluzione del gruppo ............................................................................................ 28

6. Conclusione .............................................................................................................. 29

6.1 Che cosa ho imparato come educatrice: ................................................................. 31

7. Bibliografia ................................................................................................................... 34

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1. Introduzione:  L’ultimo stage per la mia formazione in Lavoro sociale è stato svolto presso il Centro Psico-Educativo (CPE) di Stabio, una struttura semiresidenziale clinica e terapeutica per bambini dai tre ai dodici-quattordici anni, facente parte dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale (OSC). Dopo aver trascorso il primo mese d’inserimento e di osservazione all’interno della struttura, ho imparato a muovermi, a conoscere i bambini con le loro singolarità e particolarità, accentuando la mia attenzione per un momento educativo chiamato Momento Interno Ricreativo, che da questo momento in avanti, per comodità del lettore, citerò semplicemente MIR1. Il MIR è un doposcuola meno strutturato, nel senso che non ci sono delle attività programmate, serve a creare un momento per far giocare i bambini tra di loro, perché possano svagarsi e rilassarsi prima di salire nell’appartamento per la serata. La scelta del tema che ho voluto affrontare in questo lavoro di tesi, è riconducibile alle difficoltà riscontrate nei bambini: essi, infatti, non riuscivano a giocare insieme in autonomia e spesso era necessario intervenire per dividerli e contenerli nei loro atteggiamenti. Ho potuto rilevare queste difficoltà grazie ad un periodo in cui ho praticato un’attiva osservazione. “L’osservazione è una metodologia che permette di vedere come attraverso un ascolto attento e consapevole possiamo essere in grado di conoscere i bisogni e di accogliere le preoccupazioni, le ansie, le aspirazioni, di chi abbiamo di fronte.” (Bisogni. 1999, p126) Dopo un’attenta osservazione, nel mio ruolo di futura educatrice, è stato utile cercare di trovare una soluzione che fosse “pensata su misura”, al fine di poter unire il gruppo di bambini residenti in internato, in un gioco che li coinvolgesse tutti insieme. Durante il MIR i bambini cercano di giocare insieme, ma a causa delle loro fragilità e difficoltà non sono capaci ed in grado di interagire adeguatamente, riuscendo solo a litigare e arrivando inevitabilmente alla separazione, trasformando così un momento di gioia in uno di tensione. I bambini, infatti, sono alla ricerca costante di una relazione privilegiata di uno a uno con

                                                                                                               1 Mir Momento interno educativo. È un momento per i bambini dell’internato, è svolto dal lunedì al giovedì dalle sedici alle diciotto. Gli educatori sono presenti a rotazione.

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l’adulto, perché ciò risulta loro essere più semplice ed accomodante. Ovviamente questo per limiti istituzionali non sempre è possibile, di conseguenza da qui anche la necessità di trovare in un momento ludico come quello del gioco, un modo sereno di stare insieme seppur aiutati e guidati dall’adulto presente. Durante il primo periodo di stage per poter lavorare in modo corretto con quei bambini così particolari, ho fatto delle ricerche al fine di conoscere e approfondire il tema del gioco nei suoi profondi significati, nella prospettiva di scegliere in modo mirato quali giochi poter fare. Nella vita di ognuno è importante imparare a giocare ed è fondamentale fare tesoro delle esperienze. “Il gioco permette al bambino di estendere il proprio campo di esperienza…, così i bambini arricchendo se stessi, sviluppano a poco a poco la loro capacità di scorgere la ricchezza del mondo reale esterno.” (Bisogni. 1999, p.102.) Nella mia breve esperienza lavorativa e frequentando bambini anche al di fuori dell’ambito professionale, ho potuto constatare, che i bambini, generalmente, con il trascorrere del tempo, non praticano più attività ludiche. Passano molto tempo davanti al televisore e vengono sempre meno stimolati a relazionarsi con l’Altro: giungono così a chiudersi e isolarsi. Come ho potuto costatare leggendo diversi libri, il gioco è sempre più sottovalutato sia nella pratica sia nella teoria. “…Il tema del gioco, infatti, come un fiume carsico, appare e scompare dagli ambiti di studio della psicologia dello sviluppo… A partire dagli anni novanta il gioco non è stato più considerato un fenomeno degno di attenzione in sé ma è stato trattato soprattutto come un contesto all’interno del quale collocare lo studio dello sviluppo infantile.” (Baumgarther. 2002, p 7) È perciò importante stimolare, insegnare e portare il bambino, fin da piccolo, al piacere del gioco. I bambini del CPE hanno difficoltà e diverse problematicità a vivere il momento ludico del MIR, perché stare insieme in gruppo richiede loro un impegno di energie personali non indifferenti. Mi sono allora chiesta come avrei potuto strutturare al meglio il momento del MIR al fine di semplificare loro lo stare insieme e godersi il piacere del gioco. Questo obiettivo e una continua messa in discussione del mio ruolo mediante un’auto-osservazione critica, hanno sostenuto la mia domanda di ricerca:

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In che modo un educatore, utilizzando come intermediaria l’attività ludica, può sostenere dei bambini con un disturbo psichico nell’apprendimento delle regole per riuscire a giocare insieme? Il gioco è un argomento molto vasto e che tocca diversi aspetti. Ho cercato, quindi, di restringere il campo. Ho deciso di focalizzarmi sul gruppo dei quattro bambini in internato al CPE, con l’obiettivo, come già descritto in precedenza, di fungere per loro da collante e da facilitatrice per quanto riguarda la comprensione di semplici regole. Per eseguire un intervento adeguato al tempo che avevo a mia disposizione, mi sono confrontata con alcuni membri dell’équipe e con la Commissione di tesi ed ho consultato diversi libri per costruire una base teorica per una corretta conoscenza di attività ludiche adeguate al mio obiettivo: “GIOCARE INSIEME”. Vorrei ora introdurre e far comprendere il Progetto che ho sviluppato per la mia tesi. Inizierò con lo spiegare il contesto in cui ho svolto la pratica professionale, per poi descrivere il gruppo di bambini, la metodologia, gli interrogativi, la teoria utilizzata e la pratica svolta. Dopo la dissertazione ci saranno le conclusioni rispetto al Progetto svolto e delle riflessioni sulla figura educativa in generale.    

2. Descrizione del contesto lavorativo: Prima di entrare nel dettaglio del mio Progetto è importante fare una breve descrizione del contesto dove ho svolto lo stage, per poter comprendere al meglio l’ambiente lavorativo e l’utenza. Le informazioni che ho in mio possesso sono tratte dai documenti che la mia Responsabile Pratica mi ha consegnato durante le visite di avvicinamento che ho svolto al CPE, provengono dall’Appendice dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale2 e da fotocopie di presentazioni in PowerPoint3. All’inizio degli anni cinquanta/sessanta vengono organizzati i primi Servizi ambulatoriali psichiatrici per i minori e per gli adulti. Il 1° gennaio del 1985, avviene un cambiamento molto importante nella psichiatria pubblica, tutti i Servizi che fino ad allora si erano gestiti in modo autonomo vengono riuniti in un unico organismo: l’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale (OSC) che ingloba tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali pubbliche, predisposte alla presa a carico dell’utente psichiatrico. I centri psico-educativi (CPE) fanno parte dell’Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale (OSC).

                                                                                                               2 Organizzazione Sociopsichiatrica Cantonale. 2004. Appendice. Mendrisio: Direzione dell’OSC. 3 Magnolfi, G. 2009. Presentazione dei CPE: Centri Psico-Educativi in Ticino, Un modello di Hôpital de Jour per bambini con disagio psichico. Sopraceneri: SMP. Magnolfi, G. 2009. CPE: elementi costitutivi, la dinamica terapeutica istituzionale, la presa a carico globale, terapeutico-pedagogico-educativa di un Hôpital de Jour per bambini. Sopraceneri: SMP.  

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Il CPE nasce come un ospedale di giorno, un luogo di cura per bambini con gravi difficoltà psichiche, ma con potenzialità evolutive; in questa struttura il bambino può trovarsi a proprio agio e fare dei progressi. Solo in Ticino ci sono istituti che possono offrire contemporaneamente un trattamento psichiatrico, psicoterapeutico (individuale o famigliare) e pedagogico. L’Ammissione al CPE avviene dopo una valutazione fatta al SMP (Servizio Medico Psicologico). I CPE sono delle strutture di cura semi-residenziali, aperti dodici mesi all’anno, cinque giorni su sette, dalle 8.30 alle 16.30. Alcuni bambini frequentano il CPE a tempo parziale, altri a tempo pieno. Gli orari per il CPE di Stabio sono differenti perché è l’unica struttura che ha un internato di sei posti, accoglie alcuni ospiti 24 h dal lunedì al venerdì. Oltre a Stabio sul territorio ci sono altri due CPE, uno a Lugano e l’altro a Gerra Piano. All’interno di queste strutture c’è del personale specializzato, in grado di creare un ambiente terapeutico privilegiato e stimolante per dei bambini che hanno difficoltà a sostenere l’ambiente scolastico normale e le regole della società. Il modello d’intervento del CPE di Stabio è quello Bio-psico-sociale4 che si fonda sulla consapevolezza dell’interdipendenza fra tutti i fenomeni fisici, biologici, psicologici, sociali e culturali. È quindi un ambiente terapeutico in cui il bambino può trovare un setting costituito da diversi spazi, inoltre viene a contatto con gli adulti, ognuno dei quali ha una propria funzione e soprattutto ha una propria personalità. L’obiettivo del Centro-psico-educativo è consentire a questi bambini, attraverso le attività terapeutiche, di essere reinseriti nel circuito scolastico normale. I bambini sono divisi per età, il gruppo dei piccoli va dai tre ai sei anni, mentre il gruppo dei grandi va dai sei ai dodici anni. I bambini in internato durante il periodo del mio stage erano quattro. Ho potuto conoscerli piuttosto bene grazie ad una presenza nella quotidianità e nella continuità. Per loro, infatti, le attività non terminavano alle 16.30, ma proseguivano fino alle 18.00 circa, includendo anche un dopo-scuola, il MIR, momento più ludico in cui le attività erano meno organizzate, con tempi più cedevoli e flessibili. Verso le 18.00 i bambini salivano in appartamento e si preparavano per la serata, dopo la cena vi era il “rito della lettura”. Esso serviva per chiudere la giornata e accompagnarli alla messa a letto prevista per le 20.30 circa. La giornata per i bambini era ricca di impegni e stimoli che servivano per accompagnare e aiutarli nella loro crescita e nel loro sviluppo con l’obiettivo che fosse il più armonioso possibile, nel pieno rispetto dei propri tempi di apprendimento e della propria individualità.                                                                                                                4 Il modello bio-psico-sociale “..il modello pone l’individuo ammalato al centro di un ampio sistema influenzato da molteplici variabili. Per comprendere e risolvere la malattia, il medico deve occuparsi non solo dei problemi di funzioni e organi, ma deve rivolgere l’attenzione agli aspetti psicologici, sociali, familiari dell’individuo, fra loro interagenti e in grado di influenzare l’evoluzione della malattia. Il modello bio-psico- sociale si contrappone al modello bio-medico, secondo il quale la malattia è riconducibile a variabili biologiche che il medico deve identificare e correggere con interventi terapeutici mirati.” Medicina italiana. Numero 3 settembre. Internal and Emercency Medicine. Pag. 1

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3. Presentazione del gruppo:  

I bambini che hanno partecipato al mio Progetto sono quattro, il più grande si chiama Luca5, poi ci sono Edo, Lillo e la bambina di nome Lisa. Descrivo ora brevemente chi sono, la loro età e le loro difficoltà. Per cercare di fornire al lettore un quadro più completo delle dinamiche e delle caratteristiche di questo gruppo riporterò in modo generale le informazioni che ho raccolto al CPE di Stabio leggendo le loro cartelle e gli appunti degli operatori. Trattandosi di bambini in età evolutiva, nel corso degli anni le loro diagnosi si sono sensibilmente modificate. Prima di tutto è importante fare una premessa: i bambini sono solamente quattro, ma formano un gruppo. “Un gruppo è un insieme di almeno tre persone, con caratteristiche di sistema, che interagiscono riferendosi a valori e norme, assegnandosi dei ruoli per il raggiungimento di obiettivi comuni.”6 Il primo bambino si chiama Luca, ha otto anni e non è scolarizzato. È stato ammesso al CPE con una diagnosi di “Disturbo oppositivo provocatorio”7. Come ricercato nel DSM8 : “L’anomalia del comportamento causa una compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.”9 Ha un disturbo oppositivo con diverse angosce persecutorie. Tende a comunicare il suo malessere con l’agito per cercare di bloccare i suoi pensieri. Cerca di controllare la relazione con l’adulto e gioca solo se le regole sono decise da lui.                                                                                                                5 Tutti i nomi dei bambini sono fittizi. 6 Documentazione del modulo Processi nelle équipe, I GRUPPI aspetti strutturali, a cura di A. Nuzzo, F. Pirozzi, corso di Laurea in Lavoro Sociale, Manno 2014. 7 Le diverse diagnosi sono state prese dalla loro documentazione. 8 Il DSM è il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali, è uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzato sia nella pratica clinica sia nell’abito della ricerca. 9 Tratta dal DSM-IV, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disordres American Psychiatric Association, Washington 1994  

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Poi c’è Edo, ha sei anni ed è stato segnalato per difficoltà educative e atteggiamenti ossessivi. La sua diagnosi è di “Disturbo da ansia di separazione”; da un punto di vista evolutivo, ciò porta ad avere paure e ansie inadeguate e a volte eccessive. Questo suo disturbo è stato provocato probabilmente dall’irregolarità della presenza della figura paterna che ha sortito di conseguenza un eccessivo attaccamento alla madre. Presenta dei tratti ossessivi e alcune fobie, come ad esempio non mangia alcun tipo di verdura. Il suo gioco simbolico è abbastanza sviluppato, però egli è rallentato, sia a livello motorio sia di pensiero. Dopodiché arriva Lillo, che ha sei anni. È arrivato al CPE di Stabio con una diagnosi di “Disturbo a livello della comunicazione.” Non riesce a sviluppare delle relazioni importanti con i suoi coetanei. Preferisce eseguire giochi ripetitivi e solamente se spronato ricerca altri bambini. Non riesce a stare in gruppo e vive ciò con angoscia; poiché non riesce a interagire e a relazionarsi con i compagni, cerca di controllare la relazione. La sua carenza di risorse e di fantasia emerge ..., come se non fosse stato stimolato abbastanza. Il suo gioco simbolico sembra acquisito ma molto povero. Per lui “far finta” è difficile, egli non ascolta e non segue le regole. Infine Lisa. Ha sei anni è arrivata al CPE con una diagnosi di “Disadattamento con disturbo misto del comportamento e delle emozioni”. È una bambina fragile a livello emotivo: è incapace di tollerare le frustrazioni, spesso fa inutili capricci. Fatica a relazionarsi con il gruppo e preferisce instaurare delle relazioni esclusive con i suoi coetanei. Tende a estraniare gli altri e ha voler decidere tutto lei.  

3.1 Presentazione della problematica:  Lo stage svolto al CPE di Stabio per la prima volta mi ha portato ad un confronto con la psichiatria infantile, una casistica completamente nuova. Prima di identificare il tema di tesi, ho cercato di informarmi e conoscere le premesse istituzionali10, il metodo lavorativo e quello che io avrei potuto fare per aiutare i bambini. Tra tutti i bambini che ho osservato sono stata fin da subito colpita dai quattro facenti parte dell’internato. Per circa un mese ho osservavo il loro modo di giocare, “il gioco è immensamente eccitante…la cosa importante del gioco è sempre la precarietà di ciò che si svolge tra la realtà psichica personale e l’esperienza di controllo degli oggetti reali.” (Winnicott. 1971, p. 84) è sempre stato molto eccitato, sul filo del rasoio e pieno di ansie ma svolto anche con

                                                                                                               10 Informazioni raccolte nell’elaborato della pratica professionale.  

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poco interesse e serenità. Tutti e quattro i bambini avevano una scarsa tolleranza alle frustrazioni. Spesso hanno rinunciato a giocare con gli altri restando seduti vicino all’adulto, in questo modo hanno cercato di tutelarsi evitando di giocare, di entrare in conflitto, di cercare di socializzare, di mettersi a confronto con i pari; tale comportamento può essere visto come “… un segno di gravi angosce arcaiche che impediscono alle pulsioni di esprimersi...” (Castellazzi .V.L, Salvioni G. 1990, 29). Vedere Lillo, il più piccolo del gruppo, che ripeteva spesso la stessa attività ludica (un gioco in scatola con raffigurati degli animali), oppure componeva dei puzzle sempre molto isolato dagli altri del gruppo, potrebbe significare “…che il bambino sta lottando con problemi interni che non riesce a risolvere.” (Castellazzi .V.L, Salvioni G. 1990, 29). Luca invece, il più grande, spesso svolgeva giochi pericolosi e aggressivi, controllava e decideva sempre tutto: per lui interrompere un gioco era difficile. Edo invece cercava spesso di stare con bambini più piccoli di lui. Si pensava che fosse dovuto ad una forma di immaturità affettiva. L’IO di ciascuno di loro era tremendamente fragile, necessitava di un rinforzo e di un sostegno. Dopo tali osservazioni ho pensato che avrebbero avuto bisogno di un IO-ausiliario in grado di sostenerli, aiutandoli a giocare insieme e a sopportare le loro frustrazioni. Io, Elisa, avrei svolto per loro la funzione di IO-ausiliario, permettendogli così di interiorizzare al meglio l’esperienza di gioco e di gruppo. Ecco perché ho cercato di trasmettere loro delle regole e delle competenze che ho appreso a mia volta confrontandomi con gli Altri durante la mia vita. Infatti… “…è la propria esperienza ludica che l’adulto condivide col bambino contribuendo ad arricchirlo quanto più essa è profonda, estesa, radicata… a una condivisone partecipata della realtà emozionale che nel gioco si manifesta, cui l’adulto contribuisce a dar voce fornendo esempi e modalità di espressione.” (Bondioli. 2007, p.15). Grazie ai testi di Winnicott11 (1971) ho compreso maggiormente dove nascono le difficoltà di questi bambini specifici. Egli afferma che “la madre sufficientemente buona”, è una mamma sensibile e attenta alle esigenze del proprio figlio, lei è capace di soddisfare i bisogni sia emotivi, cioè di essere protetto e gratificato, sia di cura personale, cioè essere allattato e cambiato. Queste corrette attenzioni infondono al figlio sentimenti di fiducia e di capacità verso il mondo circostante; una volta diventato indipendente lo aiuteranno a non sentirsi eccessivamente impaurito, spaventato, incapace e schiacciato. Il bambino inizia a giocare perché qualcuno gli ha mostrato come fare. I bambini presenti al CPE sono stati privati della presenza di una madre sufficientemente buona e il loro stare insieme è caratterizzato principalmente da litigi, insicurezza, fragilità e

                                                                                                               11 Donald Winnicott. 1896-1971. Pediatra e psicoanalista britannico. Arrivò alla psicoanalisi grazie ad una grande esperienza pediatrica. I suoi contributi sono relativi all’oggetto transizionale.

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paura. Prima di iniziare il Progetto in me si sono susseguiti alcuni interrogativi come ad esempio: Come mai non riuscivano a giocare insieme? Che cosa è successo all’inizio della loro vita? Come avrebbero accolto le mie proposte? Questi interrogativi mi hanno accompagnato durante tutto il progetto educativo. Durante uno dei primi MIR, sono intervenuta involontariamente un paio di volte con dei semplici giochi, come ad esempio una filastrocca o una conta e sono riuscita per breve tempo a coinvolgere i bambini e a farli stare insieme. Questi piccoli giochi mi sono serviti per riuscire a costruire una relazione e a imparare a rapportarmi con loro catturandone l’attenzione. Costruite delle basi sufficientemente solide ho potuto iniziare il Progetto. Piaget afferma che: “…l’atteggiamento ludico è del tutto spontaneo e naturale essendo una funzione della propensione del bambino all’attività verso il mondo circostante.” (Bondioli. 2007, p 104) Anche per me il gioco è sempre stata un’attività spontanea e naturale e grazie a questo lavoro ho potuto approfondirla.

3.2 Metodologia e strumenti utilizzati:  

In questo capitolo spiegherò la metodologia e gli strumenti utilizzati per costruire il lavoro di tesi. Per la stesura del Progetto scelto mi sono creata una cultura del gioco, ho consultato: “La mia Tesi in servizio Sociale”12,i moduli di Indagine per ricercare gli strumenti più adeguati per raccogliere i dati e la “Guida alle citazioni bibliografiche per le scienze sociali”13. Ho utilizzato un approccio di tipo induttivo, cioè un’osservazione partecipante: ho cercato quali potessero essere gli interessi dell’Altro, mi sono data il tempo per conoscere la storia del gruppo e ho osservato il contesto, cosciente che la mia presenza potesse influire sull’Altro. L’osservazione mi ha permesso di raccogliere i dati necessari per ideare un Progetto educativo, la metodologia utilizzata è una progettazione partecipata. Il progetto si suddivide in:

- Conoscenza del contesto socio- educativo; - Ideazione, nascita dell’idea di Progetto; - Attivazione del Progetto; - Stesura scritta della programmazione.

In questo lavoro svolto sono stata coinvolta in prima persona. Ogni attività da me proposta e realizzata è sempre iniziata con un’ipotesi, seguita poi da un’osservazione e infine conclusa con il risultato e l’analisi di quello che era successo.

                                                                                                               12 Malcom Carey.2013. “la mia tesi in servizio sociale”. Trento. Erickson. 13 Biblioteca universitaria di Lugano. 2009. “Guida alle citazioni bibliografiche per le scienze sociali”. Lugano: Biblioteca universitaria.

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Mi formulavo sistematicamente una nuova ipotesi per la volta successiva, pensando di essere così agevolata nella programmazione. Ho realizzato poi un Diario di bordo, dove ho potuto verificare l’andamento dei bambini, miglioramenti, peggioramenti e la durata dell’attività. Nel Diario di bordo ho riportato anche le mie riflessioni, i suggerimenti ottenuti dall’osservazione e cosa è stato importante migliorare o variare. Al CPE mi hanno permesso di svolgere le attività ludiche mirate due volte alla settimana: il Martedì e il Giovedì. Insieme ai bambini abbiamo deciso di chiamare questo momento: “I giochi di Elisa”. Le attività che ho selezionato dovevano essere di movimento e non da tavolo, quindi di diverso genere14, perché il MIR è un momento di svago dove i bambini possono muoversi, agitarsi e sfogarsi.  

4. La teoria utilizzata:  

4.1 La parola “gioco” origini e significato:  Prima di entrare nel cuore del Progetto svolto vorrei introdurre il lettore nel tema che ho scelto. “Gioco: Esercizio singolo o collettivo a cui si dedicano bambini o adulti, per passatempo, svago, ricreazione, o con lo scopo di sviluppare l’ingegno o le forze fisiche.”15 Il gioco in passato fu considerato solamente come un semplice passatempo, un’attività alquanto molesta per gli adulti e superflua per i bambini. All’esperienza ludica però si sono interessate diverse scienze tra cui la filosofia, l’antropologia culturale, la pedagogia, la sociologia e la psicologia. Molte sono le teorie emerse, ma nessuna è completamente esaustiva nel cogliere il gioco nella sua globalità; ogni teoria enfatizza e studia un aspetto del gioco perciò non esiste un’unica definizione. È un’attività compiuta fin da piccoli. All’inizio si svolge interagendo con la mamma, in seguito il bambino gioca con le parti del proprio corpo, poi con gli oggetti che trova vicino infine con gli oggetti e le persone che lo circondano. Il neonato svolge giochi di movimento ed esercizio, l’attività si evolve in giochi simbolici e di finzione, infine si giunge a giochi di regole o di squadra che aiutano a costruire relazioni interpersonali, ruoli e gerarchie. Si può affermare che esistono diverse attività che hanno scopi e obiettivi diversi:

- i giochi di movimento come saltare la corda, correre…, aiutano le funzioni motorie; - i giochi ripetitivi, come ad esempio passarsi la palla, permettono di migliorare la

coordinazione;

                                                                                                               14 Vedere allegato n°1. “I giochi di Elisa”.  15 http://www.treccani.it/enciclopedia/gioco/

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- la manipolazione, come giocare con la creta oppure costruire, aiutano lo sviluppo di schemi mentali e dell’immaginazione.

- il gioco di finzione, dove gli oggetti prendono forma e parte del gioco, ad esempio un bastone diventa una spada, una panchina una macchina da guidare, aiuta a sviluppare le funzioni simboliche com’è stato indicato dagli autori Piaget16, Vygotskij17 o Bruner18.

Molti studiosi hanno analizzato il tema del gioco. Platone (427-347 a.C.), come affermato nel libro “Giocare per crescere”, ha sostenuto che l’anima del bambino ha bisogno di divertirsi, il gioco è un modo educativo per far apprendere al bambino un futuro mestiere. Aristotele (384-322 a.C.) riprende lo stesso concetto e sottolinea l’importanza di incoraggiare i bambini a imitare le attività che poi potrebbero svolgere da adulti come il panettiere, il meccanico… Alla fine dell’ottocento iniziano a comparire le prime teorie sul gioco. Una teoria19 importante da spiegare è sicuramente quella di Caillois20 (1913- 1878) del 1958 che suddivise i giochi in determinati assi. Nel primo asse distingue tra paidia (gioco libero, improvvisato, senza regole) e ludus (gioco composto da regole). Il secondo asse comprende quattro parametri: l’agon, dove risiedono la competizione, la lotta e si stabilisce un vincitore; l’alea, dove prevalgono la sorte e la fortuna, come nei giochi dei dadi e della lotteria, si va a sfidare il destino; la mimicry che consiste nel gioco di finzione, simulazione o illusione e infine l’ilinx, il gioco che si basa sulla paura, sul turbamento, sull’angoscia e sulla vertigine. Gli autori che mi hanno aiutato, a sviluppare e a continuare il Progetto sono diversi, come: Jean Piaget, S. Freud, D. Winnicott, Anna Freud, Klein, Vygotskij. Jean Piaget ha utilizzato il gioco per studiare i diversi stadi cognitivi. Freud21 ha compiuto diverse osservazioni per comprendere il comportamento dei bambini e il loro sviluppo affettivo. Ad esempio attraverso l’analisi del gioco del Rocchetto22, di un

                                                                                                               16 Jean Piaget. 1896- 1980. Psicologo Svizzero. Ha spiegato lo sviluppo mentale del bambino elaborato una teoria che permette di comprendere l’evolversi del pensiero di un bambino in base al su organismo e adattandosi all’ambiente circostante. 17 Lev Semenovic Vygostskij. Psicologo, egli creò le basi della scuola sovietica di psicologia. 18 Jerome Seymour Bruner. È uno psicologo e pedagogista statunitense. Professore ad Harvard. Direttore del Center of cognitive studies e professore alla New York University. 19  Le  diverse  teorie  si  possono  trovare  nell’allegato  n°3.    20  Scrittore Francese. Attirato dall’irrazionalità studio il mito, il sacro e anche il gioco nell’opera intitolata “Les jeux les hommes.” 21  Sigmund Freud fu il fondatore della psicoanalisi che ha come oggetto di studio i disturbi di tipo psicologico. 1856- 1939. Le sue teorie hanno influenzato i settori della cultura, le ricerche antropologiche e la medicina psicosomatica.  22 È un gioco che si fa in due, il bambino e la mamma. Freud ha osservato suo nipote che teneva in mano un rocchetto legato a una cordicella. Il bambino si divertiva a lanciarlo al di fuori del lettino e farlo scomparire, dopodiché ha tirato la cordicella e lo ha fatto apparire, quando lo ha rivisto ha emesso esclamazioni di gioia e sorpresa. Attraverso questo gioco il bambino può provocare la comparsa e la scomparsa in modo simbolico della mamma. Con questo gioco simbolico egli può reagire alle frustrazioni e alle privazioni.

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bambini di 18 mesi, cerca di far capire come l’esperienza ludica possa essere utile al bambino per cercare di padroneggiare il mondo interno. Donald Winnicott pone l’accento tra la differenza di un bambino “normale” e uno che ha subito delle mancanze. Il primo è in grado di giocare, di eccitarsi e sentirsi appagato dal gioco; il secondo invece non riesce a percepire il piacere del gioco perché il suo corpo è completamente bloccato dal malessere. Anche per quest’autore il gioco ha un valore simbolico ed esprime sentimenti e fantasie inconsce. Nella lingua Inglese è stata fatta una distinzione della parola “gioco” usando due termini: Play definisce i giochi fini a se stessi, senza obiettivi, generalmente individuali e non socializzabili, senza regole imposte dall’esterno, ad esempio quando il bambino gioca a simulare di fare la nanna, di essere una regina o di essere un guerriero; Game è caratterizzato da competizione con degli avversari, da regole, dal raggiungimento di obiettivi e dichiarazione di un vincitore, giochi che possono essere ripetibili come ad esempio una staffetta, un gioco di gruppo. Il passaggio da Play a Game avviene nell’età della latenza23, il bambino scopre l’esistenza delle regole e ne comprende l’utilità, avverte il piacere dello stare in gruppo. In questa fase di latenza i giochi strutturati sono per la maggior parte caratterizzati da competizione che permettono al bambino di imparare a gestire e a esprimere la propria aggressività. Perché quindi l’uomo ha bisogno di giocare? Nel libro “Giocare per crescere” si può trovare un elenco che in parte fornisce una spiegazione: “…per il piacere; per sfogare la propria aggressività in un ambiente noto, senza che quest’ultimo reagisca con odio e violenza; per padroneggiare l’ansia; per favorire il processo d’integrazione della personalità; per comunicare la propria realtà interiore; per definire i confini del proprio corpo e per raggiungere il controllo di esso; per sviluppare le funzioni dell’Io; per sviluppare l’attività creativa; per assumere una presa di distanza dalla realtà e dalla pressione del Super-Io.” (Castellazzi .V.L, Salvioni G. 1990, p.25) Concludendo il gioco aiuta a stimolare l’attenzione, la memoria, la concentrazione, in più aiuta a sviluppare gli schemi percettivi, le relazioni e le capacità di confronto. Un bambino che cresce senza saper giocare diventa un adulto incapace di pensare e ragionare. “Giocando il bambino espande gradualmente la sua capacità di cogliere la ricchezza del mondo esterno, esprimendo la sua creatività e vitalità.” (Winnicott. 1964, p.142)                                                                                                                      23Avviene verso i 5/6 anni, quando il super Io inizia a concretizzarsi. In questa nuova fase il bambino ripudia i sentimenti di odio nei confronti dei genitori e i desideri incestuosi verso quello del sesso opposto, così entra nella fase del silenzio della sessualità.

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4.2 La psiche dell’essere umano e le linee evolutive:  Fino ad ora ho svolto una premessa per far comprendere al lettore cosa sia l’attività ludica. Per riuscire a comprendere meglio la difficoltà del giocare e dello stare insieme, è necessario approfondire e comprendere, in parte, la psiche umana. Che cosa avviene nella psiche umana? Che cosa possono provocare alcune deprivazioni? I bambini che sono al CPE non hanno sviluppato un corretto funzionamento dell’IO e del Super-Io. Hanno quindi un IO fragile e incapace, la loro patologia di base è intimamente legata alle alterazioni delle funzioni stesse dell’IO. L’IO è l’istanza dell’equilibrio, esso deve cercare di mantenere una stabilità tra i diversi impulsi e le svariate richieste in essa risiede la capacità di riconoscere la realtà esterna, l’IO è un complesso di funzioni che riguardano la relazione tra individuo e ambiente. “Perciò l’Io è responsabile di diversi compiti come l’orientamento spazio-temporale, il giudizio, la canalizzazione delle pulsioni, la tolleranza delle frustrazioni, la percezione della gravità del sintomo e la percezione in generale.” (Falabella. 2001, p. 23) Il Super-Io è la coscienza morale che dovrebbe sviluppare una funzione di divieto. All’interno di questa istanza ritroviamo le norme, i valori che il bambino ha introiettato nei primi anni di vita in modo inconscio. La formazione completa del Super-Io avviene verso i 10 anni quando compare il senso di colpa e il rimorso. L’Io e il Super-Io tentano di tenere sotto controllo le pulsioni provenienti dall’Es. L’Es è la parte dell’inconscio dove risiedono i ricordi e le esperienze rimosse. Inoltre è un luogo di pulsioni legate al nostro passato, a volte queste pulsioni ci governano poiché hanno necessità di essere soddisfatte, in questa istanza domina il principio del piacere e la libido. Quando osserviamo i comportamenti delle persone, in realtà, osserviamo il loro IO e indirettamente anche il loro Super –io. Ad esempio con i bambini del CPE l’educatore svolge il compito di IO-ausiliario cioè intervenire come appoggio perché il Super-Io non è in grado di aiutare e sostenere l’IO del bambino. L’IO è perciò da educare, nel senso di proteggerlo, sostenerlo, evitando che si possa destrutturare e scompensare. Per fare questo è importante evitare situazioni che il bambino non è in grado di affrontare. I bambini del CPE non sono in grado di sostenere le sconfitte, le perdite e il confronto con le frustrazioni, punto dolente per un IO vulnerabile; quindi per riuscire ad accettare un momento ludico come il MIR essi hanno bisogno di strumenti, ad esempio imparare ad organizzarsi o conoscere giochi con le regole. La loro fragilità e incapacità li porta a reagire alle difficoltà in modo aggressivo e distruttivo.

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I bambini in internato hanno tutti un’età in cui dovrebbero iniziare a fare giochi che implicano regole e competizioni, non sono però in grado di assolvere tali compiti, infatti, se consideriamo la linea evolutiva possiamo costatare che la loro crescita in tal senso non è adeguata. La linea evolutiva è una sequenza di tappe24 che porta il bambino dalla totale dipendenza delle cure materne all’autonomia affettiva e materiale. Anna Freud afferma che è importante per lo sviluppo della personalità imparare a immaginare, giocare con la fantasia per poi poter riuscire a giocare in gruppo. I giochi “… governati da regole inflessibili alle quali ogni partecipante deve sottostare, tali giuochi non possono venire intrapresi con successo da un bambino che non abbia ancora acquisito una certa capacità di adattamento alla realtà e di tolleranza alla frustrazione…” (Freud. A 1965,p.72). I bambini del CPE non hanno ancora acquisito questa importante capacità e hanno bisogno di essere accompagnati per imparare a giocare e a sopportare le frustrazioni. Anna Freud ha studiato la linea evolutiva che va dal Gioco al Lavoro e l’ha suddivisa in sei fasi. Afferma, inoltre, che la patologia in un bambino può nascere a causa di uno squilibrio a livello maturativo. All’inizio il gioco produce piacere erotico, il bambino gioca con la bocca, le dita, con il suo corpo e con quello della madre. In questa fase il bambino e la madre sono un tutt’uno, non esiste distinzione. Nella seconda fase le parti del corpo della madre e del bambino sono trasferite su oggetti morbidi come coperte, orsacchiotti, cuscini, sono quindi utilizzate come oggetti transizionali. L’oggetto transizionale, come appreso attraverso il modulo “Cicli di vita”, è un oggetto della realtà esterna in stretto legame con il mondo interno del bambino. Tale oggetto assume un’importanza vitale per il piccolo, è usato come difesa contro l’ansia, si può affermare che quest’oggetto serve per creare al bambino l’illusione di non staccarsi completamente dalla mamma: egli riesce così a spostarsi da una realtà a un’altra senza essere traumatizzato. Nella terza fase l’attaccamento a uno specifico oggetto si evolve verso una ricerca più generica, questi giocattoli sono investiti in modo ambivalente sia di libido sia di aggressività, possono essere sia maltrattati sia coccolati dal bambino stesso. Nella quarta fase i giocattoli utilizzati fino ad ora iniziano a perdere lentamente importanza, solo alcuni sono utilizzati prima di andare a dormire. I giochi utili per aiutare il bambino in questo periodo evolutivo sono ad esempio il riempire, lo svuotare, il costruire o il distruggere e i giochi che permettono l’espressione di aspetti sia maschili sia femminili. Inizia così a nascere il gioco simbolico che è stato studiato particolarmente da Piaget. Egli, infatti, afferma che il gioco del “far finta” segna una parte importante per lo sviluppo del

                                                                                                               24 Vedere allegato n°3 approfondimento della teoria.

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bambino. Usando gli oggetti simbolicamente il bambino dimostra di essere in grado di distinguere l’oggetto che sta utilizzando da quello che semplicemente sta evocando, ad esempio sta suonando una chitarra, ma in realtà è semplicemente un bastone. Nel gioco simbolico si può utilizzare l’immaginazione per creare giocattoli e giocatori immaginari, si possono trasformare i personaggi e avviene la drammatizzazione dei racconti. Attraverso questo gioco simbolico il bambino cerca di gestire le proprie emozioni che provengono dalle situazioni che si trova a vivere. Nella quinta fase il piacere non è più nel gioco, si sposta sulla riuscita di ultimare un compito, un esercizio o di risolvere un problema; in questa fase c’è l’investimento nell’istruzione scolastica. Nell’ultima fase, la sesta, l’interesse per il gioco si trasforma nella capacità di lavorare. Questo passaggio avviene perché si passa dal piacere pulsionale primitivo al piacere sublimato. Come letto nel libro “Giocare per crescere” ci sono stati distinti studiosi che hanno identificato altre linee di sviluppo riguardanti l’attività ludica, mi sembra importante quindi riportarle. La prima è chiamata fase del gioco narcisistico: il bambino s’interessa alle diverse parti del corpo e alle relative funzioni, si prende i piedi, muove le mani… La seconda è chiamata fase del gioco pre-edipico, il bambino elabora la separazione dalla madre. La terza è chiamata fase del gioco edipico in cui il bambino ha timore di perdere l’oggetto d’amore, cioè il genitore dello stesso sesso è avvertito come un ostacolo che impedisce il possesso egocentrico del genitore del sesso opposto, dal quale si è attratti. Il bambino dunque entra in competizione con il genitore dello stesso sesso e proverà dei sentimenti ambivalenti: aggressività e rabbia, amore e ammirazione. L’ultima è chiamata fase del gioco post-edipico, in questa fase si stabilisce il Super-Io. Il bambino inizia ad accettare le regole e s’interessa dei giochi di competizione che potrebbe svolgere con i pari. Esiste un’altra linea evolutiva in cui sono state individuate tre fasi. La prima consiste in giochi che permettono l’esplorazione del proprio corpo e viene chiamata autosfera. Nella seconda, chiamata microsfera, i giochi servono per scoprire l’ambiente accanto al bambino. Nella terza i giochi includono l’ambiente sociale vero e proprio e i compagni, è chiamata macrosfera. Infine vorrei riportare la mappa proposta e suddivisa in otto stadi “che comprende l’intero arco di vita: scoperta del gioco (prima infanzia), differenziazione del gioco (seconda infanzia), gioco simbolico (età pre-scolare), gioco con ruoli (età scolare), giocosità con confini (adolescenza), gioco integrato (giovinezza), gioco generativo (età adulta), gioco creativo (età matura).” (Castellazzi .V.L, Salvioni G. 1990, p.29)

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Queste diverse linee evolutive, che ho appena descritto, permettono di comprendere ancora meglio che i bambini del CPE non hanno ancora raggiunto alcune tappe. Non hanno ancora acquisito la capacità di socializzare per riuscire a svolgere giochi insieme e con regole, ma hanno bisogno di un accompagnatore e un sostegno per poterlo fare. Il loro Super-Io è ancora fragile.    

5. Dissertazione:  

5.1 Preparazione delle attività:  

Dopo aver svolto una ricerca approfondita sul tema del gioco, sulle line evolutive e cosa comporta l’aver subito delle mancanze, arrivo a spiegare il Progetto educativo svolto con i bambini del CPE. Il Progetto è basato sull’aiutare il gruppo ad acquisire la capacità di giocare fra loro e nello stesso tempo riuscire a rispettare le regole per portare a termine l’attività. Le attività selezionate fanno parte della categoria di giochi che risiedono nell’agon, ossia dove il gioco si basa sulla competizione e ha delle regole. Volevo riuscire a far entrare i bambini nella fase che in inglese è chiamata “Game”. Piaget afferma che il gioco con le regole compare alla fine dell’età prescolare: sono sostituiti i giochi fatti in precedenza e si accentua la competizione. Il bambino quando gioca prova a sottomettere il mondo circostante, in questo modo cerca di affermare la propria presenza e di possedere se stesso. Piaget inoltre suddivide lo sviluppo del bambino in tre tappe: La prima è costituita dai giochi di esercizio, riguarda il primo anno di vita. Si può definire la fase senso-motoria: il bambino prende gli oggetti, li lancia, si dondola, gioca con mani e piedi, scopre se stesso attraverso i movimenti che svolge. In questa fase si sente vivo e prova piacere in quello che fa, nasce così la ripetizione dei movimenti e ripropone quello che impara. Nella seconda tappa, che va dai due ai sei anni circa, troviamo i giochi simbolici. Il bambino rappresenta scene che non stanno realmente succedendo, le immagina o imita quelle viste dagli adulti, per cui finge di dormire, di cadere, di andare a lavorare o di accudire il bambolotto, quindi anche se la mamma è assente può essere rappresentata mentalmente. Nella terza e ultima tappa ci sono i giochi con le regole, il bambino inizia a sperimentare lo stare in gruppo, entra nella fase sociale. Attraverso la competizione e poi la negoziazione tra pari si imparano le norme e si prende consapevolezza di quello che nella vita ordinaria si fa come routine.

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Per essere considerati giochi con regole, secondo “Piaget”, si devono osservare due criteri:

- è necessario che vi siano almeno due partecipanti in competizione tra loro. - il comportamento dei giocatori è regolato da un codice solitamente prestabilito.”

(Baumgarther. 2002,p.81) Il gruppo composto da Luca, Edo, Lillo e Lisa risponde correttamente a questi due criteri. Sono in quattro ed possibile creare della competizione, così io prima di iniziare ogni singola attività ho spiegato il gioco ed ho esposto le regole da rispettare. Per Vygotskij partecipare a giochi con le regole richiede l’utilizzo di un “self-control” delle pulsioni, se si ottiene un controllo di questi impulsi ci si avvicina e si percepisce il piacere del gioco.

5.4 La ricerca e la pianificazione:  

La ricerca dei giochi ha richiesto da parte mia particolare attenzione perché volevo riuscire a far sì che i bambini provassero piacere a giocare insieme. Desideravo incuriosirli e poi costruire una base di relazione, utilizzando attività capaci di attirare il loro interesse, la loro concentrazione. Non è stato semplice trovare delle attività in cui i partecipanti avrebbero dovuto essere solo quattro, quindi l’indagine è stata piuttosto laboriosa. Un’altra difficoltà che ho avuto è stata data dall’età dei bambini che come già detto è tra i sei e gli otto anni, età quindi scolare ma che non corrisponde alle reali capacità e competenze dei bambini stessi. Come posto l’accento in precedenza, i bambini del CPE sono a un livello inferiore rispetto alla linea evolutiva di Anna Freud, perciò non hanno ancora acquisito la capacità di giocare con le regole e di sopportare le frustrazioni. Tenendo conto, infatti, delle loro difficoltà, dei loro disagi ho dovuto fare una selezione di giochi adatti a un’età inferiore ai sei anni. Ho scelto diversi giochi sia di cooperazione, cioè dove non ci sono ne vincitori ne vinti, sia di competizione. L’essere umano preferisce appartenere a un gruppo invece di essere separato da quest’ultimo, per cui nei giochi di competizione la difficoltà consiste nel fatto di non avere un vero rapporto tra gli stessi giocatori. Ho anche cercato di valutare giochi da fare sia all’aperto sia al chiuso, con la musica o con oggetti (come palline, palle, cappelli, sedie). Tutto questo perché volevo poter sperimentare attività ludiche di diverso genere e osservare come i bambini si sarebbero comportati.

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Una volta selezionato i giochi25, li ho studiati e ho valutato delle possibili ipotesi e varianti per cercare di fare le giuste modifiche nel caso in cui l’attività potesse risultare difficile e complicata per il livello del gruppo. Ad esempio come ho scritto nel diario di bordo: “…I bambini spesso non hanno accettato di essere presi e quindi ho dovuto inserire la variante: se erano presi, non erano eliminati dal gioco, ma diventavano degli aiutanti, cambiavano posizione, ma avevano comunque la possibilità di vincere.”26 Le varianti che ho inserito durante alcune tipologie di giochi sono state importanti per riuscire ad arrivare insieme alla fine dell’attività. Senza cambiamenti i bambini avrebbero abbandonato il gioco stesso; infatti, nelle prime partite, appena hanno percepito la sconfitta o l’eliminazione, sono scappati lontano da noi, se stavamo giocando all’esterno entravano nella sala giochi, se eravamo all’interno scappavano fuori sul piazzale. Sono diventati subito molto indisponenti e lamentosi. All'avvio del Progetto le modifiche sono state molto utili per unire i bambini e creare un legame di coesione tra loro perché condividevano e decidevano insieme a me le nuove regole, questo “…è il vincolo che s’instaura, grazie all’interazione tra gli individui del gruppo e che definisce i sentimenti di appartenenza che si sviluppano in un gruppo”27. Creare tale legame è stato importante per far comprendere ai bambini che potevano avere fiducia negli educatori, in questo caso nella mia persona. I bambini sono molto sensibili ai cambiamenti e alle variazioni, come ad esempio l’assenza di un educatore o il cambio di un’attività. Io non potevo sapere come avrebbero reagito, ciò mi ha trasmesso uno stato d’inquietudine: per questo ho iniziato ad impostare l’attività con una certa pianificazione sistematica. È stato importante riuscire a dare una quotidianità e regolarità al gruppo, perciò ci siamo incontrati per circa due ore due volte alla settimana, il Martedì e il Giovedì. Ho cercato anche di organizzare qualche giorno prima l’attività da svolgere, dopo le prime due unità28ho costatato che ogni giorno era molto imprevedibile. Avere un programma fisso e dettagliato era un limite, così mi sono creata una mappa di attività che potevo modificare e proporre in base allo stato d’animo del gruppo, ad esempio se i bambini erano troppo agitati, proponevo giochi più cooperativi e meno competitivi. All’inizio di ogni gioco ho fatto la parte di chi doveva iniziare, in questo modo i bambini hanno visto quello che si sarebbe dovuto fare ed erano più disponibili, attenti e partecipi. “L’adulto non si limita a proporre attività ma, svolgendole in prima persona, si presenta come modello positivo di identificazione: il vedere un adulto che si impegna, che fa

                                                                                                               25 È possibile consultare e vedere la lista dei giochi nell’allegato n° 2. 26 Tratto dal mio diario di Bordo. Allegato n°1. Unità 1. 27 Documentazione del modulo Processi nelle équipe, I GRUPPI aspetti strutturali, a cura di A. Nuzzo, F. Pirozzi, corso di Laurea in Lavoro Sociale, Manno 2014. 28 Le unità sono i giorni a settimana che avevo a diposizione, solitamente il martedì e il giovedì, per eseguire i giochi. In totale durante lo stage sono riuscita a svolgere dodici unità.

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accanto ai bambini, motiva i bambini a fare altrettanto e legittima la loro attività.” (Bondioli. 2007, p.92). Come ho scritto nel diario di bordo la presenza dell’adulto è davvero importante, infatti, in una delle prime unità “ho deciso di proporre un gioco di competizione a squadre con le palline, un gioco di movimento nel quale le squadre sono composte anche dagli educatori, i bambini non saranno soli e l’operatore può aiutarli a superare le difficoltà.”29 Infine ho sempre cercato di trasmettere il divertimento e l’entusiasmo: “ Il fatto di divertirsi, la gioia che si mette nel giocare, è una condizione- chiave, perché modifica il nostro modo di agire e ciò che può conseguire.” (Bisogni.1999, p.115)

5.5 La modalità di presentazione dei giochi:  Ci sono diversi modi per presentare e incuriosire i bambini nello svolgere delle attività. È importante non avere incertezze e insicurezze, qualora ci siano, è apprezzabile non farle capire a chi è davanti a noi, altrimenti potrebbero interferire con la presentazione di ogni attività. Dilungarsi troppo nella spiegazione dei giochi porta ai bambini a distrarsi e a non ascoltare bene il procedimento e le regole. Per ogni gioco che ho presentato, ho sempre cercato di avere un tono abbastanza espressivo e sicuro, non avevo di fronte un gruppo di bambini “facili” e attirare il loro interesse non è stato per nulla scontato. Mi sono intromessa nella loro quotidianità con delicatezza. La prima volta che abbiamo provato a stare insieme ho semplicemente aiutato a far continuare il gioco che avevano iniziato. La situazione che mi si è presentata è stata trovare Lillo escluso che giocava da solo seduto nell’erba, gli altri incapaci di trovare un compromesso si stavano dividendo. Ho voluto cercare di stabilire un primo contatto per costruire una base di relazione, così ho evitato di impormi eccessivamente e i bambini hanno dovuto fidarsi, accettarmi e ascoltarmi. “Un elemento importante per l’animazione dei giochi è la propria voglia di giocare”. (Bondioli. 2007, p.40)    

5.6 L’attivazione del progetto. Dalla teoria alla pratica:  Il Progetto è iniziato come una proposta che non portasse eccessivi cambiamenti alle loro modalità ricreative. Le novità portano a fuggire: “In un primo momento una cosa del tutto estranea suscita semplicemente una reazione di fuga, poi c’è una fase di ispezione a distanza, spesso intensa e prolungata…” (Bisogni. 1999. P. 120)

                                                                                                               29 Documentazione presa dal mio diario di bordo. Allegato n°1.  

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Le prime attività previste non sono state accettate da tutti per la diffidenza di fronte al nuovo. Infatti, alla proposta del primo gioco: “Luca ci ha osservato, girava intorno a noi ma non accettava di giocare, ha impiegato circa venti minuti per decidere di unirsi a noi.” Oppure in un altro momento: “Ho spiegato le regole ai due bambini che mi hanno seguito e abbiamo iniziato la partita, subito dopo ci hanno raggiunto anche gli altri due abbastanza incuriositi.”30 I bambini prima di accettare di partecipare hanno voluto capire quali proposte avrei fatto e a che cosa sarebbero andati incontro. Stare e giocare insieme è per tutti loro una sfida molto grande. Giocare non comporta solo stare insieme e confrontarsi, ma raggiunge anche l’aspetto dell’affettività e delle diverse emozioni suscitate. Quando ho proposto per la prima volta “CHE ORE SONO SIG. LUPO” i bambini hanno giocato insieme per meno di dieci minuti, spesso il gioco si è fermato perché il gruppo doveva essere rassicurato su quello che stava succedendo realmente “la confusione tra i due piani non viene ammessa: i bambini vengono richiamati o rassicurati se prendono troppo sul serio il loro gioco; si ricorda a loro che è <solo un gioco>”. (Bondioli. 2007,40) Con il messaggio “è solo un gioco” i bambini potrebbero crearsi una cornice in cui riuscire a delimitare quello che sta all’interno del gioco stesso e quello che sta all’esterno, ad esempio Lillo, non avendo creato una cornice, ha avuto realmente paura di essere mangiato da un lupo, non distinguendo il gioco dalla realtà. “…gioco non è il nome di un atto o di un’azione; è il nome di una cornice per l’azione.” (Bateson, 1979, p.187) La confusione dei piani, quello reale e quello immaginario, che si sono sovrapposti e lo hanno portato a provare paure e angosce non controllate, anche se… “Paura, rabbia, desiderio, amore, ambizione, conflitto, rivalità sono, secondo la teoria psicoanalitica, gli elementi dinamici del gioco senza i quali esso non avrebbe ragione di essere.” (Bondioli. 2007, p.68)  Nei primi incontri i bambini si sono eccitati eccessivamente, senza riuscire a controllare le proprie pulsioni, si sono frammentati ed è stato indispensabile intervenire per dividerli e poi ricompattarli. La durata di ogni gioco era di circa dieci minuti, ho comunque capito l’importanza di continuare a proporre attività ludiche per permettere al gruppo di sperimentare lo stare insieme nonostante le loro grandi difficoltà. Il ripetere le attività ha permesso al gruppo di immagazzinare le modalità e le regole, così da superare la frustrazione del dover perdere e le angosce di non essere all’altezza del gioco. Alla fine, l’attività “CHE ORE SONO SIG. LUPO” è stata assimilata alla perfezione dai bambini, l’hanno riproposta anche agli educatori e sono stati capaci di rispettare tutte le regole e i limiti.

                                                                                                               30 Documentazione tratta dal mio Diario di bordo. Allegato N°1

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Quando “I Giochi di Elisa “ sono entrati a far parte della quotidianità i bambini hanno incominciato ad accogliermi con gioia e curiosità. Ho insegnato loro a giocare a “PALLA CHIAMATA”, un gioco con difficoltà bassa, dopo aver spiegato le regole abbiamo iniziato una partita. I bambini hanno avuto difficoltà di movimento e coordinazione e all’inizio non sono riusciti a riprendere la palla. Abbiamo fatto un paio di giri, di ripetizioni di movimento e tutti sono diventati molto bravi, anche Lillo che era il più piccolo è riuscito a prenderla e a rilanciarla. Edo, in quell’occasione, mi ha abbracciato e ringraziato per i giochi dicendomi “non mi sono mai divertito cosi tanto”. Ogni giorno è sempre stato diverso dall’altro. Prima di ogni attività mi informavo di come fosse andata la giornata, cercavo di percepire il clima e di comprendere il loro stato personale. Non era però possibile prevedere come i bambini avrebbero reagito a un gioco, a volte tutto andava bene e si giocava insieme anche per circa quaranta minuti con un clima positivo e piacevole, altre volte invece subentravano e influivano fattori esterni incontrollabili, da parte mia, che influivano causando agitazione, angosce e paure. Ad esempio: incontrare un genitore o il dover andare a casa per il fine settimana… hanno portato a dover interrompere o a far terminare anticipatamente ogni attività per evitare che i bambini arrivassero al limite delle proprie capacità ed esaurissero le risorse. Nelle occasioni in cui li ho visti particolarmente agitati, mi sono sentita insicura su cosa proporre, ho avuto paura delle reazioni che avrei potuto scatenar loro: non volevo che soffrissero. Soprattutto le prime volte ho pensato che sarebbe stato molto difficoltoso gestirli, perché le loro reazioni potevano essere eccessive e problematiche, come il fatto di scagliarsi addosso a te con tutta la loro forza, urlarti in faccia delle cose sgradevoli. Con la continuità e regolarità del Progetto ho invece capito che erano loro i primi ad avere paura di loro stessi: proporgli un’attività permetteva loro di essere contenuti maggiormente, si concentravano nello svolgere il gioco e, non annoiandosi, gestivano le loro angosce. In ogni attività il mio ruolo era di “garante”. Ho controllato, ho rassicurato e ho fatto rispettare le regole. All’adulto “…si può sempre ricorrere, uscendo temporaneamente dal gioco, per ritornare illesi alla realtà, per essere consolati nei momenti critici, per modulare adeguatamente l’eccitazione.” (Bondioli. 2007, p.101) Nello stesso tempo però sono stata una parte attiva dei giochi, mi sono fatta prendere, ho preso e ho iniziato per prima per cercare di incoraggiare e far capire bene al gruppo il procedimento. Sono stata in grado di fare l’adulto, quando è stato necessario e di accedere alla mia parte infantile per giocare con loro. “…l’adulto che gioca col bambino deve regredire se vuole mettersi in contatto con l’interiorità infantile e riattivare il piacere del gioco ma, al tempo stesso, deve governare la regressione per metterla al servizio del bambino.” (Bondioli. 2007, p.97)

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In questo modo la mia area matura e quella primitiva dei bambini sono state in grado di “incontrarsi” e arricchirsi reciprocamente. Acconsentendo di farmi coinvolgere ho anche dato ai bambini la possibilità di vedere come controllare gli impulsi contrastanti; ad esempio volevo vincere, ho perso non mi sono arrabbiata e non ho lasciato il gioco. Passaggio questo, per nulla semplice, da dover insegnare al gruppo. “…per la sua maturità affettiva l’adulto è in grado di reggere la maschera distruttiva senza distruggersi e senza vanificare il gioco stesso e il piacere che ne deriva…”(Bondioli. 2007, p.101) Le attività preferite dal gruppo sono state quelle dove non c’era competitività, in questi giochi non si vince e non si perde, non nascono così conflitti31. Penso però che non si possa sempre giocare a giochi cooperativi perché nella vita la competizione è presente in ogni settore. Le difficoltà e i conflitti fanno parte del nostro vivere. Quando si è piccoli ad esempio ci si confronta spesso con i pari, si vuole vincere un gioco, si vuole decidere cosa fare oppure trionfare in una gara, essere il più bravo o il più dispettoso. Quando cresciamo, entriamo nel mondo del lavoro, dove ci si rapporta con i colleghi, a volte si entra in competizione o in conflitto perché le lenti che possediamo ci fanno vedere la realtà in modo diverso. Ognuno di noi cresce con dei costrutti e delle idee che gli permettono di interpretare e comprendere la vita. Ognuno di noi è unico e diverso, non è facile confrontarsi, accettare e andare incontro all’Altro. Se impariamo fin da piccoli a gestire la competizione, il conflitto e la delusione, comprendendo che non si può vincere sempre e che le sconfitte a volte servono per farci crescere e maturare, da grandi sarà più facile vivere insieme con gli altri nel mondo. Giocare porta inevitabilmente a confrontarsi, a fare esperienza, ad avere conflitti, ma non è semplice; infatti, per ogni bambino è difficile accettare di perdere e affrontare la delusione, per quelli del CPE ancora di più. “…Il conflitto, aspetto inevitabile dell’attività ludica… funzione evolutiva importante in quanto situazione di inevitabile confronto, che spinge il bambino a tener conto e a intrepretare i gesti, le idee, le intenzioni dei compagni.” (Bondioli. 2007, p 169) Il loro grande egocentrismo li ha portati sempre e solo a vedere se stessi, senza percepire gli Altri. Questa caratteristica mi ha motivato sempre di più nella ricerca, sperimentazione ed alternanza di giochi diversi. Una volta ho proposto un’attività da tavolo dove bisognava preparare il gioco colorando dei pesci. Infine bisognava soffiarli lungo una panca o un tavolo e farli cadere in una padella. Avrebbe vinto il più veloce. In quell’occasione i bambini dovevano dimostrare l’abilità con il fiato. Non si sono mai sperimentati in giochi del genere, hanno dovuto imparare a soffiare e trovare una tecnica efficace per riuscire a

                                                                                                               31 Il conflitto è una parola proveniente dal latino “con-fligere”, cioè combattere con forza l’uno contro l’altro.

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vincere. Lillo ha dimostrato di essere quello più bravo, di avere una buona capacità e tecnica. Negli altri giochi invece a causa della sua fisicità robusta era sempre stato un po’ svantaggiato. Provare diversi giochi ha permesso al gruppo di “conoscersi e scoprirsi”, facendo anche un piccolo percorso di accettazione reciproca. In seguito ho deciso di non programmare più le attività, ma “…avrei iniziato con il gioco fatto la volta precedente. Questo ha permesso AI BAMBINI di memorizzare bene il gioco e A ME di osservare come si comportavano, valutando se fosse possibile introdurre giochi e regole nuove.”32 La mia presenza è stata altresì importante per cercare di mantenerli sul piano della realtà, far loro comprendere che ci sono limiti e difficoltà. L’immaturità personale non li ha resi capaci di vedere determinati confini. Ad esempio gli ho insegnato a giocare a “RAGNO”33: le prime partite sono state molto brevi perché i bambini, non accettando di essere presi, sono finiti in una valle di lacrime. Dopo averlo ripetuto più volte è diventato uno dei giochi più apprezzati tanto che i bambini hanno perfino chiesto di ampliare il campo da gioco. Questo però sarebbe stato un grosso limite perché li avrebbe obbligati a correre più velocemente, a stancarsi e magari a non terminare l’attività stessa. In precedenza, infatti, avevo visto che si affaticavano velocemente, forse perché non erano stati abituati a correre, a fare attività motoria e ad avere quindi una resistenza fisica limitata. Insieme abbiamo trovato una soluzione che potesse andare bene a tutti quanti, cioè allargare il campo non in modo eccessivo. Ho verificato inoltre che a volte ogni bambino ha cercato attribuirsi il mio ruolo, concedendosi la funzione di decidere, controllare e imporre le proprie regole, facendo in modo che l’attività prendesse una connotazione conflittuale; il mio intervento è stato utile per ricordare quale fosse il ruolo di ciascuno.

                                                                                                               32 Tratto dall’ allegato n°1, Il diario di bordo. 33 Vedi allegato n°2 “I giochi di Elisa.”

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5.7 L’evoluzione del gruppo

 “…Il gioco perciò non è solo un modo per esplorare e dominare il mondo esterno, ma è anche un modo per dominare, modulare e superare la propria angoscia interna, i propri conflitti. Ed è per questo che il gioco costituisce un’attività essenziale per il bambino.”(Castellazzi .V.L, Salvioni G. 1990, 29) Attraverso la quotidianità “I giochi di Elisa” sono diventati apprezzati dal gruppo. Ogni volta i bambini mi hanno aspettato con piacere per giocare insieme. Le loro “crisi” iniziali, come i pianti, le fughe e le urla sono diventate sempre meno presenti. Hanno trovato con il tempo un modo per superare le frustrazioni, come ad esempio dire: “Se perdiamo, non importa” o “l’importante è giocare”. Queste frasi sono spesso state ripetute da Luca verso gli Altri. Luca è stato sicuramente quello che all’inizio mi ha dato l’impressione di avere più difficoltà nello stare con gli Altri. Con il susseguirsi degli incontri paradossalmente è lui che aiuta e sostiene gli Altri, ovviamente con i suoi limiti. Edo ha imparato a stare con gli Altri, a giocare con tutti, sia grandi sia piccoli. Imparare nuovi giochi per lui è stato molto bello, infatti, non si stancava mai e seguiva le regole. In tutto il Progetto ho appurato che è stato il bambino con meno difficoltà: si è divertito e ha sempre incoraggiato tutti. Lisa ha avuto spesso un atteggiamento da “capo”, voleva essere la vincitrice e spesso ha imbrogliato per raggiungere il suo obiettivo. Ha però sempre giocato attivamente ed è stato importante darle dei limiti. Lillo è stato il bambino del gruppo che ha manifestato più difficoltà. Verso la fine dell’intervento ha iniziato ad accettare di essere preso. All’inizio i giochi che abbiamo svolto finivano per lui sempre con un pianto ed stato complicato fargli comprendere che si trattava solo di un gioco. Lui è stato il bambino che mi ha stimolato maggiormente ad attivare il Progetto, l’ho accompagnato nel percorso e aiutato a stare di più con gli Altri. All’inizio dello stage ho incontrato un gruppo di bambini problematici e incapaci di organizzarsi per stare insieme, giungo al termine del Progetto e trovo un gruppo caratterizzato dalle loro singole difficoltà dei soggetti, ma che è in grado di giocare e stare insieme per più di dieci minuti, apprezzando il piacere del gioco. Vederli stare bene insieme è stato un momento bello e gratificante. Nelle ultime unità si è creata fra i bambini una coesione “…legame che sta alla base della formazione del gruppo, della condivisione delle regole, del piacere di stare con gli altri, supportati e confrontati dalla loro presenza.”34, ridevano, scherzavano e giocavano insieme senza litigare e lamentarsi.

                                                                                                               34 Documentazione del modulo Processi nelle équipe, I GRUPPI aspetti strutturali, a cura di A. Nuzzo, F. Pirozzi, corso di Laurea in Lavoro Sociale, Manno 2014.

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Riporto ora l’ultima unità fatta con i bambini, perché è stato un giorno molto speciale, dove la mia presenza è stata meno attiva durante il gioco ma più osservativa. “…Arrivo sul piazzale del CPE, i bambini mi salutano e mi chiedono a cosa avremmo giocato, li invito a provare a giocare tra di loro a uno dei diversi giochi appresi, questo per riscaldarsi in attesa dell’arrivo di un’educatrice che si era momentaneamente allontanata. I bambini si spostano e decidono di giocare a RAGNO. Preparano il campo, si ripetono le regole e iniziano a giocare. Durante la partita sono stata a guardarli da lontano, non avevano più bisogno della mia presenza attiva nel gioco. In quel momento sono stati in grado di superare le difficoltà come rispettare le regole, essere presi e/o perdere.”35 È stato un momento di grande gratificazione perché non hanno avuto più bisogno della mia presenza attiva. Una sola volta, quando Luca ha cercato di imporsi eccessivamente, come se fosse l’adulto del gruppo, ordinando e dirigendo tutto e tutti sono dovuta intervenire e sono riuscita a far proseguire il gioco. Si è percepito finalmente “il piacere del giocare”. Una delle regole importanti che ho sempre evidenziato è stata quella che per giocare a “I giochi di Elisa” dovessero partecipare tutti e quattro, questo incentivo ha fatto sì che si cercassero, si chiamassero e si accettassero. Ogni volta attraverso un gioco, il gruppo è riuscito ad apprendere uno strumento in più per stare insieme. Sono arrivata alla fine delle unità e ho appurato che i bambini dell’internato hanno imparato a giocare insieme. Ho raggiunto il mio obiettivo.  

6. Conclusione  L’inizio del mio stage è stato accompagnato da diversi interrogativi. Avrei trovato un tema adeguato? Come avrei impostato il mio lavoro di tesi? Il gioco è sempre stato un argomento che mi ha affascinata e appassionata. Grazie a quest’ultimo stage e al lavoro di tesi ho potuto approfondire il concetto di gioco e poi documentarmi e ricercare il modo corretto di utilizzare le diverse attività ludiche. L’intervento della Commissione di tesi e dell’équipe del CPE mi hanno aiutata ad individuare l’obiettivo: “giocare insieme”. Ho così pensato, ideato e progettato l’intervento educativo per i bambini residenti al CPE. Ho individuato lo spazio per riuscire a sviluppare l’attività ludica, cioè il MIR per due volte alla settimana e per due mesi circa ho messo in atto il Progetto. All’inizio mi sentivo molto disorientata e spaventata dall’utenza, non avevo mai lavorato con bambini tanto problematici e avevo il timore di non sapermi rapportare in modo adeguato: inoltre il ruolo di educatrice all’interno del CPE non risulta essere così evidente                                                                                                                35 Tratto dal mio diario di Bordo, allegato n°1.

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da svolgere. Al CPE ci sono gli “psico-educatori”, gli psicologi, i maestri, … L’educatrice deve un po’ adattarsi e fungere da ibrido in ogni situazione: certamente riconosco, senza voler apparire supponente, la multidisciplinarietà della professione di educatrice. Ambientata e conosciuti gli ospiti, ho modificato alcune aspettative che mi ero creata e ho modificato “le lenti” che portavo, per poi riuscire a vedere che erano comunque “solo” dei bambini con difficoltà che avevano bisogno di un accompagnamento massiccio nella loro quotidianità. Anzi ho capito che anche la mia presenza di educatrice poteva essere positiva. Sono stata così stimolata a ricercare un Progetto idoneo alla situazione. Mi sono chiesta cosa potessi fare per aiutare questi bambini e come riuscire ad essere responsiva. “Essere responsivi significa saper rispondere adeguatamente agli appelli dell’altro…” (Mortari. 2006, p113) cosa avevano bisogni questi bambini? I bambini con cui ho lavorato non riuscivano a stare insieme. Avevano un IO troppo fragile e presentavano difficoltà tali da non riuscire ad investire positivamente le proprie energie nell’attività ludica: avevano bisogno di un IO-ausiliario che li aiutasse a stare insieme. Per arrivare a raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissata, non è stato semplice. All’inizio ognuno voleva decidere le regole e l’attività da svolgere, la durata massima di ogni attività era di dieci minuti, perché non riuscivano a sostenere le frustrazioni. È stato così necessario apportare delle modifiche ai giochi per riuscire a svolgerli. Con la continuità e la regolarità hanno imparato a sopportare le frustrazioni e la durata delle attività si è protratta fino a quasi due ore occupando tutto il tempo a nostra disposizione. L’interiorizzazione delle regole dei giochi è stato un punto fondamentale perché i bambini riuscissero a giocare bene insieme. All’inizio la mia presenza era sempre molto attiva, poi piano piano sono riuscita a fare solo da spettatrice/supervisore. Questo progetto mi ha permesso di unire la teoria alla pratica, confrontarmi con diversi operatori che hanno correnti di pensiero differenti; mi ha acconsentito di ingrandire la mia prospettiva: ho così imparato ad osservare con più lenti per comprendere meglio l’Altro. Per raggiungere quest’obiettivo mi sono messa in gioco, ho utilizzato tutte le mie capacità e qualità, la salita è stata dura e faticosa, spesso ero stanca e senza fiato, ma non ho mai pensato di rinunciare e sono arrivata a conquistare la vetta. So che ogni bambino ha caratteristiche e difficoltà differenti, le stesse regole non possono andare bene per tutti. Il Progetto è riuscito ad andare a buon fine con i bambini in internato perché avevano caratteristiche simili, ad esempio l’età, le diverse lacune e il rispettivo bisogno di stare insieme. Con la stesura della tesi ho ripercorso il Progetto educativo e quindi ho potuto riflettere sulle difficoltà e i limiti riscontrati. Principalmente all’inizio quando non conoscevo i bambini: non sapevo come comportarmi, cosa fare e come gestire i loro momenti difficili. Quando sono arrivata ho trovato dei bambini molto agitati e difficili da gestire, per cui il MIR era un momento “complicato” sia per il bambino sia per l’operatore. Essere riuscita attraverso il mio Progetto e le mie proposte, a strutturarlo facendolo diventare un momento educativo sempre più piacevole e significativo, è stato per me importante.

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La mappa che mi ero creata all’inizio, delle possibili attività e variabili, è stata utile e sono stata sempre preparata e capace di accogliere il gruppo per cercare di farlo giocare insieme. Fortunatamente non ero mai sprovvista di idee e giochi idonei alle loro capacità. I quattro bambini in quel momento hanno trovato la serenità necessaria per concentrarsi nello “stare insieme”; ho verificato, infatti, con un altro gruppo che, non avendo le stesse dinamiche, non sarei riuscita a raggiungere lo stesso obiettivo. Sono certa che tutto ciò sia riuscito perché le condizioni erano favorevoli: talvolta anche una dose di fortuna può essere preziosa!

6.1 Che cosa ho imparato come educatrice:  

Attraverso quest’esperienza sono cresciuta, mi sono confrontata con la realtà lavorativa e ho utilizzato le competenze fino ad ora apprese. Fin da subito ho avuto un appoggio totale da parte dell’équipe. Mi hanno sostenuta, incoraggiata e aiutata quando è stato necessario. Ho sviluppato e portato avanti con dedizione ed entusiasmo questo Progetto educativo e ho approfondito alcuni aspetti del lavoro educativo. Una capacità che deve avere un educatore è di riuscire ad anticipare quello che potrebbe succedere per riuscire a gestire e a fornire risposte preventive, questo permette di stabilire una buona relazione educativa. Un’altra dote molto importante è il saper improvvisare e utilizzare la propria creatività. In quello che si fa ci vuole passione e bisogna soprattutto “crederci”: questo è importante per riuscire a costruire una relazione di fiducia con l’Altro. Nonostante il ruolo di stagiaire e il breve tempo a mia disposizione, credo di aver impostato delle buone basi per una relazione di fiducia, anche se non è stato facile. La fiducia è “… un sentimento essenziale per una buona pratica di cura perché è la condizione necessaria… Quando chi-riceve-cura si sente investito di fiducia, allora si affida all’altro.” ( Mortari. 2006,p 138). È necessario avere della flessibilità, la rigidità non porta a scoprire che giocando è possibile divertirsi. “…non è solo imponendo il rispetto delle regole del mondo adulto che si promuove un processo educativo.” (Bisogni. 1999, p94) Da subito ho dovuto essere elastica e capace di modificare il gioco che avevo progettato. Ogni attività svolta con i bambini è stata plasmata in base alle loro capacità e al loro stato d’animo. La creatività è stata ciò che mi ha aiutata a sperimentare e quindi reinventare quando qualcosa non andava bene. Ad esempio ho dovuto aggiungere delle nuove regole per limitarli e aiutarli a divertirsi. Una qualità che penso sia importante per un educatore professionale è quella di avere una globalità di osservazione e vedere l’ospite attraverso più prospettive, conoscere l’Altro sotto diversi punti di vista in modo completo.

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Un altro aspetto importante per la riuscita del Progetto è stato entrare in contatto con la mia parte infantile non trascurando la parte adulta, positiva e responsabile. Il gruppo di bambini internati al CPE è riuscito a conoscere il piacere del gioco. Per tutti i bambini, in generale, la scoperta del gioco è racchiusa nelle mani dell’adulto, egli deve possedere una certa empatia per entrare, partecipare e assistere il gioco stesso. Non si deve voler controllare eccessivamente la situazione e pretendere di fare come si è stabilito, è necessario avere un atteggiamento di ascolto, di attenzione ai bisogni e alla realtà emotiva del singolo bambino. Nella relazione educativa è importante impostare l’intervento sul voler “FARE CON” e non sul “FARE PER”. Questo è lo strumento che un buon educatore deve utilizzare nella quotidianità con l’Altro, la relazione è mediata attraverso l’azione. Utilizzando il gioco come strumento, sono riuscita a far sperimentare ai bambini anche il divertimento. “…il divertimento procurato dai giochi aiuta molto a creare un’identità di gruppo. Attraverso il divertimento si raggiunge più facilmente una coesione di gruppo e un’atmosfera aperta di accettazione reciproca.” (Loos. 2003. P.15) Ho lavorato a stretto contatto con un’équipe multidisciplinare. Da ogni operatore ho appreso interventi educativi utili per lavorare con un tipo di utenza che non conoscevo; ad esempio ho imparato: ad avere pazienza (sono bambini difficili e per comunicare a volte utilizzano solamente l’agito e non la parola), ad essere sicura in quello che faccio (l’insicurezza i bambini la sentono subito e non aiuta la relazione), a mettere dei limiti nell’aiutarli per non farmi invadere dalle loro angosce, paure ed emozioni. Mi sono confrontata con degli “psico-educatori” che hanno una formazione come psicologi, ognuno di loro segue una corrente di pensiero diversa. Chi ha un orientamento più sistemico e osserva, considera non solo l’utente ma anche la famiglia, le dinamiche e le regole che si sono instaurate, cerca di intervenire sull’intero sistema. Chi ha un orientamento più psicoanalitico e cerca di interpretare quello che l’Altro vive, sente. Chi ha un orientamento più cognitivo-comportamentale e interviene solo sul sintomo che ha l’utente. All’inizio pensavo che avessero un ruolo e un compito diverso dal mio, avevo il timore di confondere il mio mandato e di sbagliare, a volte mi sono sentita confusa e disorientata. Dopo alcuni mesi di stage ho compreso che per aiutare i bambini nel modo più completo le diverse figure devono collaborare in un’azione sinergica. L’operatore presente al CPE ha una funziona di specchio, egli riflette il mondo interno del bambino, diventa un IO ausiliario. L’IO del bambino è molto fragile e deve essere aiutato a capire il proprio atteggiamento e le motivazione del suo comportamento. Ma non solo ha anche il compito di offrire delle “…occasioni di sublimazione, indirizza cioè verso mete produttive gli impulsi infantili, anche quelli distruttivi, per esempio attraverso attività

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agnostiche o di esplorazione e, per fare ciò si propone come Super-Io, che non collude mai con gli impulsi più primitivi, ma indica la via per governarli e modularli a fini costruttivi.” (Bondioli. 2007,p 91) Le diverse esperienze lavorative affrontate in questi tre anni di Supsi, la teoria appresa nei diversi moduli, mi hanno permesso di formare e ampliare le competenze e le conoscenze, “l’operatore sociale deve certamente possedere modelli teorici di riferimento, ma questi sono vuote carcasse terapeutiche se non sono animate da desiderio di cura e capacità di chinarsi al letto dell’altro sofferente e ferito…” 36 Per crescere sono state importanti le supervisioni svolte durante gli stage che mi hanno dato l’opportunità di compiere un lavoro personale con me stessa. Ho imparato a conoscermi, a comprendere i miei limiti, a saper affrontare le mie paure e a prendermi cura di me stessa. “Aver cura di sé significa prendere in mano il problema dell’esistenza; … Noi non nasciamo già compiuti, perfetti, com’è per la condizione divina. Nasciamo invece addossati del compito di divenire il nostro essere più proprio, e questo divenire chiama a una continua scelta fra possibilità differenti di essere.” (Mortari. 2006,p 149)

                                                                                                               36 Documentazione del modulo “Prima infanzia e Nido”. A cura della professoressa Ornella Manzocchi. Corso di Laurea anno 2012- 2013

“Il bambino che non gioca non è un bambini, ma l’adulto che non gioca ha perso per sempre il

bambino che ha dentro di sé.”

Paolo Neruda

 

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7. Bibliografia  

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- Bruner, J.S., Jolly, A., Sylva, K. 1981. Il Gioco. Roma. Armando

- Carey. M, 2013. “La mia tesi in servizio sociale”. Trento. Erickson

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- Documentazione del modulo Cicli di Vita. A cura di Lavizzari, P. Corso di laurea in

Lavoro Sociale. Manno. 2012- 2013.

- Documentazione del modulo Pratiche d’intervento Educativo. Adolescenza. A cura di Lavizzari, P. corso di laurea in Lavoro Sociale. Manno. 2014-2015

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- Documentazione del modulo Prima infanzia e Nido. A cura di Manzocchi, O. Corso di laurea in Lavoro Sociale. Manno. 2012- 2013.

- Falabella, M. 2002. ABC della psicopatologia. Esplorazione, individuazione e cura

dei disturbi mentali. Roma. Edizione scientifiche Magi.

- Freud, A. 1965. Normalità e patologia. Milano. Feltrinelli. 56-81

- Freud, S. 1998. Introduzione alla psicoanalisi. Torino. Bollati Boringhieri.

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- Loos, S. 1996. L’importante è partecipare: giochi di cooperazione. Torino. Elle Di

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- Loos, S. 1998. Novantanove giochi cooperativi. Torino. Edizione Gruppo Abele.

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- Maida, S., Molteni, L., Nuzzo, A. 2014. Educazione e osservazione. Roma. Carocci.

- Mortari, L. 2006. La pratica dell’aver cura. Milano. Bruno Mondadori.

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- Marcato, P., Del Guasta. C., Bernacchia, M. 2003. Gioco e dopogioco. Molfetta. Edizione la meridiana.

- Magnolfi, G. 2009. Presentazione dei CPE: Centri Psico-Educativi in Ticino, Un

modello di Hôpital de Jour per bambini con disagio psichico. Sopraceneri: SMP.

- Marcoli, A. 2007. Il bambino lasciato solo. Milano. Mondadori.

- Marcoli, A. 1996. Il bambino arrabbiato. Milano. Mondadori.

- Magnolfi, G. 2009. CPE: elementi costitutivi, la dinamica terapeutica istituzionale, la presa a carico globale, terapeutico-pedagogico-educativa di un Hôpital de Jour per bambini. Sopraceneri: SMP.

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- Piaget, J. 1962. Il linguaggio e il pensiero del fanciullo. Trad, It., Firenze. Giunti Barbera.

- Piaget, J. 1972. La formazione del simbolo nel bambino. Firenze. La Nuova Italia.

- Portmann, R. 2000. Anche i cattivi giocano: giochi per gestire l’aggressività.

Molfetta. Edizione la meridiana.

- Ruda, E. 2015. Elaborazione della futura esperienza di stage al CPE di Stabio, Laboratorio di pratica professionale-Educatore sociale, Manno: SUPSI/DSAS.

- Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana. 2014. Giuda alla

redazione della Tesi di laurea. Corso di Bachelor in lavoro sociale. Manno: Dipartimento delle scienze aziendali e sociali.

- Tuffanelli, L., Ianes, D. 2003. Formare una testa ben fatta: Edgar Morin entra in

classe: giochi di ruolo e didattica per problemi. S.I. Erickson.

- Terzi, A. 2006. Giochi per ridere: educare gli adolescenti divertendosi. Molfetta. Edizione la meridiana.

- Vygotskij, L.-S. 2011. Pensiero e linguaggio. Milano. Corriere della sera.

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ALLEGATI:

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Allegato n°1: Attività ludica svolta durante gli ultimi due mesi di stage.  Obiettivo del mio progetto: GIOCARE INSIEME. La spiegazione dei giochi si trova nell’allegato n°2. All’inizio dello stage ho svolto un periodo di osservazione al CPE di Stabio. Conosciute le varie dinamiche di lavoro e l’organizzazione della giornata sono stata colpita dal MIR (Momento Interno Ricreativo), un momento ludico per i bambini che sono in internato, è svolto dalle sedici alle diciotto, dal lunedì al giovedì. I bambini in questo spazio di tempo cercano di giocare insieme, ma la maggior parte delle volte litigano, si fanno del male, si annoiano o si “eccitano” eccessivamente. L’operatore deve così intervenire mettendo dei limiti, magari anche con dei castighi. Mi sono chiesta allora: “Perché non cercare di strutturare quel momento in modo giocoso, divertente e insegnandogli a stare insieme con il gioco?”. Dopo un breve periodo di adattamento, conoscenza dell’ambiente e dei bambini gli operatori della struttura mi hanno permesso di svolgere delle attività ludiche due volte la settimana: il Martedì e il Giovedì. Così ho selezionato dei giochi partendo da alcune considerazioni che poi ho tenuto sempre presente durante tutte le attività. Innanzi tutto i giochi avrebbero dovuto essere di movimento e non da tavolo, il MIR è un momento di svago, durante il quale i bambini possono muoversi, agitarsi, sfogarsi per poi tranquillizzarsi per la serata. Ho così selezionato delle attività ludiche di diverso genere, sia di competizione sia solo di cooperazione, dove cioè non ci sono né vincitori né vinti. Inoltre ho cercato si selezionare giochi da fare sia all’aperto sia al chiuso, con la musica o con altri oggetti come palline, palle, cappelli, sedie, tutto questo perché ho voluto sperimentare come i bambini si sarebbero comportati in attività ludiche di diverso genere. La ricerca non è stata semplice perché i bimbi in internato sono quattro, tre bambini e una bambina, quindi i giochi selezionati avrebbero dovuto essere svolti solo da quattro partecipanti; quelli di mia conoscenza e che di solito faccio fare richiedono, infatti, la partecipazione di almeno dieci giocatori. Dal 2014 i maschi dormono al centro e sono quindi insieme da circa due anni, a gennaio 2015 è arrivata al CPE la bambina. Per cercare di rendere il mio elaborato più scorrevole e comprensivo ho deciso di assegnare ai bambini dei nomi fittizi così da tutelarne la privacy. Il più grande si chiama Luca, poi c’è Edo, il più piccolo Lillo e la bambina si chiama Lisa, hanno un’età compresa dai sei agli otto anni.

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I giochi che ho dovuto selezionare sono indicati per un’età inferiore ai sei anni perché le loro difficoltà, i loro disagi li hanno portati ad avere capacità inferiori rispetto alla loro reale età. I bambini non sono in grado di stare insieme, a turno c’è chi vuole decidere sempre tutto dalle regole, a cosa fare, come farlo e cosa dire; non sanno trovare un compromesso, non sopportano la frustrazione del perdere, non giocano insieme per il piacere di farlo. Molte volte si dividono in due gruppi oppure Luca, Marco e Lisa escludono il più piccolo Lillo.

Quando ho iniziato il progetto, ho selezionato una ventina di giochi, li ho studiati e ho valutato delle possibili modifiche, ricordandomi sempre che il mio obiettivo è “FARLI GIOCARE IN GRUPPO”. È stato importante anche considerare che in quel contesto così delicato, i bambini sono molto sensibili ai cambiamenti e alle variazioni, come ad esempio l’assenza di un educatore; così prima di proporre qualche attività mi sono sempre informata con gli operatori presenti di come è andata la giornata, come stavano loro e se c’è stato qualche evento particolare. Ogni giorno è molto imprevedibile e avere un programma fisso è un limite, così mi sono creata una mappa di attività che potevo modificare e proporre in base allo stato d’animo dei bimbi, ad esempio se i bambini erano troppo agitati, ho proposto giochi più cooperativi e meno competitivi. Ogni gioco che ho proposto l’ho iniziato io, così i bambini hanno visto quello che si doveva fare e sono stati più disponibili, attenti e partecipi. Ora vado a spiegare nel dettaglio quello che ho svolto nei mesi di stage. Ogni attività da me proposta ed eseguita è sempre iniziata con un’ipotesi, poi un’osservazione per finire con il risultato e l’analisi di quello che è successo. Prima di finire il momento di lavoro mi sono preparata la nuova ipotesi per la volta successiva. Così dal 12 febbraio fino alla fine di maggio ho svolto per due volte la settimana, il martedì e il giovedì, l’attività ludica chiamata dai bambini” I GIOCHI DI ELISA”. A volte è capitato che svolgessi quest’attività anche il lunedì pomeriggio.

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1. Ipotesi iniziale: (1 unità)

Ho deciso come primo gioco di proporre “CHE ORE SONO SIG. LUPO”. Ho considerato solo un gioco perché volevo capire come si sarebbero comportati e come avrebbero accolto questa novità. - Mi avrebbero ascoltato? - Avrebbero rispettato le regole? - Per quanto tempo saremmo riusciti a giocare? Per loro e per me era la prima volta che cercavamo di stare insieme, era perciò importante sperimentare e iniziare a conoscerci.

2. Osservazione:

Quando sono arrivata sul piazzale del CPE vedo i bambini che stanno giocando con le bici in modo libero, Luca il grande del gruppo, che ha otto anni, si sta imponendo e vuole controllare tutto, da cosa fare a come giocare, escludendo chi non accetta le sue regole. Dopo un breve momento di osservazione e dopo aver notato che come sempre lentamente i bambini, si stavano dividendo, agitando, disorganizzando ho deciso di intervenire. Sono all’inizio dello stage e non mi conoscono abbastanza, devo riuscire a conquistare la loro attenzione per poi iniziare con il mio progetto ludico. Ho deciso di iniziare con una staffetta in bici, non ho voluto introdurmi drasticamente e interrompere qualcosa che loro avevano iniziato abbastanza bene, anche se con il passare del tempo, per le loro difficoltà a relazionarsi con gli altri, all’accettare le idee diverse e per la loro onnipotenza, stava terminando. Dei quattro bambini mi hanno seguito solo in due. Ho iniziato con loro e facendo questa mini staffetta, si stavano divertendo, mi ascoltavano e seguivano quello che dicevo, allora ho deciso di proporre il gioco che avevo preparato (CHE ORE SONO SIG. LUPO). Ho spiegato le regole ai due bambini che mi hanno seguito e abbiamo iniziato la partita, subito dopo ci hanno raggiunto anche gli altri due abbastanza incuriositi. Allora ho chiesto ai due giocatori di poter rispiegare le regole e giocare insieme. Risultato: Durante l’attività i bambini hanno giocato insieme per circa dieci minuti, ci sono state alcune difficoltà nel rispettare le regole, nello stare insieme e nell’accettare di perdere.

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Analisi: Più volte sono dovuta intervenire per rispiegare le regole e i limiti. I bambini spesso non hanno accettato di essere presi e quindi ho dovuto inserire: La variante: se sono presi, non sono eliminati dal gioco, ma diventano degli aiutanti, cambiano posizione, ma hanno comunque la possibilità di vincere. Lillo si è messo a piangere più volte non accettando né di diventare lupo, né di essere preso o di perdere, alla fine ha abbandonato il gioco scappando. Io sono stata parte attiva durante tutto il gioco, ho cercato di far vedere ai bambini che quando si è presi non succede nulla e che è bello giocare comunque.

3. Nuova ipotesi:

Dopo aver svolto questo gioco, sono stata molto in dubbio su cosa poter proporre la volta successiva, i bambini hanno pianto, hanno giocato solo per una decina di minuti, stare insieme per loro è stato molto complicato. Qualche giorno dopo, però i bambini mi hanno chiesto di giocare loro stessi a “CHE ORE SONO SIG. LUPO”. Ho osservato, con mio grande piacere, che si sono ricordati le regole e sono riusciti a giocare per più tempo, a rotazione hanno chiesto di fare il lupo, Lillo invece non ha voluto sostenere il ruolo importante. È stato necessario far passare del tempo perché i bambini potessero ripensare al gioco e assimilarlo come un momento piacevole. Per il prossimo momento ludico ho deciso di proporre un gioco di competizione a squadre con le palline, un gioco di movimento nel quale le squadre sono composte anche dagli educatori, i bambini non saranno soli e l’operatore può aiutarli a superare le difficoltà.

1. Ipotesi iniziale: (2 unità)

Il secondo gioco si chiama “CAMPO PALLA”. Durante quest’attività un operatore si è messo volentieri a giocare con i bambini, elemento importante per la riuscita del gioco, per me è importante, infatti, che i bambini imparino a conoscere il coinvolgimento e il piacere che c’è nel giocare. È stato un gioco ideato per cercare di accompagnarli a imparare a giocare insieme. Non ho avuto molte preoccupazioni sulla riuscita del gioco perché i bambini erano tutelati dalla nostra presenza attiva.

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2. Osservazione:

Ho diviso i bambini in due squadre ripensando alle loro diverse caratteristiche e ho unito quelli che non giocavano mai insieme, Luca con Lillo e Lisa con Edo. Questo mi ha permesso di vedere come i bimbi sono riusciti a stare insieme. C’era un bel clima di gioco ognuno ha sostenuto la propria squadra e ha cercato di incoraggiarla.

Risultato: I bambini hanno accettato le diverse regole del gioco, le hanno rispettate e sono riusciti a disputare tre partite in circa trenta minuti.

Analisi: Noi operatori abbiamo fatto da garanti nel far rispettare le regole e nel contenere le loro frustrazioni. Essere noi operatori dei giocatori attivi ha permesso ai bambini di vedere, come ad esempio, lanciare le palline o come reagire in caso di perdita. Le due squadre erano abbastanza unite, i bambini hanno giocato per lo stesso obiettivo: cercare di vincere.

3. Nuova Ipotesi:

I bambini hanno giocato bene insieme, si sono divertiti, hanno svolto un’attività senza litigare, arrabbiarsi o abbandonare il gioco. Per la volta successiva ho pensato di provare a fare un gioco dove ci sia un impegno più individuale, il vincitore sarebbe stato solo uno di loro. Il gioco si chiama “RAGNO” ed è strutturato un po’ come il primo gioco svolto “ CHE ORE SONO SIG. LUPO.” Ho fatto questa scelta perché oltre ad imparare a giocare insieme devono accettare che ci sia un solo vincitore.

1. Ipotesi Iniziale: (3 unità)

Il gioco che ho scelto è abbastanza competitivo, il vincitore è solo uno, bisogna riuscire ad accettare di essere presi; anche in questo caso ho deciso di inserire la variante che chi è preso non è subito eliminato, ma diventa un aiutante. Ho proposto un solo gioco e ho deciso di procedere per gradi e lentamente, rispettando i loro tempi, per permettergli di abituarsi al fatto che sono io che propone, da le regole e i limiti.

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L’obiettivo comunque è quello di riuscire a stare insieme giocando per più tempo possibile.

2. Osservazione:

Il gioco che ho scelto si chiama RAGNO, quando l’ho proposto ai bambini, mi sono sembrati curiosi e contenti. Ho spiegato bene le regole e abbiamo iniziato a giocare.

Risultato: Siamo riusciti a giocare insieme solo per quindici minuti. Il più piccolo del gruppo spesso si è messo a piangere e non accettando di essere preso, urlava e non si muoveva, non voleva né uscire dal gioco, né però rispettare le regole. Per lui si poteva solo vincere. L’unica bambina ha avuto all’inizio qualche difficoltà nell’accettare di essere presa, ma poi con la variante che se presi si diventa aiutante, è stato più facile accettare e continuare a giocare. Nessuno riusciva o voleva rispettare le regole.

Analisi: Terminata la partita, ho pensato che fosse stato un gioco troppo difficile per il loro livello di capacità ludica. Il dover diventare un ragno per “finta” poteva aver suscitato delle paure come quella di esserlo per davvero o di essere mangiato. Ho passato molto tempo a cercare di consolare chi piangeva e non ho percepito se si sono divertiti. Come nuovo gioco non è andato molto bene. Nonostante ciò qualche giorno dopo, in mia assenza, i bambini si sono organizzati e hanno chiesto all’operatore presente di poter giocare nuovamente a RAGNO; sono riusciti a spiegarsi le regole e a giocare tutti insieme un paio di volte. Ho pensato quindi che i bambini hanno bisogno di tempo per capire e metabolizzare il gioco come divertimento.

3. Nuova Ipotesi:

Sapere di dover far una visita a un genitore o il dover andare a casa per la fine settimana possono causare agitazione, angosce, paure durante le attività. Tutto questo, a volte, mi ha portato a dover terminare l’attività anticipatamente o ad avere la sensazione che quello proposto fosse un enorme fallimento. Ho imparato che questi bambini hanno bisogno di sperimentare più volte lo stesso gioco, quindi non devo demoralizzarmi o basarmi solamente sulle loro prime reazioni, spesso negative e poco incoraggianti.

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Per le prossime volte ho deciso di scegliere i giochi in base alla situazione che trovo in quel momento.

1. Ipotesi Iniziale: (4 unità)

Un giorno, quando sono arrivata per svolgere la mia attività, mi ha colpito molto trovare i bambini divisi, Lillo isolato rispetto agli altri che stava strappando le margherite. Ho cercato allora un modo per unirli facendo un gioco insieme. Ho pensato a uno in cui non ci fosse competizione perché l’umore dei bambini era agitato e bisognava ricompattarli. Ho proposto l’attività “UOVO MARCIO”, senza una reale motivazione insieme ai bambini abbiamo poi deciso di rinominarlo “LO SQUALO”. Luca ha reagito subito dicendo che con me non avrebbe giocato perché non ho proposto dei bei giochi, come sempre voleva imporre le sue regole dettando legge sugli altri ed io sono arrivata a rovinargli il tutto. Accettare regole da altri per lui è molto difficile, si è allontanato, ma ci ha guardato. Ho iniziato il gioco con gli altri tre bambini e un’altra educatrice.

2. Osservazione:

Ho spiegato le regole e poi ci siamo messi seduti per terra in cerchio e abbiamo iniziato a giocare. Luca ci ha osservato, ci ha girato intorno ma non ha accettato di giocare, per decidere di unirsi a noi ha impiegato circa venti minuti.

Risultato: Siamo riusciti alla fine a giocare insieme per più di quaranta minuti e per non annoiarli ho inserito delle modifiche al gioco come urlare più forte, stare il più fermo possibile o fare la faccia più brutta. Si sono divertiti e mi hanno chiesto di fare anche un altro gioco. Ho proposto allora “BALLI A COMANDO”, anche in questo non c’è competizione e hanno giocato bene.

Analisi: I giochi senza competizione sono accettati e accolti molto più volentieri, nessuno vince e quindi non devono confrontarsi con la frustrazione del dover essere eliminati o del perdere.

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3. Nuova ipotesi:

Con il passare del tempo, ho conosciuto sempre di più i bambini e le loro difficoltà. Non ho programmato più i giochi da fare, ma ho deciso che ogni volta avrei iniziato con il gioco fatto la volta precedente. Questo ha permesso AI BAMBINI di memorizzare bene il gioco e A ME di osservare come si comportavano, valutando se fosse possibile introdurre giochi e regole nuove.

1. Ipotesi Iniziale: (5 Unità)

Dopo aver giocato a un vecchio gioco “ LO SQUALO”, propongo una variante di “CAMPO PALLA”: i bambini sempre divisi in due squadre, invece di lanciare le palline nei campi opposti, al mio via avrebbero dovuto raccogliere tutte le palline (erano delle uova e loro erano le galline) e dovevano portarle nel loro sacco, avrebbe vinto la squadra che ne raccoglieva di più. Gioco con competizione.

2. Osservazione:

Abbiamo giocato in modo abbastanza piacevole, anche se ho percepito una sottile agitazione e malessere in ognuno di loro. Terminato il gioco, ho preso i due sacchi e ho fatto il gioco della bilancia, cioè il sacco che pesava di più era dei vincitori.

Risultato: Luca appena ha capito che aveva perso si è messo a urlare ed è scappato.

Analisi: Le attività che quei quattro bambini preferiscono sono sicuramente quelle non competitive, per tutti i bambini è difficile accettare di perdere, per loro lo è ancora di più. Questa loro difficoltà mi motiva nel cercare di sperimentare e alternare nuovi giochi sia competitivi sia no.

3. Nuova ipotesi:

Mi piacerebbe costruire con loro un gioco. Il tempo è brutto e si deve stare all’interno, allora ho deciso di proporre “PESCI FRITTI IN PADELLA”.

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Un gioco dove la competizione è limitata, non si corre e quindi non si stimola eccessivamente l’agitazione, si deve utilizzare altre abilità fisiche come ad esempio il fiato. Ho deciso di far sperimentare al gruppo un altro modo di stare insieme e di giocare, perché lentamente è riuscito a stare unito per più tempo. Ho preso in considerazione anche il fatto che nei giochi di movimento Lillo, essendo abbastanza robusto, non riesce a vincere.

1. Ipotesi Iniziale: (6 unità)

Il giorno prima, ho preparato delle sagome di pesci, insieme le abbiamo ritagliate e poi colorate, con i pesci pronti abbiamo iniziato a giocare. Mi sono preoccupata per come avrebbe potuto reagire Luca, un bambino che ha otto anni e non è scolarizzato, stare seduto, fermo e colorare è per lui una richiesta molto impegnativa.

2. Osservazione:

Ho distribuito le sagome insieme a un’altra educatrice e ci siamo messi a colorare, tutti hanno accettato volentieri. Con mio grande piacere Luca ha colorato più di tutti e perfettamente, senza macchiarsi e senza sporcare il pesce. Una volta pronti i pesci abbiamo iniziato il gioco.

Risultato: Tutti hanno rispettato le regole, ognuno ha aspettato il proprio turno senza lamentarsi. Tutti convolti si sono davvero impegnanti molto dall’inizio alla fine dell’attività. Quando non era il loro turno di gioco, hanno accettato di aiutare noi educatori a tenere il conto di quanti pesci entravano nella padella e di tenere il tempo.

Analisi: Ognuno ha potuto sperimentare una nuova capacità, cioè la respirazione, ha vinto chi riusciva a soffiare più forte. Siamo riusciti così a giocare per più di quaranta minuti, svolgendo diverse partite. Chi non è arrivato primo ha sempre accettato il proprio posto nella classifica, hanno migliorato la tecnica provando più volte il gioco. Luca verso la fine ha avuto difficoltà nell’accettare di arrivare ultimo e penultimo, quindi dopo qualche “scenata” abbiamo dovuto interrompere l’attività ed evitare così che scoppiasse una crisi.

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3. Nuova ipotesi:

Con il passare del tempo le attività ludiche sono diventate sempre più piacevoli. I bambini hanno accettato volentieri le mie proposte. Al mio arrivo c’è sempre molta impazienza nel voler conoscere l’attività che verrà svolta.

1. Ipotesi Iniziale: Inizio Maggio (7 Unità)

Luca è assente, ha preso l’influenza ed è rientrato a casa, essendo rimasti tre bambini ho aspettato a proporre un’attività. Dopo circa dieci minuti i bambini mi hanno chiesto di giocare a RAGNO. Ho accettato molto volentieri perché ero curiosa di quello che sarebbe potuto succedere, considerando che la prima volta hanno pianto, sono scappati e hanno interrotto il gioco subito.

2. Osservazione:

L’assenza di Luca ha permesso di avere un clima più tranquillo, i bambini collaborano di più, riescono a stare insieme facilmente e sono meno agitati.

Risultato: Dopo avere ripetuto le regole, i limiti del campo abbiamo iniziato a giocare a “RAGNO”, il più piccolo del gruppo è riuscito ad accettare di essere preso e ha voluto fare anche lui il ragno.

Analisi: Vi era la dimensione più del piacere, dello stare insieme e del divertirsi. Con l’assenza di Luca ci sono state meno frustrazioni, conflitti e un livello di competizione inferiore. Poiché il gioco precedente è andato bene, i bambini sembravano disponibili e il clima molto sereno mi ha permesso di proporre una nuova attività “PALLA CHIAMATA”. Come gioco ha una difficoltà minima, non è eccessivamente impegnativo o non ha troppe regole da dover seguire.

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2. Osservazione: Ho iniziato a spiegare le regole, ma prima di capirle bene le ho dovute ripetere per una decina di volte. Il procedimento è sembrato complicato, ma solo perché erano molto distratti e poco concentrati. È stato difficile riuscire ad avviare la partita.

Risultato: Una volta capito il procedimento, siamo riusciti a giocare un paio di volte, abbastanza bene, anche se Lillo è rimasto distratto e spesso in difficoltà.

Analisi: Penso che il primo gioco “RAGNO”, sia stato molto impegnativo a livello fisico, cioè ci voleva una forte resistenza fisica e più fiato; il campo era molto più grande delle altre volte e questo ha portato a dover correre molto di più per non farsi prendere. Rispetto alle altre volte si sono stancati sicuramente di più. Non sono abituati a correre per così tante tempo. Svolgere un’attività ludica può comportare: avere una resistenza fisica, cioè essere veloci per evitare di farsi prendere e rispettare le regole, accettare di essere preso e di perdere. Sono tanti obiettivi e per bambini come loro possono essere difficili da gestire. Il primo gioco è andato bene, lo conoscevano già. Il secondo, è stata una novità, erano abbastanza stanchi dal gioco precedente e tutto era più difficile. C’era chi cercava di imbrogliare e chi si era chiuso in se stesso, li ho dovuti riprendere un paio di volte motivandoli a giocare.

3. Nuova Ipotesi:

Le attività vanno sempre meglio, i bambini sono sempre più disponibili alle novità. Sono desiderosi di imparare, sperimentare e divertirsi. Attraverso momenti ludici strutturati si percepisce sempre di più il piacere di stare insieme. Le “crisi” sono sempre meno presenti e riescono a trovare da soli delle soluzioni per superare la frustrazione, come ad esempio: “Se perdiamo, non importa” o “è importante giocare”, si sostengono e si aiutano.

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1. Ipotesi iniziale: (8 Unità)

Per la prossima volta, ho pensato d’iniziare con un gioco che conoscono, questo per cercare di rassicurarli. Voglio provare a svolgere due giochi nuovi. “IL PARACADEUTE” è un gioco cooperativo, serve per vedere il loro livello di collaborazione, il secondo gioco è “DA ZATTERA A ZATTERA” è un gioco competitivo e il vincitore è solo uno.

2. Osservazione:

Il tempo era brutto, abbiamo disputato una partita all’interno a un gioco conosciuto, poi ho proposto “Il PARACADUTE”. Il gioco consiste in un grande telone che bisogna agitare prima lentamente e poi gradualmente sempre più veloce. Ci siamo messi in cerchio, ho spiegato le regole e abbiamo iniziato con un riscaldamento, davo dei comandi e dovevano rispettarli. Mi seguivano e ascoltavano. Sono stati tutti molto collaborativi.

Risultato: Si sono aiutati a vicenda e siamo riusciti a svolgere diverse partite. I più grandi hanno aiutato i più piccoli. L’eccitazione è stata sempre molto controllata, hanno potuto sfogarsi, urlare e saltare. Analisi: Vederli stare bene insieme è bello. Ridono, scherzano e giocano insieme senza litigare e lamentarsi. Tuttavia la mia presenza è importante perché hanno la possibilità di eccitarsi e nello stesso tempo di essere contenuti.

Secondo Gioco:

Risultato: Dopo aver spiegato le regole, abbiamo iniziato il secondo gioco “DA ZATTERA A ZATTERA”. Hai bambini è piaciuto molto e abbiamo fatto più di quattro partite. Quando qualcuno veniva eliminato, ha accettato di uscire dal gruppo, assumendo un altro ruolo e diventando il mio assistente. Variante importante che ho inserito per far accettare l’uscita dal gioco.

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Analisi: Hanno giocato insieme, ridevano e scherzavano, mi hanno ascoltato e il clima era tranquillo e piacevole. È stato interessante osservare, che con i loro limiti e difficoltà sono ora in grado di giocare.

3. Nuova Ipotesi: (9 Unità)

Le attività vanno sempre meglio, ci sono momenti più armoniosi, dove c’è più voglia di stare insieme. I bambini anche con la mia assenza propongono i giochi. Riescono a occupare il MIR stando insieme per più tempo in modo sereno.

1. Ipotesi iniziale:

Per la prossima volta ho pensato di fare un gioco con bambini e educatori, vorrei vedere come i bambini reagiscono aumentando i giocatori.

2. Osservazione:

Sono arrivata in sala giochi e i bambini stavano giocando insieme a un gioco in scatola. Hanno disputato diverse partite, riuscendo a stare insieme. Sono riusciti a organizzarsi, quindi ho pensato di non intervenire a interrompere quel momento. Nel gioco in scatola Luca, per dichiarare il vincitore, ha utilizzato il gioco della bilancia che avevo fatto io in precedenza. Trenta minuti dopo, si sono divisi in due coppie e hanno iniziato attività differenti disorganizzandosi, ho deciso perciò di intervenire e ho Proposto IL CESTINO DI FRUTTA.

Analisi: Abbiamo riordinato la sala giochi e ci siamo messi in cerchio. Ho spiegato le regole e abbiamo iniziato l’attività.

Risultato: Lillo era quello con più difficoltà nel seguire il gioco, spesso si alzava senza essere chiamato, non ascoltava. È stato necessario riprenderlo più volte, ho avuto la sensazione che fosse chiuso nel suo mondo. Tutti gli altri hanno giocato bene, una volta capito il meccanismo si sono divertiti. Abbiamo giocato insieme per più di venti minuti.

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3 Nuova ipotesi: (10 Unità) Per svolgere i giochi, una regola importante è che devono partecipare tutti e quattro. Questo ha invogliato i bambini a doversi cercare per giocare. Ogni volta attraverso un gioco acquisiscono uno strumento in più per stare insieme.

1. Ipotesi iniziale:

I bambini sono molto felici del momento che facciamo insieme e delle attività che propongo. Si sta avvicinando la fine del mio stage, per la prossima volta vorrei chiedere a loro di scegliere dei giochi già fatti per vedere se si ricordano le prime attività svolte.

2. Osservazione:

Mi hanno accolto con molto entusiasmo. Mancava Edo perché in quel momento era ancora in camera a fare i compiti. Ho chiesto ai bambini di scegliere un gioco e di iniziare a farlo mentre aspettavamo Edo. Hanno deciso di giocare a RAGNO. Hanno preparato il campo, ma volevano farlo troppo grande, così gli ho spiegato che cosa comportava un campo più grande: correre più veloce e stancarsi subito. Dopo le spiegazioni hanno accettato il compromesso di non allargarlo troppo. TUTTI e tre HANNO PARTECIPATO CON ENTUSIASMO, RISPETTANDO LE REGOLE, ACCETTATO DI ESSERE PRESI e PERCIÒ DI POTER PERDERE. Dopo alcune partite hanno proposto di giocare a PALLA CHIAMATA. Questo gioco Luca non lo conosceva perché quando l’ho spiegato era assente. È arrivato Edo, ho chiarito nuovamente le regole e abbiamo giocato insieme. Lillo è stato molto partecipe all’attività, non come la prima volta che spesso era necessario richiamarlo. Terminato il gioco, i bambini non erano stanchi e volevano farne un altro. Ho deciso di proporre: “I QUATTRO CANTONI”.

Analisi: Il gioco non era difficile, abbiamo disputato diverse partite. Ci siamo divertiti e siamo stati insieme per quasi tutto il tempo del MIR, cioè circa due ore. La loro resistenza è migliorata notevolmente, accettano e riescono a gestire abbastanza bene la frustrazione del perdere. Si cercano sempre di più per giocare insieme e divertirsi.

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3.Nuova ipotesi: (11 unità) Con la regolarità, le varianti inserite e la costanza nel proporre i giochi sto raggiungendo l’obiettivo. I bambini si lamentano meno, hanno più piacere a giocare insieme. La durata del tempo è aumentata sempre di più, accettano le regole e i limiti imposti. Con il tempo stanno imparando a investire nel cercare di provare piacere nel giocare insieme. La mia presenza è tuttavia importante perché garantisce la riuscita del gioco, del rispetto delle regole e dei limiti. Ormai queste sono le mie ultime unità di attività ludica. In queste ultime volte ho deciso di accogliere e ascoltare le richieste dei bambini per vedere le loro preferenze.

1. Ipotesi iniziale:

Lillo e Lisa sono stati in colonia per due giorni, sono da poco rientrati. Non so bene come andrà il MIR, perché i bambini potrebbero essere stanchi e con poca voglia di collaborare. Edo è assente.

2. Osservazione:

Appena arrivata, mi hanno accolto con entusiasmo chiedendomi subito di fare dei giochi. Hanno voluto giocare a “PALLA CHIAMATA”. L’atmosfera era particolare, sembrava che da un momento all’altro qualcuno potesse degenerare, finendo poi per dover interrompere tutto. Lillo per tutto il gioco ha chiesto scusa per qualsiasi cosa, se prendeva la palla, se non la prendeva e se era eliminato. Luca ha giocato bene finché non ha perso, poi si è allontanato dal gruppo, una volta calmato è rientrare a giocare da solo. Lisa era particolarmente dispettosa, ma ha resistito bene a tutto il gioco. Hanno voluto giocare a un gioco nuovo. Ho proposto “REGINA REGINELLA”, un’attività ludica poco impegnativa che non metteva troppa agitazione tra i bambini. Analisi: Per nessuno è stato eccessivamente frustrante, a turno hanno fatto tutti la regina e il re. Risultato: Sono rimasti a giocare insieme per circa un’ora, anche se stanchi dalla giornata e dalla colonia, hanno gestito bene i diversi giochi e le difficoltà.

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Luca ha sempre meno il bisogno di controllare e decidere tutto, sembra accettare con più facilità le proposte e trova delle soluzioni per affrontare la frustrazione della perdita.

3. Nuova ipotesi: (12 Unità)

È sempre importante considerare come sia andata la giornata dei bambini, perché possono subentrare fattori esterni da me incontrollabili. All’inizio della settimana è difficile rientrare nel ritmo del CPE e nelle regole dell’istituto, ma come una volta ripresi subentrano poi le ansie del tornare a casa. Ogni settimana è diversa, perché loro sono bambini unici. Abbiamo imparato a stare insieme, le attività si sono susseguite e il gruppo si è unito.

1. Ipotesi iniziale: Sono arrivata a inizio stage e il MIR era un momento molto caotico e dispersivo; termino questa esperienza lavorativa e ritrovo un momento strutturato, dove i bambini si divertono, si cercano e hanno imparato a giocare insieme. Per l’ultima attività ho un gioco finale da voler proporre: PESCATORI E PESCI. Un ultimo gioco prima di salutarsi definitivamente.

2. Osservazione:

Arrivo sul piazzale del CPE, i bambini mi salutano e mi chiedono a cosa avremmo giocato. Lì invito a giocare tra di loro a uno dei tanti giochi che gli ho insegnato in attesa dell’arrivo di un’educatrice che si è momentaneamente allontanata. I bambini si allontanano e decidono di giocare a RAGNO. Preparano il campo, si ripetono le regole e iniziano a giocare.

Analisi: Durante la partita, sono stata a guardarli da lontano, non avevano bisogno della mia presenza attiva nel gioco. In quel momento stavano riuscendo a superare le difficoltà: rispettare le regole, essere presi o perdere. Solo in un momento sono intervenuta perché Luca ha cercato di imporsi come “capo” del gioco ordinando, dirigendo tutto e tutti. Solo un piccolo intervento e sono riusciti a continuare il gioco.

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Risultato: È bello vedere i bambini giocare insieme in tranquillità e armonia. Io ero lontano e li osservavo, prima era impossibile, avevano bisogno di un garante per riuscire a giocare insieme. Finalmente si percepiva “il piacere del giocare”. Dopo alcune partite i bambini si stavano agitando e ho proposto un ultimo gioco, sono stati bravi a gestire gran parte del MIR da soli e poi hanno accolto bene anche un’altra attività, abbiamo così giocato per tre partite, ridendo e divertendoci. Termino lo Stage con gratificazione, gioia e consapevole di aver raggiunto il mio obiettivo: GIOCARE INSIEME. Non è stato sempre semplice, ho però continuato a provarci e a crederci. Sono bambini con difficoltà, ma hanno diritto di sperimentare e provare il piacere di giocare.

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Allegato n°2 Giochi selezionati e svolti per cercare di raggiungere l’obiettivo:

“GIOCARE INSIEME”.

1. NOME DEL GIOCO: CHE ORE SONO SIGNOR LUPO? N° GIOCATORI: illimitato ETA’: cinque anni in poi MATERIALE: nessuno SPAZIO: terreno piatto REGOLE:

1. Il gioco inizia con il sorteggio di un bambino che deve fare la parte del lupo, questo poi si mette a un’estremità dello spazio di gioco;

2. Gli altri giocatori si dispongono in linea all’estremità opposta e s’identificano nelle pecorelle;

3. Le pecorelle chiedono al lupo: “Che ore sono signor Lupo?”; 4. Il lupo risponde dicendo un’ora, ad esempio “Sono le sei!”; 5. I giocatori allora fanno sei passi muovendosi verso il lupo; 6. Poi chiedono un’altra volta “che ore sono…?” e il lupo dice un’ora, ogni volta fanno

un numero di passi corrispondente all’ora; 7. A un certo punto però il lupo risponde alla domanda dicendo “È ora di cena!” e

correndo cerca di catturare una vittima. Tutti i bambini “pecorelle” scappano e chi è catturato, deve aiutare il lupo al turno seguente a catturare le altre pecorelle.

8. Se il Lupo e gli aiutanti prendono tutte le pecore, vincono tutti i lupi. Invece se le ultime due pecorelle riescono a scappare vincono loro la partita.

9. Si cambia Lupo e s’inizia una nuova partita.

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2. NOME DEL GIOCO: RAGNO N° GIOCATORI: illimitato ETA’: 6-12 anni MATERIALE: nessuno SAPZIO: Uno spazio grande come un prato o un campo da calcio. REGOLE:

1. Un giocatore è il ragno e gli altri le sue prede. 2. Il ragno si mette da un lato del campo e le sue prede dal lato opposto. 3. Il ragno urla “RAGNO!!” 4. Ragno e prede a questo punto iniziano a corrersi incontro, le prede cercano di

raggiungere il lato opposto del campo mentre il ragno cerca di prenderle. 5. Le prede prese diventano aiutanti del ragno fermandosi dove sono state prese,

potranno così aiutare il ragno a prendere altre prede muovendo solamente le mani e le braccia ma senza spostarsi. S’inizia poi un’altra partita.

6. L’ultimo che rimane in campo vince e diventa ragno. 3. NOME DEL GIOCO: PALLA CAMPO N° GIOCATORI: illimitato ETA’: da sei anni in poi MATERIALE: tante palline SPAZIO: Terreno piatto con un muro o un albero per definire il campo REGOLE:

1. Si formano due squadre 2. Si divide un campo a metà e ogni squadra ne occupa una, nel mezzo si butta un

sacco pieno di palline. 3. Il conduttore da il via, le squadre devono lanciare le palline nel campo

avversario per un certo tempo stabilito. Allo scadere del tempo il conduttore dice STOP e tutti devono fermarsi e alzare le mani, chi ha più palline nel proprio campo perde la partita;

4. Si possono disputare diverse partite.

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4. NOME DEL GIOCO: PESCI FRITTI IN PADELLA N° GIOCATORI: illimitato ETA’: cinque anni in su MATERIALE: sagome di pesci, recipiente, tavolo o panchina SPAZIO: sia interno, sia esterno. REGOLE: All’inizio si fanno colorate le sagome dei pesci, ogni bambino deve usare un colore diverso e poi s’inizia la sfida.

1. Uno per volta i bambini devono cercare di soffiare i pesci lungo tutta la panca o tavolo e farli cadere nella padella (viene stabilito un tempo di qualche minuto)

2. Quelli che cadono prima sono eliminati. 3. Se sono toccati con le mani dal bambino sono eliminati 4. Vince chi riesce a mettere più pesci nella padella.

5. NOME DEL GIOCO: DA ZATTERA A ZATTERA N° GIOCATORI: illimitato ETA’: dai sei anni in poi MATERIALE: un foglio di giornale a giocatore SPAZIO: sia interno, sia esterno REGOLE:

1. I fogli di giornali sono sparsi per terra e rappresentano le zattere. 2. I partecipanti devono muoversi nello spazio tra i giornali, con un sottofondo

musicale. 3. Il conduttore dopo un po’ ferma la musica, tutti devono salvarsi su una zattera. 4. Dopo ogni giro si toglie un giornale e le zattere diminuiscono. 5. Si deve riuscire a stare con il maggior numero di persone su una zattera, quella più

numerosa vince. 6. NOME DEL GIOCO: PALLA CHIAMATA N° GIOCATORI: illimitato ETA’: 6-12 anni MATERIALE: una palla SPAZIO: una zona pianeggiante, senza ostacoli. REGOLE:

1. i giocatori si dispongono in cerchio, uno sta nel mezzo.

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2. Quello che è in centro lancia la palla in alto e chiama il nome di uno degli altri, che intanto si allontanano dal centro del cerchio.

3. Quello che è stato chiamato deve correre a prendere la palla e deve urlare STOP. 4. TUTTI si devono fermare, chi resta più vicino a quello con la palla è preso, deve

lanciare lui la palla e chiamare qualcuno. 7. NOME DEL GIOCO: LO SQUALO (questo nome è stato dato dai bambini!) N° GIOCATORI: illimitato ETA’: dai sei anni in su MATERIALE: una palla, un casco, un cappello, un oggetto SPAZIO: sia interno, sia esterno REGOLE:

1. Il gruppo è disposto in cerchio, in piedi o seduto. 2. Un volontario fa un giro intorno al cerchio e improvvisamente lascia l’oggetto che ha

in mano dietro un bambino. 3. Questo è il segnale per il bambino di alzarsi e inseguire il compagno. 4. Se riesce a prenderlo torna al suo posto, altrimenti sarà lui a restare in piedi e a

girare. 5. Il gioco continua finché tutti hanno avuto un turno da squalo o finché il gruppo ha

voglia di giocare. 8. NOME DEL GIOCO: I LEONI ADDORMENTATI N° GIOCATORI: illimitato ETA’: quattro anni in poi MATERIALE: nessuno SPAZIO: sia interno, sia esterno; REGOLE:

1. Un bambino fa il cacciatore, sta in piedi e gira tra i bambini; 2. Gli altri bambini si sdraiano tutti per terra con gli occhi aperti; 3. Il cacciatore deve cercare di far ridere i leoni; 4. Il leone che ride per prima diventa cacciatore; 5. Il gioco finisce quando tutti sono diventati da LEONI a CACCIATORI;

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9. NOME DEL GIOCO: QUATTRO CANTONI N° GIOCATORI: cinque ETA’: da sei anni in su MATERIALE: gessi per segnare i cantoni o cerchi da hula-hoop o da ritmica. SPAZIO: Piano. Si può anche giocare anche in uno spazio grande al chiuso (palestra)

O O

G

O O

REGOLE:

1. Si collocano i quattro cantoni (cerchi col gesso o cerchi veri) ai quattro angoli di un quadrato immaginario.

2. I giocatori sistemati nei cantoni devono scambiarsi di posto tra loro. 3. Chi è in mezzo (G) deve invece cercare di essere più veloce e prendere così il

posto di uno di quelli che si scambiano. 4. Il giocatore a cui viene sottratto il posto va al centro e ricomincia il gioco.

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10. NOME DEL GIOCO: PESCATORE E PESCI N° GIOCATORI: da 15 a 30 ETA’: da cinque anni in poi MATERIALE: nessuno SPAZIO: Terreno piatto e non accidentato. REGOLE:

1. I giocatori-pescatori si dispongono in cerchio e devono catturare i pesci. 2. I pescatori decidono, senza che i pesci lo sappiano, fino a che numero contare, poi

sollevano le braccia e permettono ai pesci di entrare e uscire liberamente nella "rete" (cerchio) mentre loro contano ad alta voce.

3. Quando arrivano al numero convenuto, abbassano le braccia, e tutti i pesci rimasti nella rete sono catturati e diventano pescatori.

4. Il gioco finisce quando tutti i pesci sono stati pescati. 11. NOME DEL GIOCO: REGINA, REGINELLA N° GIOCATORI: al massimo 20. ETA’: da sei anni in poi MATERIALE: nessuno SPAZIO: Terreno piatto con un muro o un albero REGOLE:

1. Un giocatore (La Regina) si mette a distanza di 15 metri da tutti gli altri, appoggiato a un muro.

2. Un giocatore, a turno, tra quelli al fondo del campo dice: "Regina reginella, quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello così grande e così bello?".

3. La Regina risponde dicendo il numero e il tipo dei passi: ES. "passo da leone" passo lungo; "passo da gatto" passo normale; "passo da formica" passo piccolo (della lunghezza di un piede); "passo da gambero" passo all’indietro, etc. La regina deciderà il modo in cui il compagno potrà avvicinarsi a lei.

4. Scopo del gioco è raggiungere la Regina e occuparne il posto. 5. La regina ha in mano l’esito e la durata del gioco, perché può liberamente

assegnare ai bambini i passi più sfavorevoli o favorevoli.

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12. NOME DEL GIOCO: CAPPELLO PAZZO N° GIOCATORI: illimitato ETA’: 5 anni in su MATERIALE: un cappello, una palla, musica SPAZIO: sia interno, sia esterno REGOLE:

1. I bambini sono seduti tutti in cerchio, 2. Si devono passare il cappello con la musica accesa, 3. Quando la musica si spegne, chi ha il cappello in mano è eliminato.

13. NOME DEL GIOCO: PARACADUTE N° GIOCATORI: da un minimo di 5 ad un massimo di 10 ETA’: 5 anni in su. MATERIALE: il telone a forma di paracadute, palline o palle. SPAZIO: sia interno, sia esterno. REGOLE: Il paracadute è un gioco che può essere svolto con diverse varianti.

1. Variante: Ogni partecipante prende il paracadute per un lato quando si dice:

- ONDA: si muove il paracadute muovendolo in alto e in basso, - FUNGO: si alza il paracadute, tutti insieme velocemente. - GHIACCIO: si deve tendere il paracadute lievemente verso di sé. Il telo

diventerà liscio. I bambini devono ascoltare i comandi e stare attenti a non sbagliare.

2. Variante: RILASSAMENTO COLORATO: a turno i bambini si mettono sdraiati sotto il paracadute, chi tiene il telo invece insieme all’adulto lo muove all’inizio lentamente per poi arrivare a muoverlo velocemente creando in questo modo diversi effetti. Dopo qualche minuto chi è sotto esce e chi teneva il telo si sdraia.

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3. Variante:

GIOCO DEI COLORI: il paracadute è a terra. Quando l’adulto pronuncia il nome di un colore i bambini devono posizionarsi sopra ad uno spicchio del colore detto, l’ultimo che arriva viene eliminato.

4. Variante: - I bambini tengono il paracadute per l’estremità. - L’adulto pone delle palline colorate all’interno. - Al via, i bambini devono cercare di tenere tutte le palline all’interno, aumentando

e diminuendo la velocità del movimento del telo. - Devono tenerle tutte all’interno finché l’adulto non arriva a contare fino al

numero dieci. - Arrivato al dieci, i bambini devono buttare fuori tutte le palline agitando il telo

tantissimo.

5. Variante: - I bambini sono divisi in due squadre. - La squadra A e la squadra B. - La squadra A tiene il telo e la squadra B deve correre. - La squadra A alzerà il telo e la B dovrà correre sotto il telo avanti e indietro

senza MAI fermarsi. - La squadra A dopo un po’ abbasserà il telo, chi rimane sotto è preso. - Dopo un paio di partite le squadre fanno cambio di ruolo.

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Allegato n°3: Teoria che ho utilizzato per approfondire il tema della tesi.

Le Diverse teorie sull’attività ludica:

L’attività ludica inizia a essere oggetto di ricerca alla fine dell’ottocento, qui di seguito vado a riportarne alcune importanti:

- La teoria di Schaller nel 1861 ha analizzato e visto il gioco come momento di riposo e di ricreazione.

- Spencer nel 1890 ha inteso l’attività ludica come uno scarico di energia inutile.

- La teoria di Groos nel 1896 considera l’attività ludica un esercizio per prepararsi alla vita adulta, si trova infatti in sintonia con Platone e Aristotele.

- La teoria di Stanley Hall, nel 1902 vede nell’attività ludica la riproduzione delle principali fasi dello sviluppo. Egli vede il gioco come semplicemente un’espressione di funzioni ataviche.

- La teoria di Claparéde37nel 1920, formula l’ipotesi che il gioco sia un’attività utile per

soddisfare i bisogni naturali, egli sostiene infatti: “non si può immaginare un’infanzia senza giochi”.

- La teoria di Huizinga38 nel 1938 ha visto il gioco come un tratto fondamentale

dell’uomo, è un’azione libera che ha un suo svolgimento e significato.

- La teoria di Chateau nel 1950 dove spiega il gioco come un’attività espressiva dell’uomo.

                                                                                                               37Edouard Claparède (1873-1940).Psicologo e pedagogista Svizzero. Pioniera di una psicologia sperimentale. Fu promotore di una riforma dell’insegnamento, e del movimento “attivismo pedagogico”. Un movimento che basa le sue fondamenta nello stretto rapporto tra psicologo e educazione.  38 Roger Caillois uno storico olandese. 1872- 1945. Studioso di larga visione, ha analizzato molti aspetti del gioco e ha dimostrato l’importanza di svolgere attività ludiche per lo sviluppo della stessa civiltà.

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Le tappe evolutive:

Qui di seguito vado brevemente a spiegare le diverse tappe della linea evolutiva:

- La prima tappa è quella autistica/ simbiotica della coppia Madre/ bambino. Il bambino è impotente e dipendente, è un tutt’uno con la mamma, la quale è considerata un prolungamento di se stesso. Il piccolo ama il proprio Se nella madre. La madre deve essere in grado di svolgere una funzione calmante e paraeccitante, così da insegnare al bambino a controllare la propria eccitazione e a incanalarla come slancio pulsionale.

- La seconda è una tappa chiamata: “Rapporto con l’oggetto parziale o di soddisfazione dei bisogni”. È una fase instabile perché il bambino investe per raggiunge l’obbiettivo ma abbandona e disinveste appena lo raggiunge (ad esempio quando il bambino a fame vuole essere allattato).

- La terza tappa è quella della costanza dell’oggetto, permette cioè al bambino di

mantenere per più tempo un’immagine della mamma all’interno per potersi separare, nei bambini “normali” una volta raggiunta questa fase arrivano a un’indipendenza sia fisica ( controllo sfinterico) sia nelle relazioni sociali.

- La quarta tappa è un rapporto ambivalente con l’oggetto, cioè il loro orsacchiotto, la

copertina portano il bambino ad amarli o torturali, controllarli o dominarli. In questa fase se la relazione con la madre è insoddisfacente, instabile o inadeguata il bambino potrebbe avere uno squilibrio tra libido e aggressività, producendo un comportamento irruento e distruttivo incontrollabile.

- La quinta tappa è chiamata fallico- edipica, è caratterizzata dalla possessività nei

confronti del genitore con il sesso opposto e da una gelosia verso il genitore dello stesso sesso.

- La sesta tappa è di latenza. Il bambino disinveste dalla figura genitoriale per

investire in altre persone.

- La settima tappa è la preadolescenza nella quale si ritorna ad avere atteggiamenti avuti in precedenza.

- L’ottava tappa è quella in cui vi è una lotta adolescenziale per allontanarsi,

spezzare e distruggere il legame con gli oggetti infantili.