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Firenze 26 settembre 2015

L’alleanza educativa tra famiglia e parrocchia

Oggi è indispensabile un’alleanza educativa tra famiglia e parrocchia. Non è una scelta fra tante,

è la scelta inderogabile da compiere e attuare con perseveranza.

1. Hai generato alla vita tuo figlio?Amalo educandolo alla libertà e alla responsabilità.Oggi è necessario per fare di un figlio una persona libera e responsabile, non solo generarlo ma anche educarlo. In una società pluralistica, le proposte di vita sono molteplici e discordanti fra di loro. Il ragazzo è chiamato continuamente a scegliere e a saper scegliere. L’educazione ha due pilastri: libertà e responsabilità, su di essi si poggiano persone libere e forti. Il rischio è qui: il ragazzo è chiamato inevitabilmente a scegliere ma cosa sceglie e in base a quali valori sceglie? Quali valori ha interiorizzato? Quale proposta di vita fa propria? Quale stile di vita inizia a vivere? Quali sono le cose più importanti per lui ? E’ indispensabile non solo mandarlo a scuola, dove riceve molte informazioni, ma educarlo ma l’educazione necessita di una meta valoriale ben precisa? Quale? Il successo nella carriera, il denaro, il piacere oppure l’Amore? I genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno il grande impegno a educarli; vanno pertanto considerati come primi e principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può appena essere supplita. Per i genitori, pertanto, è un ineliminabile diritto-dovere, quello dell'educazione dei propri figli che traendo la sua fondamentale motivazione sia dalla legge naturale sia da quella rivelata, si qualifica come:- essenziale perché strettamente legato alla trasmissione della vita; - originale e primario rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto che

esiste tra genitori e figli; - insostituibile e inalienabile per cui non può essere né totalmente delegabile, né da

alcuno usurpabile.Proprio per questo, però, si fa urgente l'impegno sia di riaffermare la centralità educativa della famiglia, sia di aiutare questa con ogni mezzo perché sia sempre più idonea a svolgere la sua primordiale vocazione. La primaria responsabilità educativa investe l'educazione alla fede affinché possa vivere per sempre, imparando amando a vincere la morte. Solo l’Amore salva. Ai genitori spetta il compito di "rendere presente" ai figli Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo con la testimonianza della vita e con l'annuncio esplicito del Vangelo; di orientarli all'incontro col Signore; di seguirli e guidarli con discrezione nel cammino di fede; di aprirli alla vita della comunità cristiana e di spronarli nella testimonianza degli atteggiamenti evangelici.

Famiglia: insostituibile scuola di vitaLe famiglie sono ambiente primario di vita in senso globale. Educano a vivere, educano al senso della vita. Afferma la "Familiaris Consortio"1: “Pur in mezzo alle difficoltà dell'opera educativa, oggi spesso aggravate, i genitori devono con fiducia e coraggio formare i figli ai valori essenziali della vita umana. I figli devono crescere in una giusta libertà di fronte ai beni materiali, adottando uno stile di vita semplice ed austero; devono arricchirsi non soltanto del

1 Enciclica sulla famiglia del Santo Giovanni Paolo II.

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senso della vera giustizia, che sola conduce al rispetto della dignità personale di ciascuno, ma anche e ancor più del senso del vero amore, come sollecitudine sincera e servizio disinteressato verso gli altri, in particolare i più poveri e bisognosi. La famiglia è la prima e fondamentale scuola di socialità e (infine), è chiamata a offrire ai figli una chiara e delicata educazione sessuale in cui la sessualità è vista come ricchezza di tutta la persona, corpo, sentimento e anima. “ Educare alla libertà nella responsabilità L’imperativo educativo che dovrà guidare i genitori sarà: educare alla libertà nella responsabilità e per questo è necessario che i genitori siano persone libere che non confondono la libertà con l’abbandono alla sensitività o all’istintualità, (la verità vi farà liberi) ma vivano la libertà come via per la ricerca del bene. E’ possibile oggi vivere questo impegnativo compito nella Chiesa e nella società?La risposta è data da due sposi, vissuti a Roma nella prima metà del secolo ventesimo, un secolo in cui ancora una volta, la fede in Cristo è stata messa a dura prova. Anche in quegli anni difficili i santi coniugi Luigi e Maria, hanno tenuto accesa la lampada della fede - lumen Christi - e l'hanno trasmessa ai loro quattro figli. Scriveva dei suoi figli la madre: "Li allevammo nella fede, perché conoscessero Dio e lo amassero". Ma quella vivida fiamma i genitori Beltrami Quattrocchi l'hanno trasmessa anche agli amici, ai conoscenti, ai colleghi... Ed ora, dal Cielo, la donano a tutta la Chiesa.

Genitori, raccontate ai figli la storia di DioÈ un compito pedagogico decisivo quello che padri e madri possono svolgere per avvicinare i loro bambini alla fede. Da una parte ci sono gli idoli che costruiamo a nostra immagine e nei quali ci riflettiamo egoisticamente come in uno specchio; dall’altra ci sono i figli, che sono un dono, sono altro da noi e proprio per questo ci stupiscono e ci mettono alla prova con le loro azioni, con le loro domande. E dopo aver acquisito questa disposizione ad accogliere e a stupirsi (per nulla scontata), occorre acquisire la capacità di saper rispondere alle domande dei figli, è al momento delle domande che i genitori mostrano davvero la loro capacità di essere padri e madri: sulle loro risposte, infatti, i figli costruiranno il racconto della loro vita perché è il racconto che ci insegna a vivere. I figli (ciò che siamo stati capaci di accogliere come dono) sono il racconto della nostra vita; e il figlio, come fu per Abramo, per Isacco, per Elisabetta e per Maria, è colui attraverso il quale Dio visita la nostra storia. Il racconto emergente da risposte che i genitori daranno, si inserirà nella storia della vita del figlio. Si abbia ben presente come il racconto è la forma pedagogica con la quale Dio ci indica la strada della fede; con la quale Gesù ci mostra la realtà del Regno. Nel suo ultimo libro Generare è narrare (un viaggio affascinante nell’arte del generare alla fede attraverso la narrazione) Padre Jean Pierre Sonnet 2, un gesuita francese, teologo, scrittore e poeta, afferma: “ i veri maestri (nel narrare il senso del vivere) non possono che essere i genitori. Io appartengo a un ordine religioso al quale per secoli le famiglie hanno affidato i figli affinché fossero educati alla fede. Oggi credo sia giunto il tempo di riaffidare i figli ai genitori aiutandoli nel difficile compito di indicare la strada di Dio. I genitori, soprattutto oggi, sono gli unici a poterlo fare. E il racconto resta una strada privilegiata di educazione” nonostante l’attuale crisi del rapporto fra le generazioni. La nostra è una cultura in cui ogni generazione deve reinventarsi al ritmo delle nuove tecniche. Non è più il padre che trasmette le conoscenze al figlio: anzi, fa persino la figura dell’incapace. Ma di cosa si ricorderanno un giorno i figli divenuti adulti? Non credo della penultima versione dell’iPhone, ma della voce della mamma. Così come non dimentico mia mamma che cantava canzoncine

2 Liberamente ripreso da un’intervista di ROBERTO I. ZANINI, del quotidiano AVVENIRE, al gesuita Jean-Pierre Sonnet, 2014.

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con delle storie bibliche. Una sulla storia di Zaccheo la ricordo molto bene... e io che giravo intorno al tavolo in cucina. Le storie dei genitori si ricordano bene perché esse si legano ai ricordi della vita. E quelle storie hanno una loro storia nella nostra vita: rilette a varie età, mostrano contenuti sempre diversi. Per questo i genitori devono cominciare da subito a raccontare. Il racconto è un po’ come un’opera di artigianato che si trasmette di padre in figlio: ci lavora il padre e poi ci lavorano i figli e spesso anche i figli dei figli. Tanti genitori oggi non raccontano e non saprebbero nemmeno cosa raccontare perché non dialogano quasi mai con i figli. Da giovane prete continua padre Sonnet, in Francia, mi capitava di passare ore in confessionale e spesso per penitenza invitavo a raccontare una storia biblica ai figli o ai nipoti. Una donna anziana un giorno mi rispose: Padre, non sarebbe meglio un rosario?. Quella donna evidentemente non aveva sperimentato quell’alleanza speciale che c’è fra nonni e nipoti quando si raccontano storie. Anche Papa Francesco ha parlato del suo particolare rapporto con nonna Rosa. Nella dedica che ho fatto nella copia di questo libro che ho inviato a Francesco ho scritto: A Papa Francesco che ci ha raccontato di come nonna Rosa gli raccontava. Ecco, i nonni hanno un dono speciale. E se, come i genitori, hanno paura di raccontare, credo che nostro compito, il compito della Chiesa, sia di incoraggiarli, di confermarli in questa loro funzione essenziale: “Quando tuo figlio domani ti chiederà perché? Tu gli risponderai: Con braccio potente il Signore ci ha fatti uscire dall’Egitto...” (Es 13, 14). Quando Dio si rivela a Mosè nel roveto ardente (Es 3, 6) gli dice: 'Io sono il Dio di tuo padre. Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe', e in Dt 26, 5 Dio insegna a raccontare: “ Mio padre era un arameo errante...”. Insomma, le generazioni sono direttamente implicate nella trasmissione del mistero e della fede”.Legandolo alla famiglia, il racconto è ospitale come una casa.«Noi abitiamo le storie come una casa nella quale col tempo cambiamo l’arredamento: nella casa c’è posto per tutti, così come del racconto c’è una versione adatta a ciascuno. Le parabole che raccontava Gesù hanno vari livelli di comprensione e ognuno trova il suo. Il racconto è una dimensione che non esclude e che tutti possono approfondire. Il racconto aggrega. Pensi alle storie che, soprattutto una volta, nelle case si narravano sugli antenati: ti facevano sentire parte di una storia, di una famiglia».Un cristiano non può fare a meno di raccontare.«Il nucleo della nostra fede è narrativo. Gli ebrei raccontano: ”Eravamo schiavi e Dio ci ha liberati...”. Per noi cristiani “il Signore Gesù alla vigilia della sua morte prese il pane...”, oppure: “Il Signore Gesù ci ha liberati dalla morte...”. Storie del passato, ma strettamente legate alla vita di oggi. Tocca a noi continuare a renderle vive. Il Salmo 78 ci invita: “Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli...”. E i bambini sono affascinati dal passato, soprattutto se è possibile riviverlo per il presente».In tante famiglie non si raccontano nemmeno più le favole... E poi qual è il momento per raccontare?«Io sono un prete afferma sempre padre Sonnet, non ho figli, ma ho 18 nipoti e seguo tante famiglie. La mia esperienza mi dice che bisogna sfruttare il sacro momento in cui il bambino si corica, non ha più la tv e i videogiochi. C’è il libricino illustrato e la voce della mamma, del papà, dei nonni. Perché in quel momento non raccontare storie bibliche? Ce n’è una per ogni situazione. Ma si può raccontare anche in vacanza, durante una gita, camminando insieme. Del resto l’elaborazione del racconto apre a un cammino interiore e la Bibbia è densa di personaggi che raccontano e camminano. Gesù è un grande camminatore e un grande narratore. Gli adulti rischiano di fare la parte degli incapaci di fronte ai poteri della tecnologia sulle menti dei ragazzi. Il nucleo della nostra fede è narrativo e i nonni hanno un ruolo speciale in questa trasmissione del Vangelo”.

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2. Famiglia e ParrocchiaUn’alleanza indispensabile per generare oggi alla fede.Abbiamo poc’anzi affermato come un genitore che ha messo al mondo un figlio è chiamato a amarlo educandolo, non si può accontentare di dargli alcune istruzioni per l’uso della vita. L’esistenza umana è ben diversa da quella di un frigorifero: non basta al vivere un libretto per le istruzioni, non è sufficiente una sola scuola o un web, che dà un mondo d’informazione ma non un significato al vivere e al morire. Il piacere lo sanno cercare tutti, la gioia è solo di chi conosce l’arte d’amare. A quest’arte di amare debbono educare i genitori. Ma da soli oggi non si bastano più, si richiedono luoghi dove i ragazzi possano scegliere, in autonomia ma non da nomadi abbandonati per le strada della città o del web, che senso dare al proprio essere al mondo. E’ necessario un’alleanza educativa tra Famiglia e Chiesa e non solo, per educare alla libertà nella responsabilità, per educare alla delicata arte d’amare. Al centro la Parola di Dio e il Giorno del Signore.Le catechesi familiari sono un luogo dove genitori e chiesa si possono incontrare per offrire ai ragazzi il meglio in casa come in parrocchia.

3. Un Progetto Editoriale a sostegno dell’alleanza educativa tra parrocchia e famiglia“La famiglia porta della fede”, l’educazione 0-6 anni, “La catechesi familiare ” l’educazione 6 – 13 anni e il libro che uscirà prossimamente,“Dal distacco al coinvolgimento, dalla fuga alla professione di fede”, l’educazione 13-19 anni, sono espressione di un unico progetto educativo elaborato nel libro: “La via della bellezza 0-19”3. Una trilogia avente come tema l’inderogabile ripensamento della prassi nelle nostre Chiese, dell’Iniziazione Cristiana. La riforma è in atto in tutta Italia ma procede ancora tra molte resistenze e fatiche e con qualche passo indietro e molte incertezze. Con queste proposte editoriali, s’intende supportare maggiormente gli sforzi dei tanti che ci stanno provando a passare dalla socializzazione religiosa ammantata di sacramentalizzazione, alla generazione di giovani cristiani, ossia alla Iniziazione Cristiana vera e propria che ha un inizio, il battesimo, un termine, la solenne professione di fede al termine di un organico cammino mistagogico. I sacramenti sono tappe fondamentali dell’IC non focus finali della IC, la grazia sacramentale è indispensabile per l’IC, (si inizia ai sacramenti ma si inizia alla vita di fede con i sacramenti stessi) ma essa è un dono al quale si deve essere educati appunto come da sempre ci insegnano i Padri della Chiesa, attraverso un percorso mistagogico che porti alla scelta consapevole di essere cristiano ovvero alla opzione fondamentale per Cristo. Scelta inderogabile per qualsiasi voglia essere discepolo di Gesù Cristo.Il primo volume, già pubblicato, “La famiglia porta della fede”, affronta il tema del primo annuncio ai figli e dell’educazione alla fede nell’arco temporale che va dalla nascita alla scuola elementare, 0-6 anni. Procede dalla convinzione che solo genitori consapevoli del proprio battesimo educano oggi alla fede i propri figli. Questa affermazione enuclea la finalità della proposta educativa contenuta in quel libro: favorire la formazione di coppie genitoriali che scegliendo di essere cristiane, generano figli e li educano nella e con la Comunità Cristiana, alla fede in Gesù Cristo. Ancora una volta il focus è sull’adulto e non solo sul bambino a riaffermare la convinzione Conciliare di una fede adulta e non solo pietistica o di tradizione ma personale e consapevolmente scelta e vissuta.

3 “La via della Bellezza, 0-19” di Simone Giusti, edizioni Paoline.

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BOX

L'educazione in famigliaE' un follia fare sempre le stesse

cose aspettando che cambi qualcosa .

Atteggiamenti principali per educare:La calma,La mitezza L'umiltàIl sorriso: non fidatevi di una persona che non ride mai, non è una persona seria.In famiglia essere tolleranti.Non si può risolvere un problema con le stesse modalità che l'hanno creato.Ricordarsi che l'opera educativa più importante è educare se stessi.Nulla cambia, io cambio, tutto cambia.

I comandamenti per i genitori.1 calmati per calmare2 i figli imparano quello che vivono3 avere la stessa idea di educazione4 non entrare in conflitto con i figli5 sorridere6 siate pazienti anche con voi stessi 7 collaborare con le altre agenzie educative 8 dite no ma per fargli capire che li proteggete 9 vivete i vostri valori nella gioia10 scambiatevi dei regali in presenza dei figli11 relativizzare i problemi12 accogliete gli amici dei vostri figli13 incoraggiate, aver cuore ti ho nel cuore14 consentire ai figli di non avere il vostro parere.15 sottolineare i lati positivi ....le azioni positive 16 prendere le decisioni insieme17 giocare con i figli18 fate discorsi seri quando i figli stanno in orizzontale, quando sono rilassati19 ogni figlio è unico,20 spiegate cosa provate, raccontate la vostra vita 21 trovare le occasioni giuste per tirarsi indietro 22 eliminate la critica, un bambino umiliato non impara nulla23 non giudicate i genitori di altri figli24 non si risolvono i problemi per sempre25 allenare alle frustrazioni26 raccontate la storia di Gesù incuriosendo al mistero,

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le anime sono fatte per parlarsi nel silenzio. 4

Educare è contemplare il mistero del figlio.Se il peccato è stato causato dal prendere un frutto, la salvezza arriverà dal vedere il frutto e non mangiarlo. 5

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4. Al centro della trasmissione della fede: la famiglia La Parola del Papa Benedetto XVI: 6

“È del tutto evidente (…) che nell’educazione e nella formazione alla fede una missione propria e fondamentale ed una responsabilità primaria competono alla famiglia. I genitori infatti sono coloro attraverso i quali il bambino che si affaccia alla vita fa la prima e decisiva esperienza dell’amore, di un amore che in realtà non è soltanto umano ma è un riflesso dell’amore che Dio ha per lui. Perciò tra la famiglia cristiana, piccola “Chiesa domestica” e la più grande famiglia della Chiesa, deve svilupparsi la collaborazione più stretta, anzitutto riguardo all’educazione dei figli. Sono molte, certamente, le famiglie impreparate a un tale compito e non mancano quelle che sembrano non interessate, se non contrarie, all’educazione cristiana dei propri figli: si fanno sentire qui anche le conseguenze della crisi di tanti matrimoni. Raramente si incontrano però genitori del tutto indifferenti riguardo alla formazione umana e morale dei figli, e quindi non disponibili a farsi aiutare in un’opera educativa che essi avvertono come sempre più difficile. Si apre pertanto uno spazio d’impegno e di servizio per le nostre parrocchie, oratori, comunità giovanili, e anzitutto per le stesse famiglie cristiane, chiamate a farsi prossimo di altre famiglie per sostenerle ed assisterle nell’educazione dei figli, aiutandole così a ritrovare il senso e lo scopo della vita di coppia“.

5. L’INIZIAZIONE CRISTIANA DEI FANCIULLI E DEI RAGAZZI IERI E OGGI “Fedele alla consegna del Maestro, la Chiesa non ha mai cessato lungo i secoli di accogliere i più piccoli per aprire loro i tesori della parola di Dio e condurli al Signore, attraverso l’educazione religiosa, la progressiva accoglienza nell’assemblea liturgica e l’ammissione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana.

Nei primi secoli……Nella Chiesa apostolica non s’incontrano affermazioni esplicite sul Battesimo dei bambini. La prima conversione di un pagano, narrata dal libro degli Atti, è quella di un centurione romano. L’apostolo Pietro, dopo avere annunciato la parola di salvezza a Cornelio e a tutta la sua

4 Liberamente ripreso da una conferenza di Gigi Avanti.5 Simon Veil6 APERTURA DEL CONVEGNO DELLA DIOCESI DI ROMA “Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza” Basilica di S. Giovanni in Laterano, 11 giugno 2007 DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

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famiglia, ordinò che “fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo” (At 10,48). Il carceriere di Paolo e Sila, accolta la parola del Signore insieme a “tutti quelli della sua casa..., si fece battezzare con tutti i suoi” (At 16,32-33). Anche Crispo, capo della sinagoga, “credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia” (At 18,8). Nella città di Filippi Paolo battezzò Lidia “insieme alla sua famiglia” (At 16,15) e a Corinto “la famiglia di Stefana” (1 Cor 1,16). Probabilmente nell’espressioni “casa” e “famiglia” sono inclusi anche i figli. Pure sull’educazione religiosa dei figli si conosce poco. Si può ritenere che essa fosse un impegno comune delle famiglie cristiane, secondo quanto esorta l’apostolo Paolo: “Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore... E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell’educazione e nella disciplina del Signore” (Ef 6,1.4). A imitazione di Cristo soprattutto i padri sono invitati ad ammonire, senza esasperare (Col 3,21) i figli, la cui educazione ha un riferimento privilegiato al quarto comandamento. Per questo viene richiesto ai figli di “praticare la pietà verso quelli della propria famiglia” (1 Tm 5,4) e di obbedire “ai genitori in tutto” (Col 3,20). In contesti culturali e religiosi differenti, con diverse esperienze di vita e organizzazioni sociali, sono sorte varie forme di introduzione alla vita cristiana sia degli adulti sia dei figli ancora minorenni. Per questi ultimi, secondo le limitate testimonianze dei Padri, si possono identificare alcune forme fondamentali. Una prima forma d’iniziazione prevedeva un’educazione religiosa, soprattutto familiare, nell’infanzia e fino alla preadolescenza, rinviando la decisione per il Battesimo all’età più matura. Divenuto adulto o avendo raggiunto una sufficiente capacità di scelta responsabile, chi decideva di accedere al Battesimo doveva iscriversi al catecumenato e percorrere il cammino formativo previsto. I grandi Padri del IV secolo – quali Basilio di Cesarea, Ambrogio, Giovanni Crisostomo, Girolamo, Rufino di Aquileia, Paolino di Nola, Agostino, Gregorio di Nazianzo – benché nati in famiglie cristiane e riconoscenti per l’educazione religiosa ricevuta, decisero di accedere al Battesimo solo in età adulta. Un’altra forma d’iniziazione cristiana prevedeva l’ammissione dei bambini di genitori cristiani ai Sacramenti dell’iniziazione, a cui seguiva una educazione religiosa a carico soprattutto della famiglia. Il Battesimo degli infanti, presente con ogni probabilità già nella Chiesa delle prime generazioni, è una pratica diffusa nel III secolo ed espressamente attestata a Roma, ad Alessandria, a Cartagine. Secondo la Tradizione apostolica, al termine della solenne Veglia battesimale, prima degli adulti venivano battezzati i bambini, alcuni capaci di rispondere e altri ancora infanti, per i quali rispondevano i genitori o qualcuno della famiglia.Ordinariamente nei primi secoli non sembra che la Chiesa abbia rivolto una specifica e diretta attenzione all’educazione dei fanciulli. I bambini dei genitori cristiani, eccetto quelli in pericolo di morte, quando venivano battezzati in tenera età erano associati alla fase conclusiva dell’iniziazione degli adulti, che culminava nella celebrazione unitaria di Battesimo, Confermazione ed Eucaristia durante la Veglia pasquale nella chiesa madre, sotto la presidenza del vescovo.

…..i genitori cristiani erano gli unici educatori della fede dei loro figli. Nel loro compito educativo potevano contare sul sostegno e sull’incoraggiamento dei pastori. Questi esortavano a educare i figli nel timore di Dio e ad ammonirli nel Signore, a raccomandare loro di servire Dio nella verità e di fare ciò che a lui piace, a formarli a operare la giustizia, fare elemosine, pregare Dio, e, all’occorrenza, a frenarli con utili rimproveri. Non mancano Padri della Chiesa, come Girolamo, Origene, Basilio e Agostino, che invitano con insistenza alla lettura della Sacra Scrittura in famiglia. Particolarmente suggestiva è l’immagine scelta da Giovanni Crisostomo nel rivolgersi ai genitori cristiani: “Tornati a casa, prepariamo due tavole: una per il cibo del corpo, l’altra per il cibo della Sacra Scrittura”. I

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genitori con la cura dei figli non solo assolvono a una funzione educativa cristiana, ma svolgono anche un’azione di intermediari nella loro santificazione.” 7 L’Iniziazione Cristiana dei ragazzi necessita quindi e da sempre, dell’educazione alla fede svolta dalla famiglia, essa non può essere supplita se non eccezionalmente e pertanto non si può accettare come normalità di questi tempi che la stragrande maggioranza delle famiglie non dia un’educazione cristiana ai figli e si limiti a concedere che vengano al catechismo parrocchiale e raramente alla S. Messa domenicale.

6. Un’urgenza pastorale: educare i genitori alla responsabilità educativa Da alcune evidenze pastorali a un’opportunitàÈ sempre più necessario, e la sua evidenza è ormai sotto gli occhi di tutti assumere la scelta preferenziale della catechesi degli adulti insieme all'accompagnamento delle famiglie e rinforzare o creare «luoghi» e «strumenti» di identificazione nei quali, cioè, si maturino identità personali e famigliari «stabili». “Pertanto proponiamo di dare vita a cammini di pastorale catechistica nei quali «innestare», sugli itinerari differenziati di catechesi per le varie età della vita, strutturalmente non in modo episodico - momenti d'intergenerazionalità, vale a dire opportunità d'incontro, scambio, confronto della fede e nella fede fra generazioni. All'interno della parrocchia ma, prima ancora, nelle famiglie e tra famiglie riunite insieme in modo da compensare il deficit di relazione e di reciprocità, fra generazioni, riscontrato nell'attuale pastorale catechistica.È convincimento ormai diffuso e fatto proprio dal magistero ecclesiale che, nell'educazione conta, assai di più, la probabilità di poter «vedere e toccare» modelli concreti, vivibili e avvicinabili che la pur precisa e interessante esposizione di contenuti da apprendere e di verità da credere. A patto che tali modelli non siano solo adulti in età ma, soprattutto, nella coerenza all’identità che professano. Non si tratta di incontrare grandi testimoni o astri della fede. Saranno per lo più persone vicine, credenti ordinari che oseranno dire le loro ragioni di vivere e di sperare, nonostante tutto”. 8 Ci sembra sia un'opportunità capace di far incontrare i figli con persone molto significative le quali se adeguatamente aiutate e sostenute possono diventare testimoni della fede fondamentali. È una catechesi già presente nella pastorale di molte diocesi e parrocchie e delle diverse espressioni dell'associazionismo ecclesiale. Non ci riferiamo alla catechesi che i genitori fanno in famiglia, bensì a quella catechesi che ogni membro fa agli altri attraverso la vita quotidiana vissuta come credenti nella famiglia, senza la necessità di tematizzare un contenuto, ma sperimentandolo attraverso l'esempio buono dei singoli. È la forma più congeniale alla fede. La fede non è dottrina ma vita e la vita si comunica anzitutto attraverso i rapporti primari. La famiglia è il luogo nel quale sono presenti, al massimo livello, le condizioni per poter sviluppare tali rapporti, come già si faceva nella Chiesa dei primi secoli. Dunque la catechesi in famiglia è di vitale importanza anche oggi per la comunicazione della fede fra generazioni. Si tratta di una catechesi (prevalentemente) occasionale (non perché si fa di tanto in tanto ma perché trae occasione dai fatti della vita quotidiana); vitale e d’insieme (fa vivere e coinvolge tutta la persona) che fruisce dell'immediatezza dei rapporti interpersonali ed è contraddistinta dalla semplicità, dalla concretezza, dall'affetto. Si colloca all'interno del clima caldo della relazione che apre alla fede

7 L’iniziazione cristiana - Orientamenti per l’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dai 7 ai 14 anni , Nota pastorale del Consiglio Episcopale Permanente , n° 9 - 12 8 Giovanni Villata “ Catechesi intergenerazionale. Quale sfida per la nostra pastorale catechistica ? “ in Orientamenti Pastorali n° 2/2004 EDB

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la porta del cuore e l'incontro con la persona viva di Gesù Cristo – “centro vivo della fede, lieto annuncio di ogni catechesi”9 - alla stessa maniera degli incontri con Gesù di Marta, di Maria, di Bartimeo, di Zaccheo, di Nicodemo ed altri di cui ci narra spesso il Vangelo e di cui il mistero Trinitario è modello. L'atmosfera delle relazioni primarie è “particolarmente importante oggi, perché le diverse generazioni hanno maggior bisogno d’incontro e conforto […] e perché vivo è il rischio che anche in famiglia ciascuno si senta solo”10

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Le attenzioni da averenel coinvolgimento dei genitori11

Il percorso sopra delineato ha una condizione di base preliminare: che i genitori accettino progressivamente di essere coinvolti nei vari passaggi. È su questo punto che s’incontrano le principali difficoltà per chi tenta nuovi percorsi d’iniziazione cristiana che abbiano al centro l’adulto e la sua crescita di fede. Per raggiungere questo obiettivo, alcune importanti attenzioni da salvaguardare.

A. Famiglia reale, adulto realeAlcune esperienze hanno “sopravvaluto” la famiglia, chiedendo ad essa un livello di coinvolgimento fuori portata rispetto a due aspetti: non hanno tenuto conto del tempo reale che i genitori hanno; non hanno tenuto conto della loro reale situazione rispetto alla fede. Al centro dell’età adulta gli adulti hanno molte esigenze formative, ma pochissimo tempo da dedicarvi. Inoltre, una domanda “alta” nei loro confronti rischia di essere fatta a partire ancora da “pretese ecclesiali” proprie di una società di cristianità. Occorre dunque tenere conto degli adulti reali, di storie e processi precisi.

B. Genitori: coinvolti in modo adultoLe reazioni provocate in alcuni genitori, che hanno lasciato la comunità e hanno portato i loro figli altrove, non sono dovute all’esigenza della richiesta, ma al modo con la quale è fatta. Vanno salvaguardate tre attenzioni a questo livello. La prima è la presentazione di un progetto chiaro e motivato: non bastano le affermazioni di principio; occorre far capire cosa s’intende fare con i figli e con i genitori, nel concreto, apportando le motivazioni. La seconda attenzione riguarda il rispetto della libertà e il coinvolgimento nella decisione; vanno dunque previste delle alternative quando si operano delle proposte libere. Infine l’invito va fatto con umanità e attenzione ai singoli casi: lo stile relazionale risulta spesso decisivo.

C. Con gradualitàFacendo una proposta, occorre tenere presente la storia di un territorio, le mentalità, le tradizioni. Il cambiamento, pur provocato, richiede pazienza nella risposta. È necessario allora dare tempo per preparare il terreno; predisporre cammini differenti, o nella stessa parrocchia, o in accordo con altre parrocchie limitrofe; tenere conto dei preti reali, della loro formazione e delle loro resistenze. Meglio partire con preti disponibili e motivati che imporre i cambiamenti a livello diocesano. È importante far leva su quei genitori che sono catechisti: sono una risorsa preziosa.

D. Salvaguardando la complementarietà dei soggetti e la globalità della propostaIl rischio forte è di passare da una delega dell’iniziazione cristiana ai catechisti, a una delega ai genitori. È quindi importante una proposta complementare: una parte del percorso continua a

9 Documento Base “Il Rinnovamento della Catechesi” n° 57. 10 Giovanni Villata, opera citata.11 Liberamente ripreso dal “Notiziario dell’UCN”, Fratel Ettore Biemmi, al Seminario di studio “CATECHISTI E GENITORI: INSIEME PER EDUCARE ALLA FEDE”, relazione dal titolo: Le sfide dell’iniziare alla fede oggi

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essere assolto dai catechisti, un’altra, più o meno importante, dai genitori. Occorre anche che i genitori siano contattati come adulti, per i loro bisogni personali, indipendentemente dai loro figli, con proposte “gratuite”. È da immaginare quindi un lavoro concordato tra preti, catechisti e genitori. Il coinvolgimento dei genitori è un passaggio intermedio ed indispensabile. Intermedio, verso un coraggioso ripensamento generale nel quale non il bambino sarà il perno dell’evangelizzazione, ma l’adulto stesso; indispensabile, perché se non rinascerà una comunità di adulti, non ci sarà Chiesa né trasmissione della fede. In questo percorso vanno messe in conto delle perdite. Proprio queste perdite paralizzano molti e inducono un pericoloso ritardo nel cambiamento. Le perdite che noi paventiamo, tramite un coinvolgimento libero e responsabile degli adulti, non sono già tutte in atto nell’attuale pastorale di conservazione? La perdita più alta è dunque quella di non prendere nessun rischio, perché in questo modo noi saremo costantemente a rischio.

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Discepoli felici per convincere chi critica

Valorizzare il positivo delle critiche, spargere luce, proporre la Chiesa del sì...

Dieci puntiI punti chiave del programma.12

1. Individuare in ogni critica l’intenzione positiva, dietro si cela spesso un valore cristiano. Far leva su di esso e invitare a riflettere sulla posta in gioco.

2. Spargere luce, non scaldare gli animi: lo scopo è aprire spiragli. Fare cogliere la luce che viene da Cristo.

3. La gente ricorderà come l’avremo fatta sentire piuttosto che quello che abbiamo detto. Non siamo noi a convincere: è la Verità, da servire meglio che possiamo. Il consiglio è di essere empatici, civili, chiari.

4. Non spiegare ma raccontare. Le storie attirano, le lezioni no. Aiutare a 'vedere' ciò che si sta dicendo: non siamo i portavoce di un’istituzione remota e distaccata, ma discepoli felici, pronti a condividere storie ed esperienze.

5. Pensare «in triangoli», focalizzandosi cioè su tre punti importanti e tenendoli come riferimento. Non ci si deve lasciar distrarre, occorre relazionare il discorso ai nostri tre punti.

6. Essere positivi, comunicare la Chiesa dei sì, senza ergersi ad arcigni censori ma ponendosi come «angeli che indicano un orizzonte più luminoso».

7. Essere compassionevoli: la misericordia è caratteristica cristiana. Bisogna essere pronti ad assorbire il rancore che alcuni provano nei confronti della Chiesa.

12 Ripreso da «Catholic Voices», Avvenire del 13 gennaio 2015

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8. Prepararsi ma senza diventare automi. Dati e cifre sono inutili senza contesto e prospettiva.

9. «Non si sta parlando di voi»: è la causa di Cristo e della sua Chiesa che si sta cercando di perorare.

10. Testimoniare, non vincere: non si deve essere conflittuali, occorre riformulare aiutando a vincere i pregiudizi. Comunicare la verità sulla Chiesa per invitare a vederla con occhi diversi.

7. Lo spazio domestico e la narrazione in famiglia: dalla tradizione ebraica un insegnamentoLa Scrittura esorta a privilegiare la dimensione narrativa nell'ambito dell'educazione alla fede: "ripeterai, parlerai, insegnerete parlando..." sono i verbi che ricorrono con maggior frequenza. Perché è così importante per l'ebreo raccontare la propria esperienza di fede? Perché, per esplicita prescrizione biblica, i primi maestri sono i genitori e il primo insegnamento è il racconto: ...perché tu possa raccontare alle orecchie di tuo figlio e del figlio di tuo figlio come io ho trattato gli egiziani e i segni che ho compiuto in mezzo a loro, cosicché sappiate che io sono JHWH; E allora i vostri figli vi chiederanno: Che cosa è questo vostro atto di culto? E risponderete: È il sacrificio di Pasqua per JHWH; e in quel giorno tu narrerai a tuo figlio dicendo: È a causa di questo che fece JHWH per me quando uscii dall'Egitto. E quando tuo figlio ti chiederà domani: Che cosa è questo? Allora gli dirai: Con la forza della mano JHWH ci ha fatti uscire dall'Egitto, dalla casa di schiavi. Quando domani tuo figlio ti chiederà: Che cosa significano le istruzioni, le leggi e le prescrizioni che vi ha comandato JHWH nostro Dio? Allora dirai a tuo figlio: "Schiavi fummo del faraone in Egitto; e JHWH ci fece uscire dall'Egitto con mano forte... Allora JHWH ci comandò di mettere in pratica tutte queste leggi, temendo JHWH nostro Dio per il nostro bene, per essere vivi come lo siamo oggi. E giustizia sarà per noi quando avremo cura di mettere in pratica tutti questi precetti davanti a JHWH nostro Dio come ci ha comandato" 13. Tale dovere di "parlare" ai figli è il primo dei compiti che i genitori devono assolvere fino a che essi non diventano bar o bai mitzvah, cioè "figlio o figlia del precetto", rito con cui a tredici anni si raggiunge la maturità religiosa e si risponde in prima persona della propria appartenenza alla comunità.

Come si può intuire, questa "metodologia narrativa" è piuttosto lontana da qualsiasi forma di catechesi astratta e sistematica: si radica nel contesto di una prassi di vita volta a provocare e suscitare domande nei figli alle quali fanno seguito le spiegazioni dei genitori. Ciò emerge in maniera evidente e significativa durante la celebrazione delle feste e, in modo particolare, durante la celebrazione annuale della Pasqua: alle domande di uno dei figli più piccoli segue il racconto dell'uscita dall'Egitto accompagnato da gesti, da cibi rituali (come il pane azzimo e le erbe amare) e da spiegazioni secondo la tradizione, che permettono ad ogni membro della famiglia di vivere la dimensione del "far memoria" per poter "uscire nuovamente dall'Egitto". Inoltre, chi oggi interroga e ascolta l'insegnamento della generazione più adulta, sarà chiamato in futuro a dare a sua volta risposte a nuove generazioni che a loro volta domanderanno, continuando così la catena della trasmissione e della testimonianza. Ben si comprende allora perché la tradizione ebraica abbia privilegiato la liturgia domestica rispetto a quella sinagogale: il momento culminante della celebrazione di quasi tutte le feste avviene in famiglia dove i genitori sono i "ministri" del culto. La liturgia domestica costituisce pertanto uno dei momenti catechetici più importanti per le nuove generazioni che, in questo modo,

13 Dt 6,20-21.24-25.

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ricevono la trasmissione della tradizione religiosa interiorizzandola progressivamente. A questo proposito è opportuno sottolineare due cose: innanzitutto, ancora una volta, il ruolo fondamentale della donna: è lei la garante dell'organizzazione di tutta la liturgia domestica che, soprattutto durante la celebrazione del Sabato, la vede protagonista principale; in secondo luogo, la costante attenzione ai figli, quindi alle nuove generazioni, che sottolinea come gli stessi siano considerati futuro e garanzia perché la comunità viva e possa continuare a testimoniare la propria fede nel tempo. Si può quindi affermare che se si è ebrei in quanto "nati da madre ebrea", si prende coscienza di ciò e si matura il senso di appartenenza a questo popolo vivendo in una famiglia che, attraverso gesti e parole, fa costantemente "memoria" della propria tradizione. La casa viene così compresa e vissuta come "spazio sacro" dove, nella quotidianità del tempo che scorre, ogni gesto, anche il più semplice e apparentemente banale o scontato, diventa segno di una vita vissuta nella continua tensione verso la santità. È in questo spazio che s’impara a benedire per ogni cosa, in particolare per ogni dono divino ricevuto attraverso la creazione, e ciò avviene con particolare solennità durante il momento conviviale del pasto. Non a caso quindi molti momenti significativi della vita pubblica di Gesù, ebreo fedele alle tradizioni del suo popolo, sono avvenuti nelle case e spesso attorno ad una mensa comune. Tutto ciò costituisce una positiva provocazione per la famiglia cristiana che desidera recuperare l'orizzonte domestico della propria vita di fede. Facendo tesoro di ciò che la tradizione ebraica continua ad attestarci, sarebbe importante valorizzare meglio all'interno della casa e della famiglia una dimensione liturgica che, non escludendo il momento comunitario esterno, possa essere significativamente orientata al medesimo. Ciò chiama inevitabilmente in causa il ruolo ministeriale dei genitori, che sono in prima persona coinvolti nel preparare e vivere la festa di fronte e assieme ai figli accompagnandoli nella progressiva scoperta e interiorizzazione del significato. In questo modo ogni gesto, ogni segno, ogni celebrazione che avviene all'interno dell'ambito familiare, può diventare un'occasione particolare in cui la tradizione di fede viene in qualche modo consegnata gradualmente e progressivamente secondo la capacità di ciascuno. Si tratta di una sorta di catechesi viva, quotidiana, che avviene all'interno di relazioni umane significative dal punto di vista affettivo, nell'orizzonte di una condivisione dello spazio e del tempo compresi come luogo di un possibile e continuo dialogo umano-divino. Ai genitori è chiesta una testimonianza che diventa annuncio di una "buona notizia" per tutti, l'accoglienza di tale annuncio si gioca tuttavia in rapporto alle scelte libere di ciascuno. La possibilità di un rifiuto è quindi implicita e non deve né limitare né scoraggiare la generazione più adulta, in quanto fa parte di quel mistero di sofferenza che inevitabilmente accompagna la storia dei liberi figli di Dio, nella consapevolezza che non sta a noi il giudizio ultimo poiché, come ricorda il profeta Isaia, le "vie di Dio" non sono necessariamente le "nostre vie" (cfr. Is. 55,8). 14

14 Elena Bartolini la “La Bibbia in famiglia” in Notiziario dell’Ufficio Catechistico Nazionale ,n°9 - Maggio 2004

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L’importanza della catechesi intergenerazionale

E’ sempre più necessario, e la sua evidenza è ormai sotto gli occhi di tutti “ assumere la scelta preferenziale della catechesi degli adulti insieme all'accompagnamento delle famiglie e rinforzare o creare «luoghi» e «strumenti» di identificazione nei quali, cioè, si maturino identità personali e famigliari «stabili».”

Le opportunità d'incontri tra famiglie. Ci riferiamo ad opportunità «gratuite» non funzionali, vale a dire che non vogliamo qui richiamare gli incontri dei gruppi, famiglia né il servizio che alcune coppie dei gruppi famiglia fanno in occasione della catechesi battesimale o in preparazione al matrimonio o in altre attività inerenti alla famiglia. Tutte attività ecclesiali importanti e fonte di meriti.

Intendiamo proporre opportunità per progettare momenti di catechesi fra famiglie - gruppi che s’incontrano periodicamente o a giornate della famiglia nei quali siano presenti, il più possibile, i membri della famiglia, se non a tutto l'incontro, almeno in parte.(…) In tali momenti, mettendo in campo interventi pastorali unitari e complementari valorizzando linguaggi, metodi, strumenti ritenuti più opportuni, animando il dialogo nella comunicazione della fede e nella fede, proprio tra tutte le generazioni.

L'opportunità, almeno intenzionalmente, raccoglie molte delle motivazioni appena ricordate per una catechesi intergenerazionale. Rimane palese che nella comunicazione della fede e nella fede, soprattutto in questi momenti, vanno ben armonizzate catechesi, liturgia, preghiera e vita vissuta nella carità, alternando, ad esempio, momenti comuni e momenti diversificati. 15

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15 Giovanni Villata “ Catechesi intergenerazionale. Quale sfida per la nostra pastorale catechistica ? “ in Orientamenti Pastorali n° 2/2004 EDB

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