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Percorsi AgostinianiRivista Semestrale degli Agostiniani d’ItaliaAnno IV, n° 7 - 2011ISSN 1974-5249Aut. Trib. di Roma, n. 54/08 del 20 febbraio 2008Iscrizione al ROC, n. 45/08 del 14 febbraio 2008

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| Percorsi Agostiniani, IV/7 (2011), pp. 21-51|

L’attenzione che il santo vescovo di Ippona1 ha dato al noto e celebre poema deutero-isaiano del Servo sofferente (Is 52,13-53,12) sembra tutt’altro che marginale. Esso è interamente

o parzialmente citato nelle opere agostiniane e spesso i suoi versetti fanno la loro comparsa in contesti cristologici, in cui Agostino legge la sofferenza e morte del Signore sulla scia della profezia deutero-isaiana, contribuendo così a delineare i caratteri della sua cristologia e soteriologia.

Ci proponiamo di presentare le citazioni di Is 53 nelle opere di sant’Agostino, per evidenziare l’importanza del poema nella teologia, e soprattutto la sua valenza cristologica, ecclesiologica e soteriologica nel pensiero agostiniano2, sulla scia della lettura neotestamentaria3 e

1 Sulla figura di Sant’Agostino cfr. A. Trapè, Agostino d’Ippona (354-430), in: A. Di Be-rardino (diretto da), Nuovo Dizionario Patristico e di Antichità Cristiane, 1, Milano 2006, pp. 145-159; Id., in Patrologia III, Assisi 1992, pp. 323-434.

2 È noto come quello di Agostino sia stato, tra gli antichi, uno dei più grandi contributi per la formazione del canone biblico e la ricostruzione del testo delle Sacrae Scripturae. Circa il rapporto di Agostino con la Scrittura cfr. F. Talon, Saint Augustin a-t-il réellement en-seigné la pluralité des sens littéraux dans l’Écriture?, in Recherches des Sciences Religieuses (gen-naio 1921), pp. 1-28; D. De Bruyne, L’Itala de saint Augustin, in Revue Bénédictine 30 (1913), pp. 294-314; Id., Encore l’Itala de saint Augustin, in Revue d’Histoire Écclesiastique 23 (1927), pp. 779-785; Id., Le texte et les citations bibliques de la Vita S. Augustini de Possidius», in Revue Bénédictine 42 (1930), pp. 297-300; Id., Saint Augustin reviseur de la Bible, in Miscellanea Ago-stiniana. Testi e studi, Roma 1931, pp. 521-606; M. Pontet, L’exégèse de St. Augustin predica-teur, Paris 1945; B. Prete, I principi esegetici in S. Agostino, in Sapientia 6 (1955), pp. 552-594; g. Ripanti, Agostino teorico dell’interpretazione, Brescia 1980; A. Trapè, S. Agostino esegeta: teoria e prassi, in Lateranum 48 (1982), pp. 224-237; A.-M. La Bonnardière, L’initiation biblique de Augustin, in Aa.Vv., Saint Augustin et la Bible, Paris 1986, pp. 27-47; V. grossi, Leggere la Bibbia con S. Agostino, Brescia 1999, soprattutto pp. 12-15.22-27; F. van Fleteren - J.C. Sch-naubelt (edited by), Augustine Biblical exegete, New York 2001; M. Dulaey, L’apprendisage de l’exégèse biblique par Augustin, in Revue des Études Augustiniennes 48 (2002), pp. 267-295; 49 (2003), pp. 43-84; I. Bochet, Le firmament de l’Écriture: l’herméneutique augustinienne, Paris 2004; J.J. O’Donnell, Bibbia, in A.D. Fitzgerald (edito da), Agostino. Dizionario Enciclopedico, Roma 2007, pp. 298-303; A. Lemme, La Bibbia nella vita e nel pensiero di Agostino laico, Praha 2008. g.I. gARgANO, Sant’Agostino e la Bibbia. Un vescovo legge, studia, vive, spiega le Scrit-ture, Cinisello Balsamo 2011. Sulla questione del Canone cfr. C.J. Costello, St. Augustine’s Doctrine on the Inspiration and Canonicity of Scripture, Washington 1930; S.J. Schultz, Augus-tine and the Old Testament Canon, in Bibliotheca Sacra 112 (1955), pp. 225-234.

3 Nella maggior parte delle citazioni del Nuovo Testamento, senza contare le numero-

IL POEMA DEL SERvO SOFFERENTE (ISAIA 53)NEgLI SCRITTI DI SANT’AgOSTINO

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della letteratura patristica4.

1. La presenza di Is 53 nel De consensu Evangelistarum, nel De civitate Dei e nel De peccatorum meritis

Sia nel De consensu Evangelistarum, opera composta verso il 4005, sia nel De civitate Dei, scritto tra il 413 e il 426, Agostino cita interamente il poema del Servo sofferente, con a seguire l’oracolo della sterile di Is 54,1-5; inoltre, nel De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum, composto nel 412, il medesimo è citato parzialmente, essendo omessa la parte iniziale di Is 52,13-53,2.

1.1 Is 53,1 - 54,5 in De consensu Evangelistarum e nel De civitate Dei

In De consensu Evangelistarum I, 31.47 Agostino, prima di riportare l’in-tero poema del Servo e, a seguire, l’oracolo della sterile, spiega che il profe-ta Isaia inizia con l’annuncio dell’umiliazione del Cristo e poi prosegue a parlare della Chiesa fino al versetto, in cui è detto: Et qui eruit te ipse Deus Israel universae terrae vocabitur (Is 54,5b). In questo modo egli fornisce la sua interpretazione cristologica di Is 52,13-53,12, ed ecclesiologica di Is 54,1-5: dell’umiliazione e glorificazione Isaia ha parlato riferendosi al Cri-sto; ad esultare per la fine della propria sterilità è l’invito che il profeta ha rivolto alla Chiesa. Il testo biblico è introdotto con il semplice verbo inquit, di cui soggetto è ovviamente il precedente Esaias.

La medesima citazione (Is 52,13-54,5) è ripresa in De civitate Dei XVIII,28. Anche qui, il testo di Is 53 è applicato esplicitamente alla persona di Cristo (Haec de Christo); l’oracolo successivo alla Chiesa (Iam vero de ecclesia, quod sequitur, audiamus)6.

Il testo del De consensu differisce in buona parte dal De civitate Dei, men-tre è in perfetta sintonia con quello presente nel De peccatorum meritis.

se allusioni (cfr. Fil 2,5-11; Mc 10,45 = Mt 20,28; Gv 1,29.36), il poema di Is 53 è applicato direttamente alla persona di gesù di Nazareth (1Pt 2,18-25; Mt 8,17; Lc 22,37; At 8,32-33a; Eb 9,28), ad eccezione di Rm 10,16 e Gv 12,37 = Is 53,1, inserito nel contesto dell’incredulità d’Israele; Rm 15,21 = Is 52,15, applicato all’evangelizzazione ai pagani; e Ap 14,5 = Is 53,9, attribuito ai redenti.

4 Per uno sguardo complessivo dell’utilizzo del quarto canto di Isaia nella letteratura cristiana delle origini cfr. J. Allenbach, Biblia Patristica. Index des citations et allusions bibli-ques dans la littérature patristique, I-VI, Paris 1975-1995.

5 Cfr. anche Retractationes II,16; cfr. gli studi di A. Penna, Il “De consensu Evangelista-rum” ed i “Canoni Eusebiani”, in Biblica 36 (1955), pp. 1-19; H. Merckel, Die Widersprüche zwischen den Evangelien. Ihre polemische und apologetische Behandlung in der Alten Kirche bis zu Augustin, Tübingen 1971.

6 Sul poema della sterile cfr. A. Borghino, La «Nuova alleanza» in Is 54. Analisi esegetico-teologica, Roma 2005, pp. 394-403.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

Riportiamo il poema secondo il De consensu Evangelistarum = De pecca-torum meritis, evidenziando accanto le varianti del De civitate Dei e dell’Ita-la o vetus Italica7.

De consensu Evangelistarum De civitate Dei Itala o Vetus ItalicaIs 52,13Ecce…in intellectu erit8 puer meus et exaltabitur

Ecce intelleget puer meus et exaltabitur

Ecce intelliget puer meus et exaltabitur

et honorificabitur vehementer. et glorificabitur valde et glorificabitur valde52,14Quomodo multi mirabuntur super te,

Quem ad modum stupescent super te multi

Sicut stupebunt multi super te

sic tamen et inhonesta videbitur ab hominibus species tua

ita gloria privabitur ab hominibus species tua

sic in gloria erit ab hominibus species tua

et honor tuus ab hominibus, et gloria tua ab hominibus et gloria tua a filiis hominum52,15ita enim mirabuntur gentes multae super eum,

ita mirabuntur gentes multae super eum,

Sic mirabuntur gentes multae super eo,

et continebunt reges os suum -------------------- --------------------quoniam quibus non est nuntiatum de illo videbunt

-------------------- quia quibus non est adnuntiatum de eo videbunt

et qui non audierunt intelligent. -------------------- --------------------53,1Domine, quis credidit auditui nostro,

-------------------- --------------------

et brachium Domini cui revelatum est? -------------------- --------------------53,2Nuntiavimus coram illo ut puer

adnuntiavimus coram illo ut infans

adnuntiavimus quasi puer in conspectu eius

ut radix in terra sitienti -------------------- sicut radix in terra sitientinon est species illi neque honor, non est species illi neque gloria non est species ei neque gloriaet vidimus illum et vidimus eum et vidimus eum,et non habebat speciem neque decorem -------------------- --------------------53,3sed vultus eius abiectus sed species eius sine honore sed species eius inhonorataet deformis positio eius ab omnibus hominibus

deficiens prae omnibus hominibus et deficiens prae filiis hominum

homo in plaga homo in plaga positus --------------------et qui sciat ferre infirmitates et sciens ferre infirmitatem et sciens ferre infirmitatempropter quod et avertit se facies eius quondam aversa est facies eius quia aversa est facies eiusiniuriata est nec magni aestimata est

inhonoratus est nec magni aestimatus est

despecta et non reputata

53,4Hic infirmitates nostras portat Hic peccata nostra portat Iste peccata nostra portatet pro nobis in doloribus est et pro nobis dolet et pro nobis doletet nos existimavimus illum -------------------- et nos putavimus illumin doloribus esse esse in dolore esse in doloreet in plaga et in poena et in plaga et in adflictione et in plaga et in afflictione53,5Ipse autem vulneratus est -------------------- Ipse vulneratus estpropter peccata nostra propter iniquitates nostras --------------------et infirmatus est -------------------- --------------------propter iniquitates nostras propter peccata nostra --------------------

7 La linea (-------) indica che il testo è il medesimo del De consensu; in grassetto sono evi-denziate le differenze tra la versione agostiniana del De consensu e la vetus Italica o Itala.

8 È la lettura dei migliori codici agostiniani (B R T D N2 M Q H S2).

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| D. Bono |

Eruditio pacis nostrae in eum Eruditio pacis nostrae in eo Disciplina pacis nostrae super eumlivore eius sanati sumus livore eius nos sanati sumus --------------------53,6Omnes ut oves erravimus Omnes ut oves erravimus, homo a

via sua erravitOmnes quasi oves erravimus, homo in via sua erravit

et Dominus tradidit illum pro peccatis nostris

-------------------- Et Dominus tradidit eum propter iniquitates nostras

53,7Et ipse, quoniam male tractatus est

Et ipse propter quod adflictus est et ipse propter afflictionem

non aperuit os -------------------- --------------------ut ovis ad immolandum ductus est

-------------------- sicut ovis ad victimam ductus est

et ut agnus ante eum, qui se tonderet

-------------------- et sicut agnus coram tondente

fuit sine voce sine voce mutussic non aperuit os sum --------------------53,8In humilitate sublatum est iudicium eius

In humilitate iudicium eius sublatum est

--------------------

Generationem eius quis enarrabit?

-------------------- Generationem illius quis enarravit?

Quoniam tolletur de terra vita eius

-------------------- Quia tollitur de terra vita eius

ab iniquitatibus popoli mei ductus est ad mortem

-------------------- --------------------

53,9Dabo ergo malos propter sepulturam eius

et dabo malignos propter sepulturam eius

et dabo pessimos pro sepultura eius

et divites propter mortem eius -------------------- et divites pro morte illiusob hoc quod iniquitatem non fecerit

quondam iniquitatem non fecit quia iniquitatem non fecit

nec dolum in ore suo -------------------- neque dolum in ore suo53,10Dominus vult purgare illum de plaga

Et Dominus vult purgare illum de plaga

Et Dominus vult mundare eum a plaga

Si dederitis -------------------- --------------------vos ob delicta vestra animam vestram

pro peccato animam vestram pro peccato animam vestram

videbitis semen longissimae vitae videbitis semen longaevum videbitis semen longi temporisEt vult Dominus auferre Et Dominus vult auferre --------------------53,11a doloribus animam eius a dolore animam eius de dolore animam eiusostendere illi lucem -------------------- ostendere ei lucemet figurare per sensum et formare intellectum et formare intelligentiamiustificare iustum -------------------- --------------------bene servientem pluribus -------------------- bene servientem multiset peccata illorum ipse sustinebit et peccata eorum ipse portabit et peccata eorum ipse portavit53,12Propterea ipse hereditabit complures

Propterea ipse hereditabit plures Propterea ipse possidebit multos

et fortium partietur spolia et fortium dividet spolia et fortium dividet spoliapropter quod tradita est -------------------- pro eo quod contaminata estad mortem anima eius -------------------- in morte anima eiuset inter iniquos aestimatus est -------------------- et cum iniquis reputatus estet ipse peccata multorum sustinuit et ipse peccata multorum portavit et ipse peccata multorum suscepitet propter iniquitates eorum traditus est

et propter peccata eorum traditus est

--------------------

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

L’Itala o vetus Italica, o comunemente detta vetus latina9, traduzione fedele ai LXX, è la versione che Agostino in De doctrina christiana II,22 considera il testo da preferirsi («…Itala ceteris praeferatur…»)10, ma che, al confronto, risulta ben distante da quello riportato nel De consensu. Al contrario, il testo del De civitate Dei oscilla tra quello del De consensu e l’Itala. Agostino dimostra, così, di essere uno studioso speciale del testo biblico, sempre alla ricerca della versione autentica, ossia fedele all’ori-ginale. Il passaggio dal De consensu verso l’Itala risulta graduale, come sembra confermare il De civitate Dei.

Per quanto riguarda, in particolare, la citazione del poema deutero-isaiano, sono tante le differenze tra il testo agostiniano in genere e la vetus latina, per affermare una dipendenza diretta da parte del vescovo di Ippo-na. Ma va detto che quello presentato da Agostino è un testo sostanzial-mente vicino alla LXX e piuttosto diverso dai codici dell’originale ebraico o Testo masoretico (= TM), per cui è da ritenere che egli dipenda da una versione latina della LXX o da Testimonia della comunità cristiana, fedeli ai LXX11. Rispetto alla traduzione alessandrina, infatti, il testo di Agostino risulta piuttosto fedele, soprattutto quello del De civitate: al v. 3 il parti-cipio e„dèj, che la vetus traduce con sciens, è reso nel De consensu con la relativa qui sciat (sciens nel De civitate); il singolare malak…an è reso con il plurale infirmitates (infirmitatem nel De civitate); il passivo ¢pšstraptai è tradotto con il riflessivo avertit se (aversa est nel De civitate); al v. 6 l’espres-sione ¨nqrwpoj tÍ Ðdù aÙtoà ™plan»qh, che la vetus traduce con homo in via sua erravit, viene eliminata nel De consensu, ma tradotta con homo a via sua erravit nel De civitate; al v. 7 l’espressione di¦ tÕ kekakîstai è resa nel De consensu con la parafrasi causale quoniam male tractatus est (quod adflic-tus est nel De civitate); il semplice ™pˆ sfag¾n Àcqh diventa ad immolan-dum ductus est, con l’inserimento dell’idea di necessità dell’immolazione dell’agnello; al v. 9 ¢ntˆ tÁj tafÁj aÙtoà ¢ntˆ qan£tou sono resi in senso causale (propter sepulturam… propter mortem eius).

Le molte differenze del De consensu con la vetus latina ci autorizzano a pensare a un testo vicino sì ai LXX, ma relativamente autonomo. Infatti, la versione agostiniana di Is 53, riportata nel De consensu, a volte sembra avvicinarsi al TM, soprattutto per un più evidente risalto dato alla sof-ferenza fisica del Servo del Signore, con la conseguente eliminazione di

9 Cfr. P. Sabatier (opera et studio), Bibliorum Sacrorum Latinae versiones Antiquae seu ve-tus Italica: et caeterae quaecumque in codicibus mss. et antiquorum libris reperiri potuerunt: quae cum vulgata Latina, et cum Textu graeco comparantur, Parisiis 1751, II/2, pp. 607-611.

10 Cfr. D. De Bruyne, L’Itala de saint Augustin…, cit., p. 295.11 Cfr. C.H. Milne, A Reconstruction of the Old-Latin Text or Texts of the Gospels used by

saint Augustine with a Study of their Character, Cambridge 1926; R. gryson, Esaias. Introduc-tio: Codices manuscripti. Capita 40-66…, Freiburg 1993-1997, pp. 1265-1335.

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quella che è una delle caratteristiche della traduzione greca, ossia la spiri-tualizzazione dell’opera del Servo (cfr., ad esempio, ¡mart…aj tradotto con infirmitates in Is 53,4a; il plurale in doloribus esse di Is 53,4b.d; 53,11a, più vicino al testo ebraico; lo stesso per l’espressione ob delicta di Is 53,10b).

1.2. Is 53,3b-12 in De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum

Scritto in polemica con la dottrina pelagiana, il De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum I,27.5412 presenta la lunga citazione di Is 53,3-12.

Introdotta dal semplice inquit, essa è preceduta da un chiaro richiamo a Is 53,6 (erravi sicut ovis perdita), che l’autore attribuisce alla totalità della Chiesa, insistendo nell’affermare che ella «è la voce di tutte le membra di Cristo», le quali gridano: Omnes ut oves erravimus et ipse traditus est pro pec-catis nostris (cfr. Is 53,6LXX)13. Quindi, il santo vescovo prima di citare Is 53,3-12 ricorda che il testo presente in Isaia era l’oggetto di lettura dell’eu-nuco di Candace, grazie al quale egli giunse alla fede (cfr. At 8,27-39).

Significativa è l’identificazione del noi narrante del poema con il noi ecclesiale, definito totius ecclesiae vox e subito dopo omnium membrorum Christi vox. Non c’è dubbio, perciò, che per Agostino a parlare del Servo è la Chiesa, che riconosce nella profezia deutero-isaiana il suo Signore, im-molato e crocifisso, mentre tutti noi eravamo erranti e sbandati come pecore. Perciò, Agostino vede il compimento della profezia deutero-isaiana nella persona del santo Servo gesù, consegnato per i nostri peccati, ma anche e soprattutto nell’esperienza di dispersione e di peccato, vissuti dal gruppo ecclesiale, che si è riconosciuto nell’esperienza di illuminazione e di rive-lazione del noi corale di Is 53. Questo particolare accostamento al poema del Servo fa di Agostino uno degli interpreti, che ha maggiormente colto la dinamica dell’opera profetica del Servo del deutero-Isaia, raccontata dai testimoni illuminati e convertiti.

La riflessione agostiniana continua con la citazione di Is 61,1, un testo imparentato con i canti del Servo14, e soprattutto con il richiamo dell’inno

12 L’opera in tre libri è indirizzata al generale romano Marcellino (PL 44; CSEL 60,51-53; anche Biblioteca de Autores Cristianos 3, Madrid 1979, pp. 201-439). Per un’analisi generale cfr. lo studio di V. grossi, Il battesimo e la polemica pelagiana negli anni 411/413 (De pecc. meritis et remissione - ep. 88 ad Bonifacium), in Augustinianum 9 (1969), pp. 30-61.

13 Da notare la presenza qui del passivo teologico traditus est, laddove nel testo lo stes-so Agostino ha Dominus tradidit illum, in sintonia con la LXX, che ha KÚrioj paršdwken aÙtÒn.

14 Cfr. W.W. Cannon, Isaiah 61 1-3 an Ebed-Jahweh poem, in Zeitschrift Alttestamentliche Wissenchaft 47 (1929), pp. 284-288; anche L.C. Crockett, The Old Testament in the Gospel of Luke with emphasis on the interpretation of Isaia 61.1-2, Chicago 1957; J.A. Sanders, From Isa-

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

cristologico, modellato su Is 53, di 1Pt 2,22.24.25, che contribuisce ulte-riormente a marcare la dicotomia tra il Cristo giusto e santo e il gruppo ecclesiale o noi, definiti da Agostino infirmi… tamquam pecora errantia.

Più avanti (De peccatorum meritis… III,6.13) la figura del Servo, identifi-cata con la persona del Cristo, ritorna nel contesto dell’invito rivolto al cri-stiano a rimanere in Cristo e camminare come Lui. E qui Agostino richiama Is 53,9.7, ma secondo lo schema dell’inno petrino, nell’orizzonte esortativo e parenetico, in cui il Cristo-Servo diviene modello per il cristiano, con un andamento analogo a Mc 10,45 e 1Pt 2,21ss (cfr. anche 1Clem 16,3ss.)15.

2. Il De diversis quaestionibus octoginta tribus

Scritta tra il 388 e il 396, come lo stesso Agostino afferma nelle Retrac-tationes I,26, l’opera è costituita da una serie di «questioni sparpagliate in molti fogli», e in seguito, dopo la conversione, raccolte e riunite in un solo libro, in cui l’autore risponde a varie problematiche di tipo filosofico, dommatico ed esegetico16.

In De diversis quaestionibus octoginta tribus 64,3, parlando della debolez-za e umiltà del Cristo, espresse dalla stanchezza presso il pozzo di Sichem (Gv 4,6), Agostino motiva tale debolezza della carne con la citazione di Is 53,3, riportata con la presenza originale del termine imbecillitas: Homo in plaga positus et sciens ferre imbecilitatem:

De consensu: homo in plaga et qui sciat ferre infirmitates;De civitate: homo in plaga positus et sciens ferre infirmitatem;vetus Italica: homo in plaga et sciens ferre infirmitatem.La versione agostiniana, pur con leggere varianti, tuttavia è molto vi-

cina alla vetus Latina, che a sua volta è una perfetta traduzione della LXX, anche se elimina il participio ín, reso nel De civitate con positus:

TM: ‘yš makə’obôt weydû‘a �oly [uomo (dei) dolori e conoscente (la) sofferenza];LXX: ¨nqrwpoj ™n plhgÍ ín kaˆ e„dëj fšrein malak…an.Infine, nell’espressione ut aliquod peccatum in eo inveniretur troviamo un

chiaro riferimento a Is 53,9 (De diversis quaestionibus octoginta tribus 65).

3. Il Contra Faustum manichaeum

Scritto nel 397-398, il Contra Faustum è un’ampia difesa dell’Antico e del Nuovo Testamento. La lettura agostiniana della Sacra Scrittura è so-

iah 61 to Luke 4, in J. Neussner (edited by), Christianity, Judaism and other greco-roman cults, Studies for Morton Smith at sixty, Leiden 1975, pp. 75-106.

15 Cfr. D. Bono, La citazione di Is 53 nella Prima Clementis, in Orientalia Christiana Perio-dica 76/1 (2010), p. 114.

16 Cfr. A. Bussoni, S. Aurelio Agostino. Ottantatré varie questioni, Parma 1989.

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| D. Bono |

stanzialmente cristologica, nel senso che Agostino riporta a Cristo l’in-tera economia veterotestamentaria. E così nelle parole di giacobbe (Gn 31,36-42) il santo vescovo di Ippona vede le sofferenze di Cristo, citando esplicitamente Is 53,7.5, insieme con altri testi dell’Antico (Sal 21,17ss.; Sal 56,5ss.; 2,7ss.; Bar 3,37ss.) e del Nuovo Testamento (Mt 25,38; Gv 12,37; Lc 23,21ss.). Il testo citato è il seguente: velut ovis ad victimam ductus est… quia livore eius sanati sumus, quia peccata nostra ispe portavit.

Agostino oscilla tra l’Itala e altre traduzioni: velut ovis ad victimam duc-tus est è in sostanza il testo della vetus o Itala (Sicut ovis ad victimam ductus est); lo stesso per l’espressione Livore eius sanati sumus. Per il testo di Is 53,4 Peccata nostra ispe portavit, il testo dell’Itala è Iste peccata nostra portat, laddove nel De civitate era Hic infirmitates nostras portat.

Parlando delle due mogli di giacobbe (Contra Faustum XXII, 54), Ago-stino mette a confronto Lia, la moglie non preferita, che però è fecondata per prima e con abbondanza di figli (ipsa prius et uberius fecundatur), e Rachele, la donna sterile, ma che «vede in principio il Verbo Dio presso Dio (Gv 1,1) e vuole generare, ma non può», perché generationem eius quis enarrabit? (= Is 53,8). Agostino associa la citazione di Is 53,8 con la fecon-dità spirituale di Rachele, che supera la propria sterilità grazie alla fede nella potenza di Dio.

4. Il De catechizandis rudibus

Scritto nel 40017, il De catechizandis rudibus è un manuale d’istruzione catechetica e di profonde intuizioni pedagogiche (cfr. Retractationes II,14), dove Agostino, nel presentare una vera e propria teoria della catechesi, è il primo, nella storia del cristianesimo, a offrire un compendio della dot-trina cristiana.

In De catechizandis rudibus 20.34, parlando della morte sulla croce del Cristo, il vescovo di Ippona sviluppa le immagini della Pasqua prefigura-te nell’Antico Testamento e chiaramente svelate nella profezia dell’agnello condotto al macello: «manifestissime quippe prophetia de Domino Iesu Cri-sto dicit, quia tamquam ovis ad immolandum ductus est (= Is 53,7)».

Più avanti, Agostino sembra accennare alla medesima profezia quan-do afferma del Cristo: «fu come muto e sordo davanti a coloro che lo insultavano» (velut obmutuit et obsurduit coram conviciantibus); e al testo di Is 53,4, quando afferma che il Cristo «liberò dai legami derivanti dalle infermità» (qui de infirmitatum vinculis solvit). In entrambi gli accenni, il ve-scovo di Ippona utilizza molto liberamente il testo deutero-isaiano, anche ampliandolo come nel caso dell’aggiunta del verbo obsurduit. Ancora più

17 Cfr L.J. van Der Lof, The Date of the “Catechizandis rudibus”, in vigiliae Christianae 14 (1962), pp. 198-204.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

generico è il richiamo alle sofferenze del Servo nelle parole agostiniane: «è stato predetto per bocca dei profeti che Egli avrebbe sofferto sulla croce» (De catechizandis rudibus 27.53)18.

5. L’Epistula ad catholicos de secta Donatistarum

Scritta intorno al 405, l’Epistula è un’intensa confutazione della dot-trina donatista19. Anche qui, e precisamente in Epistula 16-17, Agostino ricorre al poema deutero-isaiano, citando Is 53,1 e Is 53,11-1220.

Parlando della potenza del braccio del Signore, tra la carrellata dei testi biblici (Is 51,4-5; 52,9-10 ecc.), il vescovo d’Ippona inserisce anche Is 53,1, che egli afferma di leggere in Paolo (Rm 10,16; cfr. anche Gv 12,38), nono-stante il testo paolino riporti solo la prima parte della citazione:

Agostino: Quis credididit auditui nostro? Et brachium Domini cui reve-latum est?;

vetus latina: Domine, quis credidit auditui nostro, et brachium Domini cui revelatum est?;

vulgata: Quis credidit auditui nostro, et brachium Domini cui revela-tum est?;

Rm 10,16 (vulg.): Domine, quis credidit auditui nostro?;Gv 12,38 (vulg.): Domine, quis credidit auditui nostro, et brachium Domini

cui revelatum est?;TM: Mî he’ĕmîn lišemu‘atenû wezerôw‘a YHWH ‘al mi nigəlātāh

[Chi credette a(ll’) annuncio di noi? E (il) braccio di YHWH su chi fu svelato?];

LXX: KÚrie, tˆj ™p…steusen tÍ ¢koÍ ¹mîn; kaˆ Ð brac…on Kour…ou t…ni ¢pekalÚfqh.

Come si vede, l’unica sostanziale differenza tra il testo originario ebrai-co e la taduzione della LXX è l’aggiunta nel testo greco del vocativo KÚrie, che rende il testo una paradossale preghiera, rivolta dal noi o gruppo cora-le a Dio. E come tale è stato accolto sia da Paolo (Rm 10,16) sia da giovanni (Gv 12,38). Agostino, pur affermando di leggere il brano in Paolo, tuttavia rimane fedele all’originale, riportato pari passo sia dalla vetus Italica, la quale, traducendo dalla LXX, aggiunge Domine, e sia dalla vulgata che, dipendendo direttamente dall’originale ebraico, lo elimina.

18 N. Cipriani et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Morale e Ascetismo cristiano VII/2, Roma 2001, pp. 254ss.

19 Il Donatismo fu un movimento religioso cristiano sorto in Africa nel 311 dalle idee di Donato di Case Nere, il quale sostanzialmente negava l’efficacia dei sacramenti ammini-strati dai cosiddetti libellatici. Fu considerato scismatico dopo le persecuzioni di Dioclezia-no dagli ortodossi e condannato dal Concilio di Cartagine del 411.

20 Cfr CSEL 52/2, pp. 250-251.

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| D. Bono |

Passando subito dopo a parlare delle nozze tra il Cristo e la Chiesa, sua sposa (cfr. Ef 5,31), Agostino non ha difficoltà a vedere l’atteggiamento sponsale del Cristo nella sua totale donazione, così come è descritta in Is 53,11-12 (…hic ergo sponsus ut quid traditus est ad mortem, ut quid inter iniquos deputatus est…) e, a seguire, la sponsalità della Chiesa, nell’oracolo successivo di Is 54,1 (= Gal 4,27). Le domande retoriche, che seguono, di-mostrano che la lettura agostiniana del poema del Servo è nell’orizzonte di una comprensione di fede, che non può non ribaltare la logica dell’ap-parenza, ed è sorprendentemente la stessa, che sembra abbia operato il gruppo corale o noi di Is 53: «Quis ita surdus est ut haec non audiat, quis ita obtusus ut non intelligat, quis ita caecus ut non videat?». Il testo è intro-dotto dal semplice inquit, il cui soggetto è il precedente Esaias:

Agostino: …peccata eorum ipse portabit; ideo hereditate ipse possidebit multos et fortium partietur spolia. Propter quod tradita est in mortem anima eius et inter iniquos deputatus est et ipse peccata multorum sustinuit et propter iniquitates nostras traditus est.

Esso ha delle differenze con il testo riportato nelle opere precedenti: peccata illorum ipse sustinebit. Propterea ipse hereditabit complures et for-tium partietur spolia. Propter quod tradita est ad mortem anima eius et inter iniquos aestimatus est et ipse peccata multorum sustinuit et propter iniquita-tes eorum traditus est.

Ed è anche relativamente distante dalla vetus latina: et peccata eorum ipse portavit. Propterea ipse possidebit multos et fortium dividet spolia pro eo quod contaminata est in morte anima eius et cum iniquis reputatus est et ipse peccata multorum suscepit et propter iniquitates eorum traditus est.

Sembra che Agostino abbia tradotto egli stesso il brano da versioni vicine alla LXX, dal momento che il testo agostiniano è fedele alla tradu-zione greca alessandrina, più che al TM:

TM: 11c wa ‘ăônotām hû’ysbal 12 lākēn ‘ă�alleq-lô bārabym wə’e_-‘ăšûmîm yə�allēq šālāl ta�at ’ăšer he‘ĕrāh nammāve_ napšô we’et-pšə‘ym nimənāh we hû’ �ē_ə’-rabbym nāśā’ welapšə‘ym yapəgy‘a [11c e (le) colpe di loro lui caricherà. 12 Perciò darò una parte a lui tra i grandi, e con (i) potenti spartirà (il) bottino, perché versò per (la) morte la vita di lui, e con (i) trasgredienti fu contato e lui (il) peccato di molti sollevò e per i trasgredienti intercedette];

LXX: 11c kaˆ t¦j ¡mart…aj aÙtîn aÙtÕj ¢no…sei 12 di¦ toàto aÙtÕj klhronom»sei polloÝj kaˆ tîn „scurîn merie‹ skàla, ¢nq’ðn paredÒqh e„j q£naton ¹ yuc¾ aÙtoà, kaˆ ™n to‹j ¢nÒmoij ™log…-sqh kaˆ aÙtÕj ¡mart…aj pollîn ¢n»negken kaˆ di¦ t¦j ¡mart…aj aÙtîn paredÒqh.

Poco più avanti Agostino ripete parte della citazione (Ideo…ipse here-

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

ditate possidebit multos et fortium partietur spolia. Propter quod tradita est in mortem anima eius et inter iniquos deputatus est), per sottolineare che Do-minus noster Iesus Christus traditus est ad mortem, ut hereditate multos pos-sideret, e per chiedersi, di conseguenza, chi siano questi molti ereditati dal Cristo. A questa domanda Agostino risponde, citando l’oracolo della sterile di Is 54,1ss, e attribuendolo alla Chiesa, diventata feconda, grazie al sangue del suo Sposo.

6. Il Contra Cresconium

Scritto nel 405, il Contra Cresconium è la risposta agostiniana a Cresco-nio, che aveva preso le difese del vescovo donatista Petiliano.

In Contra Cresconium 64 Agostino cita Is 53,7, introdotto dall’espres-sione agnoscis Christum in eo quod dicit propheta, con a seguire l’oracolo della sterile di Is 54,1-5. È da notare il contesto polemico della citazione, espresso dall’opposizione tra agnoscis Christum in eo quod dicit propheta e non agnoscis Ecclesiam in eo quod paulo post dicit. In altre parole, se in Is 53,7 Agostino riconosce Cristo, interpretando cristologicamente il testo deutero-isaiano (sicut ovis ad immolandum ductus est), analogamente in Is 54,1-5 egli vede la Chiesa, comprendendo ecclesiologicamente l’oracolo profetico. E tutto questo coerentemente con la lettura complessiva che Agostino fa del brano di Is 52,13-54,5, integralmente citato nel De consensu e nel De civitate Dei.

7. Il De spiritu et littera

Scritto in polemica con la dottrina pelagiana, il De spiritu et littera è di poco posteriore al De peccatorum meritis (anno 412), da cui ebbe origine come ulteriore riflessione sul rapporto tra la lettera, ossia la legge, e lo spirito, cioè la grazia, senza la quale l’uomo non ottiene la salvezza né la giustificazione.

Un esempio eloquente è dato proprio dalla riflessione agostiniana sulla Pasqua (De spiritu et littera 16.28), dove l’autore ricorre a Is 53,7. Come per la Pasqua mosaica, durante la quale grazie all’uccisione della pecora (occisione ovis) sono stati concessi in dono i precetti scritti col dito di Dio, così (similiter) «per l’uccisione e la risurrezione di Colui che come pecora fu condotto per dover essere immolato (sicut ovis ad immolandum ductus est), il dito di Dio, ossia lo Spirito Santo, ha realizzato la congregazione dei fedeli in uno». Agostino utilizza l’immagine della pecora, per porre in parallelo la Pasqua giudaica con la vera Pasqua di Cristo, pecora condotta per essere immolata.

La citazione è propria di Agostino e si differenzia dalla LXX e dal TM per l’idea di necessità dell’immolazione, data dall’utilizzo del gerundivo latino, evidentemente assente nelle traduzioni dalla LXX in possesso di Agostino e nella stessa vetus Italica:

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| D. Bono |

Agostino: Sicut ovis ad immolandum ductus estTM: kaśeh la_eba� yûbāl (Come l’agnello al macello fu condotto)LXX: æj prÒbaton ™pˆ sfag¾n ½cqhvetus Italica: Sicut ovis ad victimam ductus estvulgata: Sicut ovis ad occisionem ducetur.Il confronto dei testi conferma che l’espressione agostiniana ad immolan-

dum è originaria rispetto a ™pˆ sfag¾n della LXX e all’espressione la_eba� del TM. Nella versione agostiniana l’immolazione del Servo, paragonato alla pecora, si riveste di necessità, dovuta probabilmente all’idea che la morte di Cristo era necessaria «perché i fedeli fossero congregati in un solo corpo dal dito di Dio, che è lo Spirito Santo». La citazione sembra così inserita nel kerygma cristiano, che ha considerato l’immolazione del suo Signore come opera necessaria per la salvezza dell’umanità.

8. Il De bono viduitatis

Scritto nel 414, il De bono viduitatis è una lettera indirizzata alla vedova giuliana, madre della vergine Demetriade, sul valore della vedovanza.

In De bono viduitatis 18.2321, sulla base di 1Cor 7,34, testo che evidenzia la posizione superiore della vergine, che si occupa unicamente di piacere a Dio, e che Agostino applica alla situazione press’a poco analoga della vedova, il vescovo di Ippona si sofferma sul fatto che la vedova debba piacere al Cristo Signore, che è certamente bello (…specioso forma prae filiis hominum), ma di una bellezza che Agostino non ha difficoltà a identifi-care con quella del Servo di Is 53,2.3: hunc enim speciosum forma prae filiis hominum viderunt homines in cruce passionis; e subito dopo il santo vescovo specifica che sulla croce il Cristo non habuit speciem neque decorem, sed facies eius abiecta et deformis positio eius. Parafrasando Is 53,2 e Is 53,3, Agostino può così descrivere la bellezza particolare del Cristo sofferente, che la ve-dova è chiamata ad amare e a cui conformarsi:

De consensu: et vidimus illum, et non habebat speciem neque decorem

sed vultus eius abiectus et deformis positio eius ab omnibus hominibus.

vetus Italica: et vidimus eum, et non habebat speciem neque decorem sed species eius inhonorata et deficiens prae filiis hominum.

De bono vid.: non habuit speciem neque decorem sed facies eius abiecta et deformis positio eius.

Come si vede, il testo è utilizzato liberamente da Agostino ed è effetti-vamente difficile determinare l’origine sia rispetto alla vetus Italica sia alla stessa LXX, da cui comunque sembra dipendere la lettura agostiniana.

21 CSEL 41, p. 333.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

9. Le Quaestiones

Il genere letterario delle Quaestiones è particolarmente fecondo nell’ope-ra di Agostino. Egli affronta svariate problematiche, che vanno dalle diffi-coltà relative al testo biblico a questioni teologiche di vario genere, dando risposte ed evidenziando ulteriori problematiche.

9.1. Quaestiones in Heptateucum

Composte verso il 419, le Quaestiones in Heptateuchum sono l’opera più significativa, appartenente al genere letterario delle Quaestiones. In parti-colare, Agostino si imbatte qui nel problema relativo a una serie di diffi-coltà, derivanti dai fatti narrati dagli autori biblici.

Nel Libro III, affrontando la questione del libro dei Numeri e notando che l’autore sacro usa i verbi al futuro, Agostino evidenzia che ciò è un chiaro riferimento agli eventi venturi, riguardanti il Cristo Signore, e cita in particolare il Sal 21,17 (foderunt manus meas et pedes) e Is 53,7 (sicut ovis ad immolandum ductus est)22.

Nel Libro VII sui Giudici, commentando la fuga di Iefte e la sua rela-zione con degli sfaccendati (Gdc 11,3), Agostino collega ciò con l’atteggia-mento del Signore, che si è attorniato di peccatori, così come lo presenta la citazione di Is 53,12: et inter iniquos deputatus est23.

9.2. Quaestiones Evangeliorum

Scritte nel 400 con l’intenzione di spiegare alcuni testi difficili, presenti nei vangeli di Matteo e Luca (cfr. Retractationes II,12), le Quaestiones Evan-geliorum sono un’opera di profonda indole esegetica.

Is 53,1a (Et brachium Domini cui revelatum est?) fa la sua comparsa in Quaestiones Evangeliorum II, 33.3, nel contesto del commento alla parabola del Figliol prodigo (Lc 15,11-32). Analizzando il gesto da parte del padre di gettarsi al collo del figlio, Agostino spiega che esso è «piegare il suo brac-cio e abbassarlo nell’umiliazione, al fine di riabbracciare il fuggitivo (…in-clinare et humiliare in amplexum eius brachium suum)». E qui il santo vescovo di Ippona, a mo’ di immagine metaforica, inserisce Is 53,1a, spiegando che «braccio del Signore è certamente il nostro Signore gesù Cristo»24.

9.3. Expositio 84 propositionum ex epistola ad Romanos 26,32-34

Commentando Rm 6,6-8 (Noi sappiamo che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso insieme perché sia annientato il corpo del peccato), Agostino riferen-

22 CSEL 28, p. 325.23 Ibid., p. 494.24 S. Caruana et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Opere esegetiche X/2, Roma 1997, pp. 370-371.

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| D. Bono |

do l’espressione paolina a Dt 21,23 (Maledictus omnis, qui in ligno pepen-derit) spiega che ciò riguarda certamente la crocifissione dell’uomo vec-chio, raffigurata dalla morte in croce del Signore, e noi conduciamo la vita dell’uomo vecchio ogni volta che ci adeguiamo al peccato. Ma le stesse parole sono da riferirsi anche al Signore, poiché - insiste Agostino - egli si caricò dei nostri peccati (peccata nostra portavit) e Dio lo ritenne peccato in vece nostra (cfr. 2Cor 5,21). Agostino non ha difficoltà a interpretare la Scrittura con altri passi della Scrittura stessa, di cui un esempio abbiamo qui, nella citazione di Is 53,11, che spiega la crocifissione del Signore come annientamento e distruzione del peccato. Caricandosi i nostri peccati, diven-tando Egli peccato al posto nostro e portando la condanna del nostro peccato (cfr. Rm 8,2), Cristo ha annientato il peccato stesso25.

10. Is 53 nelle opere antiariane

Sono tre le opere di Agostino contro l’arianesimo: una replica a un sermone anonimo degli Ariani (Contra Sermonem Arianorum) del 418; una conferenza-dibattito con il vescovo ariano Massimino, svoltasi ad Ippo-na in vista della pace (Collatio cum Maximino Arianorum episcopo), proba-bilmente del 427; e, infine, due libri contro lo stesso Massimino (Contra Maximinum Arianum), il quale tornato poco dopo a Cartagine si gloriava d’aver vinto il confronto; Agostino dimostra la falsità e la menzogna del suo avversario26.

In Contra Sermonem Arianorum 12,9 la citazione di Is 53,1 (Et brachium Domini cui revelatum est?) serve ad Agostino come fondamento scrittu-ristico, per rispondere alla domanda: Che cosa è poi la destra del Padre? (Quid est autem Patris dextera?). Infatti, una volta affermato che la destra del Padre è «lo stesso Unigenito attraverso il quale sono state create tutte le cose», Agostino non ha nessuna difficoltà ad applicare all’Unigenito il detto profetico: «Di lui il profeta ha detto: A chi è stato rivelato il braccio del Signore?»27.

In Collatio cum Maximino 15,14 il testo di Is 53,9 (Generationem eius quis enarrabit?) è inserito nel contesto della problematica teologica relativa alla generazione eterna del Figlio dal Padre. Agostino giustifica l’affermazio-

25 S. Caruana et Alii (a cura di), Sant’Agostino..., cit., pp. 518-519; CSEL 84, p. 14.26 Circa il dibattito tra Agostino e la dottrina ariana cfr. A. Pincherle, L’arianesimo e la

Chiesa africana nel sec. Iv, in Bilychnis 35 (1925), pp. 97-106; Id, Ancora sull’arianesimo e la Chiesa africana del Iv secolo, in Studi e Materiali di Storia delle Religioni 39 (1968), pp. 169-182; J. Zeiller, L’arianisme en Afrique avant l’invasion vandale, in Revue Historique 173 (1934), pp. 535-540; M. Simonetti, S. Agostino e gli Ariani, in Revue des Études Augustiniennes 13 (1967), pp. 55-84.

27 E. Peroli (a cura di), Sant’Agostino. Opere antiariane XII/2, Roma 2000, pp. 46-47.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

ne: «Dio Padre incorruttibile ha generato il Figlio in modo incorruttibile» con le testimonianze delle Sacre Scritture (testimonia Sanctarum Scripturarum), citando poi il solo testo profetico di Is 53,928.

La medesima citazione ritorna nel Contra Maximinum II, 14.1, sempre in riferimento alla medesima problematica teologica della generazione eterna dal Padre, negata dalla dottrina ariana. Agostino chiarisce detta-gliatamente che mentre per lo Spirito Santo si parla di processione, per il Figlio bisogna parlare di generazione. E ritorna alla prova scritturistica, di-cendo che come, parlando del Figlio, il profeta dice: Chi narrerà la sua gene-razione?, «così con assoluta veridicità si deve dire dello Spirito Santo: Chi narrerà la sua processione?». Come si vede, il vescovo di Ippona utilizza liberamente il testo biblico, per concludere che come il Figlio deriva non da sé, ma da Colui dal quale è nato, così lo Spirito Santo deriva da Colui dal quale procede29. Più avanti (Contra Maximininum II, 26.9), Agostino in modo mirabile confuta la teoria ariana, ricorrendo agli stessi testi biblici utilizzati dal suo avversario, affermando, però, che non deve stupire il fatto che Cristo sia stato prefigurato simbolicamente dalla figura dell’an-gelo (ad esempio, il patriarca giacobbe, chiamato sia uomo e sia Dio; o i tre angeli apparsi ad Abramo a Mamre), dal momento che anche Isacco era «figura di Cristo, quando fu condotto come un agnello per essere immo-lato (…quando sicut ovis ad immolandum ductus est)». È interessante come Agostino utilizzi i testi biblici, fondendoli l’uno nell’altro, come dimostra il caso suddetto30.

11. Is 53 nel Contra adversarium Legis et Prophetarum e nel Tractatus adversus Iudaeos

Scritto nel 420, il trattato Contra adversarium Legis et Prophetarum è una mirabile difesa dell’Antico Testamento (la Legge e i Profeti) dalle accuse precise di un’opera marcionita, pubblicamente letta e ascoltata nella piaz-za marittima di Cartagine (cfr. Retractationes II,58).

In Contra adversarium... II, 3.12, presentando le profezie messianiche, che prefiguravano l’avvento del Cristo, Agostino non può non soffermarsi lun-gamente sulla profezia deutero-isaiana del Servo sofferente, dal momento che essa ben delineava, per il santo vescovo di Ippona, le caratteristiche del futuro Messia. Il testo del Deutero-Isaia (Is 53,4-8) è introdotto da Agostino con una formula solenne, a mo’ di domanda retorica: Quis erat Spiritus, qui per eumdem Isaiam tanto ante praedixit; ed è chiuso dall’espressione: et cetera, quae contenere longum est, alludendo ovviamente al resto del poema.

28 E. Peroli (a cura di), Sant’Agostino..., cit., pp. 146-147.29 Ibid., pp. 248-249.30 Ibid., pp. 348-349.

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| D. Bono |

Il testo, riportato sostanzialmente secondo la vetus Latina, è il seguente31:

Iste peccata nostra portat et pro nobis doletet nos putavimus eum (vetus Latina: illum)esse in dolore et in plaga et in afflictione.Ipse vulneratus est propter peccata nostra et infirmatus est propter iniquitates nostras.Disciplina pacis nostrae super eum et livore eius sanati sumus.Omnes quasi oves erravimus, homo in via sua erravit.Et Domunis tradidit eum propter iniquitates nostraset ipse propter afflictionemnon aperuit os.Sicut ovis ad victimam ductus estet sicut agnus coram tondente mutus, sic non aperuit os sum.In humilitate iudicium eius sublatum est (vetus Latina: In humilitate sublatum est iudicium eius),generationem illius quis enarrabit (vetus Latina: enarravit), quia tolletur (vetus Latina: tollitur) de terra vita eius?32

Ab iniquitatibus popoli mei ductus est ad mortem.Notevole è l’apporto di Is 53 nel Tractatus adversus Iudaeos, di data in-

certa, dove Agostino, commentando Rm 11,22, dimostra il compimento delle profezie messianiche nella persona del Cristo e nella Chiesa, e rac-comanda umiltà e carità verso i fratelli Ebrei.

In Tractatus adversus Iudaeos 4.5, Agostino contrappone l’espressione del Salmo 44,10, che parla dello splendore e della bellezza del Cristo sopra i figli degli uomini, a quella di Is 53,2, riferita sempre al Cristo, ma pre-cisamente alla sua debolezza. Afferma, infatti Agostino: «…si compisse per la debolezza anche ciò che un altro profeta dice di lui: vidimus eum, et non habebat speciem, neque decorem; sed vultus eius abiectus, et deformis positio eius». In Tractatus adversus Iudaeos 7.9-10 il lettore assiste ad una sfilza di citazioni profetiche, incentrate sulla tematica del popolo eletto o Israele o Giacobbe, tra cui Is 53,8 (Ab iniquitatibus populi mei ductus est ad mortem): non senza polemica Agostino afferma che la profezia è detta di Cristo (de

31 M. Falcioni et Alii, (a cura di), Sant’Agostino. Opere antieretiche XII/1, Roma 2003, pp. 338-339.

32 Da notare che nella vetus Latina e nelle versioni agostiniane (De consensu e De civitate Dei), la domanda: Generationem eius quis enarravit? non è qui, ma nel versetto precedente.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

Christo enim dictum est), «che voi, nei vostri padri, avete inviato a morte (…quem vos in parentibus vestris duxistis ad mortem)», richiamando subito dopo la figura dell’agnello, riferita alla persona del Cristo: … qui sicut ovis ad immolandum ductus est (Is 53,7)33.

12. Le citazioni di Is 53 nei commenti agli scritti giovannei

Il Commento al vangelo di Giovanni è costituito da 124 discorsi, distinti in due gruppi (1-54 e 55-124) perché composti in due periodi diversi, in parte pronunciati e in parte dettati, di carattere prettamante pastorale e ricchi di contenuti teologici, filosofici e spirituali. Molto dibattuta è la data della loro composizione: tra il 411 e il 414 il primo gruppo; tra il 416 e il 420 il secondo gruppo34. Si tratta di un vero e proprio Trattato, in cui Agostino, attraverso un costante approccio esegetico al quarto vangelo35, affronta tematiche teo-logiche, che vanno dalla vita interiore del cristiano36 alla mediazione univer-sale del Cristo37; dal mistero dell’Incarnazione al concetto di Rivelazione38.

Il commento sulla Prima Iohannis è anch’esso una serie di discorsi sulla carità, di cui Giovanni - afferma Agostino - «ha tessuto l’elogio, dicendo…pressoché tutto»39. Pronunciati durante le feste pasquali di un anno, tra il 413 e il 418, i dieci trattati sono di una particolare e profonda suggestione40.

33 M. Falcioni et Alii, (a cura di), Sant’Agostino. Opere…, cit., pp. 424-425.34 Il primo gruppo, ossia i Trattati 1-54, sono datati nel 411 da R.J. Deferrari, On the Date

and Order of Delivery of St. Augustine’s Tractatus on the Gospel and Epistole of St. John, in Clas-sical Philology (1917), pp. 191-194; nel 413 da S. Zarb, Chronologia tractatuum S. Augustini in Evangelium Primamque Epistulam Iohannis Apostoli, in Angelicum 10 (1933), pp. 50-110; nel 414 da M. Le Landais, Deux années de predication de saint Augustin, Paris 1953. Il secondo gruppo, ossia i Trattati 55-154, sono fissati nel 416 da M. Le Landais, Deux années de pre-dication…, cit.; nel 418 da S. Zarb, Chronologia tractatuum S. Augustini…, cit.; dopo il 419 o 420 da A.M. La Bonnardière, Recherches de chronologie augustinienne, Paris 1965. Sulle pro-blematiche della datazione in generale, cfr. M.F. Berrouard, La date des Tractatus I-LIV in Ioannis Evangelium de saint Augustin, in Recherches Augustiniennes 7 (1971), pp. 105-168.

35 Cfr. M. Comeau, Saint Augustin. Exégète du quatrième évangile, Paris 1930. 36 Cfr. M. Comeau, La vie intérieure du Chrétien d’après les “Tractatus in Iohannem” de saint

Augustin, in Recherches de Sciences Religieuses 20 (1930), pp. 5-25.125-149.37 Cfr. A. Tamayo, La mediación reveladora de Cristo en la escatología definitive según la

exegesis agustiniana de los escritos de san Juan, Insbruck 1962.38 Cfr. R.P. Hardy, The Incarnation and Revelation in Augustine’s “Tractatus in Iohannis Evange-

lium”, in Église et Théologie 3 (1972), pp. 193-200; Id., Actualité de la Révélation Divine, Paris 1974.39 Cfr. M. Mellet, Saint Augustin prédicateur de la charité dans ses commentaires sur saint Jean,

in La vie spirituelle 83 (1945), pp. 304-325; 556-576; 84 (1946), pp. 69-91; J. gallay, La charité fraternelle selon les Tractatus in Iam Ioannis de saint Augustin, Lyon 1953; Id., Dilige et quod vis fac. Notes d’exégèse augustinienne, in Recherches de Science Religieuse 43 (1955), pp. 545-555; J.A.R. Amado, Santo Agostino. Quem é Dios. Comentário à Primiera Carta de S. Joào, Coimbra 1959.

40 Cfr. V. Capánaga, Interpretación agostiniana del Amor. Eros y Agape, in Augustiniana 18 (1973), pp. 213-278.

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| D. Bono |

Numerosi sono i riferimenti al poema del Servo sofferente nel com-mento agostiniano al quarto vangelo e uno solo è il richiamo a Is 53 nel commento alla Prima Iohannis.

12.1. Il Commento al vangelo di san Giovanni

Nel Tractatus 48,7 Agostino utilizza l’espressione: Et brachium Domini cui revelatum est di Is 53,1b, per affermare che la mano del Padre è il Figlio stesso, per cui - conclude Agostino - l’espressione giovannea «Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio… significa: Nessuno me le può rapire»41.

Nel Tractatus 35,742, immaginando di rispondere agli attacchi dei pa-gani circa l’identità della persona di Cristo, Agostino avverte di non tro-vare migliore risposta che nelle profezie, specificando che non si tratta di qualunque tipo di profezie, ma di quelle trasmesseci nei libri dei Giudei, che sono sì avversari della fede cristiana, ma che per questo sono stati di-spersi tra i popoli. E a questo punto egli cita Is 53,5d.6ab.7b-8a, introdotto dall’espressione: Codex Isaiae proferatur a Iudaeis, videamus si non ibi lego.

Il testo profetico è il seguente:Is 53,7b Sicut ovis ad immolandum ductus est et sicut agnus coram tondente fuit sine voce, sic non aperuit os suum. Is 53,8a In humilitate iudicium eius sublatum est;Is 53,5d livore eius sanati sumus. Is 53,6ab omnes ut oves erravimus, et ipse traditus est pro peccatis nostris.Numerose sono le citazioni di Is 53,7 in riferimento all’immagine

dell’agnello e della pecora muti applicati a gesù: nel Tractatus 4,2, parlan-do delle due venute del Cristo, Agostino afferma che mentre nella prima venuta egli è apparso in modo occulto e nell’umiltà, alla fine dei tempi verrà in modo manifesto; e per spiegare in che modo egli abbia taciuto, Agostino introduce l’immagine della pecora muta di Is 53,7, introdotta dalla formula imperativa Interroga Isaiam:

Sicut ovis ad occisionem ductus est et sicut agnus coram eo qui se tonderet, fuit sine voce, sic non aperuit os suum.Lo stesso argomento ritorna nel Tractatus 28,6, dove Agostino parlando

del giudizio finale e della necessità per i cristiani di vivere ora secondo giu-stizia, spiega che il Cristo quando verrà manifesto…non tacerà, a differenza

41 A. Vita et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Commento al vangelo di San Giovanni I (1-50), Roma 1968, pp. 960-961.

42 Ibid., pp. 736-737.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

di quando venne nascosto: allora egli è stato condotto come pecora al macello, e come agnello davanti a chi lo tosa non ha aperto bocca:

Sicut ovis ad immolandum ductus est et sicut agnus coram tondente se (sic) non aperuit os suum.Sempre nel contesto della prima venuta nel silenzio, ma relazionata al

potere di nostro Signore Gesù Cristo, che non tacerà, ma si manifesterà nel giu-dizio, nel Tractatus 37,10 Agostino introduce la medesima citazione, intro-dotta dalla formula di compimento ut etiam hoc impleretur, quod et propheta praedixerat:

Sicut ovis ad immolandum ductus est et sicut agnus coram tondente se sine voce,sic non aperuit os suum.Spiegando, quindi, le similitudini applicate a gesù nel capitolo 10 di

giovanni (pastor bonus, ostium, ovis…), al fine di chiarire l’immagine della pecora, riferita alla persona del Signore, Agostino invita il lettore a interro-gare il profeta (Interroga prophetam), introducendo così la profezia deuteroi-saiana (Tractatus 46,3: Sicut ovis ad immolandum ductus est).

Parlando della festa della Pasqua dei giudei e soprattutto del loro uso di uccidere in quel giorno l’agnello (Tractatus 50,2), Agostino spiega che il motivo di tale uccisione è nella sua prefigurazione, ossia nel fatto che il Cristo Signore è l’agnello che è stato vaticinato (ille erat de quo prophetatum est) e come prova egli riporta la profezia deutero-isaiana (Sicut ovis ad immolandum ductus est)43.

La medesima profezia è richiamata nel Tractatus 55,1, dove Agostino, commentando il capitolo 13 di giovanni, spiega il senso della parola Pa-squa, nella cui etimologia originale, ossia l’ebraico, ha il significato di pas-saggio; ma che nell’assonanza greca del verbo p£scein ha il significato di patire. Agostino con una trovata del tutto originale unisce i due significati e afferma che «quella figura profetica ha trovato il suo reale compimento quando il Cristo come pecora è condotto a dover essere immolato (…cum sicut ovis ad immolandum ducitur Christus)», con un rimando ovviamente a Is 53,7, interpretato chiaramente in senso cristologico.

Commentando il silenzio di gesù davanti a Pilato (Tractatus 116,4; cfr. Gv 19,9), Agostino lo relaziona al medesimo atteggiamento che gesù ha avuto anche in altre occasioni ricordate dagli altri evangelisti (il silenzio davanti ai Principi dei Sacerdoti, davanti ad Erode e davanti allo stesso Pilato) e lo spiega mediante la profezia della pecora muta, introdotta dalla formula di compimento: Ut non frustra de illo prophetia praecesserit: Sicut

43 Cfr. A. Vita et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Commento al vangelo di San Giovanni, cit., pp. 70-71; 640-641; 774-775; 918-919; 930-931.

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agnus coram tondente se fuit sine voce, sic non aperuit os suum, e seguita dal commento di conferma: tunc utique quando interrogantibus non respondit. Agostino insiste sul silenzio del Signore davanti ai suoi giudici e continua dicendo che Egli «si comportò…come agnello che tace davanti al tosatore tutte le volte che non aprì bocca (ubicumque non aperuit os suum, sicut agnus non aperuit)».

E finalmente nella scena del soldato che non spezza le gambe a Gesù, ma gli trafigge il cuore (Tractatus 120,3), Agostino ritorna alla medesima profezia, congiunta con il testo paolino di 1Cor 5,7 (La nostra Pasqua è Cri-sto che è stato immolato) e ciò – aggiunge il santo Vescovo di Ippona – è anche in sintonia con quanto Isaia aveva predetto: Unde Pascha nostrum immolatus est Christus; de quo et Isaias propheta praedixerat: Sicut ovis ad im-molandum ductus est44.

La citazione di Is 53,8 (Generationem autem eius quis enarrabit?) appare nel Tractatus 31,2, nel contesto in cui Agostino, commentando il testo di Gv 7,27 (Christus cum venerit, nemo scit unde sit), spiega che questa convinzio-ne dei giudei è stata originata dall’errata comprensione della profezia di Is 53,8 (…quia hanc illis opinionem generaverat quod per Isaiam dictum est…). Agostino conclude, al contrario, che la divina profezia aveva vaticinato sia la debolezza umana del profeta Gesù sia la maestà divina del Signore45.

E infine nei Tractatus 31,11 (De illo enim dictum est: Inter iniquos reputatus est)46 e 117,3 (De quo praemissa dixerat prophetia: Et inter iniquos deputatus est)47 Agostino fa ricorso alla profezia di Is 53,12d (= Lc 22,37), collegando così la crocifissione di Gesù in mezzo ai malfattori con il testo profetico48.

12.2. La citazione di Is 53,2 nel Commento all’Epistola di San Giovanni

Nel Trattato 9,9, Agostino afferma che amando Dio, bellezza eterna, in cui non c’è deformità o mutamento, noi brutti e peccatori, diventiamo belli. Il santo vescovo d’Ippona fornisce il fondamento biblico della bellezza del Verbo, citando il Salmo 44,3 e Gv 1,1, e quindi richiama Is 53,2, per pro-vare la sua deformità e bruttezza: «quali fonti ci rivelano un Gesù brutto e deforme?». La risposta è così data: «Isaiam interroga: Et vidimus eum,

44 A. Vita et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Commento al vangelo di San Giovanni II (511-124), Roma 1968, pp. 950-951; 1530-1531; 1564-1565.

45 A. Vita et Alii (a cura di), Sant’Agostino…, I , cit., pp. 674-675.46 Ibid., pp. 686-687.47 A. Vita et Alii (a cura di), Sant’Agostino…, II, cit., pp. 1542-1543.48 L’unica differenza tra i due testi è la presenza dei verbi sinonimi reputatus e depu-

tatus, che però non cambia sostanzialmente il significato della profezia, laddove altrove Agostino ha aestimatus est. Questo collegamento tra la crocifissione in mezzo ai ladroni e Is 53,12d è già stato operato da alcuni copisti di Mc 15,28 (B; Y; D), che aggiungono la profezia deutero-isaiana.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

et non habebat speciem, neque decorem». Le due affermazioni scritturistiche sono paragonate da Agostino a due trombe, suonate dalla stesso Spirito. E conclude che Egli non aveva bellezza, né decoro, perché annichilò se stesso, al fine di dare a te bellezza e decoro (…ut tibi daret speciem et decorem)49.

13. Is 53 nelle Enarrationes in Psalmos

Unica esposizione completa sui Salmi della letteratura patristica, le Enarrationes in Psalmos sono l’opera agostiniana più voluminosa e più ric-ca di dottrina spirituale, composta in un arco di tempo che va dal 392 al 416, o dopo il 422 per il commento al Salmo 11850. Basata essenzialmente sul testo dei LXX, rivisto dallo stesso Agostino51, la lettura agostiniana sui Salmi è essenzialmente cristocentrica, perché in essi si ode la voce del Christus totus e della sua Chiesa. E di conseguenza, Is 53,1-12, ad eccezio-ne dei soli versetti 10-11, fa la sua notevole comparsa.

Is 53,1 è abbondantemente citato, sia in riferimento agli apostoli o alla comunità cristiana, che annuncia il Signore (Domine, quis credidit auditui nostro?), e sia per spiegare la potenza del braccio di Dio (…et brachium Domini cui revelatum est?), che è il Cristo (cfr. In Psalmum 9,1352; 58Serm. I, 1653; 70Serm. II, 4; 76,17; 77,32; 85,1554; 89,12; 97,1; 103Serm. IV, 12; 108,29; 115,1; 118Serm. XVIII,1.32,555; 135,956).

Is 53,2 (vidimus eum et non habebat speciem neque decorem) ritorna spes-

49 A. Vita et Alii (a cura di), Sant’Agostino…, II, cit., pp. 1828-1829.50 Cfr. S. Zarb, Cronologia Enarrationum Sancti Augustini in Psalmos, Malta 1948; H. Ron-

det, Essais sur la cronologie des “Enarrationes in psalmos” de saint Augustin, in Bulletin de Littérature Ecclésiastique 61 (1960), pp. 11-127.258-286.

51 P. Capelle, Le texte du Psautier Latin en Afrique, Roma 1913; D. De Bruyne, Notes sur le Psautier de Saint Augustin, in Revue Bénédictine 45 (1933), pp. 20-28; A. Vaccari, I Salteri di S. Girolamo e di S. Agostino, Roma 1952; Id., Psalterium Sancti Augustini in M. Sinai repertum, in Biblica 36 (1955), p. 260; S. Ongaro, Salterio veronese e revisione agostiniana, in Biblica 35 (1954), pp. 443-474.

52 R. Minuti et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Esposizione ai Salmi, I, Roma 1967, pp. 144-145.

53 V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino. Esposizione ai Salmi, II, Roma 1970, pp. 270-271.54 Ibid., pp. 770-771; 990-991; 1052-1053; 1270-1271. Così, ad esempio, In Psalmum 85,15,

commentando l’espressione: Deduc me Domine in via tua, Agostino inserisce Is 53,1 (Et brachium Domini cui revelatum est?), riferendola al braccio di Dio, che è il Cristo, il quale conduce il credente lungo la via della verità: …dando enim Christum suum, dat manum suam, dando manum suam Christum suum dat. Ad viam ducit, perducendo ad Christum suum. In via deducit, deducendo in Cristo suo.

55 T. Mariucci - V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino. Esposizione ai Salmi, III, Roma 1971, pp. 120-121; 402-403; 770-771; 940-941; 1076-1077; 1268-1269; 1400-1401.

56 F. Monteverde (a cura di), Sant’Agostino. Esposizione ai Salmi, IV, Roma 1977, pp. 392-393.

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so in riferimento alla deformità del Cristo (cfr. In Psalmum 43,16; 44,357; 68Serm. I, 3; 83,1158; 101Serm. I, 17; 103Sermo 1,559; 127,860). Is 53,4 è citato In Psalmum 87,3 (…alius Propheta dicit quod pro nobis doluerit) in riferimen-to alle sofferenze e ai dolori avvertiti dal Cristo sia nell’anima che nel corpo61, come specifica il precedente relativo de quo = de Christo. Is 53,5d (…vulneribus eius sanati sumus)62, introdotto dall’espressione De illo enim dixerunt (il cui soggetto sottinteso è il precedente Moyses et Prophetae) è presente In Psalmum 40,13, insieme con la citazione di Is 53,7 (Sicut ovis ad immolandum ductus est, et sicut agnus coram tondente se sine voce, sic non ape-ruit os suum) e un probabile rimando a Is 53,2e nell’espressione successiva videmus enim…63.

Is 53,7 fa la sua notevole comparsa In Psalmos 37,20; 38,3; 44,15; 49,564; 67,42; 68Serm. I, 7; 82,265; 103Serm. III, 2066; Is 53,8b (Generationem eius quis enarrabit?) è citato In Psalmum 109,1667; Is 53,8c (tolletur de terra vita eius) In Psalmum 71,1768.

Is 53,9 (Ponam malos pro sepultura eius), introdotto dall’espressione de quibus Isaias dixit e riferito ai Milites custodes sepulcri (cfr. Mt 27,66; 28,11-15)69 troviamo citato In Psalmum 37,19; e poco più avanti, in riferimento al silenzio di gesù davanti ai suoi accusatori, è inserita la citazione di Is 53,7 (Et sicut ovis coram tondente se sine voce, non aperuit os suum), introdotta dall’espressione solenne: …implerentur omnes prophetiae de illo, de quo dic-tum erat. Agostino può, così, concludere che il Signore ha taciuto durante

57 R. Minuti et Alii (a cura di), Sant’Agostino…, I, cit., p. 1062-1063; 1078-1079. Partico-larmente, In Psalmum 44,3, la profezia di Is 53,2 è ripetuta due volte, sempre in riferimento al Cristo nella sua passione; così pure In Psalmum 103 serm. I, 5 la medesima profezia è contrapposta all’espressione Speciosus forma prae filiis hominum del Salmo 44,3, conciliando, in tal modo, e la bellezza del Cristo e la sua debolezza e infermità.

58 V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino…, II, cit., pp. 634-635; 1202-1203.59 T. Mariucci - V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino…, III, cit., pp. 540-541; 640-641.60 F. Monteverde (a cura di), Sant’Agostino…, IV, cit., pp. 174-175.61 T. Mariucci - V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino…, III, cit., pp. 28-29.62 Versione piuttosto particolare per l’uso del plurale vulneribus, laddove Agostino ha

sempre il singolare livore, come nella vulgata.63 R. Minuti et Alii (a cura di), Sant’Agostino…, I, cit., pp. 998-999.64 Ibid., pp. 870-871; 888-889; 1096-1097; 1252-1253.65 V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino…, II, cit., pp. 626-627; 644-645; 1162-1163.66 T. Mariucci - V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino…, III, cit., pp. 736-737.67 Ibid., pp. 982-983.68 V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino…, II, cit., pp. 812-813.69 Una versione questa assai singolare di Agostino: Enarratio in Psalmum XXXVII,19:

Ponam malos pro sepultura eius; vetus Latina: dabo pessimos pro sepultura eius.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

la passione, ma non tacerà nel giorno del giudizio70. Is 53,12 (nam et inter iniquos deputatus est) è citata In Psalmum 82,2 in riferimento al Cristo cro-cifisso tra i due malfattori71.

Certamente a Is 53,2-7 (cfr. In Psalmum 63,16) Agostino rimanda nel voler spiegare nella forma sublime dell’orazione che le gesta del Signore erano il suo silenzio quando veniva trascinato al macello e appariva senza bellezza né decoro (…hoc erat illud, o Domine Iesu Christe, quod tacebas, et sicut ovis ad victimam ducebaris, et non aperiebat coram tondente os suum, et nos te putabamus esse in plaga et dolore positum, et scientem ferre infirmitatem? Hoccine erat quod abscondebas speciem tuam, speciose forma prae filiis homi-num? Hoccine erat illud, quod videbaris non habere speciem neque decorem?)72. Agostino sembra confermare qui la lettura ecclesiologica del noi orante, che contempla sgomento e incredulo la sorte drammatica e dolorosa del suo Signore e Salvatore.

14. Is 53 nell’Epistolario agostiniano

Significativo è il ricorso al poema del Servo sofferente nell’epistolario agostiniano, un immane e ponderoso materiale di contenuto storico, fi-losofico, teologico, esegetico, spirituale, letterario e autobiografico, che abbraccia un periodo di oltre quarant’anni73.

Nell’Epistula 105,4 Agostino nota che l’intero oracolo profetico di Is 53 è da riferirsi al Cristo: «Ravvisiamo Cristo nella espressione della Sacra Scrittura: Sicut ovis ad immolandum ductus est, et sicut agnus coram tondente se fuit sine voce, sic non aperuit os suum, et cetera quae illic de eius passione dicuntur». È interessante l’esplicita interpretazione cristologica dell’inte-ro poema di Is 53, che Agostino riferisce senza alcun dubbio alla passione del Cristo; ma allo stesso modo egli fornisce l’interpretazione ecclesiolo-gica all’oracolo seguente della sterile: «Ravvisiamo però altresì la Chiesa in queste altre espressioni: Rallègrati, o sterile…»74.

Nell’Epistula 140, 6.15, commentando le parole del Salmo 21,2, pronun-ciate dal Cristo sulla croce, Agostino cita Is 53,4 (Ille infirmitates nostras por-tat, et pro nobis in doloribus est)75, introdotto dalla formula: Dixit enim et de

70 R. Minuti et Alii (a cura di), Sant’Agostino…, I, cit., pp. 868-869.71 V. Tarulli (a cura di), Sant’Agostino…, II, cit., pp. 1160-1161.72 Ibid., pp. 444-445.73 Cfr. M. Pellegrino, Introduzione alle lettere di S. Agostino, in A. Trapè (a cura di), Opere

di S. Agostino XXI, Roma 1969, pp. 7-107; M.P. Ciccarese, La tipologia delle lettere di S. Ago-stino, in Augustinianum 11 (1971), pp. 471-507.

74 T. Alimonti - L. Carrozzi (a cura di), Sant’Agostino. Le lettere I (1-123), Roma 1969, pp. 1040-1041.

75 Cfr. anche Epistula 166,9, che cita Is 53,4.

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| D. Bono |

illo Isaias; e più avanti (Epistula 140, 14.37), in riferimento alle parole del Salmo 21,16, Agostino vede esaltato il silenzio dell’orante, in conformità con la profezia dell’agnello muto (Sicut agnus coram tondente fuit sine voce), introdotta dall’espressione: Quod et alius Propheta commendat, cum dicit…76.

Nelle Epistulae 153, 5.1377, 238, 4.2478, 242,479, affrontando il problema della generazione eterna del Figlio dal Padre, Agostino ritorna volentieri a Is 53,8 (Generationem eius quis enarrabit?), ulteriore conferma dell’effettiva importanza del suddetto versetto deutero-isaiano per la dottrina cristiana dell’incarnazione del Verbo e della sua esistenza eterna con il Padre80.

15. Is 53 nei Discorsi

I discorsi agostiniani sono il frutto di un’interrotta predicazione durata per quasi quarant’anni. Dei tantissimi discorsi, che si conservavano nella biblioteca d’Ippona, ci sono pervenuti una piccolissima parte: i Maurini ne raccolsero appena 363; in epoca recente il Morin ne ritenne autentici e ne pubblicò altri 138, a cui il Lambot ne aggiunse altri ancora, per un to-tale complessivo di appena poco più di 50081. A partire dal 1988 sono stati rinvenuti da Raymond Étaix e da François Dolbeau altri trentatré discor-si, che contribuiscono ad arricchire notevolmente il prezioso contributo dell’opera agostiniana, quali sono i Sermones del grande predicatore82.

76 T. Alimonti - L. Carrozzi (a cura di), Sant’Agostino…, cit., II (124-184A), Roma 1971, pp. 220-221; 248-249. La medesima citazione di Is 53,7, sebbene con sfumature differenti, troviamo anche nelle Epistulae 187,8; 203,12.

77 Ibid., pp. 536-537. 78 T. Alimonti - L. Carrozzi (a cura di), Sant’Agostino. Le lettere, III (185-270), Roma 1974,

pp. 796-797.79 Ibid., pp. 816-817.80 Questa lettura di Is 53,8 e il suo utilizzo nella teologia cristiana risale probabilmente a

giustino. Cfr. D. Bono, Il poema del Servo (Is 53) nell’opera di San Giustino, in Augustinianum 76 (2011), pp. 103-120.

81 Sulla complessa questione cfr. C. Lambot, Le catalogue de Possidius et la collection car-thusienne de sermons de saint Augustin, in Revue Bénédictine 60 (1950), pp. 3-7; M. Simonetti, Studi sulla letteratura cristiana d’Africa in età vandalica, in Rendiconti dell’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere 83 (1950), pp. 407-424; P. Verbraken, Mémorial Dom Cyrille Lambot, in Revue Bénédictine 79 (1969), pp. 1-328; Id., Les fragments conservés de sermons perdus de saint Augu-stin, in Revue Bénédictine 84 (1974), pp. 245-270. Sulla figura di Agostino predicatore cfr. M. Pellegrino, S. Agostino. Il pastore d’anime, Fossano 1960; P. Borgomeo, L’église de ce temps dans la predication de St. Augustin, Paris 1972 (cfr. anche la bibliografia su alcuni dei temi dei Sermones: ibid., pp. 423-433). Sulla presenza e l’uso della Bibbia nei discorsi agostiniani, cfr. M. Pellegrino, Introduzione generale, in P. Bellini et Alii, (a cura di), Opere di Sant’Agosti-no. Discorsi I (1-50). Sul Vecchio Testamento, Roma 1979, pp. XVII-XL.

82 Su questo gruppo di Sermones cfr. F. Dolbeau, Sant’Agostino. Discorsi nuovi XXXV/1, Roma 2001, p. IX.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

Nel Sermo 17,1,3 sul Salmo 49, tenuto ad Ippona in data incerta, Agostino cita Is 53,7 (Sicut ovis ad immolandum ductus est, et sicut agnus coram tondente fuit sine voce, sic non aperuit os suum), per spiegare come nella prima venuta il Cristo abbia taciuto, ma non tacerà nella seconda («…quando egli giudi-cherà…Verrà e non tacerà. Non tacerà quando si renderà presente»)83.

La medesima citazione ritorna nel Sermo 18,1, anch’esso di datazio-ne incerta, sul versetto del Salmo 49: Deus manifestus veniet. Anche qui il vescovo d’Ippona contrappone il silenzio del Cristo, quando venne giudicato, alla sua potenza nel giorno del giudizio («…allora non tace-rà, quando dovranno riconoscere la sua voce anche coloro che adesso la disprezzano»)84.

Nel Sermo 27,6 sul Salmo 95, datato intorno al 418, per contrapporre la bellezza del Cristo, quando lo si vedrà nella gloria, alla sua scelta di rendersi deforme, al fine di «sostenere la tua fede», Agostino ritorna a Is 53,2-3: Et vidimus eum, et non habebat speciem neque decorem, sed vultus eius abiectus, et deformis positio eius; e dopo aver fatto notare che questa è la po-tenza del Cristo (hoc est virus eius), il santo vescovo continua: despectus et deformis positio eius, homo in plaga positus, et sciens ferre infirmitates85.

Il Sermo 44, 1.3-5, discorso incompleto e di datazione difficile86, è un commento a Is 53,2ss.: de eo quod scriptum in Isaia: Ascendet sicut virgultum. Agostino applica il testo profetico alla persona del Cristo (De Domino et Salvatore nostro), riguardo al quale si era profetizzato molto tempo prima (ante multa tempora prophetatum est). Commentando le parole: Ascendet si-cut virgultum, et sicut radix in terra sitienti, il vescovo di Ippona si chiede: Perché come una radice? (Quare ut radix?) e spiega che il motivo sta nel fatto che il Cristo non ha bellezza né onore (Non est species illi, neque honor), in quanto egli soffrì, fu umiliato, fu sputacchiato: era, cioè, come una radice, la quale non è bella, anche se nel suo interno ha la forza della sua bellezza. Se, infatti - continua Agostino - nella radice non c’è bellezza, nell’albero, che è la Chiesa, rifulge la gloria della radice: l’albero, che è sorto da tale radice, ha riempito l’universo. Quindi, il santo vescovo di Ippona si sofferma a parlare della radice in terra assetata, che ovviamente è la persona del Cristo, e lo fa citando il resto del poema deutero-isaiano: Non est species illi, neque honor: et vidimus illum, et non habuit speciem neque decorem. Se in lui non c’era bellezza né attrattiva, ciò lo era solo a livello esteriore, perché dentro (intus) la sua bellezza era la gloria stessa del Verbo (Gv 1,1). Egli è apparso senza bellezza né decoro (…et non habuit speciem: sed vultus eius abiectus, et

83 P. Bellini et Alii, (a cura di), Opere…, cit., pp. 330-331.84 Ibid., pp. 342-345. 85 Ibid., pp. 522-523.86 Cfr. ibid., pp. 762-763.

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| D. Bono |

deformis positio eius ab omnibus hominibus. Homo in plaga… et qui sciat ferre infirmitates), ma - commenta Agostino - «quanto più ci è presentato de-forme, tanto più splendido, tanto più dolce è diventato per la sua sposa». Per questo egli nascose il suo volto, che fu coperto di maltrattamenti e non fu stimato cosa pregevole (facies eius iniuriata est, nec magni aestimata est). Quin-di, il vescovo di Ippona passa a citare ciò che segue del poema e si chiede: Quid dicunt contra ista Iudaei?, ritenendo sorprendente che essi lo ascoltino e lo leggano, senza riuscire a riferirlo al Cristo del Vangelo: Hic infirmitates nostras portat et pro nobis in doloribus est et nos existimavimus illum in dolori-bus esse et in plaga et in poena. Ipse autem vulneratus est et infirmatus est prop-ter iniquitates nostras. Eruditio pacis nostrae in eum, livore eius sanati sumus. Omnes ut oves erravimus, et Dominus tradidit illum pro peccatis nostris. «Non è sorprendente - conclude Agostino - che essi (i giudei) ascoltino tutte queste parole, che ne siano i possessori, che le leggano, eppure non trovi-no come siano state dette esclusivamente di colui del quale nel Vangelo si fa l’annunzio per ogni nazione della terra?», provando e confermando la lettura esclusivamente cristologica e di conseguenza anche ecclesiologica, fatta dal grande vescovo di Ippona87.

Nel Sermo 95,4 sul testo di Mc 8,1-9, di datazione indefinita, Agosti-no afferma che il Cristo era bello, secondo l’affermazione del Salmo 44,3 (Speciosus forma prae filiis hominum), ma si è fatto brutto, secondo la te-stimonianza di un altro profeta (dat mihi deformitas eius testimonium alius Propheta), che dice: vidimus eum, et non habebat speciem neque decorum; sed vultus eius abiectus, deformis positio eius. Agostino spiega che quello sposo si è fatto brutto per la sua sposa brutta al fine di renderla bella, e perciò non c’è contraddizione nei due testi biblici citati88.

Nel Sermo 138,6, tenuto a Cartagine, forse nel 411-412 sul buon Pastore (Gv 10,11-16), parlando della Chiesa sposa, che si rivolge al suo bello spo-so, così come canta il Cantico dei Cantici, Agostino annota che Cristo era in apparenza deforme, ma incomparabilmente bello. Sulla croce apparve deforme e senza bellezza (foedum et sine decore): vidimus eum… et non habebat speciem neque decorem89.

Nel Sermo 156,5, pronunciato contro i Pelagiani nella Basilica Gratiani il 17 ottobre del 417 o 418/419 sulle parole di Rm 8,12-17, Agostino riporta l’espressione: Et brachium Domini cui revelatum est? di Is 53,1, all’interno della tematica dell’unico mediatore tra Dio e gli uomini, che è il Cristo Signore90.

87 P. Bellini et Alii, (a cura di), Opere…, cit., pp. 764-765.88 L. Carrozzi (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi II/2 (86-116). Sul Nuovo Testamento,

Roma 1983, pp. 168-169.89 M. Recchia (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi III/1 (117-150). Sul Nuovo Testamento,

Roma 1990, pp. 310-311.90 M. Recchia, (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi III/2 (151-183). Sul Nuovo Testamen-

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

In riferimento al mistero del Natale del Signore, la citazione deutero-isaiana: Generationem eius quis enarrabit?, compare nei Sermones 184,3 (pro-nunciato il 25 dicembre, in località imprecisata, dopo il 411-412)91, 188,2 (tenuto sempre il 25 dicembre, in località e data non precisate)92, 190,2 (pronunciato in località imprecisata nel 391-400)93, 195,1 (tenuto in luogo non precisato, dopo il 411-412)94, 196,1 (pronunciato ad Ippona il 25 di-cembre dopo il 396)95. Agostino inserisce la profezia di Is 53,8 nel contesto della generazione eterna del Verbo, contrapponendo la nascita nel tempo da una madre alla nascita fuori del tempo dal Padre, che è Dio.

Nel Sermo 210,3 sulla Quaresima, tenuto in località ed anno non preci-sati, parlando del digiuno, Agostino afferma che esso va fatto in assenza «di quel bello sposo… il più bello d’aspetto tra i figli dell’uomo, che però tra le mani dei persecutori non ebbe né grazia né bellezza e la sua vita fu tolta dalla terra (non habuit speciem neque decorem, et ablata est de terra vita eius)»96. Della profezia deutero-isaiana Agostino unisce Is 53,2 e Is 53,8. La prima è riportata nella forma con il verbo habere, laddove, invece, altrove Agostino la cita con il verbo esse:

De consensu: non est species illi neque honor,De civitate Dei: non est species illi neque gloria;vetus Latina: non est species ei neque gloria;Sermo 210: non habuit speciem neque decorem;

La seconda, Is 53,8, in una forma piuttosto diversa, rispetto alla vetus e alle precedenti citazioni agostiniane:

De consensu: Quoniam tolletur de terra vita eius;De civitate Dei: Quoniam tolletur de terra vita eius; vetus latina: Quia tollitur de terra vita eius;Sermo 210: …et ablata est de terra vita eius.

Nel Sermo 212,1 sulla trasmissione del Simbolo di fede, tenuto ad Ip-pona tra il 410 e il 415, Agostino nota che il Verbo ed Unigenito Figlio di Dio, avendo spogliato se stesso, «ha assunto la condizione di servo, e in questa condizione di servo siede alla destra del Padre, egli, il braccio del

to, Roma 1990, pp. 562-563. 91 P. Bellini et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi IV/1 (184-229/v). Sui tempi litur-

gici, Roma 1984, pp. 6-7.92 Ibid., pp. 26-27.93 Ibid., pp. 38-39: «Si istam non comprehendimus, illam quando enarramus?».94 Ibid., pp. 68-69.95 Ibid., pp. 70-71.96 Ibid., pp. 168-169.

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| D. Bono |

Padre, di cui il Profeta si chiede: Il braccio del Signore a chi si è manifestato? (Et brachium Domini cui revelatum est?)»97.

Nel Sermo 215,3 pronunciato ad Ippona poco prima della Pasqua in un anno imprecisato, in occasione della consegna del Simbolo di fede, nel contesto della generazione eterna del Figlio dal Padre, Agostino inserisce l’espressione deutero-isaiana: Generationem eius quis enarrabit?, spiegando che «se tu cerchi di comprendere come l’eterno Figlio sia nato senza tem-po dall’eterno Padre, te ne dissuade il profeta Isaia…»98.

Nel Sermo 229/C,1, pronunciato nella festa della Pasqua di un anno imprecisato, non senza polemica nei confronti dei giudei, Agostino sotto-linea che l’agnello ucciso, di cui il popolo si cibò, «secondo la predizione del Profeta era Cristo che come un agnello era condotto al macello (sicut ovis ad immolandum ductus est)»99.

Anche nel Sermo 229/D, 1, pronunciato ad Ippona il giorno o forse la notte di Pasqua, prima del 410, Agostino ricorre alla profezia deutero-isaiana (Tota eruditio pacis nostrae in eo est, cuius livore sanati sumus), per supportare l’invito a non aver paura per la fine di questa vita, perché il regno del Cristo risorto non avrà fine100.

Nel Sermo 229/N, 1, tenuto ad Ippona nel Sabato in albis, dal 410 in poi, e nel Sermo 229/P, 4, pronunciato ad Ippona, sabato dopo Pasqua, dopo il 412, ritorna la citazione di Is 53,7 (Sicut ovis ad immolandum ductus est)101, in entrambi i casi in riferimento all’invito, rivolto da Cristo a Pietro, di pascere e di amare le pecorelle, dal momento che anche Cristo si è fatto pecora (Ipse est et ovis de qua scriptum est…).

Nel Sermo 244,4, tenuto ad Ippona nella settimana in albis, dopo il 411 o il 418 circa, in polemica con la dottrina ariana, Agostino asserisce che il Verbo è nato, anche se è esistito da sempre, e lo spiega con le parole del profeta: Generationem eius quis enarrabit?. Anche qui Is 53,8 è utilizzato da Agostino nel contesto della problematica relativa alla generazione eterna del Verbo e Figlio di Dio102.

Nel Sermo 265/F,1, tenuto nel giorno dell’Ascensione in località ed anno imprecisati, l’espressione: si non suscepisset infirmitatem nostram, riferita al Cristo, rimanda senz’altro il lettore esperto a Is 53,4.10. Inoltre, la tematica dell’annientamento fino a farsi servo, sulla scia dell’inno ai Filippesi (cfr.

97 P. Bellini et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi IV/1, cit., pp. 196-197.98 Ibid., pp. 238-239. 99 Ibid., pp. 420-421.100 Ibid., pp. 424-425.101 Ibid., pp. 492-493; 508-509.102 P. Bellini et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi IV/2 (230-272/B). Sui tempi litur-

gici, Roma 1984, pp. 690-691.

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

soprattutto Fil 2,6) e del loghion di Mc 10,45, esplicitamente citato, portano Agostino a richiamare espressamente Is 53,11 con le parole: De illo Pro-pheta praedixit iustificare iustum bene servientem plurimis103. La citazione è riportata con la sola differenza del rafforzativo plurimis, rispetto alla vetus latina e al testo del De consensu e De civitate Dei:

De consensu: iustificare iustum bene servientem pluribus;De civitate Dei: iustificare iustum bene servientem pluribus;vetus latina: iustificare iustum bene servientem multis;Sermo 265: iustificare iustum bene servientem plurimis.

Nel Sermo 266,4 tenuto a Cartagine la vigilia della Pentecoste, il 23 maggio 397, oppure prima del 405 o nel 410, commentando l’episodio dell’eunuco di Candace, che seduto sul proprio carro leggeva Is 53,7-8a (cfr. At 8,26-40; 8,32-33a), Agostino non solo riporta il suddetto testo bi-blico (Sicut ovis ad immolandum ductus est, et cetera, quae sunt eiusdem cir-cumstantia lectionis), ma lo presenta come la porta aperta per l’annuncio del Cristo, porta della salvezza104.

La medesima citazione dell’agnello, condotto al macello, troviamo nel Sermo 274,1 sul martirio di san Vincenzo martire, pronunciato il 22 gennaio tra il 410 e il 412 («Mitis enim erat Christus: Sicut ovis ad immolandum ductus est. Propterea mitis, quia sicut ovis ad immolandum ductus est»); nel Sermo 279,3, tenuto a Cartagine domenica 23 giugno 401, in occasione della con-versione di san Paolo («Mitis est et humilis corde, quia sicut ovis ad occisionem ductus est, et sicut agnus coram tondente sine voce, sic non aperuit os suum»)105; nel Sermo 299,4, pronunciato nella festa dei santi Pietro e Paolo il 29 giugno 418 («Siluit occultus; quia sicut ovis ad immolandum ductus est»)106.

Nel Sermo 285,2 sui martiri Casto ed Emilio, tenuto a Cartagine pro-babilmente nel 397 o tra il 405 e il 410 oppure nel 416, Agostino inserisce Is 53,12 (inter iniquos deputatus est) nel contesto della crocifissione del Signore tra i due ladroni107.

103 P. Bellini et Alii (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi IV/2, cit., pp. 980-981.104 Ibid., pp. 990-991. Anche qui Agostino si rivela interprete eccezionale della Scrittura,

dal momento che la citazione di Is 53,7-8a e la relativa interpretazione lucana in chiave cristologica di At 8,30-35 è un interessante esempio di come può avvenire il passaggio dal-la lettura ebraica a quella cristiana (cfr. P. grelot, I canti del Servo del Signore. Dalla lettura critica all’ermeneutica, Bologna 1983, p. 170).

105 Solo qui e nel Tractatus 4,2 del commento a giovanni troviamo ad occisionem, laddo-ve Agostino, differenziandosi dalla vetus latina, ha sempre ad immolandum: De consensu e De civitate Dei: Ut ovis ad immolandum ductus est et ut agnus ante eum, qui se tonderet; vetus latina: Sicut ovis ad victimam ductus est et sicut agnus coram tondente mutus.

106 M. Recchia (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi V (273-340/A). Sui Santi, Roma 1986, pp. 14-15; 80-81; 372-373.

107 M. Recchia (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi V, cit., pp. 135-136.

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| D. Bono |

Due citazioni, infine, troviamo nei Sermones novi: in Sermo 9,8 (tolletur de terra vita eius), nel contesto dell’ascensione del Signore; e in Sermo 26,5 (peccata nostra portabat) nel contesto della passione sofferta dal Cristo per amore108.

16. Conclusioni

Non senza esagerazione, a conclusione di questa nostra trattazione, ci sembra di poter ritenere che forse meglio di tutti, tra gli antichi, Agosti-no di Ippona abbia compreso la dinamica di rivelazione e illuminazione, presente nella struttura interna del poema del Servo del Signore (Is 52,13-53,12), da lui stesso considerato «la porta aperta per l’annuncio del Cristo» (Sermo 266,4)109. La lettura cristologica, che egli ben evidenzia, applicando i tratti del Servo sofferente al Cristo, che si lascia consegnare, per compiere la missione salvifica assegnatagli dal Padre, è chiaramente delineata alla luce del testo di Is 53: per Agostino il Servo del Signore, agnello immolato, condotto al macello; uomo del dolore, che conosce le nostre mediocrità (imbecil-litas, infirmitas); nella cui conoscenza è la nostra pace, è ovviamente gesù di Nazareth, trafitto sulla croce e risorto per la nostra riconciliazione; e come tale egli presenta, qua e là, nei suoi scritti, tratti di Is 53.

Ma è soprattutto la lettura ecclesiologica, strutturata mediante il lega-me del poema del Servo con quello immediatamente seguente della donna sterile, che certamente caratterizza la comprensione agostiniana del poe-ma deutero-isaiano (De consensu I,31,47; De civitate Dei 18,28; Epistula ad Catholicos de secta Donatistarum 16,17; Contra Cresconium 64; Epistula 105,4; Sermo 441,3-5, In Psalmum 63,16). Questa precisa configurazione ecclesiale permette al vescovo di Ippona di collegare direttamente l’esperienza ini-zialmente drammatica, ma in seguito illuminante, del noi corale, che sta dietro a Is 53, con la situazione della comunità cristiana, ossia del noi ec-clesiale, che ora crede e annuncia l’evento salvifico di morte e resurrezio-ne del proprio Signore e Salvatore. Quella espressa nel poema del Servo sofferente è per Agostino la voce di tutta la Chiesa (totius ecclesiae vox); quel-li che parlano del Servo sono la voce di tutte le membra del Cristo (omnium membrorum Christi vox); tutti costoro erano sbandati e dispersi come pecore erranti; il gruppo ecclesiale o noi erano infirmi…tamquam pecora errantia, ma il sangue del Cristo li ha congregati nell’unica Chiesa (cfr. De peccatorum meritis I, 27.54).

108 Cfr. F. Dolbeau (a cura di), Sant’Agostino. Discorsi nuovi…, cit., pp. 180-181; 618-619.109 Cfr. R. Meynet, Le quatrième chant du serviteur. Is 52,13-53,12, in Gregorianum 80

(1999), pp. 407-440; traduzione italiana: La salvezza per mezzo della conoscenza. Il Quarto Canto del Servo Is 52,13-53,12: http://[email protected].

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| Il poema del Servo sofferente (Isaia 53) negli scritti di s. Agostino |

Non c’è motivo di dubitare che la lettura cristologica del poema deute-ro-isaiano è fornita dai codici della vetus latina o da altre versiones latinae, molto vicine alla LXX. È rilevante il fatto che il testo di Is 52,13-54,5, ripor-tato nel De consensu e in parte nel De peccatorum meritis, scritti rispettiva-mente nel 400 e nel 412, sia differente da quello presente nell’opera più tardiva del De civitate Dei, più vicino ai codici della vetus latina; per poi assistere nel Contra adversarium Legis et Prophetarum del 420 ad un testo fedele in toto alla vetus. Ciò dimostra che Agostino si è gradualmente av-vicinato all’Itala, da lui considerato il testo da preferirsi.

Va detto, però, che nel cammino agostiniano della ricerca del testo sa-cro, le citazioni riportate da Agostino riflettono spesso sfumature testuali, che non si spiegano con le sole fonti fedeli unicamente alla LXX, ma obbli-gano ad ammettere l’utilizzo di versioni vicine all’originale ebraico o TM. D’altra parte, Agostino è un grande ricercatore del testo biblico e il suo accostamento alla Sacra Scrittura è esperto e competente110. Egli ricerca costantemente il significato originale della Bibbia, su cui fondare la fede in quel Cristo, nella cui persona la Chiesa annuncia il compimento delle antiche profezie, di cui Is 53 è quasi il pilastro e il fulcro dell’intera econo-mia veterotestamentaria. Infatti, citato integralmente o quasi per ben tre o quattro volte, e spesso richiamato nelle riflessioni teologiche e cristo-logiche, il poema del Servo sofferente fornisce in un certo senso la prova scritturistica, della cui incredulità giudaica lo stesso Agostino spesso evi-denzia sconcerto e stupore (cfr. Sermo 44,1,5; Sermo 229/C,1; Tractatus in Iohannem 35,7; Adversus Iudaeos 7,10).

In conclusione, possiamo ritenere senza alcun dubbio che per il vesco-vo di Ippona la vicenda del Servo sofferente del Deutero-Isaia, raccontata dal noi o gruppo corale, ha come suo pieno ed ultimo compimento la pas-sione e la morte del Signore Gesù, trafitto per i nostri peccati e glorificato dal Padre per la nostra giustificazione, ed ora proclamata dal noi ecclesiale, che è la comunità cristiana.

dott. donato Bono

110 Cfr. lo sguardo generale fornito da C.B. Amphoux, Le Canon du Nouveau Testament avant le Ive Siècle, in Filologia Neotestamentaria 21 (2008), pp. 9-25.