Che cosa aggiunge la tavola ai legami familiari · dura nel tempo. Nel cibo, dunque, la...

60
Che cosa aggiunge la tavola ai legami familiari PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI Anno Pastorale 2014-2015

Transcript of Che cosa aggiunge la tavola ai legami familiari · dura nel tempo. Nel cibo, dunque, la...

Che cosa aggiunge la tavola

ai legami familiari

PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA OPERA DON GUANELLA – BARI

Anno Pastorale 2014-2015

La casa non è più, oggi, il luogo

dell’unità, ma della frantumazione; è

diventata una stazione di

smistamento più che l’antico

focolare. Gran parte dei pasti continua,

però, a essere consumata in casa.

Mangiare a casa non comporta sempre che tutti i componenti della famiglia si trovino insieme allo

stesso orario. Sono numerosi i fattori che contrastano la contemporaneità dei pasti.

II pasto è quindi meno comunitario. Sembrano molto allentate le regole che impongono una certa stabilità degli orari, all’interno della famiglia.

Il valore simbolico del cibo preparato, condiviso e consumato in famiglia non risulta immediatamente chiaro nelle risposte raccolte da un questionario che è stato fatto su un

campione di 100 famiglie.

«Si mangia per recuperare energia e vitalità», così pensa la maggioranza degli interrogati, avvalorando il significato funzionale del cibo (molto d’accordo i1 62.7%). Numerosi altri concordano sulla gradevolezza del cibo, sano piacere della vita (molto o abbastanza d’accordo, rispettivamente il 40.7% e il 29.3%).

I consensi diminuiscono quando si parla del cibo alludendo a significati che vanno oltre il riferimento biologico e individualistico.

Che si possa fare della cucina un’opera d’arte vede molto d’accordo il 37.9%; che la scelta del cibo e il modo in cui è preparato e consumato, abbiano a che fare con i tratti più personali di chi ne fa uso, vede molto d’accordo il 28.2% del campione ma del tutto contrario il 35.2%. Non sembra invece entrare nella considerazione della maggioranza degli adolescenti del campione la possibilità di vedere nel cibo qualcosa della «gioia, dei sogni, delle aspirazioni di chi lo ha preparato» (per nulla d’accordo 32%, poco d’accordo 29.2%).

Nella pratica delle

famiglie rimangono però tracce evidenti dei significati

più culturali e spirituali del cibo.

Il rapporto con il cibo, dono della terra, svela il proprio modo di stare al mondo, di rapportarsi con la natura e con chi la abita. La tavola può essere, così,

considerata una rappresentazione del modo specifico che la famiglia ha di intendere gli altri e il mondo.

È possibile, ricostruire una storia familiare dal

cibo: i piatti che si tramandano, i

significati di certi cibi che si conservano nei

passaggi generazionali, la

predilezione per certi gusti che si trasmette, raccontano l’originalità di una vicenda umana intergenerazionale.

Ogni persona della famiglia, insieme allo scambio del cibo,

riceve il dono di un legame che dura nel tempo. Nel cibo, dunque,

la materialità può arricchirsi di senso e diventare simbolo:

Ogni famiglia potrebbe, così, disegnare il proprio genogramma a tavola: uno specchio in cui si riflette

una storia di affetti e di relazioni, dove il cibo è l’intermediario dell’identità familiare e delle radici di

un popolo.

Condizione essenziale per la piena efficacia

delle ritualità è la partecipazione. I riti rendono tutti, in qualche modo,

attivi.

Oltre alla cucina vera e propria, la consumazione dei pasti richiede numerosi altri servizi come preparare o spreparare la tavola, lavare i piatti o approntare la

lavastoviglie, riassettare la cucina, spazzare i pavimenti, controllare i prodotti della dispensa.

In tutti questi servizi solo il primo è svolto per lo più dai figli, ma appena nel 10.4% dei casi. In tutti

i servizi, è vero, i figli collaborano ma mai con percentuali rilevanti, eccetto che per preparare o spreparare la tavola (42.4%: 33.6% maschi, 50.5%

femmine). Per le altre mansioni solo un quinto circa del campione dice di essere abituato a dare

una mano. Il lavoro per il cibo è per lo più associato al contributo essenziale della mamma, la quale, secondo la maggioranza delle risposte, ha

in mano tutta la programmazione della casa (45.7%). Sono pochi i figli che aiutano facendosi carico della casa: il 13.7% (9.0% maschi e 18.2%

femmine).

Nonostante la loro scarsa partecipazione domestica, però, i figli in casa sono sempre più precocemente ritenuti idonei alle scelte autonome nei consumi.

Sono loro a scegliere il tipo di cibo da cucinare come il capo da

indossare, il programma

televisivo come il sito internet da visitare. I figli sono anche consiglieri, ascoltati ed

esperti, degli acquisti familiari.

I figli adolescenti sanno di poter ottenere senza troppi conflitti forme d’indipendenza sempre più

estese e precoci, ma imparano poco a essere autonomi, a saper provvedere a se stessi, in base

alle proprie capacità.

Capita loro, è vero, di prepararsi autonomamente un pasto, frequentemente (38.8%) o almeno qualche volta (45.3%), ma si tratta per lo più solo di riscaldare il cibo già cucinato dai genitori (dalla mamma) nel 52.1% dei casi. È probabile che quindi ci si

riferisca al pranzo consumato quando i genitori sono al lavoro e lasciano nel

frigorifero il cibo già pronto. In queste risposte inoltre non ci sono differenze

significative tra ragazze e ragazzi.

Mangiare è un comportamento strumentale, ma

«mangiare bene», gustare il cibo, fare una «cenetta», sono

comportamenti emozionali. Le ritualità

della tavola stabiliscono una chiara differenza tra l’utile e il

piacevole.

Il cibo in famiglia si rivela un’inesauribile sorgente di significati e di esperienze, così che la vita della

famiglia si rispecchia spontaneamente nella pratica dei pasti quotidiani.

La consapevolezza del cibo, come intermediario

dell’affetto e del dono reciproco, è forse valutabile

qualitativamente dai significati che si è

portati ad associare immediatamente all’immagine del

«mangiare».

Un dato interessante, che emerge dall’esame delle risposte, è la

costante diversità delle sensibilità femminili e maschili a proposito

della qualità del cibo.

La percezione del legame di cibo e affetto è chiara solo per una minoranza residuale, costituita soprattutto di ragazze (4.1%; il 2.5% i maschi). Per la maggioranza delle risposte invece, «mangiare bene» significa cioè «mangiare sano» (36.2%, cioè il 31.9% dei maschi; il 40.2% delle femmine).

Le ragazze sono più sensibili alla comunione interpersonale che si crea attorno ai pasti: mangiare bene vuol dire «sentirsi in buona compagnia» (15.3%: 17.1% femmine, 13.5% maschi). I ragazzi apprezzano di più il piacere del cibo in se stesso: «gustare con piacere il cibo preparato» (per il 21.7% il 16.8% delle femmine). Se i ragazzi associano il buon pasto al «mangiare tanto e con appetito» (22.8% vs il 13.3% delle femmine), magari «diversificando i cibi» (5.4% vs il 2.4% delle femmine), per una parte di ragazze, all’opposto, mangiare bene significa nutrirsi «senza esagerare» (6% delle femmine; il 2.3% dei maschi).

La domanda di salute, di cibi sani, che sembra prioritaria, va però esaminata con attenzione.

I comportamenti a tavola non

sembrano, però, essere

pienamente coerenti con le dichiarazioni di

principio, proposte dai percorsi di

educazione alla salute, svolti in tutte le scuole.

Il tavolo del pasto familiare è,

innanzitutto, il mobile del dialogo;

per questo costituisce uno dei simboli della casa.

Condividendo il cibo, in famiglia si condivide la vita.

Attraverso il cibo, le persone in famiglia sentono di appartenere a un’unica storia,

a un corpo solo. La comunicazione tra genitori e figli, a tavola, non è sempre una

pratica riuscita, soprattutto nell’ultima fase dell’età evolutiva.

Durante i pasti chiacchiera volentieri il 56.4% del

campione. La comunicazione può essere però condizionata dalle situazioni psicologiche

individuali («dipende dall’umore o dalla stanchezza» per i125.8% delle ragazze e per

il 19% dei maschi).

Alla mensa familiare la parola ha valore nutritivo, come il cibo, perché il pasto è un tempo privilegiato d’incontro interpersonale.

La variazione dei significati del

cibo e della sua qualità alimentare

non è senza conseguenze per l’amore familiare.

Il pasto crea comunione e la

parola la esprime nella forma della conversazione.

La comunicazione familiare comporta il poter parlare di qualsiasi argomento, il sentirsi quindi legittimati a

porre all’altro ogni tipo di domanda. Al diritto del domandare, corrisponde però anche il dovere di

rispondere, in modo sincero ed esaustivo.

Chi in casa ribattesse

all’altro che lo interroga: «Questo non t’interessa», produrrebbe delusione e disappunto.

Parlare in famiglia non significa semplicemente chiacchierare volentieri, ma comporta anche la

disponibilità a «raccontare la propria giornata». Questo avviene con una certa spontaneità solo nel 64.5% dei casi. Appena qualche volta per il 25.6%

del campione e mai per il 9.9%.

La società consumista tende a impoverire e a chiudere in se stessa l’esperienza familiare. La tavola familiare oltre che conversazione è anche tempo speso per parlare delle cose da fare, per programmare le attività quotidiane o settimanali.

Tacere a tavola o limitarsi alla chiacchiera causale, sostituire la conversazione con la «parlata»

televisiva, diffonde il modello della «casa-albergo» nelle sue più disparate versioni.

Ognuno pensa ai fatti suoi, come ammette, descrivendo i compor-

tamenti quotidiani a tavola nel 13.7% del campione (16.4% maschi, 10.9% femmine). In altri casi (23.8%), pur non essendo l’incomunicabilità un

comportamento abituale, lo si sperimenta abbastanza

frequentemente (27.5% femmine, 18.3% maschi).

Nella casa-albergo mancano le

motivazione a parlarsi, a

interrogarsi, a rispondere alle interpellanze.

Contano di più le comunicazioni che

vengono da fuori: si è più espansivi al telefono che nel

faccia a faccia della tavola familiare.

Le famiglie, come emerge dai dati raccolti dall’inchiesta, non sembrano curare la

comunicazione attorno alla tavola, difendendola dalle interferenze esterne.

Appena il 10.4% spegne il televisore durante i pasti, il 48.6%, la tiene

costantemente accesa come sottofondo persistente. È pratica abbastanza abituale

che si telefoni o si ricevano telefonate quando si è a tavola. Il 31.9% delle ragazze (vs il 25.6% dei maschi) lo fa durante tutti i

pasti. Solo il 16.7%) spegne di regola il telefono quando è a tavola.

Il pasto veloce, concentrato nel minor tempo, è utilizzato per i

vantaggi organizzativi, è

apprezzato per la comodità. Si rimane

finché serve: si mangia veloce e si riparte in fretta.

Così si diffonde l’abitudine a vivere sotto lo stesso tetto, a continuare a mangiare alla stessa tavola ma

con tempi e ritmi diversi, si finisce prima o s’incomincia dopo, per i vari impegni che

s’impongono dall’esterno.

La quotidiana cura della qualità della vita

familiare trova un suo primo luogo naturale nella tavola dei pasti,

così come la rigenerazione della famiglia, in un suo

momento di crisi o in un passaggio evolutivo, può

prendere avvio da una mutata condotta

alimentare.

Le ritualità della tavola familiare, attraverso le regole e i simboli del mangiare e del bere,

considerano il cibo non come materia ma come significato.

Mentre il corpo s’alimenta, i

legami familiari si nutrono e si

rinsaldano. Solo attraverso le

ritualità, l’incontro della tavola diventa

intensa comunicazione

personale.

In questo caso il tempo scorre calmo, le persone si mettono nei panni le une delle altre e il cibo

comunica affetto. La prima regola del «mangiare bene» è sicuramente il tempo che esso richiede: chi ha fretta non può compiere un rito.

Dai dati dell’inchiesta emerge che una cena in famiglia durante la settimana dura mediamente meno di mezz’ora nel 30.3% dei casi, un tempo davvero

ridotto per raccontare la giornata: sarebbe necessario sicuramente un

maggior investimento di tempo come avviene nel 54.5% delle famiglie del

campione (dove la cena dura da mezz’ora all’ora). Nel 15.2% delle

famiglie del campione, invece, il pasto è un tempo prolungato di vita

comune.

Il poco tempo da dedicare alla casa, a causa del lavoro e dei diversi impegni scolastici o sportivi, impone di acquistare cibi già pronti per sveltire e

razionalizzare i tempi.

In questo modo, però, la riduzione della collaborazione

di chi fa gli acquisti, chi prepara, chi

collabora alla tavola

impoverisce il simbolo del

cibo.

Le ritualità svolgono il

compito fondamentale di operare una

distinzione importante

nello scorrere del tempo: la

differenziazione del feriale dal

festivo.

Il pranzo della domenica rimane ancora, nonostante la crisi evidente

del tempo festivo, una delle ritualità più diffuse e riconosciute.

La ritualità esige regole e ordine. Là dove l’educazione tradizionale era intervenuta in modo rigoroso (non sprecare il cibo, consumare tutta la portata, non

brontolare davanti al cibo preparato) è subentrata oggi una liberalizzazione pressoché totale. Un’esigenza fondamentale della ritualità della tavola consiste

nell’aspettarsi tutti prima di iniziare il pasto.

Il pasto condiviso esige poi una parola

d’invito, un gesto d’accoglienza, un

piccolo rito d’inizio, che trasformi la

materialità del cibo in un incontro di

persone. I commensali si

augurano: «Buon appetito».

Un modo rispettoso delle persone di scandire il tempo

del pasto, consiste nel controllare la spontaneità e la

voracità del mangiare,

passando alla portata successiva solo quando tutti hanno terminato

quella servita.

Neppure il tempo dell’individualismo è privo di pratiche sociali. Si riducono le

ritualità dei pasti familiari ma si sviluppano nuove socialità attorno al cibo:

cresce, per esempio, la consuetudine del «mangiare fuori».

Stare a tavola è, inoltre, l’occasione per rinsaldare i legami di parentela, di amicizia o di vicinato. Il pasto condiviso è anche il modo consueto con cui la casa si apre all’accoglienza di parenti e amici e diventa

famiglia allargata: tutte le settimane (28.1%), durante le ricorrenze (36.5%) o almeno qualche volta (28%).

Il significato del cibo, il valore attribuito alla

buona tavola, le ritualità familiari che rendono l’alimentazione del

corpo intermediario del nutrimento dall’anima, vanno interpretate sullo sfondo delle abitudini e delle scelte di vita degli

adolescenti.

Le attività preferite del tempo libero, secondo i dati dell’inchiesta, risultano il cinema e la pizzeria.

Come si vede,

mangiare e bere sono occasioni

fondamentali dello stare

insieme anche per il pubblico dei giovanissimi.

La scioltezza e l’agilità, la linea del portamento, il peso e la forma, sono

gli aspetti che gli adolescenti più

considerano circa il loro corpo. Costituiscono

anche i criteri più insistenti

dell’autovalutazione, gli argomenti di loro

innumerevoli conversazioni.

L’esercizio e il movimento tonificano il corpo, rilassano e scaricano lo stress accumulato dalla fatica e dalle pressioni quotidiane, prevengono

l’insorgenza di problemi fisici cardiocircolatori e di numerose malattie

Lo sport è importante in tutti i periodi di vita, ma risulta

esserlo ancor di più durante l’adolescenza; i ragazzi provano

molti tipi di sport, cambiano attività anche frequentemente,

sono naturalmente portati al movimento e al gioco.