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Giorn Ital End Dig 2016;39:47-55 47 CFS CHE FARE SE... Che fare se si presenta un’emorragia digestiva dopo una procedura di rivascolarizzazione coronarica Alessandro Durante 1 , Arnaldo Amato 2 , Giovanni Corrado 1 , Giovanni Foglia Manzillo 1 , Silvia Paggi 2 , Franco Radaelli 2 QUALE è LA INCIDENZA DEI SANGUINAMENTI MAGGIORI POST-PCI? Le manifestazioni più comuni di sanguinamento gastroin- testinale in pazienti post-PCI (percutaneous coronary in- tervention) sono costituite da ematemesi, melena, proc- torragia oppure dal rilievo endoscopico di sanguinamento in pazienti anemizzati (1-5). L’utilizzo combinato di aspi- rina e inibitori del recettore P2Y12 (clopidogrel, ticagrelor o prasugrel), che rappre- senta la combinazione di farmaci antitrombotici più frequentemente uti- lizzata dopo una PCI con impianto di stent, si as- socia come atteso ad un incremento del rischio di sanguinamento, la cui in- cidenza globale varia tra 0.7% e 2.4% a 30 giorni (1-3,5,6). In letteratura esistono criteri specifici per definire i sanguina- menti peri-procedurali nella PCI, che correlano con la mortalità a breve e lungo termine; tra questi, i più utilizzati sono i cri- teri ARC (Academic Re- INTRODUZIONE Il sanguinamento digestivo acuto dopo un intervento di rivascolarizzazione miocardica è un problema clinico im- portante, la cui corretta gestione necessita dell’integrazione di competenze specifiche cardiologiche e gastroenterologi- che, spesso basate più sulla collaborazione e la valutazione complessiva del bilancio rischio-beneficio del paziente che su robuste fonti di evidenza 1 Unità Operativa Complessa di Cardiologia, Ospedale Valduce di Como 2 Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia, Ospedale Valduce di Como PROBLEMA CLINICO Un uomo di 77 anni, affetto da BPCO, ipertensione arteriosa e IRC di grado moderato, viene ricoverato in UTIC con diagnosi di sindrome coronarica acuta (infarto miocardico senza sopralivellamento del tratto ST - NSTEMI), a seguito di un dolore tipico intermittente, con reperto ECG di diffuso sottolivellamento ST, che regredisce al termine del sintomo, e di significativo rialzo al primo punto di troponina I ad alta sensibilità. Previa somministrazione di farmaci antiaggreganti (carico di acido acetilsalicilico 500 mg e clopidogrel 600 mg) e con bolo intra-procedurale di eparina non frazionata di 100 UI/kg viene eseguita la coronarografia, che mostra una malattia critica trivasale con occlusione cronica della coronaria destra; si procede nella stessa seduta ad angioplastica con impianto di stent medicati su arteria discendente anteriore e ramo diagonale (figura 1). Viene impostata doppia terapia antiaggregante (DAPT) con acido acetilsalicilico 100 mg die e clopidogrel 75 mg die, oltre a gastroprotezione con rabeprazolo 20mg die. In quarta giornata si verifica un episodio lipotimico con comparsa di ematemesi e melena con instabilità emodinamica, corretta dopo infusione di cristalloidi. I valori di emoglobina sono 9.1 g/dL Figura 1 Proiezione “spider” (caudata sinistra) prima (A) e dopo (B) l’angioplastica con impianto di stent medicati su arteria discendente anteriore (frecce nere) e su ramo diagonale (frecce bianche) A B

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CfSChe fare Se...

Che fare se si presenta un’emorragia digestiva dopo una procedura di rivascolarizzazione coronarica Alessandro Durante1, Arnaldo Amato2, Giovanni Corrado1, Giovanni Foglia Manzillo1, Silvia Paggi2, Franco Radaelli2

Quale è la incidenza dei sanguinamenti maggiori post-pci?

Le manifestazioni più comuni di sanguinamento gastroin-testinale in pazienti post-PCI (percutaneous coronary in-tervention) sono costituite da ematemesi, melena, proc-torragia oppure dal rilievo endoscopico di sanguinamento in pazienti anemizzati (1-5). L’utilizzo combinato di aspi-rina e inibitori del recettore P2Y12 (clopidogrel, ticagrelor

o prasugrel), che rappre-senta la combinazione di farmaci antitrombotici più frequentemente uti-lizzata dopo una PCI con impianto di stent, si as-socia come atteso ad un incremento del rischio di sanguinamento, la cui in-cidenza globale varia tra 0.7% e 2.4% a 30 giorni (1-3,5,6). In letteratura esistono criteri specifici per definire i sanguina-menti peri-procedurali nella PCI, che correlano con la mortalità a breve e lungo termine; tra questi, i più utilizzati sono i cri-teri ARC (Academic Re-

introduzioneIl sanguinamento digestivo acuto dopo un intervento di rivascolarizzazione miocardica è un problema clinico im-portante, la cui corretta gestione necessita dell’integrazione di competenze specifiche cardiologiche e gastroenterologi-che, spesso basate più sulla collaborazione e la valutazione complessiva del bilancio rischio-beneficio del paziente che su robuste fonti di evidenza

1Unità Operativa Complessa di Cardiologia, Ospedale Valduce di Como2Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia, Ospedale Valduce di Como

problema clinico

Un uomo di 77 anni, affetto da BPCO, ipertensione arteriosa e IRC di grado moderato, viene ricoverato in UTIC con diagnosi di sindrome coronarica acuta (infarto miocardico senza sopralivellamento del tratto

ST - NSTEMI), a seguito di un dolore tipico intermittente, con reperto ECG di diffuso sottolivellamento ST, che regredisce al termine del sintomo, e di significativo rialzo al primo punto di troponina I ad alta sensibilità.

Previa somministrazione di farmaci antiaggreganti (carico di acido acetilsalicilico 500 mg e clopidogrel 600 mg) e con bolo intra-procedurale di eparina non frazionata di 100 UI/kg viene eseguita la coronarografia,

che mostra una malattia critica trivasale con occlusione cronica della coronaria destra; si procede nella stessa seduta ad angioplastica con impianto di stent medicati su arteria discendente anteriore e ramo diagonale (figura 1). Viene impostata doppia terapia antiaggregante (DAPT) con acido acetilsalicilico 100 mg die

e clopidogrel 75 mg die, oltre a gastroprotezione con rabeprazolo 20mg die. In quarta giornata si verifica un episodio lipotimico con comparsa di ematemesi e melena con instabilità emodinamica,

corretta dopo infusione di cristalloidi. I valori di emoglobina sono 9.1 g/dL

Figura 1 Proiezione “spider” (caudata sinistra) prima (A) e dopo (B) l’angioplastica con impianto di stent medicati su arteria discendente anteriore (frecce nere) e su ramo diagonale (frecce bianche)

A B

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Tabella 1 Criteri per la definizione della severità dei sanguinamenti post-PCI

CrITErI TIMI - ThroMBolysIs In MyoCArDIAl InFArCTIon

maggiori

• Qualsiasi sanguinamento intracranico (tranne le microemorragie < 10 mm visibili solamente alla risonanza magnetica gradient-echo)

• Segni clinici evidenti di sanguinamento associati ad una riduzione di emoglobina ≥ 5 g/dL o a una riduzione assoluta ≥ 15% dell’ematocrito• Sanguinamenti fatali (sanguinamenti che risultano in morte entro 7 giorni)

minori

• Sanguinamenti clinicamente evidenti (compresi quelli osservati con metodiche di imaging) che risultano in una riduzione della emoglobina tra 3 e 5 g/dL oppure una riduzione dell’ematocrito ≥ 10%

• In assenza di evidenza di sanguinamento: una riduzione nella concentrazione di emoglobina ≥ 4 g/dL oppure una riduzione ≥ 12% dell’ematocrito

• Qualsiasi sanguinamento evidente che soddisfi uno dei seguenti criteri e non soddisfi i criteri elencati in precedenza:- Necessità di intervento medico- Aumento della durata dell’ospedalizzazione- Necessità di pronta valutazione (esecuzione di una visita non programmata oppure

di accertamenti di laboratorio o di imaging)

minimi• Qualsiasi sanguinamento evidente che non soddisfi i criteri esposti in precedenza.• Qualsiasi sanguinamento clinicamente evidente con una riduzione < 3 g/dL dell’emoglobina e < 9%

dell’ematocrito

CrITErI GUsTo - GloBAl UsE oF sTrATEGIEs To oPEn oCClUDED CoronAry ArTErIEs

gravi o che mettono a rischio la vita

• Emorragie cerebrali• Che risultano in una compromissione emodinamica che richiede intervento

moderati • Che richiedono trasfusioni ma che non risultano in una compromissione emodinamica

lievi • Sanguinamenti che non soddisfano i criteri precedenti

ArC - ACADEMIC rEsEArCh ConsorTIUM

tipo 0 • Non sanguinamento

tipo 1• Sanguinamento che non richiede azioni e per cui il paziente non richiede esami non previsti,

ospedalizzazioni o valutazioni mediche; sono compresi episodi di sospensione spontanea della terapia medica da parte del paziente

tipo 2

• Qualsiasi evidente segno di emorragia e che non soddisfa i criteri per i tipi 3, 4 e 5, ma che soddisfa uno dei seguenti criteri:- Che richiede un trattamento medico, non chirurgico- Che richiede ospedalizzazione- Che richiede valutazione medica a breve

tipo 3

• tipo 3a- Sanguinamento evidente con riduzione di emoglobina da 3 a < 5 g/dL- Qualsiasi trasfusione con sanguinamento evidente

• tipo 3b- Sanguinamento evidente con riduzione del livello di emoglobina ≥ 5 g/dL- Tamponamento cardiaco - Sanguinamento che richiede un intervento di tipo chirurgico per essere controllato

(ad esclusione di sanguinamenti nasali/dentali/cutanei/emorroidari)- Sanguinamento che richiede agenti vasoattivi endovenosi.

• tipo 3c- Emorragia intracranica (non include microemorragie, trasformazioni emorragiche - include sanguinamenti

spinali)- Sottocategorie confermate a autopsia/imaging/puntura lombare- Sanguinamento oculare che compromette la visione

tipo 4 • Sanguinamenti correlati a by-pass aortocoronarico (non esplicate le sottocategorie)

tipo 5: sanguinamenti fatali

• tipo 5a- Probabile sanguinamento fatale; sospetto clinico senza conferma autoptica o di imaging

• tipo 5b- Sanguinamento sicuramente fatale; sanguinamento evidente oppure conferma autoptica o di imaging

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rischio trombotico per interruzione dapt e fattori di rischioIl rischio maggiore in caso di sospensione della DAPT per sanguinamenti è quello di trombosi dello stent. La trombosi di stent è un evento solitamente catastrofico, che si verifica principalmente nei primi 30 giorni dopo l’impianto di stent di qualsiasi tipologia (11). Una ampia meta-analisi ha mostrato tassi di trombosi di stent tra 0.5% e 0.6% nei primi 30 giorni, sia con stent medicati (DES) che con stent metallici tradizionali (BMS). Con i DES di nuova generazione i tassi di trombosi di stent sono simili a quelli degli stent metallici tradizionali anche dopo 30 giorni. Per gli scaffold riassorbibili (ossia stent di nuova generazione costituiti da materiale completa-mente biodegradabile) i dati sui tassi di trombosi rispet-to agli stent tradizionali non sono ancora sufficienti per trarre conclusioni, seppur negli studi di confronto con gli stent medicati i tassi sembrino comparabili. Questo dato, insieme a studi recenti, che hanno mostrato come si riducano i rischi di trombosi di stent anche in caso di interruzione precoce della DAPT con i DES di nuova generazione, hanno fatto si che questi ultimi siano di-ventati la prima scelta nel trattamento percutaneo della coronaropatia, con una riduzione della durata consiglia-ta della DAPT nelle linee guida a soli 6 mesi nei pazienti stabili, contro una durata di 12 mesi nei pazienti con sindrome coronarica acuta (12,13). Nonostante questo, l’interruzione della DAPT rappresenta il principale fattore di rischio per trombosi di stent e reinfarto. Uno studio ha mostrato che la sospensione prematura di clopidogrel porta un hazard ratio di 50 per trombosi di stent a 9 mesi (14). Uno studio su pazienti trattati con DES ha mostrato che

le due principali cause di sospensio-ne della DAPT sono gli eventi emor-ragici (50%) oppure la necessità di procedure invasive (32%) (15). Altro fattore di rischio importante per la trombosi di stent è la presentazio-ne clinica del pazienti in occasione dell’impianto dello stent stesso; i pazienti con sindrome coronarica acuta hanno infatti un rischio mag-giore rispetto ai pazienti stabili (16).Oltre a questi due fattori di rischio se ne contano numerosi altri, che si possono classificare in fattori cor-relati al paziente o alla procedura (14,17,18) (tabella 2).

search Consortium), TIMI (Thrombolysis in Myocardial Infarction) e GUSTO (Global Use of Strategies to Open Occluded Coronary Arteries) (tabella 1). Sebbene non esistano criteri specifici per definire la gra-vità del sanguinamento digestivo nei pazienti post-PCI, i suddetti criteri possono essere estesi anche a questo setting.

implicazioni prognosticheNumerosi studi hanno dimostrato l’impatto negativo dei sanguinamenti post-PCI sulla prognosi (7-9). Uno stu-dio di Kinnaird et al. ha mostrato che il sanguinamento dopo PCI allunga i tempi di degenza (8.9 vs 3.1 giorni; p < 0.001), ed è associato ad una maggiore mortalità intraospedaliera e ad un anno. Ad esempio in questo studio la mortalità intraospedaliera era di 7.5% per i sanguinamenti TIMI maggiori, 1.8% per i minori e 0.6% in assenza di sanguinamenti; la mortalità corrisponden-te ad un anno era di 17.2%, 9.1% e 5.5% (10). Risultati simili sono stati osservati in altri studi in cui i sangui-namenti sono stati valutati mediante la classificazione GUSTO (7). I sanguinamenti gastrointestinali sono associati ad una au-mentata mortalità sia precoce che tardiva, ma anche ad un aumento degli eventi ischemici e di trombosi di stent.Nello studio ACUITY, dei 13.819 pazienti con sindrome coronarica acuta (SCA), l’1.3% ha presentato una com-plicanza emorragica gastrointestinale a 30 giorni, che è risultata essere un fattore di rischio indipendente per la mortalità (HR 4.87), per l’infarto miocardico non fatale (HR 1.74) e per l’ischemia miocardica (HR 1.94). Inoltre il rischio di trombosi di stent era significativamente mag-giore nei pazienti con sanguinamento gastrointestinale (5.8% vs 2.4%), in parte attribuibile ad una temporanea precoce sospensione della terapia antitrombotica (5).

Tabella 2 Fattori di rischio per trombosi dello stent

FATTorI lEGATI Al PAzIEnTE FATTorI lEGATI AllA ProCEDUrA

Interruzione della DAPT Lunghezza maggiore stent

Diabete mellito Diametro minore stent

Insufficienza renale Flusso TIMI post-PCI < 3

Presentazione clinica come SCA Tipologia e timing della terapia antitrombotica peri-PCI

Disfunzione ventricolare sinistra PCI su biforcazioni (> se tecniche a 2 stent)

Tumori Malapposizione dello stent

Coronaropatia estesa Dissezione residua su coronaria

Abuso di sostanze Trombo residuo intracoronarico

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strategia trasfusionale in acuto in paziente con sca: in particolare a che livello di emoglobina portare il paziente? Un importante studio randomizzato controllato ha dimo-strato che in pazienti con sanguinamento gastrointestinale acuto, una strategia trasfusionale restrittiva (trasfusioni per valori di emoglobina < 7g/dl) si associa ad esiti favorevoli (19). I risultati di questo studio non sono però generaliz-zabili, in quanto i pazienti con severa co-morbidità (es. cardiopatia ischemica) sono stati esclusi.Il livello ideale a cui trasfondere il paziente nel contesto di una sindrome coronarica acuta rimane ancora oggetto di discussione (20). Infatti, se ormai è riconosciuta l’utilità di trasfondere i pazienti con sindrome coronarica acuta ed emoglobina < 8 g/dl, la zona grigia rimane quella con valori di emoglobina compresi tra 8 e 10 g/dl. In mancan-za di trial clinici ampi e randomizzati in grado di chiarire la questione, un trial pilota su 110 pazienti sottoposti ad angioplastica per sindrome coronarica acuta o angina stabile ha mostrato che una strategia più liberale di tra-sfusioni per portare i livelli di emoglobina sopra i 10 g/dl mostrava un trend verso la riduzione degli eventi avversi cardiovascolari a distanza, rispetto ad una strategia più restrittiva con target a 8 g/dl (21). In realtà, il valore di emo-globina è talvolta scarsamente rappresentativo dell’entità della reale perdita nella fase acuta del sanguinamento, in quanto falsato dalla emoconcentrazione per la deplezione volemica. Pertanto la decisione se trasfondere o meno un paziente è da definire anche sulla base di altri importanti variabili. Le caratteristiche del sanguinamento (sanguina-mento attivo, velocità della perdita) e le condizioni cliniche del paziente (condizioni emodinamiche, sintomi associa-ti) sono variabili forse ancora più importanti. In generale, un paziente ipoteso, con dolore anginoso in corso e con modificazioni ischemiche all'ECG, il valore soglia al di sot-to del quale trasfondere è ovviamente più alto che in un paziente stabile ed asintomatico.

timing dell’egds, come eseguirla, Quale il ruolo diagnostico? La gastroscopia in urgenza è procedura sicura anche in un paziente che è stato sottoposto a PCI, ed anche in questo caso va condotta solo dopo averne ottenuto la stabilizzazione emodinamica. Uno studio caso-controllo su 200 pazienti sottopo-sti a gastroscopia dopo infarto miocardico sembrava

evidenziare, rispetto al gruppo di controllo, un tasso significativamente più alto di complicanze gravi (7.5 vs 1.5%), tutte però verificatesi in pazienti con instabilità emodinamica (22). Tuttavia, un più recente studio re-trospettivo su 5.673 pazienti sottoposti a PCI, 65 dei quali sottoposti a gastroscopia durante il ricovero in seguito ad una emorragia gastrointestinale superiore, non ha mostrato significative complicanze post-pro-cedura (23). Il messaggio che ne scaturisce è che la gastroscopia è una procedura sicura dopo PCI, a pat-to che il paziente sia emodinamicamente stabile o che lo sia divenuto dopo le manovre pre-endoscopiche di rianimazione. In linea con questi dati recenti, la gastroscopia, dia-gnostica e/o terapeutica andrebbe eseguita entro 24 ore, in endoscopia o nell’unità di terapia intensiva car-diologica, dopo l’adeguata rianimazione e stabilizza-zione emodinamica, allo scopo di identificare la fonte del sanguinamento, arrestare l’emorragia e stimare il rischio di mortalità e recidiva emorragica, tutti elementi cruciali per la decisione riguardo al timing di reintrodu-zione della terapia antitrombotica (24). Come per tutte le procedure in urgenza, il paziente andrebbe sedato e dovrebbe ricevere una supplementazione di ossige-no per via nasale, con monitoraggio della saturazione dell’ossigeno e della traccia elettrocardiografica. L’as-sistenza anestesiologica è fortemente raccomandata, considerata la co-morbidità del paziente ed il rischio cardiologico. L’endoscopia può essere svolta con un endoscopio terapeutico standard; tutte le manovre te-rapeutiche, utili all’ottenimento dell’emostasi, possono essere condotte anche nel paziente sottoposto a PCI. Anche l’iniezione di l'adrenalina intramurale, che può essere assorbita per via sistemica e potenzialmente raggiungere il miocardio, producendo stimolazione indesiderata del sistema simpatico, può essere con-siderata sicura. Uno studio pubblicato nel 1993 con-dotto su pazienti sottoposti a endoscopia terapeutica per ulcere sanguinanti, mostrava che l'adrenalina, pur raggiungendo la circolazione sistemica, non compor-tava complicazioni cardiache (25). Inoltre, in uno stu-dio retrospettivo olandese condotto su 2.002 pazien-ti con emorragia GI, i 20 soggetti precedentemente sottoposti a PCI e nei quali è stata effettuata terapia emostatica iniettiva con adrenalina, non hanno svilup-pato eventi avversi (26).Le cause dell’emorragia gastrointestinale, in un pa-ziente sottoposto a PCI sono molteplici e sostanzial-mente sovrapponibili a quelle osservabili in un qua-lunque paziente con sanguinamento digestivo (26) (tabella 3).

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stratificazione del rischio di risanguinamento I Pazienti che hanno avuto un sanguinamento digesti-vo dopo PCI hanno un rischio aumentato di recidiva emorragica, specie se proseguono l’assunzione di una terapia antiaggregante, che è però cruciale per minimizzare il rischio trombotico. Lo studio olandese retrospettivo (26) ha mostrato un’incidenza del 16.7% di recidiva emorragica in questi soggetti. Anche altri studi hanno confermato tale dato, evidenziando come la recidiva sia più probabile nei pazienti con lesioni ad alto rischio (27). La definizione di aumentato rischio di recidiva emor-ragica si basa principalmente sulla diagnosi endosco-pica.

Se l’emorragia è stata cau-sata da un’ulcera peptica, predittori di recidiva sono la presenza di sanguinamento attivo all’endoscopia (Forrest Ia e Ib), le dimensioni e la posizione dell’ulcera (pare-te posteriore del duodeno e piccola curva gastrica) (24), e la presenza di vaso visibile (Forrest IIa) o coagulo adeso (Forrest IIb). La presenza di sangue nello stomaco senza rilievo del-la fonte di sanguinamento, comportando un’impossibi-lità di terapia endoscopica, oppure di lesioni vascolari ne-

cessitanti terapia endoscopica, oppure non passibili di trattamento endoscopico (es. neoplasie sanguinanti), sono altre condizioni da considerare ad alto rischio di recidiva emorragica. A basso rischio di recidiva emor-ragica sono invece da considerare le ulcere a fondo ematinico (Forrest IIc) o fibrinoso (III) ed altre lesioni minori (tabella 4).

ruolo del second-look endoscopico Nonostante le evidenze riguardo alla utilità del second-look endoscopico nell’ambito della emorragia gastroin-testinale siano tutt’ora controverse, un controllo pre-coce endoscopico nel setting di un paziente in doppia

anti-aggregazione può avere un ruolo importante, soprattutto in merito alla gestione della terapia antitrombotica.La ripetizione molto precoce dell’endoscopia, eventualmen-te dopo somministrazione di eritromicina, somministrata allo scopo di accelerare lo svuota-mento dello stomaco (28), an-drebbe considerata nei pazienti con sangue nel tratto digestivo superiore ma fonte di sanguina-mento non identificata, con pro-secuzione o recidiva del sangui-namento ed in tutti i pazienti che hanno ricevuto una emostasi endoscopica. Questo secondo

Tabella 3 Cause di sanguinamento digestivo superiore in paziente post PCI (5)

Pz osPEDAlIzzATI (n=23)

TUTTI I PAzIEnTI (n=57)

emorragia gi superiore N (%) N (%)

gastrite 6 (8.6) 10 (7.2)

esofagite 6 (8.6) 13 (9.4)

mallory-Weiss 4 (5.7) 6 (4.3)

ulcera duodenale 3 (4.3) 8 (5.8)

ulcera gastrica 2 (2.9) 9 (6.5)

polipo esofageo 1 (1.4) 1 (0.7)

ulcera esofagea 1 (1.4) 2 (1.4)

angiectasia 4 (2.9)

diverticolo di zenker 1 (0.7)

trauma 1 (0.7)

carcinoma gastrico 1 (0.7)

carcinoma esofageo 1 (0.7)

Tabella 4 Classificazione dei reperti endoscopici in base al rischio di risanguinamento

AlTo rIsChIo

Ulcera peptica con necessità di terapia endoscopica (Forrest I, IIa, IIb)

Lesioni vascolari trattate endoscopicamente (es. Dieulafoy, angiectasie, varici)

Lesioni neoplastiche

Sangue nello stomaco senza fonte di sanguinamento identificabile

BAsso rIsChIo

Ulcere senza necessità di terapia endoscopica (Forrest IIc, III)

Mallory Weiss

Altre lesioni minori (es. esofagite, erosioni gastroduodenali, gastropatia)

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aspetto risulta particolarmente importante alla luce del-la valutazione della tempistica di reintroduzione della terapia antitrombotica per ridurre il rischio ischemico.

timing della reintroduzione della terapia antiaggregante La decisione se e per quanto tempo interrompere i far-maci antitrombotici rappresenta il punto più controver-so e critico nella gestione del paziente con complicanza emorragica dopo PCI, non essendoci alcuna evidenza a tale riguardo.In letteratura non esistono dubbi circa la raccomanda-zione di riprendere precocemente la terapia con ASA in pazienti in profilassi secondaria dopo un evento cardio-vascolare che abbiano sviluppato una emorragia dige-stiva e in cui sia stata ottenuta l’emostasi endoscopica. Uno studio retrospettivo ha dimostrato che i pazienti in cui la profilassi cardiovascolare secondaria con aspirina dopo una emorragia gastrointestinale veniva interrotta avevano, a sei mesi, un rischio circa doppio di morte o eventi cardiovascolari acuti, rispetto a coloro in cui il trattamento veniva continuato (29). Inoltre un RCT che ha valutato la continuazione vs sospensione dell’aspi-rina in pazienti con sia elevato rischio trombotico che elevato rischio di recidiva emorragica, ha dimostrato che la prosecuzione della terapia è sì associata a un modesto incremento della recidiva emorragica preco-ce, senza sequele a lungo termine, ma ad un netto calo della mortalità e della recidiva di eventi trombotici a 8 settimane, rispetto ai pazienti in cui il farmaco ve-niva sospeso (30). Purtroppo in questi studi sono stati esclusi i pazienti in DAPT, per cui le raccomandazioni delle linee guida sulla gestione di questa terapia dopo un evento emorragico sono caratterizzate da un minore grado di evidenza. Le linee guida (28,31) e le consensus di esperti racco-mandano che la gestione della DAPT dopo una emor-ragia gastrointestinale sia operata in maniera congiun-ta dal Gastroenterologo e dal Cardiologo, modulata sulla base dei rischi emorragico e trombotico del paziente (vedi sopra), in base ai reperti endoscopici, coronarografici, clinici e all’anamnesi remota. In linea generale, la scelta decisionale sulla gestione della te-rapia anti-trombotica è relativamente facilitata qualora via sia una ragionevole presunzione, sulla base delle caratteristiche cliniche del sanguinamento e dei re-perti endoscopici, che la fonte del sanguinamento sia dal tratto digestivo superiore. In questi casi, si racco-manda che nei pazienti a basso rischio di risanguina-mento venga proseguita la DAPT, mentre in quelli ad alto rischio venga proseguita la terapia con almeno

un farmaco antiaggregante, con la possibilità, specie nei pazienti con incerto controllo dell’emostasi, di una sospensione completa della DAPT per 24 ore (32). Va precocemente ottenuta una consulenza Cardiologica per valutare l’urgenza di ripristinare la terapia con il secondo antiaggregante, tanto maggiore quanto più recente sia il posizionamento dello stent coronarico. Le linee guida ESGE consigliano la prosecuzione della terapia con aspirina, anche se alcuni esperti sugge-riscono di mantenere inizialmente il clopidogrel (32), visto il suo maggiore effetto protettivo sulla trombosi dello stent. Va tuttavia segnalato che, in studi rando-mizzati controllati, la combinazione di aspirina e PPI si è dimostrata superiore al clopidogrel nella prevenzio-ne di complicanze emorragiche in pazienti con recen-te emorragia gastroenterica (33,34), per cui anche la scelta del primo antiaggregante da mantenere deve basarsi su uno stretto bilancio rischio-beneficio per il singolo paziente. Le linee guida non si esprimono circa la tempistica precisa di ripresa della DAPT, ma, in caso di stretta necessità, alla luce del fatto che il rischio di risanguinamento precoce è elevato nei primi tre giorni (30), l’aggiunta del secondo antiaggregante a 72 ore potrebbe essere un ragionevole compromesso per minimizzare il rischio trombotico ed emorragico, posto ovviamente che sia stata ottenuta una emostasi efficace o si sia verificata una interruzione spontanea del sanguinamento. Più controversa è la scelta decisionale nei pazienti con sanguinamento attivo o recidivante nei quali la gastroscopia non sia risultata diagnostica per defi-nire la causa del sanguinamento o inefficace. In tali casi, è necessaria la programmazione urgente di una colonscopia (previa somministrazione di soluzione di lavaggio intestinale a base di PEG) o il consulto con il radiologo interventista per uno studio angioTC pre-liminare ad una eventuale arteriografia. La definizione della causa del sanguinamento e l’eventuale terapia è infatti cruciale per la decisione riguardo la gestione della terapia anti-trombotica. La figura 2 riassume in un algoritmo decisionale la gestione della terapia anti-trombotica in pazienti con emorragia digestiva. Le linee guida non considerano né consigliano di ese-guire trasfusioni piastriniche nel setting dell’emorragia in pazienti in terapia antiaggregante; viene solo citato il problema della piastrinopenia, con soglia di 50x109/L, al di sotto della quale le consensus di esperti pro-pongono di somministrarle, in assenza comunque di solide evidenze. Peraltro in altri setting, come quello dell’emorragia cerebrale in pazienti in terapia antiag-gregante, dati l’assenza di dati di efficacia e i rischi associati alle trasfusioni piastriniche, è raccomandato

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..di non eseguirle, almeno in pazienti non candidati ad un intervento di neurochirurgia (35). Infatti, va sottoli-neato che in letteratura, per quanto riguarda il setting post-PCI, esistono segnalazioni di trombosi acuta del-lo stent in pazienti con emorragia digestiva sottopo-sti a trasfusioni piastriniche, per cui, anche alla luce dell’assenza di prove certe di efficacia in questi casi, questo trattamento non è raccomandabile di routine e può essere preso in considerazione solo in casi di emorragia life-threatening (36,37).

gestione a lungo termine I pazienti con emorragia digestiva post-PCI sono ad aumentato rischio di risanguinamento, soprattutto se hanno necessità di proseguire la DAPT, che ne costitu-isce un fattore di rischio importante; è altresì noto che la terapia con PPI riduca questa probabilità. Si è molto

dibattuto in letteratura negli ultimi anni sulla possibile interazione in vivo tra PPI e clopidogrel, dimostrata in vitro. Sebbene alcune meta analisi ponessero il sospet-to di un possibile incremento di eventi cardiovascolari in caso di co-somministrazione di questi farmaci, queste includevano studi molto eterogenei che non permet-tevano di trarre conclusioni solide. Di recente è sta-ta condotta una meta analisi limitata ad RCT e studi propensity-matched che non ha dimostrato differenti outcome in pazienti trattati con clopidogrel e con clopi-dogrel e PPI, indipendentemente dal tipo di PPI (38). Va segnalato che l’incidenza di emorragia gastrointestinale era 4 volte inferiore nei pazienti trattati con PPI. Non vi è quindi al momento evidenza che ostacoli la prescrizione di PPI a lungo termine nei pazienti in DAPT che abbiano sviluppato una emorragia digestiva, almeno fintanto che assumono anche un solo farmaco antiaggregante. Peraltro in diversi studi la terapia con

Figura 2 Algoritmo decisionale per la gestione della terapia anti-trombotica in pazienti con emorragia digestiva

Emorragia digestiva acuta (ematemesi e/o melena)

Misure di rianimazione, eventuali emotrasfusioni, bolo PPI ev

EGDS entro 24 ore con emostasi standard

* Sangue e/o lesioni emorragipare nel tratto digestivo superiore^ Sangue rosso nel tratto digestivo superiore senza possibilità di identificazione di lesioni emorragipare

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PPI per la prevenzione e la terapia del sanguinamento gastrointestinale in pazienti in DAPT si è dimostrata si-cura ed efficace.Nel caso in esame, un ulteriore passo per minimizza-re il rischio di risanguinamento si basa sulla ricerca ed eventuale eradicazione dell’Helicobacter pylori, con successiva verifica dell’efficacia della terapia, che si associa a una riduzione del rischio di recidiva emorra-gica (39). Inoltre, nei pazienti che hanno sviluppato una complicanza emorragica, la DAPT andrebbe utilizzata per il minor tempo possibile, ovviamente sempre in ac-cordo con il cardiologo. Va infine stressata l’importanza di minimizzare l’utilizzo di farmaci gastrolesivi, primaria-mente gli antiinfiammatori non steroidei, ma anche gli steroidi e gli inibitori del re-uptake serotonina (40), che potrebbero ulteriormente aumentare il rischio di san-guinamento.

evoluzione del caso Il paziente è stato sottoposto a EGDS dopo 8 ore dall’evento acuto, in condizioni di stabilità emodinami-ca; è stata riscontrata un’ulcera della giunzione esofa-go-cardiale con sanguinamento a nappo e grossolano vaso visibile (figura 3). Il sanguinamento è stato inter-rotto con iniezione di adrenalina ed apposizione di due clip metalliche.

è stata proseguita la terapia con ASA ed impostata infusione continua con PPI; previo controllo endosco-pico a 24 ore, che non ha mostrato stigmate di rischio emorragico significativo, è stata ripristinata la terapia con clopidogrel dopo 72 ore dall’esordio dell’evento emorragico.

Corrispondenza ALESSANDRO DURANTEU.O. Cardiologia Ospedale ValduceVia Dante, 11 - 22100 Como Tel. + 39 031 324 661 E-mail: [email protected]

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