CENT'ANNI DA INTERISTI

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Dallo stadio con le tribune in legno di via Goldoni alla leggendaria Arena, fino a San Siro a uno, due e poi tre anelli. È la poesia di un secolo di calcio nerazzurro. Figlio di padre interista, a sua volta figlio e fratello di interisti, e di madre interista, figlia e sorella di interisti, e ovviamente interista pure lui, Mauro Colombo racconta i cento anni dell'Inter attraverso la storia della sua famiglia

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Lo Zio in campodi Beppe Bergomi

Ho condiviso con l’Inter quasi vent’anni della sua storiacentenaria. Ho debuttato prendendo il posto di Oriali, che oggista in panchina di fianco a Mancini. Ho lasciato passando lafascia di capitano a Zanetti, che ancora continua a correre su egiù per il campo. Quando ho cominciato, San Siro aveva solodue anelli. Quando ho smesso ne aveva tre, numerati e coperti.All’inizio della mia carriera, in ritiro c’era un solo televisorenella grande sala della Pinetina: era bello trovarci tutti assiemeper vederla. Negli ultimi anni ognuno se ne stava in camera perconto suo, tra cellulari, computer e videogames...

È cambiato il calcio, insomma. Ed è cambiato anche il suopubblico. O meglio, è cambiata la maniera di seguire la squadradel cuore. Una volta il tifoso era fisicamente più “presente” allepartite o durante gli allenamenti. Oggi ha mille strumenti peressere informato e documentarsi. Internet, la pay-tv, i canalisatellitari gli permettono di sentirsi “vicino” anche a distanza.

Il tifoso dell’Inter ha fama di essere tra i più esigenti e “dif-ficili”. Sì, in passato è stato abituato bene, e in qualche occasio-ne ha fatto un po’ lo snob. Dei milanisti, per esempio, si dicesempre che riempivano lo stadio anche in serie B. Ma l’interistaha sopportato quindici anni senza scudetti: non ci vuole unagran pazienza anche per questo? Certo, il tifoso nerazzurro ticoncede poco, ti mette pressione. Però non fa mancare il suoincitamento. Se avverte un momento di difficoltà, sa unirsi allasquadra. Soprattutto non dà mai in escandescenze, ti lasciavivere tranquillo. E quando c’è da gioire per una vittoria, quan-to a entusiasmo non è secondo a nessuno.

L’atteggiamento dei tifosi nei miei riguardi si è trasformatonel corso degli anni. All’inizio c’era la simpatia per l’esordien-te, che per un ragazzino è una bella carica di entusiasmo. Poi,

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aumentando le responsabilità – soprattutto quando sono diven-tato capitano –, sono cresciute anche le attese. Finché a un certopunto mi sono trovato nel mirino con Zenga e Ferri. Per qual-cuno eravamo diventati il male dell’Inter: dicevano che erava-mo una “turbativa”, che condizionavamo le decisioni dellasocietà... E pensare che non riferivo neppure a mia moglie quel-lo che sentivo nello spogliatoio, e che non ho mai detto mezzaparola sull’acquisto di un giocatore o sulla scelta di un allenato-re! Anzi, se l’avessi fatto forse sarei ancora all’Inter... In ognicaso quel momento difficile è poi terminato e ho finito benissi-mo: a 35 anni ho vinto una Coppa Uefa, ho giocato il mio quar-to Mondiale e ho visto sfumare uno scudetto strameritato nelmodo che tutti ricordiamo... Così ho ritrovato l’affetto della“mia” gente.

Quella gente è fatta anche di tante famiglie, come quella dicui si parla in questo libro. Peccato che alle partite se ne vedanosempre meno. Ma non potrebbe essere altrimenti. Allo stadio,io arrivo all’ultimo momento, ho il parcheggio assicurato, salgoin tribuna con l’ascensore... In fin dei conti, sono un privilegia-to rispetto a chi deve fare la coda ai tornelli, magari al freddo...Non è solo un problema di strutture vecchie e scomode. Èsoprattutto una questione di mentalità e di cultura sportiva.Quando si capirà che non sempre si può vincere e che esistonoanche i pareggi e le sconfitte, allora le barriere diventerannoinutili e anche le famiglie torneranno in tribuna. Speriamo chequel giorno non sia lontano...

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