Cessazione della convivenza

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LA CONVIVENZA

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Cessazione della convivenza

Estratto da Memento Famiglia e Patrimonio 2014

5828 La convivenza può cessare per decisione dei conviventi o di uno solo di essi o per morte di un convivente, con le conseguenze esaminate di seguito.

A. Decisione di cessare la convivenza 5831 La convivenza può cessare per volontà di una o di entrambe le parti Non essendo le parti legate dal vincolo coniugale la cessazione del rapporto può avvenire in ogni momento e senza formalità. L’autorità giudiziaria non deve accertare il presupposto della irreversibilità della crisi, come avviene per i coniugi in caso di separazione (Trib. Milano 20 febbraio 2013). Il convivente che fa cessare la convivenza non ha nessun obbligo nei confronti dell’altro, tanto meno di risarcire il danno (Gazzoni). Tuttavia, se i conviventi hanno dei figli, la rottura della convivenza produce, in alcuni casi, effetti simili a quelli derivanti dalla separazione o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

5835 Mantenimento In generale il convivente economicamente debole non ha diritto ad essere mantenuto dall’altro, non può dunque agire in giudizio chiedendo il pagamento pagamento di un assegno di mantenimento. La convivenza si caratterizza infatti per la precarietà e la revocabilità unilaterale, cui si ricollegano solo diritti e doveri di carattere morale (Trib. Napoli 8 luglio 1999). I conviventi possono però avere previsto (di regola nel contratto di convivenza) il pagamento di una somma di denaro a tutela del soggetto economicamente più debole (v. n. 5690). 5838 Alimenti Dopo la rottura della convivenza, il convivente in stato di bisogno (che quindi deve fare fronte alle elementari esigenze di vita quali vitto, vestiario, cure mediche e abitazione) non ha diritto di chiedere gli alimenti all’ex convivente, non può cioè agire in giudizio nei suoi confronti per vedere riconosciuto un contributo che faccia fronte al suo stato. Può però agire nei confronti degli altri soggetti che risultano per legge obbligati (ad esempio figli, genitori e, in loro mancanza, gli altri ascendenti prossimi, i fratelli e le sorelle). I conviventi possono però aver previsto (di regola nel contratto di convivenza) l’obbligo di uno dei conviventi a versare all’altro un assegno alimentare. Approfondiamo l’obbligo degli alimenti al n. 680 e s. 5841 Effetti nei confronti dei figli A seguito della totale equiparazione tra figli nati durante o fuori dal matrimonio (L. 219/2012), dal 1° gennaio 2013 le norme che regolano i rapporti con i figli minorenni o maggiorenni senza reddito a seguito di separazione, divorzio o nullità del matrimonio, si applicano anche in caso di rottura della convivenza (art. 4 L. 54/2006). I genitori conviventi che hanno riconosciuto il figlio hanno, pertanto, il diritto all’affidamento condiviso (di regola) e l’obbligo di contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione. Per la relativa disciplina si rinvia alla ampia trattazione, al n. 4160 e s.

Il principio dell’affidamento condiviso costituisce una regola generale di esercizio della responsabilità per i figli nati fuori dal matrimonio anche prima dell’equiparazione tra figli (Cass. 10 maggio 2011 n. 10265). L’affidamento esclusivo è un’ipotesi eccezionale da applicarsi quando risponde all’interesse del minore.

5843 La competenza a decidere sui provvedimenti riguardanti i figli spetta al tribunale ordinario. I provvedimenti in materia di mantenimento e affidamento sono pronunciati in camera di consiglio, sentito il P.M., e si concludono con decreto (si applicano in quanto compatibili gli artt. 737 e s. c.p.c.) (art. 38 c. 2 disp.att. c.c., modif. dall’art. 3 L. 219/2012).

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5848 Casa familiare A seguito della cessazione della convivenza, per determinare a quale dei conviventi si assegna la casa familiare è determinante la presenza o meno di figli. 5851 Se ci sono figli In presenza di figli si applicano ai convivente le regole applicate in caso di separazione tra coniugi (art. 4 c. 2 L. 54/2006). La casa familiare è dunque assegnata al genitore con il quale i figli minorenni o i figli maggiorenni non economicamente dipendenti convivono o al quale sono affidati (per analogia con l’art. 337 sexies c.c. introd dal D.Lgs. 154/2013). Questa assegnazione può essere effettuata quindi anche al convivente che non è proprietario della casa né intestatario del contratto di locazione. Si applica la medesima disciplina anche quando la casa è oggetto di locazione (art. 6 L. 392/78, alla lucedella decisione di C.Cost. 7 aprile 1988 n. 404 che ha dichiarato incostituzionale tale norma nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che ha cessato la convivenza, in presenza di figli).

Questa regola ha ricevuto applicazione in almeno due decisioni di legittimità in casi in cui la convivente, non titolare del rapporto di conduzione, era rimasta nell’immobile con i figli minori che erano stati a lei affidati (Cass. 10 ottobre 1997 n. 9868, Cass. 25 maggio 1989 n. 2524).

5854 Se la casa familiare è un alloggio di edilizia residenziale pubblica, la rottura della convivenza comporta la successione o la voltura della convenzione a favore del convivente affidatario dei figli (C.Cost. 12 dicembre 1989 n. 559). 5857 In mancanza di figli In mancanza di figli nessuna norma è dettata circa l'assegnazione della casa ai conviventi. La casa familiare rimane di proprietà del solo convivente che ne risulta titolare (sia quando la ha acquistata prima della convivenza, sia quando la ha acquistata durante la stessa convivenza). E’ di proprietà di entrambi i conviventi solo se la comproprietà risulta dall’atto di acquisto. Il convivente che è proprietario in via esclusiva ha diritto di ottenerne il rilascio da parte dell’altro convivente, il quale non ha alcun titolo per continuare a utilizzare l’abitazione (Trib. Genova 23 febbraio 2004 n. 845). Se la casa familiare è detenuta in locazione, il contratto di locazione rimane intestato al convivente conduttore e il convivente non intestatario del contratto non ha il diritto di subentrare nel contratto di locazione (art. 6 L. 392/78; C.Cost. 14 gennaio 2010 n. 7, C.Cost. 7 aprile 1988 n. 404). 5862 Arredamento della casa Al termine della convivenza, il convivente che dà la prova dell'esclusività della proprietà dei beni mobili costituenti l'arredamento della casa in cui si svolgeva la vita familiare, ha il diritto di ottenere la loro restituzione dal convivente che li detenga senza titolo, restando tali beni nella proprietà esclusiva di chi ne è titolare (Cass. 30 dicembre 2013 n. 28718). 5865 Estromissione Dopo la cessazione della convivenza se l’ex convivente subisce l’estromissione violenta o clandestina della casa da parte dell’altro convivente può esercitare nei confronti di quest’ultimo le azioni possessorie (azione di spoglio) anche se non vanta un diritto di proprietà sull'immobile, come precisato in generale al n. 5508. 5868 Attribuzioni patrimoniali I doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza influiscono, sui rapporti di natura patrimoniale: un orientamento ormai consolidato della cassazione quindi esclude il diritto del convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso o in relazione alla convivenza (Cass. 15 maggio 2009 n. 11330, Cass. 13 marzo 2003 n. 3713). 5872 Acquisti fatti durante la convivenza Durante la convivenza uno dei conviventi può avere contribuito agli acquisti effettuati dall’altro, anche se il bene è rimasto nella titolarità di chi lo ha acquistato (come precisato al n. 5553).

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Cessata la convivenza ci si pone il problema di tutelare il convivente non intestatario del bene. In generale si esclude la possibilità che un convivente possa far valere una pretesa sul piano della titolarità del bene (il proprietario del bene immobile o immobile rimane tale): parte della giurisprudenza ammette a certe condizioni la possibilità di chiedere delle restituzioni. 5875 Secondo l’opinione maggioritaria è possibile per il convivente ricorrere al rimedio dell’arricchimento senza causa (in base all’art. 2041 c.c.). Non si può impedire che il soggetto impoverito possa godere di tutela nell’ipotesi in cui non esista o venga meno, senza valida giustificazione, il presupposto che lo aveva indotto in modo determinante a sopportare il sacrificio patrimoniale. L’attività dell’impoverito è cioè dotata di giusta causa al momento in cui viene posta in essere, in quanto svolta nella “presupposizione” di un rapporto affettivo destinato a durare sino alla morte di uno dei componenti, perda ogni giustificazione nel momento in cui la famiglia di fatto si dissolve.

In caso di cessazione della convivenza rileva il principio generale che vieta l’arricchimento senza causa, integrato, se del caso, da quello della non gratuità delle prestazioni lavorative. Deve pertanto riconoscersi a favore di ciascuno una pretesa sugli eventuali acquisti e i risparmi realizzati dal convivente qualora possano ritenersi “frutto” del contributo di entrambi (Paradiso, Busnelli-Santilli, Ferrando).

5878 Una altra tesi esclude il diritto a una restituzione perché quanto prestato dal convivente si ritiene effettuato in adempimento di un dovere morale e sociale. Secondo questa impostazione non si può promuovere un’azione giudiziale di ingiustificato arricchimento in quanto l’azione presuppone la mancanza di una “giusta causa” dell’arricchimento, mentre la convivenza vale come “giusta causa” idonea a paralizzare tanto qualsiasi pretesa (App. Firenze 12 febbraio 1991, Trib. Roma 30 ottobre 1991) In un caso particolare, data l’impossibilità di configurare un’obbligazione naturale, i giudici (di merito e poi di cassazione) hanno condannato la ex convivente a rimborsare all’altro ex convivente i materiali e la mano d’opera (in applicazione dell’art. 936 c.c.) (Cass. 13 marzo 2003, n. 3713, che conferma Trib. Messina 10 settembre 1997).

Quest’ultimo caso riguardava una convivenza more uxorio durata tredici anni: un muratore di professione aveva costruito nel tempo libero con materiali propri la casa d’abitazione della famiglia di fatto e un altro edificio adiacente di tre piani su un terreno di proprietà della convivente. Secondo la cassazione per tale prestazione non può parlarsi di adempimento di un dovere morale, dato che la prestazione non si è esaurita nel procurare alla famiglia di fatto un’abitazione dignitosa e confortevole ma ha avuto l’effetto di arricchire la convivente divenuta proprietaria, in virtù del principio dell’accessione, non solo della casa ma anche di un fabbricato di tre piani e di tre locali.

5883 Spese durante la convivenza Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, le spese effettuate dai conviventi sono obbligazioni naturali (ai sensi dell’art. 2045 c.c.), ossia sono irripetibili (ai sensi dell’art. 2033 c.c.) se proporzionate alle condizioni patrimoniali ed economiche di chi le effettua. In tal caso, una volta eseguita la prestazione, il convivente non può richiedere quanto spontaneamente elargito (Cass. 13 maggio 2003 n. 3713, App. Genova 4 maggio 2005, Trib. Vicenza 28 settembre 2010). 5886 Il convivente che ha contribuito alla convivenza con spese sproporzionate (nel caso di specie, agli investimenti immobiliari dell’altro), senza voler arricchire la controparte e senza ricevere altrettanto in cambio, può esercitare l’azione di arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.) per ottenere un congruo indennizzo e riequilibrare il rilevante ed ingiustificato spostamento patrimoniale (Cass. 30 novembre 2011 n. 25554, Cass. 15 maggio 2009 n. 11330). L’azione di arricchimento senza causa è soggetta a prescrizione decennale, decorrente dal momento in cui l’arricchimento si è verificato. Se l’arricchimento dipende da una serie di dazioni continuative, il termine decorre dall’ultima dazione (Cass. 15 maggio 2009 n. 11330). La prescrizione non si sospende per rapporti tra le parti (ai sensi dell’art. 2941 n. 1 c.c.) in quanto la sospensione è prevista a favore del solo coniuge (Cass. 29 gennaio 1998 n. 2).

Secondo parte della dottrina, quando le spese del convivente consistono in contributi pecuniari suscettibili di restituzione è più corretto che lo stesso eserciti in via preliminare l’azione di ripetizione dell’indebito (Gelli).

B. Morte del convivente 5890 La legge riconosce dei diritti al convivente se l’altro convivente rimane vittima di lesioni o muore. Per il caso della morte si ha diritto a un permesso lavorativo (v. n. 5788).

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5893 Diritto all’informazione Se muore il convivente, il convivente sopravvissuto può ottenere copia della cartella clinica dell’altro, nonostante l'opposizione degli eredi (Delib. Garante privacy 17 settembre 2009). 5896 La legge sul trapianto di organi prevede che i medici delle strutture ospedaliere devono fornire informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonchè sulla natura e sulle circostanze del prelievo di organi al coniuge oppure al convivente more uxorio o, in mancanza, ai figli maggiori di età o, in mancanza di questi ultimi, ai genitori o al rappresentante legale (art. 3 c. 2 L. 91/1999). 5900 Successione In mancanza di un testamento, il convivente superstite non ha diritto a succedere al convivente defunto in quanto non rientra tra gli eredi il cui diritto a succedere è riconosciuto come inviolabile dalla Costituzione (C.Cost. 26 maggio 1989 n. 310). Anche i contratti di convivenza possono contenere delle clausole che regolino gli aspetti economici e patrimoniali in caso di morte di uno convivente (clausole post mortem: v. n. 5700). Se muore il convivente che sia separato legalmente dal proprio coniuge, quest’ultimo, anche se separato, ha diritto a succedere, salvo quanto disposto nel testamento nei confronti del convivente, sempre nel rispetto dei limiti della quota di legittima. 5903 Ciascuno dei conviventi può però redigere un testamento (olografo o pubblico) che preveda delle disposizioni a favore del convivente. Può ad esempio: - nominare erede il convivente - lasciare al convivente la proprietà della casa, o solo l’usufrutto o solo il diritto di abitazione sulla stessa; - istituire un legato a favore del convivente per determinati cespiti o diritti (ad es. per il diritto di abitazione); - prevedere un obbligo di mantenimento dell’altro convivente come legato a carico di un suo erede. 5906 In ogni caso si deve rispettare il limite della quota di legittima ossia della quota di patrimonio disponibile. Il lascito non deve cioè eccedere la quota riservata ai soggetti legati da un vincolo di parentela stretta con il defunto a cui la legge assicura comunque una porzione dell’eredità (il coniuge anche separato, figli e nipoti e, in loro mancanza, i genitori). In assenza di tali soggetti, il testatore può disporre dei propri beni come meglio crede, essendo tutto il patrimonio disponibile. Il testamento che lede la quota di legittima non è di per sé nullo e produce tutti i suoi effetti se i soggetti che vedono lesa la quota loro spettante per legge (i legittimari) lo accettano o non lo impugnano. I legittimari possono infatti impugnare il testamento, tramite azione di riduzione, per ottenere, accertata la violazione della quota di legittima loro spettante, la reintegrazione della propria quota. Il testamento è revocabile sino all'ultimo momento di vita del testatore. 5909 Casa familiare Distinguiamo di seguito le varie ipotesi della sorte della casa familiare in caso di morte di uno dei conviventi. 5912 Morte del convivente proprietario Se la casa dove soggiorna la coppia è di proprietà di uno solo dei conviventi, alla morte del convivente proprietario, in mancanza di un testamento, la casa diventerà di proprietà degli eredi legittimi, non riconoscendo la legge alcun diritto al convivente. Allo stesso modo il convivente superstite non ha il diritto di abitazione sulla casa familiare (non si applica l’art. 540 c. 2 c.c. previsto per il coniuge) (C.Cost. 26 maggio 1989 n. 310; Trib. Milano 8 settembre 1997). Gli eredi possono quindi chiedere il rilascio dell’immobile. Se il convivente superstite non rilascia immediatamente l’abitazione, gli eredi non hanno però il diritto di chiedere il risarcimento del danno per occupazione abusiva (in quanto rimane un detentore qualificato), salvo che egli abbia disposto illegittimamente dell’immobile trasmettendone la detenzione a terzi estranei (Trib. Milano 18 gennaio 2003). Per la possibilità del convivente superstite di usucapire la casa la giurisprudenza si è variamente pronunciata: v. n. 5525.

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5915 Casa di proprietà dei conviventi Quando la casa familiare è di proprietà dei due conviventi e muore uno di essi senza testamento, si viene a creare una comproprietà tra il convivente superstite e gli eredi del defunto. Ciascuno dei comproprietari può chiedere in qualunque momento lo scioglimento della comunione: se nessuno è disposto ad acquistare la quota degli altri, la casa verrà divisa fisicamente se possibile o venduta all’asta con conseguente divisione del ricavato. Se i parenti del defunto decidessero di lasciare il godimento dell’immobile al convivente, potrebbero pretendere il pagamento di un canone. 5918 Casa oggetto di locazione Se la casa familiare è occupata in virtù di un contratto di locazione stipulato da uno dei conviventi e regolarmente registrato, se muore il convivente locatario, il convivente superstite ha il diritto di subentrare nella titolarità del contratto (art. 6 L. 392/1978 alla luce della C.Cost. 7 aprile 1988 n. 404 che ha dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui non consentiva il subentro del convivente nel rapporto locatizio in caso di morte del conduttore).

La cassazione interpretando estensivamente la sentenza della Corte Costituzionale ne ha ampliato la portata, affermando il diritto del convivente superstite al convivente defunto che a sua volta era succeduto a suo padre (Cass. 13 febbraio 2013 n. 3548).

5921 Diversa è l’ipotesi in cui il convivente proprietario della casa ha stipulato un contratto di locazione con l’altro convivente durante la loro vita, dopo la morte del convivente proprietario, il convivente conduttore ha il diritto di continuare la locazione. Gli eredi sono obbligati a rispettare la naturale scadenza del contratto prima di poter entrare nel possesso dell'immobile, in quanto, essendo successori del defunto, subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi che si riferiscono al defunto e sono obbligati a rispettare gli obblighi da lui assunti quando era ancora in vita. Gli eredi potrebbero però agire in giudizio per dimostrare la simulazione del contratto di locazione stipulato tra il defunto e il soggetto convivente. 5924 Casa in comodato La casa può essere stata data in comodato (ossia senza corrispettivo) a uno dei conviventi (ad esempio da un genitore al figlio) per destinarla a casa familiare. Se il convivente muore (ma anche quando lascia l’immobile per qualsiasi motivo) la casa deve essere restituita al legittimo proprietario nel momento in cui questi ne faccia richiesta (ai sensi dell’art. 1810 c.c.) Se però vi sono figli (minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti), il convivente a cui è stato affidato il minore presso la casa familiare ha diritto di rimanervi, poiché se il comodato era stato stipulato per far fronte alle necessità della famiglia, e dunque, soprattutto dei figli, il convivente non può essere allontanato. 5927 Casa oggetto di donazione Se la casa familiare è stata oggetto di donazione stipulata da uno dei conviventi a favore dell’altro, la donazione potrebbe essere impugnata dagli eredi del convivente-donante se ritenuta pregiudizievole dei diritti successori dei legittimari lesi nella loro quota di legittima. 5930 Casa di edilizia popolare Se muore il convivente a cui è stato assegnato un alloggio di edilizia popolare, il convivente superstite può subentrare nel rapporto (art. 17 L. 179/1992). Sono necessarie però le seguenti condizioni: 1) che non esistano coniuge separato o figli minorenni, in forza di un precedente matrimonio; 2) che la convivenza sia effettivamente sussistente al momento della morte; 3) che la convivenza sia iniziata almeno 2 anni prima della morte (l'onere della prova in questione può essere assolto producendo il certificato anagrafico che attesti l'esistenza del nucleo familiare); 4) che sussistano i requisiti di reddito per l'assegnazione dell'alloggio popolare. In tal caso si ritiene sufficiente una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà in cui, sotto penale responsabilità, il convivente superstite attesta la convivenza, la durata da almeno 2 anni e il rispetto dei requisiti di reddito. Per questo diritto di subentro del convivente nell'alloggio popolare non c'è distinzione tra coppie omosessuali ed eterosessuali. 5935

Risarcimento dei danni al convivente superstite Se un convivente rimane vittima di lesioni o muore a causa di un fatto illecito di un terzo, l’altro convivente, con o senza figli, può chiedere il

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risarcimento del danno. Il risarcimento dev’essere calcolato secondo gli stessi parametri della famiglia fondata sul matrimonio. In particolare è possibile chiedere: - il danno patrimoniale: se il convivente superstite prova che esisteva uno stabile contributo economico apportato dal convivente defunto, se la loro relazione era caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale (Cass. 16 settembre 2008 n. 23725, Trib. Bologna 14 aprile 2010, Trib. Milano 21 febbraio 2007; in senso contrario: Ass. Genova 24 ottobre 1984, Trib. Verona 3 dicembre 1980); - il danno morale, se il convivente prova, con qualsiasi mezzo, l'esistenza e la durata di una convivenza avente le caratteristiche del vincolo coniugale (Cass. 7 giugno 2011 n. 12278, Cass. 29 aprile 2005 n. 8976), anche in assenza di coabitazione (Cass. 21 marzo 2013 n. 7128). In caso di morte del convivente è stato anche affermato il diritto del convivente alla risarcibilità del danno biologico nei confronti di terzi (Trib. Roma 9 luglio 1991 n. 9693).

Il convivente della vittima non è stato legittimato a costituirsi parte civile nel processo penale al fine di ottenere il risarcimento del danno (C.Assise Milano 30 maggio 1998).

5940 Pensione di reversibilità e TFR Al convivente superstite non spetta la pensione indiretta ai superstiti (c.d. pensione di reversibilità), in quanto la legge (L. 335/1995) non include espressamente il convivente tra i soggetti che possono beneficiarne. La giurisprudenza di merito ha confermato tale esclusione anche nel caso in cui la convivenza presenti i caratteri della stabilità e della certezza tipici del rapporto coniugale (App. Brescia 10 dicembre 2002 n. 460, Trib. Cremona 19 marzo 2002 n. 56). Tale diritto spetta invece ai figli del convivente defunto alle condizioni precisate al n. 9481 . Allo stesso modo il convivente superstite non ha diritto ad alcuna quota di liquidazione del TFR (trattamento fine rapporto). 5943 Elargizione in caso di morte per terrorismo Se il convivente perde la vita per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi di atti di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, la legge prevede una elargizione anche a chi risulta convivente more uxorio del defunto (artt. 4 e 1 L. 308/1990).