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Pietro Archiati CHE COSA MI RENDE SANO? CHE COSA MI FA AMMALARE? Le cause profonde della salute e di ogni malattia

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www.liberaconoscenza.it Pietro Archiati

CHE COSA MI RENDE SANO? CHE COSA MI FA AMMALARE?

Prima conferenza: Sintomi quotidiani di salute e malattia nel corpo, nell’anima e nello spirito

Seconda conferenza: Come l’anima e lo spirito incidono sulla salute del corpo

Terza conferenza: Come i rapporti personali ci rendono sani o malati nel corpo

Quarta conferenza: Come il lavoro e qualsiasi attività sono causa di salute e malattia

Quinta conferenza: Come la crescita interiore crea in noi il massimo di salute corporea

Le cause profonde della salute e di ogni malattia

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Pietro Archiati

CHE COSA MI RENDE SANO? CHE COSA MI FA AMMALARE? Le cause profonde della salute e di ogni malattia

(Convegno di ROMA, 3-5 Maggio 2013)

N.B. Libera trascrizione del parlato a cura di Grazia Arciola

NON redatta e NON rivista dall’autore

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Indice

Venerdì 3 maggio 2013, sera Sintomi quotidiani di salute e malattia nel corpo, nell’anima e nello spirito 5Dibattito 19

Sabato 4 maggio 2013, mattino Come l’anima e lo spirito incidono sulla salute del corpo 22Dibattito 35

Sabato 4 maggio 2013, pomeriggio Come i rapporti personali ci rendono sani o malati nel corpo 45Dibattito 59

Sabato 4 maggio 2013, sera Come il lavoro e qualsiasi attività sono causa di salute e malattia 64Dibattito 79

Domenica 5 maggio 2013, mattino Come la crescita interiore crea in noi il massimo di salute corporea 86Dibattito 98

A proposito di Pietro Archiati 102

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Venerdì 3 maggio 2013, sera Sintomi quotidiani di salute e malattia

nel corpo, nell’anima e nello spirito

La persona normale crede che la cosiddetta materia sia una realtà, invece la materia non è proprio nulla, se dentro la cosiddetta materia non ci fossero le forze vitali. Vi parlerò di 7 tipi fondamentali di energie del vitale, di forze animiche, psichiche. Per esempio, un pen-siero… cosa è un pensiero? È una realtà animica. Io sento, vivo un sentimento, la rabbia, la gioia. Cos’è la gioia? È materia? Non è ma-teria, è una forza psichica. Poi ci sono le forze spirituali.

Abbiamo quindi:

• il vitale, tutto ciò che è vita, • l’animico • e lo spirituale.

La vita, l’anima e lo spirito.

Il primo pensiero in fatto di malattia e di salute e guarigione è che, quando si fa un’analisi istologica, per vedere al microscopio una cel-lula, la devo tirare fuori dal corpo. Se tiro una cellula fuori dal corpo, che cosa ho? Il contesto di forze vitali, il contesto di forze dell’anima, il contesto di realtà dello spirito non ci sono più ed io ho un pezzetti-no di materia, ma è materia morta. Il vitale non c’è più dentro, perché l’ho tirata fuori dall’organismo. Una cellula è intrisa di forze vitali soltanto dentro l’organismo, quando io la tiro fuori, non è più la stes-sa realtà. Una cellula è intrisa di forze dell’anima solamente quando è dentro l’organismo, se la tiro fuori per fare un’analisi in chiave di anatomina, non è più la stessa realtà. E se non c’è dentro operante la realtà dello spirito, non è più la stessa realtà.

Il vitale… diciamo, una persona sana è vivente, vive bene. Cosa vuole dire essere vivente? Vivere sanamente? Che differenza c’è tra

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un corpo normale di noi che viviamo e un cadavere? Al cadavere, subito dopo la morte, cosa manca? Da un punto di vista dell’anato-mia è rimasto tutto, però se è morto deve essere sparito qualcosa, deve essere uscito qualcosa per cui uno dice: ma finché era vivente cosa c’era che adesso che è morto non c’è più?

Il vitale, la scienza dello spirito lo chiama eterico, un termine molto più scientifico; le forze psichiche, le denomina astrali.

L’eterico in forma pura, l’energia vitale non la trovo nella pietra, che è morta; se guardo la pianta, invece, è viva e vegeta. Come fa la pianta a vivere? Perché non è ferma e morta come la pietra? Che cosa ha la pianta dentro, che la pietra non ha? È una domanda fonda-mentale per capire le sorti della malattia e della salute. Nella pianta c’è il primo elemento sovrasensibile, che chiamiamo l’eterico.

La pietra non si muove, però noi conosciamo qualcosa di morto, di minerale che però si muove: l’automobile. Ma cosa fa muovere l’auto? Quale è l’essenza di un’auto? Non è la somma dei pezzi, per-ché la somma dei pezzi non fanno la macchina. L’essenza di una macchina è la struttura di pensiero, tutti i pezzi strutturati in un modo tale che interagiscono per fare muovere la macchina. Il modo di interagire è la strutturazione dei pezzi. Quindi la macchina all’o-rigine è una enorme e complessa pensata dell’uomo. Se non ci fosse stato un intelletto umano che fosse stato capace di strutturare le varie parti in modo tale che interagiscano per farla muovere, la macchina non esisterebbe. Una macchina è in origine una struttura complessissima di pensiero umano.

Che cosa è una rosa? Vive, si muove, cresce. In questo crescere c’è il movimento, il cambiamento della forma. L’origine, l’essenza della rosa è una struttura di pensiero e questa struttura di pensiero non contiene soltanto forme, ma metamorfosi, quindi una legge di forma-zione rosacea – perché deve essere una rosa e non un tulipano – non solo di formazione ma anche di trasformazione in continuazione.

Che cosa vive e vegeta e opera dentro la rosa? Una struttura di pensiero. E chi l’ha pensata questa struttura di pensiero? Chi l’ha pensata la struttura di pensiero della macchina? Colui che ha creato

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la macchina. Chi ha pensato la struttura di pensiero di formazione e di metamorfosi, trasformazione della forma che sta alla base, che opera, lavora dentro la rosa? Colui che ha creato, architettato la rosa. Chi è il più grande pensatore? Colui che si è messo in testa tutte le pietre che ci sono, tutte le piante che ci sono, tutti gli animali che ci sono e tutti gli uomini (e donne) che ci sono.

Qualcuno ha detto Dio, una parola che non mi dice nulla; io lo chiamo colui che ha pensato tutto il mondo, architettandolo, crean-dolo a partire dal pensare, che sprigiona dallo spirito pensatore; è il sommo pensatore. E i suoi pensieri vivono, operano dentro tutte le cose. Il Vangelo di Giovanni non lo chiama Dio, sarebbe troppo astratto, non lo chiama il Cristo, lo chiama il sommo pensatore, il Logos.

Così come nella pietra opera, vige lo Spirito della forma, che pen-sa forme; così come nella pianta vive, agisce lo Spirito che pensa pensieri in movimento, in metamorfosi, in crescita, in cangiamento continuo, così l’animale è la creatura intrisa di forze animiche. Una pianta può vivere, sentire animicamente la fame? Possono soffrire le piante? No! Sennò cominciano a essere animali. Un essere ha dei sentimenti, ha un vissuto interiore, un’eco interiore del mondo ester-no, soltanto se c’è un corpo astrale. E nella pianta non c’è nulla del corpo astrale, c’è il corpo eterico al cento per cento, ma nulla di astrale. Appena hai un animale c’è subito il corpo astrale, a partire dai più piccoli insetti.

L’anima è il vissuto, tutti i sentimenti, gioia, dolore, simpatia, an-tipatia, ecc. In una cellula il nostro corpo è sano o malato a seconda delle forze formanti che ci sono, il polmone deve avere la forza giu-sta, forze vitali, eteriche, forze animiche o astrali. La forze formanti sono nelle pietre, in più sono vitali nelle piante, in più animiche nell’animale e in più spirituali nell’uomo. L’uomo ha tutte e quattro le forze. Cerchiamo una parola per esprimere lo specifico dell’uma-no e che gli animali non hanno.

Allora:

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• Forze formanti: i minerali• Forze vitali, eteriche: la pianta, il vivente• Forze animiche, astrali, del vissuto: l’animale

Il pensiero… ma il pensiero è a tutti i livelli: formante, trasformante, vissuto. Metto tra parentesi “pensiero” e ci metto a fianco la “libertà creatrice”, la capacità di creare qualcosa di nuovo. L’animale non ne è capace. Un leone si comporta secondo l’istinto della natura del leone. Invece l’individuale, lo specifico dell’umano è ciò che è individuale, libero, creatore, che fa sorgere qualcosa di nuovo. Tanto è vero che stiamo creandoci dei pensieri tutti nostri. Questo non lo fa l’animale né la pianta né la pietra.

L’affermazione fondamentale dice: per quanto mi riguarda, tutti i fat-tori di salute e di malattia nel mio corpo fisico dipendono da quattro fattori fondamentali – di cui la scienza materialistica conosce soltanto ciò che è esterno. La compagine del mio corpo, le vicissitudini del mio corpo, i fattori di malattia e salute del mio corpo dipendono in tutto e per tutto dalle forze formanti, dalle forze vitali. I sette tipi di forze vitali, dipendono dalla compagine della mia anima (dal mio corpo astrale) e il mio corpo dipende in tutto e per tutto dall’evoluzio-ne del mio spirito.

Una scienza dello spirito capovolge l’assunto fondamentale della me-dicina e dice: nel corpo ci sono soltanto effetti, le cause sono tutte invi-sibili, sono nel vitale, nell’anima e nello spirito. Se pensi che la causa di uno stato di malattia sia ciò che è avvenuto nel mondo fisico (per esem-pio un incidente d’auto provocato dall’errore dell’altro guidatore), sgarri in assoluto. La causa è nel tuo spirito, nell’evoluzione della tua anima; forse nella vita precedente hai avuto un karma col Tizio – che tu non conosci neanche – che ti è venuto addosso, e tu tra la tua ultima morte e la nuova nascita, hai imbastito per esempio un incidente. Quindi la cau-sa di questa malattia nel corpo fisico non è la realtà dell’incidente ester-no, ma è quello che siamo stati l’uno per l’altro (magari io l’avevo bistrat-

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tato nella vita precedente), e ora ci sono delle forze che attirano i due esseri e in quel momento dell’incidente riprendono il loro rapporto per continuare a svolgerlo più positivamente possibile. In altre parole, così come noi in fatto di malattia e salute escludiamo il caso, così anche nel karma si esclude il caso. «A caso» significa senza ragione. In un mondo nel quale il grande pensatore ha pensato tutto così logicamente, è possi-bile che ci sia la minima cosa che avviene non a ragion veduta? Tutto avviene a ragion veduta, tutto avviene secondo la logica, o la logica del pensiero o la logica dell’amore o la logica del vitale.

La logica dello spirito si chiama pensiero, la logica dell’anima si chia-ma amore, la logica dell’eterico si chiama la vita, la logica del fisico si chiama forma, le forme fisse, perché se non avesse forme fisse, se tutto fosse continuamente in cambiamento, non potremmo vivere la vita sulla terra, nel mondo minerale. Il mondo è sceso a livello delle forme fisse per concedere allo spirito pensatore umano, che non è così veloce come lo spirito pensatore del Logos, di diventare sempre più bravo nel pensa-re, piano piano, a forza di percezioni. Cosa è una percezione? La perce-zione è il Logos al rallentatore. Se il Logos ci desse la pensata “rosa“, come puro pensiero, non ci capiremmo nulla, sarebbe una cosa così ve-loce, così spirituale. Noi poveri uomini dobbiamo imparare l’evoluzione del pensiero a partire da zero.

Allora la mia pensata della rosa te la metto in chiave di percezione, così tu la rosa te la puoi guardare e riguardare, finché un po’ alla vol-ta oltre alla percezione arrivi anche al concetto della rosa. Il grande Pensatore, nelle percezioni ci ha squadernato i suoi pensieri al rallen-tatore per darci il tempo e la possibilità di pensarci sopra, di tornare a vederla. Per capire la rosa sempre di più devo percepirla, osservarla, studiarla. E per poterla studiare, il Logos, puro amore allo spirito umano, ci presenta i suoi pensieri come percezioni. Il Vangelo di Gio-vanni dice: in principio era il Logos, niente sentimentalismi: il Logos, pura scienza dello spirito. Il Logos nell’amore allo spirito umano ci presenta i suoi pensieri al rallentatore come percezioni. Il Logos si è fatto carne, il Logos ha reso i suoi pensieri percepibili per creare sem-pre di più i pensieri, rintuzzati dalle percezioni.

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Quali sono i 7 tipi del vitale? Le 7 qualità eteriche dentro il corpo fisico:

Dove è la vita «quasi» morta? La vita nei sensi. Una differenza fondamentale tra l’occhio umano e l’occhio di un animale è che l’oc-chio di ogni animale è di un tanto più vitale che non l’occhio umano. L’occhio umano ci permette di percepire oggettivamente, spassio-natamente perché la vita dentro l’organo di senso si ritira quasi com-pletamente, non del tutto se no il corpo muore.

Dove c’è un pochino più di vita? Nel nervo.Poi c’è una vita nel respirare.C’è una vita nella circolazione del sangue, un tipo di vita proprio;

il cuore.Poi aumenta sempre di più la vita: la vita del metabolismo, la vita

del movimento. Se io sono fermo ho bisogno di meno forze vitali che quando mi muovo.

Il massimo del vitale è dove la vita si raddoppia, nella riproduzio-ne.

Quindi:

• vita dei sensi, • vita del nervo, • vita del respirare, • al centro il cuore, • poi il metabolismo, • il movimento • e la riproduzione.

La vita dei sensi è una vita che muore, in processo di morire, sta morendo. La vita dei nervi è una vita che conserva, una specie di stasi; il pensare è fondato sui nervi perché la vita si ferma; il pensare è possibile soltanto perché, quando noi pensiamo, nell’organico noi rintuzziamo le forze vitali. E noi possiamo pensare solo sull’onda dei nervi. Tutto ciò che è neurosensoriale nell’organismo è lo strumento del pensare. E per poter pensare, l’attività del pensare respinge, con-tiene, reprime la forza vitale.

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Una vita che muore – i sensi –, una vita che conserva – i nervi –, il respirare è una vita che plasma. Tutto ciò che è di respiro vive in tutto l’organismo. La respirazione non ha a che fare solo con i pol-moni e con la laringe. La respirazione, entrando in interazione con il sangue, è un fattore di tutto l’organismo ed è una vita che plasma. Formare, plasmare il polmone in forma di polmone, plasmare il cuore in forma di cuore, la milza in forma di milza, il rene in forma di rene avviene con il vitale che si svolge sull’onda dell’aria del re-spiro.

Uno si domanda: come ha fatto Steiner a sapere in un modo così scientifico tutte queste cose? Perché essendo discepolo del Logos in via di eccezione, era in grado di percepire tutte queste cose. La scienza dello spirito di Rudolf Steiner non inventa nulla, è fondata, così come la scienza naturale, sulla percezione. Queste cose o vanno percepite e allora uno le esprime in modo scientifico, oppure non ne parla.

Che cosa fa il sangue che circola? Che tipo di vita è? Il tipo di forze vitali che circolano con il sangue in tutto l’organismo? Steiner dice: «La circolazione del sangue fa circolare in tutto il corpo immagini di for-me». Prima di rendere percepibile una Fiat, il creatore della macchina che cosa ha nel suo spirito? Un’immagine. Quindi la forma della mac-china è in forma di immagine, il creatore deve averne un’immagine. Il sangue fa circolare queste immagini di forme, che sono immaginazio-ni. La vitalità del sangue, il circolare del sangue crea nell’organismo le immaginazioni di tutte le forme che sorgono poi nell’organismo. Se no, come fa il sangue a fare sorgere tutte queste forme? L’eterico nel sangue è intriso di immaginazioni di tutte le forme corporee.

Se il respirare plasma delle forme, il sangue le fa circolare in tut-to l’organismo, a questo punto la forma deve intridersi di materia, perché tutto ciò che è materiale è fatto di forma e di materia. Il me-tabolismo ci mette la materia, fa sorgere gli organi in quanto sono materiali. Quindi c’è un tipo di forza vitale, che è materializzante, che etericamente immette materia in queste forme che vengono pla-smate dalla realtà respiratoria e che vengono fatte circolare in ogni cellula dell’organismo dal sangue.

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Il movimento è una vita che dà forza. Quando io ho un organo fatto di materia, ho la forma e la materia, ancora non è detto che, con la forma e la materia, io abbia della forza. La forza gli viene messa dentro attraverso la vita del movimento. Le gambe e i piedi hanno forma e materia, ma se non ci fosse un sesto tipo di energia vitale che infonde forza nella materia e nella forma, non ci sarebbe movimento. Se ci metto dentro la forza, questa forza fa muovere la forma intrisa di materia. Infine, la riproduzione, gli organi sessuali.

Abbiamo:

• Una vita che muore, • una vita che conserva, • una vita che plasma forme, • una vita che fa circolare tutte le immagini delle forme in tutto

l’organismo, • una vita che intride di materia gli organi, • una vita di movimento che dà forza • e infine una vita che si rinnova.

Prendiamo una cellula nel nervo, dove il vitale è quasi morto. La scienza dello spirito dice: una cellula la tiri fuori dall’organismo, però devi capire che c’è una polarità assoluta tra una cellula del ner-vo e una cellula del fegato, dove c’è il vitale puro. Nell’organismo una polarità fondamentale è tra la realtà del nervo, neurosensoriale e la realtà vitale del fegato.

Il nervo è sano quando ha un minimo di vita, il fegato è sano quando ha un massimo di vita rispetto a tutti gli altri; la malattia è sempre uno squilibrio o di troppo o di troppo poco. Anche il nervo ha la possibilità di ammalarsi o perché diventa del tutto devitalizzato e non lo posso più usare, comincia a diventare cadaverico, oppure quando nei nervi entra una esuberanza di vitalità. Una esuberanza di vitalità nel nervo compromette tutti i processi di coscienza fondati sul sistema neurosensoriale. In che cosa consiste il mal di testa? Il fegato è il vitale. Quando la parte inferiore del corpo non riesce a

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smaltire i cibi che noi ingeriamo, non riesce a svolgere tutto il pro-cesso di digestione, ad esempio quando si mangiano patate che per natura sono difficili da smaltire in tutto e per tutto nello stomaco; quando lo stomaco non ce la fa a fare lui tutto il processo di digestio-ne, ne manda su verso la testa e tocca alla testa e quindi agli organi di senso, al sistema neurosensoriale di fare un minimo di digestione perché la parte inferiore non è capace di farla. Il mal di testa, l’emi-crania, è perché il cervello viene costretto a smaltire quel minimo dei cibi che lo stomaco non è stato capace di smaltire da sé. In chiave di medicina, sapendo che c’è questa polarità che, dove avvengono processi di coscienza, il vitale deve venire massimamente devitaliz-zato, ma non del tutto, e quando si tratta del vitale è importantissimo non portarci dentro processi di coscienza, se il medico ha un minimo di conoscenza scientifica di queste polarità, allora sa orientarsi. Per-ché una malattia neurosensoriale è di tutt’altra natura che non una malattia differente. Quando processi di coscienza non restano nel sistema neurosensoriale, ma scendono giù verso lo stomaco succede il tifo. Il tifo è una specie di coscientizzazione dello stomaco, proces-si di coscienza che dovrebbero essere svolti dalla sfera della testa, neurosensoriale, vengono mandati giù perché magari questa persona non è capace di gestire con abbastanza robustezza i processi di co-scienza, manda giù verso l’apparato del metabolismo, della digestio-ne e salta fuori il tifo. Il tifo sorge quando il fegato comincia a pen-sare troppo, perché il compito del fegato non è di pensare, è invece di vivere, di generare forze vitali.

Supponiamo una persona con lo stomaco malato… c’è qualcosa nello stomaco che non va? No. Lo stomaco fa male, ma non c’è nulla che non vada nello stomaco. Uno stomaco che fa male è un processo di natura tale e quale uno stomaco che non fa male: due fenomeni di natura. Per entrare in questa realtà dello spirituale che la nostra cul-tura ignora, dobbiamo terapeuticamente, continuamente esercitare uno shock in modo che ci rendiamo conto, perché veramente siamo dei ciechi; lavoriamo sugli effetti e non andiamo mai alle cause. Se lo stomaco è malato, la causa non è mai nello stomaco; la causa o è

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nell’eterico, che ha sette forme diverse, o è nell’astrale, nell’animico, che ha tre forme diverse fondamentali – pensiero, sentimento e vo-lontà – o è nello spirito.

Questo per evidenziare il fatto che la nostra medicina, tutte le nostre terapie, operano senza avere una scienza dello spirito che ci aggiunge le cause vere, che sono nel vivente, che sono nell’anima, che sono nello spirito. Steiner usa un esempio. C’è una locomotiva che arriva sempre in ritardo: «Ma c’è qualcosa che non va in questa locomotiva!». Chiamano il meccanico e comincia a dare martellate alla locomotiva, guardano tutto quanto, provano di nuovo per vedere se ora funziona bene. No, la locomotiva continua ad arrivare in ritar-do! Finché non si scopre che non c’entra niente la locomotiva, il mac-chinista ogni giorno si beve un bel po’ di vino e, siccome lui è sem-pre ubriaco, la locomotiva arriva in ritardo!» Steiner dice: la nostra medicina, così “illuminata” è al punto di queste persone che pensano che il problema sia nella locomotiva, pensano che il problema di uno stomaco malato sia nello stomaco. La causa è sempre il macchinista; e chi è il macchinista del corpo umano, di questa locomotiva? Il suo spirito, la sua anima e le sue sette energie vitali! L’Io, il corpo astra-le, il corpo eterico, dice la scienza dello spirito: quello è il macchini-sta!

Il corpo è veramente come una locomotiva, ci può essere una lo-comotiva rotta, ma è rotta perché non l’hanno tenuta in ordine, la colpa non è mai della locomotiva.

Vi racconto quattro riflessioni sul macchinista. Il macchinista è l’uomo, quindi il corpo di un uomo è sempre il risultato di ciò che l’uomo è o è stato nel passato, il corpo è sempre l’effetto mai la causa. Tra parentesi, parlare di malattia e di salute, di persone sane e malate è una forma suprema di terrorismo moraleggiante, perché coloro che credono di essere sani moraleggiano sulle persone malate, quindi per-sone anormali. Ogni volta che una categoria di persone si erige a nor-ma: «Noi siamo normali e tu sei anormale», questo è terrorismo mo-raleggiante, va rintuzzato nel modo più assoluto. Ci sono soltanto esseri umani sani, malati non ce ne sono mai stati! È un assurdo che

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una persona possa essere malata. Se uno ha uno stomaco rovinato, è il suo modo individuale di essere sano, ne ha tutto il diritto. Quale è il senso di uno stomaco rovinato? Che tu hai la capacità, la possibilità; altri, quelli che si ritengono normali, non sono ancora capaci, perciò si godono il comodismo di ciò che chiamano salute. Invece, se tu hai lo stomaco rovinato è perché ti ritieni capace di ricostruirlo in modo del tutto individualizzato a misura del tuo spirito. Perché, a che mi serve uno stomaco che mi ha dato la natura, o l’eredità? Non lo voglio! Io voglio uno stomaco a misura mia, individualizzato, costruito da me. E come faccio? Semplicissimo: distruggo quello che mi ha dato la natura e mi godo di ricostruirlo in un modo del tutto individualizzato. Quindi i sani sono sani e i cosiddetti malati sono super-sani, se hanno la capa-cità di far pulizia di pensiero e di vedere le cose in questo modo.

• corpo fisico: il polmone• corpo eterico: il fegato, come si costruisce il fegato. Il vivente si

esprime in modo archetipico nel fegato.

Corpo fisico e corpo eterico è l’uomo che dorme. La salute dell’esse-re svegli è che noi ci godiamo i processi di coscienza, ciò che vivia-mo, ciò che capiamo, ciò che gustiamo, ciò che portiamo a consape-volezza. I processi di coscienza devitalizzano, distruggono forze di vita e perciò dobbiamo rinutrirci, dobbiamo dormire. Dormire signi-fica tirare fuori l’anima, tirare fuori lo spirito di modo che il fisico e il vitale si ricostruiscano.

• corpo astrale, l’anima: tutti gli organi della respirazione• l’Io: gli organi della circolazione del sangue. Il sangue è sempre

l’espressione dell’Io individuale, libero, singolo.

Qual è il fenomeno archetipico che fa ammalare il polmone e quindi tutto il corpo fisico?

Qual è il fenomeno centrale che fa ammalare il fegato e mette in forse le forze del corpo eterico?

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Che cosa nello spirito e nell’anima dell’uomo fa ammalare tutti gli organi di respirazione e rovina il corpo astrale e soprattutto, im-portantissimo, distrugge le forze del sangue?

Letteralmente da un taccuino scritto da Rudolf Steiner:

«Il plasmare il polmone, che coinvolge tutto l’architettare del corpo fi-sico, viene messo in forse, viene distrutto con le ansie, le preoccupazio-ni e gli affanni che l’individuo si rimugina in solitudine».

Questo accade nella misura in cui l’individuo passa ore e giornate da solo – e vedremo come è importante per la salute fisica la comunica-zione, il dialogo – a rimuginare queste preoccupazioni, queste ansie. Pensiamo a una persona rosa per anni dall’assillo dell’insufficienza dei soldi; o dalla preoccupazione se l’amico, il suo compagno di vita resterà fedele. Si possono passare giornate intere rimuginando, vi-vendo questa preoccupazione, quest’ansia, nella solitudine, questo è importantissimo, non viene comunicata, non viene condivisa, di-strugge direttamente le forze del polmone. I polmoni non possono costruirsi e quindi se il polmone va a ramengo il corpo diventa pas-sibile, a seconda di dove è più debole, di tutti i tipi di malattia.

Stiamo parlando delle quattro origini fondamentali di tutti i tipi di malattie.

1. Il fegato, tutto ciò che è vitale, le forze settuplici del vitale, vengo-no messe in forse, vengono distrutte nella misura in cui «L’individuo vive sentimenti malsani, di cui non ha conoscenza, su cui non si è istruiti», cioè si è ignari delle leggi di operatività. Un esempio classi-co è l’invidia. Tante persone sanno cosa vuol dire invidiare. Nella misura in cui – e la scienza dello spirito ci dà le leggi oggettive in cui opera l’invidia – sentimenti malsani su cui non si è istruiti, di cui non si conoscono le leggi di operatività, rovinano il fegato e, rovinando il fegato, le forze epatiche, rovinano, mettono a repentaglio tutti e sette i modi dell’eterico. È importante venire a conoscenza del modo og-gettivo di operare dell’invidia: l’invidia rende il corpo astrale povero di forze che dovrebbe dare a tutto l’organismo. Una prima cosa da

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sapere sull’invidia è il modo in cui si maschera. La seconda istruzio-ne che la scienza dello spirito ci dà è che cosa salta fuori dall’invidia nella seconda parte della vita e poi cosa salta fuori dall’invidia nel corpo nella vita dopo. Qualcuno potrebbe dire: ma non siamo ancora nella vita dopo! E invece sì, noi già siamo tutti nella vita dopo, siamo tutti nella vita già passata, no? L’invidia si maschera perché nessuno dice volentieri di essere invidioso. L’invidia si maschera con la vo-glia e la mania di criticare: il criticone è un invidioso mascherato. Nella vecchiaia, colui che ha mascherato la sua invidia criticando, mostra una mancanza assoluta di indipendenza, di autonomia; è tut-to contento quando può dire: questa cosa me l’ha consigliata quella persona. E l’invidia mascherata diventata poi mancanza di autono-mia. E nella vita successiva, il bambino, si presenta a noi adulti con un corpo debole, gracile. Le vicissitudini della salute sono molto complesse. Però come orientamento generale, quando un bambino ha una costituzione fisica gracile per natura è un essere umano che nella vita precedente ha invidiato, e chi ha invidiato? Noi adulti che siamo karmicamente congiunti con lui. Steiner dice: nella misura in cui i genitori, gli adulti, i maestri, attorno a questo bambino così gracile, istruiti sul fatto che sono stati invidiati da questo bambino, gli perdonano coscientemente, gli portano incontro l’opposto dell’in-vidia, cioè la benevolenza, la gioia, lo aiutano. Se c’è questo tipo di consapevolezza, conoscenza delle vicissitudini del rapporto tra l’ani-ma e la salute, ci si può strabiliare che questo bambino che era palli-dino e gracile nel giro di pochi mesi avrà delle guance belle rosse. È questo il modo in cui, ciò che è di natura spirituale, la conoscenza, ciò che è di natura animica, il perdonare, il ricambiare l’invidia con la benevolenza, influisce, soprattutto nel bambino, direttamente, in un modo molto vivace.

2. Gli organi della respirazione, che portano l’ossigeno in tutto il corpo, che ossigenano il sangue, vengono rovinati con sentimenti antisociali: quando una persona manca di interesse all’altro essere umano, manca di rispetto profondo per la pari dignità di ogni essere

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umano. Nella misura in cui non c’è questo amore sociale, che tutti hanno diritto a vivere nell’organismo sociale come membri viventi, che hanno diritto a risucchiare tutte le forze dell’umano che io traggo da tutto l’organismo dell’umanità, soltanto nella misura in cui io, da organo vivente nell’umanità, mi metto nell’umanità, faccio qualcosa per gli altri. Nella misura in cui una persona, anche se non se ne rende conto, vive con sentimenti antisociali rovina direttamente tutti gli organi della respirazione. Non il fegato, non il polmone, non il cuore, ma gli organi della respirazione, tutti gli organi in quanto re-cipienti di ossigenazione attraverso il respirare.

Che cosa rovina direttamente il sangue? Tutte le vicissitudini cir-colatorie dell’organismo. Perché è importantissimo che ogni cellula riceva il sangue in modo giusto, un sangue vivente.

E l’Io, che riguarda non soltanto l’anima ma lo spirito dell’uomo, è rovinato da una vita senza senso. Più l’essere umano vivrà da ma-terialista che perde ogni interesse per ciò che è oltre il materiale, non se ne accorge, ma distrugge il sangue. Un materialismo che ignora lo spirito, che non ha interesse per lo spirito. Per esempio, pensieri di suicidio, di una persona che lotta interiormente per trovare un senso a una esistenza che materialisticamente non ha, è una persona che sta lavorando a rovinare il sangue, nel senso fisiologico della parola.

Quindi:

• Il polmone, il corpo fisico, sono i misteri della forma, della luce che è all’origine delle forme.

• il fegato, sono i misteri della vita, della metamorfosi, il logos, lo spirito del sistema solare origine pensante di tutto ciò che è vivente

• i misteri dell’amore, nell’equilibrio tra amore di sé e amore dell’altro• il mistero del senso, del significato della vita.

Ciò che a noi interessa non è dire alle persone cosa devono o non de-vono fare, la morale non ci interessa. La morale per lo più è un surro-gato spurio della conoscenza, dove c’è conoscenza non c’è bisogno di moraleggiare. E dove c’è conoscenza di ciò che è unico, irripetibile,

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che è la segnatura dello spirito umano, se è vero che il senso dell’evo-luzione è una individualizzazione sempre più pronunciata, ciò che è moralmente bene per un individuo è moralmente male per ogni altro. Se è bene per me non può essere bene per un essere che è del tutto diverso da me. Quindi il bene, o si individualizza sempre di più, o andremo sempre peggio. Una morale comune è per natura antiquata, anacronistica, non ha futuro. Tutta la legislazione dovrebbe limitarsi a sancire le azioni che vanno proibite, le azioni che ledono la libertà, tutto il resto è permesso. E il bene morale sommo? La realizzazione dell’individuo nella sua ricchezza unica che immette nell’umanità un frammento di ricchezza che soltanto lui può immettere. Un valore morale maggiore che non la ricchezza specifica dell’individuo non ci può essere. Quindi il bene morale massimo per te è ciò che tu sei per te e per tutti gli altri.

Per rispondere alla domanda sul trapianto di organi e sulle trasfu-sioni di sangue. Se partiamo dal presupposto che c’è una individua-lizzazione sempre più pronunciata, quando è che un trapianto di or-gani funziona di più e quando è che funziona di meno? Un trapianto di organi funziona in più in un organismo massimamente meccaniz-zato. Perché si possono cambiare i pezzi di una macchina? Perché i pezzi non sono organicamente intrisi di un vitale comune e, siccome sono solo meccanicamente connessi l’uno con l’altro, io posso cam-biare un pezzo. Non sto dicendo se sia bene o male, sono elementi di conoscenza. Il trapianto di organi funziona al massimo per l’organi-smo ricevente quando è massimamente meccanizzato. Nella misura in cui tutti gli organi dell’essere che vorrebbe ricevere l’organo è in-triso delle sue specifiche forze settuplici del vitale, l’organo che rice-ve gli sarà del tutto estraneo e lo rifiuterà. Non vi dico se si debba o non si debba fare, la scelta è personale. È importante la conoscenza. Se uno dice: la mia carcassa è già quasi a livello di macchina, se io voglio godermela un altro po’ di anni, sostituisco un pezzo. Chi è la persona che si permette di proibirglielo?

Ora parliamo del sangue. Il sangue non è un organo, non lo sosti-tuisco come io sostituisco un rene che non funziona. Se il sangue è il

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precipitato fisico, l’espressione fisiologica di uno spirito individuale, la trasfusione di sangue funziona nella misura in cui colui che riceve ha poche forze dell’Io e ne perde ancora di più; rischia di perdere quelle poche che gli restavano perché entra nel suo sangue una ope-ratività che è l’espressione di un altro spirito. Accentua la de-egoiz-zazione, la de-individualizzazione, perde sempre di più la qualità, la forza specifica, la creatività libera, artistica, specifica del suo Io. Nessuno ha il diritto di proibirgli di farlo, è una lesione della libertà. Soltanto le azioni che ledono, distruggono la libertà vanno proibite. Ciò che ci manca è la conoscenza oggettiva delle cose e poi lasciamo le persone libere.

Dibattito

Domanda: come concepisce la scienza dello spirito la malattia genetica?Risposta: una delle domande fondamentali che ogni spirito umano,

per quanto semplice, si deve chiedere è: se è vero o se non è vero che ogni essere umano vive una volta sola. In questa vita, usando le forze di pensiero che mi sono state regalate, sempre di più sono giunto al convincimento che se partiamo dal presupposto che si vive una volta sola, tantissime cose diventano assurde e non accetto l’assurdità, per-ché l’assurdità è un’offesa alle forze di pensiero. Perché il pensiero vuole cogliere non l’assurdo, ma ciò che ha senso. Se parto dal presup-posto che c’è un’evoluzione, perché non vogliamo dare ad ogni essere umano la possibilità di partecipare a tutta l’evoluzione? Sarebbe un’in-giustizia che io ne vivo solo un pezzettino, dalla nascita alla morte, e poi mi catapultano in paradiso o all’inferno. Questa matrice è assurda. Ogni essere umano sa di essere nel mezzo di un’evoluzione. L’indivi-duo, alla sua morte, cosa ha realizzato dell’umano? Un frammento? Ognuno di noi porta in sé l’aspirazione, siccome è in toto l’essere uma-no, e ha il diritto a realizzare tutto l’umano e tutto in chiave individua-lizzata. Stando alle forze del Logos che sono state date a ciascuno di noi, lo spirito che si incarna ha, con i suoi genitori, millenni di vissuto

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in comune; una delle leggi delle ripetute vite terrene è che noi alternia-mo, di regola, le relazioni di sangue con rapporti di affinità elettiva; quindi c’è un’alternanza di forze di sangue e di forze di libertà. I geni-tori hanno un fondo genetico, costruito attraverso i millenni, attraver-so le diverse vite terrene, appartenente a tutti e tre, genitori e figlio. Ognuno di noi è l’artefice principale di ciò che è divenuto, ma chi di noi è divenuto ciò che oggi è senza nessun influsso dal di fuori? La legge del karma dice: tu, in ciò che tu sei, sei l’artefice principale, ma nessuno di noi è diventato ciò che è diventato senza gli influssi degli altri. In queste forze incarnatorie c’è il risultato di cammini comuni di tutti e tre i componenti della famiglia.

Lo spirito che si incarna riceve nel suo corpo tratti ereditari che gli vengono dati dai genitori? No. Nell’uovo prima che entri lo sper-ma maschile, c’erano le forze formanti della madre. La fecondazione consiste nel fatto che tutte le forze formanti vengono estromesse; che cosa c’è ora nella materia dell’uovo, c’è il puro caos, materia pura-mente caotica, senza alcuna forma formante. Un mucchio di mattoni informe non è una casa. Che cosa fa, di un mucchio di mattoni, una casa? Il pensiero. Allora la domanda è: chi decide quale forma deve avere questo mucchio di geni informi? Lo spirito che si sta incarnan-do. Allora direte: perché questo corpo, che lui si crea secondo il suo spirito, ha dei tratti comuni al corpo dei genitori? Perché lo spirito di tutti e tre ha dei tratti comuni e, siccome, dovuto ai tratti di cammino fatti insieme, questi tre spiriti hanno dei tratti spirituali comuni, im-primono sulla materia, ma non per causazione materiale di eredita-rietà, ognuno come spirito, imprimono nella materia certe qualità, certi caratteri che sono comuni e, oltre a ciò che è comune, ci sono un sacco di elementi che sono del tutto individuali. La scienza è in errore quando ritiene che l’uovo fecondato contenga a livello involu-to tutto il corpo, è vero l’opposto: è un mucchio informe di mattoni e il pensiero che struttura proviene tutto dallo spirito che si incarna. Quindi lo spirito che si incarna, ognuno di noi incarnandosi, ha co-struito in tutto e per tutto il proprio corpo secondo il suo spirito. Siamo sinceri; se saltasse fuori che qualcuno si è permesso di sinda-

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care, di influire sul modo in cui il mio corpo è stato formato, io lo rigetto. Come può permettersi un essere estraneo al mio essere di decidere del modo in cui io, a immagine del mio spirito, strutturo e formo in tutti i milioni di cesellature, il mio corpo? Ognuno è l’arte-fice in assoluto del suo corpo, però deve sapere che siamo all’inizio dell’individualizzazione e quindi il suo spirito ha tratti comuni so-prattutto con le persone che sono karmicamente legate, che hanno influito nei secoli, nei millenni sul suo spirito. Messe in questo modo le cose sono convincenti.

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Sabato 4 maggio 2013, mattino Come l’anima e lo spirito incidono sulla salute del corpo

Abbiamo usato l’immagine della locomotiva che arriva sempre in ritardo e di meccanici che si mettono ad indagare e a martellare la locomotiva e poi invece il motivo per cui la locomotiva arrivava sempre in ritardo era da ricercarsi nel comportamento del macchini-sta. Il corpo è la locomotiva – e non di più –, e questo corpo viene guidato da un macchinista e il macchinista è l’uomo. Si tratta di vincere il materialismo in cui siamo. Il materialismo riferito all’uo-mo è il convincimento, è il modo di vivere come se il corpo dell’uo-mo fosse l’uomo. Invece il corpo dell’uomo è come una macchina, una locomotiva, e colui che usa questa locomotiva è l’uomo. Il corpo è uno strumento, nel corpo succede soltanto ciò che lo spirito e l’ani-ma gli fanno.

Adesso ve lo metto un pochino più scientificamente. Il corpo ete-rico intride il corpo fisico, è sovrasensibile, è la prima dimensione dell’invisibile. In questo corpo eterico, corpo di forze vitali ci sono sette tipi di correnti vitali, che hanno a che fare con i sette pianeti classici: 1) la vita che muore; 2) la vita che si conserva; 3) la vita che dà forma – diventa sempre più attiva, la cosa – crea forme; 4) la di-mensione del cuore, il pianeta del sole, fa circolare sull’onda del san-gue immagini di forma in tutto il corpo. Però, finché abbiamo un morire di forze vitali, poi un conservare soltanto, poi un primo ac-cenno di forma… ma la forma senza materia non è nulla, lo diceva già Aristotele. Allora come facciamo a rendere vitali queste forme soprasensibili – che poi sono le forme di tutti gli organi del corpo, il sangue le porta in tutto il corpo –? Dandogli materia. 5) dà materia per vitalizzare le forme (3 va insieme con 5); 6) ora che abbiamo un insieme di organi con forma e materia, ci serve la forza del movi-mento, il metabolismo (2 va insieme con 6) aggiunge il movimento; 7) A forza di muoversi si logora tutto quanto e quando la vita si è logorata – cos’è polarmente opposto al morire? Il rinascere – fa rina-scere; gli organi della riproduzione fanno rinascere una vita che dal

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lato del neurosensoriale muore per fare posto alla coscienza (1 va insieme con 7).

Riprendiamo: chiamerei il corpo fisico il tutto materiale del cor-po. Per il corpo eterico diciamo che corrisponde a sette tipi di vita. Quando c’è un 7, c’è sempre un 3 sopra, un 3 sotto e una transizione in modo che ci sia una polarità. Per avere la coscienza, bisogna por-tare la vita a morte, se no non nasce la coscienza; la coscienza nasce soltanto dove il vitale si ritira; però se viviamo solo coscienza, il vi-tale scompare e scompariamo anche noi. Per non scomparire bisogna ricostruire sempre di nuovo il vitale. 3 e 3 = 6. Il settimo che poi è il quarto, il centro, fa da trapasso, è il cuore, che fa da mediazione tra i fenomeni di coscienza e i fenomeni di vita.

Gli esseri umani che si concentrano sul godimento del vitale sono dei poveracci, perché vivono come la pianta e come l’animale. La pianta e l’animale sono esseri di natura concentrati sul vitale; il vita-le è l’elemento di natura nell’uomo. Invece gli esseri umani che non si accontentano dei piccoli piaceri della vita, si godono molto di più. Godere la vita è da poveracci, godere la coscienza è da gran signori.

La domanda centrale di stamattina è: godere la vita ci rende al massimo felici, realizzati?

Il corpo astrale, pensatelo come una mandorla, è proprio la sua forma; l’anima. È una specie di aura, si chiama proprio l’aura astrale attorno all’uomo, sovrasensibile. L’anima è fatta di sentimenti, di passioni, di volizioni ecc.

L’Io è una specie di campo spirituale, è lo spirito.L’anima e lo spirito dell’uomo sono il macchinista. Il macchinista

decide cosa avviene nel corpo, sia nel corpo fisico, sia nel corpo eterico; tutto quello che in chiave di salute o di malattia, è nel corpo fisico e nel corpo eterico. Se il cuore fa le bizze, è inutile concentrar-si sul cuore, il problema non è il cuore; il cuore non è una pompa: l’Io, lo spirito dell’uomo, lavora sulla circolazione del sangue, quindi tutto il modo in cui il sangue circola, tutta la qualità di forza, di ric-chezza o di povertà o di debolezza del sangue, quindi lo spirito indi-viduale dell’uomo trova il suo riflesso nell’evento del sangue. Tutto

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il movimento del sangue crea il cuore. Tutte le malattie cardiopatiche si evidenziano nel cuore ma sono tutti eventi del sangue; e tutte le qualità del sangue, di ricchezza, di povertà, di forza, di debolezza, di individualizzazione o di ricaduta nell’ereditario (le malattie eredita-rie hanno principalmente a che fare con il sangue), tutti questi even-ti individuali del sangue si esprimono nel cuore. Ma dal cuore biso-gna risalire alla qualità del sangue e la qualità del sangue è decisa in tutto e per tutto da ciò che avviene nello spirito.

Invece l’anima è collegata molto di più con la respirazione.L’anima e lo spirito dell’uomo sono alle origini di ogni benessere

e di ogni malattia. E siccome l’anima e lo spirito, per natura, sono del tutto individuali, non ci sono due spiriti o due anime uguali, ognuno di noi si deve dire: le sorti del mio corpo fisico e del mio corpo vita-le dipendono in tutto e per tutto in ciò che avviene nella mia anima e in ciò che avviene nel mio spirito.

La medicina farà dei passi avanti soltanto nella misura i cui si sposterà da questo martellare la locomotiva e rivolgerà l’attenzione al macchinista. Il corpo è come la macchina ed è l’immagine di tutto quello che l’individuo ha vissuto nell’anima e nello spirito.

Che cosa sono io in quanto anima e che cosa sono in quanto spirito?L’anima è l’eco interiore, il vissuto interiore del mondo. Tutto ciò

che avviene nel mondo, gli incontri, le amicizie, le difficoltà della vita suscitano in me dei sentimenti.

Anticamente si diceva: l’uomo è fatto di corpo, anima e spirito; col passare del tempo il concetto di spirito è stato eliminato e la teo-logia, la religione dice che l’uomo è composto solo di corpo e di anima; poi è venuta la scienza materialistica, che ha eliminato anche l’anima e l’uomo si è ridotto al solo corpo. Quindi dobbiamo ricon-quistarci sia la realtà dell’anima, sia la realtà dello spirito. L’anima sono io in quanto sono passivo, lo spirito è attivo. Siccome questa qualità attiva dello spirito in tempi di materialismo non viene eserci-tata quasi per nulla, ci sono un sacco di persone che non sanno nep-pure più che cosa è lo spirito. È tutto da riconquistare.

Dove è la causa di una malattia, nel passato o nel futuro?

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La scienza materialistica conosce solo cause del passato. Causa ed effetto, cosa viene prima?

L’anima vive le malattie, vive il sano e il malato come se le cause fossero nel passato; nell’anima io mi vedo come un risultato, un ef-fetto inesorabile, necessario di ciò che è già stato. Invece lo spirito agisce, crea, invertendo questa successione di causa ed effetto. Nel mondo materiale, visibile, la causa viene prima e l’effetto dopo e siccome le scienze naturali conoscono solamente il mondo materiale allora la causa è prima e l’effetto è dopo. Lo spirito inverte questo rapporto e mette prima l’effetto e poi la causa. Noi iniziamo dall’ef-fetto quando noi progettiamo qualcosa, quando pianifichiamo, quan-do siamo rivolti al futuro; allora io prima devo avere ciò che voglio raggiungere e poi, quando ho ben chiaro l’effetto che voglio sortire, cerco le cause per arrivarci.

L’anima è il precipitato di tutto ciò che è il passato. Se io vivo una malattia come il risultato del passato. Io mi vivo solo come anima, «Cosa devo mai avere fatto nel passato, cosa devo avere mai fatto nella vita precedente per meritarmi questa malattia». Pensare così significa vivere soltanto come anima. Invece lo spirito dice: certo che ogni malattia, ogni trafila, risulta, è in armonia con il mio passa-to; c’è questa dimensione dell’anima, ma il motivo per cui ho questa malattia è che io mi sono messo in testa di conseguire, attraverso questa malattia, di conquistarmi, un cuore d’oro. Ogni malattia io la posso vivere, sull’onda delle scienze naturali, cercando soltanto le cause nel passato o la posso vivere chiedendomi: ma il mio Io supe-riore, il mio sovraconscio, il mio spirito, che cosa si è ripromesso di raggiungere attraverso lo strumento di questa malattia? Perché senza questa malattia non si potrebbe conseguire ciò che si vuole. Allora la malattia diventa la causa di un effetto che salterà fuori, delle conqui-ste che lo spirito si ripropone attraverso il lottare contro una malat-tia. La malattia per lo spirito è una causa e l’effetto è ciò che lo spiri-to si propone di raggiungere. Invece, per l’anima, la malattia è effetto e cerca le cause comodamente nel passato. È comodo sottoli-neare le cause nel passato, perché non si possono più cambiare. Una

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umanità che vive l’umano soltanto dal lato dell’anima, fissata sull’on-da delle scienze naturali, sulle cause nel passato, è una umanità di comodismo che ci rende sempre più poveri.

Questa che dice che una malattia è un progetto da realizzare è inversione di marcia; ogni malattia che io mi propongo, lo spirito la vuole. Allora ogni malattia è il presupposto per rendermi sempre migliore come spirito. Chi non si prende nessuna malattia è un pove-raccio, uno che vince una malattia dopo l’altra diventa sempre più attivo, sempre più spirito, si conquista mete una dopo l’altra. Lo spi-rito vuole crearsi degli ostacoli, perché l’evoluzione dello spirito è una corsa ad ostacoli. L’evoluzione dell’anima è una corsa senza ostacoli, è l’origine più profonda delle depressioni. Certo lo spirito ci dà delle malattie anche quando poltriamo troppo, però è lasciato all’uomo di cogliere, di proiettare una malattia verso il futuro e chie-dersi: che cosa posso fare sprigionare dal mio essere, cosa posso di-ventare io, lottando contro questa malattia, che non potrei diventare se non avessi la possibilità, l’opportunità meravigliosa di lottare con-tro questa malattia? Lo spirito è strutturalmente un lottatore, l’anima è un poltrire. Ci vogliono tutti e due, ma l’anima è passiva, è per i tratti di riposo, di ricarica, l’anima è come il dormire e il dormire è il presupposto per poi svegliarsi e fare cammini di coscienza.

L’anima vede le malattie a partire dal passato, lo spirito le vede in base a ciò che si può conquistare lottando contro una malattia, an-dando verso il futuro. Tutte e due le dimensioni sono vere: ogni ma-lattia ha una sua spiegazione dal passato, perché se una persona è capace di concedersi una certa malattia… che cosa ha reso questa persona capace di concedersi una malattia? Il suo passato! Tutto ciò che è nel presente è un risultato, un effetto del passato. Però, questo proiettare nel futuro è libero, non viene da sé, è tutto da conquistare. Questa forza interiore di godere di una malattia, di essere grati, di sentire gratitudine verso una malattia; posso sentire gratitudine ver-so una malattia solo nella misura in cui io la proietto nel futuro e mi faccio delle immagini, mi faccio un concetto di ciò che posso con-quistarmi, come frammenti dell’umano, in base al lottare contro

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questa malattia. E questo è possibile. Va da sé che vivere passiva-mente una malattia solo come risultato del passato, significa dire che io non sono causa ma soltanto effetto.

La radice profonda di tutte le forme di depressione è quando l’uo-mo si sente così de-presso che si sente l’effetto di tutte le cause del mondo. Invece nella compressione, la concentrazione delle forze che vince la depressione, l’uomo si comprime nella misura in cui la con-sidera come origine di piani, di ideali, di progetti futuri e allora pren-de in mano una malattia e la realizza come frammento di crescita.

L’anima e lo spirito in ogni essere umano sono del tutto indivi-duali. Nella misura in cui l’individuo esercita la capacità di vivere ogni malattia verso il futuro, in positivo, se noi lo capiamo, parlare di malattia è un grave errore, non ci sono malattie, nessun essere umano può essere malato, è un assurdo parlare di malattie. Il nostro concetto di malattia è negativo, dice: sarebbe meglio se non ci fosse; invece lo spirito dice: sarebbe molto peggio se non ci fosse, perché io l’ho scelta, l’ho voluta questa malattia. Il concetto di malattia è tutto sbagliato. Una cosiddetta malattia, per quanto mi riguarda, ha diritto di nascere in me soltanto nella misura in cui io l’ho voluta, l’ho scel-ta per qualcosa di positivo. Ma allora perché uso una categoria nega-tiva? Tutte le persone umane che parlano di malattia come se la ma-lattia fosse qualcosa di negativo sono in grave errore. La persona sana nell’anima e nello spirito dice che la vita diventa noiosa se sta troppo tempo senza malattia, che non vede l’ora di affrontarne un’al-tra.

Nell’anima e nello spirito, quando affronta la malattia successiva, fa dei passi avanti e la vita diventa sempre più bella. L’alternativa è poltrire. L’affermazione è che persone malate non ci sono mai state, perché la malattia lo spirito se la sceglie in chiave positiva, in vista di ciò che si vuole conseguire. Che poi la coscienza ordinaria, l’ani-ma, non si renda conto di queste cose non significa che non siano reali. Stiamo parlando di un risveglio delle forze dello spirito e lo spirito è propositivo verso il futuro, è sempre un progetto di crescita. Non c’è una norma del sano e del malato; se ci fosse una norma di ciò

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che è sano e di ciò che è malato, noi intenderemmo dire che è possi-bile sottomettere l’umano a una norma. Ma l’umano è fatto di indivi-dui, di spiriti del tutto diversi, del tutto singoli, quindi nell’umano non esiste la norma: sono tutti normali, ognuno a modo suo. Così come non ci sono persone malate, così non ci sono persone anormali. Se una persona pesa 120kg, per questa persona in questo momento è normale pesare 120kg. Non esiste norma nell’umano.

Quale è il concetto di norma nella scienza dello spirito? Aristote-le la chiama species, l’anima di gruppo. Un leone è pura norma: tutti i leoni soggiacciono alla norma, all’istinto. Invece lo specifico uma-no è di uscire dalla specie e già Aristotele diceva: ogni essere umano è una specie a sé. Quindi gli esseri umani non si possono paragonare; immaginiamo quanto disagio, quanta sofferenza perché uno non si sente normale. Questo terrorismo della norma distrugge tante forze e quello che ci vuole è il risveglio dello spirito, del pensare che dice: No! Io ho tutto il diritto di attenermi all’unica norma che c’è, che sono Io. E quale è la norma dell’evoluzione dell’Io? È la non norma, ciò che chiamiamo la libertà; la libertà è una non norma. L’essere umano è normale nella misura in cui non è “normabile”, non si lascia normare. Ci trasciniamo questo bagaglio d’anima, di norme, di leggi e non abbiamo ancora imparato a respirare il respiro dell’umano, dello spirito che norma sé stesso, che è libero. Ciò che tu vuoi dive-nire, ciò che alberga dentro di te, le potenzialità uniche, il tuo modo unico di svolgere l’umano a tutti i livelli, lo devi dire tu cosa c’è dentro di te, soltanto tu lo puoi dire e lo dici realizzandolo sempre di più. E nessuno ha il diritto di interferire. Ci sono soltanto modi di salute, la malattia non esiste, ogni essere umano è sano a modo suo. Ci sono tanti modi di salute quanti esseri umani ci sono, e nessuno ha il diritto di farsi norma rispetto alla salute o alla malattia dell’al-tro. Come faccio io a sapere quali ostacoli il mio vicino si vuol gode-re? L’altro che vive con me vorrebbe sapere lui quali ostacoli io mi sono proposto oggi, domani o dopodomani. Se lui pensa di saperlo meglio di me, si piglia il mio “classico” calcio nel sedere. Gli ostaco-li che io mi sono proposto di vincere oggi, fortunato se lo so io cosa

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desidero, la mia anima non è sempre in connessione con il mio Io superiore, figuriamoci un altro. Fortunato se io trovo il coraggio, la forza, la libertà. Come faccio io a sapere se il mio spirito ha deciso un ostacolo? Basta che prendo sul serio quello che mi capita; la vita è fatta di ciò che ci capita e ciò che ci capita è il karma. Io ho due modi di pormi di fronte a ciò che mi capita. L’anima si prende ciò che le capita, lo spirito trasforma ciò che gli capita, ne fa momenti di li-bertà. Il karma c’è per tutti e io ho la possibilità di essere passivo e quindi di arrabbiarmi oppure accogliere quanto mi capita e cogliere l’occasione che mi offre. Cosa è meglio che mi capiti: di avere a che fare con una persona buona buona o di avere a che fare con un fara-butto? Se ho appena avuto una trafila di 10 persone farabutte, dico: adesso fammi riposare un pochino; se invece ho avuto la noia di 10 persone buone buone allora dico: adesso mi viene voglia di avere a che fare con un farabutto. E il karma lo sa quando il mio spirito vor-rebbe incontrare una persona buona e me la fa venire incontro e così sa quando il mio spirito vorrebbe avere a che fare con un farabutto e me lo porta incontro. Cosa è meglio: il facile o il difficile? È meglio la giusta mistura e la giusta mistura è fatta in modo diverso per ognuno, è individuale; e la giusta mistura per me era diversa 10 anni fa e sarà diversa domani. Quindi la legge evolutiva dello spirito è la svegliezza, essere attenti, essere svegli e subito cogliere ciò che mi viene incontro dicendomi che proposta verso il futuro c’è in ciò che mi viene incontro.

Vorrei proporvi due formule fondamentali della ricerca della feli-cità. Il tema di questa mattina è: come l’anima e lo spirito incidono sulla salute del corpo? Ognuno vorrebbe essere felice. Gli esseri umani sono di due tipi fondamentali di fronte alla ricerca della feli-cità: uno dice «Chi sta bene, chi è corporalmente sano è contento», e corrisponde al materialismo occidentale; in questo convincimento è implicito che le sorti del corpo – se sono sano – sono la causa della felicità. Il corpo è la causa e l’anima – sono contento – è l’effetto. Questo enunciato è giusto. Riflettiamoci bene. Uno che è malato, magari di una malattia cronica, arriva facilmente nella convinzione

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che se riuscisse a stare un pochino meglio gli basterebbe, uno malato chiede soltanto di stare bene. Se sono sano mi accontento, sono con-tento. Questo convincimento è profondamente errato, perché l’essere umano non può essere soddisfatto, realizzato in tutto e per tutto go-dendo soltanto la salute del corpo, se no sarebbe un bravo gattino; un gatto si gode la salute del corpo. Questo pensiero errato è radicato nella stragrande maggioranza delle persone e, siccome la malattia è vista come negativa, si pensa: sono realizzato nella misura in cui non ci sono malattie. Vedere la malattia come qualcosa di negativo è la forma più micidiale di malattia dell’anima e dello spirito. Se questo assioma è del tutto errato, perché non è vero che chi sta bene è con-tento, allora è giusto l’opposto: chi è contento sta bene. Quindi prima devo occuparmi delle sorti dell’anima. Inverto l’assioma «Il corpo è la causa e l’anima l’effetto» in «L’anima è la causa e il corpo l’effet-to». Se uno è contento allora sta bene.

Ma come si fa ad essere contenti? Se si sta bene, addirittura stare bene da malati, soprattutto da malati, se uno è contento gli sta bene tutto. Gode la salute e non meno una malattia. Spostiamo adesso l’in-dagine sull’anima: qual è il segreto per rendere contenta l’anima? Se l’anima è contenta, è contenta quando il corpo sta bene ed è non meno contenta quando c’è una malattia, perché sa che una malattia è un momento privilegiato di crescita, fa sprigionare forze, che quando sto soltanto bene non saltano fuori. Come si rende contenta l’anima? Tor-niamo alla struttura dell’uomo. L’uomo è costituito dal corpo, dall’a-nima che interagisce con il corpo e con lo spirito. Il segreto della contentezza, della gioia, della felicità: l’animo dell’uomo è gioioso, felice nella misura in cui l’anima vive il corpo come strumento per godersi lo spirito. L’anima ricerca il godimento e nella ricerca ha due possibilità fondamentali: o gode il corpo o gode lo spirito. Quando si gode lo spirito, il corpo non viene mandato a ramengo, ma viene usa-to come strumento; quando invece l’anima gode il corpo, il corpo di-venta il fine non più lo strumento. Quando l’anima gode il mangiare, il bere, tutta la sfera del corpo, gode troppo poco; prima o poi l’anima si accorge di non essere felice, di essere insoddisfatta. I soldi ci sono,

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il corpo è sano, ho possedimenti, faccio belle vacanze, ma mi arriva una depressione; perché se non mi manca nulla? L’anima sente l’aspi-razione a qualcosa di più, allo spirito. Ma lo spirito è tutto da conqui-stare. La depressione mi evidenzia, mi fa capire che è nella natura del corpo essere strumento necessario, imprescindibile, perché l’anima soltanto con il corpo può godere lo spirito; se l’anima lascia il corpo, o si addormenta o muore.

Faccio un’altra riflessione. Noi abbiamo una cultura laica e cleri-cale, la chiesa e lo stato, due culture che, nel rapporto con il corpo, rappresentano due estremi. La cultura moraleggiante vorrebbe dirmi che io sono bravo, sono morale soltanto nella misura in cui castigo il corpo; allora come reazione tutta la cultura moderna vuole godere il corpo. Invece tra castigare il corpo e godere il corpo, si può trovare con il corpo un giusto rapporto di equilibrio: amare il corpo. Noi non abbiamo mai vissuto una cultura che vince questi due modi di uscire dall’umano, il godere che uccide sempre di più l’anima e allontana lo spirito e il corpo vissuto come luogo di tentazioni, materia del diavo-lo e che va castigato. Il rapporto giusto è l’anima che comincia sem-pre di più a godere dello spirito e capisce che il corpo lo vuole amare, lo vuole trattare come la cosa più sacra, come uno strumento musi-cale. Lo strumento musicale deve essere perfetto, perché soltanto attraverso il corpo con un cervello che mi consente di pensare pen-sieri sempre più alti, sempre più luminosi, l’anima impara l’amore verso il corpo come strumento dell’anima per godere sempre di più lo spirito.

E lo spirito cosa è? Conoscenza e amore. È conoscenza all’infini-to e, attraverso i cammini del pensare, la scienza dello spirito, è amo-re. L’anima cerca una conoscenza scientifica del mondo dello spirito per goderli e per amarli. L’evoluzione all’infinito dello spirito è la conoscenza, e l’evoluzione all’infinito dell’anima è l’amore. E per questi cammini di conoscenza, il corpo va amato come uno strumen-to necessario e nell’anima sorge sempre più amore per questa pro-spettiva di evoluzione all’infinito dello spirito. Il corpo che sta bene, è contento, da solo non basta; il senso del corpo è di essere uno

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strumento di cui l’anima si serve per conquistarsi sempre di più le dimensioni dello spirito.

La seconda affermazione: chi è contento sta bene. L’anima attra-verso il corpo gode sempre di più dello spirito e sta bene. L’anima, che gode sempre di più dello spirito, che ama il corpo suo come strumento necessario, come lo tratta il corpo se gode sempre più dello spirito? L’anima sa individualmente, e nessun altro ha voce in capitolo, quale tipo di corpo in questo momento le serve come stru-mento per i cammini dello spirito che si propone. L’anima dice: io in questo momento ho bisogno di un corpo fatto così, di un corpo che la maggior parte dei benpensanti chiamano sano; adesso l’anima di-ce: no, io oggi ho bisogno come strumento di un corpo che gli altri chiamano malato, ho bisogno di una malattia perché le conquiste dello spirito che mi riprometto sono possibili soltanto con un corpo cosiddetto malato. Allora l’anima, un corpo malato, lo vive come supersano, nel senso reale della parola. E non stiamo barando, le cose sono importanti.

Prendiamo l’arco della vita: la nascita con una esuberanza del vitale, poi il 35° anno, il 70° anno, alla fine la morte. Non è assurdo che l’esuberanza del vitale si inverta a partire da un certo punto dell’arco della vita? Perché nella seconda parte della vita le forze corporee, il vitale recede sempre di più?

In tempo di materialismo abbiamo il culto della gioventù, il culto dello stare bene, il culto dell’essere sani, il culto dello sport; se andia-mo indietro di 2000, 3000, 5000 anni, i giovani invidiavano gli an-ziani, c’era un culto della vecchiaia perché occorrevano tanti anni per diventare saggi; i giovani sapevano che nella prima parte della vita ci sono i piccoli godimenti del vitale, che ti dà la natura; e gode-re ciò che ti dà la natura, dà meno gioia che non godere ciò che ti conquisti tu. Come si sviluppa la coscienza, come si mettono in mo-to processi di pensiero, come si sviluppa lo spirito? Lo spirito umano si sviluppa soltanto consumando il corpo. Il pullulare di forze vitali nella rigenerazione, dove le forze vitali vengono fatte addirittura ri-nascere, dove viene dato loro movimento col metabolismo, dove vie-

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ne dato loro materia; queste forze vitali dalla circolazione del sangue vengono portate in tutto l’organismo. Il processo deve venire inver-tito: la materia deve sparire, ecco il primo consumare. Il “conserva-re” serve da sottostrato alla linea del nervo – dove la vita è quasi morta – dove sta la coscienza, lo spirito. Infatti il processo di pensie-ro, il processo di spirito devitalizza il corpo; si può pensare soltanto devitalizzando il corpo, uccidendo forze di vita. Lo stomaco che sta digerendo un pasto luculliano è pieno di forze vitali; non si possono avere processi di vita che pullulano e contemporaneamente questa vita ucciderla e concentrarsi a risolvere un problema matematico. Dove ci sono processi di coscienza, il vitale deve morire nei sensi; sull’elemento neurosensoriale, il vitale è risolto al minimo e chi lo rintuzza, chi riduce le forze vitali al punto da essere quasi morte, è lo spirito che pensa, è l’anima che ama. Quindi più una persona con-suma forze vitali, sprigionando cammini dello spirito, sprigionando luce dello spirito e calore dell’amore e più deve ricostituire l’organi-smo, se no la candela si esaurisce, perché ognuno può consumare solo le forze vitali che ha e ricostituisce dormendo, mangiando. C’è una regola della quantità di forze vitali da ricostituire sempre di nuo-vo per poterle consumare con processi di coscienza? Non c’è una norma, è del tutto individuale. Un Rudolf Steiner, che ha immesso nell’umanità la scienza dello spirito, che ha goduto all’infinito pro-cessi di coscienza e di amore all’umanità, è morto giovane e da ma-lato. Quando si vuole morire, quante o quanto poche malattie si vuo-le affrontare, è del tutto individuale, ognuno deve sapere per sé stesso quanto a lungo vuole vivere e in che modo nel suo Io avvenga questa interazione tra corpo fisico e corpo eterico con l’anima e lo spirito. Il corpo astrale e l’Io si separano durante il sonno, quando poi rientrano nel corpo noi consumiamo ciò che abbiamo ricostituito. Il modo di interagire, quanto a lungo, quali malattie è del tutto indi-viduale. Per i bambini piccoli ci sono norme, perché non è ancora sorta la volontà individualizzata, nel momento della pubertà è il sor-gere di un volere individualizzato; nel momento in cui sorge il volere individualizzato, l’essere umano non è più gestibile dal di fuori.

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Quindi l’interazione giusta nel tuo essere, tra la tua anima e il tuo spirito e il tuo corpo, quello che è giusto per te, lo puoi sapere soltan-to tu.

Termino con un accenno ad alcune malattie macrocosmiche. Il materialismo è una massa di anime umane che sanno godere soltan-to il corpo. La scienza dello spirito è invece la prospettiva, la propo-sta di aprire l’anima sempre di più verso lo spirito. L’anima che sa godere soltanto il corpo: che fenomeno è? È un continuo martellare del corpo; quindi l’anima che vuole godere il corpo, strapazza il cor-po, perché vuole spremere fuori ciò che il corpo non può dare, chiede al corpo di renderlo felice lo martella di richieste, ma il corpo più è martellato, più rende infelice. Il concetto greco, omerico, ripreso dal cristianesimo, del cosiddetto peccato originale, la caduta è amartia, tradotto da teste bacate con il termine peccato, significa am vale a dire cum e artia che vuol dire articolazione, articolarsi, ma con che cosa, dentro che cosa? Il concetto, già a partire da Omero, poi in Platone e Aristotele, recepito nei testi evangelici e tradotto come peccato, amartia, la caduta dell’uomo, è che l’anima dell’uomo si è articolata troppo dentro al corpo, è caduta talmente dentro al corpo, che sente, vive eccessivamente tutte le vicissitudini del corpo e non vive nulla delle vicissitudini dello spirito, perché è caduta troppo nel corpo. Come esempio, tutto l’atto sessuale di concepimento, se an-diamo indietro di tre-quattromila anni, era possibile compiere tutto l’atto di concepimento senza che l’anima ne fosse partecipe, avveni-va per esempio nel sonno; e c’erano iniziati che sapevano quali geni-tori aveva scelto quello spirito, questi andavano nel tempio, dormiva-no uno accanto all’altro, compivano l’atto di concepimento ma il godimento dell’anima, che oggi l’anima sente quando tutto il corpo è pieno di forze vitali così irruenti, non c’era. C’è stata una umanità dove l’anima era talmente poco inserita dentro nel corpo da non par-tecipare; per esempio durante la digestione, il corpo faceva tutto questo lavoro e l’anima non sentiva nulla. Il cosiddetto «peccato ori-ginale» è stata una necessità evolutiva, era necessario che l’anima cadesse sempre di più dentro nel corpo, perché può, in chiave di li-

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bertà individuale, tirasi fuori soltanto se c’è dentro. Il materialismo è la cattività dell’anima dentro al corpo, la prigionia.

Come mi sprigiono dal corpo? Molto semplice, smetti di pensare al tuo corpo. Se tu casomai trovassi il modo di acchiappare una con-ferenza di un certo Rudolf Steiner e fosse così tanto interessante, i malesseri sarebbero spariti. I malesseri vengono vissuti quando l’a-nima è interessata soltanto al corpo, ci vive talmente dentro che non vive nient’altro. La soluzione è: esercitare nell’occuparsi dell’umani-tà, dei destini dell’umanità, della triarticolazione sociale, della scien-za dello spirito.

Dibattito

D: cosa ne pensi dell’accanimento terapeutico? Dell’eutanasia? Del ricorso alla medicina quando il dolore non è sopportabile?

R: l’accanimento terapeutico è un fenomeno di poltroneria; pro-viene dal fatto che vediamo la malattia come qualcosa di negativo e quindi il pensiero è che più presto sparisce e meglio è. Ma se il senso giusto della malattia fosse che sparisce, allora non avrebbe avuto nessun diritto di sorgere. Il senso di una malattia è ciò che io divento, ciò che io vivo, i frammenti di consapevolezza o anche di tenerezza, o di pazienza, di approfondimento dell’animo che io mi conquisto, ciò che avviene in me, mentre lotto contro la malattia; quindi la ma-lattia è una condizione necessaria per cammini privilegiati dell’ani-ma e dello spirito. Il senso di una malattia è ciò che lo spirito si ripro-mette, perciò dicevo che lo spirito è propulsivo verso il futuro. Il senso di una malattia è quello che salterà fuori da questa malattia; se io la vivo in chiave positiva, questa malattia è il mio modo di cercare un ostacolo, in modo tale che, vincendo l’ostacolo, divento più forte. Come si rafforza un muscolo? Con la controforza. La malattia è una controforza che aumenta le forze dell’anima e dello spirito; e quanto tempo vuole vivere questa malattia? Lo sa solo lo spirito, ma non lo sa già in partenza, perché c’è la libertà; la coscienza ordinaria ha la

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possibilità di stramaledire una malattia e non ne fa nulla. Quando la coscienza ordinaria vede una malattia in chiave negativa, poltrisce, non realizza le forze che si sprigionano interagendo con le controfor-ze e costringe lo spirito a rincarare la dose; quindi o dura più a lungo o ne salta fuori qualche altra, perché lo spirito non vuole rinunciare ai cammini di evoluzione che si è proposto di fare. Quindi più io vedo positivamente una malattia e vivo il vissuto che soltanto questa malattia mi può dare e più presto avrà svolto il suo compito. Una volta che ha svolto il suo compito, sparisce.

Vado da un medico e quello si mette in testa di farmi sparire la malattia… Io l’ho cercata apposta per godermela… Cosa fa lo spiri-to? Deve trovare un sostituto, ma il sostituto non sarà mai karmica-mente così giusto come la prima scelta, perché il sostituto sarà sfasa-to nel tempo, le condizioni saranno diverse; quindi una malattia è al posto giusto solamente quando insorge. Oggi gli esseri umani vivo-no tante malattie che non sarebbero necessarie, se quelle che sono karmicamente scelte non venissero raddoppiate, triplicate, perché gli esseri umani le vedono soltanto negative.

Parliamo adesso di chi cerca la morte in Svizzera, a quella specie di suicidio. La prima metà dell’evoluzione l’anima umana si è artico-lata con il corpo in un modo sempre più forte. Qual è la prigionia ultima dell’anima nel corpo? Che l’anima vive solo il corpo, il mas-simo della prigione. E dove vediamo noi che l’anima di oggi vive solo il corpo? La scienza materiale ci dice che l’anima non esiste, esistono solo processi neurosensoriali, quindi ciò che noi chiamiamo la coscienza, ciò che chiamiamo anima non è una realtà a sé stante, sono tutti epifenomeni del biologico. Questo cadere dell’anima den-tro al corpo, che si sente inerme nei confronti del corpo, la prigionia nel corpo è la condizione necessaria per sprigionarsi. Qual è la cosa più importante per potersi sprigionare? È essere imprigionati, se no non ti puoi liberare. È un’altra vittoria su un certo moralismo, perché un certo moralismo, di tipo religioso, vorrebbe farci dire che è un peccato che l’anima sia diventata così prigioniera del corpo e che sarebbe meglio se il peccato originale non ci fosse stato. Noi dobbia-

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mo la nostra individualizzazione al fatto di essere così prigionieri, soltanto attraverso la sua connessione con il corpo ognuno di noi si è individualizzato ed è indipendente dagli altri. La prigionia dell’ani-ma nel corpo non è moralmente né buona né cattiva, è amorale, è necessaria per l’evoluzione dello spirito; e ciò che è necessario non è né buono, né cattivo. Che cosa diventa buono e non buono moral-mente? Il moralmente buono è lo sprigionarsi ed è moralmente buo-no perché non è necessario, perché può avvenire soltanto in libertà, quindi l’unica cosa moralmente buona è l’esercizio della libertà. Il male morale è l’omettere di sprigionarsi, perché così non sono libero; restare prigionieri è male, soltanto se posso dire che sto male, quindi devo fare l’esperienza che sto male. Il morale non è un comandamen-to, questo è bene questo è male; la natura dell’uomo mi dice: nella libertà sto bene, nella non libertà sto male; un altro male non esiste, oltre alla non libertà non esistono altri mali. Tutto ciò che mi fa stare male è un modo di essere non libero, nella libertà sto bene. Quindi via tutti i moraleggiamenti. La natura umana è duplice, c’è una natu-ra, e fa parte della natura umana una sovranatura, che è la libertà. Una metà della libertà è di natura e l’altra metà è di libertà.

Cosa ci dà la natura rispetto alla libertà? La potenzialità, la facol-tà, la tendenza; è nella natura di ogni essere umano di tendere verso la libertà. E se non si libera sempre di più, gli manca qualcosa, e sta male. Un essere umano che non tendesse alla libertà, non sarebbe un uomo. Chi è più contento che sia un altro a pensare al posto vostro? Quando penso con la mia testa è un frammento di esercizio di espe-rienza di libertà.

D: cosa regola la vita degli animali, secondo la scienza dello spi-rito? Anche gli animali si ammalano, anche gli animali hanno inci-denti, ma non hanno uno spirito che se li sceglie.

R: la differenza fondamentale tra l’animale e l’uomo è che l’ani-male ha un’anima di gruppo, lo chiamiamo istinto; il modo di com-portamento del leone, della giraffa è secondo l’istinto della specie; l’istinto del cane è comune a tutti i cani. Ciò che è specifico dell’uo-mo è lo spirito individuale. Per conseguire il gradino evolutivo in cui

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ci troviamo ora, l’umano doveva arrivare al punto di gestire tutte le forze di natura, il corpo umano è il precipitato di tutte le forze di natura, un microcosmo. Nel corpo ci sono tutte le forze formanti dei minerali, le forze vitali delle piante, le forze animiche degli animali. Il fenomeno umano doveva arrivare al punto da poter gestire il corpo con libertà individuale e spirituale.

Per poter gestire la corporeità umana in modo libero, individua-lizzato e spirituale, bisognava… la corporeità umana ai primordi comprendeva tutta la materia; Adam Kadmon, nella mitologia ebrai-ca, non è il primo uomo, era l’uomo originario che aveva in sé tutte le forze della terra, tutte le forze di natura… per arrivare al punto da confrontarsi con una corporeità umana gestibile a partire dalla liber-tà, il fenomeno umano, ha dovuto, per cammino necessario, estro-mettere da sé tutto ciò che, come dato di natura, non si può gestire a partire dalla libertà. Il minerale non è liberamente gestibile, lo stesso il vegetale, neppure l’anima di gruppo dell’animale è liberamente gestibile, quindi il minerale, il vegetale e l’animale sono tre dimen-sioni del naturale che, ai primordi dell’evoluzione, erano dentro l’uo-mo e l’uomo ha estromesso dal suo essere tutto ciò che di natura non può e non va gestito in libertà, per tenere per sé una corporeità che lui può, se vuole, gestire in libertà. Questo vuol dire che la gestione in libertà delle sorti del corporeo comprende la riumanizzazione, il ri-assumere dentro l’umano, la redenzione di tutte le creature. A che cosa aspirano tutti gli animali, tutte le piante, tutti minerali? A veni-re ri-assunte in questo umano, perché il fenomeno umano è il tutto dell’evoluzione sulla terra, perché da lì sono partiti. Quindi ogni ani-male, soprattutto gli animali, che hanno un’anima, ogni pianta, ogni pietra inconsciamente ci dicono: «Io facevo parte di te, uomo, all’ini-zio; tu mi hai estromesso perché io diventassi la base di natura per la tua evoluzione in chiave di libertà, però guarda che tu questo amore per l’uomo di tutta la natura lo puoi ripagare soltanto umanizzando tutta la natura».

Come si umanizza la materia? Spiritualizzandola. Come redimo io la betulla che vedo? In quanto percezione, esula dall’umano, la

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redimo con il concetto; il concetto diventa frammento dello spirito. Quindi quando gli esseri umani avranno creato nel pensiero tutti concetti, perché le cose sono state create dal Logos in base ai concet-ti, quando avranno portato a resurrezione – resurrezione della carne, dice il cristianesimo –, tutte le percezioni saranno risorte nel pensare umano, il Logos che si è fatto carne, diventa di nuovo Logos del pensare umano. E quando tutto il Logos diventato carne nel minera-le, nel vegetale e nell’animale è risorto, si è umanizzato come spirito dentro l’uomo, allora il dato di percezione non serve più. Cieli e terra periranno, ma le mie parole, i concetti del Logos non periranno mai. Il destino di tutta la natura è di divenire umanizzata, ri-assunta nell’uomo da cui è partita. Non ci sono nell’evoluzione della terra realtà fuori dell’umano; l’umano è il tutto. Quella dell’estraneità del-la natura è un’illusione, perché in quanto concetto, in quanto pensa-to, non è estraneo all’uomo. Qual è il senso dell’estraneazione della natura? Il vincere l’estraneità, però posso vincere l’estraneità di una percezione, soltanto se c’è. Quindi la natura è diventata estrinseca, è diventata estranea all’uomo come presupposto perché lui nella liber-tà la ri-assuma nel suo spirito e dimostri l’effimerità di questa par-venza minerale che non è sostanziale; sostanziale è solo lo spirito. Tutta la natura diventa reale solo nello spirito dell’uomo.

D: Come vede la parola darma, che riconduce a una legge a un’e-tica che lega, e come vede anche il concetto che esiste un archetipo a cui noi ci riferiamo e che sottrae parte di quella libertà così indivi-dualizzata e così autoreferente di cui lei ci ha parlato?

R: Un’etica che lega non c’è, perché un’etica che lega diventa su-bito immorale attraverso il legare. Legare significa distruggere la libertà e distruggere la libertà è il fenomeno primigenio del male morale. Darma è la legge dell’evoluzione, è maggiormente un fattore intellettuale, che va capito; karma è maggiormente un fattore di ope-ratività morale. Qual è la legge dell’evoluzione, l’essenza dell’evolu-zione? Darma dice che questa conquista della libertà individuale non può essere campata in aria, ha dei presupposti ben precisi, per esem-pio il corpo; quindi il darma è la legge dell’evoluzione, che è realiz-

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zare l’umano sempre di più, l’essenza dell’umano è la libertà indivi-duale dello spirito, quindi realizzare sempre di più la libertà. Cosa è necessario per realizzare sempre di più la libertà? Una libertà già data non è libertà, libertà può essere soltanto un fattore di conquista, di tensione continua. La realtà della libertà è sempre una liberazione da qualcosa. La condizione necessaria per liberarmi sempre di più, da sempre più cose, sono le cose da cui non mi sono ancora liberato, le prigionie di cui parlavamo prima. Quale parola usereste per rias-sumere tutto il dato di prigionia come conditio sine qua non per spri-gionarmi? La natura. La libertà si conquista soltanto vincendo, spri-gionandomi nel momento presente, dalla natura. Io vedo una persona, percepisco un gatto, un dato di natura. Come mi sprigiono dal dato di natura? Creando il concetto, ma non sono costretto a creare il concetto, non sono costretto ad attivare il mio spirito. Tutta la natura che mi viene incontro è una provocazione a esercitare la libertà, però non sono costretto a esercitare la libertà. Il karma sono le provoca-zioni su misura dell’individuo a esercitare la libertà. Il mio karma sono quelle provocazioni che il mio spirito individuale, a misura dei passi che vuole compiere, si è riproposto, quindi il karma non viene dal passato, ma viene incontro dal futuro. Ogni spirito umano che si incarna ha fatto i conti con l’angelo custode, con l’arcangelo di popo-lo, con lo spirito di tutto il sistema solare, si è chiesto «Cosa faccio la prossima volta?», significa: quali cammini di sprigionamento, di esercizio di libertà voglio compiere? Ma devono essere tutti su misu-ra mia. Quindi architetto una biografia; la biografia è un’opera d’arte ma non è fatta di frammenti, è un’unità. Un artista che fa un’opera d’arte: l’opera d’arte risulta compiuta soltanto alla fine o c’è già all’i-nizio? Se non sa fin dall’inizio cosa salta fuori, non è un bravo arti-sta, se invece è un bravo artista, all’inizio c’è la concezione esatta di quello che vuole realizzare. La realizzazione viene mano a mano, però il concepimento, la pianificazione c’è già fin dall’inizio. Il mio karma è tutto il vissuto che io ho pianificato, che mi sono proposto in questa vita per fare tutti i cammini, per darmi tutte le occasioni di crescita, di esercitare la libertà, tutto su misura mia. Che ci sia anche

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una minima cosa che avvenga a caso è escluso. Karma significa: nulla avviene a caso e nulla avviene in modo generalizzato, tutto avviene sempre in modo individualizzato. Il mio karma è ciò che il mio Io superiore, il mio spirito ha pianificato di far vivere alla sua anima in questa vita, per conquistarsi sempre di più la libertà.

D: E sugli archetipi? Il riferimento a modelli comportamentali inconsci che ci vincolano?

R: L’archetipo generalizzato è uno degli ostacoli necessari per poterli vincere. Come vinco io un archetipo, che significa generaliz-zato? Individualizzandolo, quindi sparisce come archetipo valido per tutti. Con il sorgere della libertà, sparisce ogni tipo di bene archeti-pico, c’è soltanto il bene individuale; ciò che è bene per un individuo è male per un altro individuo, altrimenti sarebbe lo stesso individuo.

Quindi in una morale della libertà è generalizzabile soltanto ciò che va proibito, non è generalizzabile ciò che va fatto. Perché ciò che si è riproposto di fare questo Io, è una serie tutta diversa da ciò che si è proposto di fare quest’altro Io, però le condizioni per poter gesti-re la propria libertà sono generalizzabili. Per esempio, la presenza del corpo è una condizione generalizzabile, quindi uccidere fisica-mente va proibito, e va proibito archetipicamente, quindi come legge generale. La nostra morale è retriva, è costringente perché siamo ri-masti indietro, siamo anacronistici nella morale in modo pauroso. La nuova chiave è che noi, se vogliamo andare verso un’individualizza-zione, una liberazione crescente dell’umano, dobbiamo stabilire co-me norma di comportamento nulla di positivo, soltanto qualcosa di negativo, cioè le leggi hanno soltanto il diritto di sancire quali azioni vanno proibite. Le azioni che vanno fatte non hanno regola, non han-no norma, perché ognuno si è ripromesso di fare tutt’altri cammini dall’altro. Una persona chiede all’altra: che devo fare oggi? E l’altro gli risponde: lo chiedi a me? Che c’entro io con te? Come faccio a sapere cosa tu ti sei ripromesso di fare oggi nel tuo spirito? Prova, fai! Non ammazzare l’altro, ma fai quello che vuoi!

D: lei ha definito la malattia come una via evoluzionistica, privi-legiata, che lo spirito sceglie per poter evolvere, per poter acquisire

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quasi come delle forze in più. Potrebbe essere, questa, scambiata co-me istigazione a non curarsi? Mi spiego. Se il mio spirito ha necessi-tà della malattia, allora perché curarmi ed evitare di soddisfare una necessità dello spirito? Da ciò se ne deduce che una madre con un figlio malato, ad esempio di neuroblastoma, un tumore del surrene, non deve curare il figlio perché così elimina una necessità del suo spirito? Allora è giusto non curarsi?

R: Una domanda importante. Partiamo dal presupposto che tutto ciò che si può capire, si può fraintendere perché c’è la libertà. Se fos-simo costretti a capire le cose sempre giustamente, non saremmo li-beri. Soprattutto nelle cose profonde, la controforza è subito quella di fraintendere. Quando si tratta di cammini di pensiero – cammini che aiutano l’uomo ad andare – avanti la scienza dello spirito propone che, quando tu vuoi capire qualcosa più a fondo, se vuoi evitare di sgarrare, allora serviti della matrice trinitaria. La matrice trinitaria serve il pensiero; tu dici: se vedo soltanto questo aspetto sono unila-terale, se vedo soltanto quest’altro aspetto sono unilaterale. Quindi il giusto è nel movimento. Ogni unilateralità è una poltroneria di pen-siero, un comodismo e allora le cose non funzionano. Se io mi nuovo tra due estremi, la cosa diventa più complessa, però resto vivo. Porto un esempio. L’essere è ciò che c’è, ma se io considero soltanto ciò che c’è, si tratterebbe di natura. Allora creiamo una polarità, perché cre-ando una polarità, un opposto, poi muovendosi tra i due il pensiero viene provocato a muoversi, a restare in movimento. Cos’è l’opposto di ciò che c’è? Ciò che non c’è. Si possono mettere insieme? Per Hegel, che pensava trinitariamente, il pensare diventa fecondo e libero nella misura in cui individua due polarità e gioca in mezzo, però ci può giocare soltanto mischiandole insieme. Hegel ha scritto la scienza della logica e parte con l’essere e tutto ciò che c’è, poi formula la tesi, l’antitesi e la sintesi. Cos’è l’antitesi dell’essere? Il nulla, ciò che non c’è. Nega tutto ciò che prima aveva detto sull’essere e ho il nulla. C’è qualcosa che combina insieme in tantissimi modi ciò che c’è e ciò che non c’è? È il divenire! Non ci può essere divenire senza qualcosa che diviene, quindi c’è, e non può divenire ciò che già è. Ciò che deve di-

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venire non può esserci già. Il divenire è strutturalmente l’interazione vivacissima, sempre nuova, tra essere e non essere. Divenire significa l’anelito a sempre più libertà, significa evoluzione, significa essere in cammino. Per essere in cammino ci deve essere qualcuno che è in cammino e deve mancare ciò che vuole conquistarsi.

Usiamo questa matrice di pensiero per affrontare la malattia. Un estremo: «Meglio se non c’è»; il modo comune di pensare vede la malattia come qualcosa di negativo e pensa che sarebbe meglio che la malattia non ci fosse; questa è una unilateralità, perché non è vero che sarebbe meglio che la malattia non ci fosse, perché se l’essere umano non si ammalasse, non potrebbe divenire, non potrebbe evol-versi. L’altra unilateralità: «Se c’è, meglio che sparisca al più presto». La seconda unilateralità è una conseguenza della prima; se io ho una struttura mentale che ritiene che la malattia è negativa e che sarebbe meglio che non ci fosse, quando capita, il primo pensiero è che prima sparisce meglio è. Tutti e due i pensieri sono sbagliati.

D: Quindi lei mi dice che se una persona soffrisse di diabete e dovesse prendere l’insulina, lei non la farebbe? Non si curerebbe?

R: Quindi: se la malattia c’è, che sia più breve possibile. Tra que-sti due estremi c’è il senso della malattia: la lotta contro la malattia. Soltanto mentre io lotto contro questa malattia sorgono queste forze, mentre lotto con le mie forze interiori. Di fronte all’impossibilità di fare fronte interviene il medico. Ma nel momento in cui l’individuo è in grado di usare il suo corpo, è sano; ogni dipendenza da un me-dico, da uno psicologo è un voler poltrire. Noi parliamo di uno spiri-to che sovraconsciamente si è scelto questa malattia, prima di tutto sa che è meglio non dire «Sarebbe meglio che non ci fosse» o «Che sparisca il prima possibile»; il motivo per cui se l’è scelta è che, lot-tando lui per vincere questa malattia, sorgono in lui dei pensieri, dei sentimenti, delle forze di volontà e lui fa dei passi evolutivi enormi che non potrebbe fare senza la malattia. Quanto deve durare? Lo può sapere soltanto lui, perché se lui questa lotta la conferma in pieno, la vuole, la vede positiva, allora magari gli bastano 10 giorni per tirare tutte le forze che saltano fuori lottando contro la malattia. Se invece

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poltrisce perché si lamenta costringe l’Io superiore a prolungare una malattia dalla quale avrebbe potuto trarre il meglio in 10 giorni. Se arriva un medico e la fa sparire, costringe l’Io superiore a trovarsi un’altra malattia.

D: Nella mia esperienza la malattia l’ho scelta come amica, nel senso che mi domando cosa è venuta a fare, dove mi vuole portare, quindi come ampliamento di coscienza. Attraverso questo atteggia-mento ho attivato una guarigione, non attraverso la lotta ma facendo-mi amica la malattia. La malattia mi ha fatto fare molte esperienze, mi ha fatto incontrare delle persone.

R: Io sono fatto così che se mi rendo troppo amico della malattia poltrisco, mi godo di più la lotta, lotta tra virgolette. La condizione di lotta sta a evidenziare le forze enormi; se c’è troppa amicizia non saltano fuori le forze. Ci sono malattie croniche che durano tutta la vita; la malattia più bella che ci sia è la vita nel corpo dall’inizio alla fine e uno la vive come lotta contro tutto il dato di natura per redi-merlo, un altro la vive poltrendo, e perciò deve ritornarci.

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Sabato 4 maggio 2013, pomeriggio Come i rapporti personali ci rendono sani o malati nel corpo

Un pensiero fondamentale tra ieri e stamattina è stato questo: che nella medicina il materialismo di oggi è un po’ superficiale nel mo-do di considerare la malattia, perché si pensa che, se uno ha il pol-mone malato, intervenendo sul polmone si consegue qualcosa. Un pensiero fondamentale è stato che in fondo non serve a nulla inter-venire sul polmone, perché questa persona nel suo Io superiore, nel suo spirito, vuole fare nei prossimi giorni una passata di malattia; che acchiappi il polmone, il cuore, il rene o la milza non è importan-te; l’importante è che questo spirito vuole lottare con un elemento di natura in modo da acquisire forze sempre nuove e continuare a cam-minare, ad evolversi ulteriormente. In questa prospettiva si vede la malattia come un momento privilegiato di crescita, di cammino in avanti. Consideriamo il tutto dell’evoluzione, tutto il cammino con l’inizio nel paradiso, nel grembo divino; se fossimo rimasti in para-diso, se fossimo rimasti tutti delle idee, dei concetti nella divinità non saremmo diventati un Io, delle individualità singole. Questo cammino di inserirsi sempre di più nella materia, che l’anima uma-na si congiunge sempre più profondamente con il corpo, è un feno-meno di necessità evolutiva. Quindi il cosiddetto peccato originale non è né bene né male moralmente, ma è la conditio sine qua non, il presupposto necessario per diventare, dovuto alla congiunzione con la materia, un Io autonomo. Ora si tratta, in base alle forze dell’Io che ognuno di noi ha conseguito, in base all’autonomia che chiamia-mo libertà… La prima parte dell’evoluzione viene condotta dalla natura, la seconda parte dell’evoluzione viene condotta dalla liber-tà. Lo spirito umano si è imprigionato nel corpo e questo imprigio-namento è il presupposto per sprigionarsi; quindi tutta la seconda metà dell’evoluzione, la svolta è di 2000 anni fa, oggi siamo nel bel mezzo dell’evoluzione, tutta la seconda parte è fatta per sprigionar-si, diventare sempre più liberi.

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Prendiamo una malattia come il cancro, una realtà che per gli esseri umani sarà sempre più assillante: il cancro non esiste; il can-cro esiste soltanto nelle menti bacate degli esseri umani. Il cancro è un fenomeno primigenio dei fenomeni più fondamentali di quello che ho chiamato l’imprigionarsi dell’anima, il concetto greco di amartia, in Omero, nel vangeli, am equivale a cum e artios è il con-cetto di peccato; amartia è la parola greca per peccato. L’anima uma-na si è articolata, amartia, il peccato, la malattia, si è articolata nel corpo. L’ho chiamato l’imprigionamento dell’anima nel corpo. Pren-diamo due fenomeni, se consideriamo l’umanità come due polarità. In oriente, in Russia per esempio, l’anima è molto meno calata dentro al corpo, tanto è vero che se uno a Mosca partecipa ad una cerimonia liturgica in una chiesa ortodossa, quattro, cinque, sei ore; come fan-no queste persone ad uscire fuori da una cerimonia di questa durata belli freschi? e sono stati in piedi tutto il tempo, non sono stati sedu-ti. La spiegazione è che queste anime, rispetto all’occidente, sono un bel po’ meno inserite nel corpo; queste anime vivono meno le vicen-de del corpo. Quando uno fa la digestione, l’anima sorvola un po’ il corpo. Più andiamo verso occidente e più l’anima si è imprigionata nel corpo e vive fortemente tutte le vicissitudini del corpo; è una necessità evolutiva. Per esempio l’emicrania consiste nel fatto che lo stomaco, se ad esempio mangia molte patate, non ce la fa a digerire, a smaltire il tutto, e rimanda un minimo di digestione al cervello; quindi l’emicrania è il cervello che è costretto ad aiutare e quindi fa dei processi di digestione. Se la mia anima, invece di essere calata dentro le strutture del cervello, aleggiasse di più, il mio cervello po-trebbe fare questa digestione e la testa non mi farebbe male. Bisogna distinguere ciò che avviene nel cervello in un processo di digestione, come nell’emicrania, però il fatto che faccia male, il mal di testa è nell’anima, non nel cervello; non è il cervello che sente il mal di te-sta, perché se io riesco ad addormentarmi il mal di testa non lo per-cepisco, ma il cervello è lo stesso, non lo percepisco perché l’anima è uscita dal corpo temporaneamente, poi quando ci svegliamo torna dentro. Anche l’emicrania è un fenomeno che sta ad evidenziare… in

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Russia troveremo molte più persone che hanno la capacità di svolge-re processi che sono spostati, che non dovrebbero essere nel cervello ma nel metabolico e che sentono molto meno mal di testa, perché l’anima, il corpo astrale aleggia molto di più sul corpo, anziché star-ci dentro. Dove è nata questa scienza naturale che dice che l’anima non esiste in quanto istanza indipendente dal corpo? In occidente! Nell’uomo occidentale, l’anima si è talmente inserita, articolata den-tro il corpo, che non sente più nulla di autonomia nei riguardi del corpo, per cui tantissime persone in Europa, in America hanno il convincimento che l’uomo non consiste di anima e di corpo, ma di solo corpo e tutto ciò che una volta si chiamava anima sono funzioni del corpo.

Oggi parliamo di rapporti. Due persone vivono insieme da parec-chi anni e uno dei due si ammala di cancro. Questo essere fissati sul corpo, volere godere sempre di più il corpo, tutto il mondo della percezione, questo materialismo… l’anima è come se martellasse il corpo. Il cancro non è una malattia vera e propria, è un’anima tal-mente caduta dentro al corpo che continua a martellarlo, perché non riesce più ad aleggiare minimamente sul corpo, finché la forza vitale delle cellule diminuisce. Il cancro è l’anima che logora, che consuma il corpo, si esprime a qualsiasi livello, nel polmone, dovunque, è un fenomeno di tutto il corpo. Questa anima che non vive una realtà dello spirito, non vive nulla di extracorporeo, di spirituale, vive sol-tanto le vicende del corpo, continua a martellare le cellule del corpo, le logora. In chiave di rapporti, due persone vivono insieme, una bella amicizia, uno contrae il cancro: è una faccenda tua o nostra? Riguarda te o il nostro rapporto? È una delle domande più importan-ti. L’essere umano ha la libertà di dire che il cancro è faccenda tua, però, siccome la legge fondamentale dei rapporti è l’amore reciproco, il cancro riguarda tutti e due. Questo cammino di ri-ascesa comincia proprio dal fatto che una persona dice all’altra, con le forze dell’amo-re: l’egoismo ci ha portati giù, ci ha individualizzati, ci ha separati gli uni dagli altri; la redenzione sta proprio nel ripagare, nel pareggiare con altrettanto amore ciò che è stato necessariamente compiuto in

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chiave di egoismo. Una persona può dire all’altra: questo cancro è nostro, ha a che fare con il nostro rapporto, non è una faccenda sol-tanto tua. Una delle domande più fondamentali del karma, del desti-no dell’umanità, è di chiedersi: un rapporto si approfondisce nella misura in cui due persone sono capaci di dirsi «Siamo scesi insieme, ci siamo imprigionati insieme nella materia?». Se siamo amici, com-pagni di vita, una coppia, è chiaro che siamo karmicamente congiun-ti – partiamo dal presupposto che la grazia divina è così doviziosa da concedere a tutti gli spiriti umani tutto il cammino dell’evoluzione – allora siamo scesi insieme, abbiamo già avuto a che fare per secoli, per millenni gli uni con gli altri, adesso, siccome siamo scesi insie-me, possiamo risalire, possiamo sprigionarci solo insieme.

È possibile che la persona che ha il cancro abbia scelto questa difficile trafila al posto del compagno? È possibile, perché la soffe-renza vicaria, la malattia vicaria c’è, perciò è una faccenda comune; a livello corporeo, riguarda solo uno, ma l’uomo non consta soltanto di corpo. Supponiamo che il compagno avrebbe dovuto sopportare lui la malattia, ma non ce la fa, non è abbastanza evoluto per farcela; non tutti, a cui farebbe bene questo tipo di passata, sono abbastanza evoluti da farcela, da trasformarla in un cammino positivo. Nei rap-porti il karma diventa karma comune, quindi anche la malattia e la salute diventano faccenda comune. Ed è un inizio di superamento della divisione; le persone non sono divise, non sono separate le une dalle altre, sono separate soltanto nel corpo. Nella misura in cui uno ha preso su di sé questa passata fisica che l’altro ancora non può, il compito karmico è che il compagno dovrebbe fare tutto il possibile per vivere questo cancro come se fosse suo. È possibile vivere il can-cro del mio amico, del marito, della moglie come se fosse il mio? L’amore lo rende possibile. I rapporti si approfondiscono, diventano duraturi – soffriamo del fatto che i rapporti diventano sempre più aleatori –, i presupposti per rendere un rapporto profondo e duraturo è di fare della malattia dell’altro la mia.

Pongo la domanda in un altro modo. Uno ha il cancro, è possibile che il compagno faccia sua questa malattia, è possibile che soffra più

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di chi ha contratto la malattia? Sì, perché la capacità di sofferenza non ha a che fare con il corpo fisico, ma con la profondità dell’anima e soprattutto con la qualità dello spirito di una persona. Quindi ciò che approfondisce i rapporti è la forza dell’amore che dice: le tue malattie sono mie; e l’altro dice: e le tue sono mie. Uno che è malato e vede che l’altro soffre anche di più, può darsi che la persona malata consoli il compagno, perché magari vede nella malattia un’opportu-nità e per esempio si accorge che il compagno ha una capacità di soffrire della sua sofferenza anche più grande. La forza, la profondi-tà dei rapporti umani in chiave di malattia, questa grande malattia di esserci imprigionati nel corporeo, ci siamo imprigionati insieme – la prima parte del rapporto –, possiamo sprigionarci soltanto insieme – nella seconda metà del rapporto. E sprigionarsi insieme, significa: se tu hai questa malattia corporea, io la faccio mia nell’anima; tu la prendi dalla parte del corpo, io la prendo dalla parte dell’anima e soltanto insieme facciamo di quello che è il nostro cancro, un grande momento di crescita e anche di liberazione. Perché siamo discesi insieme? Se siamo così profondamente congiunti, in un rapporto karmico così stretto, così profondo, vuol dire che abbiamo avuto a che fare gli uni con gli altri già da diversi secoli o millenni e siamo arrivati a questo punto infimo del divenire e adesso vogliamo vivere insieme lo sprigionamento, come faccenda comune, come faccenda del nostro rapporto.

Nell’arco della vita le forze vitali crescono, crescono, crescono fino verso il 35° anno e poi tutto cala. Cos’è la vecchiaia? Un cancro naturale, nient’altro. È un consumarsi del corpo su tutta la linea, alla fine poi sparisce tutto. Quindi che c’è di male in un processo di con-sumazione del corpo? Nulla, è il senso dell’evoluzione che lo spirito faccia sprigionare libertà, nella misura in cui la redenzione della car-ne consiste proprio nel fatto che, lottando con questo sfacelo del cor-po, lo spirito si libera sempre di più dal corporeo, ma soltanto lottan-do. Come può lo spirito sentire la propria libertà nella gioventù, dove i processi vitali crescono, nell’età in cui si è chiamati a procreare, a dare ad altri spiriti umani la possibilità di scendere sulla terra? Il

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bello della vita è quando il corpo comincia a diventare cancerogeno. 3000-4000 anni fa i giovani invidiavano i vecchi che possedevano la saggezza.

Visto in termini ideali, se una persona che contrae il cancro è talmente evoluto da innamorarsi del cancro e lo vive come una enor-me benedizione e vede quali cammini dell’anima e dello spirito si possono fare soltanto in un corpo che finisce di pullulare di vita con le sue pulsioni vitali. Con un corpo malato si possono godere i cam-mini dell’anima e dello spirito. Che cosa nasce nel compagno della persona malata, se chi è malato avesse questa forza interiore di bene-dire addirittura un cancro? Il compagno comincia a invidiare chi è malato; più ci spiritualizzeremo, più la materia ricade nel nulla; la materia è destinata a sparire; nella misura in cui lo spirito fa sempre di più l’esperienza della resurrezione, lo fa consumando il corpo fi-sico.

Un’altra malattia è l’osteoporosi; la struttura ossea, l’elemento portante del corpo si dissolve; questo significa che lo spirito umano martella talmente, afferra talmente, richiede tali e tanti servizi dal corpo che addirittura le ossa vengono rese friabili in modo tale che lo scheletro necessario per il camminare dell’essere umano viene messo in forse. Anche la distrofia muscolare. C’è la possibilità di dirsi che la persona normale quando vuole fare qualcosa ha i musco-li, si muove e la fa. Quando noi facciamo qualcosa, la volontà termi-na di essere pura. Voler bene a una persona: finché resta il volere è puro, nel momento in cui il volere si tramuta nell’azione, perché i muscoli ci sono, in questo agire c’è un’enorme quantità di egoismo, nell’azione io voglio fare quello che mi piace. Una persona può esse-re talmente evoluta che dice: io il volere lo voglio tenere puro, voglio volere puramente il meglio per me, per te, per tutti gli altri, però come questo puro volere si tramuta in azione, non lo voglio fare io per poi vantarmi. Per cui rinuncia, non al volere che è un puro atto interiore, una persona che è seduta in carrozzella può volere molto di più che le altre persone e comunque non meno delle altre persone, perché il volere è una vicenda puramente interiore. Se per amore,

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liberamente, volutamente, perché lo ha voluto l’Io superiore, una persona rinuncia al fare con i muscoli, all’agire con i muscoli, lascia al mondo spirituale il modo in cui questa forza di volontà agisce, diventa azione. Un atto di volontà agisce nell’umanità, perché è un atto spirituale, indipendentemente dall’azione muscolare, dall’azione del corpo. Una persona ha la capacità, se vuole, di rinunciare, come un’offerta enorme intrisa di amore, e lasciare che gli Esseri spiritua-li prendano questi atti di volontà pura e la distribuiscano nell’umani-tà secondo la loro saggezza. Allora che cosa c’è che non va in una persona seduta su una carrozzella? Nulla; può vivere questo karma voluto dal suo Io superiore come una super-salute. Quando considero fenomeni di questo tipo mi chiedo: saresti capace? Siccome non sa-resti capace, la cosa non ti riguarda, perché nel momento in cui sei capace di fare una cosa ti arriva. Ad ognuno arrivano le cose che è capace di fare. Non tutti sono capaci di volere fortemente il bene dell’umanità, il bene proprio e il bene degli altri rinunciando a tra-durlo in azione, perché il tradurlo in azione è sempre intriso di egoi-smo. Ogni agire è un compromesso con la realtà che inquina, rende la volontà impura. Il volere è puro soltanto prima che passi la soglia dell’interiorità e prima di tradursi in azione; non appena si traduce in azione è intrisa di compromesso e di egoismo. Una persona, evoluta al punto tale da poterlo fare, decide di fare esercizio di volontà all’in-finito e lascia alla conduzione dell’umanità di distribuire queste for-ze volitive in modo che siano loro a decidere quali muscoli vogliono mettere in moto per realizzare queste cose.

Potremmo parlare di insonnia. L’insonnia è un’eccessiva goduria del corpo, addormentarsi significa smettere di godere il corpo. Di questo imprigionarsi dentro al corpo, in questo materialismo avremo sempre più persone che soffrono di insonnia perché sono talmente intrise di brama riferita al mondo materiale che non vogliono tirarsi fuori dal corpo. Addormentarsi significa che il mondo spirituale mi piace non meno del mondo materiale, star fuori dal corpo mi sta bene, lo godo tanto quanto stare dentro al corpo. L’essere umano dentro al corpo gode il mondo materiale, uno si addormenta volen-

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tieri quando vive altrettanto volentieri nel mondo spirituale. Quindi una persona che si esercita, che conosce sempre di più ciò che è ex-tracorporeo, ciò che è spirituale, magari macinando una scienza del-lo spirito, vince l’insonnia. Se una persona non riesce ad addormen-tarsi è perché andando nel mondo spirituale, non capisce nulla, non gode nulla. Invece, se una persona si esercita a conoscere, a godere ciò che è spirituale, si addormenta volentieri, sorge un minimo di antipatia nei confronti del mondo corporeo. Se uno ha un minimo di antipatia, se il mondo corporeo gli dà un minimo di noia, lo lascia volentieri e si addormenta. L’insonnia è una specie di «malattia», è un eccessivo godimento del corpo, vuol dire che non vuole uscire dal corpo e questo perché sa godere soltanto di ciò che gode quando è nel corpo. Nessun medico può sostituire questo cammino di godimento di ciò che è spirituale che l’individuo deve fare. Se il medico dà dei farmaci per farlo addormentare, salta fuori una malattia da un’altra parte.

Le cause vere di tutte le malattie stanno in questa prigionia ecces-siva nel corpo; la terapia consiste nello sprigionarsi sempre di più, nell’esercitarsi a godere ciò che è extracorporeo, ciò che è spirituale.

Prendiamo la demenza. Oggi si dice che non è più solamente un fattore di vecchiaia, ci sono persone che cominciano prima a diven-tare dementi. Prendiamo il caso classico di un rapporto umano tra due persone che si sono accompagnate per decenni e uno dei due diventa demente. È una malattia del nostro rapporto, riguarda tutti e due. Questa coppia che vive insieme, se considerano la demenza co-me una malattia del rapporto, allora si chiedono: perché una persona diventa demente?

La parola lo dice: de-mens, perde il bene dell’intelletto, senza mente, non sa più pensare in un modo sensato. La demenza sorge, è un fenomeno di delusione di fronte ad un corpo che per tutta la vita non mi ha dato a sufficienza; ho goduto questo corpo in base al ma-terialismo; nel mio Io superiore, il mio spirito si era riproposto di costruirsi il corpo a modo suo, di usarlo come strumento di pensiero e di amore per crescere sempre di più come spirito; io invece sono

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calato dentro al corpo, ho visto soltanto il corpo, ho goduto soltanto il corpo e man mano che la vita va avanti resto deluso da un corpo che prima cresceva, cresceva, cresceva e adesso, siccome non ho esercitato mai o quasi mai questa forza dello spirito, che si esprime ancora di più quando il corpo comincia a disfarsi, nel momento in cui il corpo non dà più godimento di tanto, sorge una delusione nei confronti del corpo e la demenza è uno spirito che prematuramente, ancora prima della morte si tira fuori dal corpo, deluso perché il corpo non gli ha dato quello che avrebbe desiderato. Il demente è uno spirito che invece di pensare afferrando le strutture del cervello, aleggia intorno al capo, non è più capace di pensare afferrando le strutture del cervello. La causa più profonda di tutti i fenomeni è sempre da ricercare in questo rapporto tra lo spirito, l’anima e il cor-po, questo stato della caduta, dove l’anima umana è diventata in tut-to e per tutto prigioniera del corpo.

Ieri sera ho parlato di quattro vie dove l’anima viene corrosa, viene resa infelice, il polmone corpo fisico, il fegato e milza corpo eterico, la respirazione corpo astrale e il sangue l’Io.

Dicevamo: ciò che per tutta una vita… le malattie polmonari – il polmone sta per tutte le formazioni del corpo fisico – ciò che logora il polmone, come presupposto per tutti i processi cancerogeni, sono le preoccupazioni, le ansie, gli affanni su cui si rimugina nella stanzetta da soli. Uno dei fenomeni fondamentali per le sorti del polmone – quindi tutte le forme degli organi del corpo fisico – è l’anima, il corpo astrale, che nella solitudine rimugina le preoccupazioni, gli affanni. Per esempio: «Ce la farò a svolgere i miei compiti, ci basteranno i sol-di?». Steiner osserva queste cose a livello spirituale e dice che, nella misura in cui le preoccupazioni su cui si rimugina nella solitudine corrodono, distruggono l’elemento del polmone, non permettono a tut-ti gli organi del corpo di formarsi in un modo completo. La soluzione è: se noi vogliamo avere sempre più salute e sempre meno malattia per il polmone e che poi, dal polmone si trasfonda in tutti gli organi del corpo, bisogna esercitare l’arte di vincere, di superare le ansie, le pre-occupazioni e gli affanni condividendoli nel rapporto. Così come il

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rimuginare nella solitudine fa ammalare sempre di più il polmone, la cura della malattia è parlarne con l’amico, con il compagno di vita. La scienza dello spirito ci sta dicendo, come avvio di pensiero, che nella misura in cui tu rimugini tutte le tue preoccupazioni, i tuoi affanni nella solitudine, distruggi sempre di più il tuo polmone; la cura di questa malattia è avere un rapporto, avere un amico, un compagno di vita e parlarne insieme. Prendiamo due persone, magari una ha passa-to un paio di ore di preoccupazione, stiamo parlando di rapporti, e di-ce: finché io sto a rimuginare le mie preoccupazioni da solo, rovino fisiologicamente il polmone e quindi tutte le forze formanti del mio organismo; allora ne parlo con l’altro. Nel momento in cui le preoccu-pazioni, le ansie vengono condivise, si sciolgono ed è tutta salute pol-monare. Il rapporto è quella cura magica, in cui chi ha avuto tutte le preoccupazioni e inizia un rapporto fatto di conversazione, di dialogo, comincia a parlarne con il compagno di vita e nel rapporto il compa-gno incoraggia, sorregge. Le preoccupazioni sorgono quando l’indivi-duo vive come se fosse solo di fronte ai problemi e il viversi come se fossimo soli fa parte di questa egoità, che vuole essere autonoma in tutto e per tutto. Entrando nel rapporto non sono più solo e, se non sono solo, insieme ce la facciamo. Allora il rapporto diventa una cura di tutte queste malattie del polmone, quando l’individuo riesce a dire: ce la facciamo soltanto insieme. Quando io considero le mie preoccu-pazioni come se fossi da solo ad affrontarle mi rovino il polmone, quando ne parliamo insieme, quando i problemi diventano i nostri pro-blemi, le malattie polmonari spariscono; se trova l’arte nel rapporto, questa malattia è nostra, ci riguarda, insieme ce la facciamo; il rappor-to è la magia che cura le malattie, soprattutto la malattia di questa so-litudine. Il corpo diventa malato quando l’individuo si sente solo. Quando esce dalla cameretta ed entra nel rapporto, quando siamo in-sieme – bastano due persone per un rapporto profondo – fa sorgere forze eteriche, forze vitali che curano veramente la malattia.

Adesso parliamo di fegato. Abbiamo parlato di sentimenti malsa-ni, ad esempio l’invidia, di cui non si conosce la legge operativa. Una persona dice: io sto rovinando il mio fegato, e il fegato sta per tutto il

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vitale, il corpo eterico – mentre il polmone sta per tutto il corpo fisico –, io sto rovinando il mio fegato, perché continuo a vivere sentimenti come l’invidia, la menzogna, la superficialità senza istruirmi sulle leggi di funzionamento di questi sentimenti. Ho parlato di come si maschera l’invidia, come poi si esprime nella seconda metà della vita. L’invidia produce nella vita successiva un bambino dal corpo gracile, un corpo senza forze; i genitori di un bambino gracile dicono: questo bambino se è così debole significa che ci ha invidiati per tutta la vita precedente e noi lo guariamo soltanto nella misura in cui gli perdo-niamo di averci invidiato e gli portiamo incontro forze di benevolen-za. Questa nostra umanità che rovina sempre di più il fegato, tutte le malattie epatiche hanno origine in sentimenti malsani, che creano malattia, sono dovute al fatto che non si è istruiti sul modo di operare di questi sentimenti. Creiamo la cura facendo del rapporto un luogo di istruzione; una delle vie terapeutiche più importanti sono due per-sone che si vogliono bene, che vivono insieme, che sono in un rappor-to profondo e che dicono: vogliamo insieme istruirci su questi senti-menti malsani, perché istruendoci troviamo la forza, troviamo i motivi per non più vivere dentro l’invidia, nella superficialità.

Parliamo di respirazione. Tutte le vie della respirazione, tutto il fenomeno di ossigenazione dell’organismo, vengono rovinate da sen-timenti antisociali o asociali. Come viviamo sentimenti antisociali? Due parole identificano bene questo atteggiamento: menefreghismo e parassitismo. Sono sentimenti antisociali e lo sono nella misura in cui una persona è menefreghista o parassita, non dà contributi con i pro-pri talenti ma vuole solo godersi la vita, ogni sentimento antisociale rovina direttamente tutte le vie respiratorie. Non si possono curare le malattie che si fondano sul processo di respirazione se non ci si pre-occupa di vincere questi atteggiamenti. Qual è la legge fondamentale del rapporto? L’amore reciproco, che è l’opposto dell’antisociale; è la cellula del sociale. Se nel sociale ci fosse sempre e dappertutto amore reciproco, avremmo persone tutte fisiologicamente sane in campo respiratorio. La respirazione ha a che fare con il corpo astrale, con l’anima.

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Il sangue ha a che fare con l’Io, lo spirito. In tutti i fenomeni di cardiopatia, non è il cuore il problema, ma i problemi del sangue. Il sangue è un mistero infinito, perché nel sangue c’è il precipitato di tutte le vicende individualissime e libere dell’Io, dello spirito dell’uo-mo. La legge evolutiva, la forza positiva dell’Io, dello spirito… lo spirito umano ha due possibilità: o rovina il sangue o rende il sangue sempre più fecondo per tutto l’organismo. Un Io spirituale libero e forte trasfonde le sue forze direttamente nel sangue. Quando il san-gue lo tiriamo fuori dall’organismo non è più lo stesso; finché il san-gue è nell’organismo opera direttamente nel sangue l’lo spirituale. E lo può fare in due modi diversi perché lo spirito è libero: può vivere materialisticamente e quindi negandosi come spirito; caratteristica dello spirito è quella di architettare tutta una vita con una missione, con un compito evolutivo che si propone. Se uno spirito umano vive una vita senza riuscire a trovare il senso della vita, pensiamo a tutte le depressioni, è uno spirito che si nega – perché lo spirito crea il senso, lo fa prorompere dall’intuitività della sua fantasia morale. Una persona che vive materialisticamente, che ignora lo spirito, quindi ignora sé stesso in quanto spirito, rovina direttamente il suo sangue, toglie al suo sangue ogni forza. Il compito del sangue è quello di portare in tutto il corpo le forze per ricostituire tutti gli organi, ov-viamente insieme al polmone, il primo e l’ultimo vanno insieme. Quando una persona è malata in chiave cardiopatica, la cura serve soltanto se si sta insieme, se nel rapporto questo materialismo, que-sto non trovare il senso della vita è una cosa che riguarda entrambi, che riguarda il rapporto; soltanto insieme possiamo ritrovare il senso della vita, possiamo vincere le malattie del sangue. Si potrebbe dire: il non senso della vita è l’egoismo; quindi più c’è l’egoismo più il sangue si rovina. Il senso della vita è l’amore; la legge del rapporto è l’amore reciproco. Più due persone, attraverso il loro rapporto, vivo-no le forze reali dell’amore reciproco, più realizzano il senso della vita. Il senso della vita è l’amore sempre crescente. Più realizzano il senso della vita, più la vita diventa sensata, diventa bella, diventa piena di senso perché è piena di amore e tutte le malattie cardiopati-

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che, le malattie del sangue, sono direttamente vinte, perché il sangue diventa sempre più sano.

Però questo conquistarsi la realtà dello spirito conquistarsi il sen-so della mia vita è un fenomeno di libertà individuale, non di natura e quindi si può anche omettere.

Prendiamo le malattie infettive, i bacilli, i batteri, se ne scoprono sempre di nuovi. Steiner dice, e questo ha a che fare con i rapporti uma-ni in modo molto diretto: l’origine di tutte le malattie infettive è il fatto che il corpo umano è diventato sempre più friabile, sempre più fragile; i bacilli, i batteri non sono l’origine della malattia, ma l’origine della ma-lattia è un corpo indebolito ad un punto tale che i batteri prendono il sopravvento, perché, se l’organismo è forte abbastanza, se il sistema im-munitario è forte abbastanza, tutti i bacilli del mondo non hanno la ca-pacità di prevalere. Quindi i batteri non sono la causa delle malattie in-fettive, la causa a monte è un corpo diventato così debole da non essere capace di contrastare i bacilli. In che modo tanti corpi umani oggi sono diventati così passibili di venire invasi da batteri e bacilli? La causa pro-fonda sono i rapporti umani tra le persone, che di vita in vita hanno co-struito una società divisa in due strati: un ceto dirigente e un ceto subor-dinato. Steiner dice: la classe dirigente, quelli che hanno in mano il potere sono di un conservativismo enorme, sono arroccati sul loro pote-re; al di sotto, il ceto subordinato rumoreggia sempre di più. E il rappor-to tra queste due classi sociali la rabbia di quelli di sotto, l’arroganza di quelli di sopra, è problematico. L’avere rimuginato tutta una vita con la rabbia di essere squattrinati è la causa diretta, di secolo in secolo di tutte le malattie infettive. Questa rabbia, soprattutto nella massa del popolo, ha rumoreggiato nell’animo per una o addirittura due vite, ha sempre più logorato le forze del polmone, le forze del fegato a tutti i livelli; per cui se noi continuiamo ad imbastire i nostri rapporti su questo tipo di divisione, di doppia casta, avremo delle corporeità sempre più passibili di questo tipo di malattie, le malattie infettive. Se tu vuoi rendere il tuo corpo sempre più forte, sempre meno passibile di essere invaso da bat-teri ecc., devi renderti conto, devi capire che l’origine delle malattie in-fettive è in questo rapporto umano fondamentale, che è non solo da ceto

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a ceto, è ad esempio tra il capo della ditta e la segretaria, l’uno comanda e si rovina comandando, l’altro è comandato e si rovina per la rabbia di essere comandato.

Se noi facciamo delle riflessioni sulla malattia, sulla salute, fac-ciamo delle astrazioni; sarebbe importante fare delle riflessioni sulle vicissitudini del corpo disattendendo le vicissitudini dei rapporti umani, di ciò che l’uomo vive con l’uomo, di uno che comanda e di uno che deve fare quello che l’altro comanda.

Termino con un esempio tipico dell’origine karmica della malattia, di un’origine della malattia nel rapporto. Una persona a trent’anni si ammala, da dove viene? Le cause, abbiamo visto, sono molto comples-se, riguardano tutto l’uomo, l’anima, lo spirito. In chiave karmica, in chiave dei rapporti, il caso tipico è: perché una persona a 30 anni si ammala? Perché nella vita precedente lui ha rovinato qualcuno, gli ha fatto del male, dopo la sua morte rivive la vita a ritroso e prova animi-camente ciò che l’altro ha sopportato per causa sua e sorge in lui l’im-pulso, la forza a pareggiare; voglio far di tutto nella prossima vita, voglio ri-incontrare la persona in modo da ricambiare con l’amore il disamore e l’egoismo che gli ho precedentemente portato incontro. Non sempre noi siamo in grado di incontrare tutte le persone con le quali abbiamo dei conti aperti da pareggiare e perciò ci vogliono altre vite. In una vita non ho la possibilità di pareggiare tutti i conti aperti, tanti conti restano aperti per una, due, tre, quattro vite. Nella nuova vita i due si incontrano e il primo avrebbe la possibilità di riparare, di pareggiare, però, dovuto all’ereditarietà, sta dentro ad un corpo in cui avrebbe bisogno delle forze per fare una serie di azioni di benevolen-za, di riparazione, di amore verso la persona, ma il corpo non gli dà questa possibilità. Allora decide che questo organo lo vuole distrugge-re, e lo vuole ricostruire, non in chiave di ereditarietà, delle forze del sangue altrui, ma con le sue forze e dopo, o in questa vita o nella suc-cessiva, avrà la possibilità reale di compiere tutte quelle azioni che si è proposto di compiere per pareggiare, per ricambiare in chiave di amo-re, tutto l’egoismo che ha portato incontro all’altro. Quindi la malattia classica che sorge in base al karma ha a che fare direttamente con i

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rapporti umani. Ogni essere umano si è calato in un corpo e nessun essere umano, a questo livello di evoluzione, ha la possibilità di co-struirsi un corpo in tutto e per tutto secondo il suo spirito; deve venire a compromessi con fattori di ereditarietà. Uno spirito ha più capacità di vincere le remore ereditarie, un altro più debole le subisce maggior-mente, comunque nessun essere umano è al punto da dire: io ho co-struito un corpo in tutto e per tutto secondo il mio spirito; quindi c’è sempre una discrepanza tra ciò che vorrebbe compiere come spirito e le possibilità molto più limitate che il suo corpo gli dà. Adesso, se è arrivato al 30° anno di vita ed ha un rapporto con l’altra persona, e avrebbe la possibilità di compiere le diverse azioni che andrebbero compiute, ma la sua costituzione, il suo corpo non gli consente di farle, allora la cosa più importante per la persona è prendersi questa che noi chiamiamo malattia, che mi dà la possibilità di ricostruire certe parti del mio organismo che poi lo renderanno capace di pareggiare il rap-porto in chiave karmica. Quindi una persona perché si ammala? Il caso classico ha a che fare, nei rapporti umani, con la persona, a livel-lo sovraconscio però reale: si è riproposto una serie di comportamenti, di azioni nei confronti di questa persona, che risultano da un conto aperto in una vita passata; si trova dentro una corporeità che, in base alla tare ereditarie, non gli dà le forze per compiere queste azioni e decide di distruggere un qualche organo, e sa benissimo quale, in mo-do da poterlo ricostruire secondo il suo spirito individuale. Una perso-na si ammala per porsi in condizione di riparare, in chiave di amore, rapporti del passato, che sono stati imbastiti per via di necessità in base ad un enorme portato di egoismo.

Dibattito

D: In quale schema può rientrare una malattia renale?R: Come spunto di riflessione, i due reni sono, nella parte del vi-

tale, il corrispondente polare a ciò che gli occhi sono nel fenomeno neurosensoriale.

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D: Che relazione c’è tra l’alimentazione, lo stile di vita con la malattia?

R: Lo approfondiremo poi. Però le malattie che riguardano l’Io, che riguardano il sangue sono croniche; le malattie che riguardano il corpo astrale, la respirazione, sono malattie acute, le malattie del corpo eterico, che riguardano il vitale, i 7 modi del vitale, sono ma-lattie che oscillano tra cronico e acuto; infine le malattie del corpo fisico, sono le malattie infettive. Per malattie che hanno a che fare con il sangue, non esistono medicine. Per tutto ciò che ha a che fare con l’anima, con il corpo astrale, non servono a nulla i medicamenti, serve la dieta, qui la nutrizione è importante, ne parleremo; mangia-re le cose giuste; con queste malattie il medicamento non serve; la medicina serve soltanto quando sono malattie fondate sul corpo ete-rico. C’è un’ossessione di medicamenti, ma è perché non si hanno conoscenze sufficienti. Il vitale, il corpo eterico ha due compiti fon-damentali: creare le forme e creare le metamorfosi. È vivente nella misura in cui si metamorfosa. Le medicine hanno due origini fonda-mentali: la prima è il mondo minerale, che serve a puntellare le for-me. Quando il vitale è carente di forze formanti, prendiamo delle forze dal minerale, dal cristallo, dal quarzo, dal silicio e dal mondo vegetale. Medicamenti presi dal mondo animale non esistono, im-mettono nell’uomo subito la malattia. Questa duplice forma di medi-cina vale solo per il corpo eterico.

D: Si è parlato dei rapporti, ma se uno è solo?R: Nella Bibbia sta scritto che non è bene che uno sia solo, se no

si rovina il fegato, il polmone. Una persona che vive sola è un pove-raccio in canna.

D: Quale è la valenza del perdono tra persone legate karmica-mente?

R: Nella conferenza L’amore e la sua importanza nel mondo, Stei-ner dice: colui che sa amare di più, che ha più forze di amore è un gran debitore, perché è potuto andare avanti rispetto agli altri nell’evoluzio-ne, soltanto perché gli altri hanno rinunciato loro a questi cammini di forze di amore e hanno dato a lui tale possibilità; per ognuno che ha

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possibilità di evoluzione ci sono altri che restano indietro. Quello che è arrivato più in alto di tutti, che è lo Spirito del sole dice: io sono il più grande debitore, devo a voi, a tutta l’umanità, che ha bisogno di reden-zione, il fatto di essere redentore. Perché se non ci fossero esseri rima-sti indietro, tali da avere bisogno di redenzione, lo spirito del sole non sarebbe andato avanti e non sarebbe diventato il redentore. Quindi la legge dell’amore è che si può amare soltanto ripagando l’amore già ri-cevuto, soltanto allora è vero amore. Quindi colui che ama più dell’al-tro, può amare soltanto con il gesto che dice: «Tu sei rimasto indietro per darmi la possibilità di andare avanti, mi perdoni?». «Ti perdono soltanto se tu mi vieni incontro con il gesto del grande debitore». Nel perdonare si dicono reciprocamente: «Tu sei andato avanti perché io ti ho dato la possibilità e me ne sono privato io», e il perdono è il gesto che dice: «Ma l’ho fatto volentieri, perché so che tu poi mi riprendi insieme e andiamo avanti insieme». Una evoluzione dove tutti vanno di pari passo, sarebbe una evoluzione senza libertà. C’è altro modo di dire il grande debito che hanno coloro che vanno avanti. Nel mondo oggi, di tutte le centinaia di migliaia di maestri, ci sarà nell’umanità il maestro più geniale di tutti; questo maestro, il più geniale, quanti alun-ni lo hanno a disposizione? Al massimo 20 o 30; tutti gli altri, a livello sovracosciente ci devono rinunciare, perché se tutti i bambini volesse-ro il diritto di avere il migliore maestro, non sarebbe possibile. Quindi questi 20 bambini si reincarnano e, se capiscono la saggezza dell’evo-luzione, dicono: noi l’altra volta abbiamo avuto la possibilità di avere avuto il migliore maestro di tutto il mondo, perché tutti gli altri bam-bini hanno fatto il sacrificio di rinunciarvi; e saremmo dei farabutti se non ci sentissimo in debito nei confronti di tutti questi bambini-esseri umani. Quindi l’amore vero è sempre un amore che ricambia ciò che ha già ricevuto, soltanto allora è credibile. Un amore, che parte con l’arroganza di non dover ricambiare, non è amore; l’amore si presenta sempre con il gesto della restituzione di un dono ricevuto. «Mi perdo-ni che l’altra volta ti ho lasciato indietro?».

D: Se la conquista del senso della vita è un fenomeno di natura individuale, che senso ha l’incontro con l’altro? L’altro mi sembra un

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compagno di strada che permette alla mia parte spirituale di emerge-re, non uno esattamente che prende su di sé i miei malanni e li con-divida. Il mondo è pieno di persone che vivono sole, di orfani e di persone che non hanno volenterosi compagni di strada; questo mo-dello di terapia a due come si concilia? E la terapia sociale quale sa-rebbe? Inoltre come proteggo io i miei organi dalla identificazione delle paure, sofferenze e ansie altrui che si riversano su di me?

R: Non si può dare una risposta breve a quesiti così fondamentali. Un piccolo avvio di pensiero, che è fecondo nella misura in cui non è una linea stretta stretta ma apre un orizzonte: le riflessioni che lei faceva si riferiscono a questa grande polarità dell’umano, che si svol-ge nell’individuo e in tutta l’umanità. L’individuo da solo e la libertà singola, perché anche nel rapporto sono due gli individui, se il rap-porto ne facesse una cosa sola sparirebbero tutti e due; il rapporto è una variazione all’infinito sul tema dell’unità e della diversità. Ma se perdo la diversità ed ho solo l’unità, spariscono tutti e due, sparisce l’individualità; se ho soltanto l’individualità e perdo la comunanza sparisce il rapporto. Quindi è nella natura del rapporto questa tensio-ne tra individualità e comunanza; è la legge evolutiva delle sorti dell’individuo singolo, unico e delle sorti della comunanza umana. I destini ultimi sono di fare di tutti gli Io umani, di tutti gli spiriti degli esseri umani un organismo spirituale. La legge dell’organismo è: più c’è singolarità e più c’è unità; più c’è unità e più c’è singolarità.

Parliamo dell’organismo fisico. È un concetto di aiuto reciproco soltanto nella misura in cui il fegato resta fegato, il polmone resta polmone, il cervello resta cervello. La domanda che sta alla base della salute dei rapporti, che poi crea salute del corpo, è: chi sono io nell’organismo dell’umanità? Potrò essere soltanto inserito nell’u-manità se immetto nell’organismo dell’umanità questo svolgimento dell’umano, questa sfaccettatura dell’umano, che soltanto io posso dare all’umanità, altrimenti, se io non realizzo il mio Io, impoverisco tragicamente l’umanità intera. L’errore fondamentale del pensiero è di pensare che individualità e comunanza si escludano a vicenda; non è vero! O crescono insieme, o calano insieme. Più comunanza

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esiste soltanto con maggiore apporto del tutto individuale arricchen-te. Il rapporto non è soltanto il rapporto a due, il rapporto è sempre tra due persone, ma ognuno costruisce nel corso dei secoli un karma con tutti gli esseri umani, perché fanno parte del suo organismo, che è l’umanità intera. Chiediamoci cosa c’è da fare perché tutti gli Io umani, attraverso un’individualizzazione che diventa sempre più spiccata, si rimembrino per costruire un organismo – e un organismo è una salute reciproca. Per compiere questa opera di riorganizzazio-ne, la caduta e la frammentazione dell’umanità, la redenzione e il rimembrare gli uomini gli uni dentro agli altri, significa sempre di più spiritualizzarci, perché finché stiamo nel corpo fisico non pos-siamo diventare una unità. Se tutto va bene, se usiamo la libertà in senso positivo e non nel senso di omettere, abbiamo bisogno di di-verse vite terrene e di qualche millennio.

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Sabato 4 maggio 2013, sera Come il lavoro e qualsiasi attività sono causa

di salute e malattia

Abbiamo già parlato di pensiero, poi di sentimento, ora parliamo un po’ di più della volontà. Parliamo del fare, di attività, del lavoro dell’uomo: in che modo la malattia e la salute hanno a che fare con l’espressione del volere dell’uomo; in che modo il volere, il fare inci-de sulla salute e sulla malattia. Visto che mettiamo in primo piano la volontà che sfocia poi nell’agire, partiamo dalla domanda: che cosa vuole l’uomo? Visto che l’uomo è strutturato trinitariamente, vuole tre cose:

• a livello del pensiero, conoscere il reale sempre meglio, • desidera amare tutto il reale, la natura, le piante, gli animali, tutto

quello che c’è, crescere sempre di più nelle forze dell’amore • e desidera essere sempre più forte per tradurre in azione ciò che

capisce, ciò che ama.

Detto questo, abbiamo detto tutto quello che l’essere umano vuole. Se interpelliamo lo spirito di una persona, la sua sovracoscienza, ci risponderà questo; la coscienza ordinaria si è dimenticata cosa vuole lo spirito. Noi in chiave di salute stiamo risalendo dalla coscienza ordinaria obnubilata e poniamo la domanda: cosa voglio io veramen-te, nel mio spirito? Voglio conoscere sempre meglio, pensare sempre meglio, capire sempre meglio, l’evoluzione del pensare; poi voglio un’evoluzione del cuore per cui mi è concesso di amare, che non si-gnifica né conoscere, né volere, ma desiderare, anelare; si tratta di una dinamica evolutiva, è il passaggio tra il capire e il realizzare; se una cosa che capisco non la amo, non mi entusiasma non tendo a realizzarla; altre, amandole, voglio realizzarle sempre di più. Quindi dal pensiero si passa al sentimento e infine alla volontà e la volontà si traduce in azione. Attraverso la percezione si accende il pensare, che si incentra nella testa; poi il sentimento, che si incentra nel cuore,

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e infine la volontà, che si incentra negli arti. Così come la percezione è il mondo esterno che entra dentro di me, così la volontà si esprime e incide sul mondo attraverso l’azione. Quando un moto volitivo si traduce in azione, io esco dal mio essere e opero, trasformo il mon-do; ogni azione è un intervento sul mondo esterno. Ognuno di noi vuole crescere, diventare sempre più bravo nel suo pensare, nel capi-re le cose. Un compito fondamentale del pensare è capire chi sono io nell’umanità, capire in chiave di pensiero, quindi conoscere che cosa mi sono riproposto di fare in questa vita. Ciò che io mi sono ripropo-sto di fare in questa vita, in base a quanto ho fatto prima e quello che farò la prossima volta, deve essere sempre più chiaro nel nostro pen-siero, devo capire chi sono. È importantissimo che il cuore trovi bel-lo, entusiasmante, che dia pienezza a me stesso e agli altri, ciò che mi sono proposto di fare, quindi lo amo, mi entusiasma, mi accende il cuore e, capendolo bene, luce del pensiero, amandolo, calore del cuo-re, mi viene voglia, mi sorge la volontà di realizzarlo. Quindi intrido tutte le mie azioni di questa comprensione di chi io sono nell’organi-smo dell’umanità, di questo amore sviscerato, sincero – perché ciò che io sono nell’umanità è puro amore nell’organismo dell’umanità, ogni essere umano è un membro assolutamente vitale nell’organismo dell’umanità – e, in base a questa bellezza dell’essere mio, del mio Io, che mi conquide, che mi fa innamorare, perché è bello non solo per me ma anche per gli altri, sorge il desiderio, la forte volontà di agire, di compiere, di realizzare, di esprimere ciò che porto dentro di me.

Se è vero che lo spirito di ognuno vuol capire le cose sempre me-glio, cosa vuole rispetto alla volontà? Cosa è importante per la volon-tà? La forza. Se la volontà non è intrisa di forza, non può fare. C’è una differenza tra una volontà intrisa di forza e una volontà a cui manca la forza, le chiamiamo «voglie», che sono volontà debolucce. Una storiella dice che la differenza tra il paradiso e l’inferno è sol-tanto nelle piastrelle del pavimento, tutto il resto è uguale: il paradi-so è lastricato di voglio, voglio, voglio, mentre l’inferno è tappezzato di vorrei, vorrei, vorrei. Un pensiero fondamentale è che lo spirito di ognuno di noi ama le sue malattie, perché la malattia è per natura

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fatta apposta per rafforzare la volontà. Una persona affronta una ma-lattia di qualsiasi tipo e la affronta in chiave positiva, non maledicen-do la malattia, ma svolgendo la malattia in senso positivo; alla fine della malattia, dopo avere lottato, la volontà è diventata di un grado più forte. Una delle cose più importanti di uno spirito che si incarna sono le malattie che è in grado di concedersi. Se uno spirito è più debole, se vuole affrontare più malattie di quante può, avrà poi dei contraccolpi. Più uno spirito è forte, più è capace di diventare ancora più forte.

Ci sono varie riflessioni su una medicina che vorrebbe impedire il comparire di certe malattie, per esempio con le vaccinazioni, manca-no le conoscenze oggettive. Steiner dice che, per il cammino di cono-scenza, non soltanto per la forza di volontà, motivo per cui lo spirito umano desidera, sceglie, vuole le sue malattie e non tollera che gli vengano portate via è perché rendono più forte la volontà. Steiner descrive come un essere umano che ha lottato, in chiave di conoscen-za, per capire certi misteri, ad esempio il mistero del male; uno dei compiti principali di una malattia è un approfondimento dell’animo tale, che dopo, quando arriva la convalescenza, l’individuo si meravi-glia che all’improvviso capisce cose che prima non riusciva a capire. Non riusciva a capire perché mancava la profondità dell’animo e la malattia, il dolore, la sofferenza approfondisce l’animo e soltanto un animo approfondito può capire certi misteri a livelli profondi. Dopo la malattia mi accorgo e mi meraviglio che mi pare di cominciare a ca-pire certe cose con cui ho lottato per tanti anni restando alla superfi-cie.

Più si capiscono certe cose profonde e più si diventa parchi con le parole. Una persona che ha sofferto, che ha avuto delle malattie, ac-canto al malato è capace di tacere. Il modo migliore di accompagnare un malato è di tacere, perché colui che tace accanto al malato dimo-stra di avere sofferto abbastanza, invece la persona superficiale parla, parla, parla, crede di consolare parlando, ma non può consolare, e chi è malato le dice: quand’è che mi lasci in pace? Di fronte a questo spi-rito che, di tutte le cose della sua vita, ama e vorrebbe salvaguardare

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più di tutto le sue malattie, quelle giuste per la sua evoluzione, abbia-mo degli ostacoli nuovi su cui dobbiamo riflettere. Se noi proibiamo allo spirito umano di vivere una malattia che lui vorrebbe vivere, lo costringiamo a trovare qualcosa di ripiego e quindi costruiamo un sacco di disguidi nel karma e poi, dopo una-due vite, è tutto in disor-dine. Che tipo di mentalità è quella della medicina? Un vero medico antroposofo dovrebbe sentire ben altri pensieri, in base alla scienza dello spirito, che altri non hanno, anche solo in base alla conoscenza del fatto che c’è uno spirito che architetta la sua vita ancora prima di nascere e sa quali malattie vuole affrontare. Il medico tradizionale, in chiave di materialismo, pensa che la cosa migliore da fare di fronte ad una malattia è quella di farla sparire al più presto. Fare sparire una malattia al più presto, per lo spirito che se la è scelta, è una catastrofe, perché se l’è scelta non per farla sparire al più presto, altrimenti non l’avrebbe fatta sorgere. Lo spirito si è scelto la malattia con un certo calcolo di quanto tempo vuole lottare contro questa malattia e l’im-portante non è farla sparire, ma vincerla; e si vince soltanto lottando con le nostre forze e l’io, lo spirito diventa sempre più forte. La medi-cina adesso ha la possibilità, addirittura con la diagnosi prenatale, di calcolare possibili malattie ereditarie; la domanda è: tutti gli embrioni che minacciano di nascere malati, hanno il diritto di nascere? Abbia-mo una umanità ignara della realtà dello spirito, pensa che sia solo materia che sta complessificandosi sempre di più. Partendo da una prospettiva che riconosce lo spirito, considera che se uno vuole nasce-re con delle malattie è perché se le è scelte, perché gli appartengono, perché le vuole, perché vuole lottare, vuole vivere con queste realtà. Quindi portargli via le malattie che vorrebbe avere, che vorrebbe vi-vere, è una lesione assoluta della sua libertà.

Prendiamo le vaccinazioni, hanno lo scopo di non fare sorgere certe malattie. Immaginiamo uno spirito che è sceso con il suo desi-derio di diventare sempre più profondo nella conoscenza, sempre più forte nelle forze di volontà, di vivere una certa malattia, attraverso una vaccinazione questa malattia non sorge e per questo spirito è una tragedia immane, perché è costretto a trovare qualcosa di ripiego,

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che però non calzerà mai così come calzerebbe la malattia che aveva desiderato.

Se noi proibiamo allo spirito di passare certe malattie che vuole vivere, la prospettiva che ci interessa è una prospettiva di conoscen-za, quali sono le conseguenze? Resterà di un bel pezzo più debole, come spirito. Abbiamo detto, passare una malattia significa rendere più forti le forze di volontà. Questo spirito a cui portiamo via le ma-lattie che vorrebbe vivere, gli proibiamo di viverle, diventa sempre più debole; uno spirito umano che diventa sempre più debole, invece di immettere forze di volontà nel corpo fisico, essendo debole lui, indebolisce sempre di più il corpo fisico e lo rende passibile di un sacco di malattie; malattie che non sorgerebbero se lo spirito fosse molto più forte, avesse più forze di volontà, e potesse rendere più forte il corpo fisico. Il senso della malattia è di rafforzare il corpo fisico, di renderlo sempre meno passibile di malattie, rafforzando lo spirito, rafforzando la volontà dello spirito; quindi il senso di una malattia è di evitarne tre o più. Se la malattia giusta, io la vivo nel modo giusto e rendo il mio spirito di tanto più forte di forze di volon-tà, queste forze di volontà vengono trasfuse in tutti gli organi, in tutte le parti del corpo fisico e il mio corpo fisico diventa così forte, che è meno soggetto a tante malattie, come le malattie infettive. Il motivo per cui lo spirito si sceglie una malattia è per rendere forte la propria volontà ad un punto tale che questa forza di volontà si tra-smette nell’organismo fisico; quindi questa malattia, che è una, me ne evita dieci. Ci sono molte persone che si prendono tante malattie perché la medicina gli ha impedito di prendersene una. Dobbiamo chiederci se è meglio una malattia, che mi rende più forte e che me ne evita dieci, o se è meglio evitare questa una e prenderne dieci. La corporeità, la compagine delle forze del corpo nell’insieme diventa sempre più debole. Questa è una tragedia immensa. Lo spirito diven-ta sempre più debole, perché il materialismo è poltroneria dello spi-rito, immette sempre più debolezza nel corpo fisico; il corpo fisico diventando sempre più debole è sempre più soggetto alle malattie, e siccome le malattie sono troppe, con le vaccinazioni immettiamo

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elementi dell’animale nel corpo umano, rendono il corpo sempre più istintuale, sempre più animale e gli animali hanno molte meno ma-lattie di noi; per fare di tutto per evitare le malattie stiamo rendendo i corpi umani sempre più deboli. Cosa c’è di male se il corpo diventa sempre più debole? C’è che la vita non può essere più bella, perché la vita è bella nella misura in cui ho sufficiente volontà per realizzare ciò che vedo come bello, come buono. Una persona non può essere soddisfatta se di fronte a ciò che vede come bello, come buono, come vero per sé, non lo può realizzare per mancanza delle forze necessa-rie. Ci sono sempre più persone esangui, senza forze. Stiamo parlan-do delle forze di volontà, una cosa importantissima per non contrar-re più malattie del necessario; la forza di volontà si trasmette direttamente a tutto l’organismo; una volontà debole indebolisce tut-to l’organismo.

Un’altra sorgente di indebolimento della volontà è la nutrizione. Nutrirsi significa prima masticare, la prima digestione (prima dige-stio fit in ore) avviene in bocca, poi nello stomaco si digerisce e poi il sangue porta la quinta essenza di ciò che noi mangiamo in tutto l’organismo. Ci sono due tipi fondamentali di nutrizione. Un modo che rende l’organismo sempre più poltrone, sempre più debole e un modo di nutrirsi che rende l’organismo sempre più forte. Rudolf Stei-ner ha descritto il fenomeno della mucca pazza, come scenario pos-sibile, 100 anni prima che si verificasse; ha detto: qualora la mucca cominciasse a mangiare proteine della carne, le cellule del cervello si danneggerebbero a un punto tale da farla diventare pazza. Normal-mente la mucca mangia l’erba e la trasformazione che fa passare il vegetale a livello animale è un processo di metabolismo, di digestio-ne. Ora l’essere umano mangia un pezzo di manzo; se mangia carne, il processo di trasformazione è già arrivato a metà, dal vegetale alla carne, e il suo metabolismo fa solo una metà del cammino, da anima-le all’uomo, l’altra metà l’ha lasciata fare all’animale. Mangiare car-ne significa far poltrire il proprio metabolismo, renderlo sempre più debole. Non dico: diventate tutti vegetariani; vogliamo conoscere i fenomeni nella loro oggettività. L’animale ha trasformato il vegetale

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in carne e la carne animale è intrisa di astralità, di tutte le brame dell’animale; l’essere umano che mangia carne, fa fare al suo stoma-co soltanto metà del cammino. Quando invece l’essere umano man-gia il vegetale, costringe il suo stomaco, cosa ottima, a fare tutta la trasformazione; costringendo lo stomaco a fare doppio lavoro, il me-tabolismo diventa molto più forte. Tanto è vero che, chi è abituato a mangiare molta carne, deve stare attento, non potrà di colpo diventa-re vegetariano, perché il suo corpo è così debole che non ce la fa; bisogna avere un corpo molto più forte per mangiare da vegetariani, che non per mangiare carne. Per fare tutto il processo di trasforma-zione da vegetale a umano ci vuole uno stomaco più forte. Uno sto-maco debole rende debole tutto l’organismo, quando poi tu vorresti avere la forza di volontà per realizzare cose bellissime e ti rendi con-to che non ce la fai, non ti devi lamentare se continui a mangiare la carne perché ti piace. Ognuno deve decidere per sé a cosa dare prio-rità. L’animale si è nutrito del vegetale e lo ha trasformato; tutto que-sto processo di metabolismo dell’animale ha trasformato il vegetale in carne animale. Nutrendomi di carne animale, il lavorio di trasfor-mazione che il mio stomaco deve fare per passare da carne animale a carne umana è molto di meno e, lavorando molto di meno, acquista molte meno forze di volontà e quindi di forze corporee, è meno robu-sto che non mangiando il vegetale. Si penserebbe il contrario, ma è un pensiero sbagliato. Se le cose stanno così, ne consegue che non può esistere uno spirito umano che si incarni con la volontà di man-giare carne animale; siccome è nello spirito della sovracoscienza, dell’Io superiore di essere saggio al massimo, incarnandosi c’era la volontà di mangiare il più possibile, non carne animale, ma vegetali. Questo significa che noi, con le nostre voglie, con il nostro egoismo, con il nostro comodismo, mangiando carne, infrangiamo, andiamo continuamente contro la volontà del nostro Io superiore che si è ri-proposto si essere il più forte possibile, mangiando il vegetale. L’io inferiore che si mette contro la volontà dell’Io superiore indebolisce sempre di più le forze di volontà; indebolendo sempre di più le forze di volontà si è soggetti a sempre più malattie, perché il corpo diventa

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sempre più debole. Sarebbe un altro modo di dire: se tu ti vuoi ri-sparmiare dieci malattie che non sarebbero necessarie, che non sor-gerebbero se il tuo organismo fosse più forte, rendilo più forte; ti ri-sparmi tutte queste malattie e rendi il tuo corpo più forte mangiando da vegetariano. Mangia i vegetali biologici e biodinamici, che tengo-no conto anche delle forze dei pianeti, e che contengono forze vitali che possano infondere il massimo di forze nell’organismo umano. Nella misura in cui io mangio cibi devitalizzati, rendo il mio organi-smo sempre più debole, sempre più passibile di malattie. Tante ma-lattie si potrebbero evitare rendendo l’organismo più forte e uno dei modi più importante, accessibile a tutti, è la nutrizione.

La domanda della volontà è: cosa mi sono riproposto di fare in questa vita? Ogni spirito umano si ripropone di avere un organismo il più forte possibile e le malattie, quelle scelte dall’Io superiore, ser-vono a rendere l’organismo sempre più forte, le forze di volontà e quindi anche l’organismo sempre più forte. Con un organismo che mi corrisponde, con una volontà che vuole diventare sempre più for-te, cosa faccio nel mondo? Cosa sono venuto a fare? Quale è il mio compito? La risposta di una scienza dello spirito moderna è che an-cora prima di nascere, lo spirito stesso ha architettato, ha fatto un piano di vita che si chiama biografia e il piano di vita esiste, tutto compiuto, ancora prima di nascere. Lo spirito umano sa, prima di nascere, che cosa vuole fare questa volta e, sapendo quello che vuole fare, sa quali eventi vengono incontro, ma non può pianificare come gli altri esseri umani reagiranno, quindi deve lasciare aperti tanti fattori. Quando una persona sa quello che vuole fare, non significa che sa come gli altri reagiranno, se riuscirà o no; la biografia è una pianificazione, un intento di volontà che però si espone alla libertà, alle capacità reali, all’obnubilamento della coscienza nel momento in cui entra nel corpo, e soprattutto si espone alla libertà degli altri: a seconda di come gli altri reagiranno, cambierò un poco la direzione. Però l’esercizio della libertà mia e degli altri non sarà mai in grado di mettere in forse la biografia, il piano di vita. Il piano di vita è la volontà del mio Io superiore, del mio spirito. Nella mia coscienza

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ordinaria come faccio a sapere cosa sono venuto a fare? Qual è la volontà del mio Io superiore?

La prima riflessione è: ogni esercizio di potere, che vorrebbe dire all’uomo ciò che deve fare, è antiumano nel modo più assoluto. Non si può dire all’essere umano, dal di fuori, ciò che deve fare, perché non c’è nulla che l’essere umano deve fare, addirittura con la pretesa che il dovere sia generalizzabile. Generalizzando il dovere, dicendo alle per-sone ciò che si deve fare, viene annullato l’individuale. Cancellare l’in-dividuale è la somma dell’immoralismo, è la somma del male morale. Il bene morale supremo è l’individuo nella sua unicità. Non esiste che dal di fuori qualcuno mi dica cosa devo fare e non esiste ciò che devo fare, esiste soltanto ciò che il mio essere liberamente vuole. Nella li-bertà dello spirito creatore, non esiste un dovere; una cosa o la voglio perché mi appartiene, perché è un frammento di crescita, di evoluzio-ne o non la voglio. Una morale del dovere è talmente disumana, che facciamo passi in avanti soltanto se noi veramente la superiamo come disumana e la mettiamo da parte; non esiste il dovere, il dovere è sol-tanto soggiogamento da parte del potere verso l’individuo. Se l’indivi-duo si libera da ogni soggiogamento, si libera da ogni esercizio di po-tere, esiste soltanto ciò che io liberamente, pieno di amore, mi sono riproposto, ciò che voglio per me e per gli altri, in questa vita. Si tratta di congiungersi con la volontà libera del proprio Io.

La scienza dello spirito dà solo orientamenti, poi l’individuo deve sapere lui cosa vuole; gli orientamenti ci aiutano a non sgarrare del tutto. La scienza dello spirito ci dice che ci sono alternanze in questa volontà dell’Io superiore; da una vita all’altra ci sono delle polarità. Uno si chiede: ma io questa volta sono venuto al mondo per mettere me in primo piano o per mettere gli altri in primo piano? Tutte e due le volontà sono possibili. Si possono fare tutti e due al 100%? Li po-tremmo fare se fossimo perfetti, se fossimo alla fine dell’evoluzione. Il compimento dell’evoluzione sta nel fatto che ciò che io faccio dan-do la precedenza a me, direttamente e contemporaneamente dà la precedenza all’altro; soltanto quando si è perfetti, c’è questa contem-poraneità. Finché sono in evoluzione devo scegliere, nel momento in

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cui sto dando precedenza a me stesso, l’altro va in secondo piano; quando metto in primo piano l’altro, vado io in secondo piano. Una delle caratteristiche fondamentali della volontà dell’Io è che ogni spirito umano alterna il carattere di una vita, la biografia, il piano di vita, o che dà la precedenza al cammino degli altri, servizio agli al-tri, dedizione agli altri e di conseguenza la mia evoluzione sta in secondo piano, oppure ho un piano di vita in cui io questa volta sono in primo piano. La morale tradizionale ti dice: bene è dare solo la precedenza agli altri. Invece no, bene morale è alternarli: una vita passata dando precedenza alla propria evoluzione, alla propria cre-scita, e gli altri vengono messi in secondo piano e una vita in cui do precedenza agli altri, al servizio agli altri, metto in primo piano ciò che serve agli altri e la mia evoluzione sta in secondo piano.

Cosa ha a che fare questo con la malattia e con la salute? Tantis-simo. Se una persona nel suo piano di vita si è riproposta in questa vita di mettere in primo piano la propria evoluzione, il proprio cam-mino, e bisogna farlo in alternanza, perché nessuno è capace di ser-vire veramente gli altri se non è stato capace in alternanza di costru-ire bellezza in sé stesso. Mettiamo che una persona questa volta si sia riproposta di mettere in primo piano la sua evoluzione. Le capita di crescere nell’ambito della chiesa cattolica e le si mettono patemi d’a-nimo, le si fa sorgere un sacco di problemi di coscienza se non si dedica in tutto agli altri e la si induce a lavorare tutta una vita contro la volontà del proprio Io superiore. L’Io superiore ha un piano di vita che prevede che questa volta, per fare le cose giuste, ti sei costruito un corpo per mettere te stesso in primo piano. Se tu metti gli altri in primo piano crei sempre più debolezza nel tuo spirito, perché non si realizza nella chiave che lui voleva. Questa debolezza dello spirito, sorta perché la sua volontà viene sempre più infranta, crea nel corpo sempre più debolezza e un corpo che si indebolisce sempre di più è passibile di molte più malattie di quante ne avrebbe se mi dedicassi al piano di vita che mi sono proposto di realizzare.

Ma come faccio io a sapere se in questa vita la mia volontà è quel-la di mettere in primo piano me stesso o gli altri? Quale è il criterio?

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La contentezza, la pienezza, la percezione interiore che mi sto realiz-zando. Se ho, ogni giorno, la percezione interiore che mi sto realiz-zando, che mi sta bene, che mi corrisponde, mi dà gioia, allora sto facendo quello che mi ero riproposto. Se invece lo faccio perché al-trimenti avrei problemi di coscienza, ma non sono soddisfatto e con-tinuo a lamentarmi e sottolineo sempre il negativo, allora devo dirmi che c’è qualcosa che non va; e se c’è qualcosa che non va, lo devo prendere sul serio. È una cosa bellissima eseguire la volontà del pro-prio Io, sia che si sia proposto di mettere gli altri in primo piano, sia che si sia proposto di mettere sé in primo piano. Attenendosi a questo volere puro e semplice, si è sempre più realizzati, sempre più felici, si dà veramente agli altri quello che gli altri vogliono da noi e il cor-po diventa sempre più forte, sempre più robusto, sempre meno espo-sto a malattie non necessarie.

Un’altra alternanza: l’interazione tra la testa e il cuore; mettere in primo piano la testa in una vita significa dare precedenza alla razio-nalità, all’oggettività, di solito è una percentuale maggiore nell’ele-mento maschile. Si può contemporaneamente mettere la testa, la ra-zionalità, e mettere l’intuitività del cuore in primo piano? No, bisogna alternare. Tante persone dicono che vorrebbero avere entrambi, di fatto poi non hanno né l’uno, né l’altro; finché siamo nella metà dell’evoluzione bisogna avere il coraggio della specializzazione, non siamo perfetti. E questo coraggio della specializzazione è un mini-mo di umiltà, che però ci rende sinceri e ci rende aderenti al reale. Nella realtà ci sono persone che danno precedenza al cuore lasciando la testa in secondo piano e viceversa. Ci vuole quindi la reincarna-zione perché ogni essere umano deve avere la possibilità di fare en-trambe le cose, più volte. Espongo il mio corpo a un indebolimento tale, per cui diventa passibile di malattie che durano tutta la vita, nella misura in cui io mi sono riproposto la volontà, il piano di vita del mio Io superiore, quello di dare precedenza in questa vita alla razionalità della testa e invece io voglio fare di tutto per sottolineare il cuore. Così sono non realizzato, sono scontento e fuori dal mio elemento. Una persona che vorrebbe essere tutti e due, o che si è ri-

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proposta di mettere in primo piano il cuore e vorrebbe vivere come una persona che ha in primo piano la testa, non può, perché se la sua forza reale è quella del cuore, non c’è bisogno che capisca a livello razionale tante cose.

Un rapporto di coppia, l’archetipo di un rapporto è che l’uno ci mette maggiormente la parte di testa e l’altro la parte del cuore. Se l’altro nel rapporto mi porta incontro l’altra polarità che io non ho, sarebbe un umiliare l’altro volergli portare incontro entrambi o addi-rittura voler brillare nel campo che è suo. Il senso del rapporto è: io amo in te quello che mi manca, quello che cerco; allora sì che il rap-porto diventa dinamizzante, fecondante; ognuno porta incontro all’altro ciò che l’altro cerca perché non lo ha. Questo presuppone il realismo che concede che ognuno di noi è o maggiormente ancorato nella testa o maggiormente nel cuore; tutti e due vanno benissimo, ma non si può averli tutti e due insieme.

Il maschile e il femminile sono di nuovo un’alternanza. Non si può essere entrambi nella stessa vita.

Ci sono altre alternanze. Una persona si è riproposta di avere una vita maggiormente pubblica, l’altra una vita maggiormente privata. Se uno spirito si è riproposto una vita maggiormente privata per ap-profondire le cose e adesso vorrebbe diventare famoso, le cose non funzioneranno. Si tratta di mettere da parte le nostre voglie, tutti i nostri egoismi di ciò che vorremmo e di chiedersi «come sono strut-turato io oggettivamente e quali sono le qualità fondamentali della testa o del cuore, del maschile o del femminile, la qualità del vivere più per gli altri o più per me», e voglio vivere nel modo che mi corri-sponde. Se vivo nel modo che mi corrisponde, realizzo il mio essere e, realizzando il mio essere, creo una forza tale, perché l’autorealizza-zione è il massimo della forza interiore, che infonde nell’organismo fisico sempre più forze di volontà e quindi il meglio della vita è di passare soltanto le malattie che lo spirito ha voluto, ha amato, ha scel-to prima di nascere, tutte le altre non sarebbero necessarie.

Possiamo partire dal presupposto che tante persone oggi si co-stringono a passare un sacco di malattie che non sarebbero necessa-

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rie, se si realizzassero nell’oggettività del proprio essere. Sarebbero contente, le malattie che vengono karmicamente verrebbero accolte, benedette come momenti privilegiati di crescita. La mia salute è nell’essere un organo, un membro sano nell’organismo dell’umanità.

Come trovo io il mio posto, la mia attività concreta, cosa devo fare? Qual è l’attività che mi realizza al massimo? Tante persone spendono tutta una vita senza avere mai trovato un’attività o diversi mestieri che lo realizzano. Ti realizza non tanto quello che fai, ma il modo in cui lo fai, perché nel modo in cui lo fai esprimi i tuoi pen-sieri, che sono tutti tuoi, esprimi i tuoi sentimenti, che sono tutti tuoi, esprimi le tue volizioni, che sono tutte tue. Non è il mestiere dell’o-peraio o il mestiere del maestro o dell’ingegnere che ti realizza. Su ogni tipo di attività che fai, devi imprimere la tua impronta, quella del tuo Io singolo; fai ogni cosa a modo tuo.

C’è una salute della gioventù e una salute della maturità. La sa-lute della gioventù è di cercare il proprio posto, di cercare la propria identità. La domanda della vita, la domanda dell’agire, la domanda del mestiere è: «chi sono io, cosa sono venuto a fare». Per sapere chi io sono, devo cercare la mia identità e per trovare la mia identità, devo da giovane provare di tutto. Posso sapere quali cose so fare meglio, quali cose mi sono riproposto di fare questa volta, perché ho creato i presupposti per farle meglio delle altre, soltanto provando tutto il possibile. Nella misura in cui da giovane provo tutto il pos-sibile, salta fuori per quali cose ho un talento, quali cose so fare meglio. L’essere umano in quanto tale sa fare tutto, la natura umana gli appartiene in tutto e per tutto; ognuno di noi ha la natura umana al 100%, ma di questa potenzialità complessiva dell’umano, io mi sono riproposto in questa vita di realizzare uno-due-tre-quattro-cinque, non tutto l’umano. Benché io, come essere umano, poten-zialmente sarò in grado, di vita in vita, di tirare fuori tutti i registri dell’umano, questa volta mi sono ripromesso di dare la precedenza a questa attività, a questo modo di fare. Ci si può incarnare soltanto dando precedenza a qualcosa, ne abbiamo parlato a proposito delle alternanze.

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Vengo a sapere quale tipo di attività e quale modo di fare le cose mi corrisponde, troverò la mia identità in questa vita, nella misura in cui provo il maggior numero di cose possibili; non so in partenza, perché potenzialmente l’essere umano è capace di tutto. Il massimo di forze di volontà sorgono nel giovane, nella misura in cui la società non è tirchia con i giovani, gli mette a disposizione tutti i capitali necessari – i denari dovrebbero essere distribuiti so-prattutto alla gioventù – e dia a ogni giovane, fino a metà della vi-ta, di sperimentare più che può. Soltanto così potrà saltar fuori ciò che sa fare meglio. Questo provare di tutto dà una gioia tale da far capire sempre più quello che sanno fare meglio; questo rendersi conto sempre meglio di qual è il talento, mi fa capire cosa mi sono riproposto di fare questa volta. Questo trovare sempre di più la pro-pria identità è un’autorealizzazione tale, che infonde il massimo di energia nel corpo fisico e quindi lo espone per tutta la vita molto di meno alle malattie. Il corpo di un giovane che ha provato troppe poche cose, non ha vissuto mai la gioia di avere appurato su una base molto larga, cosa veramente sa fare, essendo uno spirito pieno di incertezze, infonde poche forze di volontà e poche forze nel cor-po fisico e si espone a molte più malattie, che non un giovane che ha il capitale necessario a disposizione e che ha la possibilità di provare, di imparare tante lingue, scorrazzare per tutto il mondo e provare tutto ciò che è capace di provare. Nella gioventù deve pre-valere il karma, ciò che mi viene incontro; il karma non è a caso, il karma è ciò che il mio spirito si porta incontro e nella misura in cui l’individuo, nella gioventù, dà fiducia al karma, a tutte le cose che il karma fa saltar fuori da fare, aiutare, preparare ecc. Karma è fi-ducia negli altri. Do fiducia ai bisogni che gli altri mi portano in-contro. Nella gioventù io non ho ancora scoperto in tutto e per tut-to quali sono i miei talenti e posso scoprire quali sono i miei talenti soltanto se dimentico, lascio sparire i miei talenti e mi con-centro sui bisogni delle persone che mi vengono incontro karmica-mente. Più do importanza a tutti i bisogni, qualsiasi siano, perché i bisogni degli altri vanno presi così come sono, più mi dedico ad

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appagare i bisogni degli altri, e meglio che posso, più saprò se ho maggior talento per appagare questo e minor talento per appagare quest’altro. Allora nella gioventù, se si dà fiducia al karma, se si dà fiducia agli altri e, se questo viene fatto bene, avviene un svolta nella vita, perché c’è una svolta, una inversione di marcia…

La maturità dà la precedenza, dà la conduzione alla libertà. Nella maturità non deve essere più il karma. La maturità crea un altro tipo di fiducia: la libertà è fiducia in sé, fiducia nei propri talenti. La fi-ducia in sé sorge soltanto sulla base dell’aver provato, dell’aver dato fiducia ai bisogni degli altri in gioventù. I bisogni degli altri fanno emergere i talenti miei.

Per sapere al meglio qual è il mio talento, che cosa so fare meglio, il modo concreto per scoprirlo è di dedicare la gioventù, dimentican-do i propri talenti, andando incontro a tutti i bisogni degli altri. Una persona che a 20 anni si mette in testa di sapere già, non solo quale è il suo talento, ma che questo talento deve per forza corrispondere a certi bisogni, di sicuro sgarra. Il talento reale sorge soltanto nel ser-vizio ai bisogni altrui, andando incontro ai bisogni altrui. La salute della gioventù è il cercare, provando di tutto e la salute dell’adulto è il dare il meglio di sé.

Steiner nella seconda parte della Filosofia della libertà parla del-la fantasia morale dell’amore, che poi è l’espressione dell’individua-lismo etico, l’espressione della libertà. La fantasia morale dell’amore è la capacità, la facoltà che ha ogni essere umano, e che deve essere esercitata, nel momento presente, qui e ora, di rispondere alla do-manda: cosa faccio in questo momento, come mi comporto? Nella misura in cui io mi lascio indurre ad un comportamento da una nor-ma morale, dalle aspettative altrui, o da un senso di colpa, o dai ri-morsi di coscienza, non sono libero. La fantasia morale dell’amore è la capacità di ogni essere umano nella situazione presente, in base alla percezione di ciò che la situazione mi porta incontro, di intuire un tipo di comportamento mai esistito prima, si compie un’azione senza orientarsi a nulla; perché se io mi oriento a qualcosa, obbedi-sco, seguo una norma fuori di me; invece, invento un comportamen-

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to artisticamente, fantasiosamente che non c’è mai stato. Si è liberi moralmente soltanto se si è creatori di modi di comportamenti del tutto liberi, del tutto individuali, che non ci sono mai stati. Se tu in questo momento non svolgi l’umano, se non lo esprimi in un modo del tutto nuovo, non sei libero; ripeti qualcosa che già c’è stato negli altri o in te, ma ti ripeti. Ripetere significa fare sorgere una legge di natura, che è l’opposto della libertà. Ogni situazione, ogni momento di vita è passibile di far sorgere l’intuizione di un comportamento che non c’è mai stato. E questa fantasiosità dell’amore è la cosa più bella che ci sia; l’amore sa inventare comportamenti sempre nuovi e arricchisce il mondo di una ricchezza sempre più bella, sempre più profonda.

Dibattito

D: Bisogna domandarsi chi sono io e quale è il mio compito in questa vita, ma in realtà chi è che si sta facendo questa domanda? Perché, se è l’Io, lui lo sa chi è, mi sembra quasi una cosa superflua. Se è un’al-tra parte di me, in realtà non è lui… a quel punto è una parte separa-ta. Vorrei una risposta su chi fa le domande e chi dà le risposte su quest’argomento.

R: Se io, nella coscienza ordinaria, fossi automaticamente uno con la coscienza del mio Io superiore, questo automatismo escluderebbe la libertà. Ci può essere libertà soltanto se ho la possibilità di due scelte fondamentali. Devo avere la possibilità sia di congiungermi, in chiave di conoscenza e di volontà, con il mio Io superiore, oppure no. Posso avere la libertà soltanto se scindo il mio Io in due esseri, allora ho la libertà di andare secondo l’uno o secondo l’altro. Se il mio esse-re non è scisso, non c’è libertà perché non ho scelta. Se nella coscien-za umana non ci fosse una scissione, non avrei la possibilità di sce-gliere di andare secondo l’uno o secondo l’altro. Quindi nella coscienza ordinaria sono potenzialmente capace di congiungermi, di diventare uno con la coscienza superiore, ma non sono costretto a

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farlo, altrimenti non sarei libero. Posso omettere questo cammino, questa tensione verso l’unificazione con il mio essere; sono me stesso e non sono me stesso. Quindi nella realtà c’è sempre il paradosso, perché il divenire è la composizione dell’essere e del non essere; per divenire bisogna che qualcosa sia e qualcosa ancora non sia. Ciò che sono, lo chiamo l’io normale, la coscienza ordinaria, mentre ciò che sono passibile di divenire liberamente è la coscienza a un gradino superiore. Nel momento in cui uno afferra questo pensiero, che la struttura della libertà deve essere duplice, deve darmi la possibilità di scegliere a destra o a sinistra, nel momento in cui io afferro questo pensiero della struttura immanente della libertà, ognuno che lo affer-ra, lo può dire con parole sue. L’intento di questi esercizi è di aiutare ognuno di noi a camminare sempre meglio nel pensare. Quale è l’al-ternativa al pensare? Il potere, il moraleggiare. Se io capisco le cose mi oriento secondo le mie convinzioni. Se io non capisco le cose sono passibile di venire manipolato, di venire ingoiato, gestito dal potere. Ogni essere umano vuole capire le cose con la sua testa. Nella misura in cui io capisco una cosa, sono salvo.

Allora io so o non so chi sono io? Lo so e non lo so. Sono me stesso nella misura in cui mi sono già realizzato, ma non lo è nes-sun essere umano se è ancora in cammino. Nessuno può dire: ho realizzato il tutto di me. Quindi sono me stesso e non sono ancora tutto me stesso. Tutte e due le affermazioni sono reali. Il paradosso è la provocazione massima al pensare. I dialoghi di Platone sono tutti sull’onda del paradosso. Esercitare il pensare vale sempre la pena.

Dopo ciò che ho detto, potresti riformulare la domanda, e vedia-mo se qualcuno vuole rispondere in modo del tutto diverso dal mio.

D. La domanda era relativamente all’affermazione che bisogna capire chi sono io. La mia domanda era: chi è il soggetto? Perché il secondo Io sembra quasi il complemento oggetto della frase e quin-di: chi è che si sta facendo questa domanda e perche se la sta facen-do in realtà? Perché non è l’Io che si sta facendo la domanda, è una parte dell’Io in divenire probabilmente, come diceva lei. Però io…

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ogni volta che dico «Io» mi fermo in questo momento perché non riesco più a individuare di cosa sto parlando effettivamente, però…

R: Guarda che è una cosa bellissima! In base al mio sproloquio, tu la domanda l’hai espressa in un modo molto più giusto e molto più complesso. E devi dare atto che questo è dovuto alle riflessioni che ho epsresso. Quindi questo dimostra che esercitare anche insieme il pensare vale sempre la pena.

Chi sono io? Bisogna avere il coraggio di passare da Aristotele che andava a suon di concetti astratti a Platone che usava immagini. L’immagine che usiamo è l’organismo. Come fa un organo a cono-scere la sua identità: l’identità esiste soltanto nel contesto dell’orga-nismo. Il polmone dice: io conosco la mia identità se guardo al mio talento, se guardo a ciò che io sono capace di fare, quindi la funzione del polmone è la mia identità. E se il polmone è malato? Nella ricerca della propria identità, per rispondere alla domanda «chi sono io?», ci sono due unilateralità e la possibilità di capire sempre meglio chi io sono nell’organismo dell’umanità – e questo paradosso delle due co-se che si oppongono e devo mettere sempre di più una dentro l’altra. C’è gente che per sapere «chi sono io», si orienta ai bisogni altrui: io sono quello che so fare per gli altri. Se io vedo la mia identità nell’ap-pagare i bisogni altrui, mi farò ricattare per tutta la vita dai bisogni altrui. L’altra unilateralità è: non me ne frega nulla dei bisogni altrui, io guardo la mia identità e il mio talento, mi metto in testa di essere talentato e sono convinto, per esempio, di essere il migliore pittore del mondo.

Quand’è che un talento è un vero talento? Quando corrisponde ai bisogni dell’altro. La ricerca della propria identità deve tenere conto di tutti e due, devo capire che se io uso soltanto il mio talento per conoscere la mia identità non la troverò mai. Se io uso soltanto i bi-sogni degli altri, che io mi preoccupo di appagare, non troverò la mia identità, conoscerò i bisogni altrui ma non la mia identità. La mia identità è nella corrispondenza tra il mio talento e i bisogni altrui. Il mio talento è reale soltanto quando viene confermato dagli altri. Per-ché, se l’organismo dice «Tu sei il polmone», ma sei talmente scassa-

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to che il tuo talento non ci serve perché non lo esprimi, allora il pol-mone non può mettersi in testa di essere un polmone talentato se è scassato. Quindi la scoperta crescente, che si approfondisce sempre di più, di «Chi io sono» è un cammino molto complesso, individuale, che vive nel paradosso della corrispondenza tra talento e bisogni. E siccome questo è molto più complesso, l’essere umano pratica una sorta di comodismo: o si butta soltanto dal lato del talento – il tipo che, convinto di essere il miglior pittore, parte in quarta fregandose-ne se gli altri vogliono o meno i suoi dipinti – oppure c’è il tipo che parte in quarta per appagare i talenti altrui e si lascia ricattare, ricat-tare, ricattare e non trova mai la sua identità.

D: Avrei due comande. La prima è: come collocare il troppo dor-mire con il poltrire o con il godere delle dimensioni spirituali grazie al sonno? La seconda: vorrei alcuni riferimenti, alcune parole in me-rito alla possessione spiritica secondo la scienza dello spirito.

R: Il corpo è lo strumento necessario per godersi tutti i cammini di conoscenza, tutti i cammini di amore, tutto l’agire. Quando è che il corpo è nello stato migliore che ci sia? Qual è lo stato ideale del cor-po? Quando non si nota, come il violino, come lo strumento; quando lo strumento è accordato alla perfezione, tu non ti concentri sullo strumento, ti concentri sulla musica. Come sapere quanto deve dor-mire questo corpo? Deve dormire tanto quanto serve per portarlo al punto che io da sveglio non lo noto. Il corpo è massimamente sano quando io, facendo tutto quello che sto facendo, non lo noto. Nel mo-mento in cui mi fa male qualcosa, come per il violino, usciamo dalla musica e dobbiamo concentrarci sullo strumento. Dormi tanto quanto serve al tuo corpo per essere così sano che non lo noti e, se dormi più del necessario per il tuo corpo oppure meno, lo rendi meno perfetta-mente forte e lo noterai; il corpo lo noti non soltanto quando ti fa male perché lo bistratti, ma anche quando è diventato troppo comodo, perché hai poltrito troppo e senti la pesantezza del corpo. Se senti la pesantezza del corpo, non è il suo stato ideale. Lo stato ideale del corpo è quando non si nota, quando l’individuo non sa di averlo. Un musicista è al massimo della creatività quando non si nota lo stru-

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mento, diventa una tale simbiosi con lo strumento che non si nota più la differenza tra il musicista e lo strumento. Quanto una persona ha bisogno di dormire, è un fatto individuale. Se una persona dorme meno di quello che necessita, sentirà la stanchezza, non potrà essere creativo, non potrà godere la vita. Se invece uno tende a dormire trop-po, non conoscerà il godimento della vita; dorme troppo una persona che trova la vita monotona. Una persona che non vede l’ora di risve-gliarsi e, nel momento del risveglio, quando ha dormito abbastanza, gode in partenza di tutto quello che c’è da fare, non dorme mai più del tempo che il suo corpo richiede. La tendenza a dormire più del neces-sario evidenzia una noia del vivere e il problema non è nel corpo; al-lora mi devo chiedere: perché la vita mi è diventata così noiosa? La vita non è mai noiosa, soltanto l’uomo può esserlo perché è bacato nella testa; la vita è piena di cose interessanti. Steiner ha raccontato di uno che sta leggendo il romanzo più noioso che ci sia; lo mette via? No! Si dice che è un fenomeno straordinario: come fa questo autore a scrivere qualcosa di così noioso? Mi interessa tantissimo scoprire il segreto di scrivere il romanzo più noioso che ci sia! Tutto è passibile di interessamento. La scienza dello spirito è l’arte di interessarsi a tutto, di rendere tutto interessante, compresa la noia.

D: La possessione spiritica, cosa ne pensa la scienza dello spirito?R: Le forze dell’umano, le forze corporee son tantissime, un mondo

infinito. Le forze dell’anima, un mondo all’infinito. Le forze dello spi-rito, un mondo all’infinito. Il senso dell’evoluzione è che tutto ciò che in partenza è gestito in me da forze di natura, perché io sono ancora in evoluzione, le prendo in mano sempre di più io e le gestisco sempre di più a partire dalla libertà. Tutto ciò che non sono io a gestire in me coscientemente e liberamente è un frammento gestito da forze di na-tura. Il termine tecnico che usa la scienza dello spirito: rispetto a ogni cosa, a un pensiero ecc., tu hai due possibilità: o lo gestisci tu a partire dalla libertà in piena coscienza, oppure lo gestisce la natura. C’è un elemento fondamentale di natura che la scienza dello spirito chiama luciferico, un altro elemento fondamentale di natura che chiama ari-manico. Quando in me qualcosa viene gestito dalla natura, io vengo

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posseduto da forze di natura, perché non mi posseggo io. O mi gesti-sco io, o mi gestisce la natura. Calza l’esempio della lettura di un gior-nale. Leggo un articolo di giornale che mi porta incontro i pensieri dell’articolista; i pensieri dell’articolista per me sono natura, perché non è costruito da me a partire dalla libertà. Il concetto di natura è ciò che io trovo fatto non da me. Se io ingoio, lascio entrare dentro di me questi concetti senza macinarli io, senza metterci i miei concetti, sen-za aggiungere ciò che io penso su questi pensieri, mi lascio possedere dai suoi pensieri, sono posseduto. L’essere posseduti in toto è il suici-dio, l’essere umano che rinuncia su tutta la linea a gestirsi. Nei vange-li ci sono tutti gli archetipi dell’umano. Giuda, tradendo il Logos, quindi la sorgente del pensiero, la sorgente dell’autogestione dentro di sé, uccide il proprio spirito e perciò sta per uccidersi anche corporal-mente. Nel vangelo si dice: chi ti tradirà? Chi tradisce la sorgente libe-ra del pensare è colui che tradisce il logos, colui che si lascia possede-re. Nel Vangelo di Giovanni il Cristo dice: «Mi tradirà colui a cui io darò il boccone». La nutrizione è per natura un processo di possedi-mento, perché i fenomeni di vita sono polarmente opposti ai fenomeni di coscienza che io gestisco liberamente. Sull’onda del mangiare, sic-come Giuda obnubila, cancella il processo di coscienza e con il potere della natura si ottenebra del tutto, il Vangelo dice: «E dietro al boccone entrò in lui Satana», che la scienza dello spirito chiama Arimane. Il vangelo sta dicendo che Giuda è sparito, è posseduto in toto, tutti i suoi pensieri, tutti i suoi sentimenti sono posseduti da Satana e Giuda è sparito. Di fronte a questo fenomeno puro del possedimento, viviamo tutti, finché non siamo perfetti, in possedimenti parziali. La libertà completa è quando io gestisco nella libertà tutti i miei pensieri, tutti i miei sentimenti, tutte le mie volizioni. Dove non sono io a gestire di-rettamente, in questo momento, un pensiero, un sentimento, una voli-zione, sono posseduto. È un male essere posseduti? Male è omettere lo spossedimento, omettere la liberazione, omettere di mettere al posto di pensieri nei quali mi lascio possedere, pensieri miei, sentimenti miei, volizioni mie. Il senso dell’evoluzione è di essere sempre meno posseduti e di possedersi sempre di più.

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D: Nel momento in cui uno sente che sta facendo qualcosa che gli piace, che gli sembra giusto, ma sente che altri lo criticano, che valo-re ha quella critica?

R: Può avere tanti valori. Un valore è che tu la critica altrui te la godi. Provaci. Se uno si permette, perché è permesso, di godersi la critica altrui, il pensiero successivo è che criticare è facile, lo sanno fare tutti. A colui che ti critica puoi dire: tu mi critichi, non mi dice nulla perché criticare è facile, ma tu hai diritto di criticare soltanto se sai presentare qualcosa di meglio, altrimenti taci. Ha diritto a critica-re soltanto colui che sa fare meglio ciò che critica. Se non lo sa fare meglio, fa la figura del minus habens. La critica è un esercizio di potere, perché se uno sa fare meglio non ha bisogno di criticare, ti presenta ciò che è meglio. La critica esercita il potere intimorendo. È importante, di fronte alla critica, avere la forza di rintuzzare chieden-do di presentare qualcosa di meglio.

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Domenica 5 maggio 2013, mattino Come la crescita interiore crea in noi il massimo

di salute corporea

Cerchiamo di tirare le fila del discorso.Vorrei incentrare i pensieri su quello che titolerei: l’arte di amare

il corpo. Siamo arrivati a un punto tale dell’evoluzione che abbiamo disimparato ad amare il corpo. Vedo nell’umanità di oggi un profon-dissimo disamore al corpo. I due tipi fondamentali di disamore al corpo sono: uno di tipo tradizionale – che per fortuna abbiamo man-dato a ramengo – ed era il disdegno del corpo. Secondo la morale tradizionale, il corpo è l’origine delle tentazioni e quindi tu tratti in modo retto il tuo corpo se lo castighi, ricordate «la mortificazione della carne». Da qui è nata un’umanità laica, un po’ più intelligente e la reazione ci ha fatto andare dall’altra parte. La reazione è stata mandare a ramengo lo spirito. La religione per un po’ di tempo ha fatto come se l’uomo consistesse di corpo e di anima; con lo svilup-po della scienza naturale, da quattro-cinque secoli è negata anche l’anima e quindi l’uomo di oggi vive solo il corpo; l’anima, i fenome-ni di coscienza sono visti come una specie di epifenomeno del biolo-gico e quindi l’umanità moderna ha cominciato sempre di più a go-dere il corpo.

Castigare il corpo è un estremo; godere il corpo è un altro estre-mo. Godere il corpo è il secondo modo del disamore al corpo, perché un corpo con il quale io ho un rapporto tale, che mi attendo dal corpo di darmi il godimento della vita, il corpo, se potesse parlare, mi di-rebbe: guarda che ti sbagli, il mio compito non è quello di darti il godimento della vita, perché tu non puoi mai godere il meglio della vita soltanto se godi il corpo. Il corpo è uno strumento. Se io ho uno strumento musicale, non godo la musica solo con lo strumento. Que-sto tentativo culturale di godere il corpo è come voler godere la mu-sica senza suonare, avendo soltanto lo strumento in mano. Invece se io uso il corpo come strumento di cammini, di evoluzione del pen-

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siero, di evoluzione della fantasia e dell’amore, di evoluzione di inte-ressamento per il sociale, allora il corpo mi diventa strumento per le melodie dell’anima, per la luce, per capire il mondo sempre più a fondo. Questo è il vero godimento. Quindi il corpo è lo strumento. Il massimo di amore per il corpo è di portarlo al punto che non lo si nota, non me ne accorgo. Quando il corpo è tale che io non me ne accorgo, è al massimo della sua perfezione, è lo strumento perfetto. Un violino è perfetto quando non lo noto, nel momento in cui una corda si molla un poco, sono costretto a notare lo strumento.

L’amore vero al corpo, tra questi due estremi, è di portarlo al pun-to di uno strumento perfetto, che non si nota, che mi consente di concentrarmi sulle melodie della musica. E le tre melodie del corpo sono i pensieri, i sentimenti e la volontà. I sentimenti più belli sono quelli che ci entusiasmano a un punto tale che poi diventano volizio-ni, diventano ideali. Le melodie più belle della vita, il godimento mas-simo della vita sta nel godere i pensieri più belli che ci siano, i senti-menti più belli che ci siano, gli ideali, i progetti, le volizioni più belle che ci siano. Il pensiero viene imbeccato dalla percezione: dal mondo esterno entra nel mondo interno e va verso l’esterno attraverso l’azio-ne. Il più bello della vita, il vero amore per il corpo sta nel renderlo uno strumento perfetto, accordato così perfettamente, che non lo noto e mi godo i più bei pensieri, i più bei sentimenti, i più bei progetti. Il mondo dei pensieri è infinito, una persona che non ha mai goduto un pensiero è un imbecille, non ha mai fatto l’esperienza di avere un pensiero bello. La scienza naturale ci dà tanti pensieri sul mondo del-la materia, cosa sarebbe se il mio processo di pensiero fosse capace di abbracciare pensando il senso di tutta l’evoluzione? I pensieri colgono il senso, il significato. Il pensiero che dice: qual è il senso dell’evolu-zione? In che tipo di cammino sono immerso? Il pensiero umano è in grado di abbracciare il senso complessivo dell’evoluzione, che è una crescente, sempre più bella, sempre più conquidente libertà dell’uo-mo. Siamo in un’evoluzione che va verso una crescente, sempre più approfondentesi libertà dell’individuo. Uno che afferra un pensiero di questo tipo, così vasto, se lo comprende veramente, lo trova così bel-

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lo, gli viene voglia di sminuzzarlo e vedere nel quotidiano che cosa è che mi rende sempre più libero, e lì vado bene, cosa è che mi rende sempre meno libero, e lì vado male. Un pensiero bello ci fa innamo-rare, quando un pensiero è bello il cuore si innamora, diventa un ide-ale. Che differenza c’è fra un pensiero e un ideale? Un ideale è un pensiero intriso di amore. E quando un pensiero lo trovo bello e lo intrido di amore, questo amore è forze di volontà, perché se una cosa io la amo, mi viene la volontà di realizzarla.

Il cosiddetto peccato originale, la caduta dell’umanità, è che sia-mo tutti piombati in un doppio disamore al corpo e stiamo rovinando su tutta la linea il corpo. Riprendendo la polarità del sistema neuro-sensoriale, del sistema metabolico di ricambio, e, dall’altra, del siste-ma del cuore, la circolazione, l’elemento del sangue. L’elemento della respirazione deve sempre ricreare un equilibrio tra questi due siste-mi. Nella caduta del pensare umano, delle sorti del pensiero umano, i processi di coscienza sono piombati troppo forte dentro le strutture del cervello; il nostro pensare astratto, il nostro pensare materialisti-co è talmente dipendente dalle strutture del cervello, che il nostro pensare è un continuo bombardare il cervello.

Tutte le malattie del sistema neurosensoriale provengono dal fatto che l’uomo moderno ha imprigionato il pensare nelle strutture del cervello; questo è un fattore di necessità evolutiva verso la conquista della libertà, e non è né bene né male. La libertà si esercita e si espe-risce liberando sempre di più il pensare dalle strutture del cervello e questo ci risparmierà nel corso dei secoli un sacco di malattie, dovu-te a questo bombardare continuamente il sistema neurosensoriale; soprattutto questo agganciamento del pensare alle strutture del cer-vello è la prima forma di disamore al corpo, perché lo bistratta, lo tormenta, lo logora. Questo imprigionamento del pensare, della co-scienza dentro alle strutture del cervello doveva avvenire, altrimenti non potremmo fare l’esperienza della libertà. La libertà non è mai data, è sempre un liberare. Soltanto nella misura in cui io libero e poi libero sempre di nuovo frammenti di pensiero, fenomeni di coscien-za dalle strutture del cervello, io faccio l’esperienza della libertà.

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Qual è la condizione più importante per poter liberare sempre di più il pensare dal cervello? Che sia prigioniero! Se non fosse prigio-niero non avrei nulla da fare. Quindi l’imprigionamento è una neces-sità evolutiva. Invece lo sprigionare il pensare dal cervello sempre di più non è una necessità evolutiva, è lasciato alla libertà. Se tu spri-gioni sempre di più, se liberi sempre di più il tuo pensare dalle strut-ture del cervello, fai sempre di più l’esperienza della libertà. Non sarà il biologico a pensare, sarà l’Io a pensare e penso quello che voglio Io e faccio in modo che i miei pensieri siano sempre più belli, più vasti, più profondi.

La caduta del pensare è che pensiamo troppo con il corpo, e lo logoriamo, lo tartassiamo. La caduta del volere è che vogliamo trop-po poco col corpo questa polarità bellissima. In che modo il pensare è dipendente dal corpo? Quando è automatico, e l’automatismo del pensare è che la percezione automaticamente non crea pensieri, ma crea rappresentazioni automatiche. Automaticamente, dovuto ai meccanismi di natura del corpo, in base a una percezione, sorgono rappresentazioni automatiche, che sono soltanto immagini morte. Per esempio tutta la scienza naturale degli ultimi secoli capisce, in-daga, sviscera soltanto ciò che è morto, il minerale; della pianta non capisce nulla, perché per capire la pianta bisognerebbe entrare nei misteri dell’eterico, del vitale che è già sovrasensibile.

Se tutto ciò che avviene nella coscienza è così automatico, in base alla percezione sorgono rappresentazioni già fatte, automatiche ecc., allora, come mi può riscaldare, come mi può entusiasmare questa farragine che c’è nella coscienza? Non mi dice nulla, quindi nella volontà non c’è la forza necessaria; le forze di volontà non ce la fanno, perché le forze di volontà sono nell’animo. La volontà diventa un fat-tore corporeo, diventa un fenomeno fisiologico soltanto nella misura in cui la volontà è forte abbastanza da afferrare braccia e gambe e far muovere il corpo. Quindi la caduta della volontà è che la volontà è diventata sempre più debole e resta fuori dal corpo. E una volontà così esangue, così debole, che non è capace di afferrare i muscoli del corpo sono i pii desideri, sono le piastrelle dell’inferno… i vorrei vor-

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rei vorrei, ma non ce la faccio, sono stanco. La maggior parte degli esseri umani, quando si tratta di volere “vorrei vorrei vorrei” restano immobili. Stiamo parlando dei misteri del corpo, dell’interazione tra l’anima, lo spirito e il corpo, a livelli di centralità. Così come il pen-sare è diventato troppo dipendente dal corpo, prigioniero del corpo usa e consuma eccessivamente il corpo, così vogliamo troppo poco, il volere è debole, sono volizioni all’acqua di rosa, che non sono intrise di forza tale da afferrare i muscoli. Quindi il pensare è piombato trop-po dentro al corpo e il volere si è tirato troppo fuori dal corpo.

L’elemento ritmico dell’equilibrazione, il cuore, lo lascio alla vo-stra riflessione.

Tutte le malattie del sistema neurosensoriale dipendono dal fatto che noi tartassiamo troppo il corpo. Diremo poi in che modo i pro-cessi di pensiero si affrancano sempre di più dal corpo.

Ora, lasciamo stare tutte le malattie del sistema coronarico e prendiamo quelle del sistema metabolico, della metà inferiore dell’or-ganismo. Esse provengono dal fatto che la volontà è troppo debole. Che cosa è il fenomeno di una persona che diventa troppo grassa? La materia si espande quando la volontà non entra dentro per consumar-la. L’obesità, in ultima origine, ha come causa prima una volontà debole. La medicina tradizionale normalmente martella il corpo, co-me se il corpo fosse la causa della malattia; il corpo non è mai la causa delle malattie, il corpo è il recipiente delle malattie: si eviden-ziano nel corpo, ma l’origine è sempre nell’anima o nello spirito. Un corpo che dorme non è malato, non può ammalarsi. È quando ci en-tra dentro la coscienza, cioè l’anima e lo spirito, il corpo astrale e l’Io, che può ammalarsi. La coscienza interagisce con il corpo, con lo strumento e, se lo bistratta, saltano fuori le malattie. L’obesità è un fenomeno, in ultima origine, di una volontà che essendo debole non ha la forza di entrare dentro i muscoli, perché una volontà che muove il muscolo consuma e proibisce il formarsi del grasso. Naturalmente questa non è la soluzione del problema, è un avvio.

Le scienze naturali, la medicina hanno visto solo il corpo; la teo-logia e la filosofia hanno visto soltanto l’anima e lo spirito e la scien-

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za dello spirito è la prima che ci dice come i due mondi interagiscono fra di loro. Cosa m’importa delle teorie della scienza e della religione se non vedo come interagisco con questo strumento corporeo. La maggior parte delle persone vivono soltanto il corpo; la medicina è un enorme sapere sul corpo, e l’anima, lo spirito? …nulla. Ma i pen-sieri non sono un fenomeno? «No, i pensieri vengono prodotti dal cervello, così come la bile è secreta dal fegato. I pensieri sono una secrezione del cervello». Per la maggior parte della gente è così e nei loro pensieri non c’è altro che quello che produce il cervello. Se cre-do che i miei pensieri sono quasi del tutto una secrezione del cervel-lo, che il cervello è più determinante che non l’Io, questa è la malat-tia, questo mi rovina il corpo, perché tartasso il corpo in modo tale, lo costringo a fare lui automaticamente, senza un minimo di libertà, tutto il processo di coscienza.

Che cosa aiuterà l’umanità a capire che questo lasciare fare tutto al cervello non può creare beatitudine, non può creare realizzazione dell’umano? La neurofisiologia vuole dimostrare che un attimo pri-ma del pensiero è successo qualcosa nel cervello; se le cose stanno così, dove vivo la mia libertà? Soggiaccio a meccanismi ineluttabili di necessità di natura. Se voi foste il grande capo, che il Vangelo di Giovanni chiama Logos, come aiutereste l’umanità a capire che vuo-le uscire da questa prigionia del cervello? Mandandole una malattia dopo l’altra, finché, speriamo, si svegli. Se la fisiologia non mi evi-denzia che questo modo di interagire con il cervello non è umano, è disumano, se non me lo evidenzia con una malattia dopo l’altra, allo-ra si continua così, è più comodo. La malattia è l’aiuto dell’evoluzio-ne per capire che se tu lasci il tuo pensiero troppo prigioniero del cervello, fai ammalare il tuo corpo in continuazione, e questo non lo vuoi, nessuno vuole essere ammalato. La malattia è in fondo una misura pedagogica per aiutarci a svegliarci. Finora si è dormito, per-ciò l’evoluzione è così lunga, perché gli esseri umani impiegano un sacco di tempo a capire.

Come si fa a liberare il pensare sempre di più dal cervello? Sem-plicissimo, ma va esercitato ogni giorno. Cerca di mettere sempre più

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volontà nel tuo pensare. Se metti sempre più volontà nel tuo pensare, sarai sempre più tu attivo, determinante in ciò che avviene nel tuo pensare. Due parole indicano questa possibilità di non restare del tut-to passivo nel processo del pensare; le percezioni evocano automati-camente rappresentazioni e, in base alle rappresentazioni, automati-camente comportamenti e io non ci sono da nessuna parte. Due parole: l’attenzione e la concentrazione. Attenzione significa comin-cio a metterci un pochino più della mia volontà nel processo di pen-siero. Fare attenzione a qualcosa, essere attenti ha a che fare con la volontà? Eccome! Io posso essere attento soltanto se attivo minima-mente la mia volontà. Il corpo non mi rende attento, soltanto io posso rendermi attento e divento attivo nel pensare. Cosa significa concen-trazione? I miei pensieri vanno in tutte le direzioni, mi scappano. All’inizio noi poverelli, in fase di caduta, riusciamo a mantenere la concentrazione per un massimo di uno-due minuti. Se i pensieri van-no in tutte le direzioni, le forze di volontà dentro il pensare vengono distratte in mille direzioni. La distrazione è un uccidere le forze di volontà, i pensieri; invece di concentrarli in una cosa, vanno in mille direzioni. Concentrazione significa: adesso per un minuto penso a questa cosa, un oggetto insignificante, e per un minuto tutti i pensie-ri che penso devono avere a che fare con questa cosa…. Dopo pochi secondi il pensiero va via, non importa, torna indietro a pensare quel-lo che ti eri riproposto. Con la concentrazione, si immette sempre più volontà nel pensare. E chi mette sempre più volontà nel pensare? Io, in quanto spirito! Comincio a fare l’esperienza di essere uno spirito volente, libero. Il cervello non mi dà la possibilità di concentrarmi; io decido e faccio l’esperienza di essere un io che vuole qualcosa e lo realizza. Vi ricorderete l’esempio classico della concentrazione. C’è un missionario in America latina che aveva un servitore che si era talmente innamorato del cavallo, che lo aveva chiesto in regalo. Il missionario gli dice che glielo darà se sarà capace di dire un padre nostro senza distrazione. Il servitore si concentra, inizia a recitare, ma si ferma per domandare se potrà avere anche la sella. Il pensiero si era subito distratto.

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La scienza dello spirito è la gioia di afferrare un pensiero pieno di disamore che bistratta il corpo, perché si attende tutto dal corpo, e liberare sempre di più questo pensiero, immettendoci forze di volon-tà che vengono dal mio spirito, dal mio Io, forze di amore che vengo-no da me. Tartassando un po’ meno il sistema neurosensoriale, mi risparmio un sacco di malattie. L’origine più profonda del cancro è l’eccessivo tartassamento del corpo da parte della coscienza, tanto è vero che molte persone non vogliono neppure addormentarsi; l’in-sonnia è una goduria del corpo tale che non lo voglio mai lasciare. Però godere il corpo significa tartassarlo, bistrattarlo; il corpo va amato, non goduto. Infinitamente meglio godere i pensieri, i senti-menti, anziché una buona mangiata!

Il pensare «pensa» troppo con il corpo e il volere troppo poco con il corpo. Steiner in molte conferenze descrive questi due processi polari, di una volontà che è diventata esangue, fuori dal sangue, che non ha la forza di entrare nei processi del sangue, che sono alla base del metabolico. Il metabolico nel sistema neurosensoriale deve rece-dere. Il corpo mi dà un pensare morto, automatico, ripetitivo. Come faccio a fare l’esperienza di un pensare che diventa sempre più vi-vente, vivace, fantasioso, artistico? Il corrispondente fisiologico de-ve consistere nel fatto che, nella misura in cui il mio pensare diventa vivente e io sono attivo dentro il mio pensare, devo fisiologicamente fare l’esperienza del vitale che viene respinto, viene mortificato, vie-ne portato a morte. Lungo il nervo, il vitale, l’eterico è a un punto quasi morto; nell’organo di senso ancora più morto. Il risvolto fisio-logico di un pensare che diventa sempre più vivente è che afferma la sua vita respingendo la vita organica. In fondo un altro aspetto dell’o-rigine delle malattie neurosensoriali è che il vitale negli organi di senso, nei nervi, non viene portato a sufficienza a un punto quasi morto, c’è troppa vita. Abbiamo detto che la differenza fondamenta-le tra l’occhio di un animale, ad esempio il toro, e l’occhio umano è che nell’occhio dell’animale il vitale è molto più forte che non nell’uo-mo. Nell’uomo, essendo più morto, la coscienza ha la possibilità di esprimersi di più. La salute di tutto il sistema neurosensoriale sta nel

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respingere sempre di nuovo questa tendenza a vitalizzarsi; il compito di vitalizzarsi deve averlo la parte inferiore; invece nella parte supe-riore, nei nervi e nei sensi, la vita va mortificata, perché non voglia-mo concedere a loro di esprimere la propria vita automatica, corpo-rea e vogliamo vivere noi dentro al pensare.

Ci sono due fenomeni primordiali della libertà. Si diventa liberi nel pensare, affrancando il pensare dai meccanismi del corpo, del si-stema neurosensoriale. La volontà non è libera quando è impotente. La prigionia dei pensieri nel cervello è il primo aspetto della non li-bertà. La volontà è impotente, è inerme nei confronti dei muscoli e se sono inerme sono non libero. Libero significa: ho la capacità di affer-rare il corpo e di fare con il corpo ciò che liberamente voglio fare. Una persona che non può fare, non può agire in base a quello che vorrebbe, non è libera; il secondo lato della libertà è di poter realizza-re, di poter eseguire, tradurre in azione ciò che voglio; l’impotenza della volontà è l’altro aspetto fisiologico della non libertà. Se io vorrei vorrei vorrei senza però realizzare nulla, non sono libero. Essere libe-ri significa muoversi, agire secondo i propri intenti, secondo la pro-pria volontà. Allora la volontà deve proprio come una spada entrare nel corpo. Steiner dice: la scienza naturale vorrebbe propinarci l’idea che l’origine del lavoro sono i muscoli, dice che ci sono sensi sensori e sensi motori. I nervi sensori servono per fare entrare il mondo ester-no dentro di noi e i nervi motori, per fare muovere il corpo.

Fisiologicamente non si trova nessuna differenza tra i nervi sen-sori (che servono per la percezione) e i nervi motori, che sono fisio-logicamente uguali. Manca il concetto dello spirito, lo spirito volen-te, lo spirito che pensa, lo spirito che ama ciò che pensa, lo spirito che vuole realizzare ciò che ama e ciò che pensa ed è lo spirito che si immette nel corpo, è direttamente lo spirito che muove le gambe; se lo spirito non si muove, le gambe non si muovono. Se le gambe si muovono automaticamente, per routine, è perché lo spirito è fatto di routine. L’origine di ogni movimento del corpo è direttamente lo spi-rito. La scienza materialistica ignora lo spirito, ma lo spirito è una realtà, è la forma suprema di realtà.

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Di cosa è fatto lo spirito? Non parliamo dello Spirito che ha crea-to il mondo, parliamo del nostro Spirito: lo Spirito è all’origine la creazione del pensare, lo spirito crea pensieri, lo spirito pensa e pen-sando crea. Lo spirito pensante è causa prima, tutto il resto è una causa seconda; tutto ciò che non è pensiero deve avere una causa; lo spirito che pensa è causa a sé stesso. Per risolvere le malattie, la cau-sa ultima è che vogliamo riconquistarci il principio di spirito creato-re, che siamo tutti noi. Perché se non abbiamo il concetto di ciò che noi siamo, siamo morti nel pensare, perché lasciamo fare tutto al cervello e morti nel volere perché il corpo diventa sempre più fiacco, siamo cadaveri ambulanti. Un cadavere ambulante è un fenomeno contro natura, se sei ambulante devi essere uno spirito.

Duemila anni fa c’è stata la fenomenologia del Logos. Il Vangelo di Giovanni dice che la prima causa di tutto è il Logos, «All’inizio c’era il Logos». Il Logos è il più grande, il più artistico, il più creativo pensatore che ci sia mai stato. Ci sono due interventi terapeutici fon-damentali nel Vangelo di Giovanni: il paralitico e il cieco nato. Nel paralitico c’è tutta la fenomenologia degli organi vitali, degli arti, del-la volontà; il paralitico è paralizzato nel volere, è una volontà che non riesce a esprimersi; l’intervento sul paralitico è lo sprigionare tutte le forze di volontà. Steiner sottolinea l’importanza del Vangelo di Gio-vanni e l’importanza di analizzarlo parola per parola. Il paralitico è lì per buttarsi nell’acqua, nel vitale. Siccome è paralizzato, quando l’Angelo – che è un’immagine dell’Io superiore – agita l’acqua e la rende guaritrice, lui non riesce mai a tuffarsi: un altro infermo lo precede e guarisce rafforzando la sua volontà. Il paralitico si rivolge allora al Cristo. Egli si trova a una svolta importante della vita, a 38 anni, il secondo nodo lunare nella vita dell’uomo…

Nel caso del cieco nato è il pensiero che diventa libero.Mi attendo dal Logos che lui mi dia la possibilità di rendere sempre

più libero il mio pensare. Il Logos è quello che ha pensato i pensieri più belli, tutto il mondo sono i suoi pensieri. In che modo rende i suoi pensieri oggetto di cammini di libertà? Rendendo i suoi pensieri per-cezioni! Il Vangelo dice: il Logos si è fatto carne; tutti i suoi pensieri

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sono diventati percezioni. È inutile continuare a guardare, il senso del-la percezione è di provocarmi a diventare attivo, a creare il concetto, a pensare. La percezione è una provocazione all’esercizio libero, sempre più volitivo, sempre più fantasioso del pensare. Allora il Logos mostra il suo operare aprendo gli occhi: guarda! Vedi il mondo! La percezione ti fa venire voglia di pensare, e apre gli occhi al cieco nato. Vivere nel mezzo dell’evoluzione significa nascere ciechi nei confronti dello spi-rito; il materialismo è cecità endemica, innata nei confronti dello spi-rito. Qual è il senso di questa cecità? Di cominciare a vedere. E il Lo-gos apre gli occhi. Il testo dice: non è mai successo da che mondo è mondo che qualcuno abbia concesso, abbia dato la facoltà di percezio-ne sensoria a uno che è nato cieco. E siccome noi siamo tutti quanti nati ciechi, il Logos è il solo capace di fare della percezione dentro all’uomo una provocazione a diventare attivi nel pensare.

La filosofia della libertà inverte questi due. Il paralitico, i misteri della volontà; il cieco nato, i misteri del pensare. Il Logos opera sul-la volontà, libera gli elementi della volontà e poi rende l’uomo capace di percezione. Nella filosofia della libertà vengono invertiti, perché nella prima parte è il libero pensare in base alla percezione, il libero pensare che diventa sempre più creatore, sempre più artistico, sem-pre più volitivo, sempre più amante, sempre più entusiasmante. La seconda parte della libertà è la volontà, la realtà della libertà, nella seconda parte della filosofia della libertà sono i misteri della volon-tà, che diventa sempre più forte, sempre più fantasiosa, la fantasia dell’amore. Quali sono gli indebolimenti fatali della libertà? Che co-sa rende la volontà fiacca? I due infiaccamenti fondamentali della volontà sono: la natura, il corporeo, fatto di meccanismi, e il dovere, perché, se io devo fare qualcosa per dovere, mi passa la voglia. Chi sancisce cosa io devo fare? Il dovere non esiste, ogni tipo di dovere è esercizio di potere che fiacca la volontà; la volontà è forte soltanto quando amo qualcosa e la voglio. Questo volere è un volere sincero, solo se è sempre più individualizzato: ciò che vuoi tu!

Il cieco nato viene mandato alla piscina, la missione presuppone che l’uomo percepisca la sua situazione karmica e diventi veggente

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nella misura in cui interpreta il suo karma come una missione, come una provocazione a comportarsi. E la domanda della volontà forte è: cosa voglio io in questo momento? E ciò che mi calza, ciò che mi corrisponde, in quanto il meglio di me in questo momento esprime, e se è il meglio di me sarà anche il meglio per il mio organismo, che è l’umanità, ciò che è il meglio per me in questo momento lo posso cogliere soltanto con le forze della fantasia dell’amore: io voglio questo, faccio questo in questo momento. Il bene non può mai esse-re lo stesso per due persone; il bene morale per un individuo in questo momento è di sicuro male per un altro. Il dovere è il tentativo di generalizzare il bene, e generalizzando il bene uccidiamo la sin-golarità dell’individuo e uccidere l’individuo è il sommo dell’immo-ralismo, è il male morale in assoluto, cancellare l’individuo nella sua fantasia morale. Le sorti del volere nell’umanità consistono nell’individualizzare sempre di più il dovere, vincere i meccanismi fiaccanti, indebolenti di natura, gli istinti. L’istinto è un meccani-smo di natura in campo di volontà. Se agisco per istinto la mia vo-lontà non c’è, è fiacchissima. L’automatismo di natura nell’agire infiacchisce la volontà; il secondo è il soggiogamento alla norma morale che vorrebbe dirmi ciò che io debbo fare. E io devo trovare la forza di dire: non esiste che io debba fare ciò che la norma mi dice, esiste soltanto ciò che la fantasia morale del mio spirito vuole fare; soltanto quello è moralmente buono. Il dovere è sempre moral-mente cattivo e uccide ciò che è individuale, addirittura non lo co-nosce neanche.

Le sfide evolutive davanti a noi sono grandi.Il pensare, il polo neurosensoriale, diventa libero nel momento in

cui ci metto dentro la volontà. La volontà diventa libera, nella misura in cui ci metto dentro la luce del pensare. L’istinto è cieco, gli manca la luce del pensare. Il dovere è micidiale, gli manca la luce del pen-sare, perché se io devo agire per dovere, agisco secondo pensieri al-trui. Nel momento in cui, di fronte alla domanda «Cosa faccio?», accendo la volontà, la illumino con il pensiero, con intuizioni della fantasia, allora capisco sempre meglio chi io sono nell’umanità, ca-

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pisco quali sono i miei talenti e agisco a ragion veduta: la volontà diventa illuminata. Quando ciò che voglio lo capisco bene, quando lo penso come qualcosa di bello, allora lo voglio fortemente. Fisiologi-camente, nella misura in cui la volontà si illumina delle forze del pensiero, ci risparmiamo un sacco di malattie del sistema metaboli-co; nella misura in cui il pensiero si intride di forze di volontà ci ri-sparmiamo un sacco di malattie del sistema neurosensoriale, altri-menti il sistema neurosensoriale lo tartassiamo troppo e il sistema metabolico lo tocchiamo troppo poco, restiamo fuori e continua ad aumentare perché non viene consumato, la volontà deve consumare il corpo, per questo deve mangiare e dormire per ricostituirlo.

Dibattito

D: Gli spiriti illuminati, chiamiamoli iniziati, arrivano a non incar-narsi più? Dove sono finiti gli illuminati, ora che ce ne sarebbe tanto bisogno?

R: La domanda si riferisce a figure di spicco nell’umanità, grandi menti. L’evoluzione si divide in due parti. Nella prima metà l’uomo è ancora bambino nella sua coscienza; quindi la prima metà ha una con-duzione dal di fuori. Quindi le grandi menti, i grandi guru sono coloro che conducono gli esseri umani dal di fuori. La conduzione dal di fuo-ri è logica, ha un senso per l’uomo, soltanto se prima o poi – e più presto è meglio è –sparisce per fare il posto alla conduzione dal di dentro. Il senso di ogni pedagogia è che se il maestro fa le cose come si deve, rende il suo discepolo sempre più autonomo e poi deve sparire. Una madre che è necessaria in eterno per il figlio, è una catastrofe in eterno. Avete capito che mi riferivo anche alla chiesa cattolica, che vuole esse-re in eterno la mamma. La legge evolutiva di ogni mamma è che, se non muore prima, dopo essere stata mamma diventa nonna.

Il Logos è l’esempio archetipico, il fenomeno archetipico della conduzione da fuori che sparisce. E dice, cito il Vangelo di Giovan-ni: «È importante che io vada, è necessario che io sparisca, altrimen-

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ti lo Spirito santo non può venire». Lo Spirito santo è il Logos inte-riorizzato, individualizzato; e il Logos fuori si allontana.

Da un secolo a questa parte, c’è un grosso fraintendimento nei confronti dell’antroposofia, molti hanno inteso Rudolf Steiner come un maestro; il tempo dei maestri è finito! Il testo fondamentale dell’antroposofia è La filosofia della libertà, che dice che la scienza dello spirito per te vale soltanto nella misura in cui tu ci metti i tuoi pensieri. Il Cristo ha segnato il passaggio tra uno che c’è ancora e poi è sparito, Steiner non si è neanche presentato; il senso delle sue con-ferenze è che c’è soltanto ciò che tu senti e capisci delle conferenze, il fissarsi sulla persona di Rudolf Steiner è anti-antroposofico, avremmo di nuovo l’autorità. L’essenza della scienza dello spirito sono potenzialmente i contenuti di verità, però, per ogni individuo questi contenuti di verità sono potenzialmente contenuti di verità per me, diventa per me un pensare vivente nella misura in cui io, leggen-do la filosofia della libertà, faccio cammini di pensiero. Quindi l’es-senza dell’antroposofia è far sparire Rudolf Steiner e metterci il tuo pensiero. Steiner dice: in queste pagine per te c’è soltanto quello che tu macini con il tuo pensare, il resto non ti riguarda. Rudolf Steiner aveva il compito di buttare lì questi pensieri, come elementi da ma-cinare; cento anni dopo il nostro compito è ancora più difficile per-ché le cose vanno espresse in modo che nessuno sia indotto a “crede-re”, o lo capisci e allora è cosa tua, oppure per te non c’è. L’importante è esprimere, presentare le cose in modo tale che siano, per natura, non «credibili», devono essere pensabili e, se sono pensa-bili, le possono pensare tutti. Oggi esprimere le cose in modo tale che non ci sia più nulla da credere, non è facile; deve saltare fuori il processo di pensiero.

Il bello della scienza dello spirito è che passiamo dal padre, che è la natura, al figlio, che è la facoltà del pensiero, pura grazia, puro amore. L’uomo non si rende capace da sé di pensare, la facoltà del pensare ci viene data per grazia. E lo Spirito santo è l’attualizzazione della facoltà del pensare, e questa è pura libertà, è lasciata a ognuno. La facoltà del pensare l’abbiamo tutti, l’elemento di uguaglianza del-

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la natura umana, della dignità umana è che siamo tutti dotati in as-soluto di facoltà, di capacità di pensare. Ma il modo di attualizzare questa facoltà è lasciato alla creatività di ognuno. Tutte le conferenze di Steiner sono pensieri potenziali da parte mia, si appellano alla mia facoltà di pensiero, ma se io non la attivo e comincio a credere a quello che dice Steiner, snaturo il fenomeno. È tragico perché il cre-dere ce l’abbiamo già da millenni, e allora resto nella chiesa cattolica se mi va di credere. Perché la scienza dello spirito è fatta per persone che godono il pensare molto di più del credere; il credere è un sonni-fero del pensare; credo ciò che non so pensare, se invece lo so pensa-re, se lo sviscero sempre meglio, è molto meglio che credere. Crede-re va bene per il bambino, per l’uomo moderno è un capitolare del pensiero. Più diventiamo adulti nella coscienza, nel pensare e più il credere, che era bello nella fase infantile, diventa anacronistico. Cre-dere è meglio per i bambini, pensare è meglio per gli adulti.

D: Qual è la spiegazione delle malattie dei bimbi piccoli?R: Il concetto di malattia è che c’è una conduzione. Noi stiamo

cercando di portare, con il pensare, a conoscenza tutto il pensabile. Ma tutto il pensabile è all’infinito. Ciò che noi non abbiamo ancora nella nostra coscienza è il cosiddetto Io superiore, lo spirito dell’uo-mo. Ce lo dice anche la psicologia che c’è un elemento di sovra-co-scienza, non tutto ci è cosciente di ciò che fa parte di noi. Prendiamo un bambino che ha un anno e si ammala; il suo spirito prima di nasce-re ha deciso: quando io avrò un anno voglio prendermi questa malat-tia: il karma è una conduzione, siamo in cammino. Il pensare signifi-ca anche portare a coscienza sempre di più i misteri del karma. La scienza dello spirito ce lo fa capire sempre di più. Il karma dice: guar-da che c’è una conduzione, una regia della tua vita, la tua biografia, dove ancora prima di nascere il tuo spirito, insieme con le gerarchie superiori, ha deciso quali eventi fondamentali, anche quali malattie sono necessarie per la sua crescita. Il problema è: l’origine prima di una malattia, di ogni cosa, è lo spirito che pensa e vuole. Quindi all’o-rigine di una malattia ci deve essere uno spirito che l’ha pensata e l’ha voluta. Se è una malattia mia, è il mio spirito che la deve avere pensa-

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ta e voluta, perché se non c’è uno spirito che pensa e vuole questa malattia, la malattia non ci può essere. L’origine di ogni cosa è lo spirito individuale, il mio Io, che ancora prima di nascere decide che per acquisire determinate forze di cui avrà bisogno in età più matura si sceglie una malattia nell’infanzia. Lo Spirito pensa, pianifica, vuo-le e agisce. L’altro modo per giustificare la malattia è il caso. La scienza naturale dice che se ti sei preso una malattia è un caso. E il caso è il maggior buco del pensare umano, il caso significa non sape-re qual è la causa. Di tutto ciò che avviene, la causa è sempre uno spirito; avviene soltanto ciò che tutti gli spiriti creatori che ci sono pensano, vogliono e compiono. Una cosa non può avvenire senza uno spirito che la pensa creandola e la realizza dentro al corpo.

Cos’è un’automobile, all’origine? Una struttura di pensiero com-plessa.

Cos’è una malattia, all’origine? Una struttura di pensiero, se nes-suno l’ha mai pensata, non c’è.

Può un musicista comporre una melodia mentre dorme? Forse nel sogno, ma il sogno è al limite tra sonno e veglia, sorge soltanto nel momento in cui ci si addormenta o ci si risveglia. Quando si dorme, il sogno non c’è. La scienza dello spirito lo spiega in un modo molto più complesso: il sogno sorge quando il corpo astrale interagisce con il corpo eterico, ma non ancora con il corpo fisico. Quando entra anche nel corpo fisico, sorge la percezione sensoria e i sogni spariscono.

Quindi una melodia è un processo di pensiero all’origine. L’origi-ne di ogni cosa è il pensiero che la crea, lo Spirito che crea.

D: Io con la mia malattia, con la mia cecità progressiva, affronto la vita continuamente e la scopro continuamente. Però, guarda tu cosa mi capita adesso: un figlio mio, il più grande, ha un angioma cerebrale e l’hanno dovuto operare d’urgenza. Per me è stata una sofferenza così grande, che io vorrei fare una domanda relativamen-te a questo. Questa mia grande sofferenza, che non riesco profonda-mente ad affrontare, fa parte del mio karma?

R: Il karma ha senso solo se diventa un frammento di liberazione. Nella misura in cui il karma diventa una provocazione alla libertà ha

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tutto il suo senso. Se avessi il tempo, direi tante cose, ma siamo in chiusura e le ripeto parole che mia mamma disse quando avrò avuto 10 anni e che non ho mai dimenticato: una persona vale tanto quanto ha sofferto.

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A proposito di Pietro Archiati

Pietro Archiati è nato nel 1944 a Ca-priano del Colle (Brescia). Ha studia-to teologia e filosofia alla Gregoriana di Roma e più tardi all’Università sta-tale di Monaco di Baviera. È stato insegnante nel Laos durante gli anni più duri della guerra del Vietnam (1968-70).

Dal 1974 al 1976 ha vissuto a New York nell’ambito dell’ordine missionario nel quale era entrato all’età di dieci anni.

Nel 1977, durante un periodo di eremitaggio sul lago di Como, ha scoperto gli scritti di Rudolf Steiner la cui scienza dello spirito – destinata a diventare la grande passione della sua vita – indaga non solo il mondo sensibile ma anche quello invisibile, e permette così sia alla scienza sia alla religione di fare un bel passo in avanti.

Dal 1981 al 1985 ha insegnato in un seminario in Sudafri-ca durante gli ultimi anni della segregazione razziale.

Dal 1987 vive in Germania come libero professionista, in-dipendente da qualsiasi tipo di istituzione, e tiene conferenze, seminari e convegni in vari Paesi. I suoi libri sono dedicati allo spirito libero di ogni essere umano, alle sue inesauribili risorse intellettive e morali.

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www.liberaconoscenza.it Pietro Archiati

CHE COSA MI RENDE SANO? CHE COSA MI FA AMMALARE?

Prima conferenza: Sintomi quotidiani di salute e malattia nel corpo, nell’anima e nello spirito

Seconda conferenza: Come l’anima e lo spirito incidono sulla salute del corpo

Terza conferenza: Come i rapporti personali ci rendono sani o malati nel corpo

Quarta conferenza: Come il lavoro e qualsiasi attività sono causa di salute e malattia

Quinta conferenza: Come la crescita interiore crea in noi il massimo di salute corporea

Le cause profonde della salute e di ogni malattia