Cesena nell'800. Il Volto Sparito

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UNA PASSEGGIATA NELLA CESENA DEGLI INIZI DEL 1800 DA PORTA ROMANA A PORTA FIUME a cura di Antonio DAL MUTO

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Fare una passeggiata all'interno di un centro storico significa ripercorrere le tappe della sua evoluzione: quante volte può cambiare il volto della città? Questa opera, unica e originale, svela come è cambiato il volto della storica Cesena.

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UNA PASSEGGIATA

NELLA CESENA

DEGLI INIZI DEL 1800

DA PORTA ROMANA A PORTA FIUME

a cura di Antonio DAL MUTO

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Le trenta tavole, comprese le quattro aggiunte per evidenziare l’evoluzione di quella zona su cui venne creata, alla fine degli anni ‘50 e gli inizi degli anni ‘60 del novecento, la PIAZZA DELLA LIBERTA’, sono frutto di ricerche fatte in occasione della mia opera, in 5 volumi, della “Storia a Fumetti di Cesena, Rimini, Forlì e Ravenna. Dalle Origini all’Unità d’Italia” edita dalla locale Casa Editrice Ponte Vecchio con la sponsorizzazione della cassa rurare di San Giorgio, grazie alla sensibilità culturale dell’allora direttore dott. Mario Magnani. E visto i risultati che sono seguiti, legati ad altre realizzazioni, sempre pubblicate su SCRIBD, definirei la loro pubblicazione un miracolo!. Il lavoro di ricerca svolto, comunque, mi ha arricchito della necessaria conoscenza che ha permesso l’elaborazione e la ricostruzione grafica delle tavole che compongono questa opera, enfatizzando, graficamente, la Cesena di inizio 800 ed evidenziando aspetti interessanti, ma perduti, legati all’evoluzione storica della città nel suo volto urbano.Le trenta tavole, grazie alla gentile disponibilità del quotidiano “La VOCE di Romagna”, esplicitata dalla persona di Elide Giordani e, ovviamente, dal Direttore Franco Fregni, hanno visto la loro pubblicazione settimanale - dal 27 aprile fino al 16 novembre 2008 – in Cronaca di Cesena, unitamente al desiderio di “svelare” il volto sparito di una città che, a partire dal XIX secolo fino agli anni ‘70 del novecento, perse definitivamente quella compattezza urbana pensata e realizzata da Malatesta Novello, signore di Cesena nel XV secolo. La mia è stata un’operazione culturale, oltre modo unica e originale che, nel tentativo di trovare sponsor, sin dal 2003, per pubblicare le tavole con una degna veste tipografica, ha trovato la più totale indifferenza, soprattutto da parte di quelle banche locali cesenati, delle quali si conosce essere loro solito sponsorizzare opere di genere storico-locale. Ma non questa. l’autore

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Note biografiche dell’autore

Antonio Dal Muto, romano, vive e lavora a Cesena.Si è diplomato Maestro d’Arte all’Istituto Statale d’Arte per la Pittura e il Disegno a Marino (Roma); ha conseguito la specializzazione di Architetto di Interni; ha frequentato la Facoltà di Architettura a Firenze; Possiede l’abilitazione all’insegnamento della Storia dell’Arte e del Disegno

Al suo attivo ha diverse mostre personali e collettive di Pittura, ma la sua attività si è svolta anche con esperienze nell’ambito della:SCENOGRAFIA – sue sono le scenografie del Festival della Canzone Romagnola, “ E Campanon”, negli anni ’90.FUMETTO: ha disegnato oltre all’opera citata nell’introduzione, anche la “Storia a Fumetti di AriciAntica. Dall’ VIII secolo a.C. fino al V secolo d.C.” con la sponsorizzazione della Provincia di Roma e del Comune di Ariccia; lavoro recente è la “Storia a Fumetti di Sarsina Antica. Dalle Origini alla Costruzione della Cattedrale – XI secolo” non pubblicata; “Storia di Castrocaro a Fumetti” non pubblicata; “Storia di Anzio. Dalle origini a Nerone” in attesa di pubblicazione da parte del’amministrazione anziate e “Storia di Comacchio” realizzata su richiesta di un editore comacchiese, Daniele Cavallari.VIGNETTISTA: collabora da molti anni con il settimanale della diocesi Il Corriere Cesenate. Nel 1985, in tale veste, ha collaborato con la sede bolognese della RAI;CRITICA d’ARTE: ha collaborato con il CORRIERE DI Romgna, poi con la VOCE di Romagna, e adesso, nuovamente. con il CORRIERE di Romagna; impegnandosi in riflessioni critiche su artisti e sulle iniziative legate alla pittura, alla scultura e all’Architettura. RITRATTISTA: Ha realizzato Gallerie di ritratti di personaggi noti alla comunità di Cesena, come la “Galleria di Ritratti di uomini illustri cesenati, dal Risorgimento all’ultimo sindaco in carica, Giordano Conti”, personaggi legati all’amministrazione del municipio e di proprietà dell’amministrazione stessa, ma regolarmente stipati in un magazzino; “Galleria degli abati che hanno guidato l’Abazia del Monte dal 1888 all’ultimo abate in carica” di proprietà dell’abazia benedettina; “Galleria dei sacerdoti che hanno guidato la Parrocchia di S.Egidio dal 1954 ad oggi” di proprietà della parrocchia stessa e messi in un armadio.“ Ritratto di Pantani” esposto presso lo “Spazio Pantani” di Cesenatico; ritratto di Agnelli Giovanni, di proprietà della famiglia; Ritratto di Rita Levi Montalcini, di proprietà della stessa; ritratto di Milva, di proprietà della stessa; ritratto di Enzo Ferrari, G. Agnelli; L.C. di Montezemolo; M. Schumacher e Barrichello di proprietà della Ferrari di Maranello; ritratto di Chiara Muti di proprietà della stessa.

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BIBLIOGRAFIA

• Per questo lavoro, fondamentali sono state le opere come:

• -“Per una lettura operante della città” di G.Conti e D. Corbara;

• -“Cesena Diciotto Secoli di Storia” di G.Sirotti;

• -“Storia della Chiesa di Cesena” edito dalla Cassa di Risparmio;

• -“Borgo Chiesanuova: Storia di uno sventramento” edito dal Comune di Cesena;

• -“Vecchia Cesena” Edito da Coop. CILS; “La cinta muraria di Cesena”di P. Montalti;

• - “Piano Regolatore Generale” del 1969 edito dal Comune di Cesena;

• -” Raccolta di disegni sul percorso del Cesuola” autore: G. Severi - inizio 1900

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• TAVOLA 1- La Pianta di Cesena nel primo ‘800

• Se fosse capitato di chiederci come poteva apparire la città di Cesena prima che il piccone stravolgesse il suo volto medievale - lasciatoci integro dal signore della città, Malatesta Novello, non occorrerà fare ricerche impegnative, poiché una risposta la troveremo osservando queste trenta tavole. Avremo, così, modo di metterci nei panni di un forestiero che, entrato da Porta Romana, l’attuale Porta Santi, percorrendo la vecchia via Emilia, potrà ammirare quegli scorci urbani che a noi sono ormai negati a causa degli interventi demolitori che si sono susseguiti fino agli anni ’70 del novecento. Egli visiterà per noi, cesenati del III millennio, quegli scorci cittadini cari ai nostri antenati, spariti del tutto o modificati a tal punto da rendere irriconoscibili angoli della città a noi familiari, ma non più originali. Iniziamo con la pianta della città: fuori le mura il silenzio di una campagna libera dall’attuale affollamento abitativo; attraversata dalle antiche vie romane ( la Dismano, la via per Ad Novas alias Cesenatico, la via per il mare che seguiva l’antico tracciato del Cesuola e la via Emilia) e dal minuto sistema viario legato alla centuriazione romana, mentre in collina strade polverose e impervie collegavano i piccoli centri circondati da una natura, per certi aspetti selvaggia. Pochissimi i casolari rurali: luoghi abitati, per lo più, da povera gente oppressa dalla povertà e dalla denutrizione. Il centro storico nel 1800 faceva poco più di 6000 abitanti, compresi i piccoli borghi situati subito fuori porta.

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L’antico nucleo cittadino appare, ora, circondato dalla normale estensione urbana della cittàNuova. La via Cervese è un asse viario densamente abitato

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• TAVOLA 2 – Il Borgo di Porta Romana

• Eccoci dunque all’inizio del nostro viaggio dentro la città, in compagnia di un avventore, immaginato appena sceso dalla corriera, trainata da cavalli, proprio appena fuori Porta romana. La zona, guardata da un punto di vista icnografico – a volo di uccello – appare molto simile alla situazione attuale: ora mancano gli edifici in direzione del torrione, seminascosto da basse casupole, che si sviluppavano per un tratto, anche lungo le mura. La via emilia arrivava in prossimità della Porta dopo aver attraversato il borgo noto anche come Borgo San Pietro, uno dei borghi più popolosi all’inizio dell’800. Una curiosità: il nostro avventore non sarebbe mai entrato in città così come noi facciamo giornalmente, ossia con un semplice andare, sarebbe stato fermato dalle guardie e avrebbe dovuto presentare loro i documenti di identificazione, specificando le ragioni della sua venuta. Ma non dimentichiamo, inoltre, che a fianco delle guardie - forse cesenati o forse no – sicuramente c’era un graduato dell’ Armata Francese! Dal 1796 fino al 1810 circa, Cesena, come tutta la Romagna e gran parte dell’Italia Cento-Nord, fu sotto la scure napoleonica. Un forestiero a Cesena sarebbe stato guardato con sospetto in quei tempi: meglio essere in regola con i documenti. Ma chi abitava Borgo San Pietro? Tutta una tipologia di persone appartenenti al ceto basso: artigiani soprattutto. Sotto i portici, che intravvediamo a sinistra, non c’erano le botteghe che vediamo ora, bensì botteghe di falegnami, contadini, fabbri, calzolai, sellai… e osterie. Proprio in una di queste osterie, il cui spazio storico, si suppone quello occupato, ora, da uno studio tecnico, si tenne, molti anni dopo, un triste convegno di abitanti locali per uccidere il Conte Neri. Un delitto maturato all’interno di un tessuto sociale fatto di miseria, risentimenti e apparenti motivazioni politiche. Tutto sommato il borgo era costituito da una tipologia di case semplici, ma che mostravano per intero la loro ultracentenaria età. La via Emilia era una via in terra battuta e polverosa.

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Ecco Porta Santi non più “affollata” da abitazioni come allora.

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Un’altra suggestiva immagine dell’allora Porta Romana

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Le prime abitazioni del borgo di Porta Romana ancora fedele all’antico voltodella città …

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La modesta casa dove nacque Leonida Montanari, patriota carbonaro, decapitato aRoma nel 1826. Qui mosse i suoi primi passi. Una targa ricorda la sua casa natale …

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• Tavola 3 - Il Convento delle Cappuccine, l’ospedale Fatebenefratelli e la Chiesa

• Il tentativo di ricostruzione ipotetica del volto scomparso di inizio ottocento di una città – in mancanza di materiale fotografico soffisfacente allo scopo e che mostra ciò che più non c’è -presenta il rischio di stravolgere la verosimiglianza degli aspetti urbani raccontati: la ricostruzione grafica non può far conto solo sulla immaginazione, ma deve usare al meglio gli strumenti disponibili e integrarli con ipotesi attendibili. A partire dalla pianta di Cesena, edita nel lontano 1969 dallo studio tecnico comunale per altri scopi, utile fu, altresì, consultare l’opera “Per una lettura operante della città” scritta da Giordano Conti e Delio Corbara nel 1980. Dalla lettura di questa analisi, ed di altre – vedi Bibliografia - è stata resa meno ardua la ricostruzione. Ma torniamo al nostro viandante che, prima di arrivare all’altezza degli edifici raffigurati nella Tavola 3, sicuramente sarà passato sotto i portici della casa dell’allora bambino Leonida Montanari, futuro medico a Rocca di Papa, paese dei Castelli romani e decapitato nel 1826 sulla romana Piazza del Popolo con l’accusa di essere un terrorista e un omicida. Nella nostra raffigurazione, il primo edificio, incontrato dal nostro viandante - non più esistente come tutti quelli qui ricostruiti e presenti lungo l’allora Via Borgo dei Santi, attuale Corso Comandini - era il Convento delle Cappuccine, prospicente Palazzo Guidi, ma all’epoca già chiuso da un editto napoleonico che agli inizi dell’800 obbligò alla chiusura tutti gli ordini religiosi. L’edificio dell’ex Convento fu demolito agli inizi degli anni ’60 del ‘900; in circolazione esiste una sua foto d’epoca. A seguire l’edificio conventuale era il complesso della Chiesa della Casa di Dio– vedi la prossima immagine.

• Tra questi due edifici c’era il complesso dei religiosi Fatebenefratelli

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I moderni edifici che sostituirono e il complesso monastico delle Cappuccine e quello dei Fatebenefratelli …

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L’elegante Palazzo Guidi, una delle dimore occasionali di Garibaldi, che fronteggialo spazio occupato dai due complessi ecclesiastici non più esistenti …

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• Tavola 4 - La Chiesa di San Michele o Casa di Dio

• Il punto di vista usato nella realizzazione di questa tavola è quello di un abitante affacciato ad una finestra del palazzo situato, assieme al complesso visibile, in Borgo Strada Fuori – toponimo che derivò dalla situazione di questo borgo che, prima della ristrutturazione della cinta muraria ordinata da Novello Malatesta, era fuori le mura (arrivavano all’altezza degll’attuale Teatro ). Il gruppo di edifici, qui raffigurati, erano: Le Cappuccine, a seguire l’Ospedale dei Fatebenefratelli e la parrocchia di San Michele o Casa di Dio. Quest’ultima era una vera e propria parrocchia gestita e governata dal vescovo: basti pensare che nella Cesena del XVIII secolo, all’interno delle mura esistevano 40 chiese – e 8 fuori le mura - molte delle quali con funzioni parrocchiali. L’arrivo di Napoleone fece piazza pulita di quello che ora definiremmo come un “eccesso di religiosità”, ma anche di sincera devozione in tempi in cui la fede, per le classi più povere, era l’unico rifugio contro le frustrazioni da angherie, soprusi e miseria. Un aneddoto per capire i tempi: il Cardinale Denhoff ( 1687-1697) fece imprigionare per qualche giorno dei prelati con l’abito talare un po’ corto e trattenne nella prigione dell’episcopio il vicario della parrocchia di San Michele, perché omise di somministrare i sacramenti ad una parrocchiana morente. Ma tornando all’edificio della Chiesa in questione, c’è da dire che la parrocchia gestiva il cimitero annesso. Non a caso, quando recentemente iniziarono i lavori di risistemazione del Giardino pubblico, vennero alla luce ossa e teschi; si trattava di tombe ancora rimaste in loco, quelle più povere. Tombe che potevano risalire a qualche secolo addietro, quando il cimitero era ancora fuori le mura. La Funzione cimiteriale cessò quando Napoleone proibì l’inumazione dei defunti e all’interno delle mura e dentro le chiese. Il complesso della parrocchia venne demolito con l’inizio dei lavori per fare del sito un Giardino Pubblico, nel 1832, con un lascito donato dal conte Paolo Neri, morto suicida. Una lapide ancora lo ricorda.

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Ecco il Giardino Pubblico, recentemente riportato all’antico ornato ottocentesco: occupalantico spazio della Casa della Chiesa di Dio e l’area cimiteriale della stessa …

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• Tavola 5 – La Chiesa della Casa di Dio, il cimitero annesso e il Palazzo Spada

• Poco più avanti della Chiesa della Casa di Dio, il primo palazzone signorile - concepito secondo strutture architettoniche quattrocentesche - ad attrarre l’attenzione di un forestiero era il Palazzo Spada. Un enorme edificio dalla facciata imponente con tanto di corte interna. Dietro quest’ultima struttura un ampio cortile confinante con le mura. All’interno del palazzo, dopo il 1815, l’anno della Restaurazione, la Famiglia Spada dedicò parte dell’edificio a teatro per venire incontro alle necessità culturali della popolazione. La necessità di avere un teatro fu fatta propria, in seguito, dall’amministrazione comunale pontificia, pensando ad un vero edificio teatrale. Prima di decidere che il Teatro Comunale – oggi Bonci – dovesse essere costruito proprio in quel sito, vennero vagliate altre ipotesi. Una ipotesi prevedeva di realizzare la fabbrica davanti all’O.I.R. demolendo l’ex Convento dei Carmelitani o all’interno dell’ex Convento dei Francescani… ma la scelta definitiva cadde sul Palazzo Spada che, acquistato dall’amministrazione nel 1843, lo fece demolire. Quasi contemporaneamente venne demolita anche la Chiesa di san Francesco: con i materiali di risulta dei due edifici venne realizzato il Teatro comunale, arretrato dalla strada rispetto all’originale posizione del palazzo. A realizzare il nuovo edificio fu chiamato l’architetto Luigi Ghinelli che mise la firma anche ai teatri di Pesaro, Senigallia e Ancona. Il 1843 vide l’inizio della fabbrica e il 15 agosto 1846 ci fu l’inaugurazione presieduta dal Gonfaloniere Saladino Saladini Pilastri, dal vescovo e dal Conte Edoardo Fabbri, che già s’era fatto qualche anno di carcere ad Ancona per sospetti legati alla carboneria. La somma impiegata fu di 4784, 32 scudi. Mattia Mariani, cuoco dei conti Masini, in veste di cronista, ne fa resoconto. "Fu apperto nella sera di Sabato 15 detto il nuovo Teatro Comunale … con Opera in Musica. La piena di popolo che vi fu in Teatro in tale sera tanto cesenate che foresto fu immenso "

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Il Teatro Comunale, dedicato al tenore cesenate Bonci, arretrato rispetto all’edificiodi proprietà della famiglia Spada …

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• Tavola 6 – La Chiesa di San Severo e San Filippo

• Addentratosi in un vicolo della vecchia Cesena, di fianco al Palazzo Spada, il nostro passante curioso è arrivato nell’ attuale Piazza Isei – più piccola allora, perché l’unico esempio, a Cesena, di bella architettura barocca, tardo ‘600, ne occupava gran parte dello spazio; parliamo della Chiesa di San Filippo e San Severo. Notizie sulla sua costruzione le troviamo nell’opera sulla Storia della Chiesa di Cesena promossa da una Banca locale. La chiesa fu ideata dall’architetto Pietro Mattia Angeloni (1627-1701) cesenate di nascita, ma di formazione romana - sua è la chiesa dedicata a Sant’Anna e Gioacchino che si trova sulla Piazza del Popolo. Progettista di fabbriche anche civili, Angeloni realizza, ristrutturandola, la chiesa di San Filippo e Severo tra il 1681 e il 1693, rifacendosi ai modelli estetici del suo tempo, quelli del Rainaldi e del Bernini. Annesso alla chiesa era il convento dei padri dell’Oratorio, prospicente al convento delle Santine sorto, illo tempore, su strutture romane e altomedievali e riconvertito, recentemente, in abitazioni civili, senza aver mai saputo, purtroppo, se sotto i vari intonaci potessero esserci degli interessanti affreschi. L’intero complesso della chiesa, qui illustrata, subì gli strali napoleonici tant’è che nel 1810 risultava già in avanzato degrado. Va ricordato che la chiesa, sotto l’appellativo di San Severo, era ricordata sin dal 1155. Travolta da una delle ricorrente piene torrenziali del Cesuola, nel 1445, fu ricostruita nel 1587 secondo canoni tardo rinascimentali, fino a che l’Angeloni la restaurò pensando all’estetica del suo tempo. Parte del complesso di San Filippo venne demolito tra il 1837 e il 1840. Opere appartenute alla chiesa si possono ammirare, ora, in Cattedrale: si tratta di un bassorilievo di Vincenzo Gottardi murato nella navata di sinistra, e di una grande tempera di Girolamo Caldieri, raffigurante la città di Cesena e dove possibile vedere anche la facciata della stessa chiesa demolita. L’attuale caserma dei Carabinieri occupa i rimanenti antichi spazi rimasti del complesso.

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Il luogo, ora Piazzetta Isei, che anticamente ospitava la Chiesa di S. Severo e Filippo. Sull’angolo destro dell’immagine parte dell’edificio dell’antico monastero delle Santine …

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• Tavola 7 – Il Convento dei Celestini

• Siamo all’altezza dell’odierna sede della Cassa di Risparmio, ma… agli inizi del 1800 al suo posto c’era il già ex convento dei Celestini. Questo ordine arrivò a Cesena, agli inizi del XIV secolo, grazie ad una donazione di Tanucolo di Benedetto, che trasformò la sua casa in una piccola chiesa, donandola, poi, ai Celestini; l’ordine venne ufficializzato nel 1354. Questo evento permise di costruire il convento e chiesa. Nel 1682 il complesso venne ampliato ed elevato al rango di abbazia. Con l’arrivo di Napoleone i celestini furono sloggiati e il complesso venduto nel 1801 a tal Francesco Montanari che ne fece la propria abitazione. Il figlio pensò di trasformare la chiesa in botteghe dopo aver fatto riesumare tutti i cadaveri da secoli ivi sepolti. Compreso quello del padre Francesco. La chiesa in questione, nella ricostruzione grafica, è quella che si vede dietro il palazzo dell’O.I.R. che quando venne costruito tra il 1776 e il 1795, inglobò l’edificio religioso a croce latina. La separazione del convento dalla chiesa fu ad opera dei francesi che ricavarono un sbocco sulla via emilia prolungando l’attuale via Tiberti. Il Palazzo dell’O.I.R. fino all’arrivo di Napoleone, funse da ospedale sin da quando, questo, fu trasferito dal complesso ospedaliero ( vicolo Madonna del parto) voluto da Violante Malatesta nel XV secolo. Dall’O.I.R. l’ospedale venne trasferito negli spazi del San Domenico, dove le cronache ci raccontano come i cadaveri ruzzolassero per le scale a causa dei becchini che, sempre ubriachi, li facevano cadere dalle barelle; per poi passare nel complesso di San Rocco presso il Ponte Vecchio. Il complesso dei Celestini, demolito a metà ‘800 venne poi ricostruito, alla fine dello stesso secolo per diventare la sede della Cassa di Risparmio. Il corpo della chiesa, invece, adibito a botteghe – attualmente, sotto i portici dell’O.I.R., nei suoi antichi spazi c’è un tabaccaio e una farmacia – fu demolito quando negli anni ’50 del ‘900 venne ricavata l’omonima galleria. Della chiesa rimane traccia dell’abside in via Martiri d’Ungheria.

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L’edificio della Cassa dei Risparmi che occupò lo stesso spazio che era del Conventodei Celestini…

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• Tavola 8 – Il Complesso episcopale e il Complesso monastico dei Carmelitani

• La presente tavola appare complessa ai nostri occhi, essendo le strutture presenti riconducibili ad importanti realtà storiche che, all’epoca del nostro viaggiatore, ancora mantenevano la loro antica dignità. Ma vediamo cosa c’era nello spazio dell’attuale Piazza della Libertà. Dietro la Cattedrale era il complesso episcopale, sorto subito dopo la costruzione della chiesa madre; parliamo del XV° secolo: un complesso, con un paio di chiostri, dei quali rimangono alcune colonne e nemmeno una completa testimonianza fotografica, sempre auspicabile prima di demolire un edificio storico, laddove, semmai, si arrivasse a questa drastica quanto infausta decisione. Separato da questo complesso il Convento dei Carmelitani. L’ordine degli eremiti -nato in Palestina nel XII secolo - che venne accolto in città per volere di Malatesta Novello, abbandonando la vecchia sede, presso il mulino di Serravalle, dopo l’inondazione del Savio del 7 agosto 1460. Ad accogliere i monaci la Chiesa di Santa Marta – nella raffigurazione . Nel 1679, alla chiesa, venne aggiunto il campanile che dava sulla Via del carmine. Il complesso fu poi ampliato nel corso del XVII secolo. In seguito, il governo francese obbligò i carmelitani ad ospitare i preti al seguito dell’armata, poi i soldati e infine, il 23 novembre 1797, cacciò tutti i religiosi, trasformando la chiesa e il convento in ospedale e poi in caserma. Nel 1811 il convento ospitò un convittò per la gioventù, ma fallì l’obiettivo, poco dopo, per immoralità; subì molti rimaneggiamenti: negli anni ’ 20 del ‘900 - la chiesa non esisteva già più- il complesso conventuale ospitò le Poste. Negli anni ’50-60 dello stesso secolo, per antico vezzo quanto malinteso senso di “risanamento”, tutti gli edifici dietro la Cattedrale vennero demoliti, compreso il Palazzo Mori ( già Venturelli) confinante con il convento, per ricavare l’odierna Piazza della Libertà - che piazza non è, secondo l’accezione italiana, bensì un parcheggio – vedi pag 112 - Unica superstite del complesso episcopale è la Cappella di S. Tobia. Una curiosità: davanti alla cattedrale non esisteva alcuna piazzetta.

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L’abside e il campanile della Cattedrale di San Giovanni Battista si impongono, innaturalmente, sullo spazio vuoto della piazza che sostituì i complessi religiosi descritti …

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Quattro archi superstiti appartenuti al chiostro più interno del complesso episcopale …

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• Tavola 9 – La Cattedrale di San Giovanni Battista

• Siamo nel cuore del Borgo della Croce di Marmo, il borgo che ospita la Cattedrale di S. Giovanni Battista. La Vecchia Via Emilia, nel punto in cui si incontra con la via di Porta Cervese, non aveva l’attuale piazzetta – P.zza Giovanni Paolo II già P.zza Pia - che verrà ricavata con l’abbattimento di parte degli edifici di angolo agli inizi del ‘900. Il Duomo, costruito per volere di Andrea Malatesta (1385) si vedrà adornato del suo campanile solo negli anni della Signoria di Novello Malatesta (1450). Nel 1499 venne incastonato nella facciata l’attuale portale di pietra, appartenuto alla chiesa di S. Lorenzo - era dove ora è la chiesa di Madonna delle Rose - quando la facciata assunse caratteristiche rinascimentali; il 1790 vide un altro maquillage alla facciata. Il corpo dell’edificio, nella sua parte sinistra, agli inizi dell’800 fu arricchito da costruzioni destinate per lo più a cappelle devozionali. Nel 1867 venne eliminata l’enorme piattaforma, a tre scalini, del sagrato -era alta 87 cm - per facilitare la circolazione delle carrozze. Tra il 1886 e il 1892 l’architetto bolognese F. Gualandi truccò il Duomo in stile neo-gotico. Questa situazione rimase inalterata sino al 1957-60 quando si mise mano all’ultima e complessa opera di restauro che conferì all’edificio l’attuale ornato romano-gotico: quest’ultimo restauro liberò il lato sinistro, lasciando la Cappella più importante, quella dedicata alla SS Madonna del Popolo, ossia la Cappella Albizzi -nel 1746 venne rialzata e restaurata secondo i canoni dell’architettura barocca. Il Palazzo Dandini, lungo la vecchia Via Emilia, ma prospicente la via di Porta Cervese – lato destro della Cattedrale- è visibile nel suo aspetto originale: negli anni ’20 del ‘900, infatti, con la sua risistemazione a Palazzo degli Uffici ne mutò l’aspetto; negli anni ’60 del ‘900 vennero demoliti gli edifici a sinistra del duomo, come il vecchio Seminario. Si noti, infine, come la Via Emilia nel tratto attuale di C.so Mazzini fosse più stretta.

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La facciata della Cattedrale, che mantiene ancora visibili le “toppe” che hanno chiusoi vecchi finestroni, non è più seminascosta a causa degli edifici e portici che eranodi fronte e demoliti per far posto alla piazzetta.

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• Tavola 10 – La Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami

• Corso Sozzi, agli inizi dell’800, come toponimo non esisteva ovviamente; era una via all’interno del Borgo di Porta Cervese. I palazzi importanti – raffigurati nella tavola - che s’affacciavano su di essa erano: Palazzo Fantaguzzi – attualmente ospita una banca – e Palazzo Ghini. Tra i due edifici la Chiesa di San Giuseppe dè falegnami. unico edificio, lungo quel lato della via, non più esistente – venne demolito negli anni ’60 del ‘900. L’edificio religioso non era parrocchia, ma oratorio in uso alla confraternita dei falegnami cesenati, una delle tante “confraternite di mestiere” che per tutto il XVII e XVIII secolo ebbero il loro spazio – e la loro importante funzione sociale - all’interno della chiesa cesenate, fino all’abolizione delle stesse voluta da Napoleone. Questa confraternita iniziò la sua attività nel 1640 con una sede presso Porta Santi; nel 1646 si trasferì nell’edificio in oggetto; fu ampliato nel 1740 nelle forme qui raffigurate. L’interno dell’oratorio-chiesa era pieno di stucchi e affreschi eseguiti tra il 1751 e il 1753 e pagati anche con il contributo di famiglie in vista, come la nobile famiglia Alberici. La confraternita contava 1684 confratelli e aveva due sacrestani, un cassiere e due sacerdoti; il 19 marzo festeggiava il santo protettore. Una curiosità: il portone di questa Chiesa-oratorio demolita era simile a quello dell’O.I.R. ( chissà chi s’è le preso) Pensiamo un momento a quante feste, processioni, dovevano celebrarsi in Cesena grazie alle numerose confraternite – esistevano le “confraternite dei disciplinati” o flagellanti; le “confraternite cavalleresche e nobiliari”; le “confraternite legate ad ordini religiosi” ed altre ancora poste dentro e fuori del perimetro urbano: vere e proprie associazioni, una sorta di club ante-litteram – quante feste, dicevamo, legate a parrocchie ed edifici consacrati a questo o quel santo rallegravano la Cesena dei tempi andati. Concludendo, la chiesa di san Giuseppe fu un autentico gioiello demolito per far posto al… nulla, uno spazio vuoto che testimonia l’ignoranza e la superficialità di coloro che autorizzarono tale scempio!!!

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L’edificio con la struttura moderna in vetri occupa lo spazio lasciato dalla demolizione della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami …

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Lo spazio vuoto lasciato dalla demolizione della Chiesa di san Giuseppe: Si possononotare, sullo sfondo, le strutture della Biblioteca Malatestiana. Un vero e proprio continuum storico …

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• Tavola 11 – Porta Cervese

• Eccoci arrivati, assieme al nostro forestiero, presso la Porta Cervese che dà il nome all’omonimo borgo. La città, per antica tradizione, era nota ai suoi abitanti attraverso il nome dei suoi borghi, anche se l’amministrazione francese, all’epoca della nostra passeggiata, aveva per ragioni di uso amministrativo, topografico e urbanistico, suddiviso la città in zone a cui era dato il nome di un colore: zona blu, zona gialla ecc. Agli inizi dell’800 la situazione relativa ai punti di ingresso alla città era pressoché immutata rispetto alla sua completa definizione operata sotto Malatesta Novello: Cesena aveva, sul piano, 5 Porte sul piano: Porta Santa Maria o Figarola ( lungo le Mura di Sant’Agostino) Porta Romana o Santi, Porta Cervese, Porta Trova e Porta Fiume o di San Martino; mentre nella parte collinare aveva 3 porte: Porta Montanara (spesso chiusa e riaperta) Porta del Soccorso e la Porta che dava sulla Piazza. Di tutte queste porte rimangono Porta Montanara, Porta Santi, Porta Fiume e la Porta che da accesso alla Piazza. Porta Cervese era una porta molto antica, risaliva a dopo il mille; ebbe un primo restauro importante con Malatesta Novello che, con bolla papale del 1442, risistemò tutta la cinta muraria e Porta Cervese venne rifatta nuova e rialzata: Porta Romana o Santi era uguale: quella che vediamo ora è totalmente differente all’originale e simile era anche Porta Trova che oltre al passaggio dei carri aveva anche un piccolo passaggio pedonale laterale per soli pedoni. Naturalmente la Porta era agibile attraverso un ponte levatoio che scavalcava il fossato presente tutto attorno alle mura, ma non più in funzione nell’800. Già nel 1734 parte del fossato - quando questo perse del tutto la sua funzione difensiva - tra Porta Cervese e Porta Trova venne coperto per attivare il mercato di bestiame. Porta Cervese venne demolita nel 1860 – omaggio a Cavour e all’Unità d’Italia - per far posto alla Barriera attuale: punto di ingresso doganale. Appartenente al Borgo di Porta Cervese la Chiesa di San Zenone, visibile in alto a destra.

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Gli edifici gemelli della Barriera Cavour, antico spazio doganale, che sostituì la malatestianaPorta Cervese …

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La Barriera Cavour vista dall’interno cittadino …

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• Tavola 12 – La “Portazza”, lato monte

• L’immagine ci restituisce una attendibile ricostruzione di un angolo di Cesena caratterizzato dalla presenza di una antica struttura difensiva e di ingresso in città del torrente Cesuola, conosciuta ai nostri giorni come “ la Portazza”. Ristrutturata sotto la signorìa malatestiana di Novello, la portazza, col tempo, finì per perdere le sue caratteristiche difensive ( camminamenti, merlature ) divenendo riparo per gente povera: sparirono le merlature e venne aggiunto un tetto; e come abitazione giunse a noi fino a qualche decennio fa. Possiamo vedere il ponte, fuori le mura, attraversato il quale si andava verso la collina, dai cappuccini, o verso la località di Ponteabadesse. Dentro le mura, non visibile, un altro ponte che permetteva il transito di carri e pedoni che percorrevano la via lungo le mura di sant’Agostino, il cui complesso omonimo è visibile nell’immagine. A sinistra della Portazza la famosa Via quattordici, così chiamata a ricordo dei quattordici superstiti rimasti in questa contrada (contrada di San Giovanni) a causa della peste che imperversò nel XIV secolo. Ai tempi della nostra passeggiata, la Portazza rientrava, per la suddivisione fatta dai francesi, nella zona verde; tradizionalmente invece, segnava il confine tra la contrada di San Severo e quella di san Giovanni. Nel 1934 iniziò la copertura del Cesuola nel suo percorso cittadino e il tratto della Portazza finì sotto una spessa copertura di cemento che appesantì l’aspetto estetico della struttura. Attualmente il sito è visibilmente trascurato, dando l’impressione di un angolo pronto per la demolizione tanto è compromesso il suo aspetto storico. Inutile dire che occorrerebbe un serio intervento di restauro che ripristinasse il suo aspetto originario, liberando la struttura dal cemento quanto dal tetto. Andrebbero tolti anche i cipressi che coprono la struttura e, magari, riportato alla luce il fianco, lato Portazza, dell’antico ponte esterno e del tutto interrato. Si potrebbe godere, così, di un autentico gioiello di epoca maltestiana.

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L’antica “Portazza”, collegata alle mura malatestiane e punto di ingresso in città delTorrente Cesuola …

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Il Voltone della Portazza, privo del suo antico cancello in grata …

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• Tavola 13 – Il Cesuola o Giula presso il Ponte “de tri munt”

• Girovagare dentro la città significa inseguire aspetti che possono, nel visitatore, suscitare interesse, un interesse legato a quello che oggi si definisce “paesaggio urbano”. Ma il paesaggio cambia e la restituzione di impressioni mnemoniche, legate alla storia urbana, risulta compromessa o persa, come nel caso del torrente Cesuola o Giula in dialetto, che faceva di Cesena una città particolare. Il torrente, sappiamo, nasce dalle profonde intimità di una vallata preappenninica, la stessa che nel lontano XIII secolo accolse, nei reconditi di un bosco selvaggio, l’eremita San Giovanni Bono – esiste ancora il luogo delle sue preghiere e meditazioni ascetiche –per, anticamente, passare di fianco al primitivo nucleo abitativo della romana Caesena. Il Cesuola si addentrava nella campagna, passando presso l’attuale fabbrica “La cesenate” per raggiungere la costa, mescolandosi ad altri torrenti in una conformazione fluviale incerta. Attorno all’anno mille, il corso del Cesuola fu deviato per creare una cinta difensiva alle mura che arrivavano, dalla parte della piazza, a metà di Via Zeffirino Re. Con l’espansione dell’abitato, il Cesuola risultò ormai inglobato al suo interno e perse il suo compito difensivo; fu utilizzato per prelevare acqua, ma anche come scarico fognario e varie altre cose oltre che alimentare i fossati attorno alle nuove mura. Per la città, il torrentello si rivelò, ben presto, assai dannoso: durante i temporali si gonfiava a tal punto da esondare violentemente con una massa d’acqua fangosa e ricca di detriti e allagare quasi tutto il centro storico. Nella tavola vediamo la zona che era alle spalle della Pescheria: Palazzo Caporali sulla destra e sullo sfondo un ponte che sosteneva la piazzetta del lavatoio (parte dell’attuale P.zza Amendola). Il ponte in primo piano era il ponte “di tri munt” che si incontrava scendendo dalla porta di accesso alla zona dell’attuale anagrafe – Porta di Levante. La ricostruzione è stata resa possibile grazie ai disegni a matita del pittore cesenate G.Severi, che agli inizi del ‘900 fece un particolare studio sul suo percorso cittadino.

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Il corso del Cesuola coperto. A destra il Palazzo Caporali …

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• Tavola 14 – Il Cesuola e la Piazzetta del Lavatoio

• Come la precedente tavola, anche questa è ricostruita, ma con diverso punto di vista, sulle indicazioni grafiche del pittore cesenate G. Severi. Il centro di attenzione è calamitato dalla piazzetta del Lavatoio. Severi descrive la sua tavola, inerente questo tratto della Giula, con queste parole: “Da e palàz at Caporeli e pont sota e lavadur”. Quindi, il pittore cesenate, per disegnare il suo scorcio, si mise sulla sponda del torrente all’altezza di Palazzo Caporali. Della piazzetta del lavatoio, scomparsa negli anni ’30 con la demolizione degli edifici che la delimitavano sul lato destro, e la copertura del torrente, si conosce l’esistenza della fontana posta al centro ( nel 2010 venne ripristinata ma con un effetto avulso dal contesto urbano) e utilizzata per prendere acqua potabile. Si intuiscono, ma non si vedono nel disegno del Severi, la presenza di due vasche per lavare i panni e poste ai lati del ponte che costitutiva la piazzetta, oltre la quale si intravede l’ingresso del torrente sotto Via Zeffirino Re. Il Cesuola, questo torrentello, per la maggior parte dell’anno, era in secca, o ridotto ai minimi termini, come si vede anche dai disegni del Severi, ma in alcuni periodi si trasformava in una vera e propria minaccia per l’incolumità dei cittadini del centro storico. Una famosa inondazione, quella del “10 de luglio” 1525, fu oggetto di un componimento poetico ad opera di un eremitano cesenate, tale Cornelius, che iniziò con questa descrizione: “ Fuor de la terra circa cinque miglia/ a piè d’un monte nasce una gran vena/ d’un’acqua chiara ch’al cristal somiglia/ e scende giù pel megio di Cesena/ e di talacqua grande util ne piglia/ quella città magnifica, e serena/ cesaula è il nome di questo torrente/ e fu così nomato anticamente…” “… per megio de dui monti fa ingresso/ al modo suo facendosi strata/ lun se chiama San Zorzo… / e l’altro poi Santa Maria del monte/ che copia tien de fichi peschi, e fonte…” Una descrizione bucolica, che evidenzierà, poi, per contrasto, i guai prodotti dal “torrentello cesaula”.

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Laddove era la Piazzetta del Lavatoio, ora è P.zza Amendola in fase di restauro …

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Sotto la facciata dell’edificio sullo sfondo era visibile il voltone di ingresso del Cesuolanel sottosuolo che attraversa Via Zeffirino Re …

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Via Zeffirino Re, antica Via delle Ortolane, sotto cui ancora scorre il Cesuola …

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• Tavola 15 – Il Cesuola dietro l’Albergo del leon d’Oro

• Percorrendo, ai nostri giorni, Vicolo Cesuola – vi si accede da sotto i portici di Via Zeffirino Re – si entra nello spazio ricavato dalla copertura del torrente e retrostante i palazzi che fanno da lato alla Piazza del Popolo, ma all’epoca delle nostra raffigurazioni questo non accadeva, poiché il Cesuola era a cielo aperto. E’ ancora visibile il voltone che sorregge il piano di calpestio di Via Zeffirino Re, sotto il quale passa il torrente e che, probabilmente, è lo stesso voltone facente parte del ponte che, nell’anno Mille, permetteva l’accesso alla Piazza inferiore della Murata: Cesena, sul piano, era di ridotte dimensioni; la città, nota come la Murata, si era sviluppata sul colle ove sorge la Rocca, il Garampo, ed era circondata da possenti mura. Una porta di accesso alla Murata, nella sua piazza inferiore, era proprio in Via Zeffirino Re, dove il ponte sul torrente Cesuola aveva tanto di torre con ponte levatoio. E’ proprio il caso di dire. “Quanta acqua è passata sotto il ponte da allora!”. Tornando alla tavola, è facile immaginare come malsano fosse questo angolo di città: su di esso solo finestre dalle quale pioveva di tutto. Agli inizi dell’ottocento il torrente era praticamente una fogna a cielo aperto – erano decaduti i decreti malatestiani che regolavano l’uso dell’acqua del Cesuola - e questo fu il motivo reale che spinse gli amministratori comunali a farlo coprire negli anni ’30 del ‘900. Nulla a che vedere con l’acqua cristallina decantata dal poema introdotto nella descrizione precedente. L’acqua potabile che, nel 1500, poteva attingersi da esso serviva alle numerose botteghe che sorgevano lungo il suo corso. E di queste botteghe ne parla il poeta Cornelius in questi termini: “ Di grosso muro un ponte si stende/ da questa piazza e la predetta strata/ (quello in via Zeffirino Re? N.d.r.)/ sotto da qual con gran furia descende/ questa Cesaula a noi spietata/ qui strano gente chi compra e chi vende/ facendo de lor robbe gran derrata/ come especial, banchier, barbieri e sarti/ aurifici & altri che fanno più arti. / Poco più giù la grassa becaria (macelleria N.d.r.)/ a presso il detto ponte gia si stava/ & ivi anchor una bella hostaria/ con belli magazini dimorava/ de drieto poi con sua voglia empia e ria/ el loco de le triste vi albergava ( casino? N.d.r.) / da poi cantine grande e con boni vini/ da olio, e da gran doi bei molini….”

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E’ lo stesso punto di vista, ma sul torrente coperto. A destra l’edificio appartenuto all’anticoAlbergo del Leon d’Oro …

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Parzialmente visibile il voltone di uscita del Cesuola visibile nella ricostruzione grafica …

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• Tavola 16 – Il Cesuola dietro i palazzi di Piazza Maggiore

• Ancora il corso del Cesuola. Ultimamente s’è parlato di questo torrente in occasione dell’uscita dell’opera postuma della Fallaci “Un cappello pieno di ciliegie”. E le immagini, non solo del Cesuola, ma degli scorci cittadini fin qui pubblicati, sicuramente, potranno arricchire, la lettura dell’opera della scomparsa autrice, aiutando il lettore a ricreare nella mente quella Cesena, di cui parla il romanzo, e che non dissimile era da quella “narrata” graficamente da noi. Comunque, il tratto del torrente descritto in questa tavola è riconducibile all’attuale Vicolo Stalle, non dimenticando di volgere le spalle agli edifici raffigurati nella tavola precedente. Del voltone in primo piano, sappiamo che, anch’esso, faceva parte di un ponte, sul lato del quale ospitava un ambiente domestico, lo stesso ambiente, sacrificato, dopo la copertura del torrente, a passaggio per entrare nel suddetto vicolo. Il tracciato viario che passava allora sul ponte è lo stesso di oggi che, facendo angolo con l’Albergo Cappello, si affaccia poi sull’attuale Viale Mazzoni - agli inizi dell’800 era ancora Via Emilia. Sul lato sinistro del voltone notiamo uno scarico fognario costituito da vasi di coccio allungati e impilati uno nell’altro. Oltre il voltone si intravede un ponte che, con molta probabilità, era in uso privato per collegare la piazza alle abitazioni sull’altra sponda del torrente. Abitazioni e attività artigianali, sempre esposte al rischio di una esondazione. Occorre sottolineare che lungo le sponde del torrente era evidentissimo lo stato di degradazione delle abitazioni: i muri fatiscenti emergevano dal fango e gli ambienti bassi delle abitazioni, le cantine, erano regni di muffe e di topi. Il vivere quotidiano lungo le sponde risultava malsano e dannoso alla salute dei cesenati che per sfortuna o ventura si trovavano a vivere in tali condizioni. E in questa condizione di degrado molti quartieri vi si riconoscevano. Come vedremo poi. L’acqua cristallina cinquecentesca del Cesuola era un antico ricordo.

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Sullo sfondo l’edificio sotto il quale il voltone-ponte raffigurato nella grafica …

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• Tavola 17 – Il Complesso dei francescani di San Francesco da Paola. Paolotti

• Assieme al nostro visitatore - lasciamo per un istante il percorso del Cesuola – percorriamo la salita verso la Rocca, lasciandoci alle spalle all’inizio della stessa, dopo l’attuale piazzetta dell’Anagrafe - laddove, sulla destra, c’è un’immagine sacra a ricordo della scomparsa chiesetta di San Uomobono - per arrivare poco distanti da Porta Nuova o Montanara – ricavata aprendo un varco nel muro di difesa dell’antica fortezza degli Ordelaffi, abbandonata quando fu costruita l’attuale Rocca da Galeotto Malatesta nel XIV secolo. Dell’antico Castro, teatro delle gesta di Cia degli Ordelaffi, sono ancora visibili i due archi sulla destra di Porta Montanara e appartenuti ad un camminamento. Quando si arrivava presso la Porta, si poteva ammirare il complesso conventuale di San Francesco da Paola (1416-1507) ex sede dei religiosi noti come “paolotti. Il convento venne costruito nel 1630 dai frati minimi di San Francesco da Paola con i materiali di risulta dalla demolizione dei ruderi di abitazioni e fortificazioni del Castro che, per secoli, aveva dominato quella parte del monte Sterlino ( Murata), inglobando alcuni vani superstiti. Alla stessa epoca risale la costruzione della strada – attuale Via Malatesta Novello – per costruire la quale fu necessaria un opera di sbancamento, che abbassò di qualche metro la sommità del colle. Forse pochi sanno che San Francesco da Paola venne più tardi proclamato santo protettore della città assieme a San Giovanni Battista. Nel Settecento verrà realizzato un baldacchino di legno (ancona) intagliato con su scritto “ Protege civitatem hanc” (proteggi questa città) e che ora è possibile ammirare in Sant’Agostino. Il convento francescano, chiuso dall’amministrazione francese, fu presto vittima dell’incuria e degli strali della natura e venne demolito nel 1807 dopo essere stato adibito dai francesi a carcere femminile, mentre la Rocca invece era adibita a carcere maschile e tale rimase sotto il governo pontificio anche dopo la restaurazione del 1815, fino agli anni ‘50 del ‘900.

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Porta Montanara. Sulla sinistra un edificio privato, sulla destra le arcate dellaantica Rocca degli Ordelaffi. Il piano stradale, come si vede, risulta

notevolmente abbassato …

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• Tavola 18 – La Chiesa di San Giovanni Evangelista e la Porta di Levante

• Scesi dalla sommità del colle, ci troviamo nella piazzetta superiore dell’antica Murata. Edifici riconoscibili, perché ancora esistenti sono: il Palazzo Albornoz, fatto costruire dal Cardinale Albornoz - legato pontificio, tra il 1359 e 1362 - per il Governatore della città e che si affaccia sulla piazza; riconosciamo, inoltre, il voltone e la scalinata che porta sulla piazzetta. Sul lato sinistro ( per chi osserva) della chiesa, un edificio vetusto e probabilmente abbandonato, ed era ciò che rimaneva dell’antico palazzo dove, nell’età comunale, si riuniva il consiglio della cittadinanza, rappresentato dalle corporazioni e dai maggiorenti; la chiesa, invece, era quella di San Giovanni Evangelista nota anche come San Giovanni in Murata, una tra le chiese più antiche di Cesena; risalirebbe, la sua costruzione, attorno all’ VIII secolo, come riporta una nota del cronista Giuliano Fantaguzi (1520) che così recita: “ domo antonio arceprete de monte regale ebbe san zanne in la murata che ruinava e reconzò areparò de novo e atrovò nelli altari guasto che la ditta ghiesa era stata edificata del setecento…”( “del setecento” si intende del VIII secolo). Rimase in funzione fino a ridosso dell’epoca napoleonica e poi abbandonata per la sua vetustà . Di fianco la chiesa la Porta di levante, attraverso la quale si scendeva verso il Ponte de “Tri Munt”, quello della Tavola 13. Tutto il complesso della piazzetta su cui si affaccia l’Anagrafe venne risistemato nel 1885: furono demolite le abitazioni annesse alla chiesa e la chiesa stessa, così la porta di uscita e di ingresso alla, ormai scomparsa, Murata. Al posto del complesso antico venne eretta la Caserma Ordelaffi che, in seguito, divenne sede degli attuali uffici comunali. Insomma, con la demolizione della chiesa di San Giovanni evangelista si chiuse un antico periodo storico che vide a ridosso del colle Garampa-Sterlino il luogo di mille eventi storici della città. Della chiesa rimangono un grande Crocifisso in legno, cinquecentesco, e un gruppo di due statue lignee colorate. Tali opere dovrebbero essere in Sant’Agostino.

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Parte della Caserma Ordelaffi, ora sede uffici comunali, e sul suo fianco destro,in basso, la stradina su cui era la Porta di Levante …

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Da questo punto di vista è possibile ammirare l’estensione dell’edificio che sostituìLa vecchia Chiesa di San Giovanni Evangelista. La facciata in mattoni fa parte del

Palazzo Albornoz …

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• Tavola 19 – Piazza maggiore

• L’immagine restituisce alla memoria storica la Piazza del Popolo con il famoso “quarto lato” abbattuto subito dopo l’annessione della Romagna al governo sabaudo; era il 1860, ed era governatore dell’Emilia, Carlo Luigi Farini. Nessuno pensò di salvaguardare la piazza, anzi, si volle, con la demolizione del Borgo Chiesanuova retrostante, allargare la via Emilia da porta Fiume fino alla Piazza maggiore ( così si chiamava l’attuale piazza del Popolo). Per questo, l’attuale piazza, appare come l’inizio di un viale e non è più in grado di restituire all’osservatore l’originale “centralità della piazza malatestiana”. Quando venne costruito il lato demolito? Le cronache del tempo non ci danno alcun riferimento certo; si può supporre che esso avvenne al tempo di Galeotto Malatesta, dopo il 1378, in occasione della risistemazione della piazza. Per quanto rigurada il borgo restrostante al lato poi demolito, il Borgo Chiesanuova, esso assunse tale denominazione nel XVIII secolo, quando venne ricostruita la Chiesa di San Domenico, prima di allora si chiamava Borgo cesariano, in riferimento ad un una credenza che volle il borgo ricostruito, dopo la guerra civile tra Mario e Silla – I secolo a.C. – con un contributo di Giulio Cesare che, in quel periodo si trovava a Ravenna in attesa dell’”Alea iacta est”. Se fosse stato il denaro di Giulio Cesare non lo sappiamo, ma sicuramente il borgo esisteva già a quei tempi poiché la via Emilia passava, dove ancora passa adesso, ai piedi del colle Garampo. Quindi, è probabile che fu Galeotto Malatesta, onde separare il borgo dalla Piazza, nota nella storia come piazza inferiore, a far costruire un muro – la rocca inferiore ancora non esisteva- e un camminamento che si allacciava a quello che portava sulla rocca. Con il tempo tale muro, debitamente riadattato, divenne un edificio adibito a varie funzioni, come gli uffici della Posta (quella dei cavalli) visto che nella e dalla Piazza arrivavano e partivano le carrozze per diverse destinazioni.

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• Tavola 20 – Piazza Maggiore e il Cesuola dietro i palazzi

• Siamo sempre sulla Piazza Maggiore , ma con uno sguardo allargato, tanto da comprendere il Cesuola nel suo tragitto ( il primo ponte è quello rappresentato nella tavola 16). Il caseggiato, sinistra dell’immagine è il complesso dell’Albergo del Leon d’oro, mitico luogo di accoglienza che vide le sue camere occupate da personaggi importanti che, per i più disparati motivi, si fermavano in città, come Andrea Costa, padre del Socialismo e che a Cesena ridarà alle stampe l’Avanti (1881). Uno dei proprietari dell’Albergo fu l’amico e compagno di Costa, Pio Battistini:personaggio dal temperamento focoso, politicamente parlando, e che più volte ebbe a che fare con la Legge per le sue idee ritenute sovversive. L’aspro clima di tensione tra repubblicani e socialisti porterà all’uccisione del Battistini il 7 settembre del 1889, alle ore 21.00, sotto i portici della Via delle Ortolane, come si chiamava allora l’attuale Via Zeffirino Re. Il 7 settembre del 1910, a Cesena, sarà Mussolini a commemorarne la memoria tra mille polemiche. Dietro il quarto lato della piazza, il Borgo Chiesanuova. C’è da sottolineare che l’entusiasmo con cui i cesenati e l’amministrazione stessa impiegarono per questa demolizione intesa come “rivoluzione urbana”, dovette di li a poco causare dei ripensamenti negli stessi: nel 1863, quando le demolizioni del borgo Chiesanuova erano ancora in corso, il sindaco, o più esattamente il Gonfaloniere, propose di ricostruire il quarto lato per dedicare la Piazza al mercato della canapa. Evidentemente, quella nuova prospettiva che si disperdeva su uno spazio vuoto, sconosciuto, mise in subbuglio le antiche visioni urbane insite nei cuori e nelle menti dei cesenati. Da allora, l’idea di ricostruzione di questo benedetto “quarto lato” è passata attraverso i lustri arrivando fino a noi, dove, saltuariamente, ancora … se ne parla! E il Cesuola va, lungo la sua millenaria direzione, raccogliendo gli eventi, i fatti, gioie e dolori, in quel tempo molto più numerosi delle gioie.

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• Tavola 21 – Il Palazzo del Capitano o Ridotto e Palazzo Almerici

• Se la vista della Piazza maggiore, come abbiamo visto, suscita chiaramente l’idea di una Cesena dal volto diverso, sconosciuto e perduto per sempre, lo sguardo che si posa su questo altro scorcio della città, appartenente all’antico tratto di via noto, allora, come Via Croce di marmo, attuale Corso Mazzini, ci restituisce la sensazione di trovarci in altro luogo. Riconosciamo il Palazzo del Capitano, ma lo vediamo circondato, stretto, sui tre lati, da abitazioni – a destra Palazzo Almerici, demolito nel 1959 e mai più ricostruito, lasciando al suo posto un grande vuoto - dietro, si intravede la Chiesa di San Francesco. Una curiosità: sul lato sinistro del Palazzo del Capitano, un po’ internamente c’era la vecchia Sinagoga. Non conosciamo la data della sua demolizione. Sul tratto della via, a partire dalla Cattedrale, visibile in parte sulla destra, scopriamo l’esistenza, nell’800, di portici. Anche da questo lato della via. Essi arrivano fino all’ingresso di quello che era il Convento di Santa Chiara. Come sappiamo, la costruzione di un convento delle clarisse ha da sempre accompagnato le vicende conventuali dei francescani, per cui era, quasi sempre, posto nelle vicinanze di quest’ultimi. Il Convento di Santa Chiara fu costruito nel XIV secolo e cessò il suo servizio con l’Amministrazione francese; il complesso arrivò in mano a privati. Il tutto è stato recentemente restaurato. Per quanto riguarda i portici, questi verranno smantellati attorno agli anni ’20 del novecento: iniziavano a circolare automobili e quindi occorreva una strada più ampia. E assieme a questa operazione fu realizzata, davanti alla Cattedrale, anche la piazzetta Pia, oggi Giovanni Paolo II. A quanto sembra, un paio di arcate dei suddetti portici sono state salvate, inserendole nella facciata di Palazzo Soldati, forse perché costruite con un bell’ornato in mattone rosso. Dall’altro lato della strada, sempre alla fine degli anni ’50 del novecento, verrà demolito il vecchio Palazzo Urtoller per costruirne uno nuovo con annessa galleria.

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A destra del Palazzo del Capitano lo spazio vuoto lasciato dalla demolizione diPalazzo Almerici …

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La totale demolizione degli edifici attorno al Palazzo del Capitano hanno isolatolo stesso dal contesto urbano …

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• Tavola 22 – La Chiesa di San Francesco con il Complesso francescano

• Quanta storia nello spazio compreso il Palazzo del Capitano e la Chiesa di San Francesco! Parte del Palazzo del Capitano poggia sulle fondamentale di una Domus di epoca romana, di cui un pavimento musivo è in bella mostra nel salone comunale. Ma al nostro curioso viandante poco era dato da sapere di tutto ciò, poiché visibile era solo uno piccolo spiazzo di terra battuta animato dal via vai dei soldati francesi che della chiesa di san Francesco, assai malandata, ne fecero una stalla, e di tutto il complesso conventuale una caserma con tanto di refettorio nella Biblioteca Malatestiana. Luogo di mille emozioni quella chiesa - costruita fuori le mura della città, attorno al 1256, contro la volontà del vescovo locale, ma su imposizione di papa Innocenzo IV, che esortò ad aiutare i francescani a costruire il convento con le elemosine - con un po’ di immaginazione potremmo percepire oltre ai canti gregoriani anche i pensieri di paura di Ser Baldassarre Malvezzi che ferito si rifugiò, nel 1492, nel campanile, sotto l’ombra di quella campana fusa nel 1226, si dice, per volontà dello stesso San Francesco; o le urla di rabbia, odio e dolore dei 27 partigiani della famiglia Martinelli uccisi per mano dei partigiani della famiglia Tiberti: due famiglie in contrapposizione in quel violento 1500. Tanta storia dentro quelle mura soffocate dal puzzo del letame dei cavalli francesi. Ma tanta fu la rovina di questo edificio che attorno al 1838 fu deciso di abbatterlo. Nell’abbattere la chiesa vennero trovati i resti mortali del signore di Cesena, Novello Malatesta; erano sepolti fuori della chiesa a ridosso della parete di destra. Nell’immagine si vede un specie di transenna attaccata al muro, sormontata da una piccola targa marmorea che ricordava l’evento, entrato, da lungo tempo, nell’oblio della memoria collettiva cesenate. Ora al suo posto c’è piazza Bufalini, ma è ancora visibile un finestrone laterale all’abside, murata e in uso come cantina nell’edificio retrostante. Come già detto in precedenza, con i mattoni della chiesa fu costruito parte del Teatro Bonci.

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Sullo sfondo uno dei due finestroni gotici della demolita Chiesa di San Francesco. A sinistra l’edificio dell’ex Liceo Classico in ristrutturazione per ospitare la “Grande Malatestiana” …

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• Tavola 23 – Il Cesuola in uscita dalla città

• Eccoci in vista dell’ultimo tratto del Cesuola, una vista particolare per rendere meglio l’idea del percorso cittadino del capriccioso torrentello. Certo, le coperture dei palazzi che lo fiancheggiano sono cambiate nel corso di duecento anni, sicuramente uguale, invece, appare il tetto del solenne palazzo ove visse Edoardo Fabbri, combattente risorgimentale e personaggio illustre – una lapide lo ricorda. A fianco di detto palazzo, stretta, corre la Via Emilia. Il pittore cesenate G. Severi, già precedentemente ricordato, dal punto di vista di chi è immerso fino alla cintola nel torrente, disegnò questo tratto di Cesuola o Giula, da valle, attribuendogli l’indicazione topografica “ e pònt dria la chèsa ad Foggia” e si riferiva al terzo ponte raffigurato qui che, con il secondo, erano in uso privato e non vie di comunicazione. Del ponte a ridosso della Portazza, il quarto in basso, non più esistente, se ne scoprirono le strutture in recenti lavori di sistemazione della Via Porta Fiume. L’attuale via Beccaria ricalca questo ultimo tratto del torrente. In alto si vede il ponte su cui passa via Frà Michelino. Una curiosità storica che potrebbe coincidere con una nostra ipotesi: Galeotto Malatesta, signore di Rimini al tempo del sacco di Cesena in quel 1377, dopo aver ricevuto dal papa l’autorizzazione a governare questa città, dovette assaltare la Murata onde cacciare i mercenari di Giovanni Acuto, responsabili dell’eccidio e del sacco ai danni dei cesenati. Falliti i tentativi di assalti diretti, le cronache riportano, riuscì nell’intento scavando un tunnel che arrivò fin dentro la Murata. Di questo tunnel non si ha certezze dove fosse stato scavato, ebbene, anni orsono ebbi modo di vedere un tunnel che dal piano interrato di un negozio posto sulla via vecchia Emilia andava diritto verso le mura. Quale punto migliore: passava sotto il Borgo cesariano e il materiale di scavo poteva essere gettato nel Cesuola in piena ( era fine dicembre ). L’operazione poteva avvenire senza essere visti. Il Tunnel – mai esplorato - venne alla luce dopo un restauro del negozio e l’imbocco, poi, tornò murato finendo nel dimenticatoio.

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Ecco il tratto finale coperto del Cesuola. Sullo sfondo il luogo dove si ergeva la seconda“Portazza” di uscita del torrente. Si notino i palazzoni sullo sfondo che non permettono più la visione del panorama come rappresentato nella tavola successiva …

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• Tavola 24 – La “Portazza” lato valle

• Questo è ciò che avrebbe visto un cesenate che si fosse posto dalle parte degli attuali giardini di Serravalle, e di Via Fratelli Bandiera. Con la costruzione dei palazzoni a ridosso delle mura malatestiane è stato occluso, nascosto, per sempre questo scorcio di città. Il Cesuola, uscendo dalla città, attraverso la seconda Portazza, ora non più esistente, andava ad unirsi al Canale dei Molini di costruzione malatestiana e che scorreva lungo l’antico alveo del fiume Savio. Il Mulino di Serravalle era alimentato da questo canale e, probabilmente, ancora in servizio agli inizi dell’800. Ora, l’edificio, aspetta di essere restaurato. Abbiamo visto, fino ad ora, come fosse l’aspetto della città in questo antico scorcio storico: fermiamoci, ora, a pensare per un attimo come fosse, invece, l’aspetto sociale che, non dimentichiamo, era gestito e controllato dall’amministrazione francese. Grazie alla ventata illuministica, oltre che dispotica, del conquistatore d’oltralpe, Cesena conobbe innesti di vita civile sconosciuti fino ad allora, basta pensare all’introduzione del Codice Civile a cui si faceva riferimento per le successioni ereditarie, per la definizione dei confini, per il matrimonio per i misfatti amministrativi ecc. tutte regole che prima erano in mano – e lo torneranno dopo il 1815 – ad esponenti della curia locale e romana. L’istituzione del Catasto e dell’Anagrafe civile furono i frutti di una visione più moderna e funzionale che i francesi introdussero in Italia e a Cesena. Non c’erano più né marchesi né conti, né poveracci né reietti: dal punto di vista sociale si era tutti “citoyens” ossia “cittadini”: Cittadino Ghini, cittadino Maraldi e così via: marchesi e puttane erano sullo stesso piano sociale, in teoria, poiché le differenze sociali rimanevano forti a livello economico: i poveracci continuavano ad abitare in borghi vecchi e ammuffiti, come vedremo, e i ricchi nei loro sontuosi palazzi a conversare in francese e a seguire la moda neoclassica introdotta dai salotti napoleonici.

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• Tavola 25 – Via di Santa Caterina

• Tornato, il nostro curioso visitatore, sui suoi passi, percorrendo la via delle mura, dalla parte del Cesuola, egli, entra nel dedalo di viuzze che fanno da corona all’attuale Via Chiaramonti, che all’epoca dei fatti narrati si chiamava Via di Santa Caterina. Il nome della via derivava dalla presenza del monastero di Santa Caterina - in borgo di Porta Ravegnana o Porta Trova, demolita nel 1867 - e anch’esso costruito per volere di Malatesta Novello; seguì le sorti degli altri ordini religiosi, venendo chiuso per sempre dalla longa mano francese . L’edificio, passò in mano a privati, come la famiglia del Conte Masini che ne fece un teatro per poi diventare una scuola elementare. L’edificio, che delimita le vie Pasolini e Sacchi, attualmente è sede dell’università. In questa via, che ancora mantiene il suo fascino ottocentesco, sono presenti palazzi signorili come il Palazzo Chiaramonti e il Palazzo Guerrini. Il dosso visibile all’inizio della via, potrebbe risalire alla presenza delle antiche mura duecentesche, poiché in quei paraggi, nel duecento era Porta Ravegnana. Interessante è la Via Carbonari, all’epoca una corta via fiancheggiata da casupole e che terminava a ridosso delle mura. Questa parte di mura venne demolita nel dopoguerra, dopo che negli anni precedenti fu operata un’apertura per collegare la città al nuovo asse di scorrimento – attuale via Cesare Battisti – la strada diretta per Forlì collegata al tratto della via Emilia interna alla città, per evitare di passare in Via delle Ortolane – attuale via Zeffirino Re – e fare il solito giro fino al ponte di porta Fiume. La Via di Santa Caterina, va ricordato, ricalca l’antico tracciato romano della strada che conduceva a Ravenna, la via dismano. Attualmente, il vecchio asse viario passa sotto gli edifici, a destra dell’immagine, costruiti quando dell’antico tracciato si perse memoria . Qualche anno fa, all’interno di un cortile vennero trovate tombe di epoca romana, facenti parte, probabilmente di un area sepolcrale lungo la via dedicata agli Dei Mani, Diis Manibus, trasformandosi in via Dismano.

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In primo piano il tetto del cosiddetto Palazzo Chiaramonti che si affacciava sullecasupole a ridosso delle mura …

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• Tavola 26 – Piazza Maggiore e Borgo Chiesanuova

• Prima di scoprire le curiosità legate a questa immagine, vorrei ricordare a chi ha avuto modo di visionare la Tavola 14, che recentemente (ottobre 2008) i lavori di risistemazione di p.zza Amendola hanno riportato alla luce i resti delle fondamenta delle abitazioni disegnate nella stessa tavola, questo per sottolineare che la nostra lettura delle mappe ottocentesche è stata corretta. Ma veniamo all’immagine qui rappresentata. La panoramica ci restituisce la situazione urbana che era dietro il “quarto lato” dell’ attuale Piazza del Popolo. Come più volte precedentemente accennato. Il Borgo Chiesanuova era situato sull’antico Borgo Cesariano – il toponimo Chiesanuova si ebbe a partire dalla ristrutturazione della chiesa di San Domenico nel XVIII secolo – pezzo di quartiere sorto lungo la via Aemilia sin dai primi due secoli a.C.. Durante la Guerra Civile tra i partigiani di Mario e i partigiani di Silla, Cesena, con il quartiere, come tutti i municipi d’Italia, subirono ingenti devastazioni e distruzioni. La sorte volle che qualche anno dopo, Giulio Cesare, di ritorno dalla spedizione delle Gallie, si fermò a Ravenna per riflettere se attraversare o meno armato il Rubicone. Evidentemente, i cesenati, approfittando della presenza sul territorio dell’illustre generale, vollero incontrarlo e chiedergli un contributo, a lui o al Senato di Roma, per ricostruire la città e il quartiere. La richiesta andò a buon fine, poiché al quartiere ricostruito venne dato il nome di Borgo Cesariano, con il quale arrivò fino al XVIII secolo. Il Borgo, rimase tale fino al XIX secolo, sebbene assai malandato; senza contare che tutta la zona era costantemente minacciata dalle frane del colle Garampo: nel 1810 che la Casa Brighi crollò per una di questa frane. Senza contare le copiose piogge che trascinavano in basso significative porzioni di fango. Fango, sporcizia, vecchiume e …dicerie, consigliarono, dopo l’annessione al Regno d’Italia delle Romagne, di tirar tutto giù. Una politica di demolizione che ha privato la città di Cesena di un pezzo di storia importante oltre che aver inferto un danno gravissimo alla compattezza urbana della stessa.

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Piazza del Popolo, allora Piazza Maggiore, priva del suo “quarto lato” che era un tutt’unocon la struttura muraria a destra dell’immagine …

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• Tavola 27 – Il Borgo di San Domenico o “Spina”

• “Vicolo del Rosario” e” Vicolo Paderno” oggi non dicono più niente ai cesenati; sono toponimi spariti nel tempo assieme alle abitazioni che delimitavano queste stradine. Parliamo di Borgo San Domenico, da sempre cresciuto e sviluppatosi all’ombra del campanile dell’omonima chiesa. L’abbattimento di questo antico isolato che, con portici, costeggiava un tratto della via Emilia, venne deciso nel 1936, anno in cui Mussolini visitò la città; spinto dalle autorità locali, ne decise, poi, il suo abbattimento. Lo scopo era quello di creare piazze e risistemazioni onde celebrare il nuovo volto della città. Roma stessa fu vittima di questa politica riformista che, come abbiamo visto, non fu frutto solo della mentalità del regime, ma di quella genetica barbara faciloneria, tutta italiana, protrattasi anche in tempi non sospetti dove l’antico veniva e viene interpretato come vecchiume o ostacolo fastidioso: Cesena, per esempio, ha preferito distruggere il sito della domus romana in piazza Fabbri per fare un parcheggio interrato, mentre Rimini, della sua domus, quella del “chirurgo”, ne ha fatto un vanto internazionale. Comunque, i lavori di demolizione del Borgo iniziarono quasi subito per terminare, dopo pause di forza maggiore, negli anni ’50 del ‘900. La situazione abitativa era pessima e definita dai cronisti dell’epoca “afflitta dalla lebbra dei muri” e compromessa dalla lunga esposizione all’ umidità, al degrado e alla miseria: le uniche compagne di quella parte di abitanti che si arrabattavano a tirare aventi con i lavori più umili. E questo traspare con forte evidenza dalle poche foto che rimangono di questo Borgo. Al suo posto è ora la larga Via Battistini e il nuovo condominio che la fiancheggia. Una curiosità: di rimpetto alla chiesa di San Domenico, laddove ora è un condominio di moderna costruzione e che ospita un negozio, era la Chiesa di San Martino da cui prendono nome e il Ponte nei pressi e la via adiacente al condominio. La chiesa terminò le sue funzioni molto presto e se ne perse la memoria dopo essere stata trasformata in magazzino o in abitazioni.

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La Chiesa di San Domenico senza più il suo borgo …

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Il viale che occupa lo spazio dell’antico borgo o “Spina di San Domenico”…

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• Tavola 28 – Il Borgo Chiesanuova presso la Chiesa di San Domenico

• L’immagine di cosa fosse il Borgo Chiesanuova, immagine, direi suggestiva per la complessità descrittiva, ci aiuta a ricostruire l’esatta percezione di cosa significasse passeggiare lungo la via Emilia, sotto i portici, lungo le abitazioni di questo popoloso borgo. Era abitato non solo da poveri, ma si può supporre che a partire dalla piazza ci fossero abitazioni della media e alta borghesia e il popolo afflitto da problemi economici fosse relegato verso Porta Fiume, nella parte a monte del Borgo, laddove c’era il cosiddetto “monte uliveto”. Quindi, vennero demoliti anche palazzi signorili – se il palazzo Fabbri è ancora li dove fu costruito è solo perché si trovò nel lato giusto del borgo. Comunque sia, le attività svolte all’interno del borgo erano tutte artigianali e le più svariate: dal sellaio alla tintoria; dal falegname al fabbro ferraio e, ovviamente, osterie o taverne. Per giustificare culturalmente l’abbattimento, che, come abbiamo visto nella tavola n 19, avvenne con le stesse euforie rinnovatrici; si descrisse il borgo come al centro di qualcosa di misterioso, sordido, lugubre e… sporco. Cronisti del tempo scrissero: “… con le sue botteguccie piene di rifiuti di ogni genere … con i suoi muri stillanti acqua e lezzo, con le spesse colonne dietro le quali, nelle ore di notte, soventi volte vibrava la lama del coltello o rintronava una qualche detonazione… “ senza parlare degli “scricchiolii sinistri” che come gemiti provenivano dalle abitazioni e rimbombavano sotto i portici anneriti dai fuochi delle botteghe. Insomma, era come se tutta la popolazione aspettasse di vedere la sua demolizione, per poi rimpiangerla poco dopo. Sulla Chiesa di San Domenico possiamo dire che venne costruita dai domenicani ristrutturando, nel XIII secolo la precedente chiesa di San Fortunato, acquistata dall’ordine, e dedicata poi a San Pietro martire, predicatore domenicano spesso presente a Cesena. Il complesso si sviluppò con il tempo ampliandosi e consolidandosi dopo i restauri del XVIII secolo.

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L’antica via Emilia che entrava nel Borgo Chiesa Nuova all’altezza della antica sede universitaria cesenate, gestita dai gesuiti e chiusa da un editto napoleonico …

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Il portale di marmoDella antica sedeUniversitaria …

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Un altro tratto della antica Via emilia in Borgo Chiesa Nuova all’altezza del Palazzo, con balcone, dove nacque il Conte Fabbri, patriota risorgimentale cesenate. Il vialeMazzoni, sulla destra, a ricordare il borgo scomparso …

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• Tavola 29 – Il Ponte di San Martino e Porta Fiume

• Il nostro viaggiatore ha imboccato la via di uscita: Porta Fiume e il Ponte San Martino. Alle sue spalle, le ultime casupole del Borgo Chiesanuova. In alto a destra le abitazioni arroccate sulle prime pendici del colle Garampo che in quella zona era noto come “monte uliveto”. Esiste una foto dello scorcio ed è pubblicata sul primo volume di “Vecchia Cesena” editò dalla cooperativa CILS nel 1979. La foto è del fotografo cesenate Casalboni ed è datata 1897: riuscì a fotografare le ultime case rimaste. Dalla foto emerge una situazione di estrema povertà vissuta con quella semplicità che ruotava attorno a piccole cose, attività come quelle del cenciaiuolo, del robivecchi la cui merce raccolta, ora, farebbe gola a qualsiasi antiquario; le donne mettevano a seccare al sole i mandorli, i fichi e l’uva mentre sedute sull’uscio, su sedie impagliate, facevano la calza e chiacchieravano con un dialetto che, sembra, fosse arricchito di inflessioni diverse da quelle usate dagli abitanti di Porta Romana. Uscire dal proprio borgo, allora, era un evento eccezionale. Di questo borgo si tramanda il ricordo della Locanda della Panacia e che divenne poi l’Hotel du Baffon; la locanda della Bastoncina, che nell’espressione popolare divenne sinonimo di un alloggio poco raccomandabile. Secondo gli intendimenti dell’amministrazione del 1860, anno degli inizi dei lavori di demolizione, sugli spazi vuoti sarebbero dovute sorgere case per gli abitanti sfollati e un mercato coperto. Non si fece nulla, anche perché i lavori durarono più di trent’anni, ma con i mattoni di risulta vennero costruite le casupole nei borghi fuori le mura, come in quello di Porta Cervese, che accolse molti degli sfollati di Chiesanuova. Il ponte di san Martino, come si vede, ancora aveva un ingresso di sicurezza sul lato opposto a Porta Fiume, costruito nel XIII secolo, e una celletta dedicata alla Madonna del ponte di S. Nicolò , costruita nel XVI secolo, distrutta durante la seconda guerra mondiale, ma ricostruita dopo.

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Eccoci, anche noi fuori città, sul Ponte di Porta Fiume. Le abitazioni fanno partedell’antica struttura medievale della città. Sullo sfondo parte della facciata della chiesa di

San Domenico …

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La zona di monte uliveto, nobilitata a parco urbano …

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Ancora il ponte di San Martino con la celletta. Al posto della struttura difensivauna abitazione …

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• Tavola 30 – Il Borgo di San Rocco

• Siamo fuori delle mura della città ottocentesca. Il nostro curioso viaggiatore si lascia alle spalle tante immagini e affronta la discesa della Via Emila, che lo condurrà verso il Ponte di San Clemente, attraversando la strada del Borgo di S. Rocco. Sullo sfondo la chiesa omonima, distrutta da un bombardamento aereo durante la seconda guerra mondiale; di essa rimane solo il campanile. In questo sito, nei primi decenni del trecento sorgeva un ospedale dedicato a Sant’Antonio. Nel 1348 scoppiò una grave pestilenza, il cronista del 1500, messer Fantaguzzi, scrivendo il suo resoconto di vita cesenate “Caos” ci testimoniò come: “ l’anno 1348 de mense junii fo generale moria e pestilenza per tutto il mondo e durò fino a natale de decembre… fo chiamata la moria del ’48 cosa crudissima”. In quell’occasione si fermò il francese S.Rocco che, prendendo ospizio nell’ospedale di S.Antonio, si prodigò ad aiutare la città durante la peste. Nel XV secolo sul luogo della chiesa, evidentemente costruita in onore di S.Rocco, presero posto i francescani del terz’ Ordine Regolare, costruendo il loro convento. Nel XVIII secolo la chiesa fu ristrutturata assumendo l’ornato visibile nell’unica foto esistente. Nel 1866 i locali del vecchio monastero di S.Rocco vennero usati prima come caserma per carabinieri regii, trasferitisi poi nel complesso di San Filippo - vedi tavola 6 - in seguito ospitò un reparto dell’esercito regio.

• Con questa tavola finisce il nostro viaggio, in lungo e in largo, entro una Cesena che ormai non esiste più, augurandoci di aver fatto cosa gradita ai cesenati, e a tutti coloro che credono nella cultura e nella memoria della Storia.

• Le quattro tavole che seguono, come già accennato nella presentazione, rappresentano una ulteriore “fermata” su quel luogo urbano che vedrà realizzata, nei primi anni ‘60 del ‘900, la Piazza della Libertà, che piazza non è, ma un semplice parcheggio per auto.

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Eccoci nel Borgo di San Rocco. Sullo sfondo il campanile dell’omonima chiesa vittimanon del piccone ma dei bombardamenti dell’ultima guerra. Si intravvede anche l’inizio

del settecentesco Ponte di San Clemente …

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• Ecco le quattro tavole che mostrano l’evoluzione di un luogo storico, gia visto con la Tavola 20, soffermandoci sulle trasformazioni intermedie. Ma si può parlare di “evoluzione” ? Non sarebbe meglio indicare la situazione come una “involuzione”? Lasciamo valutare a chi vedrà queste immagini, sperando che una nuova coscienza prenda posto di quella che ancora, in genere, per tutta una serie di constatazioni, non ha le idee chiare su cosa voglia dire “Centro STORICO”

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• La prima di queste tavole mostra la situazione esistente agli inizi dell’800 dietro la Cattedrale: abbiamo visto di cosa si trattava ( complesso dell’episcopato e convento dei Carmelitani).

• Si può notare, in fondo alla stradina – Via del carmine –che separa i due complessi, un edificio religioso compreso tra abitazioni civili, forse era l’oratorio di una delle tante confraternite esistenti. Inoltre, si noti il camminamento sospeso, sulla stradina, che univa i due complessi; fu fatto per rendere accessibile la biblioteca dell’episcopato ai carmelitani.

• A destra del complesso carmelitano il Palazzo Mori-Venturelli, alla cui destra è Palazzo Braschi con l’inconfondibile archetto ancora esistente.

• Davanti alla Cattedrale non c’è ancora la piazzetta.• Sul lato opposto della Cattedrale è il vecchio Seminario

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• Nella seconda tavola, si ipotizza la seguente trasformazione: il complesso carmelitano, trasformato in ospedale - dopo l’intervento napoleonico di svuotamento e chiusura degli edifici religiosi - nel 1811, quando l’amministrazione francese era un ricordo, vide l’uso del complesso come convitto per la gioventù, gestito dall’autorità ecclesiastica locale - poi chiuso per immoralità - il complesso, passerà poi in mano di privati che lo adibiranno ad abitazioni

• Notiamo la perdita di identità della chiesa e la demolizione di parte del chiostro per ricavarne uno unico.

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• La terza tavola presenta la situazione propria del ‘900. Nei primi decenni del secolo scorso, il complesso, oltre che a continuare ad ospitare abitazioni private venne adibito anche per il Servizio Postale, servizio che rimase attivo fino al momento della demolizione di tutto il complesso, oltre che di quello dell’episcopio, negli anni ’50-’60. Molti lo ricorderanno ancora. Notiamo la presenza della Piazzetta davanti la cattedrale ricavata demolendo parte degli edifici raffigurati precedentemente. Una curiosità: in alto a destra si nota Palazzo Fantaguzzi con la sua corte interna; adesso il palazzo ospita una banca

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• Quarta ed ultima tavola: mostra la creazione della cosiddetta “Piazza della Libertà” creata per ospitare il nuovo benessere identificato con l’automobile. Lasciamo giudicare a voi, che visionate queste immagini, il valore di certe scelte e crearvi un “metro di misura” utile per giudicare la qualità degli interventi .

• Notiamo, a sinistra, la sparizione di Palazzo Mori-Venturelli; notiamo la sparizione del Seminario; notiamo la trasformazione del Palazzo Fantaguzzi; in ultimo, la sparizione dell’oratorio, demolito assieme a parte dei palazzi che costeggiavano l’antica Via del Carmine sul cui lato opposto iniziava e inizia il borgo della Val d’Oca, salvatosi, fortunatamente, in gran parte.

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• FINE

GRAZIE