Chassidismo. Note sul significato psicologico di un ... · me fondamento di una rinnovata vita...

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Chassidismo. Note sul significato psicologico di un'esperienza religiosa* Mario Trevi, Roma La religione infatti non è che l'attenta osservazione dei dati. » C. G. Jung 1. PREMESSA Esistono almeno cinque buone ragioni per occuparci del Chassidismo in questa sede. La prima è quella — abbastanza ovvia e immediata — fondata sul valore generale del Chassidismo nella fenomenologia della vita religiosa e nello sviluppo del sentimento mistico dell'età moderna. Per quanto poco noto all'uomo di cultura non specializzato, il Chassidismo rappresenta senz'altro l'ultima grande fioritura della mistica ebraica e come tale costituisce un capitolo assai importante della storia delle religioni in generale e della storia del misticismo in particolare. Dato per certo che uno dei compiti dello psicologo è la ricognizione delle forme di vita religiosa intese come fondamento in gran parte inconscio della psi- che individuale e collettiva, un'analisi anche somma- ria della mistica chassidica potrà per lo meno non essere inutile. 99

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Chassidismo.Note sul significatopsicologicodi un'esperienzareligiosa*Mario Trevi, Roma

La religione infatti non è che l'attenta osservazione dei dati. »C. G. Jung

1. PREMESSA

Esistono almeno cinque buone ragioni per occuparcidel Chassidismo in questa sede. La prima è quella —abbastanza ovvia e immediata — fondata sul valoregenerale del Chassidismo nella fenomenologia dellavita religiosa e nello sviluppo del sentimento misticodell'età moderna. Per quanto poco noto all'uomo dicultura non specializzato, il Chassidismo rappresentasenz'altro l'ultima grande fioritura della misticaebraica e come tale costituisce un capitolo assaiimportante della storia delle religioni in generale edella storia del misticismo in particolare. Dato percerto che uno dei compiti dello psicologo è laricognizione delle forme di vita religiosa intesecome fondamento in gran parte inconscio della psi-che individuale e collettiva, un'analisi anche somma-ria della mistica chassidica potrà per lo meno nonessere inutile.

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La seconda ragione — più specifica e pertinente —riguarda la particolare natura di questo movimentoreligioso. Come si vedrà, nel Chassidismo si assom-mano e nello stesso tempo giungono a singolareespressione motivi mistici dispersi nella lunga tradi-zione religiosa ebraica, e in modo particolare i mo-tivi dominanti della gnosi kabbalistica. Ora, il misti-cismo ebraico s'impone all'attenzione dello studiosointeressato agli aspetti psicologici della fenomenolo-gia religiosa come un particolare atteggiamento dipensiero e di azione implicante una risposta antropo-centrica alla dimensione unilateralmente teocentricadella religione rabbinica ufficiale. In altre parole,nella mistica ebraica, dagli Esseni ai Chassidim, èdata la possibilità di rintracciare, per cosi dire, un at-teggiamento compensatorio inconscio dell'animaebraica alla eccessiva predominanza dell'elementomaschile, conscio, razionale, al peso quasi insoppor-tabile del dio tradizionale. In questo senso, il Chassi-dismo (come anche la Kabbala e gli altri atteggiamentimistici di cui il Chassidismo si alimenta) attrae l'atten-zione dello psicologo per un particolare interesseche è — fatte le debite differenze — analogo a quelloche spinse Jung ad occuparsi ad esempio del misti-cismo taoistico, di quello eckartiano e, infine, di quelloalchimistico. In tutti questi atteggiamenti veniva ela-borata una particolare dimensione dell'uomo e so-prattutto una particolare visione della vita psichicaimplicanti la nozione di centralità dell'uomo nell'uni-verso e di unione paradossale di umano e divino co-me fondamento di una rinnovata vita spirituale ecome meta di una trasformazione dell'individuo chela psicologia analitica ha poi chiamato processo diindividuazione.Anche nel Chassidismo (in quanto ultimo risultatomaturo di un atteggiamento implicito in tutto l'ebrai-smo) sarà possibile riscontrare quella particolare di-mensione di centralità dell'uomo, di unione del divi-no e dell'umano, di totalità teandrica che è il nocciolodelle forme mistiche care alla ricerca junghiana. Vatuttavìa subito aggiunto che, come elemento specifi-

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(1) M. Buber, Werke, I.Schriften zur Philosofie.Monaco 1962. M. Buber,!! principio dialogico.Milano 1959. M. Buber,L'eclissi di Dio. Milano1952.

co del Chassidismo, e in questo senso differenzianterispetto alle altre forme di mistica, sarà dato ritro-vare in esso un atteggiamento irriducibilmente ebrai-co, un'intuizione dell'uomo che resta il contributopiù singolare che l'ebraismo ha portato alla storiadell'umanità.Una terza ragione, ancora più pertinente e specifica,consiste nel fatto che nell'analisi di soggetti ebraicio comunque con radici ebraiche, è facile, anzi moltoprobabile, incontrare talvolta uno strato d'ordine re-ligioso rivelantesi, ad un'osservazione attenta, dellastessa natura del filone mistico che corre sotterra-neamente a tutto l'ebraismo e che si palesa storica-mente nei due movimenti, in certo senso comple-mentari, della Kabbala e del Chassidismo. Il recipro-co bisogno di Dio e dell'uomo, la paradossale com-presenza della redenzione dell'uomo da parte di Dioe di Dio da parte dell'uomo, la ricerca appassionatadel « senso » dell'universo e dell'uomo, il destino diquest'ultimo ritrovato nella sua capacità di dar « sen-so » all'originario « non-senso » del cosmo, sono qua-si sempre reperibili nel fondo dell'anima ebraica e,nel lavoro analitico, sono le forme simboliche porta-tricidel processo di integrazione dell'individuo, i veicolidella redenzione dalla nevrosi. Nel Chassidismos'incontrano, come in un diagramma esemplare, que-ste forme simboliche segrete della psiche ebraica.Una quarta ragione, certamente meno essenziale, con-siste in una motivazione culturale, per altro non tra-scurabile. Non solo il Chassidismo e la riscoperta deisuoi valori originari al principio del nostro secolo han-no permesso di introdurre una nuova dimensione nellostudio e nella comprensione dell'anima ebraica, madal terreno del Chassidismo s'è alimentata tutta unacorrente di largo interesse filosofico e antropologicoche ha il suo più cospicuo rappresentante nel teolo-go ebreo Martin Buber (1). Poiché al giorno d'oggile tesi fondamentali di questo filosofo vengono utiliz-zate, direttamente o indirettamente, persino nel ver-sante antropologico della psicopatologia, è facilecomprendere quale interesse possa comportare, al-

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meno per il fenomenologo e l'antropologo, la risco-perta del filone mistico del Chassidismo. Infine unaquinta ragione ci porta nel cuore stesso della finalitàdi questa lettura: i testi chassidici, suscettibili disvariate interpretazioni di interesse psicologico, sonostati visti in questa sede soprattutto in connessionealla fenomenologia dell'archetipo del « senso » comecorrelato del raggiungimento della metadell'individuazione. In questa prospettiva, ilChassidismo offre un terreno quasi infinito di medi-tazione e di scoperta: il motivo della giustificazionedell'uomo e della sua redenzione dal non-senso co-smico è il filo conduttore della sparsa e disparata te-stimonianza chassidica. Quel che di più profondo,in sede psicologica, il Chassidismo ha cercato di ela-borare è una particolare dimensione umana per cuil'individuo si schiude continuamente alla rivelazionedella propria giustificazione e del significato del mon-do, sia nel sentimento di dipendenza da un Dio giu-stificatore, sia, e più ancora, nel sentimento dell'in-dispensabilità dell'uomo nell'opera di eterna reden-zione e ricostruzione di Dio. Sappiamo dalla psicolo-gia analitica che il risultato più tangibile dell'indivi-duazione conquistata è il profondo sentimento di giu-stificazione sperimentato dall'uomo, il sentimento diriscatto dall'insignificanza, dal non giustificato, daltorpore del non-senso: il Chassidismo è uno dei ter-reni religiosi più prossimi a noi in cui è riscontrabile,come in una proiezione di dimensioni tanto grandiquanto multiformi, uno dei contenuti più profondi del-l'anima umana.

M. Buber, Sette discor-si sull'ebraismo. Firenze1924.M. Buber, Immagini delbene e del male. Milano1965.H. Kohn, Martin Buber,sein Werk und seine Zeit.Hellerau 1930. S.Maringer, Martin Bu-ber's Metaphysik der Dia-logik. Colonia 1936. W.Nigg, Martin Buber'sWeg in unserer Zeit. Ber-no 1940.

2. IL CHASSIDISMO MODERNO (2).

Verso la metà del 700 nasce, in seno all'ebraismo po-lacco, un movimento mistico che trae il suo nomedalia parola ebrea « hàsid » (chassid) che significagenericamente pio, fedele, pieno di fede. Questomovimento non ha nulla a che fare col più vasto egenerico chassidismo medioevale, al di fuori dellenaturali costanti ebraiche riscontrabili in entrambi.

(2) M. Buber, Deutungdes Chassidismus. Berli-no 1935.M. Buber, Die chassidi-schen Bùcher. Hellerau1928.M. Buber, I racconti deiHassidim. Milano 1962. S.Dubnow, Geschichte desChassidismus. Berlinot931.S. H. Dresner, The Zad-dik, An inspired study ofthè mystical spiritual lea-

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der in Eighteenth -Centu-ry Hassidism. New York1931.L. Gulkowitsch, Der Hasi-dismus, religioes wissen-scheftlich Untersucht. Lip-sia 1927.L. Gulkowitsch, DieGrundgedanken der Chas-sidismus aìs Quelle sei-nes Schicksals. Tartu1938.L. Gulkowitsch, Das kultr-historisches Bild desChassidismus, Tartu 1938.S. A. Horodezki, Leadersof Hasidism. Londra 1928.L. J. Newman, The Hasi-dic Antology. New York1934.G . G. Sc ho lem, LesGrands courants de lamyst ique juive. Parigi1950.

Le determinanti storiche del Chassidismo polacco,sono molteplici: da una parte la profonda miseriamateriale delle plebi ebraiche dei piccoli e grandicentri della Polonia e le sofferenze dovute alle perio-diche persecuzioni da parte di autorità politiche divario livello spingevano naturalmente il credente atrovare conforto in una superiore vita spirituale, inuna forma di immediata comunione con Dio, che, co-me si vedrà, rappresenta il polo fondamentale dellamistica chassidica. D'altra parte la delusione suscita-ta dal fallimento dei molteplici movimenti messianicisuccedutisi nel seicento e nella prima metà del sette-cento, a cominciare da quello dovuto alla personalitàprestigiosa di Shabbetay Sewi per finire con quello diJakob Frank, entrambi figure di pseudo-messia, e ilperdurare tuttavia di una fervida attesa messianica,di una sorta di intima inquietudine dell'anima ebraicadell'Europa orientale, spingevano il religioso ebreoad una specie di ripiegamento mistico che spostasseil polo dell'attesa messianica verso l'immediata frui-zione di una comunione diretta con Dio: il messia con-creto viene sostituito con un messia interiore: valea dire la perenne rivelazione del divino che l'animasperimenta nella vita quotidiana e nella preghiera. Ilmovimento fu essenzialmente popolare, sorto dalleplebi e diretto alle plebi, e fu severamente osteggiatodal rabbinismo ufficiale. Ciò non toglie che le sueradici intellettuali si debbano ritrovare sia nel filonecentrale della tradizione ebraica biblico-talmudica,sia nella ricca tradizione mistica del giudaismo checulmina con la fioritura della Kabbala. Si può direanzi che il Chassidismo fu il vero continuatore dellamistica kabbalistica e insieme tradusse in termini disemplice prassi quotidiana, di comportamento etico-religioso, di morale spicciola e di liturgia mistica ilprezioso materiale di intuizioni, miti, simboli poliva-lenti, figurazioni gnostiche, folgorazioni soprarazionaliche è il contenuto più specifico della Kabbala teorica.Come si vedrà, alla base dei fondamentali atteg-giamenti etici, religiosi e psicologici del Chassidismocontinuano a fermentare i più importanti miti della

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grande età kabbalistica. Il merito del Chassidismoconsisterà appunto nella sua capacità di convertirein prassi quotidiana le grandi intuizioni mistiche dellakabbala, altrimenti riservate alla pura contemplazionedi un numero limitato di iniziati. Fondatore delmovimento si considera Israele Ben Eliezer, detto ilBaal-Shem-Tow (il Signore del Buon Nome), maestrodi scuola e taumaturgo. Da lui derivano, direttamente oindirettamente, nell'arco di un secolo o poco più, unacinquantina di altri maestri chassidici. Taluni di essilasciano trattati mistici di derivazione kabbalistica eoperette mistico-biografi-che sui predecessori; ma lavera, profonda linfa del chassidismo ci è tramandataattraverso la tradizione dell'aneddoto, del raccontobreve e della leggenda, tradizione che solo nei primidecenni del nostro secolo verrà fissata nelle grandiraccolte di Newman e dì Buber.Tenendo conto dell'interesse prevalentemente psi-cologico di questa lettura, le caratteristiche fonda-mentali del movimento possono essere cosi delineate:

a) un acceso anti-intellettualismo che sposta l'accento della formazione del religioso dallo studio della tradizione giudaica all'immediata esperienza deldivino nella vita quotidiana: Dio non vuole dall'uomopio lo studio faticoso, ma l'amore: l'entusiasmo dellacarità e l'intuizione amorosa che rivela la continuapresenza del divino nel mondo.

b) Un altrettanto acceso antiascetismo: le praticheascetiche non servono ad avvicinare l'uomo a Dio; alcontrario, l'allontanano da lui per il naturale collegamento psicologico tra la privazione e l'orgoglio dell'asceta. Dio non vuole dal fedele il martirio del corpo,ma la semplice, spontanea adesione immediata alleforme della vita, il ritrovamento in esse della lororadice divina.

c) La prassi mistica della gioia: il sentimento del-l'entusiasmo gioioso, l'esperienza di una naturale le-tizia congiunta alla spontaneità e alla semplicità è ilcompito psicologico quotidiano del chassid, la sua

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intima liturgia. Il servizio di Dio va compiuto con fer-vore pieno di letizia: la tristezza, la preoccupazione,la cura ci allontanano da Dio: Dio vuole dal fedelela serena gioia della vita.

d) II superamento della distinzione tra la sfera delsacro e quella del profano. Tutto è fonte di collegamento con Dio; tutto è materia di liturgia: gli atti piùumili, le cose più insignificanti rivelano ai chassidla loro natura divina quanto i gesti più alti della liturgia tradizionale. Dio è presente in ogni aspetto delmondo.

e) II paradossale congiungersi dell'atteggiamentoteologico pantelstico con il rigoroso trascendentismoebraico; la compresenza della teologia negativa delDio assolutamente ineffabile e della teologia pantelstica del Dio continuamente sperimentabile nell'immanenza. Come si vedrà, il fondamento di questa« contradictio » ingenuamente vissuta sta nella tradizione mistica kabbalistica che permette di contemplare, accanto a un dio irriducibilmente trascendente,una « presenza divina nel mondo » d'origine neopla-tonico-emanatistica.

f) II valore assoluto dell'individuo: II singolo è irriducibile a valori collettivi, esso stesso costituisceun valore assoluto: la specificità dell'anima umana, lasingolarità dei suoi attributi costituisce insieme il rischio e il valore dell'individuo. Come tale l'uomo è posto di fronte all'eterno, non come modello impersonale. Dio vuole dall'uomo l'attuazione della sua singo-rilatà irripetibile, non l'adeguamento ad uno schemacollettivo.

g) La prassi pedagogica dello zaddik. Zaddik significa giusto. Zaddikim venivano detti i maestri attraverso la cui mediazione l'uomo diventa Chassid. Manon l'insegnamento (in senso tradizionale) dello zaddik aveva valore di redenzione, bensì la sua stessaesistenza era strumento di conversione e liberazione.Anche qui il particolare anti-intellettualismo chassi-dico rivela la sua applicabilità al rapporto pedagogi-

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co: è la presenza umana dello zaddik, la compresenzaspirituale di maestro e allievo, che converte il disce-polo, non il mero insegnamento intellettuale.

h) La teologia mistica della « giustificazione: il com-pito dell'uomo è la scoperta quotidiana del «senso»del mondo e della giustificazione dell'individuo. Il si-gnificato intimo di questa giustificazione sta nella re-ciprocità del rapporto uomo-dio: non solo l'uomo habisogno di dio, ma anche dio dell'uomo. Dio non èsolo la sostanza iniziale, chiusa nella sua autosuffi-cienza, è anche il risultato finale dell'operare dell'uo-mo. « II divino è assopito nelle cose e può essere ri-svegliato solo da colui che accoglie le cose in san-tità e si santifica con esse. La realtà sensibile è divina,ma deve essere realizzata nella sua divinità da chivive veramente » (M. Buber).

3. I GRANDI MITI KABBALISTICO-CHASSIDICI (3)

Dice Gershom Scholem che « l'ideologia mistica delChassidismo derivò dall'eredità kabbalistica ma lesue idee si volgarizzarono in una tendenza inevitabileverso l'inesattezza terminologica ». E' probabile tut-tavia che proprio questa inesattezza chassidica ab-bia permesso ai grandi simboli spirituali della kabba-la di continuare a vivere sotto forma di prassi misticae di etica. In effetti non si può cogliere nel Chassidi-smo un nucleo speculativo-mitologico ben preciso ecostante che faccia da polo di riferimento teoreticoagli atteggiamenti pratici dei chassidim, tuttavia i nu-clei fondamentali del mist icismo speculativo dellaKabbala continuano ad essere presenti nel movimentoreligioso polacco: un breve e affatto incompletoelenco di dottrine e di temi mitologici può fornireuna visione anche sommaria del terreno simbolico sucui si instaura la pratica mistica del Chassidismo.

1) La paradossale compresenza di un Dio assolu-tamente trascendente e ineffabile, l'« En Sof », rag-giungibile solo per via di teologia negativa e di unDio presente nel mondo, manifestantesi continuamentein lui, che è tipica della speculazione kabbalistica, èpresente, come sappiamo, anche nell'ambito del

(3) G. G. Scholem, Lesgrands courants de la my-stique juive. Parigi 1950.R. B. Z. Bosker, Fromthè World of thè Cabba-lah. New York 1954. Ch.D. Ginzburg, The Kabbala.Londra T865. G. Vajda,Introduction à la penséejuive du moyen àge.Parigi 1947. G. G.Scholem, On thèKabbalah and its Symbo-lism. Londra 1965. J.Abelson, Misticismo e-braico. Torino 1929.

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Chassidismo con una particolare accentuazione del-l'aspetto immanente dì Dio. La questione tante voltediscussa di un probabile panteismo kabbalistico siripropone in seno al Chassidismo con le medesimeambiguità: la presenza di Dio nel mondo non escludela sua trascendenza. Vale appena ricordare che que-sta ambiguità è il nocciolo e la forza di ogni posi-zione mistica: esso è irrisolvibile al lume di una puraspeculazione razionale.

2) Per altro, Dio è creatore del mondo, e questo ètratto dal nulla secondo il dogma della tradizioneebraica. Ma poiché il nulla anteriore a Dio costituirebbe una limitazione dell'essere, la mistica kabba -listica contempla la dottrina dell'autolimitazione diDio nell'atto della creazione, quasi un suo « contrarsi » per far luogo a quel nulla, platonicamente intesocome « me on », non essere, « materia » su cui potrà poi esercitarsi la potenza plasmatrice divina. Questa dottrina (detta dello « tsintsum ») è probabilmenteuno dei nuclei più originali della gnosi kabbalistica:come ogni sistema gnostico, anche la Kabbaia è interessata al problema della giustificazione della materia, del caos precosmico, ma la soluzione kabbalistica differisce da ogni altra soluzione di carattere gnostico per un rigore in certo senso ineguagliabile; l'essere di Dio non è compromesso nella sua assolutezza e infinità dalla presenza di un non-essere che serva poi da sostrato alla creazione: l'ambiguità neoplatonica delle tenebre che circondano l'essere e inevitabilmente lo limitano è accuratamente tolta di mezzo: il sostrato materiale della creazione è esso stessorisultato dell'operare di Dio nel suo « contrarsi », enon preesistente a lui. Né è compromesso il drammacosmico della finale redenzione in Dio, concepita come restituzione dello stato iniziale dell'essere, scomparsa del nulla, reintegrazione dello stato precosmico.

3) La dottrina delle dieci Sefirot.Dio si manifesta attraverso una serie di dieci istanze,le Sefirot, di derivazione gnostica e neoplatonica, lecui complesse interrelazioni costituiscono la parte

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più cospicua della speculazione teosofica della Kab-bala. Le Sefirot non vanno intese tanto come ema-nazioni in senso neoplatonico, quanto come « modi »,manifestazioni, aspetti sensibili e intelligibili di Dioche, come En Sof, è ineffabile e al di sopra di ogniumano tentativo di comprensione. La loro interpreta-zione filosofica più coerente culminerà con la dot-trina spinoziana degli « attributi ». L'ultima delle Se-firot è praticamente identificabile con la Shekinà, lapresenza di Dio nel mondo, che ha tanta parte nellamistica chassidica. Essa è la manifestazione costantedi Dio nelle cose e negli eventi mondani; è la divinapresenza che il chassid deve poter cogliere in tuttociò che lo circonda e gli si manifesta. Si nota qui perinciso che la Shekinà, la presenza divina nel mondo,è di natura femminile; è anzi l'unica istanza femminiledella teologia mistica ebraica. Provvidenza, natura,« anima mundi », « natura creata nec creans », la She-kinà è il veicolo del ricongiungimento dei mondo conDio; ma ben più interessante, dal punto di vista dellafenomenologia degli archetipi, rappresenta il compa-rire di un elemento femminile, ctonio, animico, nelcosmo unidirezionalmente maschile, celeste, spiritua-le della psiche ebraica.Nella teologia mistica della Shekinà è racchiuso an-che il senso del problema del male. Il peccato origi-nale di Adamo è consistito nella separazione dellaShekinà dalle altre Sefirot e pertanto nella interruzionedella corrente vitale che scorre da Sefirà a Sefirà. Daquesto momento s'è creato uno scisma nel mondo ela Shekinà è in esilio. Il senso del bene operato dal-l'uomo nel mondo è il ricongiungimento della She-kinà a Dio, la redenzione della Shekinà dal suo esilio.Questo fonda anche la dignità dell'uomo: col suo ope-rare egli diventa un elemento centrale del drammacosmico: a lui spetta la reintegrazione di un ordineche il peccato originale ha infranto.

4) Parallelo, apparentemente contrastante, sostan-zialmente complementare alla dottrina della Shekinàè il mito delle « scintille divine » disperse in tutte lecose, che è centrale nella prassi mistica del chassi-

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dismo. Ogni aspetto del mondo sensibile racchiudeuna particeila del divino che va in un certo senso re-denta dalla sua prigionia. L'operare dell'uomo nelmondo è appunto un lavoro di continua scoperta eredenzione dell'elemento divino che è nelle cose;l'anima stessa dell'uomo è una particeila dell'AdamoPrimitivo, dell'Adam Kadmon, la cui unità sarà rein-tegrata quando il dramma cosmico sarà compiuto.Ma la reintegrazione dell'ordine divino ha appunto bi-sogno dell'opera dell'uomo. Dio non è soltanto già-dato nella sua compiutezza, è anche una realtà a ve-nire al cui compimento è indispensabile l'operare del-l'uomo. Il mito delle scintille divine disperse nelle coseè ancora un tentativo gnostico di interpretazione delmistero del male e della natura del mondo materiale.In questo caso non è invocato un peccato originarioma una sorta di originario « disastro » cosmico acca-duto all'atto della creazione, per cui i « recipienti »della divina saggezza non avrebbero potuto contene-re, quasi per un mistero di sovrabbondanza della gra-zia, il loro contenuto, e, infranti, avrebbero permessoil « fluire » dell'elemento divino nei mondi inferiori,la diffusione della luce, il disperdersi dell'originariaunità nelle cose materiali. Il mito è tanto affascinantequanto ambiguo. Esso ha tuttavia il valore di una pro-fonda intuizione antropologica; nella sua oscurità si faluce una nuova dimensione dell'uomo: accanto al-i'uomo« creato » da Dio si fa strada l'immagine dell'uomo «creatore » di Dio; accanto ai Dio-sostanza, chiuso nellasua compiutezza, si delinea il Dio in fieri; accantoall'uomo caduto e redimendo, l'uomo redentore.L'ambiguità dei miti kabbalistico-chassidici potràcostituire un serio problema per lo storico dellereligioni, ma diventa secondaria di fronte all'evidenzadelia nuova dimensione antropologica che essi impli-cano e che attraverso essi si fa strada nella coscienzadell'ebraismo e dell'umanità.Ai fini di questa lettura è praticamente necessaria edirettamente utilizzabile solo questa originale intuizio-ne dell'uomo sottesa alla straordinaria varietà e di-scordanza dei miti e del materiale simbolico.

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4. IL SIGNIFICATO DEL MITO EBRAICO (4)

In un breve saggio che resterà probabilmente fonda-mentale nella storia del sentimento religioso del giu-daismo, M. Buber si domanda quale sia l'intima na-tura del mito ebraico, il suo significato più profondo.Una ricerca di questo genere implica, tra l'altro, unaesatta definizione e chiarificazione del concetto dimito nel suo valore più universale ed esteso. In questosenso occorre dare al mito il significato di unafunzione della mente primitiva, e tuttavia semprepresente nell'uomo civile, che, in contrasto con ilprincipio di collegamento causale, accoglie e collegatra di loro gli eventi sulla base della loro singolarità,del loro « senso », della profonda significanza cheessi acquistano in riferimento all'uomo e alla sferadel divino, come espressioni di un « concatenamentomisterioso», supercausale. Il mito s'instaura cosiogni qualvolta il prepotente bisogno di dare « senso »agli eventi da parte dell'uomo interrompe o lacera laserie delle correlazioni causali e stabilisce una corre-lazione orientata e significante. « Questa facoltà didare ai fatti qualità di mito e forma di mito » non èsolo dell'uomo primitivo, ma « si conserva nell'uma-nità posteriore nonostante tutto lo sviluppo della fun-zione di causalità. In tempi d'alta tensione ed inten-sità della vita interna l'uomo quasi si libera dalle ca-tene della funzione di causalità, e interpreta il feno-meno del mondo come un fenomeno supercausale,pieno di senso, come l'espressione di un senso cen-trale che non può più essere afferrato col pensiero,ma con la potenza desta dei sensi, e colla vibrazioneardente di tutta la personalità, come una realtà evi-dente che si offre in ogni molteplicità ». Il mito èdunque il prodotto di un'alta attività simbolicadell'uomo che instaura accanto alla dimensionecausale degli eventi un collegamento metacausale ca-pace di dar senso alle cose, liberandole dal tessutodelle determinazioni meccaniche, o meglio, sollevan-do questo tessuto all'altezza di un « significato ».Puntualizzato in tal modo il valore generale del mito,c'è ora da chiedersi quale sia la natura specifica del

(4) M. Buber. Sette di-scorsi sull'ebraismo. Fi-renze, 1924.

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mito ebraico, quale particolare forma di collegamentometacausale ha portato nel mondo la millenaria at-tività simbolica dell'anima ebraica. Ora Buber affer-ma che tutti i libri narrativi della Bibbia hanno un unicocontenuto: « la storia degli incontri di Dio col suo popolo». La compresenza, nel dialogo, di uomo e Dio,l'amicizia o la lotta, l'amore o il rancore, l'appello ap-passionato o il diniego, il patto o la rottura del patto,comunque sempre lo stare-assieme-compresenti-in-un-dialogo-infinito, questo è il senso del mito ebraico.Questo è il simbolo instauratore di senso che l'animaebraica incessantemente produce nella storia delmondo. Anche quando, dopo i grandi incontri conl'uomo dei libri biblici, Dio « dalla visibilità della colon-na di fuoco e dalla percettibilità del tuono sul Sinai,entra nell'oscurità e nel silenzio dell'insensibilità,questa continuità del racconto mitico non si spezza;certo, Dio non può più essere percepito, ma possonoessere percepite tutte le sue manifestazioni nella na-tura e nella storia. Da queste è formato l'oggetto in-finito del mito postbiblico ».Se tale è il nucleo profondo e originario del mitoebraico — il dialogare ininterrotto di Dio con l'uomoe per conseguenza l'acquistar senso da parte del-l'uomo mediante questo dialogo, — si potrà ora pene-trare ancora più addentro a tale nucleo e scoprireche nella dinamica del colloquio i due poli, l'uomoe Dio, dipendono reciprocamente l'uno dall'altro eche il destino dell'uno è condizionato dal destino del-l'altro. Allora il contributo più originale che il mitoebraico porta nella storia spirituale dell'uomo saràquel che Buber chiama << la concezione dell'influssodell'uomo e della sua azione sul destino di Dio ».Questo nucleo mitico fondamentale permea, sia purein maniera più o meno esplicita, tutta la religiositàebraica — ove s'intenda per religiosità l'elemento ber-gsonianamente vitale, dinamico, individuale e creativodella religione, contrapposto alla fatale tendenza allasclerotizzazione, codificazione dogmatica, istituziona-lizzazione devitalizzata. Nella fenomenologia di questareligiosità sarà dato rintracciare come tre strati suc-

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cessivi e progressivamente profondi: lo strato dell'i-mitazione di Dio, lo strato della collaborazione tra Dioe uomo nell'eterna opera della creazione, lo strato infinedella « liberazione di Dio » per mezzo dell'operadell'uomo, della « realizzazione » di Dio attraversol'influsso dell'uomo.In questo ultimo strato compare una nuova e scon-volgente intuizione di Dio, che probabilmente solo dapoco ha cominciato ad emergere dal fondo inconsciodell'umanità; non più il Dio-sostanza, già dato, con-segnato alla sua chiusa perfezione, rispetto alla qualeil travaglio della creazione è puramente accidentale,ma il Dio venturo, in lenta e incessante gestazionemediante l'opera dell'uomo, la divinità in fieri che,per essere, chiede il contributo dell'umanità, il Dio-omega in cui il travaglio del mondo acquista senso.La Kabbala e il Chassidismo sono fra le più importantimatrici occidentali di questo Dio. In particolare ilChassidismo « insegna che il divino è assopito nellecose, e può essere svegliato solo da colui che acco-glie le cose in santità e si santifica in esse. La realtàsensibile è divina, ma deve essere realizzata nellasua divinità da chi vive veramente. La maestà di Dioè bandita nei recessi della realtà, essa giace legatasul fondo di ogni cosa, e viene redenta in ogni cosadall'uomo che contemplando e operando riscatta l'a-nima di questa cosa. Cosi ognuno è chiamato a de-terminare con la sua propria vita il destino di Dio;cosi ogni vivente sta profondamente radicato nel vi-vente mito ».

5. I TEMI FONDAMENTALI DELLA MISTICACHASSIDICA

A) L'Ombra

II tema centrale della mistica chassidica, quale sirivela attraverso la tradizione popolare del racconto,è senz'altro il tema del « senso » e della giustifica-zione dell'uomo, del suo riscatto dall'insignificanzamediante il rapporto con Dio: attorno a questo temasi strutturano con un ordine segreto, nonostante l'ap-

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parente disordine, gli altri valori fondamentali. Daquesti si deve cominciare, con un movimento che vadalla periferia al centro, se si vuole cogliere il si-gnificato psicologico degli atteggiamenti fondamentalidella vita chassidica.Il primo tema è quello che potremo chiamare, sfrut-tando una terminologia dichiaratamente psicologica,dell'« ombra ». Sappiamo che il negativo che è in noinon va rifiutato ma in qualche modo ricercato, ac-colto e trasformato, e che solo questa opera di rico-gnizione e metamorfosi conduce alla rigenerazioneinteriore che la psicologia conosce col nome di « in-dividuazione ».« Rabbi Abramo diceva: « dalle guerre di Federicodi Prussia ho imparato un nuovo modo di servizio. Perattaccare il nemico non c'è bisogno di avvicinarglisi:si può, fuggendo davanti a lui, circondarlo mentreavanza e prenderlo alle spalle, fino a che si arren-da. Non ci sì deve avventare contro il male, ma riti-rarsi sulla originaria forza divina e di li circondarloe piegarlo e trasformarlo nel suo opposto ». L'ombradeve essere nello stesso tempo accolta edepotenziata; il negativo che è in noi ha un pesoinsopportabile solo quando non è relazionato al cen-tro positivo dell'essere. Ma quando il senso di unaesistenza è raggiunto anche il male perde il suo po-tere e può persino essere dissolto dalla potenza re-dentrice dell'ironia che scaturisce dal senso conqui-stato.« Dimorando una volta a Mesritsch, il Raw di Kolbi-schow vide un vecchio venire dal Magghid a chieder-gli una penitenza per i suoi peccati. « Va a casa »,disse il Magghid, « scrivi tutti i tuoi peccati su un fo-glio e portamelo ». Quando l'uomo glielo portò eglivi gettò appena uno sguardo, poi disse: « Ritorna pu-re a casa, va bene ». Più tardi il Raw vide però cherabbi Bar leggeva il foglio e a ogni riga rideva sono-ramente. Questo gli dispiacque: come si può rideredei peccati? Per anni non seppe superare questo ri-cordo, fino a che non senti riferire questo detto delBaalshem: « E' noto che nessuno compie un peccato

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se non è entrato in lui lo spirito di follia. Ma che fa ilsaggio quando viene da lui un folle? Egli ride di tuttele sue follie, e mentre rìde passa sul mondo l'alitodell'indulgenza, la severità si distrugge, ciò che pesa-va si fa leggero ». Il Raw riflette. « Ora comprendoil riso del santo Magghid », disse nell'anima sua ». Difronte alla presenza redentrice del senso la stessanozione teologica di male perde il suo valore assolu-to: anche il cattivo ha la sua giustificazione. RabbiPhinas diceva: « II rapporto di Dio verso i cattivi sipuò paragonare a quello di un principe che oltre aisuoi splendidi palazzi possegga anche ogni sorta dipiccolissime case di campagna nascoste nei boschie nei villaggi, dove talvolta egli va per cacciare oper riposarsi. La dignità dei palazzi non è maggioredi una di tali dimore occasionali; perché l'aspetto degliuni non è come l'aspetto delle altre, e ciò che compiequel luogo modesto non lo può compiere quelloimportante. Cosi avviene anche per il giusto: perquanto grande sia il suo valore e il suo servizio, eglinon può compiere ciò che il cattivo compie in un'orain cui prega e fa qualcosa in onore di Dio, e Dio, cheosserva i mondi della confusione, si rallegra di iui.Perciò il giusto non si creda di più del cattivo ».L'imitazione di Dio deve spingersi allora fino a sapervedere in ciascuno soltanto la sua luce e a permettereun appressamento dell'uomo all'uomo sulla basedella santità potenziale dell'individuo: anche nell'am-bito del giudizio morale l'ombra non risolta nella lucedel senso individuale può allontanare dalla verità. «Rabbi Wolf non vedeva il male in nessuno e chiamavagiusto ogni uomo. Un giorno che due litigavano e sicercò di metterlo contro il colpevole, egli rispose: «per me valgono tutti e due lo stesso, e chi può ardiredi intromettersi tra due giusti? ». Ad un certo punto de!proprio processo di redenzione dal non-senso devepotersi scoprire il valore positivo del preteso peccato.In quel momento anche il peccato diventapreparazione al bene. « Un giorno un chassid accusòpresso Rabbi Wolf certuni che facevano di nottegiorno giocando a carte.

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« Questo è bene », disse lo zaddik. « Come tutti gliuomini essi vogliono servire Dio e non sanno come.Ma ora imparano a tenersi svegli e a perseverare inun'opera. Quando raggiungeranno la perfezione inquesto, avranno soltanto bisogno di convertirsi, e cheservitori di Dio saranno allora! ».Il saper vedere in ciascun uomo la parte individualedi luce che redime l'ombra e riscatta la negatività delmale è lo scopo del vero zaddik. « II giovane Sussjaera un giorno in casa del suo maestro, il grandeRabbi Bar, quando un uomo si presentò a questo elo pregò di consigliarlo e aiutarlo in un'impresa. MaSussja, vedendo che quell'uomo era pieno dipeccato e non toccato dal pentimento, si adirò e lorimproverò dicendogli: « Come può uno come te,che ha commesso questo e quel misfatto, ardire dipresentarsi al cospetto di un santo senza vergognané desiderio di penitenza? ». L'uomo se ne andòsenza dir nulla, ma Sussja si pentì subito di quantoaveva detto, e non sapeva che fare. Allora il suomaestro lo benedisse: che d'ora in poi egli vedessenegli uomini soltanto il bene, anche se peccavanosotto i suoi occhi ». La potenza redentrice del sensodeve poter risolvere il male fino a mostrarnel'insignificanza. Ciò è vero anche nel caso dellasofferenza e del lato apparentemente negativo di undestino. « Quando Rabbi Shmelke e suo fratelloarrivarono dal Magghid di Mesritsch, dissero: « i nostrisaggi ci hanno lasciato una massima che non ci dapace, perché non riusciamo a comprenderla. E'questa: che l'uomo deve lodare e ringraziare Dioper il male come per il bene e accoglierlo con lastessa gioia. Diteci, Rabbi, come dobbiamointenderla? « II Magghid rispose: « andate allascuola, vi troverete Sussja che fuma la pipa. Egli vidarà la spiegazione ». Andarono alla scuola esottoposero la loro questione a Rabbi Sussja. Questirise: « Avete proprio trovato la persona giusta!Dovete rivolgervi a qualcun altro e non a uno comeme che non ha sofferto il male in vita sua ». Ma quellisapevano che la vita di Sussja, dal giorno

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della sua nascita fino a quel giorno, non era stata al-tro che miseria e patimento. Allora compresero checosa voglia dire accogliere la sofferenza con amore ».D'altra parte tutto il peso del male è risolto nel mo-mento che se ne comprende il significato dinamico:la redenzione ha bisogno del peccato. « Una voltaRabbi Sussja, la vigilia del giorno del perdono, sentinella Sinagoga un cantore cantare in modomeraviglioso le parole « ed è perdonato ». Allora gridòa Dio: « Signore del Mondo, se Israele non avessepeccato, come ti sarebbe risonato un tale canto? ». Siconosce il peso che nel rapporto individuale del tipoanalista-analizzando ha l'accettazione del latod'ombra del secondo da parte del primo. Nessunaoperazione di trasformazione è possibile, se non sullabase della profonda solidarietà dell'analista con laparte oscura del paziente.« Rabbi Shlomo diceva: « se vuoi sollevare un uomodalla melma e dal fango, non credere di poter re-stare in alto e accontentarti di stendergli la manosoccorrevole. Devi scendere giù tutto, nella melma enel fango. Allora afferralo con forti mani e ricondu-cilo con te alla luce ».L'ombra non può essere presa di petto, deve esserebensi trasformata. Nel commento di Wilhelm all'I King(sentenza del segno Kuai, lo Straripamento) si dice,a un certo punto, testualmente: « finché ci si accapi-glia con i nostri errori essi rimangono sempre vitto-riosi. Il miglior modo di combattere il male è proce-dere energicamente sulla via del bene ». « Ungiovane dette al Rabbi di Rizin una supplica in cuichiedeva l'aiuto di Dio per riuscire a piegare i cattiviistinti. Il Rabbi lo guardò ridendo: « vuoi piegare gliistinti? Spalle e reni ti spezzerai, ma l'istinto non lopiegherai. Ma prega, studia, lavora seriamente e ciòche è cattivo nei tuoi istinti svanirà da solo ».

B) L'individuo

Strettamente connesso al tema dell'ombra è quellodeìla irriducibilità del valore individuale, l'assolutezzadel singolo, l'unicità e l'irripetibilità della persona.

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Questa individualità senza confronti l'uomo deve por-tare davanti a Dio, non altro. Il compito straordinariodell uomo è appunto la scoperta e l'accoglimento delsuo valore individuale. Questo è anche la sua mis-sione religiosa.« Prima della sua morte Rabbi Sussja disse: « nelmondo a venire non mi si chiederà: « perché non seistato Mosé? » Mi si chiederà: « perché non sei statoSussja? ».Nei rapportarsi a Dio, nello stabilire il dialogo che dasenso alla sua esistenza, nell'aprirsi al Tu che dafondamento alla vita e rende uomo l'uomo, l'individuodeve sopportare il peso e il privilegio della sua uni-cità.« Chiesero a Rabbi Phinas: « perché sta scritto: ilgiorno che Dio creò un uomo sulla terra, e non: ilgiorno che Dio creò l'uomo sulla terra? ». Egli spie-gò: « tu devi servire il tuo creatore come se sullaterra non ci fasse che un uomo solo, tu solo! ». Mala ricerca e l'accoglimento della propria irriducibilesingolarità implica la rinuncia all'eredità paterna, nelsenso evidente del rifiuto degli elementi nonindividuali del destino.« Dopo la sua morte, il Magghid apparve a suo figlio,e per il comandamento che impone di onorare i ge-nitori, gli ordinò di abbandonare la sua vita di per-fetto ritiro dal mondo: « che era una vita pericolosa ».Abramo rispose: « lo non conosco alcun padre secon-do la carne, ma solo un padre pietoso in tutti i vi-venti ». « Avendo accettato la mia eredità », disse ilMagghid, « mi hai riconosciuto come padre anchedopo la mia morte ». « lo rinunzio all'eredità paterna »,gridò Abramo. Nello stesso istante scoppiò un incen-dio in casa, che distrusse il modesto retaggio del Mag-ghid a suo figlio, e quello soltanto ». Questa rinunciava condotta fino all'estrema conseguenza di unaradicale spoliazione dei residui kar-mici. La scopertadell'individualità, la scoperta della autogenerazionespirituale e la restituzione al padre carnale deglielementi del suo destino che non possonoappartenerci deve essere radicale.

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« Quache tempo dopo il cognato di Abramo gli portòin dono la sopraveste di seta bianca che il Magghidindossava nei giorni di festa grande. Alla vigilia dellafesta del perdono Abramo la indossò per rendere ono-re a suo padre. Le lampade della sinagoga erano giàaccese. In un movimento appassionato lo Zaddiksi curvò su una di esse, la sopraveste prese fuoco egliela strapparono di dosso. Con uno sguardo inten-so, la guardò farsi cenere ».Persino la tradizione religiosa può essere di peso:una condizione da rifiutare sulla via della scopertaindividuale e della ricerca del rapporto irriducibil-mente sìngolo con Dio. La religione tende a farsistatica, mero involucro collettivo, quando perdiamodi vista l'unicità del dialogo tra l'io umano e il tudivino.« II Baalshem diceva: « Noi diciamo: « Dio di Abramo,Dio di Isacco e Dio di Giacobbe », e non diciamo« Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe »; poiché Isaccoe Giacobbe non si appoggiarono sulla ricerca e ilservizio di Abramo, ma ricercarono da se stessi l'u-nità del creatore e il suo servizio ». Dal punto di vistadel « singolo » non c'è altra paternità che quellaspirituale. L'eredità corporea che ci trasmette glielementi karmici del destino va considerata come unasorta di condizionamento naturale che l'individuodeve imparare a dominare e trasformare. La « primamateria » che si offre al riordinamento spirituale dellaquotidiana opera demiurgica dell'individuo.« II Rabbi Shmelke disse: « secondo i nostri saggi, treprendono parte alla creazione di ogni essere umano:Dio, padre e madre. La parte di Dio è tutta santa; lealtre possono venire santificate e rese simili a quella.E' questo che intende il comandamento: Voi sietesanti eppure dovete ancora diventar santi; cosi dovetetenere l'eredità paterna e materna in Voi, che si op-pone alla santificazione, e non soggiacerle, ma pa-droneggiarla e plasmarla ».Il trovare se stessi, la scoperta della irriducibilità delvalore individuale è tutt'uno con il trovare Dio; in ter-

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mini moderni l'individuazione e la scoperta della pro-pria dimensione religiosa si trovano in un rapportodi mutuo condizionamento. E' probabile anzi che ladistinzione tra i due movimenti spirituali abbia un va-lore meramente formale ed esteriore. « QuandoRabbi Baruch arrivava alle parole del salmo: « nondarò sonno ai miei occhi né riposo alle palpebre finoa che non abbia trovato una dimora a Dio », sifermava e diceva a se stesso: « fino a che trovo mestesso e faccio di me una dimora pronta ad accoglierela Shekinà ».Poiché ogni evento umano ha valore in quanto as-sume forme individuali, anche il linguaggio delia ri-velazione quotidiana di Dio all'uomo è individuale,si dirige al singolo nella sua irriducibile unicità. «Rabbi Pinchas diceva: « il primo deli'anno Dio è inquella forma di occultamento che viene chiamata« stare sul trono » e ciascuno lo può vedere, ciascunosecondo la propria natura: uno nel pianto, uno nellapreghiera e uno in un canto di lode ». Non solo illinguaggio del rivelarsi quotidiano del divino all'uomoha il carattere dell'assoluta individualità, ma anche illinguaggio che lega l'uomo ali'uomo, se è linguaggioautentico, fondato sulla comunione individuale, recasempre i segni di una esclusività che non consentesostituzioni dei destinatari del messaggio. In questosenso, la parola del maestro è mul-tidimensionale ed èaccolta da ciascuno come comunicazione individuale.« Quando una sera i visitatori del Baalshem se neandarono, dopo aver sentito la sua parola, uno di lorodisse al suo compagno che le parole che il Baaishemgli aveva rivolto gli avevano fatto molto bene. L'altrolo ammoni che non dicesse sciocchezze: erano pureentrati insieme nella stanza, e per tutto il tempo ilmaestro non aveva parlato ad altri che a lui. Un terzoche udf questo si mischiò sorridendo nel discorso;come stranamente sbagliavano tutti e due, il Rabbiper tutta la sera si era intrattenuto confidenzialmentecon lui. La stessa cosa disse un quarto, un quinto,

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e infine tutti assieme confessarono ciò che era loroavvenuto. Ma un attimo dopo tutti ammutolirono ».

C) Relativizzazione dell'Io

Coordinato e complementare al tema del valore asso-luto dell'individuo è il tema della relativizzazione del-l'Io. Il fondamento dell'individuo non è nell'Io, al con-trario l'Io, qualora venga assoiutizzato, può porsi co-me barriera tra l'uomo e ia sua natura profonda. Nelmovimento di autenticazione religiosa l'Io deve impa-rare ad autolimitarsi e a relazionarsi con istanze psi-chiche che lo trascendono senza tuttavia annullarlo.« A proposito delle parole della scrittura: « lo sto trail Signore e voi », Rabbi Michal diceva: « L'Io sta traDio e noi. Se l'uomo dice « lo » e sì arroga la paroladel suo creatore, si separa da iui. Se invece offre ilsuo « lo » davanti a lui non c'è più una parete divi-soria. Perché di lui è scritto: « lo sono del mio amicoe verso me va il suo desiderio ». Se il mio « lo » èdiventato del mio amico, il suo desiderio si rivolge ver-so di me ».Finché l'uomo non sente altro fondamento di sé cheil suo lo, egli rimane escluso dal movimento di au-tenticazione di sé che lo porta alla fondazione delianuova totalità psichica rispetto alla quale l'Io è uni-camente parte. In un racconto tratto dalla tradizionemistica sufita si narra che un discepolo non potevavenire accolto dal suo maestro perché ogni volta chesi presentava alla porta di quest'ultimo, dopo un'in-tenso periodo di preparazione spirituale, rispondevaalla domanda « chi è » con la parola « lo ». Solo quan-do potè superare questo ostacolo psicologico e, sullabase di un'interiore preparazione, rispondere « tu »alla domanda del maestro, vide aprirsi la porta dellacasa nella quale desiderava ardentemente essere ac-colto.Cosf nella tradizione chassidica si racconta che « unoscolaro del grande Magghid, recatosi di notte a tro-vare Rabbi Aronne di Karlin, suo amico, battè allafinestra illuminata. « Chi chiama? » chiese la vocefamiliare e, poiché era sicuro che anche la sua voce

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sarebbe stata riconosciuta non rispose altro che:« lo ». Ma la finestra rimase chiusa e dall'interno nonvenne altro suono per quanto battesse un'altra epiù volte. Finalmente, turbato, gridò: « Aronne, perchénon mi apri? ». Gli rispose allora la voce dell'amico,ma cosi grave e solenne da sembrargli quasi estra-nea: « Chi è che osa chiamarsi " lo ", come spettasolo a Dio? ».La relativizzazione dell'Io è il segreto insegnamentodella Kabbala. Il fine dell'uomo è rendersi disponibile,accogliere, permettere che la trascendenza sconvol-ga, permei e riordini secondo un principio diversole chiuse strutture dell'Io.«A uno scrittore che lo interrogava sulla Kabbala, ladottrina segreta, Rabbi Moshe disse: « Osserva beneche la parola Kabbala deriva da Kabbel, che signi-fica accettare, accogliere. Perché il fine di tutta lasapienza della Kabbala è: prendere su di sé il giogodella volontà di Dio ».Il rendersi disponibile è tutt'uno con il dimenticarsidi sé. Quando il centro dell'individuo si è spostatodall'Io al Sé, allora e solo allora è possibile il dialogotra l'umano e il divino.« II Magghid disse un giorno ai suoi scolari: «voglioindicarvi il modo migliore di dire la Torà. Bisognanon sentire più affatto se stessi, non essere più cheun orecchio che ascolta ciò che il mondo del verbodice in lui. Ma non appena si comincia a sentire lapropria voce si cessi ».

D) II nulla

La relativizzazione dell'Io e l'incontro con una realtàpsichica più vasta e dinamica è coordinata ad unmovimento di annullamento e di rinascita, ad un ra-dicale cambiamento di segno nell'atteggiamento del-l'Io, ad un rovesciamento dei valori consci che lapsicologia analitica conosce sotto il nome di « enan-tiodromia ». La corsa all'incontrano esige che il fon-damentale fattore qualitativo del movimento, la di-rezione, cambi di segno, passi dunque per il puntozero, per il nulla. Appunto il tema del nulla potremo

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chiamare una particolare costante della prassi mi-stica chassidica che ha il suo corrispettivo, nell'am-bito della tradizione cristiana, nell'atteggiamento spe-culativo e pratico che si impernia nella parabolaevangelica del seme che muore. Ogni cominciamentosorge dall'annullamento dello stato interiore, ogninuova realtà psichica implica la distruzione dellacondizione che precede. « II Magghid di Mesritschdiceva: nessuna cosa al mondo può passare da unarealtà ad un'altra realtà se prima non è passata per ilnulla, cioè per la realtà dello stato intermedio. Là essaè nulla e nessuno può afferrarla; poiché è giunta algradino del nulla come prima della creazione. Eallora essa viene trasformata in una nuova creatura,dall'uovo al pulcino. Nell'attimo dopo che è terminatala distruzione dell uovo e prima che sia incominciatoil divenire del pulcino, è il nulla.La « noche oscura del alma » di S. Giovanni dellaCroce è il più evidente, seppure certamente non l'u-nico, riferimento cui può ricorrere il nostro pensieroabituato ad esempi della tradizione cristiano-occi-dentale.Rabbi Pinchas diceva: « Ogni creatura si rinnova nelsonno, anche le pietre e le acque, e l'uomo, se vuoleche la sua vita sempre si rinnovi, deve prima addor-mentarsi, spogliarsi della sua forma e raccomandarea Dio la sua anima nuda: allora essa sorge e ricevenuova vita ».Trasferito in termini di psicologia, il passaggio peril puro nulla come condizione della rinascita è larelativizzazione dei valori dell'Io. Nella mistica chas-sidica tale momento ha come due piani dì realizza-zione: da una parte esso rappresenta un vero e pro-prio momento enantiodromico nel destino del singoloe della collettività.« Fu chiesto a Rabbi Pinchas: « perché, come ci ètramandato, il Messia deve nascere nell'anniversariodella distruzione del Tempio? ». « II grano seminatonella terra », rispose egli, « deve perire perché ger-mogli la nuova spiga. La forza non può risorgere se

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non si ritira nella grande oscurità. Spogliare forma,rivestire forma, questo avviene nell'attimo del puronulla. Nel calice dell'oblio cresce il potere della me-moria. Questa è la forza della redenzione. Il giornodella distruzione, la forza giace nel fondo e cresce.Perciò in quel giorno andiamo alle tombe, perciò inquel giorno nascerà il Messia ». Dall'altra parte questo« passaggio per il nulla » rappresenta un momentoextra-temporale inscritto nella struttura stessa dellaesistenza, quasi una interna disponibilità al nulla chepermetta l'ingresso del divino nell'umano, larealizzazione della condizione teandricafondamentale." II figlio minore di Rabbi Sussja diceva: « Gli zaddi-kim che nel loro servizio vanno sempre di santuarioin santuario e di mondo in mondo, devono ogni voltagettar via da sé la propria vita per ricevere uno spi-rito nuovo, cosi che ogni volta aleggi su di loro unanuova illuminazione ".(E' interessante — o per lo meno curioso — notare aquesto punto quale grande valore attribuissero i chas-sidim al sonno come strumento di relativizzazionedell'Io — e di una sorta di fondamentale disponibilitàal nulla che sembra caratterizzare l'autenticità del-l'esistenza — e al sogno come relativizzazione deivalori dell'Io: Una volta che Rabbi Moshe Teitlbaumebbe detto a se stesso: « Grazie a Dio, ho fatto tuttol'anno ciò che era retto, rettamente ho studiato, ret-tamento ho pregato... », la stessa notte in sogno glifurono mostrate tutte le sue opere buone: erano strac-ciate, a pezzi, deturpate).

E) Anti-intellettualismo

Al tema del nulla, dell'enantiodromia e delia relati-vizzazione dell'Io, sono strettamente collegati i temidell'antiascetismo e dell'anti-intellettualismo chassidi-co. Ascetismo e intellettualismo, nella loro apparentediversità, sono entrambi radicati nella volontà e nellacoscienza, nascono come conseguenza della impo-stazione unidirezionale della vita psichica, incentratanell'Io e separata dalla forza vitale delle istanze in-

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consce. Entrambi allontanano l'uomo dalla sua fontespirituale e lo condannano all'isterilimento. IlBaalshem diceva: « quando io sono ad un altogrado di conoscenza, so che in me non è neppureuna lettera dell'insegnamento di Dio e che non hofatto neppure un passo nel servizio di Dio ». Lo studioè diversione dal colloquio con Dio, cade in ta! casosotto la categoria pascaliana del « divertimento »,della « distrazione », allontanamento dell'uomo dallasua sede originaria, dispersione della natura autenticanella banalità mondana. « Moshe Hajim Efraim, ilnipote del Baalshem, si consacrò in giovinezza allostudio e divento un grande studioso, fino a deviare unpoco dalla via chassi-dica. Suo nonno, il Baalshem,teneva a passeggiare spesso con lui fuori di città, equello lo seguiva, anche se con qualche riluttanza,perché gli dispiaceva perdere il tempo che avrebbepotuto dedicare allo studio. Una volta incontraronoun viandante che veniva da un'altra città. IlBaalshem gli chiese di uno dei suoi concittadini. E'un grande studioso, rispose quello. Gli invidio la suaapplicazione allo studio, disse il Baalshem. Ma chedebbo fare? lo non ho tempo di studiare perché devoservire il creatore ». Da quell'ora Efraim si rivolsedi nuovo con ogni forza alla via chassidica ».

F) Antiascetismo

Ma se l'intellettualismo distrae « pascalianamente »l'uomo dal dialogo con l'eterno Tu, l'ascetismo sem-bra avere il torto ben peggiore di distrarlo dalla quo-tidiana fruizione di Dio nelle cose, dalla serena eimmediata liturgia della gioia. « Quando RabbiShmelke ritorno dal suo primo viaggio dal Magghid egli chiesero che cosa avesse imparato, egli rispose:fino a ora avevo mortificato il mio corpo affinchèpotesse sopportare~ì'anima. Ora ho visto e appresoche l'anima può sopportare il corpo e non ha bisognodi separarsi da esso. E' questo che ci è detto nellaSanta Torà: « io stabilirò la mia

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dimora in mezzo a voi, e la mia anima non vi aborrirà». Poiché l'anima non deve aborrire il suo corpo ».L'unico ascetismo possibile è quello inconsapevolee involontario, non fondato dunque sull'Io, ma sulcentro originario della personalità. « Nella suagiovinezza il Baalshem, quando, terminato il sabato,andava per tutta la settimana al luogo del suo ritiro,soleva prendere con sé sei pani e una broccad'acqua. Un venerdf, quando volle sollevare da terrail suo sacco per tornare a casa, si accorse che erapesante, lo apri, e vi trovò ancora tutti i pani. Allora sene meravigliò. Digiunare in questo modo è permesso».L'ironia chassidica s'appunta talvolta contro la morti-ficazione della carne sorprendendone l'interiore con-traddizione fondata sull'ipervalutazione dell'Io. «A unuomo noto per il suo timore di Dio e per le suesevere penitenze, Rabbi ludel, che lo visitava, ilMagghid di Zloczow disse un giorno: « ludel, tu portiun cilicio sul corpo. Se tu non fossi un iracondo nonne avresti bisogno. E poiché tu sei un iracondo, nonti serve a nulla ».L'accento più penetrante e nello stesso tempo piùaspro dell'antiascetismo chassidico è raggiunto daNa 'hum di Stepinescht che diceva: « io non so checosa è un pio, e anche da mio padre non ho appresonulla in proposito. Ma penso che sia una sorta diabito; la stoffa di fuori è fatta di orgoglio e la foderadi rancore, ed è cucito col filo della malinconia ».Infine l'immagine dell'uomo che la mistica antiasce-tica del Chassidismo può fornire proprio in base alsuo rifiuto del ripudio della terrestrità, della carne,della fenomenologia del quotidiano e della fruizionedella materia è l'immagine di una creatura salda-mente ancorata alla terra proprio per il suo tendereal cielo, coerentemente immersa nell'immanente pro-prio per il suo naturale volgersi alla trascendenza.« A proposito delle parole della Scrittura: « una sca-la, appoggiata sulla terra, e il suo capo tocca ilcielo », Rabbi Aronne di Karlin diceva: « se l'uomo di

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Israele si tiene unito e sta saldo sulla terra, allora ilsuo capo tocca il cìelo ».

G) II motivo della gioia

Liberata dall'intellettualismo e dall'ascetismo, la vitareligiosa dell'uomo, — ma, come vedremo, per laradicale indistinzione tra sacro e profano intrinsecaal Chassidismo, la vita dell'uomo tout court — sirisolve nel sentimento mistico della gioia. RabbiGiacobbe Giuseppe, soleva dire che « preoccupazionee tristezza sono le radici di tutte le forze del male », eanche che « la Shekinà, (la presenza divina nelmondo) non aleggia sulla tristezza, ma sulla gioianella preghiera ». Preoccupazione e tristezza sono ilrisultato di un ancoramento dell'uomo ai limiti delpuro lo, scaturiscono direttamente dall'identificazionedell'individuo con l'Io e dal conseguentedepauperamento della vita psichica. Un Rabbi solevadire: « non bisogna preoccuparsi. Un'unica preoccu-pazione è permessa all'uomo: di non preoccuparsi ».La perdita della ricchezza della totalità originaria del-l'anima e la riduzione al principio dell'Io è anche ilmotivo dell'incomprensione della gioia nell'altro. «Un suonatore di violino suonava un giorno con tantadolcezza che tutti coloro che lo sentivano si metteva-no a danzare, e chi soltanto giungeva nell'ambito del-la musica, era preso anche lui nella danza. Ed eccovenirsene un sordo che non sapeva nulla di musica;e ciò che vide gli sembrò un comportamento dapazzi, senza senso e senza gusto ». La gioia è larivelazione del divino nel mondo; ogni forma di gioiapertanto è da considerarsi veicolo della presenza,persino l'umorismo e lo scherzo. Rabbi Pinchasdiceva: « tutte le gioie vengono dal paradiso, anchelo scherzo, se è detto in vera gioia ». Al contrario, laperdita della gioia è il segno del ri-dursi dell'anima aimeri confini dell'Io e del suo chiudersi all'esperienzadei Tu. « Ci viene detto: « Se tu dimentichi la gioia ecadi in malinconia, tu dimentichi il Signore, tuo Dio »,« Poiché sta scritto: « Forza e gioia sono nella suadimora ».

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H) II rapporto maestro-scolaro

II diventare Chassid, s'è visto, è un processo di tra-sformazione della personalità che implica almeno al-cune delle tappe fondamentali dell'individuazione: laricognizione, l'accettazione e la dinamizzazione del-l'ombra; il riconoscimento della irriducibilità del va-lore individuale; il superamento e la relativizzazionedell'Io; il momento enantiodromico e la rinascita spi-rituale. Non dobbiamo dimenticare che questa tra-sformazione si attua in seno ad un rapporto di mae-stro e discepolo e solo mediante questo giunge amaturazione. Sappiamo che il maestro chassidico nonimpartisce dottrina, non ha nulla da donare sul pianodell'intelletto e della cultura; nondimeno egli consen-te l'attuarsi di un mutamento radicale della perso-nalità nell'allievo, rende possibile il passaggio dalladispersione all'unità, dal non senso al senso. Si trattadi un rapporto particolare in cui il dialogo non è fontedi comunicazione, ma di modificazione psicologica; laparola non è segno, ma simbolo attraverso cuiviene attinta l'energia necessaria alla trasformazione.Conosciamo dalla psicologia del transfert le moda-lità per cui l'essere assieme presenti in un dialogopermette la trasformazione e il riordinamento dellapersonalità. Alcune di queste modalità sono impli-cite nel rapporto chassidico di maestro-allievo.Innanzi tutto l'intima adesione all'ombra dello sco-laro, la simpatia per l'aspetto oscuro della sua esi-stenza che già conosciamo in particolare dall'aned-doto di Rabbi Shlomo il quale asseriva la necessitàdi scendere nel fango per soccorrere un uomo ca-duto nel fango. Ma più in generale, quando lo sco-laro ha perso il suo rapporto con il senso originariodall'esistere religioso, è caduto nella disperazionedel non-senso, il maestro deve aderire a lui proprioin questa negatività; solo cosi lo può trarre fuori,rifarsi all'inizio della sua strada verso il senso e ri-condursi allo stesso dolore originario. « RabbiHanoch raccontava: « Per un anno intero desideraiardentemente di andare dal mio maestro, RabbiBunam, e di parlare con lui. Ma ogni volta che

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entravo in casa non mi sentivo da tanto. Finalmenteun giorno che camminavo piangendo per i campi, aun tratto non potei fare a meno di correre subito dalRabbi. Egli chiese: « perché piangi? ». « lo sono pureuna creatura dei mondo » dissi, « e sono creato contutti i sensi e tutte le membra, ma non so chi sono,a che sono stato creato, e a che servo in questo mon-do ». «Scioccherello», diss'egli, «è lo stesso chio-do che ho anch'io. Stasera cenerai con me ». Aderireintimamente all'ombra del discepolo per com-prenderne il significato vuoi dire anche mostrare laluce potenziale occultata in seno all'oscurità, lavirtuale positività dell'ombra. In questo senso ognicondanna moralistica spezza il dialogo, annulla il va-lore del rapporto trasformatore. Questo è probabil-mente il significato profondo dell'aneddoto sopra ci-tato relativo a Rabbi Sussja e al suo momentaneorifiuto del male nell'altro.Il maestro non insegna alcunché, almeno nel sensocomune della parola; né l'allievo deve ricevere altroall'infuori della pura presenza umana nell'ambito delrapporto. Questo è trasformatore, non la comunica-zione come tale.« Rabbi Lòb, figlio di Sara, lo zaddik segreto che, se-guendo il corso delle acque, vagava sulla terra perredimere le anime dei viventi e dei morti, raccontava:« se io andai dal Magghid non fu per ascoltare inse-gnamenti da lui, ma solo per vedere come egli si slac-cia le scarpe di feltro e come se le allaccia ». Peraltroil « parlare bene », la ricerca della parola èl'impedimento più evidente al vero dialogo, alla purapresenza del Tu.« Un dotto che un sabato era ospite alla tavola diRabbi Baruch gli disse: « diteci parole di insegna-mento, Rabbi, voi che parlate cosi bene! ». « Primache io parli bene », rispose il nipote del Baaishem,« che io ammutolisca! ».

I) II << Senso »

Attraverso il rapporto trasformatore maestro-allievo,il destino intimo di quest'ultimo viene avviato alla se-

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greta rivelazione del « senso ». Viene posta cioè inmoto quella profonda attività simbolica interiore cheriesce a sostituire all'insignificanza del rapporto cau-sale tra gli eventi il significato di un finalismo giusti-ficatore. Non più le pure serie causali, le determina-zioni meccaniche collegano tra di loro gli aspetti delmondo e gli eventi psichici, ma il nuovo tessuto dicorrelazioni incentrato nel rapporto uomo-Dio; allageometria dei rapporti deterministici è sostituita unageometria spirituale incentrata nella condizione tean-drica. Naturalmente la causalità fìsica non è abolita,al contrario viene integrata da un valore per l'innanzisconosciuto, appunto il « senso ». L'uomo non èpiù oggetto fra gli oggetti, evento anonimo di serietemporali irreversibili, ma è soggetto di un divenirecosmico incentrato in lui.La mistica di tutti i tempi non ha elaborato, a benguardare, altro che le condizioni e la fenomenologiadell'instaurarsi di questa nuova geometria del senso,ma anche la filosofia occidentale si è cimentata conquesto problema proprio nei suoi momenti cruciali:non per nulla la fase ancora attuale della speculazio-ne moderna si apre con il tentativo kantiano della« Critica del Giudizio » di sostituire la geometria delsignificato alla geometria senza senso del rapportodeterministico.Naturalmente la conquista del senso è fondata sullanatura peculiare dell'uomo, sulla categoria della pos-sibilità, la conquista del senso deve contemplare lasua possibilità negativa, la perdita del significato, ilrovesciamento nel non-senso. Allora la geometria del-l'anonima causalità riprende il sopravvento e la lucedel significato si oscura.« Rabbi Baruch disse una volta: « che mondo buonoe chiaro è pur questo, se non ci sì perde in esso,eppure che mondo cupo è quando in esso ci siperde! ».Ma appunto questo non perdersi nel mero aspettotemporale delle cose e saper cogliere la presenzadivina al di là di esse fonda la sostanziale differen-za tra il sapere mondano e il conoscere religioso.

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Nessuno dubita della superiorità quantitativa del pri-mo, ma esso rimane privo delia struttura del senso,della qualità della giustificazione. Mosé Maimonideha ragione nel ritenere Aristotele superiore a Eze-chieie nella scienza del cielo. Ma il Rabbi di Rizzincommenta:« Due uomini entrarono nel palazzo di un re. L'unosi fermava in ogni sala, osservava con occhio di in-tenditore le stoffe sontuose e gli oggetti preziosi enon poteva saziarsi di guardare. L'altro attraversavale sale e sapeva soltanto: questa è la casa del re,questa è la veste del re, pochi passi ancora e iovedrò il re mio signore ».Il farsi presente all'uomo del senso, della giustifica-zione del mondo e dell'umano, comporta come primorisultato il superamento della dimensione temporalee il superamento della preoccupazione escatologica:se Dio è presente, il mondo futuro e la redenzionenon hanno ragione di esistere; l'uomo è già nelladimensione del senso, non deve attendere il sensoda un movimento futuro. La presenza del significato10 redime dalla insignificanza del mondo: ai di là diquesta ricchezza non c'è alcunché da cercare o daaspettare.« Una volta Salman interruppe la preghiera e disse:« io non voglio il tuo paradiso, io non voglio il tuomondo futuro, io voglio te solo ». Poiché il « serviziodi Dio » è la fruizione del senso nella suaintemporalità, sembra che la abolizione del futuro siala condizione dell'avvento del senso. (E quiabolizione del futuro significa probabilmente ancheliberazione dalla cura, dalla « Sorge » heideg-gerianache impedisce ogni rivelazione del significato).Quando una voce annunciò al grande Magghid di averperso la sua parte nel mondo futuro per aversospirato a causa della sofferenza materiale del suobambino, egli rispose: « bene, la ricompensa è aboli-ta, ora posso veramente incominciare a servire ». In-fine è del Baalshem la frase: « se amo Dio che biso-gno ho del mondo futuro? ».11 servizio divino è, nella sua natura più profonda,

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fruizione del senso e nello stesso tempo contributoumano all'instaurazione del simbolo unificatore chesostituisce la geometria incentrata nel rapporto uo-mo-Dio (e pertanto carica di significato) alla ano-nimia disperante delle serie spazio-temporali. Nelpunto in cui il senso si fa incontro all'uomo questodiventa davvero il collaboratore di Dio, risponde al-l'invito di Dio con la continuazione dell'opera dellacreazione.« II Rabbi di Rizzin diceva: « questo è il servizio del-l'uomo in tutti i suoi giorni, trasformare la materia infigura, purificare il corpo e far penetrare la luce nellatenebra, cosi che la tenebra stessa splenda e non visia più separazione tra l'una e l'altra ». Ma il serviziodi Dio come testimonianza del senso devecontemplare la sua possibilità negativa, i! na-scondersi di Dio all'uomo, e la rinunzia dell'uomoalla ricerca. La dinamica del senso è sostenuta pro-prio da questo nascondersi di Dio cui l'uomo deve ri-spondere con la ricerca. Rabbi Baruch al nipotino chepiangeva perché, giocando a nascondino, il suo com-pagno lo aveva lasciato nascondere e non lo avevapiù cercato, rispondeva commosso: « cosi dice ancheDio: io mi nascondo ma nessuno mi vuole cercare ».L'incontro con il senso non esautora l'uomo, al con-trario lo impegna nella sua opera quotidiana di ri-cerca del significato di ciò che solo apparentementeè insignificante, nell'opera di ricostruzione infinitadella geometria del senso, nella scoperta della ra-dice divina dell'evento.« Gli scolari del Baalshem sentirono parlare di untale come di un saggio. Alcuni di essi desideraronoandarlo a trovare e ascoltare i suoi insegnamenti. Ilmaestro diede loro il permesso, ma essi gli chiesero:« da che cosa possiamo riconoscere se è un veroZaddik? ». « Pregatelo di consigliarvi, rispose il Baal-shem, come dovete fare perché i pensieri profaninon vi disturbino durante la preghiera e lo studio. Sevi da un consiglio, allora saprete che è un uomo dap-poco. Perché il servizio dell'uomo nel mondo, finoall'ora della morte, è appunto quello di lottare volta

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per volta con le cose estranee e volta per volta disollevarle e imperniarle nella natura del nome di-vino ».Quale è l'esatta accezione dell'espressione « le coseestranee? », Le cose sono estranee fino a che sonodestituite del loro significato, fino a che esulano dalcoordinamento a-causale della geometria de! senso.Da questo punto di vista, nulla è virtualmente senzasenso, nulla dunque è per sua natura estraneo; mala fatica dell'uomo sta nella ricerca e nella scopertadel senso nascosto delle cose, nella esumazione dellaradice teocentrica degli eventi. Questo atteggiamentoè la traduzione sul piano dell'etica del mito delleparticene disperse. Ogni cosa racchiude unaparticella di luce che deve essere redenta, rivelata;vale a dire che ogni cosa deve poter mostrareall'uomo il suo significato giustificatore nell'ordinedel senso.La libertà dell'uomo resta intatta nell'ordine del sensosotteso alle cose perché a lui rimane la scelta tra ilrivelare e il non rivelare, tra il cercare Dio e il noncercarlo, tra la dimensione meramente causale e ladimensione del significato. L'aneddoto paradossaledi Rabbi Baruch e delle medicine racchiude in unadensità vertiginosa tutto il problema della libertà edel senso.« Una volta Rabbi Baruch aveva comperato nel ca-poìuogo medicine per la sua figliola malata. Il servole aveva deposte sul davanzale della finestra dellalocanda. Rabbi Baruch camminò in su e in giù perla stanza, fissò le boccettine e disse: « se è la vo-lontà di Dio che mia figlia guarisca non c'è bisognodi medicine. Ma se Dio manifestasse il suo poteremiracoloso agli occhi di tutti, nessun uomo avrebbepiù !a scelta: poiché tutti saprebbero. Perché agliuomini resti la scelta, Dio da alla sua azione la ve-ste della natura. Cosi ha creato le piante medici-nali ». Poi camminò di nuovo su e giù per la stanzae domandò: « ma perché sono veleni quelli che sisomministrano ai malati? » e rispose: « le scintilleche al tempo della creazione originaria caddero ne-

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gli involucri ed entrarono nelle pietre, nelle piantee negli animali, attraverso la santificazione dell'uomopio che in santità lavora le pietre, in santità si servedelle piante, in santità si ciba degli animali, risal-gono tutte alla loro sorgente. Ma come possono es-sere redente le scintille che sono cadute negli ama-ri veleni e nelle erbe velenose? Perché esse nonsiano reiette, Dio ha destinato i veleni ai malati, aciascuno quelli che contengono scintille che appar-tengono alla radice della sua anima. Cosi il malatostesso è un medico che risana i veleni ».

Corollari: a) La presenza.

Al tema del senso sono coordinati alcuni corollarifondamentali che precisano e articolano il puntocentrale della prassi chassidica. Ognuno di questitemi implica la dimensione psicologica del « senso »ed è incomprensibile senza di essa. Il primo corol-lario è quello che si potrebbe chiamare della pre-senza di Dio.Il senso schiude la presenza del divino nelle cose enegli eventi, santifica il mondano in ogni suo aspet-to; allora il mondo diventa epifania continua e acqui-sta la dignità di uno strumento multiforme della pre-senza. Solo l'abitudine, la sclerosi delle facoltà in-timamente religiose dell'uomo, può oscurare la pre-senza, il compito dell'uomo diventa allora il libe-rarsi dell'abitudine, la somma di atteggiamenti inau-tentici che si frappongono tra l'uomo e Dio. « IIRabbi di Kobrin insegnava: « Dio parla all'uomo comeparlava a Mosè: ' Togliti i calzari dai piedi ', toglil'abitudine che cinge il tuo piede, e riconosceraiche il luogo su cui stai ora è luogo sacro. Perchénon vi è gradino dell'esistenza su cui non si possa,in ogni luogo e in ogni tempo, trovare la santità diDio ».La presenza implica la responsabilità dell'uomo, poi-ché questo può « sprecare » la presenza, ignoran-dola e banalizzandola: le scintille divine incluse intutte le cose chiedono la loro liberazione mediantel'opera di santificazione ininterrotta che l'uomo deve

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compiere di ogni aspetto del mondo che gli si faincontro.« Una volta, durante un pranzo del sabato, RabbiMoshe disse: « non dal pane materiale viene la vitadell'uomo, ma dalle scintille di vita divina che vi sitrovano. Se volete sapere dove è Dio guardate que-sto pane. E' qui. Per mezzo della sua vita vivifican-te, ogni cosa esiste, e se si sottrae ad una di essequesta va in rovina e si distrugge ». In realtà èimpossibile per l'uomo che s'è dischiuso alladimensione del senso immaginare un solo attimodel divenire mondano senza la presenza di Dio. Ilmistero della presenza ha una priorità anche ri-spetto alla carica di valori spirituali connessi aigrandi dogmi escatologici: questi non avrebberosenso se la presenza potesse venir meno o fallire.« Rabbi Abramo diceva: « Signore del mondo, se sipotesse immaginare un attimo senza il tuo influssoe senza la tua provvidenza, a che ci servirebbe an-che l'altro mondo, a che ci servirebbe anche la ve-nuta del Messia, e a che ci servirebbe anche la re-surrezione dei morti, che gioia potrebbe dare tuttoquesto e quale scopo avrebbe? ». Nella dimensionedel senso l'uomo è ospite di Dio. Dio diventa il «luogo » dell'esistere umano, lo spazio che consenteogni suo mutamento e ogni sua decisione.« Rabbi Bunam diceva: « l'uomo sensibile deve sen-tire Dio cosi come sente il luogo su cui sta. E comeegli non può pensarsi senza luogo, cosi deve in tut-ta semplicità riconoscere il luogo del mondo, quel-io manifesto, che lo contiene; ma nello stesso tempoche Egli è la vita nascosta che lo riempie ». Eancora più esplicitamente:« A Rabbi Pinchas fu chiesto: « perché Dio vienechiamato ' luogo '? Certamente Egli è il luogo delmondo; ma allora si dovrebbe chiamarlo cosi e nonsemplicemente ' luogo ' ». Egli rispose: « l'uomo de-ve entrare in Dio cosi che Dio lo circondi e diventiil suo luogo ». Rispetto al tema della presenzaanche il mito gno-

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stico delle Sefirot acquista un significato immedia-to: tutte le qualità, gli attributi, le modalità percepi-bili e intelligibili di Dio sono presenti in ciascunevento mondano. Solo l'uomo può renderne vana lapresenza: e il fondamento della vanificazione èl'oblio, la chiusura che l'uomo opera su di sé nelladimensione del non senso.« Rabbi Pinchas diceva: « in ogni parola e in ogniazione sono riunite le dieci Sefirot; poiché esseriempiono tutto il mondo. E non come la gente cre-de, che la grazia sia un principio a sé e che la po-tenza un principio a sé, ma in ogni cosa sono con-tenuti i dieci poteri di Dio. Se uno abbassa la mano,questo avviene nel mistero della luce irraggiante; seuno solleva la mano, questo avviene nel misterodella luce riverberante. L'intero movimento, abbas-sare e sollevare, questo è il mistero di grazia e po-tenza. Non vi sono parole che in sé siano vane enon vi sono azioni che in sé siano vane. Ma si pos-sono rendere vane parole e azioni se vanamente sidicono e vanamente si fanno ». Ancora al tema dellapresenza è riferibile lo strano aneddoto di RabbiPinchas, il quale raccontava: « una volta mi dolsicol mio maestro di come riesca difficile, a chi si trovinell'avversità, conservare intatta la fede nellaprovvidenza divina per ogni singola creaturaumana. A questi sembra veramente che Dionasconda il suo voito. Che si dovrebbe fare perrafforzare la propria fede? ». « Se si sa, rispose ilRabbi, che è un nascondere, allora non è più unnascondere ».Infatti il nascondersi di Dio non è assenza, ma ap-punto un nascondersi, che sembrerebbe implicarela ricerca umana. L'avversità che travaglia l'uomonon può ledere la presenza, l'uomo deve solo accet-tare ia dialettica del Dio nascosto e svelato e com-prendere che il movimento di Dio implica la colla-borazione dell'uomo.

b) Superamento della distinzione tra sacro e profano.

L'altro grande corollario del tema del senso comecondizione psicologica fondamentale del chassid è

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il superamento della distinzione tra sacro e profano.Sembra talvolta che proprio questo atteggiamentosia !a parola chassidica che più riesca a colpirel'uomo moderno immerso in un processo di dissa-crazione del mondo e corrispettivamente di riduzio-ne del sacro ad un isolamento che lo rende fittizio.Nella dimensione del senso ogni distinzione perdesignificato perché non c'è elemento della vita o de!cosmo che possa considerarsi totalmente profano,vale a dire privo di senso, non riconducibile allageometria del significato e del fine. Questo atteg-giamento porta l'uomo ad una sorta di gioioso reali-smo antiplatonico: questo che io tocco e vedo havalore, ciò che mi si muove incontro nell'ambito delquotidiano, poiché in questo io devo ritrovare il di-vino e da questo il chassid deve liberare le scintilledisperse.«II Raw chiese un giorno a suo figlio: « con chepreghi? » il figlio comprese il senso della domanda:« su quale meditazione fondasse la sua preghiera ».Rispose: « con la massima: ogni altezza si inchinidavanti a te ». Poi chiese al padre: « e con che pre-ghi tu? ». Egli disse: « con il pavimento e con lapanca ».Di Rabbi Shmelke, che non teneva altri discorsi chenon fossero quelli abituali, ingenui, forse persinovolgari, dell'usuale commercio tra gli uomini, si di-ceva che « quali che fossero i discorsi che egli te-neva tutto il giorno con la gente che si rivolgeva alui per le sue faccende mondane, in realtà ognunadelle sue parole aveva un significato segreto e unasegreta intenzione e operava nei mondi superiori, eil suo spirito poteva perseverare tutto il giorno intale servizio ».Di un altro Zaddik del quale si era chiesto ad unallievo quale fosse per lui la cosa più importante,fu risposto presso a poco: « ciò di cui si occupavolta per volta». Il riferimento a Chìuang-Tze e alloZen è in questo caso cosi ovvio da diventare su-perfluo.Nella dimensione del senso i pretesi « due mondi »

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si unificano, l'uno finisce per trasparire nell'altro co-me la luce in un mezzo che la riceve per rivelarla.« Rabbi Hanoch diceva: « anche i popoli della terracredono che ci siano due mondi: ' in questo mon-do', dicono. La differenza sta in questo: essi cre-dono che i due mondi siano distinti e divisi unodall'altro; Israele invece riconosce che i due mondisono in fondo uno solo e devono diventare unosolo ».

e) Compenetrazione di natura e provvidenza.

Il terzo corollario della dimensione de! senso è lacompenetrazione di natura e provvidenza o identitàdi causalità e miracolo, che è cosi tipica della mi-stica chassidica. All'atteggiamento che tende aespungere il miracolo dalla natura, il chassid ri-sponde con l'atteggiamento che tende ad identifi-care l'uno e l'altra.« Uno studioso della natura venne di lontano a tro-vare il Baalshem e gli disse: « dalle mie ricercherisulta che nelle ore in cui i figli di Israele attraver-sarono il Mar Rosso, esso dovesse dividersi per ra-gione naturale. Che rimane del famoso miracolo? ».Il Baalshem rispose: « non sai che Dio ha creato lanatura? e l'ha cosi creata che nell'ora che i figli diIsraele attraversarono il mar Rosso esso dovessedividersi. Questo è il grande e famoso miracolo ».La connessione causale non è abolita, è identificatacon quella del fine. La dignità del determinismo na-turale non viene intaccata, ma la determinazione èletta in chiave di rivelazione.« Fu chiesto a Rabbi Baruch: « perché nell'inno Dioviene chiamato ' creatore delle medicine, principedelle lodi, Signore dei miracoli '? E' giusto che lemedicine stiano accanto ai miracoli e anzi li prece-dano? ». Egli rispose: « Dio non vuole essere lodatocome il Signore dei miracoli soprannaturali. Perciòattraverso le medicine è introdotta e messa primala natura. Ma in verità tutto è miracolo ».

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d) II tempo.

Un quarto corollario importante delladimensione del senso è il riscatto dell'uomodall'insignificanza della temporalità mondana el'instaurarsi di una intuizione del tempo comemuoversi-verso-Dio. Nella dimensione del sensol'uomo può, in ogni attimo della sua vita,chiedersi a che punto si trova del suocammino verso Dio, a che punto è giunto il suomovimento verso l'autenticità. Il non sensoconnesso alla disperante vacuità delle serietemporali, deve potersi risolvere di fronte allarivelazione della direzionalità del tempo.« Fu chiesto a Rabbi Salman: « come è daintendere che Dio, l'Onnisciente, dica aAdamo: ' Dove sei? ' ». « Credete Voi, rispose ilRaw, che la Scrit tura sia eterna e che in essasiano compresi ogni generazione e ogni uomo?». « Lo credo », disse quello. « Ebbene, disselo Zaddik, in ogni tempo Dio grida all'uomo: 'dove sei tu nel tuo mondo? Tanti anni e tantigiorni di quelli a te destinati sono trascorsi, e ache punto sei intanto arrivato nel tuo mondo? '.Cosi, ad esempio, Dio dice ' hai vissuto 46anni, a che punto sei? ' ».(Sembra che l'incauto e nello stesso tempofortunato interlocutore di Rabbi Salman avesseappunto 46 anni e rimanesse sbigottito dellarisposta).

e) Preghiera e simbolo.

Infine, nella dimensione del senso, l'uomosperimenta il valore autenticamente simbolicodella preghiera. Poiché avere un simbolo, faruso di un simbolo, possedere un'attivitàsimbolica non è sosti tuire ad una realtà unsegno vicariante, ma speri mentare direttamentequella realtà attraverso un suo elemento fruibile,appunto il simbolo. Il segno, sostituendo, ciallontana dal reale significato, lo abo liscenell'atto di indicarlo; il simbolo permette lafruizione diretta di quel reale, perché ne è parte.La natura simbolica nell'uomo consiste nella s uacapacità di esser parte mediante il simbolo dialtre realtà. Il segno procede dal simbolo enon viceversa.

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La preghiera autentica è attività simbolica perchénon è segno evocatore di una realtà, bensf partedella realtà evocata: nella preghiera la realtà evo-cata è direttamente e completamente presente. Aproposito delle parole della Scrittura « Egli è il tuosalmo ed egli il tuo Dio », Rabbi Pinchas disse: «Egli è il tuo salmo; ed egli, lo stesso, è il tuo Dio.La preghiera con la quale l'uomo prega, la preghie-ra stessa è divinità. Non come tu chiedi qualcosaal tuo compagno: un'altra cosa è lui, un'altra la tuaparola. Non cosi nella preghiera che unisce le es-senze. Colui che prega e crede che la preghiera siaqualcosa di diverso da Dio è come il supplicante acui il Re fa porgere ciò che ha chiesto. Chi invecesa che la preghiera stessa è divinità, è simile al fi-glio del Re che prende dai tesori del padre ciò chedesidera ».

6. CONCLUSIONE

Lo psicologo del nostro tempo indaga, con l'aiutodello storico, del fenomenologo e dell'antropologo,le forme della vita religiosa per ritrovare in esse imodelli della integrazione psicologica, o meglio, lestrutture fondamentali secondo le quali una vita as-sume il suo significato e si redime in una forma,passa dal non-senso al senso, dalla dispersioneall'unità, dall'insignificanza alla giustificazione. Leforme della vita religiosa, da questo punto di vista, sirivelano nella loro natura di modelli dei possibiliprocessi di individuazione, e, nel campo dellapsicologia clinica, di modelli del riscatto dalla ne-vrosi e della guarigione psicologica come realiz-zazione dì sé.Queste forme, per essere assunte dall'indagine psi-cologica a modelli interpretativi di un'esistenza, eper manifestarsi come veicoli possibili dell'autenti-cazione di una vita, debbono essere sottratte al con-testo contingente e depurate del linguaggio tipico etemporale del loro avvento storico, fino a poterneintravvedere il semplice scheletro di « possibilità

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fondamentali dell'esistere » necessariamente intem-porale.Nel compiere una tale indagine, lo psicologo evitala tentazione più forte del nostro tempo: quella diimpiegare i concetti e i giudizi della ricerca scien-tifica naturalistica anche nel campo dell'umano, disostituire la metodologia delle scienze della naturaalla metodologia delle scienze dello spirito, lo spie-gare all'intendere, l'interpretazione alla compren-sione.Le forme della vita religiosa, considerate come lestrutture fondamentali secondo le quali l'esisteregiunge alla giustificazione e si riscatta dall'inautenti-co, implicano una comprensione dell'uomo nella di-mensione che gli è propria, quella dell'apertura sul-l'altro, quella della comunicazione, quella del trascen-dersi. Se la psicologia del nostro tempo perdessedi vista questa dimensione, ricadrebbe inevitabil-mente nella descrittiva naturalistica e la compren-sione dell'uomo le sarebbe interdetta. IlChassidismo si porge alla meditazione dello psi-

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aperto nel dialogo, l'Io in lotta contro le forze chetendono a isterilirlo nella soddisfatta dimensione dellachiusura, infine l'Io consapevole della sua incom-pletezza, del suo fondamento ontologico come man-canza e bisogno, della sua ricerca appassionatadel tu.Questa immagine dell'Io è la norma verso cui ten-de la guarigione psicologica. L'uomo del nostrotempo può legittimamente rifiutare l'ipotesi teolo-gica del Chassidismo: il Dio che chiede l'opera del-l'uomo per esistere, e la splendida sovrastrutturamitologica di questa ipotesi. Non può rifiutare lamodalità fondamentale dell'Io che le è sottesa: l'an-dare incontro all'essere che lo trascende per rice-verne un senso.

* Redazione del seminario tenuto nell'aprile del 1963 pressol'Associazione Italiana per lo studio della Psicologia Analitica,Roma. Il testo viene pubblicato immutato. Per la citazione deitesti chassidici è stata utilizzata la traduzione di Gabriella Bem-porad della « Erzàhlungen der Chassìdim » di M. Buber (Milano,Longanesi Editore, 1962). Per i vocaboli « Chassid », « chassi-dico », « Chassidismo », ecc, benché sia più corretta la grafia« Hasid », ecc, si è preferito mantenere quella più in uso nellalingua tedesca perché recentemente adottata da vari editoriitaliani.

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