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I n un recente articolo su questa rivista [1] abbiamo discusso ilproblema dell’inquinamento atmosferico da centrali termoe-

lettriche a ciclo combinato alimentate a gas naturale, tecnica-mente denominate con la sigla Ngcc (Natural Gas CombinedCycle power plants) e comunemente note col nome “turbo-gas”. Questo contributo ha suscitato una vivace discussione,specie laddove è prevista la costruzione di centrali di questo ti-po. L’articolo che appare nel presente numero de “La Chimicae l’Industria” è un’ulteriore testimonianza di questo interessan-te dibattito. Noi siamo lieti di aver aperto un filone di discussio-ne scientifica sul problema dell’inquinamento atmosferico eserra delle centrali turbogas, sostanzialmente assente sino apochi mesi fa nel nostro Paese.In Italia sono state presentate decine di progetti per nuove cen-trali Ngcc la cui taglia oscilla tipicamente tra 400 e 1.200 MW dipotenza. I decreti di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) dialcune di queste sono scaricabili dal sito del Ministero dell’Am-biente [2]. In nessuno di questi progetti si menzionano le polve-ri PM10 e PM2,5 come inquinanti di rilievo. Al contrario il nostrolavoro, probabilmente per la prima volta in Italia, riportava unacospicua serie di documenti di fonte statunitense [3-10], daiquali si evince che le polveri PM10 sono un inquinante rilevanteper questi impianti. Da tali documenti, per centrali da 780 MW,taglia prevalente nei progetti italiani, si può stimare una produ-zione di PM10 primario nell’intervallo 150-250 t/anno. Con que-sto nuovo contributo desideriamo chiarire ulteriormente il pro-blema dell’inquinamento da polveri per impianti turbogas, en-trando nel merito della distinzione tra particolato primario e se-condario. I dati qui riportati, frutto di ulteriori indagini, conferma-no, ed anzi aggravano, il quadro precedentemente esposto [1].

Dimensione degli impianti, quantità di combustibilebruciato, approvvigionamenti

Al fine di inquadrare il problema nelle sue dimensioni reali, oc-corre innanzitutto chiarire che una centrale turbogas da 780MW elettrici, che opera per 6-7 mila ore/anno, consumaun’enorme quantità di combustibile: circa 1 miliardo di m3 digas l’anno. Per rendersi conto dell’entità effettiva di questo vo-

lume di gas basta confrontarla con i consumi complessivi italia-ni di gas naturale che nell’anno 2002 hanno toccato quota 70,4miliardi di m3 [11]. In altre parole un impianto turbogas di que-sta taglia, che occupa un’area di circa 10 ettari, consuma circaun settantesimo del gas naturale impiegato su tutto il territorionazionale che si estende su 30 milioni di ettari. È inoltre impor-tante rilevare che (a) la conversione di diversi impianti italianida olio combustibile a gas, (b) la costruzione di numerosi im-pianti turbogas ex-novo e (c) la crescita continua dei consumidi gas in Italia indipendentemente da (a) e (b), sta ponendo im-pegnative sfide sul fronte degli approvvigionamenti dall’esterodi gas naturale, come già peraltro rilevato da Eni [12]. A seguitodel consistente aumento dei consumi avvenuto negli ultimi an-ni, il problema degli approvvigionamenti di gas naturale è giàuna realtà negli Stati Uniti ed il Presidente della Federal Reser-ve, Alan Greenspan, ha recentemente lanciato l’allarme per lepossibili pesanti ripercussioni sull’economia nazionale [13].Certamente la scelta della metanizzazione del nostro sistemaenergetico, a scapito di petrolio e carbone, è positiva dal puntodi vista ambientale. Non bisogna dimenticare però che il gas ècomunque una risorsa finita, non rinnovabile, largamente impor-tata, che viaggia in infrastrutture efficienti e a moderato impattoambientale ma strategicamente vulnerabili, quali i gasdotti tran-scontinentali. Non entriamo nel merito della validità o meno delconcetto di autosufficienza energetica di un Paese. Comunque,l’incremento della produzione elettrica nazionale potrà ridurre lanostra dipendenza dall’importazione da Paesi limitrofi (peresempio Francia, Svizzera), ma aumenterà la nostra dipenden-za da fonti energetiche primarie provenienti da altri paesi (peresempio Algeria, Russia, Medio Oriente). Parlare di indipenden-za elettrica per un Paese povero di fonti energetiche primariefossili è fuorviante, in assenza di un cambio radicale della politi-ca energetica. L’Italia ha un’autosufficienza energetica comples-siva piuttosto modesta (15,6%) ed in lento ma costante declino[11]. Dunque la scelta strategica è decidere come modulare una

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La combustione del gas naturale produce particolatofine ed ultrafine, primario e secondario, ed è esenteda particolato di taglia superiore. Nei progetti italianiper nuove centrali turbogas, anche già autorizzatidal Ministero, non si fa riferimento alla produzionedi questi pericolosi inquinanti. I nuovi impiantibrucerebbero miliardi di metri cubi di gas aggiuntivirispetto agli attuali consumi e la produzionedi particolato sarebbe tutt’altro che irrilevante.

di Nicola Armaroli, Claudio Po

N. Armaroli, Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività del Cnr -Bologna; C. Po, Unità Operativa Rischio Ambientale, Dipartimento diSanità Pubblica - AUSL Città di Bologna. [email protected]

Centrali termoelettriche a gas naturaleProduzione di particolato primario e secondario

Un’immagine della centrale turbogas di Porto Corsini (RA)

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dipendenza incomprimibile. Nel frattempo, la pianificazionedell’utilizzo delle uniche fonti energetiche nazionali (efficienza,risparmio, sole, vento, biomasse) o dei vettori energetici del fu-turo (idrogeno) restano ai livelli più bassi in Europa, escludendol’importante contributo delle rilevanti risorse idroelettriche. Aquesto proposito giova menzionare quanto riportato nella Rela-zione 2003 dell’Autorità per l’Energia ed il Gas, pag. 101, “Inprospettiva, senza un sensibile aumento delle nuove fonti rinno-vabili, capace di compensare il calo della produzione di gas e lasostanziale stabilità della produzione petrolifera e dell’energiaidroelettrica, il grado di dipendenza dall’esterno (dell’Italia) è de-stinato ad aumentare ulteriormente” [11].

Particolato: sorgenti e definizioni

Il particolato, detto anche “aerosol” o“polveri”, è costituito dall’insieme ditutto il materiale non gassoso pre-sente in sospensione nell’aria. Essocomprende un’ampia gamma di parti-celle la cui composizione chimica edimensione sono estremamente va-riabili a seconda della sorgente diproduzione, delle condizioni meteo-climatiche e del meccanismo di for-mazione. Il particolato ha origine na-turale (per esempio erosione del suo-lo, pollini, eruzioni vulcaniche, polveridei deserti, spray marino) o è frutto diattività umane (per esempio processidi combustione, attività estrattive,cantieri, trasporti, industrie). La defi-nizione dei vari tipi di particolato haconosciuto una lunga e complessastoria, con modifiche nel corso deglianni [14]. Per questo motivo a tutt’og-gi è possibile imbattersi in definizioni,o più semplicemente modi di dire,non del tutto coerenti. La definizionecorrente di particolato contemplaquattro categorie, a seconda dell’intervallo di dimensioni deldiametro aerodinamico della particella (da): ultrafine (da≤0,1µm); fine (0,1 µm≤da≤2,5 µm); grossolano (2,5 µm≤da≤10 µm);ultragrossolano (>10 µm). Gli ultimi due tipi vengono spessoindicati con il termine inglese “coarse” e “supercoarse”.In pratica il diametro di una particella di PM10 è pari a circa unsesto del diametro di un capello. Questa articolata classifica-zione è semplificata nella prassi comune ove si utilizzano i ter-mini PM10, PM2,5 e PM0,1 per indicare tutto il particolato condiametro minore od uguale a 10, 2,5 e, rispettivamente, 0,1 mi-cron (µm). La distribuzione dimensionale di questi tre tipi di ae-rosol ha una forma a campana e le tre distribuzioni presentanolarghe fette di sovrapposizione [14]. I termini PM10 e PM2,5vengono spesso usati come sinonimi di particolato fine ed ul-trafine, ma questo è sbagliato: il PM10 deve essere classificatocome particolato “grossolano”, il PM2,5 come “fine”, il PM0,1 co-me “ultrafine” [15]. Il particolato di dimensioni maggiori, condiametro aerodinamico sino a 50 µm, viene indicato comune-mente come particolato totale (PT), spesso aggettivato come“sospeso” (PTS o PST). Fin dal 1979 è stata evidenziata la ne-cessità di effettuare misure separate per i vari tipi di particolato[16]. Ognuna di queste misure richiede specifici accorgimenti.

In nessun modo è possibile utilizzare una misura di particolatototale come una misura soddisfacente di polveri grossolane(PM10), fini (PM2,5) o ultrafini (PM0,1) [14]. E in effetti in tutto ilmondo, oggigiorno, vengono effettuate misure diverse e speci-fiche per PT, PM10 e PM2,5 [14, 17-19]. Minore è la dimensionedel particolato, maggiore è la difficoltà nella misura. Ad esem-pio, nella misura del PM2,5, è particolarmente difficoltoso il rile-vamento del particolato semivolatile, principalmente di originesecondaria [20]. Tuttavia i progressi tecnologici nel campo so-no notevoli ed è entrato in vigore nel 2003, dopo quasi un de-cennio di lavoro sul particolato fine, un metodo di riferimentoprovvisorio per il campionamento e la misurazione del PM2,5

valido su tutto il territorio dell’UnioneEuropea, la cui versione definitiva èprevista per il 2004 [21]. Infine, unacruciale classificazione del particolatoè quella basata sulla sua origine, cheprevede tre categorie:a) particolato primario filtrabile, che

viene emesso in fase solida diretta-mente dalla sorgente;

b) particolato primario condensabile,che viene emesso in fase gassosaad alta temperatura ma condensaa seguito di diluizione e raffredda-mento entro pochi secondi dal-l’espulsione dalla sorgente [22];

c) particolato secondario, che si formain atmosfera attraverso complessiprocessi, principalmente di naturafotochimica, a partire da emissionigassose di biossido di zolfo (SO2),ossidi di azoto (NOx), ammoniaca,composti organici [23].

Dal punto di vista chimico, i principalicomponenti del particolato sono nitra-ti, solfati e cloruri di ammonio e sodio,carbonio elementare, carbonio organi-co, polveri minerali e biogeniche divaria composizione, acqua. Una volta

presente in atmosfera, il particolato viene rimosso per sedi-mentazione o precipitazione. Il tempo medio di permanenza inatmosfera varia a seconda delle dimensioni: si va da alcuneore per il particolato ultragrossolano fino a giorni o settimaneper il particolato fine ed ultrafine. Questi ultimi possono esseretrasportati per migliaia di chilometri e la loro presenza viene ri-levata come fondo anche in stazioni di misura collocate in areeremote. La natura transfrontaliera dell’inquinamento da polverifini è ormai ben nota. Studi effettuati nei Paesi Bassi, paesepiccolo e non protetto da catene montuose evidenziano unaconcentrazione abbastanza uniforme di PM2,5 tra zone urbanee zone rurali, con effetti importanti da parte della circolazionedei venti [24]. L’effetto a lunga distanza è invece molto menomarcato in regioni con scarsa circolazione dei venti e circonda-te da catene montuose, quali la Pianura Padana.

Produzione di particolatodalla combustione del gas naturale

Il gas naturale che dai gasdotti giunge alle utenze civili ed indu-striali dei paesi avanzati deve presentare notevoli standard diqualità (“pipeline quality natural gas”, secondo la nomenclatura

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dell’Agenzia Ambientale degli Stati Uniti, EPA). Ad esempio ilcontenuto medio di zolfo è estremamente basso, sia in Usa(4,5 µg/m3 [25]) sia in Europa (7,5 µg/m3 [26]); a questo riguar-do anche il gas asiatico è di ottima qualità [27]. Questo ed altrielevati standard qualitativi (per esempio tenore di metano≥80%) [1], uniti alla stessa natura gassosa del combustibile, lorendono sostanzialmente esente da emissioni di particolato ditaglia superiore al PM10. Di conseguenza, come abbiamo già ri-levato in precedenza [1], quando si parla di emissioni di parti-colato da combustione di gas naturale occorre fare unicamenteriferimento a PM10, PM2,5 e PM0,1. General Electrics ha recen-temente concluso che la gran parte (>95%) del particolato pri-mario prodotto dalla combustione delgas naturale in turbina rientra nella ca-tegoria PM2,5 [28]. Questo viene con-fermato da dati di fonte europea cheper il gas naturale (comunementechiamato “metano”) parlano di polvericon diametro dell’ordine di 1 µm o in-feriori (PM1) [29]. Risulta quindi del tut-to destituita di qualsiasi fondamentol’affermazione, scritta su decine di pro-getti italiani, ripresa su vari documentidi Via [30] e di Vas [31], riscontrabilein interviste televisive e alla stampa daparte di dirigenti di industrie energeti-che, che la combustione del gas “nonproduce polveri”. La combustione delgas non produce sostanzialmente Pst,ma non è affatto esente dalla produ-zione di PM10, PM2,5, PM0,1 che, pur-troppo, hanno una ben maggiore rile-vanza per la salute (v. oltre).

Produzione di particolato nellecentrali Ngcc: contributo primario

Nelle centrali californiane elencate nelnostro precedente articolo [1], i dati diPM10 (150-250 t/anno) si riferiscono alcontributo primario previsto sulla base dei dati forniti dai pro-duttori delle turbine utilizzate specificatamente per un dato im-pianto. Questi dati sono in buon accordo con uno studio model-lo effettuato dai laboratori del Department of Energy degli StatiUniti, mai smentito [4]. Quindi i dati delle emissioni di PM10 dacentrali Usa da noi riportati non sono determinati tramite tabelledi fattori di emissione, essendo questa una procedura troppoapprossimata [1] e quindi non accettabile. Val la pena sottoli-neare che la produzione di PM10 da centrali turbogas non è un“pallino” americano: anche in Asia è noto che tali impianti pro-ducono quantità non trascurabili di PM10 primario [32].Per le centrali californiane (alcune delle quali sono entrate infunzione in questi mesi, e altre seguiranno) occorre specificarein fase progettuale il numero di accensioni e spegnimenti previ-sti nel corso dell’anno [6, 7, 9, 10], dato che la produzione di in-quinanti, incluso il particolato, è molto maggiore nella fase ini-ziale “a freddo” del funzionamento. Inoltre occorre tenere pre-sente che le turbine non sono le uniche fonti emissive di parti-colato per una centrale turbogas, ma altri impianti accessoripossono contribuire in maniera non trascurabile (per esempioboiler, caldaie ausiliarie, torri di raffreddamento) [6, 7, 9, 10].Per una centrale da 750 MW in Usa è stato stimato un impatto

aggiuntivo in atmosfera in PM10 primario pari a 8,45 µg/m3 (me-dia 24 h) e 1,45 µg/m3 (media annuale) [33]. Si tratta di un con-tributo rilevante, anche perché il particolato non ha una sogliaminima di pericolosità: anche quantità apparentemente irrile-vanti possono avere gravi implicazioni per le salute. Il permes-so per la costruzione di questa centrale è stato rilasciato solodietro presentazione di un adeguato pacchetto di misure com-pensative (offset package [1]) per annullare l’impatto negativosulla qualità dell’aria nella regione interessata [8].La differenza tra i valori emissivi di particolato totale calcolatisulla base dei fattori di emissione Epa (dell’ordine di decine dit/anno) e quelle di progetti veri (150-250 t/anno), già riportate

nel nostro precedente articolo (Tabel-la 1 vs. Tabella 5) [1] si può spiegarecon l’inclusione dei fattori (i) accensio-ne/spegnimento e (ii) impianti acces-sori. Inoltre, aspetto di cruciale impor-tanza, i fattori di emissione Epa sonoriferibili al particolato totale PT, men-tre i dati dei progetti californiani si rife-riscono esplicitamente al PM10.Di conseguenza, i due parametri sonoprofondamente diversi e non possonoessere direttamente confrontabili. Percompletare il quadro sulle emissioniprimarie va aggiunto che la stessaGeneral Electrics ammette che, an-che alla luce del sempre più massic-cio impiego del gas naturale, si pone ilproblema della misura del PM2,5 pri-mario che è il vero target da teneresotto controllo nella combustione delgas [34]. In ogni caso, una discussio-ne sulle differenze di valori emissivi diparticolato primario, pur importante, cisvierebbe dal cuore del problema cheè costituito, per gli impianti turbogas,dalla produzione di particolato fine edultrafine secondario.

Particolato fine PM2,5

Esiste una vasta evidenza che la porzione principale di PM2,5presente in atmosfera non sia direttamente emessa da sorgentidi combustione ma sia di origine secondaria [35]. Anche unafrazione rilevante del PM10 ha origine secondaria [36, 37]. Ildrastico calo dell’utilizzo di carbone realizzato nell’ultimo ven-tennio in Europa, ha notevolmente ridotto le emissioni di biossi-do di zolfo. Di conseguenza, a partire dalla fine degli anni Ot-tanta, gli inquinanti primari maggiormente responsabili della for-mazione di particolato secondario in Europa sono diventati gliossidi di azoto NOx [20, 35, 38-39]. La conversione di NOx aparticolato secondario viene stimata superiore al 60% [39]. Neiprogetti italiani di centrali turbogas si prevede una produzionedi NOx attorno alle 1.500 t/anno per impianti da 780 MW, quindisi possono prevedere quantità alquanto consistenti di particola-to secondario come nitrato (vedi oltre). Purtroppo, alla pari del-la produzione di particolato primario, questo ancor più rilevanteaspetto del problema è del tutto ignorato nelle VIA dei progettiturbogas italiani, poiché non richiesto dalle vigenti leggi [2]. Lecorrelazioni tra concentrazioni di massa di PM10 e PM2,5 e con-centrazioni di NOx in atmosfera sono ormai ben assodate da

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studi effettuati in Europa [18], inAmerica [40] e in Asia [41]. Inquesti ed altri studi [37] la co-munità scientifica ha rimarcatola carenza delle vigenti legisla-zioni sul particolato, indicandola necessità di tenere in contola formazione di particolato se-condario se si vuole realizzareun efficace controllo della con-centrazione di PM10 e PM2,5 inatmosfera, dato il loro rilevanteeffetto per la salute pubblica[36]. In altre parole il particolatosecondario potrà essere tenutoefficacemente sotto controllosolo se verranno messe incampo decise politiche mirantial contenimento della produzio-ne degli NOx, principali precursori chimici delle polveri secon-darie. Questo approccio si accompagnerebbe a positivi effettianche sulla riduzione di ozono, altro inquinante secondario lacui formazione dipende dalla presenza di NOx [42]. In Califor-nia, come già descritto in precedenza [1], questa politica vieneattuata con decisione; per ottenere un permesso per la costru-zione di un impianto turbogas occorre rispettare quanto segue:1) definizione di adeguati pacchetti di compensazione per il

PM10 primario [8];2) severe misure di abbattimento degli NOx, precursori di parti-

colato secondario [1, 6-10];3) definizione di adeguati pacchetti di compensazione per tutti

i precursori di particolato secondario (NOx, SO2, Voc), unavolta abbattuti [8].

Per quanto riguarda gli impianti di abbattimento di NOx, per unacentrale turbogas da 500 MW vengono stimati i costi riportati inTabella [10]. Una centrale da 800 MWha presumibilmente costi più elevati.La tecnologia Scr (Selective CatalyticReduction) implica l’emissione in atmo-sfera di circa 30 t/anno di polveri pri-marie aggiuntive, largamente compen-sate da quelle secondarie evitate [10].Sconox (riduzione catalitica di NOx, ac-coppiata ad ossidazione catalitica dimonossido di carbonio CO), più costo-so, non dà luogo all’emissione di pol-veri. Con questi accorgimenti, accop-piati nel caso Scr ad impianti di ossida-zione catalitica, si raggiungono eleva-tissimi livelli di abbattimento di NOx eCO, con fattori di riduzione 5-10 rispet-to alle turbogas previste in Italia [1]. Laformazione di PM2,5 secondari è piutto-sto lenta ed è più consistente in zonerelativamente distanti dalle sorgenti diinquinanti precursori [24]. Il meccani-smo di formazione varia dall’invernoall’estate: nella stagione fredda prevalela trasformazione dei precursori in faseacquosa, in quella calda il processo èprevalentemente in fase gassosa. Nel-le zone caratterizzate da particolato

con elevato contributo diPM10 e PM2,5 secondari se-mivolatili da nitrati, specificieffetti termodinamici portanoa più elevate concentrazionidi polveri in inverno che inestate [29]. In questa casisti-ca rientra presumibilmente laPianura Padana coi suoi pic-chi invernali.

Particolato ultrafine PM0,1

L’attenzione della comunitàscientifica internazionale sista progressivamente spo-stando verso il particolato ul-trafine, PM0,1, poiché è or-mai assodato che gli effetti

sanitari delle polveri sono inversamente proporzionali alle lorodimensioni [15]. Il PM0,1 può penetrare molto profondamentenelle vie respiratorie e, addirittura, passare direttamente nelsangue a livello polmonare [43]. Il particolato ultrafine rappre-senta una grandissima parte del numero delle particelle pre-senti in atmosfera, ma una porzione minuscola della massacomplessiva di particolato sospeso [15]. Di conseguenza perquesto pericolosissimo inquinante perde significato la misuradella concentrazione di massa, comunque modesta, e prenderilievo la misura della concentrazione numerica (numero di par-ticelle per unità di volume). Studi sulla composizione chimica diPM0,1 nella California meridionale mostrano che esso haun’origine primaria (principalmente carbonio organico) e se-condaria (nitrati) [44]. La concentrazione di particolato ultrafinein atmosfera tende progressivamente ad aumentare ponendoseri interrogativi sulle conseguenze per la salute pubblica. Tale

concentrazione è stata trovata so-stanzialmente identica in tre città eu-ropee: Helsinki (Finlandia), Erfurt(Germania) ed Amsterdam (Olan-da), a dimostrazione del fatto chequesto inquinante ha lunghi tempi dipermanenza in atmosfera e la suaconcentrazione tende ad uniformarsisu territori molto estesi [45].Studi recentissimi evidenziano chenella Germania riunificata la qualitàdell’aria è generalmente migliorata,grazie agli interventi di risanamentoambientale effettuati nella ex-Ger-mania Orientale. Questo migliora-mento non si è però verificato per ilparticolato ultrafine, la cui concen-trazione numerica è raddoppiatanell’ultimo decennio [46].Nella regione di Erfurt, Germania,tra il 1991 ed il 1998 la concentra-zione numerica del particolato ultra-fine è aumentata del 115% ed il rap-porto numerico PM0,1/PST è aumen-tato di più del 500%. In questo perio-do vi è stata la progressiva sostitu-zione del vecchio parco veicolare

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Costi ($ Usa) connessi a due possibili impianti diabbattimento degli NOx per 2 turbine a gas General

Electrics F7A, centrale da 500 MW complessivi [10]*

Tecnologia SCRa SCONOxb

Costo installazione 6.500.000 31.000.000Costi annuali diretti e indirettiper il funzionamento e la manutenzione 4.249.100 13.921.100Inquinante rimosso (t/anno) 428 456Costo per t di inquinante rimosso 9.928 30.529

* La tecnologia Sconox, più costosa, non implica l’utilizzoed il trasporto di ammoniaca, garantendo una maggioresicurezza ed un minore impatto dell’impianto. Con taletecnologia si abbatte anche il monossido di carbonio, COaRiduzione catalitica selettiva di NOxbRiduzione catalitica di NOx ed ossidazione catalitica di CO

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(per esempio la famosa Trabant) con automezzi catalizzati,mentre nella produzione di energia l’uso del carbone è calatodell’84% e l’uso del gas naturale è aumentato del 300% [47].In sostanza l’uso di tecnologie innovative di combustione econtrollo degli inquinanti ed il passaggio al gas naturale stannoprogressivamente portando ad uno spostamento della distribu-zione di massa del particolato dalle dimensioni maggiori aquelle minori. In parallelo però il numero di particelle sospesein atmosfera tende ad aumentare. Alla luce di questo anda-mento, e considerata l’estrema rilevanza sanitaria delle polveriultrafini, si presenta con forza la necessità di modificare la legi-slazione corrente per passare dalla misura della concentrazio-ne di massa a quella numerica [15, 45, 47].

Particolato secondario dal sistema energetico europeo:contributo della produzione termoelettrica da gas naturale

Se gli Usa sono all’avanguardia nellaconsapevolezza dell’enorme impattosanitario della produzione di partico-lato primario e secondario da grandiimpianti termoelettrici per la produzio-ne di energia, non è da meno l’Euro-pa. Le istituzioni europee hanno com-missionato autorevoli studi per quan-tificare l’inquinamento atmosferico delsistema energetico europeo e stimarele esternalità sanitarie ad esso con-nesse [48]. Secondo un recente rap-porto della European EnvironmentAgency (Eea) la produzione di PM10secondario prodotto dal sistemaenergetico europeo è di 7 volte supe-riore a quello primario [49]. Nei nu-merosi progetti turbogas italiani nonsi menziona il PM10 primario ma, co-sa ancora più preoccupante, non vi èalcun accenno al problema della for-mazione di particolato secondario.Alcuni anni fa il Consiglio d’Europaha commissionato uno studio sul par-ticolato secondario prodotto dal siste-ma elettrico europeo. In esso si stimache una centrale termoelettrica a gasnaturale da 800 MW che opera per 6.500 ore/anno produceuna quantità di PM2,5 secondario dell’ordine di 1.700 t/anno[50]. Tale valore è pari ad un terzo delle emissioni di una cen-trale di eguale potenza a carbone. Per quanto riguarda la sti-ma delle esternalità ambientali del sistema termoelettrico euro-peo è stato valutato (in meuro/KWh) che mediamente, posto a100 il carico dei costi socio-ambientali degli impianti a carbone,50 e 30 sono, rispettivamente, i costi per gli impianti ad oliocombustibile e gas naturale [48, 51].Per valutare l’impatto sanitario di una grande centrale per laproduzione di energia non basta considerare il combustibile uti-lizzato, i sistemi di controllo dell’inquinamento o la potenza ero-gabile. Un parametro di importanza ancora maggiore è la loca-lizzazione. Per esempio, per il sistema energetico tailandese, èstato stimato che una centrale a turbogas da 600 MW situatanelle vicinanze della capitale Bangkok ha un costo di esterna-lità sanitarie quasi doppio rispetto ad una centrale a carboneda 1.000 MW localizzata in un area remota del Paese [32].

Effetti sulla salute

Studi epidemiologici hanno dimostrato robuste associazioni traeffetti avversi alla salute e inquinamento da particolato [52]. Daalcuni anni argomenti teorici e studi sperimentali sugli animalie sull’uomo indicano che la componente più tossica si trovanella frazione sotto 1 µm (PM1), e più probabilmente in parti-celle attorno a 0,1 µm di diametro, PM0,1 [53, 54]. Gli studi epi-demiologici hanno trovato maggiori effetti avversi per il PM2,5che per il PM10 [55]. Le principali correlazioni riguardano gli ef-fetti a carico del sistema respiratorio e cardiaco, specialmentein anziani e bambini, dove causano esacerbazione di patologiepreesistenti. Questi effetti acuti avvengono anche a concentra-zioni relativamente basse, e sono associati anche a particelledi composizione relativamente innocua (carbonio organico,ammonio, solfato e nitrato). Si è quindi supposto un meccani-

smo patogenetico che non è più ba-sato sul peso del particolato inalatoma sul numero, meglio sulla superfi-cie (area) disponibile a reagirenell’epitelio dei bronchioli terminali edegli alveoli. Questa ipotesi è stataconfermata sperimentalmente su ani-mali (ratti) che esposti a particolatomolto fine hanno sviluppato un’infiam-mazione più grave di quelli esposti aparticolato di granulometria maggiore[54]. Il fattore rilevante potrebbe quin-di essere il numero delle particelleinalate e ritenute a livello alveolare.Per una concentrazione di PM10 di100 µg/m3, tipica in prossimità di stra-de ad elevato traffico, si hanno in me-dia 40 µg/m3 di PM2,5 (40%) e 2µg/m3 di PM0,1 (2%) ed un numero diparticelle di 105/cm3. Assumendo perun individuo adulto i valori medi ditasso di ventilazione e superficie pol-monare si può stimare che meno diun alveolo su mille entrerà in contattocon una particella PM10 al giorno,mentre un alveolo tipo entrerà in con-tatto con centinaia di particelle ultrafi-ni, che hanno un’elevata capacità di

penetrazione nelle più profonde vie respiratorie.Le particelle fini ed ultrafini attorno ai 100 nm derivate dallacombustione e caratteristiche del fondo urbano, esercitano ef-fetti biologici avversi rilasciando dalla loro superficie idrocarburipoliciclici aromatici (Ipa) e radicali liberi tossici [56]. A secondadella temperatura e pressione gli Ipa e loro derivati possonotrovarsi sia in forma gassosa adsorbita al particolato sia in for-ma particellare. Vengono prodotti dalla combustione incomple-ta di carburanti fossili o vegetali, incluso il gas naturale [57]. GliIpa hanno un’emivita media nella troposfera stimata da 3,5 a10 giorni e una vita complessiva da 5 a 15 giorni. Essi reagi-scono con gli ossidi di azoto dando idrossi- e nitro-Ipa, questiultimi particolarmente pericolosi per la salute. Le possibili vie diesposizione per l’uomo sono inalazione, ingestione e contattocon la pelle; gli effetti sulla salute sono sia cancerogeni sia noncancerogeni. La letteratura scientifica che discute effetti delparticolato sulla salute umana è vastissima, e in parte ancheconsultabile liberamente in rete [58, 59].

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Conclusioni

Le centrali Ngcc rappresentano il meglio che la tecnologia ter-moelettrica può oggi offrire in termini di efficienza di produzio-ne e contenimento di emissioni inquinanti. Esse sono quindiun’ottima scelta per la riconversione di centrali meno efficientie più inquinanti ad olio o a carbone [1]. Tuttavia è profonda-mente infondato ritenere che questi impianti presentino mode-sti impatti ambientali. In questo lavoro ci siamo soffermati adesaminare il problema della produzione di particolato primarioe secondario. Questo ci è parso necessario alla luce dell’infon-data credenza, anche suffragata da documentazione ufficiale[2, 30, 31], che questi impianti non contribuiscano alla produ-zione di polveri. Per le centrali italiane, ai fini della valutazionedell’inquinamento atmosferico, è richiesto unicamente di mi-surare il Pst primario filtrabile, che peraltro ha scarsa rilevan-za sanitaria. Questo approccio si rivela quindi totalmente inu-tile per valutare l’inquinamento da polveri di centrali a gas cheproducono PM10, PM2,5 e PM0,1, principalmente di natura se-condaria. In quest’ultimo decennio è stata acquisita un’im-pressionante mole di conoscenza tecnico-scientifica sugli im-patti ambientali dei sistemi energetici, sulla produzione di pol-veri fini ed ultrafini, sulla rilevanza sanitaria di questi inquinan-ti. In Italia, sino a questo momento, esse non sono state rece-pite e trasformate in adeguati provvedimenti di legge.Questa carenza risulta particolarmente grave alla luce dei do-cumenti prodotti da autorevoli istituzioni europee [29, 49, 50] edella severità che vige in altri Paesi nel rilascio di concessioniper nuove centrali turbogas [1]. La situazione italiana per le pol-veri fini è già estremamente grave. Un recentissimo studio rive-la che la misura della concentrazione di massa di PM2,5 inver-nale in 21 città europee pone le tre città italiane esaminate (To-rino, Pavia, Verona) ai primi tre posti di questa non invidiabileclassifica [60]. Il particolato è un inquinante per il quale non esi-ste una soglia minima di pericolosità. In futuro la misura delparticolato in Europa verrà effettuata da satellite, senza distin-zioni tra primario e secondario [61] mentre, a tutela della salutepubblica, verranno imposti limiti più restrittivi per le concentra-zioni di PM2,5 in atmosfera [29]. In questo stesso periodo ditempo dovrebbero entrare in funzione in Italia decine di nuovecentrali turbogas che bruceranno miliardi di metri cubi di gasnaturale aggiuntivi che, stando ai progetti e alle autorizzazionifin qui concesse, non contribuiranno in alcun modo alla produ-zione di polveri fini ed ultrafini. Questo è totalmente destituito diqualsiasi fondamento scientifico, come qui argomentato.Sarebbe quindi auspicabile che oggi, finché si è in tempo, sianalizzasse questo problema con maggiore rigore. Questo pernon assistere, domani, di fronte ad una realtà ben diversa dalleattese, ad uno scarico di responsabilità tra le numerose Auto-rità che sovrintendono al rilascio di autorizzazioni o sono chia-mate ad esprimere giudizi tecnici in fase preliminare. È possi-bile costruire centrali turbogas limitando l’impatto ambientale inmisura molto maggiore di quanto non previsto oggi in Italia. Al-trove, questo approccio è una consolidata realtà [6-10].

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