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314 CENTRI DI FONDAZIONE COMUNALE NELLA TOSCANA MERIDIONALE (SECC. XIII-PRIMA METÀ XIV) PRIMI RISULTATI DELLE RICERCHE NELLA PROVINCIA DI GROSSETO di ROBERTO FARINELLI 1. LE FONDAZIONI COMUNALI IN TOSCANA Un tema ampiamente sviluppato nella storiografia, qua- le l’azione dei comuni toscani nell’orientare le dinamiche socio-insediative, ha sollecitato di recente un rinnovato interesse, soprattutto sotto il profilo delle ricerche archeo- logiche (vedi la nota di aggiornamento bibliografico in FRIEDMAN 1996 all’edizione del 1988: FRIEDMAN 1996, pp. XXI-XXIX e FRANCOVICH, BOLDRINI, DE LUCA 1993). Infatti, durante i secoli XIII e XIV le campagne toscane conobbero fenomeni macroscopici, quali la fondazione ad opera di comuni cittadini di castelli assimilabili a terre nuove, che, per di più, costituirono solo la manifestazione più appariscente di una più generale politica di intervento in ambito insediativo e urbanistico di matrice comunale (HEERS 1990, pp. 189-201; MAIRE VIGUEUR 1995). Il progresso delle conoscenze storico-archeologiche sui castelli della Toscana che ha contrassegnato gli ultimi de- cenni (recenti sintesi in FRANCOVICH 1999; FRANCOVICH, GI- NATEMPO 2000; FARINELLI c.s.) consente oggi di contestua- lizzare meglio le iniziative condotte dai comuni cittadini entro il panorama insediativo e sociale di riferimento. Da un lato possiamo rilevare che i centri toscani di fondazione comunale si avvicinarono significativamente, sia nell’as- setto urbanistico sia nelle modalità della loro genesi, ai ca- stelli di fondazione sorti per impulso di signori laici, abati e vescovi tra la metà del XII secolo e i primi decenni del Du- ecento, vale a dire nel medesimo periodo durante il quale, in area padana, i comuni urbani promuovevano la nascita di terre nuove. Più in generale, inoltre, emerge che l’ado- zione delle medesime soluzioni urbanistiche nei maggiori centri della Toscana duecentesca fu frutto di una gamma di situazioni molto articolata, che andava dalla diretta attua- zione di programmi di riassetto insediativo delle campagne da parte di un comune cittadino, a forme di collaborazione tra città e forze locali per il conseguimento di risultati ana- loghi, e, infine, all’utilizzo dei medesimi modelli da parte di soggetti antagonisti rispetto al mondo urbano, come le minori comunità di castello e l’aristocrazia rurale di verti- ce. Per quanto concerne più specificamente la cronolo- gia delle fondazioni comunali toscane, possiamo rileva- re che, nel loro complesso, l’istituzione di terre nuove avvenne tardivamente rispetto all’area padana, ove tali esperienze si consolidarono già all’età di Federico I (COM- BA, SETTIA 1993; COMBA, PANERO, PINTO 2002). In Tosca- na, invece, iniziative analoghe – eccettuato qualche caso di incerta interpretazione ove furono coinvolti sia i ve- scovi che i consoli di alcune città, vennero inaugurate dalla fondazione senese del castello di Monteriggioni (1214) e da quella – del tutto “atipica” – del quartiere di Città Nuova compiuta dal comune di Massa Marittima durante il secondo quarto del Duecento. Nel nord della regione il fenomeno conobbe una vistosa accelerazione alla metà del XIII secolo, grazie ad alcune fondazioni lucchesi di duraturo successo; tuttavia per una vera e propria fioritura di terre nuove si dovrà attendere il pe- riodo 1290-1340, durante il quale si concentrarono nu- merose iniziative fiorentine, oltre a qualche operazione senese e pisana (FRANCOVICH, BOLDRINI, DE LUCA, 1993; FRIEDMAN 1996). 2. LE FONDAZIONI NELL’ATTUALE PROVINCIA DI GROSSETO Volgendo una specifica attenzione ai centri di fondazione cittadina posti entro l’attuale provincia di Grosseto, vale a dire un contesto contrassegnato nel XIII secolo dalla presenza di forti poteri signorili, possiamo rilevare che, sebbene i comuni di Pisa e di Orvieto abbiano esteso una certa egemonia politica nell’area, solo quelli di Siena e di Massa Marittima vi produs- sero in via autonoma centri di fondazione. In questa sede ci è sembrato opportuno fare il punto sulle conoscenze acquisite riguardo a queste ultime iniziative di popolamento, rimandan- do alle corrispondenti schede repertoriali in FARINELLI c.s. per la documentazione grafica e per più completi riferimenti ar- chivistici e bibliografici. 2.1 Città Nuova di Massa Marittima All’inizio del Duecento, grazie alla diffusa presenza delle attività minerarie, Massa Marittima era in piena crescita e si erano già formati consistenti burgi e subburgi presso la «pla- tea comunitatis», ove avevano sede la cattedrale e il palazzo del comune. Questa sorta di «ville-champignon» (per tale de- finizione cfr. FOSSIER 1983, p. 405) non si era sviluppata in corrispondenza di un preesistente nucleo abitato di fondovalle (Massa Vecchia), ma ai piedi del castello di Monteregio e tro- vava il proprio fulcro urbanistico nella grande piazza, dalla forma triangolare tipica dei mercatali, ove confluivano tre ri- levanti direttrici viarie. All’inizio del secolo la Chiesa di Mas- sa vantava prerogative pubbliche sulla città, ma lo sviluppo sociale e politico della società urbana condusse nel 1225 al trasferimento di gran parte di tali diritti nelle mani del comune (istituzione attestata dal 1204). Durante il serrato confronto politico che contrassegnò la prima metà del Duecento il potere episcopale rimase relegato entro il castello urbano di Montere- gio, che il comune confinò materialmente e simbolicamente erigendo alle sue spalle la «nova urbs», in grado di fronteggia- re, con una autonoma cinta fortificata, questa residenza signo- rile del presule. Nelle sue prime fasi tale iniziativa presentava alcuni elementi di ambiguità: il progetto prevedeva formal- mente il trasferimento nel nuovo sito dell’intera civitas; tutta- via, si tradusse nella semplice fondazione di un insediamento fortificato, che si differenziava dalle coeve terre nuove comu- nali soprattutto per la sua collocazione nelle adiacenze del pre- esistente nucleo urbano. D’altro canto, l’operazione non fu viziata da alcuna ambiguità sul terreno ideologico: a differen- za della Città Vecchia e del Borgo, materialmente e simbolica- mente dominati dal sovrastante castello di Monteregio, Città Nuova costituì un consapevole strappo nei confronti del pas- sato, voluto dal comune di Massa anche per manifestare la propria contrapposizione al vescovo, e lo stesso impianto pla- nimetrico regolare e omogeneo del tessuto abitativo esprime- va l’immagine di una società meno rigidamente gerarchizzata rispetto a quella signorile (FARINELLI, FRANCOVICH 2000). La costruzione delle abitazioni era affidata agli immigrati che con l’acquisizione della cittadinanza ottenevano un lotto edifica- bile (platea o casalinum) «in Civitate Nova», mentre non si conoscono testimonianze pertinenti alla correlativa concessione di terreni agrari da parte del comune. Il rione urbano fondato in questo frangente occupava una superficie molto estesa (poco più di 7 ettari) ed era caratterizzato da uno schema a maglie ortogonali, impostato su un asse principale ad andamento est- ovest che suddivideva asimmetricamente la fondazione, lungo il quale si affacciavano, disposti a pettine, i lati minori degli isolati rettangolari di circa 25×60 m (vale a dire circa 16×40 passi massetani). In corrispondenza dell’incrocio tra i due assi principali dell’impianto urbano venne eretta per iniziativa co- munale la chiesa parrocchiale di S. Pietro all’Orto, che negli intenti dei fondatori avrebbe dovuto costituire il punto di coor- dinamento religioso per gli abitanti di Città Nuova (FARINELLI 1997, pp. 39-44). La pianificazione presenta dimensioni e com- plessità progettuale insolite per la Toscana del primo Duecen- to: la superficie interessata fu tre volte superiore a quella uti-

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CENTRI DI FONDAZIONE COMUNALENELLA TOSCANA MERIDIONALE

(SECC. XIII-PRIMA METÀ XIV) PRIMI RISULTATI DELLE RICERCHE

NELLA PROVINCIA DI GROSSETO

diROBERTO FARINELLI

1. LE FONDAZIONI COMUNALI IN TOSCANA

Un tema ampiamente sviluppato nella storiografia, qua-le l’azione dei comuni toscani nell’orientare le dinamichesocio-insediative, ha sollecitato di recente un rinnovatointeresse, soprattutto sotto il profilo delle ricerche archeo-logiche (vedi la nota di aggiornamento bibliografico inFRIEDMAN 1996 all’edizione del 1988: FRIEDMAN 1996,pp. XXI-XXIX e FRANCOVICH, BOLDRINI, DE LUCA 1993).Infatti, durante i secoli XIII e XIV le campagne toscaneconobbero fenomeni macroscopici, quali la fondazione adopera di comuni cittadini di castelli assimilabili a terrenuove, che, per di più, costituirono solo la manifestazionepiù appariscente di una più generale politica di interventoin ambito insediativo e urbanistico di matrice comunale(HEERS 1990, pp. 189-201; MAIRE VIGUEUR 1995).

Il progresso delle conoscenze storico-archeologiche suicastelli della Toscana che ha contrassegnato gli ultimi de-cenni (recenti sintesi in FRANCOVICH 1999; FRANCOVICH, GI-NATEMPO 2000; FARINELLI c.s.) consente oggi di contestua-lizzare meglio le iniziative condotte dai comuni cittadinientro il panorama insediativo e sociale di riferimento. Daun lato possiamo rilevare che i centri toscani di fondazionecomunale si avvicinarono significativamente, sia nell’as-setto urbanistico sia nelle modalità della loro genesi, ai ca-stelli di fondazione sorti per impulso di signori laici, abati evescovi tra la metà del XII secolo e i primi decenni del Du-ecento, vale a dire nel medesimo periodo durante il quale,in area padana, i comuni urbani promuovevano la nascitadi terre nuove. Più in generale, inoltre, emerge che l’ado-zione delle medesime soluzioni urbanistiche nei maggioricentri della Toscana duecentesca fu frutto di una gamma disituazioni molto articolata, che andava dalla diretta attua-zione di programmi di riassetto insediativo delle campagneda parte di un comune cittadino, a forme di collaborazionetra città e forze locali per il conseguimento di risultati ana-loghi, e, infine, all’utilizzo dei medesimi modelli da partedi soggetti antagonisti rispetto al mondo urbano, come leminori comunità di castello e l’aristocrazia rurale di verti-ce.

Per quanto concerne più specificamente la cronolo-gia delle fondazioni comunali toscane, possiamo rileva-re che, nel loro complesso, l’istituzione di terre nuoveavvenne tardivamente rispetto all’area padana, ove taliesperienze si consolidarono già all’età di Federico I (COM-BA, SETTIA 1993; COMBA, PANERO, PINTO 2002). In Tosca-na, invece, iniziative analoghe – eccettuato qualche casodi incerta interpretazione ove furono coinvolti sia i ve-scovi che i consoli di alcune città, vennero inauguratedalla fondazione senese del castello di Monteriggioni(1214) e da quella – del tutto “atipica” – del quartiere diCittà Nuova compiuta dal comune di Massa Marittimadurante il secondo quarto del Duecento. Nel nord dellaregione il fenomeno conobbe una vistosa accelerazionealla metà del XIII secolo, grazie ad alcune fondazionilucchesi di duraturo successo; tuttavia per una vera epropria fioritura di terre nuove si dovrà attendere il pe-riodo 1290-1340, durante il quale si concentrarono nu-merose iniziative fiorentine, oltre a qualche operazionesenese e pisana (FRANCOVICH, BOLDRINI, DE LUCA, 1993;FRIEDMAN 1996).

2. LE FONDAZIONI NELL’ATTUALE PROVINCIA DIGROSSETO

Volgendo una specifica attenzione ai centri di fondazionecittadina posti entro l’attuale provincia di Grosseto, vale a direun contesto contrassegnato nel XIII secolo dalla presenza diforti poteri signorili, possiamo rilevare che, sebbene i comunidi Pisa e di Orvieto abbiano esteso una certa egemonia politicanell’area, solo quelli di Siena e di Massa Marittima vi produs-sero in via autonoma centri di fondazione. In questa sede ci èsembrato opportuno fare il punto sulle conoscenze acquisiteriguardo a queste ultime iniziative di popolamento, rimandan-do alle corrispondenti schede repertoriali in FARINELLI c.s. perla documentazione grafica e per più completi riferimenti ar-chivistici e bibliografici.

2.1 Città Nuova di Massa Marittima

All’inizio del Duecento, grazie alla diffusa presenza delleattività minerarie, Massa Marittima era in piena crescita e sierano già formati consistenti burgi e subburgi presso la «pla-tea comunitatis», ove avevano sede la cattedrale e il palazzodel comune. Questa sorta di «ville-champignon» (per tale de-finizione cfr. FOSSIER 1983, p. 405) non si era sviluppata incorrispondenza di un preesistente nucleo abitato di fondovalle(Massa Vecchia), ma ai piedi del castello di Monteregio e tro-vava il proprio fulcro urbanistico nella grande piazza, dallaforma triangolare tipica dei mercatali, ove confluivano tre ri-levanti direttrici viarie. All’inizio del secolo la Chiesa di Mas-sa vantava prerogative pubbliche sulla città, ma lo svilupposociale e politico della società urbana condusse nel 1225 altrasferimento di gran parte di tali diritti nelle mani del comune(istituzione attestata dal 1204). Durante il serrato confrontopolitico che contrassegnò la prima metà del Duecento il potereepiscopale rimase relegato entro il castello urbano di Montere-gio, che il comune confinò materialmente e simbolicamenteerigendo alle sue spalle la «nova urbs», in grado di fronteggia-re, con una autonoma cinta fortificata, questa residenza signo-rile del presule. Nelle sue prime fasi tale iniziativa presentavaalcuni elementi di ambiguità: il progetto prevedeva formal-mente il trasferimento nel nuovo sito dell’intera civitas; tutta-via, si tradusse nella semplice fondazione di un insediamentofortificato, che si differenziava dalle coeve terre nuove comu-nali soprattutto per la sua collocazione nelle adiacenze del pre-esistente nucleo urbano. D’altro canto, l’operazione non fuviziata da alcuna ambiguità sul terreno ideologico: a differen-za della Città Vecchia e del Borgo, materialmente e simbolica-mente dominati dal sovrastante castello di Monteregio, CittàNuova costituì un consapevole strappo nei confronti del pas-sato, voluto dal comune di Massa anche per manifestare lapropria contrapposizione al vescovo, e lo stesso impianto pla-nimetrico regolare e omogeneo del tessuto abitativo esprime-va l’immagine di una società meno rigidamente gerarchizzatarispetto a quella signorile (FARINELLI, FRANCOVICH 2000). Lacostruzione delle abitazioni era affidata agli immigrati che conl’acquisizione della cittadinanza ottenevano un lotto edifica-bile (platea o casalinum) «in Civitate Nova», mentre non siconoscono testimonianze pertinenti alla correlativa concessionedi terreni agrari da parte del comune. Il rione urbano fondatoin questo frangente occupava una superficie molto estesa (pocopiù di 7 ettari) ed era caratterizzato da uno schema a maglieortogonali, impostato su un asse principale ad andamento est-ovest che suddivideva asimmetricamente la fondazione, lungoil quale si affacciavano, disposti a pettine, i lati minori degliisolati rettangolari di circa 25×60 m (vale a dire circa 16×40passi massetani). In corrispondenza dell’incrocio tra i due assiprincipali dell’impianto urbano venne eretta per iniziativa co-munale la chiesa parrocchiale di S. Pietro all’Orto, che negliintenti dei fondatori avrebbe dovuto costituire il punto di coor-dinamento religioso per gli abitanti di Città Nuova (FARINELLI1997, pp. 39-44). La pianificazione presenta dimensioni e com-plessità progettuale insolite per la Toscana del primo Duecen-to: la superficie interessata fu tre volte superiore a quella uti-

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lizzata dal comune di Siena, dieci anni prima, per il castello diMonteriggioni dove, peraltro, ci si rifece a un modello urbani-stico sostanzialmente riconducibile a quello di preesistenti in-sediamenti castellani di sommità, con una cinta curvilinea chesi adattava all’andamento orografico dell’altura (FRANCOVICH,BOLDRINI, DE LUCA 1993, p. 155). Nel caso di Città Nuova diMassa Marittima, invece, si optò per regolarizzare l’orografiadel sito adottando un impianto planimetrico singolare, nel qualesi sovrapponeva l’ortogonalità del tessuto abitativo con la for-ma pseudo-triangolare della cinta. Per tale operazione ci si av-valse della consistente presenza nella città mineraria dimensuratores e di designatores, normalmente attivi nelle esca-vazioni locali e in grado di portare a soluzione complicati pro-blemi tecnico-geometrici.

2.2 Colle Sabatino

A partire dall’ultimo quarto del Duecento, l’azione delcomune di Siena nelle aree in cui tendeva a consolidareun’egemonia politica condusse alla fondazione di castellinelle campagne della Maremma grossetana.

Il caso più antico, peraltro relativo a un centro mai porta-to a termine, fu quello di Colle Sabatino, sulla sinistra del-l’Ombrone. Il comune cittadino si impegnò a creare un capo-saldo politico in un settore contrassegnato dalla presenza disignori rurali ostili, dopo aver stipulato un contratto di paréagecon l’abbazia cistercense di S. Galgano in val di Merse chevantava un’ampia disponibilità fondiaria in quest’area. In-fatti, durante gli anni Venti del Duecento i monaci di S. Gal-gano erano riusciti ad accumulare un esteso patrimonio fon-diario nella bassa valle del torrente Trasubbie, affluente disinistra dell’Ombrone; la gestione di queste terre, che nel XIIIsecolo erano sostanzialmente disabitate, veniva condotta at-traverso le grance di Sticcianese e di Colle Sabatino, alla qualefaceva capo un modesto gruppo di edifici posto sulla sommi-tà di un’altura a quota 163 s.l.m.

Nel 1279, dunque, (erroneamente, nell’esigua bibliogra-fia sul sito, si menziona il 1278) fu deliberata la costruzione diun castello a Colle Sabatino, nel contesto di un forte impulsoall’espansione politica senese tra l’Ombrone e il Monte Amia-ta, ai danni di famiglie signorili locali. Nel marzo 1279 il mo-nastero di S. Galgano cedette per mille lire al comune di Sienadue terzi della «possessio et curtis et districtus Collis Sabatini»,prevedendo la fortificazione dell’altura a spese comune citta-dino (per due terzi) e degli stessi monaci (per un terzo). Secon-do gli impegni tra le parti le fortificazioni del castello avrebbe-ro dovuto essere costituite da mura in pietra o in laterizio e dafosse e carbonarie; il podestà senese avrebbe fissato l’altezzae lo spessore della cortina, mentre l’ampiezza e la profonditàdel fossato sarebbero state concordate assieme all’abate di S.Galgano. Al monastero era riconosciuto il possesso della terzaparte «de terreno dicti castri», ove trovavano spazio le struttu-re della grancia («domus, claustrum et oratorium»). Vista lanecessità di conferire un certo isolamento alle residenze deireligiosi cistercensi, questi avrebbero edificato un muro persuddividere il castello, in modo che gli edifici della granciafossero rimasti da un lato, mentre le abitazioni dei coloni avreb-bero trovato spazio dall’altro. Ai cistercensi venne riconosciu-to il permesso di alloggiare «ligna, trabes et correntes» nelparamento prospiciente il loro settore per appodiare a tale strut-tura le costruzioni della grancia, mentre nel versante laico deldivisorio interventi analoghi richiedevano l’autorizzazione delpodestà di Siena. Infine, i religiosi potevano realizzare una portanella cortina divisoria per collegare la grancia all’altra partedell’abitato, dove i cistercensi avrebbero istituito una chiesaper amministrare i sacramenti agli «habitatores de dicto ca-stro». Per sostentare gli abitanti del castello si faceva affida-mento sulla possibilità di mettere a coltura i circa 2000 ettaridella sua curia; tuttavia, l’iniziativa di popolamento non fuportata a termine e del castello vennero realizzati solo una por-ta in muratura e, probabilmente, i fossati e le palizzate difensi-ve. Alla metà del XIV secolo, infatti, sulla collina si riconosce-

vano solo le tracce di una cinta (il «claustrum castellaris») cuiera pertinente un «porticale» (identificabile con una porta diaccesso al recinto di cui si conservano oggi i due pilastri); in-ternamente si elevavano solamente gli edifici della grancia ci-stercense, dotati di un piccolo portico. Attualmente nel sito siconservano i resti di un portale di accesso, costituiti da duepilastri in muratura alti circa quattro metri e spessi oltre duemetri, ancora provvisti dello stipite laterale e degli alloggi perla chiusura. La muratura fu realizzata in conci di pietra prove-niente da cave piuttosto distanti, che vennero posti in operaregolarmente in filari orizzontali e paralleli, con il frequenteinserimento di zeppe in laterizio. La scelta di un sito sommita-le per l’erezione del castello di Colle Sabatino e la sua ubica-zione decentrata rispetto alle vie di comunicazione costitui-scono gli elementi che maggiormente differenziano questo ten-tativo di fondazione castrense dalla creazione di terre nuovesenesi in Maremma, realizzata nel ventennio a cavaliere del1300. Analogamente alla coeva iniziativa fiorentina di Casa-glia/Pietrasanta (cfr. FRIEDMAN 1996, pp. 32-33, 277-278) siintendeva soprattutto mettere a coltura le terre sino a quel mo-mento di proprietà ecclesiastica, creando una esclave comuna-le in territori ostili e mal collegati alla città, anche con l’intentodi fungere da centro di raccolta per prodotti agricoli prove-nienti dall’esterno del dominio comunale. La fondazione diCasaglia prevedeva anche forme di lottizzazione agraria delterritorio circostante, come forse si intese realizzare anche aColle Sabatino, ma in entrambi i casi l’iniziativa si rivelò dicorto respiro e fallì pochi anni dopo la fondazione.

2.3 Paganico

Nell’ultimo decennio del Duecento il comune di Sienafondò il castel franco di Paganico, attuando una iniziativadai caratteri più immediatamente riconducibili a quelli del-le maggiori terre nuove toscane:– l’ubicazione nel fondovalle,– la realizzazione di un impianto urbanistico e di un peri-metro murario ortogonali, impostati su un’asse viario coin-cidente con una arteria commerciale,– le dimensioni ragguardevoli (oltre 4 ettari),– il forte coinvolgimento delle comunità di castello limitro-fe per concorrere al suo popolamento.

Già anteriormente al 1262 il comune di Siena avevainteso realizzare lungo la strada che collegava la città allacosta un borgo nell’area di Paganico, con il concorso dialcune comunità situate nelle vicinanze. Il progetto venneripreso a partire dal 1278, quando il comune cittadino siimpegnò nella definizione di una curia per il centro abita-to. L’azione senese si tradusse nel 1292 in una fondazionepianificata di cui fu «operarium qui debeat facere fieri[…] burgum» un converso del monastero di S. Galgano,che delimitò il perimetro delle mura, delle aree edificabilie degli orti. In questa occasione il comune di Siena acqui-stò oltre 1300 ettari di terre, destinate ad essere distribuiteai coloni, che in cambio si impegnarono a edificare nelcastello la propria dimora. Secondo gli intenti dichiarati,la cortina muraria avrebbe dovuto raggiungere uno spes-sore di 2 braccia senesi (circa 120 cm) e un’altezza di 12(circa 7,4 m), compresi i merli e il pettorale, ed essereracchiusa esternamente, a distanza di poco meno di 2 m,da una palizzata e da un fossato. In un primo momento ilnumero di coloni coinvolti fu piuttosto elevato, poiché unatto del 1293 attesta la concessione di oltre 350 platee edi-ficabili a circa 370 uomini. I coloni provenivano in misu-ra consistente da vicine comunità di castello e si insedia-rono raggruppandosi tendenzialmente sulla base della lo-calità di origine lungo le medesime vie (ruge). Il numerodelle case effettivamente costruite fu assai inferiore: aquanto emerge da alcune registrazioni fiscali del 1320meno di 150 lotti interni alle mura erano divenuti proprie-tà dei coloni, che solo per un centinaio di casi avevano

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Tav. 1

1– Fondazioni comunali cittadine nella Marmma grossetana.

2 – Massa Marittima. Retinato: area di “Città Nuova”.

3 – L’altura di Colle Sabatino (ubicazione dei ruderi della porta).

4 – Colle Sabatino. I ruderi della porta.

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Tav. 2

5 – Paganico (in tratteggio ipotesi estensione abbandonata).

8 – Talamone (planimetria XIX sec.). 9 – Talamone (foto aerea).

6 – Roccalbegna (planimetria XIX sec.). 7 – Roccalbegna. Porta e cassero.

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innalzato edifici. Prima della realizzazione della cinta mu-raria, nei primi decenni del Trecento fu attuato un consi-stente ridimensionamento planimetrico rispetto ai proget-ti iniziali, comportando la riduzione da una superficie dicirca otto ettari a poco meno di cinque ettari. A questacontrazione accenna un passo cronistico del secondo Tre-cento, ove si legge che «fu el principio molto grande delcirchuito delle mura, e veduto che sarebbe stato una gran-de spesa al chomuno di Siena, si fece poi più piccolo, ecome si vede oggi». La cinta muraria trecentesca è ten-denzialmente rettangolare, sebbene il lato che costeggia ilcorso del fiume Ombrone ne segua l’andamento curvili-neo. L’abitato medievale si sviluppa longitudinalmente lun-go la direttrice Siena-Grosseto, che rappresenta anche l’as-se di simmetria dello schema planimetrico. Parallelamen-te si sviluppano due vie per lato, contrassegnate da unaminor ampiezza, intersecate ortogonalmente da vie per-pendicolari che definiscono isolati rettangolari. Il castellopresentava quattro porte, una per ogni lato, dalle quali sidipartivano le quattro vie principali, che si intersecavanoortogonalmente nella piazza centrale, sulla quale si affac-ciava la chiesa. La piazza, tuttavia, non era posta al centrodell’area fortificata, poiché il disegno planimetrico origi-nario era stato ridimensionato riducendo di circa un quar-to l’area urbanizzata sul lato meridionale (MONACI 1993;ANGELUCCI 2000, p. 268). Infatti, all’esterno delle mura, siriscontra la presenza dei resti di una porta in corrispon-denza dell’asse principale, a testimoniare la presumibileestensione originaria del borgo racchiuso in questa fasesolo da fossati e terrapieni; nella porzione compresa tra lemura di Paganico e la menzionata porta, ancora esistentenel 1717, aveva probabilmente sede la fiera annuale, comesembra attestare il toponimo Mercatale che contrassegna-va quest’area all’inizio del Trecento.

2.4 RoccalbegnaIl castello di Roccalbegna è attestato documentariamente

dal secolo XII e forse già in quest’epoca esisteva, nella rupeantistante, il castello di Pietra d’Albegna. Tra 1293 e 1296alcuni domini locali cedettero al comune di Siena i dirittivantati su entrambi i castelli; in quegli anni il comune citta-dino avviò l’opera di pianificazione della terra nuova, in-caricando i medesimi funzionari operanti nella fondazionedi Paganico di persuadere gli abitanti delle località a spo-starsi nel nuovo abitato. Il programma di popolamento diRoccalbegna prevedeva l’urbanizzazione della sella com-presa tra l’altura del castello omonimo, posta a sud-est, e larupe di Pietra, a nord-ovest, entrambe occupate da casserisenesi. La superficie individuata doveva ospitare circa 200edifici abitativi disposti secondo uno schema ortogonale apettine. Ai nuovi abitanti venne assegnato un lotto di terre-no edificabile entro le mura (casalinum) di dimensioni nonsuperiori a dieci braccia senesi per venti (circa 6 metri per12), al quale erano connessi cento stariori (circa 13 ettari)di terreno seminativo e il diritto di far pascolare i propriarmenti nelle bandite della corte. Tra 1313 e 1317 si regi-strano atti di belligeranza portati dai conti di Santa Fioracontro gli abitanti di Roccalbegna e l’insicurezza dell’areaconcorse a rendere difficoltosa l’opera di popolamento del-la terra nuova senese: secondo le rilevazioni catastali effet-tuate nel gennaio 1319 per la Tavola delle Possessioni era-no state costruite solo 55 case, mentre la maggior parte del-le aree edificabili previste nella lottizzazione (circa 190)non erano state occupate da domus o case murate, bensì dacasalini e capanne. Molti casalini erano provvisti delle muraperimetrali (casalinum muratum, casalina cum aliquibusmuris) e pochi erano dotati anche di una rudimentale coper-tura (casalinum cum tecto palearum), oppure – all’opposto– versavano in stato di tale abbandono da essere confusicon terre ortive. L’impianto urbanistico della fondazioneera incentrato su una via principale che univa due porte diaccesso, parallelamente alla quale si sviluppavano quattro

vie per ogni lato. Lievemente decentrata rispetto al bari-centro del reticolo si apriva una piccola piazza quadrata sullaquale si affacciava la pieve dedicata ai santi Pietro e Paolo.Sul piano delle strutture difensive l’intervento senese si li-mitò a racchiudere il nuovo borgo, attraverso la realizza-zione di due tratti di cortina muraria – dotata di torri a scu-do e di una porta per lato – che giungevano alle rupi ovesorgevano i castelli signorili. Il risultato fu un centro di di-mensioni modeste, che superava di poco una superficie didue ettari, peraltro con ampi settori non occupati da abita-zioni. Per altri versi, l’operazione ebbe un certo successograzie alla costituzione di un mercato capace di drenare allavolta della città prodotti provenienti da aree esterne al do-minio politico senese, quali l’Amiata e la valle dell’Albe-gna, configurandosi come un caposaldo commerciale difrontiera piuttosto che come una consistente colonia di po-polamento.

2.5 TalamoneNel 1303 il comune di Siena acquistò dai monaci ci-

stercensi di S. Salvatore al Monte Amiata i diritti sul «lacumde Valentina et totum terrenum, cum portu de Talamone».Durante gli anni successivi il comune cittadino avviò unprogramma di potenziamento delle strutture portuali e fon-dò nelle loro adiacenze un castello di popolamento, imme-diatamente soggetto al suo potere. Nell’arco di un paio dianni l’opera di colonizzazione era avviata e nel 1306 il co-mune di Siena deliberò che una quota di terreni compresientro il distretto castrense di Talamone venisse suddivisa«in centum poderibus» da assegnare ad altrettanti coloni,fatta esclusione per la porzione di pianura in cui «salinefieri consueverunt et fieri possent», appaltando a privati laconduzione di tali attività. Secondo la pianificazione sene-se, ciascun podere era il frutto dell’accorpamento gestiona-le di uno stesso numero di appezzamenti dispersi topografi-camente nella campagna e individuati facendo riferimentoa un reticolo viario rurale, con linee numerate progressiva-mente a partire dall’asse principale. Ogni insieme fondia-rio era associato ad un lotto edificabile castellano e venneattribuito ai coloni attraverso un pubblico sorteggio. Con-testualmente, era stato pianificato il regolare impianto ur-banistico della terra nuova, inserendo nell’atto giuridicouno schizzo planimetrico con i nomi dei singoli assegnataridei lotti e dei poderi, che rappresenta una delle più anticherappresentazioni del genere nel panorama della documen-tazione medievale italiana. Nel disegno è raffigurata unacortina muraria turrita dotata di tre porte, al cui interno leabitazioni sono disposte secondo una struttura planimetricaa pettine, in cui i lotti edificabili erano disposti lungo fileparellele del tutto omogenee tra loro; l’assetto urbanisticocomplessivo era incentrato su un’asse viario principale e simostrava del tutto indipendente dall’andamento della cin-ta, che invece si adattava all’orografia dell’altura. Nel 1306vennero assegnati ai coloni un centinaio di lotti e lo spaziourbanizzato consentiva la realizzazione di numerose ulte-riori unità abitative; tuttavia negli anni successivi non sigiunse a edificare più di una cinquantina di abitazioni sta-bili. Dal canto proprio, il comune di Siena si era impegnatonel 1306 a realizzare la cinta del castello in pietre o mattonilegati da calce per un’altezza di 12 braccia e uno spessoredi 2; tuttavia, nel 1309, i lavori per la costruzione delle mura,della chiesa, della domus comunis e del cassero non eranoancora terminati. In quell’anno vennero concessi ulterioriappezzamenti di terra ai coloni, suddividendo in poderi estesisessanta staiori (poco meno di otto ettari) l’agro posto nellaporzione meridionale del distretto castrense (che nel suocomplesso superava i 4000 ettari). L’endemica insicurezzadi questo avamposto portuale lontano da Siena determinòenormi difficoltà per consentire il popolamento della terranuova: secondo una petizione, la popolazione locale, chenei suoi momenti migliori aveva espresso 50 uomini attialle armi, nel 1370 era in grado di fornire solo otto armati.

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3. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

In sede conclusiva intendiamo proporre alcune rifles-sioni in merito a aspetti che meritano, a nostro giudizio,ulteriori approfondimenti di ricerca.

Un primo punto riguarda la contestualizzazione delle terrenuove comunali nel quadro di analoghe iniziative su centripreesitenti. Il comune di Siena promosse a più riprese radica-li ridefinizioni urbanistiche: entro il settore territoriale in esa-me, ad es., nel 1317 fondò il Borgo Nuovo Senese in corri-spondenza del castello di Roccastrada e nel 1328 ripopolòquello di Montemassi, predisponendo un’opera di coloniz-zazione attraverso il riconoscimento di franchigie e la capil-lare distribuzione di terre agli abitanti. Anche Massa Maritti-ma rifondò alcuni castelli signorili, insediandovi coloni aiquali concesse terre e franchigie: durante i primi decenni delTrecento: tali azioni riguardarono centri non molto lontanidalla città, come Campetroso, Rocchette Pannocchieschi(ribattezzata per l’occasione «Rocca civitatis Masse») eMonterotondo Marittimo, per il quale si utilizzò un impiantoplanimetrico a maglie ortogonali ancor’oggi leggibile.

Un secondo aspetto concerne gli aspetti simbolici delleforme concrete di realizzazione delle terre nuove cittadine:nelle fondazioni ex novo la prima operazione che seguivaalla delimitazione sul terreno dei fossati e delle carbonaieera l’erezione delle porte di accesso. Infatti, l’esigenza di pro-cedere con rapidità induceva a limitare a queste strutture l’im-piego della muratura, mentre per il resto della cinta si ricor-reva a fossati e palizzate, che solo con il trascorrere di annisarebbero state integrate da cortine murarie. Si spiega in talmodo anche la presenza di porte monumentali pertinenti acinte in materiali deperibili, riscontrata a Colle Sabatino e aPaganico. In questi due castelli, come in vicini centri di pia-nura (Grosseto, Istia d’Ombrone), si adottò il modello dellaporta-torre con funzione di cassero, capace di manifestareanche sul terreno simbolico la volontà comunale di suppor-tare l’iniziativa. Tale volontà venne sottolineata diversamen-te nelle fondazioni senesi di Roccalbegna e Talamone, dovela guarnigione cittadina risiedeva in più munite rocche ubi-cate ai margini della cortina difensiva.

Per quanto concerne, infine, l’impatto insediativo ri-cercato e quello effettivamente conseguito dalle fondazionicomunali ci pare opportuno considerare la forma e le di-mensioni delle singole fondazioni. Questi caratteri fonda-mentali di ciascuna singola esperienza dipendevano in pri-mo luogo dalle scelte di politica insediativa attuate dal co-mune, oltre che da considerazioni di carattere tecnico-ur-banistico.

La stessa definizione del perimetro difensivo presup-poneva una chiara valutazione dell’entità dell’iniziativa dipopolamento: progetti troppo ambiziosi erano destinati alfallimento – totale o parziale –, come mostrano ad es. i casidi Colle Sabatino e di Paganico; d’altra parte, individuaresuperfici ampie da urbanizzare consentiva di far affidamentosu un minor carico pro capite di investimenti per la realiz-zazione delle cortine difensive che – fatta eccezione perl’eventuale acquisto di terre – rappresentavano la principa-le voce di spesa pubblica necessaria per portare a termineuna iniziativa di popolamento.

I dati relativi ad alcune fondazioni comunali toscaneper le quali è stato possibile valutare – seppur approssima-tivamente – l’estensione della superficie occupata e la lun-ghezza lineare del perimetro difensivo (Tab. 1), mostrano

come nel caso dei castelli senesi effettivamente realizzati(Paganico, Talamone, Roccalbegna, Monteriggioni) si ot-tenga un rapporto particolarmente svantaggioso tra super-ficie occupata e perimetro murario eretto. Tale rapporto,nella sua rozzezza, ci pare indicare da un lato le forti diffi-coltà incontrate dal comune di Siena per popolare centrifortificati in aree contrassegnate da indici demici relativa-mente bassi, dall’altro la determinazione del comune nelcreare capisaldi politico-economici in aree contrassegnateda poteri ostili, perlopiù di matrice signorile.

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Anno Fondazione Estensionein mq

Perimetrocinta in m

Mq/m

1334 Paganico (inizio XIV sec.) 49594 1442 34,41304 Talamone 26888 774 34,71292 Roccalbegna 21746 568 38,31214 Monteriggioni 26240 616 42,61332 Firenzuola 45099 953 47,31306 Scarperia 53309 1124 47,41253 Castelfranco di Sotto 48653 936 521337 Terranuova 56449 1027 551299 Castelfranco di Sopra 56412 1023 55,11255 Camaiore 106900 1723 621293 Paganico (fine XIII sec.) 85091 1332 63,91253 S. Croce 76667 1166 65,81225 Città Nuova 74512 1126 66,21299 S.Giovanni Valdarno 105985 1481 71,61255 Pietrasanta 154629 1810 85,4

Tab. 1 – Le dimensioni di alcune terre nuove Toscane.