C'è un salotto nel Bosco - Gruppo Culturale PROSPETTIVE · liani per le sue caratteristiche...

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Ottobre 1993 a cura del Gruppo Culturale PROSPETTIVE di Vincenzo Franciosi Certo che noi, in Romagna, siamo proprio fortunati! State tran- quilli, non ho intenzione di fare la solita tirata campanilistica sulla “Romagna solatia, dolce paese”, decantare il Sangiovese e la pia- dina, Raul Casadei o la Vera Romagna Folk. Lasciamo ad altri questi vecchi stereotipi che, dicia- molo, ci hanno proprio, ma pro- prio, stancato. Certo, Romagna vuol dire spiaggia, mare, sole, divertimenti e, al di là delle celebrazioni di tipo pubblicitario, è un bene che sia così: senza turismo, a parte gli albergatori che da dieci anni a questa parte sono sempre in ri- messa (poverini!), che fine farem- mo? C'è un salotto nel Bosco

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Ottobre 1993

a cura delGruppo Culturale PROSPETTIVE

di Vincenzo Franciosi

Certo che noi, in Romagna,siamo proprio fortunati! State tran-quilli, non ho intenzione di fare lasolita tirata campanilistica sulla“Romagna solatia, dolce paese”,decantare il Sangiovese e la pia-dina, Raul Casadei o la VeraRomagna Folk. Lasciamo ad altriquesti vecchi stereotipi che, dicia-molo, ci hanno proprio, ma pro-prio, stancato.

Certo, Romagna vuol direspiaggia, mare, sole, divertimentie, al di là delle celebrazioni di tipopubblicitario, è un bene che siacosì: senza turismo, a parte glialbergatori che da dieci anni aquesta parte sono sempre in ri-messa (poverini!), che fine farem-mo?

C'è un salotto nel Bosco

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Dobbiamo comunque riconoscere che,da qualche anno a questa parte, oltre adoffrire mare e discoteche, la nostra bravaRomagna ha imparato a proporre qualcosadi più, ha cercato di accompagnare la stagio-ne estiva con momenti ed iniziative chepossiamo riassumere con una espressioneforse un pò abusata, ma comunque perfetta-mente calzante: offerta di “cultura”. Si sonomoltiplicate le mostre d’arte, di archeo-logia, di fotografia, le iniziative volte avalorizzare il patrimonio storico e lepiù genuine tradizioni della nostraterra, le rassegne teatrali, i con-certi con grossi nomi della can-zone italiana e straniera.

E torniamo così al discorso sulla nostrafortuna: noi romagnoli dell’entroterra infat-ti, che viviamo nei paesini e paesoni ched’estate affogano nella calura, possiamosfruttare le grandi possibilità che ci offronocentri balneari come Cesenatico, Cervia,Rimini, Riccione, oppure amene cittadinetra monte e collina, come Longiano,Bertinoro, Brisighella, che grazie alla loroposizione ed alle loro vestigia storiche, han-no saputo valorizzarsi come ottime alterna-tive ai centri balneari.

Volendo ed avendone il tempo, potrem-mo passare l’estate tra feste medievali,mostre e spettacoli d’ogni genere e di altis-simo livello. Sì, siamo fortunati, però, dicia-mocelo tra di noi, un pò di amarognolo inbocca lo sentiamo. Eh sì, perché francamen-te ci sentiamo sempre un pò “a rimorchio”:dobbiamo sempre emigrare... col risultatoche nelle serate tra luglio e agostoGambettola assomiglia un pò alle città mor-te del Far West. E, puntuale come sempre,ogni anno, arriva la solita litania: “aGambettola non c’è niente”, “... tanto igambettolesi vanno tutti al mare”, e via diquesto passo. Certo, l’evidenza non si puònascondere, Gambettola è quella che è, nonpossiamo sfruttare bellezze naturali oarchitettoniche di un certo tipo per far davolano ad una attività culturale di granderilievo.

Però il 3 luglio dell’anno di grazia 1992abbiamo scoperto una cosa che , pur aven-dola sotto gli occhi tutto l’anno, non sapeva-mo di avere, o meglio, pensavamo che fossesolo il solito angolino per nonni con nipotinio per coppiette in cerca di intimità e di“luoghi bui”.

Non c’eravamo mai accorti che, nel cen-tro di Gambettola, c’era un posto che nonaspettava altro che di diventare il salotto deigambettolesi, luogo di incontri, di spettaco-li, di serate all’insegna della buona musica,della poesia, della voglia di stare insieme. Il3 luglio del 1992 la poesia di Cleanto

Procucci trovava una cornice piena di fasci-no nel Giardinetto dello Straccivendolo chesi dimostrava per l’occasione, un eccellenteteatro naturale. L’esperienza si è ripetutaquest’anno, e con successo, con la festa deldecennale del nostro Gruppo e con alcuniconcerti di musica classica e lirica propostidall’Amministrazione Comunale. Certo, nonpossiamo pretendere che diventi un’arena

per grandi avvenimenti, è e reste-rà un salotto, il “salotto buonodei gambettolesi” per passare lesere d’estate a fare quattro chiac-chiere tra amici e per ascoltare unpò di musica e un pò di poesia.L’intenzione del Gruppo Prospet-tive è quella di continuare a realiz-

zare nel Giardinetto, durante l’estate, uno opiù appuntamenti culturali; anche l’Ammi-nistrazione Comunale farà certamente lasua parte con concerti ed altro.

Ma l’obiettivo più ambizioso e più allet-

tante è un altro: è quello di dar vita ad unavero e proprio “CARTELLONE”, un puntodi riferimento per Gambettola lungo tuttol’arco dell’estate. Per realizzare questo, datoche le possibilità economiche, sia per glienti pubblici che per i gruppi privati sonoquelle che sono, è necessario che le varieassociazioni che da qualche anno stannoanimando la vita culturale e sociale delnostro paese, abbiano voglia di unire leproprie forze per realizzare serate di spetta-colo/festa/incontro/ecc. in quello spazio: sesi riuscisse a creare una sorta di “comitato digestione” composto, oltre che dall’Ammi-nistrazione Comunale, da tutti i gruppigambettolesi (Prospettive, Forum, Futura,Parrocchia, ecc.) potrebbe scaturire davve-ro qualcosa di interessante.

Bene, io il sasso l’ho lanciato e siccomenon ho intenzione di “nascondere la mano”,confido che nell’arco del lungo inverno cheabbiamo davanti, si possa progettare, per il1994, una gran bella estate.

Sommario:

V. Franciosi C’è un salotto nel Bosco pag. 1

I. Fogli La lunga notte della paura pag. 3

R. Baiardi Favolando: La Madonna di monte roso pag. 4

T. Maestri Il mio paese pag. 5

N. Zanotti L’isola delle tartarughe pag. 6

S. Sacchetti La storia .... quasi vera di José e Kioto pag. 8

M. Calisesi Appunti di viaggio pag. 9

H. Schwardof I “Burdel” non sono case per appuntamenti pag. 10

P. Severi La Padlaza ... cos’era sta Padlaza pag. 11

V. Franciosi Segnalazioni pag. 12

B. Alberti Premio “NEMO PROPHETA IN PATRIA?” pag. 13

A. Zani Gli Ex-Voto di Cesena e della Romagna pag. 14

Scienza e curiosità pag. 15

Inserto decennale:

M. Guidi 1982: Nasce un’idea. pag. i

V. Franciosi Un’impresa impossibile pag. ii

S. Pascucci Acqua sotto i ponti pag. iii

R. Forlivesi Avvenimento cosmico pag. iv

Questo numero completamente elaborato al computer è stato prodotto inn.1000 copie e viene distribuito gratuitamente a cura del gruppo culturaleProspettive.

Ricordiamo per coloro che vogliono trasmetterci articoli, poesie, riflessionipersonali e commenti, di spedirli all’indirizzo di via Don Minzoni n.3/C -Gambettola. La redazione.

NUMERO UNICO

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La lunga notte della paura

color cammello. Quel cappotto di formaparticolare disponeva di due ampie tasche;in una avevo collocato la mia fedele P38,cioè una pistola tedesca molto ambita daimilitari, particolarmente dai partigiani ita-liani per le sue caratteristiche tecniche. Per-sonalmente non avevo alcun timore perché,abitando da pochi mesi a Gambettola, nonavevo motivo di pensare a spiacevoli rap-porti con la clientela, inoltre la presenza diun’arma “speciale” mi rassicurava.

Mi incamminai dunque lungo la rivasinistra del torrente. Procedevo in mododisagevole per il fango sempre più aderenteagli scarponi, quando in una “lontananzagià vicina” si delineò un’ombra in direzionecontraria alla mia. Sul momento mi confor-tò quella supposta presenza umana, che mi

procurava un senso dicompagnia, ma essa cam-minava adagio arrestan-dosi a tratti quasi con titu-banza. Scrutando nel buioio valutai la sua staturapiù alta del normale evoluminosa, soprattuttosulle spalle. Quella figu-ra stravagante mi getta inun malcelato ed oscuropresentimento. Avanza-va di qualche passo poi sifermava, ed io mi com-portavo con istintiva imi-tazione. Pur confidandonella mia arma, cercavoun’ accettabile interpre-

tazione, camminando con cautela per nonscivolare nell’acqua che scorreva con addiscreta profondità, mentre perdevo semprepiù la mia sicumera. Sotto il manto oscuro diquella notte, per me senza fine, la mente siaggrovigliava nei ricordi del mio recentepassato bellico.

Chi era? Cos’era? E perché mai sul miostesso cammino in quell’ora? Avevo pauradi niente e di tutto!

La paura che ci viene dall’ignoto è verapaura: appare con un volto indefinito e conmessaggi di terrore per l’animo. Dalla miamemoria emergevano distinte rievocazionidi lontane e diverse paure: quella che tiangoscia quando di notte superi il cimiterodel paese; quella che si presenta in ogniambiente avvolto dal buio; l’altra piùtormentosa provocata da un marito che tisorprende abbracciato con la sua giovanemoglie; esiste poi la paura dello studente in

ritardo alla lezione e quella davanti al den-tista o ad un intervento chirurgico pur mo-desto. E poi un’altra, incommensurabile, lapiù temuta, quella della morte, e incontrapposizione una più indefinita ma eter-namente affascinante: la paura di amare e dinon essere ricambiati.

Intanto il possibile avversario era giuntoa pochi passi da me; quasi per concedergli laprecedenza io mi posi di lato ed egli miimitò. Preso ormai da terrore anticipai uneventuale comportamento provocatorio econ rapidità passai dalla mano destra allasinistra la pistola, che colpì “a piatto” il visodell’ombra. Questa non abbozzò alcun mo-vimento e, perdendo l’equilibrio, scivolòpesantemente nell’acqua.

Arrancando arrivai ancora turbato alcasolare dove, fortunatamente, il parto siera concluso. Fui costretto però a qualchechiarimento per il fango che mi inzacchera-va; spiegai che ero scivolato dall’argine.Ritornai a casa e non parlai con alcuno,ripromettendomi di esporre denuncia il gior-no seguente ai carabinieri, ma mi trattennitemendo di non essere creduto.

Trascorse molto tempo e rivisitai i“Quadarle” ma, quando raggiungevo il luo-go della curiosa avventura, sbirciavo quellastretta striscia di terreno ancora in ansia peril possibile annegamento di quel protagoni-sta, benché nessuna notizia riferibile all’ac-caduto fosse apparsa all’orizzonte della cro-naca.

Dopo vari anni un mio vecchio assistito,logorato da un male incurabile, mi rivelòcon accorato accento che proprio lui era 1'“ombra” di quella notte. Ecco dunque laspiegazione dell’insolito profilo di un esse-re umano, deformato e ingigantito dallanebbia, dal buio e soprattutto dalla paura. Sitrattava di un abituale razziatore di pollai,che ritornando lungo l’argine portava sullespalle un gran sacco di pennuti. Avvistandola mia figura in una penombra opaca, miaveva scambiato per qualche carabiniere inperlustrazione, e questo travisamento avevacausato in lui e in me un’equivoca e peri-colosa situazione.

1) Quadarle o quadarle = aggettivo: aquadretti, quadrettato, quadrellato, riferitoalla tinta di un panno o al disegno di unpavimento. (L. Ercolani, “VocabolarioRomagnolo - Italiano; Italiano -Romagnolo”. Ed. Girasole, Ravenna).

di Italo Fogli

Sotto una coltre di nebbia fitta e pungen-te il paese dormiva assopito nel silenziodella notte invernale, quando una chiamataurgente mi svegliò per l’emergenza di unparto. Proveniva dal colono Astolfi,soprannominato Quadarle (l); fu una delleprime occasioni della mia attività di medi-co, ma io non ebbi la provvida intuizione difar attendere e salire in macchina con me ilrichiedente affinché mi facilitasse la ricercadell’abitazione.

Proseguivo il viaggio con moderazionepoiché il grigiore della nebbia assorbivagran parte del fascio luminoso dei fari pro-vocando una visibilità confusa. Anticipavointanto, mentalmente, una possibile diagno-

si su quel travaglio sperando che il feto nonsi presentasse in posizione anormale e, quelche è peggio, “di spalla”, nel qual casol’opportunità di un rivolgimento classico,come sarebbe avvenuto in ospedale, avreb-be provocato notevoli imprevisti e l’impos-sibilità di un intervento a domicilio senzal’anestesia della paziente.

Giunto al vecchio caratteristicoponticello in pietra, sul Rio Baldone, scesiin osservazione ma, privato repentinamentedell’ausilio della luce, piombai in un deso-lante vuoto orientativo. La casa colonica erasituata su di una riva del corso d’acqua alladistanza di un paio di chilometri, ma per mesi trattava del primo incontro con quel luogosolitario, poiché mi riferisco al periodo im-mediato del dopoguerra.

Avevo il capo protetto da un caldocolbacco e indossavo, con tono alquantoeccentrico per quei tempi, un Montgomery

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di Ramona Baiardi

Passeggiando in questo giardino di pri-mavera, che è la nostra campagna nel pianoe nella collina, mi è capitato sovente dinotare come, ad un crocicchio di strade,una cappella attenda il viandante menofrettoloso del giorno di festa.

Spuntano tra il verde le immagini piùvarie di Maria e del suo Bambino che, al dilà dei canoni estetici e stilistici, spessomodesti, invitano alla riflessione, alla pre-ghiera.

E spesso una leggenda è fiorita, comecespuglio di rose, attorno a quell’immagineed alla sua origine così antica e avvolta nelmistero di un passato lontano.....

C’era una volta fuori Cesena una piccolacasa. Sorgeva sul fondo dei Catoli, era pic-cola ma ben tenuta.

Da anni vi abitava Tomaso, contadinodel fondo, con la sua numerosa famiglia.L’uomo era onesto e gran lavoratore, i figligià grandicelli seguivano nei campi le ormedel padre. La vita era modesta, ma non eraquesto ad impensierire Tomaso e la suasposa.

Unica degli otto fratelli era Anita, la piùpiccolina. I neri capelli ondulati incornicia-vano un dolce viso, esile ma alta per i suoisette anni, incedeva leggera per le umilistanze riassettando ordinando fin dove po-teva.

Non lontano dalla casa vi era una cellettachiamata dal volgo “maestà fuori la città”, sitrovava tra la porta Cervese e quella diTrova. L’ameno oratorio era luogo ben notoad Anita, poichè era solita sostarvi in pre-ghiera nelle sue passegiate, pure non man-cava mai di adornare con boccioli di rosa edaltri fiori di campo l’immagine, che un’igno-ta mano vi aveva affrescata: una dolce Ma-donna che reca in braccio il suo bambino, laBeata Vergine di Monte Roso.

Fosche nubi si approssimano alla nostrafanciulla, ecco come...

Accadde la prima volta sul finir del-l’estate, quando compare sulle foglie il ros-so del tramonto e l’inverno protende le suedita sottili.

Tornavano, Anita e la mamma, lungo il

sostato. Rivolse a lei una semplice orazione,un addio a quei campi a quei fiori che nonavrebbe più colto.

Quand’ecco una luce bianchissima sol-leva la bimba, che si trova, in un istante, alcospetto di Maria la Madonna di MonteRoso! Un dolce profumo come di gelsomi-no si spandeva nell’aria!

Mia piccola Anita, io ho ascoltato la tuapreghiera, mantieniti sempre buona e mai timancherà il mio aiuto. Questo le disse, lavoce pareva una dolce melodia.

Intanto tutti i suoi la cercavano per ognidove, giacchè un gran tempo era trascorsoda mezzogiorno. La voce si sparse anche aicasolari vicini, la triste storia di Anita tuttiaveva commosso, si fece il possibile perritrovarla.

E fu ritrovata lì, ai piedi dell’affresco,circondata dai fiori più belli (alcuni non sierano mai visti dalle nostre parti!).

E da quel giorno Anita non fu più amma-lata, la notizia dell’immagine miracolosa sidiffuse a tal punto che perfino dai paesivicini venivano ad onorarla. Ed essa prodi-gava innumerabili continui miracoli.

Tante furono le offerte dei credenti chesi decise, con queste, di ricostruire dallefondamenta la ormai cadente Chiesa diS.Zenone. Così nel marzo del 1605, unaprocessione solenne, con grande concorsodi popolo, accompagnò il trasferimento del-l’immagine miracolosa nell’altare maggio-re della Nuova Chiesa, e questa con il tra-scorrere degli anni e dei secoli perse la suaoriginaria denominazione e venne dettaChiesa della Madonna di Monte Roso!

Cosa poi accadde alla nostra Anita, nes-suno più lo sa dire, ma ci piace pensare chestarà contemplando dal vero e per sempre lasua dolce Signora!

Avrete sicuramente capito che la nostrapiccola protagonista era epilettica, un maleche nei secoli passati era sovente ritenutoopera del maligno.

Cosa ne è invece del misterioso affrescocinquecentesco di scuola toscana, di cui sinarra in questa storia?

Lo possiamo ancora ammirare nellachiesa che ne porta il nome: Madonna diMonte Roso, da cui semplicemente la dizio-ne Madonna delle Rose!

A presto, con un nuovo appuntamentosulle ali della fantasia.

viottolo che costeggiava la fossa della cittàquando un cupo temporale si abbattè sullabambina, su lei soltanto.

Cadde a terra, dapprima, e vi rimaseimmobile. Poi un tremore s’impadronì delcorpicino, gli occhi sbarrati non mostraronopiù il loro colore. Quel viso così dolcepareva adesso come di bestia rabbiosa. Lamamma impotente assisteva in ginocchio,cercava di stringere Anita a se, di strapparladalle mani di un demone invisibile, pregavache tutto finisse. E finì, così come era venu-to.

Rapida s’affrettò la donna all’uscio strin-gendo la sua creatura, che nulla rammenta-va dell’accaduto.

Passò l’inverno, fu lungo e rigido.Il tetto protettore, le cure di tutta la

famiglia, a nulla valsero contro il grandemale che sempre più si impossessava diAnita.

Nei momenti più tristi la speranza trovarifugio nella fede, così giunse alfine la pri-mavera.

Era il mese di Maggio, Tomaso e i suoisi recarono, come ogni domenica, a renderegrazie al Signore nella Chiesa di S. Zenone,ma Anita restò a casa dato che la malattial’aveva resa assai debole.

La fanciulla decise ugualmente di pre-gare e, dato che maggio era il mese dedicatoalla Madonna, il pensiero corse alla Signoradella bianca celletta ove tante volte aveva

LA MADONNA DI MONTE ROSO(fuori di Porta Cervese)

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POESIE

Il mio paese

di Tilde Maestri

A volte penso e mi arrovelloricordando il mio lontano paesello,piccolo paese di Romagnasituato in mezzo alla verde campagna.

Però è un paese unico e raroche al mio cuore resta sempre il più caro.Ora che lo rivedo dopo tanta lontananzanon è più quello che è fisso nella mia ricordanza.

Era tutto concentrato su una via,dal comune alla Chiesa e ... casa mia!poche botteghe vecchie e polveroseche mettevano in mostra le solite cose.

Il forno, la bottega di Ghini e le Fantini,Lindo, la Maragnona e poi Macchini.C’era la farmacia con il dottor Tommaso,che preparava decotti, pozioni e tabacchi per il naso;

ricordo poi il dottor Tinti, l’unico dottore del paesecon tutti i mali era sempre alle prese,aveva per tutti una frase dí sapiente umanitàoltre alle ricette e alle cure che prescriveva con abilità.

Ricordo il povero Pio, zimbello del grande e del piccino,che correva dietro a tutti per un bicchier di vino.E poi le feste? Erano semplici ma belleche portavano la gioia di noi bambini fino alle stelle.

Il primo settembre, giorno della fiera grossa,venivan giù le mucche infiocchettate da oltre Rigossa,poi l’otto settembre la festa del paese,piena di gente, bancarelle, banda e tutto senza pretese.

Era quello il giorno delle spese eccezionali,che culminava dopo cena coi fuochi artificiali,ma la guerra prima, il benessere poi,hanno cambiato il paese e gli abitanti suoi,

ama sempre il lavoro, ma anche le comoditàed ha perduto quella sua aria di semplicità.Son tanti ormai i volti nuovi che non conoscoche mi par d’essere estranea nel mio caro Bosco

però quando posso ci torno tanto volentierie mi emoziono sempre oggi più di ieri.

Tilde Maestri,gambettolese D.O.C..,

sposata al compaesanoRenzo Bertozzi e sorelladell’indimenticabile Ma-rino, vive a Roma oramaida molti anni.

Il tempo non ha peròscalfito l’amore per il suo“suolo natio”, al quale ri-torna, non appena gli im-pegni familiari lo consen-tono.

Ci ha inviato questabella poesia dedicata pro-prio a Gambettola e, dav-vero molto volentieri, laproponiamo ai nostri let-tori.

La redazione.

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di Nicoletta Zanotti

La macchina del tempo esiste.Eccola infatti lì, lucida e cromata, ingom-brante e sinuosa, pronta a spedirci in poche(poche?) ore da una frenetica serata di Mi-lano ad un caldo luminoso mattino di altrevite ed altri incroci.Agosto 1992.Arriviamo a Kuching, Borneo Malese. E’da lì che parte il nostro viaggio ai margini diquello che rimane di una delle più grandiforeste pluviali del pianeta.In realtà il viaggio è iniziato molto prima:mesi di letture, ricerche, articoli, acquistiincredibili in un negozio per novelli“Rambo” a Milano.Le nostre valigie, infatti, sono scarse divestiti, ma non di zanzariera, cerata, scarpeda trekking, repellente per insetti, nerastro epuzzolente usato, secondo il proprietariodel negozio, dai marines, (in realtà, unamattina “solo” sul mio brac-cio sinistro trovo circa 70punture).Da tutto quello che abbiamoletto, trapela che qui nelSarawak sono insediate di-verse tribù, la più numerosadelle quali è quella Iban.Gli Iban sono stati cacciatoridi teste effettivamente fino anon molto tempo fa e certoquesto ha contribuito a dareal Borneo la sua fama di isolaancora primitiva.Gli Iban vivono nelleLonghouse, enormi case co-muni, dove la foresta diventaimpenetrabile, e i mille occhiche ti senti puntati addosso,sono quelli di animali moltospesso velenosissimi.Beh! Un vago senso di fifa io ce l’ho.Il primo Iban che incontriamo è il nostrotaxista, le uniche cose che taglia (male)sono le curve.Parla un inglese perfetto (Lui) e ci spiega,mentre come in un sogno attraversiamo lacittà, che nelle case comuni ormai resistonopoche antiche tradizioni, e quelle poche abeneficio dei turisti.Ho un pò di mal di stomaco.... forse lecurve!

Il giorno dopo comunque ci vestiamo comeil Camel Trophy e raggiungiamo l’imbarca-dero delle canoe per lo Skrang River.Qui la sensazione è suggestiva, si percorreil fiume seduti quasi a livello dell’acqua,con la vegetazione che ti sfiora, ed entrandoin canali sempre più stretti.Eccola là la Longhouse! Questa specie dilunga palafitta immersa nel verde incredibi-le della giungla. Scendo dalla canoa e miguardo intorno, panni stesi ad asciugare,bambini che corrono, cani che dormicchia-no al sole; salgo sulla stretta scala a pioli cheporta verso la casa vera e propria, quassù il“pavimento” è fatto di canne di bambù,perché mi spiega la guida, un tempo gli Ibansi servivano di questo stratagemma per sen-tire il più piccolo rumore, chiunque si fosseavvicinato infatti, calpestando le canne

avrebbe rivelato la propria presenza.Davanti alle porte ci sono delle stuoie difoglie intrecciate, sulle quali si stanno sec-cando nel sole potente di agosto, il cacao(del quale il Borneo è uno dei più fortiproduttori, pur non sapendo tuttavia cosasia la cioccolata), il caffè ed il pepe.Ci fanno cenno di entrare, sono molto emo-zionata, siamo comunque in un altro mondoin questo preciso istante, nel cuore dellaforesta, nella casa di una delle pochissimetribù che ancora vivono in questo modo.Non c’è molta luce, ma appena i miei occhi

si abituano, mi riecheggiano le parole deltaxista.L’arredamento è spartano certo, ma c’è laTV, la luce elettrica, e gli Iban che si stannotravestendo per noi, si sono appena sfilatijeans e scarpe da tennis. Ci sediamo sullestuoie e, lo so, siamo “egoisticamente delu-si”.Non mi aspettavo certo l’incontro con tribùche non avevano mai visto l’uomo bianco,per carità! Ma il cellulare (ultimissimomodello Sony) con il quale l’Iban alla miadestra risponde ad una chiamata mi fa ritor-nare il mal di stomaco.Eppure è questo che mi affascina in ogniviaggio!Qualunque sia il tipo di informazioni prese,per quantità o dettaglio, la realtà supera nelbene o nel male, ogni aspettativa. Il Sarawak

è certo ancora una casa co-mune Iban, o un villaggio dipescatori, ma i giorni deiRajah bianchi e dei cacciato-ri di teste fanno ormai partedel passato, le seghe elettri-che che sentiamoriecheggiare ad ogni angolodella giungla ce lo confer-mano. Quasi il 60 % di questitronchi di legno pregiato rag-giungono l’Italia; i nostridesigner ed il nostro “buongusto” hanno sempre mag-giore fame di pavimenti diTek e di mobili in Rattan oradiche tropicali.A qualcuno importa forse sedall’aereo vedo buchi sem-pre più grandi nell’impene-

trabile intrigo di verde?!Il nostro viaggio prosegue in queste striden-ti realtà, forti contrasti tra la frenetica cre-scita disordinata di un progresso che produ-ce città allucinanti come Kota Kinabalu,capitale del Sabah. Piccoli mercati delledonne Kadazan e interi villaggi sull’acqua,interminabili file di tronchi diretti ai porti, e(e questa secondo me è la vera sorpresa diquesto Borneo Malese) il coesistere pacifi-co, fianco a fianco di diverse razze chemantengono i loro usi e soprattutto la pro-pria religione. Moschea, Tempio Cinese e

L’isola delle tartarughe

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Buddhista uno di fianco all’altro sono laregola.Ma noi siamo arrivati fino qui, ed abbiamoaffrontato questo viaggio insolito, per rag-giungere una minuscola isola della quale,ancora le notizie che si conoscono in Italia

sono poche, ma tutte incredibilmente entu-siasmanti per chi, come noi, adora il mare epratica l’attività subacquea.Finalmente parte il nostro volo per Tawau,che è una piccola cittadina sulla costa nord-orientale sul mare di Sulu.Da lì, un vecchio e sgangherato pulminosbatte per tre ore le nostre ossa indolenzitee le nostre sacche, ma l’umore è alle stelle.L’ultimo tratto, naturalmente, lo percorria-mo in barca. Ed ecco l’isola. E’ minuscola.Con una vegetazione fittissima al centro edun meraviglioso anello di sabbia abbaglian-te che la circonda. L’acqua è senza coloretanto è trasparente!Nel 1988 Costeau esplorandone i fondali hadetto: “quarantacinque anni fa nel mondoc’erano altri posti come Sipadan. Qui ilcapolavoro della natura è ancora oggi in-tatto”.Il W.W.F. che ne ha la custodia ha afferma-to: “nessun altro luogo sulla faccia del pia-neta ospita più vita marina di quest’isola”.Quando scendiamo per la prima immersio-ne lungo le pareti del Reef penso che chigalleggia sopra non può neanche immagi-nare una tale esplosione di vita.Sipadan è una unica parete che parte prati-camente a pochi metri da riva e raggiunge i740 metri di profondità. E’ letteralmentecoperta di corallo duro e molle di ognicolore, poi spugne e gorgogne e pesci bel-lissimi, azzurri, arancio e viola e tartarughe.

Credevo di poter dire di averle già viste, manon è così fino a quando sono scesa aSipadan. Sono dovunque, enormi e piccoleche nuotano, sgranocchiano il corallo, vol-teggiano libere, si accoppiano e mi guarda-no vicinissime e curiose. Il mio manometro

mi dice che l’aria è già finita. E’ stata laprima di una lunga serie di immersionifantastiche, tante quante l’accumulo di azotomi permetterà di farne ogni giorno.Una volta dopo un’immersione in un puntochiamato Turtle Patch il mio compagno di

immersione mi dice che “ho le stelle negliocchi”. Lo credo sulla parola. Tra le altre c’èanche un’immersione in una caverna som-mersa che si chiama Turtle Cave. Il fondo ètappezzato di giganteschi scheletri di tarta-rughe. Il carapace è ancora intatto. Impres-sionante!Le teorie sono diverse, c’è chi pensa che

abbiano imboccato la cavità per sbaglio enon siano più state in grado di ritrovare lavia per uscire; altri lo ritengono una speciedi cimitero dove sono andate volontaria-mente a morire.Voglio anche ripensare (e giuro, mi viene il

magone) a ciò che accadevaogni notte a Sipadan. Alla lucedi una luna che mi pare gigan-tesca e irreale che rischiara lasabbia, nel silenzio più assolu-to, sdraiati a terra per ore, ve-diamo le tartarughe uscire dal-l’acqua e percorrere il tratto disabbia fino al primo posto, nelquale si sentono sicure.Emettono strani sospiri, moltoforti, come se la fatica fosseimmane. Dall’uscita dall’ac-qua, alla risalita dei pochi me-tri di spiaggia, fino alla deposi-zione delle uova, passano ore.E’ uno spettacolo primordiale,talmente forte ed emozionanteche non lo dimenticherò mai.Le nostre notti a Sipadan non leabbiamo “mai” passate nelsemplice tukul che serve dastanza, ma accovacciati sullasabbia, così silenziosi che avolte non si sente nemmeno

respirare.Naturalmente qui le tartarughe sono protet-te, ma in tutta la Malesia (come del resto intutto il mondo) stanno scomparendo. Il per-ché lo sappiamo tutti, all’aereoporto hovisto tante persone cariche di braccialetti e

vari souvenir di tartaruga, erano tutti turisti.Io, le mie tarturughe le ho nel cuore e negliocchi.Nessuno me le porterà via.

20.05 - Volo Air Malesyan 896. La macchi-na del tempo mi riporta a casa.

Fondali dell'isola di Sipadan (foto N.Zanotti)

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L'AngoloPag.8

LA STORIA ..... QUASI VERA DI JOSÉ E KIOTO

guarì subito.Kioto se ne accorse ma fece finta di nientepensando: “Questa notte, quando Josè saràsotto l’effetto del veleno che metterò nellasua limonata, gli ruberò il biglietto, i suoisoldi e la strana bottiglietta”.Era quasi notte, Josè tirò fuori dalla borsauna vecchia coperta marrone che gli avevadato sua mamma e si coprì; Kioto gli siavvicinò e gli offri un bicchiere di limonatanella quale aveva messo un cucchiaio di

veleno e Josè si addormentò.Il malvagio stregone gli rubò tutto.Un marinaio che vigilava si accorse delfatto,arrestò Kioto, prese le cose rubate,chiamò un marinaio per soccorrere Josè chenon si svegliava neanche con tutto quelrumore.Il marinaio vide la bottiglietta nella tasca delgiubbotto di Josè, la prese e gliela diede dabere pensando che fosse acqua, invece era lapozione magica.Questa risvegliò Josè dall’effetto del vele-no.Il marinaio spiegò a Josè quello che erasuccesso.Josè si impaurì ma poi si rilassò e ringraziòil marinaio perché aveva passato un gravepericolo.Intanto l’altro marinaio rinchiuse Kioto inuna cabina di sicurezza per poi consegnarloalla polizia dopo lo sbarco.Giunto ad Ancona (Italia) Josè proseguì conil treno fino a Bologna come gli avevanoconsigliato. Josè se la immaginava moltodiversa l’Italia.Giunto in città cominciò a chiedere a chiun-

que un posto dove lavorare.Mentre camminava per le strade stanco escoraggiato sentì un rumore improvviso, sigirò e vide un ragazzo che con la moto eraandato a sbattere contro una macchina.Questo ragazzo si chiamava Luca e lavora-va in uno stabilimento meccanico.Era magro ma muscoloso, portava i jeans,una camicia a maniche corte con delle righeazzurre, un corpetto foderato, era simpati-co, era molto buono, era intelligente edaveva diciotto anni.Josè corse vicino al ragazzo e vide che eraferito gravemente alla gamba destra e avevauna ferita sulla fronte: senza pensarci tantotirò fuori la bottiglietta e fece bere qualchesorso al ragazzo.Improvvisamente, sbalordito il ragazzo sialzò in piedi, come se niente te fosse.Josè gli disse che gli aveva dato una medi-cina miracolosa.Il ragazzo era al settimo cielo e per ringra-ziare Josè decise di portarlo a casa sua e diaiutarlo a trovare un lavoro, nella ditta disuo padre che costruiva case in diverse città.Josè arrivò alla casa di Luca.Era una villa, aveva una piscina, era bianca,aveva un grande giardino con tantissimifiori colorati ed aveva una stalla con duecavalli.Luca lo fece entrare e lo portò nella camerapreparata per lui.La camera di Josè era grande e confortevole.Josè non si era mai sentito così felice e corsesubito a ringraziare Luca.Luca gli presentò suo padre, sua madre e suasorella.Suo padre era robusto, simpatico ed eravestito in maniera elegante.Si chiamava Lorenzo.Sua madre era buona, teneva i capelli lunghiin una crocchia e aveva un vestito di vellutoviola, si chiamava Lucia.Sua sorella era bella, intelligente, aveva gliocchi verdi, i capelli folti, ondulati, castanicome suo padre e li teneva sciolti, era alta emagra come suo fratello, si chiamava Patri-zia ed indossava un vestito sportivo.Alcuni giorni dopo Josè fu mandato conaltri muratori a Gambettola per costruire lapalestra per la scuola media.I ragazzi che frequentano la scuola lo vedo-no lavorare ogni giorno, affaticato ma feli-ce.

N.d.r.: Sara Sacchetti, frequenta la ScuolaMedia “I. Nievo” di Gambettola.

di Sara Sacchetti

Un giovane del Senegal di nome José abita-va in un piccolo villaggio.Josè aiutava suo padre che faceva lo strego-ne a cercare erbe e frutti, mescolare pozioni,costruire totem, etc.In questo villaggio vivevano 80 persone etutti si conoscevano tra loro.Gran parte della gente era contadina, altriinvece facevano gli allevatori, artigiani oboscaioli.Solo alcuni dei cinque fratelli di Josè epoche altre persone del villaggio sapevanoleggere e scrivere perché avevano imparatoalla scuola dei missionari.Josè era il più grande dei fratelli e avevaventidue anni.Nel suo paese venne una carestia, così lagente non poteva andare più dallo stregoneper comprare le erbe magiche.Lo stregone Ngoto e sua moglie Zeudi nonerano più in grado di mantenere i cinquefigli, cosi decisero che Josè doveva allonta-narsi da casa per cercare un lavoro.Josè a malincuore lasciò la casa e si incam-minò verso il porto.Prima di partire, suo padre gli aveva datoalcuni soldi e una bottiglietta di vetro aforma di ampolla con dentro una pozionemagica che serviva per guarire tutte le ferite.Josè arrivò al porto stanco perché avevapercorso molta strada, fece il biglietto e sisedette ad un bar lì vicino per prenderequalcosa di fresco.Intanto un altro negro lo stava sbirciando,era uno stregone nemico di suo padre: Josènon sapeva nulla di lui.Il negro che sbirciava si presentò a Josè efece finta di voler diventare suo amico.Era alto, magro aveva occhi scuri e unsorriso luminoso ed era vestito con unamaglietta azzurra e un paio di pantaloni bludi cotone che gli aveva dato un missionario.Lo stregone domandò a Josè: “Devi prende-re quella nave grande, blu e bianca?”“Si!, e tu?” rispose Josè.“Anch’io” disse lo stregone, “Bene, alloraviaggeremo insieme”.Alle nove di sera Josè e Kioto (lo stregone)salirono sulla nave attraverso una vecchia eripida scala, Josè inciampò e si fece male,ma proseguì.Arrivato sulla nave Josè e Kioto cercaronoun posto riparato in corridoio per la notte.Josè tirò fuori dalla borsa la bottiglietta esfregò un pò del liquido sulla caviglia che

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Pag.iDieci Anni di Prospettive

di Massimo Guidi

Il 1982 è stato un anno importantissimoper tutti coloro che, come me, giovani pocopiù che ventenni, iniziarono l’esperienzadel Gruppo Culturale Prospettive. Aveva-mo tutti una convinzione: creare un mo-mento di dibattito, di aggregazione al di

fuori di schemi culturali precostituiti. Al-l’inizio ci si incontrava saltuariamente, di-scutendo del più e del meno in compagnia diuna buona bottiglia di vino. Non avevamouna sede stabile. Forse non sapevamo nem-meno da dove cominciare, ma la convinzio-ne c’era. Così per i primi tempi il nostrosport preferito era discutere sui fatti delmomento, su quale fisionomia dare al grup-po, su quali iniziative pubbliche proporre esul come superare i molti problemi organiz-zativi conseguenti; anche il nome del grup-po era spesso all’ordine del giorno: Gandhi,Diapason, ...... e «PROSPETTIVE».

Gambettola era un paese con pochissi-me opportunità e poco sensibile, per man-canza di stimoli, a proposte culturali. E’stata la nostra, quindi, una piccola “sfida”.Sì, una sfida, perché volevamo ritagliarci unnostro spazio con la presunzione di contri-buire a riempire un vuoto culturale che, pernoi giovani, era inaccettabile. Non avevamoné etichette, né padrini di riferimento e nonne abbiamo mai voluti. Volevamo inveceproporre a coloro che ritenevano giusta que-sta iniziativa di lavorare assieme in quellapiccola “palestra” culturale tanto necessariaal nostro paese. Un gruppo apartitico, aper-to a tutti. Quindi non l’espressione di unideale, di una propria verità, ma un confron-tarsi nel rispetto della libertà e delle opinio-

ni di ciascuno. Questa idea però per esseremessa in pratica doveva vivere una, cento,mille diffidenze soprattutto di chi ci consi-derava di parte (diversi di noi, infatti, stava-no vivendo l’esperienza del gruppo parroc-chiale) o di chi riteneva questa esperienzainutile. La nostra determinazione, invece,ed il credere in questa idea hanno permesso

di superarle e nel 1983 il gruppo èfinalmente diventato una realtà. Pochigiovani iniziarono così l’esperienzadel Gruppo Culturale Prospettive. Fuun vero mettersi a disposizione congrande passione e molti sacrifici, an-che economici, cercando di dedicareogni momento libero all’organizza-zione e pianificazione delle iniziative.In paese l’esistenza di questo gruppoera una novità che traevala sua forza dalla origi-nalità di un gruppo digiovani senza esperien-za, mezzi e attrezzature,ma con moltissima buo-na volontà e con altret-

tanta cocciutaggine nel perse-guire gli obiettivi. L’ecologia,la pace, la tortura, sono stati iprimi importanti temi affron-tati. Poi astronomia, foto-grafia, con un concorso di-ventato senza presunzione alivello nazionale, hanno com-pletato il quadro delle iniziati-ve dei primi anni di attività.C’è stato spazio anche per lasolidarietà con l’importanteiniziativa pro Telefono Azzur-ro.

I primi anni furono diffici-li. Questo non ci ha impedito,però, di andare avanti, di con-tinuare e la tenacia con cuiabbiamo lavorato ci ha porta-to a lusinghieri riscontri daparte della gente. L’idea era,quindi, vincente. Dopo qual-che anno la credibilità guada-gnata sul campo si è trasfor-mata nel riconoscimento diquel ruolo di realtà culturaleche volevamo meritarci. Que-sti anni credo abbiano segnatoin maniera positiva tutti colo-ro che ne sono stati protagoni-sti. Molte cose sono cambiate

1982: Nasce un’idea. Il Gruppo Culturale Prospettive.

da allora. Dal punto di vista della sensibilitàculturale anche il nostro paese è cresciuto eda questa crescita ha contribuito in maniera,secondo me, determinante, proprio quelgruppo di giovani anni ’80 che mi piacericordare con “buoni piedi e scarpe rotte”.Ed è una grande soddisfazione vedere che,dopo dieci anni, quella epica esperienza si èulteriormente consolidata con iniziative dinotevole valore culturale.

Concludendo, vorrei festeggiare ildecennale della costituzione del gruppo conl’augurio che la memoria di quell’Idea pos-sa continuare ad essere la strada maestra,anche per il futuro e che questa esperienzapossa essere d’esempio per tutti coloro,giovani di oggi, che volessero “investire” suuna loro “Idea“.

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Pag.iiDieci Anni di Prospettive

UN’IMPRESA IMPOSSIBILE

Occorre dire che in quegli anni la parolapace assumeva contorni molto diversi daoggi: c’erano ancora i blocchi est-ovest, ilcomunismo, il muro di Berlino, la corsa agliarmamenti, ecc. Non che oggi le cose vada-no poi tanto meglio, ma in ogni caso iproblemi e le prospettiveerano molto diversi.

Si partì dall’idea/base percui, prendendo spunto da unpensiero del MahatmaGandhi non può esservi pacenel mondo, se non vi è pacenella città, e non vi è pacenella città se non vi è pacenei rapporti interpersonali,in particolare all’interno del-le famiglie, nucleo primariodella società. Non so se lafrase fosse proprio questa,ma ad ogni modo questo neera il succo.

La realizzazione del recitalpassò, anzitutto, attraverso la fase di stesuradel copione: ci tengo a dire che nonscopiazzammo mai da altri testi, che pureerano a portata di mano: ci sobbarcammo unpaziente lavoro di ricerca di documenti chedurò fino all’estate. La stesura del copioneoccupò tutto l’inverno successivo e non vidico la fatica! Interminabili riunioni, una odue volte la settimana, con discussioni spes-so feroci, ma durante le quali imparammosoprattutto “l’arte” del confronto, delloscambio di idee, del rispetto delle opinioni.Ricordo, con particolare affetto, il ruolodeterminante svolto da Giuliano Brigidi,l’anima “laica” del gruppo incaricato distendere il copione: fu grazie alla sua “te-

stardaggine” se riu-scimmo a depurare iltesto di quella nostratendenza, tutta cattoli-co-romana, a fornire ri-sposte già precotte, con-fezionate e pronte al-l’uso. Né uscì, vicever-sa, un testo pieno di sti-moli, di interrogativigrandi come una casa,ma che invitava ciascu-no di noi ad essere “at-tore-protagonista” nellento e faticoso proces-so verso la pace mon-diale; che invitava a

compiere, innanzi tutto, un cammino di ri-cerca, al di là delle ideologie, degli schemi,delle fedi personali di ciascuno.

Fa piacere vedere come, oggi, certe idee chelanciammo in quel recital, siano in qualche

modo diventate patrimonio comune. Bastiosservare come si moltiplichino un pò ovun-que iniziative che vedono il contributo e lapartecipazione di persone con idee e fedispesso diverse tra loro, ma unite dalla comu-ne passione per l’uomo e per il supremovalore della pace.

Il recital fu rappresentato, nel Teatro Fulgor,nella primavera del 1986, e fu davvero unmomento di crescita, per ciascuno di noi eper il gruppo in generale: forse fu proprio daquel parto, così difficile, così sofferto, ep-pure così fortemente voluto, che il GruppoProspettive fece il suo primo salto di qualità,premessa per il cammino, così ricco, deglianni successivi.Nell’accingermi a snocciolare , un pò atitolo di curiosità, un pò per ricordare ilcontributo e l’impegno di tante persone,coloro che , oltre al già citato GiulianoBrigidi (“il Doc”), realizzarono il recital,vorrei lanciare una piccola provocazione:visto che son passati dieci anni; visto che diacqua sotto i ponti ne è passata tanta, vistoche grazie a Dio ci siamo conservati tutti inbuona salute; visto che abbiamo una parti-colare vocazione per gettarci a capofittonelle imprese più complicate... perché nonriprovarci?

di Vincenzo Franciosi

Un briciolo d’emozione c’è, devo confes-sarlo: pensare che oggi sono qui a scrivereun articolo per ricordare i dieci anni delGruppo Prospettive vuol dire anche pensaread una fetta importante della mia vita: diecianni pieni di tante cose, di occasioni centra-te e di occasioni mancate, pieni di sensazio-ni, a volte di aver fatto qualcosa di buono,altre volte di aver perso il mio tempo e diaverlo fatto perdere agli altri.Questo, in effetti, potrebbe essere un artico-lo in gran parte autobiografico: potrei pas-sare in rassegna questi dieci anni attraversoi miei sentimenti e le mie esperienze di“veterano del 1983” quando davanti a quel-la fatidica bottiglia di buon vino, ponemmole basi di quello che oggi è il Gruppo Pro-spettive, ma che allora era semplicementeuna “cosa”, una entità non ben definita chedoveva semplicemente (si fa per dire) pro-porre un pò di cultura a Gambettola, senzapretese di fare chissà che, ma solo con lavolontà di esplorare qualche terreno nuovoe di creare qualche occasione di sano con-fronto di idee e di esperienze.

Proprio nel periodo in cui il sottoscritto sitrovò suo malgrado e a dispetto delle pro-prie attitudini, niente affatto inclini ad assu-mere ruoli di “comando” - a svolgere l’ar-duo compito di presidente del Gruppo, deci-demmo di esplorare un campo particolar-mente difficile ed irto di ostacoli: LA PACE,o meglio, “Pace impossibile Pace”. Questofu, infatti, il titolo di un recital (canzoni,balletti e parti recitate, tutto rigorosamente“dal vivo”) che , con una dose di incoscien-za davvero invidiabile, mettemmo in can-tiere nell’inverno 1984-85.

Testi:

Vincenzo Franciosi, Camillo Giorgi.

Scenografia: Monica Scarpellini.

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Pag.iiiDieci Anni di Prospettive

Mostra Scambio.

Ebbi dunque la fortuna di condividere ledifficoltà e le gioie di questo “nuovo” chestava nascendo: e le difficoltà erano datesoprattutto da chi non riusciva ad “inqua-drare” secondo un’ottica rigida di partito o

schieramento un gruppo come “Prospetti-ve”; e da chi invece voleva cavalcare quel-l’esperienza che stava formandosi dirigen-dola contro questa o quella parte.

Il Gruppo “Prospettive” ha saputo aggirarequesta falsa “antitesi”: il suo nome ha indi-cato la strada, o meglio, le strade da seguire.

Ogni prospettiva ha infatti un “fuoco” nelquale confluiscono le linee ortogonali: mi-gliorare in senso concreto e fattivo la qualitàdel vivere quotidiano nel nostro paese; ri-percorrere a ritroso, dall’oggi contempora-neo, la “minore”, ma non meno ricca, storia

di Gambettola; indicare criticamente,cioè con la consapevolezza dei limitioperativi e situazionali di una realtàcome la nostra, possibilità d’interven-to in ambito ecologico.

Questi alcuni dei “fuochi” di “Pro-spettive”: che attraverso una miriadedi attività sempre più partecipate econdivise si sono definiti econcretizzati.

L’etimologia, cioè la scienza che stu-dia l’origine del significato delle pa-role, ci dice che “politica” - termineusato, consumato e abusato - deriva da“polis” città, e dunque, prima di tuttoriguarda la vita di una comunità dicittadini: “Prospettive”, già dieci annifa, ha anticipato e indicato un modo

nuovo di fare “politica” a Gambettola, cioèdi vivere da dentro e in prima persona iproblemi che ci riguardano.

Grazie e buon anniversario.

21 Giugno 1993

Brigidi, Camillo Grassi, Maurizio

Nanni, Laura Scaini, A.Maria Turroni.

Suggeritore:

Pino Faini.

“Acqua sotto i ponti”

Trucco: Luana Campana, Luisa

Valentini.

Aiuto Regista: Giuliano Brigidi.

Regista: Roberto Forlivesi.

Realizzazione scenografica:

Giorgio Borghesi.

Addetti sul palco: Giorgio Borghesi,

Mauro Gozzoli, Davide Pollini, Carlo

Venturi.

Scelte musicali: Roberto Boschi,

Giampaolo Galassi.

Canzoni eseguite da: Alessandro

Foschi (chitarra), Massimo Ricci (chitar-

ra), Mauro Berti (violino), M.Alba Brigidi

(voce).

Coreografie: Elisa Cantoni.

Ballerini: Elisabetta Braschi, Elisa

Cantoni, Luca Fabbri, Daniela

Magalotti, Manuela Mattucci.

Tecnico del suono: Achille Campana.

Luci: Sandro Zamagni, A.Maria

Farabegoli, Giuseppe Valentini.

Realizzazione diapo: Massimo Guidi.

Al proiettore diapo: Pierpaolo

Golinucci.

Attori protagonisti:

Anna Berti, Angelo Sacchetti.

Altri interpreti (ombre cinesi e

speaker): Andrea Bertani, Stefano

di Sandro Pascucci

Mi è stato chiesto di scrivere alcune righe inoccasione del decimo anniversario del Grup-po “Prospettive”: in me, primo a riceverequel simpatico riconoscimento del “Nemopropheta in patria”, nasce un certo imbaraz-zo in una triste epoca di scambipoco virtuosi ... ma l’imbarazzopresto si muta in piacere.

Piacere di ricordare come più didieci anni fa, in piena crisi divalori, ideali ed identità, proprioa Gambettola - si diceva “unpaese senza storia!” si stava for-mando in maniera dolce e sot-terranea un movimento di inte-ressi, opinioni e volontà di ope-rare e riconoscersi che sarebbesfociato, tra gli altri, nel Gruppo“Prospettive”.

Io allora ricoprivo la carica diassessore alla cultura e alleproblematiche sociali: incarichiamministrativi di “poco peso”nel vecchio senso politichese, ma che siarricchirono di valore grazie proprio ai “nuo-vi” interlocutori che stavano nascendo.

“Prospettive” dunque, ma anche laricostituenda Banda Comunale, il Gruppodei Pittori Gambettolesi, il Comitato Geni-tori, il coordinamento dei rottamai e della

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Pag.ivDieci Anni di Prospettive

di Roberto Forlivesi

Successe nel 1986. E’ quasi sicuro. Il ricor-do degli avvenimenti si fa nebuloso e icontorni acquistano l’apparenza indefinitadi certe sere invernali in val padana. E nona caso.

L’aspetto tragico in tutto questo è che pro-prio in val padana esistevano persone, ecredo siano ancora vive, che si interessava-no di astronomia e che tentavano, di tanto intanto, delle osservazioni astronomiche. Pervedere le stelle non c’è luogo peggiore sullafaccia del pianeta, se si esclude il fondodell’oceano, della Pianura Padana. Turbo-lenze atmosferiche, umidità mostruosa, gasdi scarico abbonati per tutto l’anno, e nonultimo l’inquinamento luminoso che esclu-de la visione notturna del cielo fino adaltezza zodiacale. In pratica, una catastrofe.Il solo nome del nostro territorio, ha lafacoltà di rendere improvvisamente tristis-simo e depresso ogni astronomo che si ri-spetti.

In queste proibitive condizioni, c’è però chinon vuole arrendersi, e mal-grado tutto, continua a scrutareil cielo, affascinato dalla tre-molante e lontana luce dellestelle. Anche qui a Gambettolac’erano persone che pigiavanoeroicamente l’occhio per ore,dietro l’oculare di epici tele-scopi. Si cercava Giove con isatelliti medicei, Venere con lesue fasi, si osservava la Luna,Marte e i suoi fantasmatici ca-nali, ma più rare erano le visio-ni della nebulosa di Andromedae dello sfuggente Saturno con isuoi anelli. Non parliamo poidi Nebulose o Galassie quasiindistinguibili nel marelattiginoso, costantemente pre-sente, degli obiettivi di pianu-ra. Si può anche dire, non sioffenda nessuno, che in fondo,si guardava un pò tutto quelloche capitava davanti all’obbiet-tivo e quello che il cielo potevaoffrire. Spesso ci si fermava adosservare oggetti celesti dalnome sconosciuto, che la seradopo non si sapevano più ritrovare. In que-sto clima nacque la proposta di fare unamostra ad argomento astronomico. Si con-venne subito che non c’erano sufficienti

eminenze grigie nel nostro gruppo per af-frontare argomenti così vasti, perciò si feceun viaggio fino al Planetario di Ravennadove, sapevamo, esisteva un ben organizza-to gruppetto di astrofili. Uno o due di loro,si offrirono di aiutarci. A suo tempo furonoi relatori di un incontro serale e ne vennefuori una carrellata panoramica sul SistemaSolare e affini. La serata finì al Pub con birrascura. Quell’incontro non fu l’unica inizia-tiva riguardante l’argomento astronomia. Siorganizzò una mostra con materiale docu-mentario, proveniente sempre dal Planeta-rio, e con alcune cose costruite da noi. Traqueste c’erano un mappamondo rappresen-tante il nostro globo terracqueo, bello gran-de, e vicino, più piccola, la sfera lunare. Misembrò interessante un grande pannello nero,rappresentante con distanze in scala, tutti ipianeti del Sistema solare e per ognuno diessi, una scheda con le loro principali carat-teristiche. Un discreto lavoro didattico chefinì per diventare, finita la mostra, il tavolodelle riunioni del Gruppo Culturale. Comenon avere profondità di pensiero, se lo sfon-do costante è la visione delle profonditàdell’Universo? A corollario di queste ini-

ziative fu organizzata una visita, a mezzopullman, al Planetario. Dopo aver tirato asorte ad ogni cartello”tutte le direzioni” dicui è disseminata sadicamente la città di

Ravenna, riuscimmo a scorgere la strutturabizzarra di quell’edificio. Al centro di unazona alberata con vialetti in pietra, si scor-geva una strana cupola metallica ottagonalee subito qualcuno, tra i più informati, disseche ci si era sbagliati, e che non erano venutia visitare le chiese. Il dubbio finì presto, ilPlanetario era proprio quello. Era stato co-struito da poco tempo ed è tuttora dotato disala di proiezione con possibilità di ospitareuna settantina di persone. La sala è di formacilindrica e al centro di essa è sistemato ilproiettore Zeiss, uno strano e complicatoaggeggio che proietta tutte le stelle, fino allasesta magnitudine, sulla superficie internadella cupola. Senza dubbio è spettacolareassistere alle proiezioni. Ogni corpo celesteha il suo movimento apparente, e la sensa-zione è di trovarsi in aperta campagna in unalimpida serata invernale. La velocità delmoto stellare, naturalmente, è arbitraria; inpochi minuti o come si desidera, si puòassistere a tutto quello che succede nel cielodurante la notte. Chi si aspettava soltanto divisionare le solite diapositive, dovette ricre-dersi. L’intera compagnia visse così unaserata diversa e, sulla via del ritorno, lamaggior parte di quelle persone manifesta-rono un gradito stupore per l’insolita espe-rienza.

La pura speculazione sul Cosmo, le suedistanze, la sua genesi e le sue forzeinteragenti, sono campo strettamente scien-tifico, è vero, ma a noi che viviamo unarealtà quotidiana molto prosaica, non rima-ne che scontrarci con l’idea stessa dell’esi-stenza di una realtà così vasta che travalicale nostre più sfrenate possibilità di immagi-nazione. Questa immersione nel mondomacroscopico, ci rende più consapevoli del-la nostra effettiva grandezza, o piccolezza eci ridimensiona.Ricordo ancora l’effetto di stupore di quan-do mi trovai ad osservare per la prima voltala galassia di Andromeda. Le più belle foto-grafie, non possono rendere il velluto nero eprofondo, reale e meraviglioso insieme. Peruna frazione di secondo si rimane perplessie increduli, che sia una foto gigante, messalì da qualche spiritoso? Un effetto di aberra-zione cromatica? Bisogna ammettere subitodopo, che invece è tutto vero. Allora ungroviglio di pensieri ci attraversa la menteinsieme a molte, molte domande.Quello che importa alla fine è di cercareogni volta nuove domande per molte dellequali, forse, non esisterà mai una risposta.

AVVENIMENTO COSMICO

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L'Angolo Pag.9

distesa con indolenza su di un lettino, in unaposa “classica”, che richiama opere artisti-che famose dell’antichità. Sullo sfondo, unacameriera di colore porge un mazzo di fiori,non si sa bene se alla donna o allo spettatore.“La colazione..” è invece una rappresenta-zione all’aperto di un singolare gruppo dipersone: tre uomini vestiti in abiti moderni(per l’epoca) ed una donna completamente

nuda che hanno appena termi-nato un pasto e conversanotranquillamente in riva ad unlago. Lo sguardo dalla donna inprimo piano è quello di una per-sona che viene improvvisamen-te interrotta dal passaggio di unapersona mentre sta parlando; esembra addirittura che quel qual-cuno sia l’osservatore del qua-dro.Ciò che sconvolge maggiormen-te e mette in imbarazzo chi am-mira i due quadri è la sensazionedi venire coinvolti nell’azionerappresentata: con le due donnesi crea una sorta di colloquiosilenzioso, fatto di sguardi si-gnificativi; ma nel contempo, siviene respinti come osservatoricritici di ciò che sta accadendo.

Lo sguardo sottilmente ironico di Olimpia,sensuale ed insieme canzonatorio, quelloindifferente ed estraniato della bagnantecreano paradossalmente, un distacco pro-fondo, fatto di disagio e di provocazione,con lo spettatore, che non può più per-mettersi di giudicare ciò che si rappresenta,ma semplicemente, prendere atto di quelloche l’artista esprime conl’opera che realizza. Le duedonne (si tratta in realtà dellastessa modella) sembranodire che da quello spazio delmuseo in poi, l’opinione del-l’osservatore sull’opera d’ar-te non avrà più alcuna impor-tanza, conterà solo l’opera insé ed il valore che saprà darlel’artista. Probabilmente, lacomplessa definizione di“perdita dell’aura” nell’arte,cara a Walter Benjamin, nel-l’accezione di svincolo del-

di Mariolina Calisesi

Entrando nell’immenso salone che, un tem-po, fu la vecchia “Gare d’Orsay”, a Parigi eche oggi ospita un grande museo d’arte, siha ancora la netta sensazione di essere inuna grande stazione ferroviaria di fine Otto-cento, un ambiente immenso in cui lo sguar-do si perde. Ma seguendo il percorso indica

to dalle guide, in breve tempo, si finisce inspazi limitatissimi: in piccoli angoli di uncomplicato labirinto ideato con sapienteregia architettonica.Percorrendo la prima parte del “labirinto” sipossono ammirare opere di pittori e scultoriche, in qualche modo, hanno preceduto oinfluenzato l’impressionismo. Poi, spostan-dosi a metà via, a sinistra, all’improvviso edinaspettatamente, racchiuse in due piccolenicchie, appaiono le opere che, a mio avvi-so, costituiscono il “cuore” del museo:“Olimpia” e “La colazione sull’erba” diEduard Manet. La reazione più immediata èquella dello stupore; i due quadri sonoconosciutissimi e si vedono in riproduzionifotografiche un pò ovunque, tuttavia l’im-pressione che suscitano nel vederli diretta-mente è intensissima.In “Olympia” è raffigurata una donna/abbi-gliata come una prostituta, che se ne sta

l’artista da ogni forma di dipendenza dal suocommittente, trova in queste operel’esplicazione più chiara.I due quadri si rifanno entrambi a temiclassici, infatti “Olympia” e “La colazione..”sono delle vere e proprie citazioni rispetti-vamente: della “Venere di Urbino” delTiziano e del “Concerto campestre” delGiorgione. Tuttavia molti aspetti delle dueopere, come ad esempio: lo sguardo delledue donne (di cui abbiamo già parlato), gliabiti moderni dei personaggi maschili (cheper contrasto rendono “scandalosa” ed in-verosimile la nudità della modella), l’usodel colore per contrasti, senza sfumature (ilchiarore dei corpi femminili si contrapponealla macchia scura della cameriera in“Olimpia” e dei due uomini seduti nella“Colazione..”), testimoniano di un diversoatteggiamento dell'artista moderno nei con-fronti dell’opera d’arte, che non appare piùtanto interessato alle reazioni del pubblico,quanto alle cose ed alle sensazioni da rap-presentare. Dopo avere ammirato questedue opere, che costituiscono un cesura edinsieme una indissolubile continuità con ilpassato, gli altri quadri importanti e, forse,più belli, non hanno suscitato in me partico-lari emozioni. Forse la ressa davanti ai qua-dri di Degas, Monet, Gauguin, Van Gogh egli altri o forse l’impressione troppo fortegià subita, non mi hanno permesso di godereappieno delle altre opere del museo; e ciòcostituisce un buona scusa per ritornare alpiù presto a Parigi.

“OLYMPIA”“LA COLAZIONE SULL’ERBA”

Eduard Manet (Museo d’Orsay a Parigi)

APPUNTI DI VIAGGIO:

“Olympia”

“La colazione sull'erba”

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di Hannelore Schwadorf

Cari lettori di lingua romagnola, e cari letto-ri di lingua diversa. Per favorire la comuni-cazione interregionale, internazionale, non-ché interplanetaria ho pensato di proporre ilprimo “Corso di Lingua Romagnola”. Saràutile perché per i principianti il dialetto...”l’è

una bèla gata da plè” (è una cosa difficile)!Quando si tratta di difendere la propria terrai romagnoli sono “tót coul e caméisa” (inse-parabili). Ho notato che dal punto di vistalinguistico sono però più “coul” che“caméisa”. Infatti la parolina di quattro let-tere ricorre con grande frequenza nel voca-bolario romagnolo. Ad esempio se avetevinto alla lotteria, che cos’avete avuto?...Esatto, “un gran bous de coul”(molta fortu-na). Se invece dovete affrontare un rischio,ma “uv pépa e coul” (avete paura) e decidetedi “tiré e coul indri” (rinunciare), allora “ivciapparà pre coul” (vi prenderanno in giro).Poveri noi, che non siamo stati battezzati inromagnolo! Quando ci perdiamo in questagiungla di metafore non sappiamo spessopiù “du sbatt al córni” (che pesci pigliare).Ma anche la “caméisa” interessa i veriromagnoli. Tutti sanno quanto sono mate-rialisti e ciò si riflette anche nella lingua.

Non per niente “i suld i manda 1' aquad’insò. Verra ?” (i soldi possono tutto. Vero?)Vero! - C’è un nome proprio per tutti igeneri di ricchi. Quelli che spendono, sonodetti “strusciòun” (sciuponi), i nuovi ab-bienti sono i “vdoc’ arfèt”. Si dice che sonopieni di soldi ma non hanno classe. Infinec’è chi e facoltoso ma “un da gnénca un

frènc da basè” (è avaro). I “baióc spéc”(soldi spiccioli) si dividono in “zént frènc”(cento lire), e qui troviamo influenza storicadel francese sul dialetto romagnolo che ri-corre in molte parole come ad esempio in“bascóla” (fr.:bascule). Moltiplichiamo per5 e abbiamo i “zént scud” (500 lire), altrariminiscenza storica. Un nome simpatico sidà, ma più raramente, alle 2000 lire: “du bunda méla”.Alcune espressioni sono alquanto crude. Hovisto una mamma, che “magnèva la faza” alfiglio. Niente paura, lo stava solo sgridando.“Brót invurnei, urlava, 1'è quèsta l’òura adardousas” (non di rimpicciolirsi ma di tor-nare a casa)? “Bòia tè, cla putèna d’la tu mae chi t’ha fat”......... (curiosa autoaccusaintraducibile).Quante le occasioni per noi neoromagnolidi fraintendere. Ma niente paura. Quando inautunno vi chiederanno di “castrè i maróun”,

non dovete preoccuparvi nemmeno se sietedi sesso maschile (significa incidere le ca-stagne).La moglie milanese chiede al maritoromagnolo: “Caro, quando andiamo in va-canza?” Lui: “T’é vòia...!” Lei: “Ma certoche ne ho voglia, allora quando?”Vediamo la pronuncia: La vicinanza col

mare e l’umidità del clima hanno lasciatotracce sulla lingua dei romagnoli. Amano ifonemi scibillanti che sivolano dalla boccache è un piacere. In Romagna i scemi scipiantano e gli semi sci mandano a Imola. La“G” diventa una “Z” morbida in “Zézal”(giuggiolo), o più dura in “zaqual” (papero)o “zandarnèl” (cetriolo). La pronuncia della

I “BURDEL” NON SONO CASE PER APPUNTAMENTI

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“z” deve essere molto inglese, come inThatcher o Sutherland. Però non fate comeal solito. Sò, che vi piace italianizzare lapronuncia dei nomi stranieri. Di norma in-fatti trasformate l’ex premier britannico nella“Signora Tattscer” e la celebre cantantelirica in “Satterland”.Abbondano nel romagnolo gli intercalari.Paroline che dicono tutto senza dire niente.Franzcòin va dietro alla Marì? “Mó bé mó!”(che cosa incredibile) si sente commentare.- Invece la Marì preferisce Pauléin? “Ah-módéi, par fórza!” (è comprensibile, Pauléindeve avere delle qualità in più).Il romagnolo adora l’uso improprio delleparole. Cosi per esempio la nostra nonnachiamava il suo cane nero affettuosamente“e mi gagiòun”. Poi chi viene da fuori non sistupisce poco quando sente la parola“burdèl” che sembra la traduzione di bor-

certezza acquisita e ci ributta in alto mareurlando ad un gruppo di anziani seduti difronte al solito bar: “Ouh burdèl, tót bén?”Burdèl a 80 anni? In Romagna si, beati voi.I contrasti non finiscono qui. Piréin vuolechiedere qualcosa a Ninòun ed introduce ildiscorso così: “Déi, sént un quèl!” (dì, ascoltauna cosa) Un doppio ordine che spiazzaqualsiasi forestiero che ora si domanda: Ma,devo parlare o devo ascoltare? Oppure, laGigia racconta una storiella divertente ad ungruppo di donne, le quali ogni tanto lainterompono battendo le mani: Sta zétt, stazétt!... Sembra che le vogliano chiudere labocca. E invece intendono incorraggiarla aproseguire il racconto. A volte commentanocon: “Va 1à, va 1à” ma non mandano vianessuno, sono soltanto increduli.Tutto chiaro? Ma...

dello, applicata ad un adolescente. Comun-que basta saperlo. Impariamo dunque: burdèl= ragazzo. Ma ecco che qualcuno ci toglie la

La padlaza... cos’era sta padlaza?all’apostolato; ragazzi affratellati a prova dibomba, uno per tutti e tutti per uno; ungruppo giovanile, come tanti altri, è vero,ma che ebbe la grande impareggiabile fortu-na di trovare sempre sulla sua strada deipreti eccezionali, dei sacerdoti indimentica-bili che seppero formare coscienze, soste-nere e spronare gli incerti, rincuorare etenere per mano i deboli, contenere i bollen-ti spiriti, favorire ascensioni dello spirito eavventure giovanili. Qualche nome?L’Arzipritòun - don Borghesi - poi parrocoa Gatteo - don Marchéin - quello del PiccoloClero - don Francesco - finito in Vaticano -don Iusèf e Gagiazz.Rievocare fasti e nefasti della padlaza diquei tempi ruggenti è impresa ardua. Esiste

il volume storico, che l’intramontabile Gigipubblicò dedicandolo “a coloro che solofisicamente ci hanno lasciato”.Leggo nella pergamena di inizio: Incruentirivoluzioni all’insegna della scopa e dellascranna - pacifiche invasioni notturne -Gianna e Marietta conturbanti visioni deiventanni - tormentati sonnellini in si bemolle

mentre sulla scena s’incupisce la tragedia -ubriacanti cuzédi - giuggiole e manoni -serate tempestose che trionfante l’iride co-rona - vecchia padlaza resti sempre unpoema. Un poema che abbisogna di qualchenota.Rivoluzione - Come ogni evento destinato afare storia, una rivoluzione diede il via al“nuovo corso”. Vennero bellamentedefenestrati i vecchi dirigenti, entrò ariafresca nell’organizzazione e nelle iniziati-ve. Rivoluzione pacifica, al motto di“Garnèda nova”, col classico Leader (Mari-no, imberbe fanciullo, divino monello - comeverrà celebrato in epiche canzoni), col risul-tato di una nuova sede, giochi di bocce nelcortile, campo di football ottenuto elimi-nando, con pacifiche notturne invasioni,cavoli e pomodori dall’orto curato daManghéin, e l’accorrere di tanti, tanti ragaz-zi.Gianna e Marietta - Le strascicanti perpe-tue canonicali, eterno “zugh de mèzz” distravaccati elementi perdigiorno.Tormentati sonnellini - Quellidell’Arciprete- che capitavano (Lui era l’im-pareggiabile suggeritore) al momento il piùinopportuno: la “britòuna” gli finiva sulnaso e Lui schiacciava il suo “palughéin”.Era il tempo della filodrammatica “tutta esolo maschile”, con Archivio primattore,Maragnòun che non sapeva mai la parte,l’Avucataz suo fratello che sacramentavacon “Porco Mazzini” anche in drammi delSettecento, Chiléin e Marino, e Berto ePato.... e il giullare Rabacéin....e le tournéesall’... estero (S.Angelo, Longiano, Sala,Cesenatico) in landò o in bicicletta.

di Paolino Severi

Bisogna essere negli “anta” per conoscernevita e miracoli. I giovani d’oggi, quelli spe-cialmente impegnati nella comunità parroc-chiale, se han sentito questo nome è statoperché, gliel’ha ricordato il babbo con lesolite litanie: “Ai miei tempi... quand’erogiovane, nella Padlaza...”, e giù un sospirone,cui faceva seguito l’immancabile: “Pa...come rompi, con questa solfa dellaPadlaza!!”. PADLAZA, dunque. E cioè? Ilvocabolo si fa riconoscere come peggiorati-vo dialettale di padèla = padella. Come equando sia venuto fuori, non saprei. Perdare una probabile spiegazione amo ricorre-re alla tradizione locale ottocentesca, che“peggiorava” tutto quanto sapeva di avver-sario. Basti ricordare la cambaraza dimazziniana memoria: il circolo o cameronedove si riunivano i Repubblicani in eternalotta coi rossi, i quali battezzavano il predet-to circolo molto spesso costituito da unlocale basso e fumoso - come cambaraza.Penso che, sia successo una cosa simile aGambettola, a proposito del primo ambien-te parrocchiale aperto ai giovani,spregiativamente chiamati “cul zèll” o“scuciarèll” (una buona conoscenza del dia-letto aiuterebbe ad afferrare la finezza diquesti epiteti....). Forse per invidia, forseper disprezzo, forse per burla, la nuova sedefu la padlaza ed i suoi soci queij dla padlaza.Ma, per “quei” giovani, più specificatamentela padlaza fu l’accolta di ragazzi con indi-rizzi ben precisi, con problemi, sconfitte evittorie, ragazzi tenuti insieme da ideali chesi richiamavano alla religione, alla famiglia,

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Giuggiole e manoni - Am-bedue dell’Arciprete: le pri-me, più allettanti del biblicofrutto del bene e del male; isecondi, che ti arrivavano e

ti ubriacavano.Serate tempestose - Frequenti e piuttostovivaci; solitamente ci andavano di mezzo icappellani, sui quali si scaricavano fulminie saette spettanti a “quei bravi ragazzi, chetu sai solo e sempre difendere”.La padlaza non fu mai elitaria. Nelle sue filetrovarono posto, con pari diritti e doveri,studenti eternamente al verde, universitariin perpetuo fuori corso, apprendisti che nonsi buscavano il becco d’un quattrino per unasigaretta, contadini delle Viole, Sotto eSoprarigossa, occupati e disoccupati,stracciaroli dello Staggio e figli di papà,abitanti dei ‘piani alti’ del Palazzone e citta-dini purosangue; tutti e solo una memorabi-le famiglia.L’Azione Cattolica - Organizzata ed effi-ciente - ricordare anche i Baschi verdi di

Carrettiana memoria - promuoveva scuoladi religione, con relativo concorso, esercizispirituali, vita eucaristica, adunanze a gettocontinuo (di gruppo, di categoria, genera-li....) una campagna annuale per dibattere epropagandare grossi temi (Più in alto - San-tificare la festa - Famiglia piccola chiesa),convegni di plaga e raduni diocesani.Per quelli della padlaza era un punto d’ono-re il vivere unitariamente queste iniziative.E sempre sotto la guida di quei sacerdoti dicui s’è detto, vigili e sensibili antenne atte acaptare varianti umori, iniziali crisi esisten-ziali, eventuali sbandate cui porre riparo.

E da questa “formazione” pigliavano sensotutte le altre attività esterne, che andavanodalle ORE JU (su palchi rimediati alla buo-na s’alternavano can...tanti, dicitori più omeno fini, pseudo cronisti di vita paesana -i feroci Bollettini di Pippo e Lippi conl’occhio puntato sui “migliori”: il Guidazzipiè veloce, Cagarèla e che bèl fiòl dla Bian-ca, Zeveri e Picotto, Badoglio in eterna

fregola canora, Ciccone re della notte, Bagitcassiere e infame complice di fregaturecinematografiche -, generici e virtuosistrumentisti - si produsse, in un assolo diviolino, anche Aldo Ugolini; e fu uno stra-zio; e riscosse fischi e cetrioli; lui stettebellamente allo scherzo, ma non concesse ilbis, scusandosi col dire che Paganini “non siripete” -), alle Pasquelle, alle serenate(Rabagliati solista, Rico mandolinista), aicampeggi sulle Dolomiti o alle Balze condon Secondo, alle feste per le lauree o per isospirati matrimoni, durante i quali c’erache sbafava per quattro (vedi il duo Benito- Moro), alla Schola Cantorum, alle cenesociali, alle gite...Questo, e molto altro ancora, era la padlaza,che visse i suoi anni gioiosamente, in serenae cordiale amicizia, tutta tesa a concretizza-re i grandi ideali dell’ A.C. nella vita, fortu-nata per avere avuto, sempre, accanto deimeravigliosi, indimenticabili sacerdoti.Tutto qui? Credetemi: non è poco.

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a cura di Vincenzo Franciosida “Millelibri”

Alessandro BariccoOCEANO MARERomanzo-fiaba, poetico e crudele cometutte le fiabe, vincitore del PremioViareggio 1993.

Paolo MaurensigLA VARIANTE DI LUNEBURGHerr Frisch “una di quelle persone allequali il successo sembra arridere in tuttii campi” è trovato morto al centro dellabirinto di verde, non unico capricciodella sua residenza di 28 stanze, dove,anziano, s’è rifugiato a coltivare la pas-sione per gli scacchi. Disgrazia, suicidio,o....

Giovannino GuareschiCHI SOGNA NUOVI GERANI?Quando scrive queste nostalgie,Guareschi è un ufficiale prigioniero deitedeschi. Questo libro, il cui titolo èl’anagramma dell’autore, raccoglie testidi taccuini inediti, brani di lettere, pezzipubblicati su “Oggi”, “Candido”, “ilBorghese”. Un insieme che permette diconoscere uno degli scrittori italiani piùpopolari, ma sempre snobbato dalla cri-tica ufficiale.

Enzo MagrìI LADRI DI ROMA

Cent’anni fa il crac della Banca Romanasvelò i rapporti corrotti fra politica efinanza:ministri, giornalisti e portaborseerano stati “aiutati” in cambio di illecitifavori dal banchiere Tanlongo che, persostenere il pesante onere, aveva stam-pato, con la complicità di insospettabilideputati, milioni di lire false.L’autore non insiste nell’accentuare lesimilitudini con Tangentopoli: tanto gliscandali parlano da soli.

Anna CataldiSARAJEVO. VOCI DA UN ASSEDIOL’autrice, che per l’UNICEF fa la spolatra l’Italia e Sarajevo, ha raccolto letterescritte, ad amici e parenti rifugiati in postipiù sicuri, o riparati all’estero, dagli abi-tanti della città assediata.

Giovanni PacchianoDI SCUOLA SI MUORELa lunga appartenenza di Pacchiano allaclasse dei presidi, gli permette di affronta-re i tanti, troppi problemi della scuolaitaliana con una indiscussa ed elegantissi-ma padronanza degli argomenti.E la sicurezza con cui si muove nell’insi-dioso elemento è tale da indurlo a trasfor-mare il suo saggio in uno sketch esila-rante.

Tra i libri a disposizione presso la Biblio-teca Comunale di Gambettola segnalia-mo:

ATTUALITÀ

Nando Dalla ChiesaMILANO-PALERMO.LA NUOVA RESISTENZA

Carlo PalermoL’ATTENTATO

Sebastiano MessinaNOMENKLATURA

Giorgio BoccaL’INFERNO

Enzo BiagiUN ANNO, UNA VITA

NARRATIVA ITALIANA

Tommaso LandolfiLE DUE ZITTELLE

Stefano BenniLA COMPAGNIA DEI CELESTINI

Stefano BenniCOMICI SPAVENTATI GUERRIERI

NARRATIVA STRANIERA

Manuel Vazquez MontalbanGLI UCCELLI DI BANGKOK

Friedrich DurrenmattIL GIUDICE E IL SUO BOIA

Doris LessingRACCONTI LONDINESI

Gabriel Garcia MarquezDODICI RACCONTI RAMINGHI

Banana YoshimotoKITCHEN

Stephen King: IT

Roy LewisIL PIÙ GRANDE UOMO SCIMMIADEL PLEISTOCENE

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PREMIO “NEMO PROPHETA IN PATRIA?” 1993

di Bruno Alberti

Il riconoscimento, ideato dal Gruppo cultu-rale Prospettive di Gambettola, viene asse-gnato, ogni anno, ad un cittadino nato ovissuto a Gambettola o che, comunque, haavuto a che fare con Gambettola, distintosinell’impegno sociale, culturale, artistico,professionale. Quest’anno la Commissionedel premio, sulla base delle segnalazionipervenute e dei criteri che si é data in occa-sione dell’istituzione del premio, ha indivi-duato un cittadino che opera con ecceziona-le maestria nel campo dell’artigianato arti-stico e che, da sempre, costituisce un puntodi riferimento nella vita pubblica del nostropaese. Un rappresentante esemplare di quelmondo dell’artigianato vero che, purtroppo,va scomparendo nonostante le valenze cul-turali, sociali, economiche che presenta,nonostante l’affetto e la riconoscenza che locirconda. Ciascuno di noi ha nel cuore ilmondo della “bottega”, ciascuno di noi hafra i ricordi più cari la mano, la pazienza,l’arguzia del “ suo artigiano”.I miei “artigiani”, in quella magnifica fuci-na che erano le case di “Baracoun”, i cuifasti stanno, per fortuna, rinverdendo graziealla meritoria operazione di Angelo Grassie la sua Fabbrica, sono stati “ e dantesta”,“Romano e sert”, “Gino e calzuler”. Sonoricordi magnifici, sensazioni uniche, che miporterò sempre dietro con quel tanto diamarezza per non aver mai lavorato a botte-ga.Gli stampi di gesso delle bocche in bellafila, l’odore della cera riscaldata che pren-deva forma, la mano così abile con l’ago, leasole perfette, l’andirivieni del ferro a car-bone, il banchettino, il trincetto, la lesina,l’odore della pece, emozioni magiche che,amplificate dalla suggestione del ricordo,fanno parte della mia infanzia in manierapregnante, totale. Nell’artigiano c’è qualco-sa di comune e nello stesso tempo di unico,che ci appare prezioso, che vorremmo con-servare: lo riconosciamo depositario di unacapacità individuale, talvolta eccezionale,e, insieme di possibilità e attitudini colletti-ve che si diramano in tutti noi.Nel nostro immaginario l’artigiano è solo,ma lavora interpretando un sapere collettivoche viene da lontano, la sua arte, così indi-viduale, riflette linee, forme, colori, abilitàche appartengono a un vissuto che è suo, ma

Gambettola 05.11.1993TEATRO FULGOR

QUATTRO INCONTRI E DUE VISITE GUIDATE SULL’ARCHEOLOGIADEL TERRITORIO FRA RIMINI E CESENA

Sala Riunioni del Municipio di GambettolaLunedì - ore 21

Relatore: Prof.ssa SARA SANTORO BIANCHIUNIVERSITA’ DI BOLOGNA-PARMA

25.10.93 Archeologia del territorio: dall’indizio all’interpretazione2.11.93 Fra Umbri, Etruschi e Greci: una terra di passaggio7.11.93 Visita al Museo villanoviano di Verucchio8.11.93 Campi come giardini: l’occupazione romana del territorio

14.11.93 Visita al Museo Archeologico di Rimini15.11.93 Verso un nuovo mondo: dalla romanità al medioevo

Sara Santoro Bianchi insegna archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Uni-versità di Parma e archeologia romana all’Università di Bologna. E’ direttore delMuseo Civico Archeologico di Bazzano e della rivista Quaderni della Rocca.Conduce importanti scavi nell’Italia settentrionale e ha pubblicato numerosi studi sulterritorio romagnolo. Collabora a riviste e gruppi di ricerca italiani e stranieri. Vivea Cesena.

FRA IL MONTE E IL MARE:ARCHEOLOGIA DI UN TERRITORIO

Presentano:

GRUPPOCULTURALE

PROSPETTIVE

BIBLIOTECACOMUNALE

GAMBETTOLA

non soltanto suo.Ma c’è di più: la bot-tega non era e non ésolo luogo di pro-duzione, ma ancheluogo di incontro,di dibattito, di scam-bio di opinioni, unavera e propria Scuo-la di vita.Ed è proprio ad unvero maestro che ilGruppo Prospettivesi pregia di assegna-re il premio “NemoPropheta in Pa-tria?”.

Premio “Nemo Proheta in Patria” 1992consegnato a Don Dino Cedioli

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re tragedia irrepara-bile. In una societàdove spesso non sisapeva cosa accade-va a pochi chilometridi distanza, dovel’assistenza medica ele comunicazionierano precarie, dovela miseria e l’igno-ranza erano lanormalità, il riparodal pericolo e la so-luzione della trage-dia era quasi sempreconsiderato l’inter-vento divino.Gli ex voto più inte-ressanti sono quasi sempre quelli che ri-guardano il mondo delle campagne e quellodel mare. Il pittore di queste tavolette èpittore elementare che non ricerca rappre-sentazioni fantastiche. Cerca di riflettere inmodo immediato e fedele la realtà quotidia-na e l’accaduto. Esse assumono perciò lostraordinario valore di una documentazioneespressa ed elaborata con realismo dallaparte di coloro che non sanno altrimentiparlare di sé, senza la mediazione scritta deigruppi dominanti.In particolare in quelli “agricoli” traspaionochiaramente alcune caratteristiche del mon-do contadino: l’essere sempre aggrappatialla questione della vita e “della roba”, deifamiliari in età lavorativa, degli averi, delle

di Arturo Zani

Gli ex voto che qui presentiamo sono tavo-lette votive “Per Grazia Ricevuta”. Eranoun modo per ringraziare “il divino” per loscampato pericolo: un incidente, una malat-tia grave, la liberazione dal demonio, unatempesta, ecc.... Esse, con buona approssi-mazione, possono definirsi materiali “dia-lettali-figurativi”, fonti di notizie molto vi-cine alla “tradizione orale”.Raffigurano la straordinarietà e laquotidianità del mondo rurale, del mondodel mare e del mondo urbano. Le tavolettedipinte diventano per noi testimonianza di-retta dei costumi e dei modi di vita dellagente di Romagna. Gli episodi che vi sonoritratti o sono dipinti direttamente dal prota-gonista o, nella maggioranza dei casi, sonodipinti su commissione. Le classi agiate sirivolgevano ad artisti veri e propri, gli altrisi rivolgevano ad artigiani del colore, aipittori di santuario o a coloro che decoravanoi carri e i birocci.Tutto questo materiale, situato spesso neisantuari mariani, rappresenta un patrimoniooriginale che illustra la cultura materiale deisecoli passati. In queste tavolette dipintevengono rappresentati momenti che, purnella tragica drammaticità dell’accadimentostraordinario, testimoniano di una vita dura,faticosa. Si rappresentava la paura e l’ango-scia di fronte a fatti accidentali ricostruitisulla base del raccontato e si ringraziava perla felice conclusione di ciò che poteva esse-

GLI EX VOTO DI CESENA E DELLA ROMAGNA:UN PATRIMONIO PIENO DI STUPORE E DI STORIA

“Naufragio - metà XVI° secolo”

bestie e degli attrezzi, delle persone feritedurante il lavoro. Si ringraziava di avereavuto la possibilità di continuare a vivere ea lavorare seppure fra mille stenti. Questi exvoto possono essere utili anche come mate-riale di ricerca storica. Essi introducono ciòche la ritrattistica ufficiale, fino all’inven-zione della fotografia, non ritraeva se nonnella falsa visione arcadica e manierata. Ilmondo rurale, attraverso gli ex voto,riacquista il diritto all’immagine autentica:paesaggi agrari visti attraverso gli occhi dichi con la propria fatica li ha modellati,strumenti di lavoro, abitazioni, vestiti, ecc..In queste tavolette votive si documenta e siinterpreta la storia di uomini da sempreridotti a dato demografico, numero di cadutiin guerra, forza lavoro da sfruttare.Materialmente gli ex voto di cui trattiamosono realizzati su tavolette di legno, su cartapoi applicata al legno, su tela. Il colore usatomaggiormente è quello ad olio, ma ricorren-te è anche l’uso della tempera e a volte anchedell’acquerello.Nel santuario della Madonna del Monte diCesena vi è una delle raccolte più importantid’Italia. Ve ne sono conservate più di 500.Ed esse sono solo una parte di quelle che neisecoli sono state “donate” al santuario. Tan-tissime sono andate distrutte o disperse (guer-ra, incendi, furti, umidità, ecc..). Le piùantiche sono del XV° secolo e le più recentidel XX° secolo. Fra tutte queste ve ne sonoun certo numero di notevole pregio artisti-co.A Rimini esistono due santuari dove lapresenza degli ex voto è di un certo interes-se; la Chiesa della Madonna della Miseri-

“Caduta dall'albero - inizi XIX° secolo”

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cordia e il Santuario della Madonna delleGrazie di Covignano (36 e 16).Nel Santuario della Cella di Banora aMontefiore Conca ve ne sono 16. ALongiano, nel Santuario del Crocifisso vene sono 11, purtroppo in cattive condizioni.A Fiumicino, nel Santuario Mariano ve nesono rimasti 21 da una collezione che con-tava circa 150 pezzi. In cattive condizionisono anche le 9 tavolette al Santuario dellaSelva vicino Forlì.Come dicevamo, questo materiale oltre adavere un certo valore religioso, folcloristicoe a volte artistico, ha un interessante valoreper la ricerca storica. Se prendiamo comeesempio quelli che ritraggono il mondo agri-colo essi ci aiutano a ricostruire la storiadell’abbigliamento e del modo di vestiredella gente di campagna per 5 secoli. Cosìancora per la storia dell’insediamento ruralein Romagna, per ricostruire l’evoluzionedei carri agricoli e dei mezzi di trasporto. Inquesto caso la ritrattistica delle tavolettevotive mette in discussione la tesi che farisalire il carro agricolo romagnolo alla cul-

tura celtica. Ipotesi questa che tende a vede-re cristallizzato ed immodificato per tantisecoli questo strumento di lavoro che inve-ce, come si vede dagli ex voto, è statoestremamente sensibile ai mutamenti strut-turali e all’evoluzione concreta dell’agri-coltura. Poche sono le testimonianze di que-sto mezzo di trasporto nei secoli XVI EXVII. Proprio per questi secoli le tavolettecesenati sono numerose e forniscono inte-ressanti notizie.Lo stesso discorso potrebbe essere fatto peril modo di aggiogare i buoi, i lavori e glistrumenti agricoli, il tipo di coltivazioni.Attenzione però, le tavolette votive nonvanno utilizzate come libri di storia, sareb-bero così enfatizzate e caricate di un signi-ficato organico che non hanno. Vanno con-siderate invece un contributo, spesso im-portante, per costruire dei pezzi di storia esoprattutto della storia della civiltà materia-le.Esse aiutano a capire i problemi concreti emateriali ed il forte intreccio del viverequotidiano in campagna con l’ideologia di

quel mondo, il suo modo di pensare, la suapsicologia, i timori e le speranze di quelledonne e di quegli uomini: l’intreccio fral’economico ed il privato, l’importante con-nessione fra religiosità e realtà quotidiana.Servono, in definitiva, per andare più afondo nella lettura di “tranche de histoire”.Pezzi di storia di quei “piccoli uomini”sempre poco considerati dai libri fino aiprimi di questo secolo. Negli ex voto acqui-stano dignità questi dimenticati, che dove-vano solo lavorare, per pagare le pigioni ecorrispondere la metà della loro fatica alpadrone: recuperano la loro dimensioneeconomica ed umana: la Storia non è solodei grandi personaggi, anzi è la storia diquesti “piccoli uomini e donne” che fa muo-vere il mondo.Se si vuole allora passare una giornata di-versa ed interessante, non è una cattiva ideaassumere come meta questi santuari ed an-dare a curiosare fra questo patrimonio difigurazione religiosa e popolare che copreun arco di tempo dal XV al XX secolo. Lostupore è assicurato.

&CURIOSITÀ

Il pesodel tempo

Soluzione al quesito precedente: Durante la caduta della sabbia ogni clessidra ha lo stessopeso nonostante che parte della sabbia sia nell'aria. La forzaaddittiva è dovuta all'urto. Il peso delle clessidre variasolamente nel momento iniziale e finale.

Perché la mucca rimane uccisa anche se ilfulmine ha colpito qualcos’altro?

Caduta di fulmini su terreni aperti

Se siete presi da un temporale, non dovetestare in piedi sotto un albero e dovrestetenere la testa più bassa degli oggetti che vicircondano. Perché l’albero è pericoloso?Non siete abbastanza al sicuro finché ve nestate lontani dal tronco? E' il caso di starestesi a terra? Ciò darebbe alla vostra testa laminima elevazione possibile, ma c’è unqualche rischio aggiuntivo a cui si va incon-tro giacendo a terra?

Le vacche sono spesso uccise o ferite dalfulmine. Non solo esse stanno comunemen-te allo scoperto e cercano spesso riparo sottogli alberi, ma la separazione fra le lorozampe posteriori e le anteriori accresce ilpericolo. Esse sono perciò simili a un uomosdraiato. Ancora una volta: perché questo èpericoloso?

Page 20: C'è un salotto nel Bosco - Gruppo Culturale PROSPETTIVE · liani per le sue caratteristiche tecniche. ... Sotto il manto oscuro di quella notte, per me senza fine, la mente si aggrovigliava

L'AngoloPag.16

di Gatteo

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