Che fine ha fatto l'intellettuale?rassegna.be.unipi.it/20140930/SIB2036.pdf2014/09/30  · Che fine...

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Che fine ha fatto l'intellettuale? Si apre il dibattito sull'eclissi (1 il confronto polil;ico-etiltt:i.t°irl Non d un Paese pergiovani. E n eppure pitt per intellettuali. L'Italia. «LMve sono finitigli eredi non solo di Croce e Gentile, ma di Pasolini e delle sue «lucciole" di Sciascia contro i "professionisti dell antimafia" di Bobbie e delle sue polemiche con Togliatti?» si chiedeva ieri sulla prima pagina della Stampa Luigi La Spina, denunciando la silenziosa scomparsa di questa figura che tanta parte ha avuto nel dibo.ttito pubblico del Novecent o, e in particolare del secondo dopogaaerra. Non c'tp/ù un Gruppo 63, non c'c un confronto aspro come quello che accolse il Museclic di De.Felice non ci sono riviste come il Politecnico di Vittorini, il Mondo diPannunzia, Tempo presente, di.Silone Intellettuali organici e disorgeaaiei, «utili idioti» e «foglie dico», di destra, di sinistra, compagni cli strada: chili ha visti?E soprattutto: ci hc '.i?Ildióa g.'riato )vec° nic 3

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  • Che fine ha fattol'intellettuale?

    Si apre il dibattito sull'eclissi (1il confronto polil;ico-etiltt:i.t°irl

    Non d un Paese pergiovani.E n eppure pitt per intellettuali.

    L'Italia. «LMve sono finitigli eredinon solo di Croce e Gentile, ma

    di Pasolini e delle sue «lucciole"di Sciascia contro i "professionisti

    dell antimafia" di Bobbie e delle suepolemiche con Togliatti?» si chiedevaieri sulla prima pagina della Stampa

    Luigi La Spina, denunciandola silenziosa scomparsa di questa

    figura che tanta parte ha avutonel dibo.ttito pubblico del Novecent o,

    e in particolare del secondodopogaaerra. Non c'tp/ù un Gruppo 63,

    non c'c un confronto asprocome quello che accolse il Museclic

    di De.Felice non ci sono rivistecome il Politecnico di Vittorini,il Mondo diPannunzia, Tempopresente, di.Silone Intellettuali

    organici e disorgeaaiei, «utili idioti»e «foglie dico», di destra,

    di sinistra, compagni cli strada:chili ha visti?E soprattutto:

    ci hc '.i?Ildióa

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  • Non è scomparsoma ora si dà

    all'intrattenimentoGIA_V 7 ;wK1co Ruscovi

    onon credo che siano spa-riti «gli intellettuali».Certamente molti (spe-cialmente di una certaetà) sono effettivamen-

    te annichiliti dalla loro inattesa irri-levanza. Ma un pugno resiste e fa lasua bella figura nel circuito media-tico: i Cacciari, i Rodotà, i Magrisnon sono forse «intellettuali»? Cer-to, resistono solo quelli che fannoparte del giro dei grandi media, purcriticandolo. La maggior parte de-gli altri intellettuali sono o si sento-no fuori gioco.

    Ma era davvero molto diversoquando, sino a non molto tempo fa,gli intellettuali interloquivano con lapolitica «dal suo interno», salvo ac-corgersi (alcuni di essi) che facevanosoltanto tappezzeria per i loro politi-

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    ci di riferimento?In realtà è stata lapolitica che si èemancipata daisuoi intellettuali.Prima con l'appa-rente deferenzadella sinistra, poicon l'indifferenzadel ventennioberlusconianoche ha artificio-

    samente esasperato lo scontro cultu-rale e politico. Infine con allegra stra-fottenza è arrivata l'autosufficienzadel renzismo.

    Il problema non è di carente quali-tà intellettuale (tanto meno di mora-lità), ma di una accelerata mutazionedell'intero quadro politico e cultura-le cui gli intellettuali di tipo tradizio-nale non riescono più a tener testa. Ilparadosso è che quanto sta accaden-do è stato da tempo da loro stessipreannunciato con toni drammatici,spesso catastrofistici: dissoluzionedei contenuti ideologici («fine delleideologie»), iper-personalizzazionedella politica e carismatismo, eti-chettati come autoritarismo e popu-lismo e quindi usati come epiteti. Einfine l'affermazione inarrestabile

    della «democrazia mediatica». Adessoche questa si è materializzata compiu-tamente, i suoi critici ammutoliscono.0 vengono ammutoliti.

    Se si confrontano i concetti di «di-scorso pubblico», elaborati da un Bob-bio, ma anche da un Habermas, con larealtà della comunicazione pubblicaeffettiva, si vede tutto l'equivoco concui devono fare i conti gli intellettuali.Si pensi al concetto centrale di «socie-tà civile» che da modello normativo èdiventato un termine passepartout,inutilizzabile.

    Eppure ci sono segnali di tipo diver-so che vanno interpretati. Oggi «ilpubblico» si ritrova di preferenza inpiazza, non solo in quella mediaticaaddomesticata dai conduttori televisi-vi, ma in quella reale, raccolta negli in-numerevoli festival culturali e iniziati-ve similari. È lì che ricompare anchel'intellettuale alla ricerca di un nuovoruolo. C'è il filosofo che intrattiene ilpubblico sui sentimenti e sulle passio-ni; lo storico che narra le vicende inmodo seducente senza affaticare lamente con analisi complicate; il polito-logo che con toni di complicità rivela lemalefatte dei politici, facendo sentiregli ascoltatori novelli Machiavelli.

    Non sto facendo gratuita ironia.Semplicemente constato che l'intel-lettuale da intrattenimento ha indivi-duato il suo pubblico, al quale può met-tere a disposizione le sue competenzeper rivalorizzare il suo ruolo. Ma sedall'intrattenimento vuol passare aquello che un tempo si chiamava for-mazione culturale, il suo compito èmolto più impegnativo di quello deivecchi «maestri». Questi disponevanodi strutture universitarie di supportofunzionanti e di apparati editoriali alservizio delle loro competenze e del lo-ro prestigio scientifico (non orientatiquasi esclusivamente al mercato). So-prattutto c'erano culture politiche ri-cettive che fungevano da mediazione eda gratificante stimolo agli intellettua-li. Oggi c'è poco o nulla di tutto questo.

    Piazze piene, librerie vuote - si dice.Forse bisogna passare da qui. Ma perricostruire un ceto intellettuale di tiponuovo, competente e autorevole, civuole ben altro.

  • Un soldatino di lattanell'esercito della

    loquacità di massaANTONIO SCURATI

    1 u il Manifesto degli in-tellettuali fascisti redat-to da Giovanni Gentilenel 1925 a favorire l'af-fermazione del sostanti-

    vo «intellettuale». La figura del-l'intellettuale prospera nel Nove-cento grandioso, tragico, totalita-rio, il secolo che obbliga «tuttiquelli che stavano alla finestra ascendere in strada» e declina nelVentunesimo, secolo meschinello,comico, democratico, affacciatoalla finestra televisiva. L'intellet-tuale ottiene ancora qualche ruoloda protagonista finché dura il se-

    colo breve, poi soltanto comparsateda caratterista.

    A essere emarginato è soprattuttoil letterato. Soccombe nella competi-zione storica tra diversi media. Senell'Ottocento il romanziere competecon i giornali del mattino, nel secondoNovecento dovrà competere con latelevisione (e poi con Internet). Il let-terato esce sconfitto dal conflitto me-diatico per l'uomo, la lotta fra i diversimedia e le relative strategie di comu-nicazione dell'umano. Il medium dellibro, con i suoi effetti individuali diinibizione delle pulsioni erotiche e ag-gressive prodotte dal silenzioso, pro-lungato, paziente, introspettivo eser-cizio della lettura, cede il passo alloscatenamento pulsionale della disini-

    bizione spettacolare. La televisionegenera un cosmo autoderisorio, so-vreccitato e simbolicamente violentoche prolunga il generale declino del-l'uomo pubblico. Un mare magnumdella comunicazione in cui non si nuo-ta, si sguazza.

    In questo cosmo, l'intellettuale èdegradato ai lavori manuali. Gli ven-gono strappate le mostrine del suoantico rango. Diviene un soldatosemplice - spesso soldatino di latta -nello sterminato esercito della lo-quacità di massa. A partire dagli an-ni 80 la neotelevisione punta a ris-pecchiare il quotidiano, la «realtà vi-cina», insiste sul voler stare assieme,promette la riscossa dell'uomo dellastrada. Prossimità, convivialità, flus-so, conversazione leggera. Nientepiù rapporto pedagogico, niente piùdistanza professorale (e nemmenoprofessionale), nessuna distinzionedi contenuti, nessuna gerarchia diranghi. Al comando c'è «uno di noi»,ora che siamo tutti, senza eccezione,«uno di noi».

    La strategia - forse una tattica sui-cida - dell'intellettuale per sopravvi-vere è una e trina: l'intellettuale sideintellettualizza. In tre modi. Il pri-mo è quello di gettarsi, lui professioni-sta della parola, a corpo morto nellachiacchiera isterica, nel vociare narci-sistico, intronandosi al centro del tea-tro delle opinioni che sottrae terrenoalla verifica e all'argomentazione, facadere l'aspetto concettuale di ognidiscorso, fonda il potere della parolasugli affetti, sulla vertigine sensoriale.

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    E il paradigma Al-do Busi. Un vanilo-quio completa-mente privo di la-scito o di seguito,autorizzato dallapresunta eccellen-za formale diun'opera letterariache quasi nessunodei suoi spettatorileggerà mai.

    L'altra strategia è quella dellapar-resia, la libertà di parola come eticadella verità, la sfrontata franchezza,il coraggio e la sincerità della testi-monianza che sosteneva i martiricristiani nella loro professione di fe-de di fronte al pubblico dei giochigladiatori venuto a vederli sbranare

    dai leoni. Il parresiaste non fonda lapropria autorità sulla mediazioneconoscitiva, sui libri letti o scritti,ma sulla mera testimonianza, cui ilpubblico attribuisce un crisma sa-crale riconoscendovi il luogotenentedella propria inesperienza («Lui puòparlare perché ha vissuto; io no»).L'intellettuale Pasolini ancora affer-mava «io so»; Roberto Saviano si li-mita ad affermare «io c'ero». La nu-da esistenza fa aggio sulla conoscen-za. Viene così meno la terzietà delsapere rispetto ad autore e lettore,docente e discente, sapiente e igno-rante, il dono impersonale e vertica-le che i primi elargivano ai secondi.Una volta si andava dall'autore al-l'opera, adesso l'opera è solo un bre-ve tramite, talvolta un velo appena,verso la persona dell'autore. É il mo-mento dei libri basati su una presun-zione di sincerità assoluta.

    La terza via non è migliore. È quel-la delle anime belle che predicano ildistacco dal mondo ritirandosi nellapropria presunta purezza e superio-rità morale. Ciò che resta della sini-stra falso-progressista, antimoder-na, perbenista e reazionaria.

    Non c'è da stupirsi, dunque, se lamaggioranza degli scrittori della miagenerazione, e di quella successiva,rifiuterebbe per sé la qualifica d'intel-lettuale: un ingombro che frena loslancio francescano con cui ci si affra-tella ai lettori. Rifiutano la definizionedi intellettuali e, infatti, non lo sono.

    L'intellettuale deintellettualizzatodal confronto con la tv, lo resta anchein quello con altri media. I giornali glichiedono pezzi di costume o di colore- ve lo immaginate oggi uno scrittorechiamato a vergare l'editoriale per ilrapimento di Aldo Moro? - e l'ideolo-gia della orizzontalità del web 2.0predica il disconoscimento di ogniautorialità, fino a sconfessare il gestodi simbolica sottomissione implicitonella lettura di un libro, che ci richie-de di dedicare alla parola altrui alcu-ne ore di silenzio del nostro ego.

    Tutto sommato, però, non c'è al-cun motivo di allarmarsi. Nessun de-monio abita la televisione o la rete. Èsolo lo spirito del tempo. Un temponon migliore né peggiore di altri.Tranquilli, non c'è nessuna apocalis-se all'orizzonte. Semmai, è alle no-stre spalle.

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