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1 Cause e conseguenze della trasformazione dell economia meridionale in una pentola bucata Massimo Lo Cicero 1 . La “pentola bucata”: una diagnosi e una terapia per chiudere il dualismo tra le due Italie Dualismo e divario sono due categorie interpretative che hanno di- viso da sempre i meridionalisti italiani. Il meridionalismo ha tentato di descrivere il carattere frammentato e ambiguo delleconomia e della so- cietà italiana per definire, una volta raggiunto un ragionevole e affidabi- le giudizio analitico, una politica economica, la terapia, idonea al supe- ramento di quella patologia. Divario è una misura differenziale del me- desimo stato delle cose; dualismo rappresenta, al contrario, una diffe- renza radicale, una eterogeneità, di natura e di comportamento nellam- bito della partizione in due sistemi del sistema nazionale che si sta ana- lizzando. In un libro recente 1 , edito da Laterza e realizzato da un gruppo di eco- nomisti composto da Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi e Paolo Savona, si offre una prima base quantitativa che supporta unaffidabile e fondata mo- tivazione allaffermazione che leconomia italiana abbia un carattere intrin- secamente dualistico e non sconti solo un differenziale di crescita, un diva- rio, tra le due macroaree che in essa convivono: il Mezzogiorno e il Centro Nord, seppure a sua volta articolato almeno in altre due tipologie eteroge- 1 Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi, Paolo Savona (a cura di), Sviluppo, rischio e conti con lesterno delle regioni italiane, prefazione di Roberto Nicastro, Editori Laterza Unicredit, Roma Bari 2010 07 Lo Cicero 02/12/10 15.36 Pagina 1

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C a use e conseguen ze dell a t r asfo r m a z ionedell’economi a mer id ion a le

in un a “pentola buca ta ”

Massimo Lo Cicer o

1 . La “pentola bucata”: una diagnosi e una terapia per chiudereil dualismo tra le due Italie

Dualismo e divario sono due categorie interpretative che hanno di-viso da sempre i meridionalisti italiani. Il meridionalismo ha tentato didescrivere il carattere frammentato e ambiguo dell’economia e della so-cietà italiana per definire, una volta raggiunto un ragionevole e affidabi-le giudizio analitico, una politica economica, la terapia, idonea al supe-ramento di quella patologia. Divario è una misura differenziale del me-desimo stato delle cose; dualismo rappresenta, al contrario, una diffe-renza radicale, una eterogeneità, di natura e di comportamento nell’am-bito della partizione in due sistemi del sistema nazionale che si sta ana-lizzando.

In un libro recente1, edito da Laterza e realizzato da un gruppo di eco-nomisti composto da Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi e Paolo Savona, sioffre una prima base quantitativa che supporta un’affidabile e fondata mo-tivazione all’affermazione che l’economia italiana abbia un carattere intrin-secamente dualistico e non sconti solo un differenziale di crescita, un diva-rio, tra le due macroaree che in essa convivono: il Mezzogiorno e il CentroNord, seppure a sua volta articolato almeno in altre due tipologie eteroge-

1 Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi, Paolo Savona (a cura di), “Sviluppo, rischio e conticon l’esterno delle regioni italiane”, prefazione di Roberto Nicastro, Editori LaterzaUnicredit, Roma – Bari 2010

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nee ma più affini tra loro, il Centro Nord Est ed il Nord Ovest. Il volume diLaterza contiene una prefazione di Roberto Nicastro e dieci capitoli.

Il primo e il nono, presentano lo schema logico del quale si cercauna evidenza empirica e una significatività in termini econometrici non-ché un bilancio della ricerca e dei suoi risultati. I sette capitoli, intermeditra gli estremi di cui si è appena detto, sono monografici e dedicati agliapprofondimenti in punto di analisi, di quantificazione dei fenomeniosservati e di elaborazione econometrica degli stessi. Il decimo capitolooffre una nota metodologica sulla stima del commercio interregionaledelle regioni italiane, dal 1995 al 2005.

La pietra angolare di questa ricerca, e dei suoi risultati, è un approc-cio abbastanza singolare ai problemi dell’economia regionale.

Partire dalla bilancia dei pagamenti2 di una regione, ancorché com-presa nel perimetro di una nazione, è una opzione abbastanza inedita esingolare. A maggior ragione quando si rifletta sul fatto che non sussi-stono alcune condizioni molto caratterizzanti di un approccio da “eco-nomia aperta” ai problemi economici di ambito territoriale. Evidente-mente non esistono in ambiti territoriali definiti, e inclusi in un perime-tro nazionale, né una banca centrale né una valuta nazionale che fungada moneta legale né, tanto meno di un regime giuridico che separi, perla regolamentazione come per la legislazione, la disciplina del commer-cio e quella della finanza da quelle vigenti nelle regioni limitrofe, o inquelle remote che appartengano alla medesima nazione. Il caso italianonon era mai stato valutato in questa chiave e con la finalità di dare unarappresentazione macroeconomica dell’impatto tra la bilancia commer-ciale, il bilancio pubblico e la dimensione del risparmio netto generatodalla formazione e dagli impieghi del reddito3.

2 Nella vasta letteratura, e tra i numerosi manuali che descrivono la struttura della bilanciadei pagamenti, ricordiamo Giancarlo Gandolfo, Economia monetaria in ter na z iona le,Isedi, Milano 1978 e Francesco Forte e Francesco Scacciati, La bilancia dei pagamen ti,Guida a l l a lettura , Etas Libri, Milano 1980, ma anche Gregory Mankiw, Princ ipi d iEconomia, Zanichelli, Milano 2001, e in particolare la parte IX del volume.3 Si tratta della nota identità contabile, che si ricava dalla equazione che descrive ladomanda aggregata Y + M = C + I + G – T + E . Identità che si può descrivere, ex post,una volta considerata la offerta aggregata uguale alla domanda aggregata (Y = X).

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Che cosa spinge gli autori del libro a utilizzare un simile approccio?Paolo Savona aveva già presentato questa interpretazione possibile

della mancata crescita dell’economia meridionale negli anni alle nostrespalle4.

Ma ci sono anche molti motivi, che derivano dalle trasformazionidella struttura economica alla scala mondiale, che sono intervenute ne-gli ultimi venti anni, per assumere una simile prospettiva.

La globalizzazione del mercato mondiale pone in primo piano la re-lazione tra crescita, tassi di cambio e squilibri nelle bilance dei paga-menti tra le singole nazioni e tra le grandi aree valutarie5.

La globalizzazione del mercato mondiale ha anche proposto al-l’attenzione degli analisti economici sia le relazioni gravitazionali, re-lative alla prossimità e alla connessione tra economie diverse, che laopportunità di creare filiere lunghe, che attraversino i confini di piùStati nazionali, dando luogo a sistemi di imprese frammentati ma con-sistenti: sotto il profilo della unità di gestione strategica e della capa-cità organizzativa complessiva dell’insieme delle stesse imprese in es-

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La identità in questione esprime la impossibilità, per una economia nazionale, e lo Statoche la governa, di essere, al medesimo tempo, esportatore netto e presentare un deficitdi bilancio tali da rendere insufficiente il risparmio nazionale prodotto al netto degliinvestimenti privati realizzati. In simboli (S – I) - (E – M) + (G – T). Dove S sta per risparmio,il prodotto disponibile meno i consumi privati; I per investimento; E per Esportazioni edM per importazioni; G per la spesa pubblica e T per il volume di tasse e imposte, prelevatoper finanziare la spesa pubblica.4 Si veda, in particolare, Paolo Savona, Una interpretazione finanziaria delle risorse rea liper lo sviluppo regiona le, “La programmazione in Sardegna”, numero 28/29, 1970 e PaoloSavona, Stru tture fin anz iarie e svi luppo economico, Guerini e Associati, Milano 1989,ma anche Arthur M. Okun, Equ a l i ty a nd Ef f ic ien cy: the big tradeof f, The BrookingInstitution, Washington DC, 1975. Ulteriori e diffusi riferimenti bibliografici si leggono,ovviamente, nel volume citato alla nota 1.5 Si veda la vasta letteratura sugli squilibri delle bilance commerciali e sui deficit del settorepubblico, alimentata nella sede dei grandi organismi economici multinazionali, BancaMondiale, Fondo Monetario, Oraganizzazione per la cooperazione e lo sviluppoeconomico. Tra gli altri si veda, in particolare, Luiz de Mello and Pier Carlo Padoan, AreG loba l Imba la nces Susta in able? Post-Crisis Scen arios, OECD Economics Departmen tWorking Papers, No. 795, OECD Publishing, 2010. Da ultimo si veda uno stimolanteintervento di Dani Rodrik, Dopo le delusione del G-20. Di governance e delle sue regolesi può soffocare, traduzione italiana su “Il Sole 24 ore”, del 15 novembre 2010.

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si presenti6. Nel volume di cui si parla in questo scritto, infine, si ritro-va, nel testo come nelle fonti citate, una meritata attenzione alle de-terminanti e alle conseguenze dei modelli di analisi del commerciointernazionale e alla importanza delle teorie del vantaggio competiti-vo e della specializzazione settoriale della base economica dei singolipaesi: temi sui quali si è cimentato molto nel suo lavoro scientificoPaul Krugman7 che, per l’attenzione e la qualità della sua analisi, neha tratto anche il riconoscimento di un Premio Nobel.

Il tratto originale del volume in questione è rappresentato dallacombinazione tra gli elementi che emergono dalla citata letteratura,che mette insieme la teoria della crescita con l’analisi dell’economiainternazionale e delle sue trasformazioni, al fine di valutare proble-mi di ordine regionale che venivano, più tradizionalmente, collocatinell’ambito delle politiche economiche valutate e programmate inun ambito domestico e locale.

Ovviamente, l’assenza di una banca centrale regionale e di unavaluta locale come moneta legale, e il fatto che – all’indomanidell’ingresso dell’Italia nel regime monetario dell’euro e nella di-mensione del grande mercato unico europeo – sono molti i paesinei quali le regioni italiane esportano in aggiunta al commercioche esse intrattengono con le stesse regioni italiane (disponendodella medesima valuta ma di legislazioni nazionali puntuali) gene-rano sia problemi di rilevazione statistica dei relativi flussi com-merciali sia problemi collegati alle transazioni finanziarie e banca-

6 Sul primo tema, i modelli gravitazionali e la relazione tra economie contigue, sia consentitorimandare a Cesare Imbriani e Massimo Lo Cicero, Gli effetti dell’allargamento dell’UnioneEuropea. Politiche industriali compatibili e disuguaglianze strutturali, in “Politica AgricolaInternazionale”, n. 2, aprile-giugno 2003. Sul secondo, l’analisi della frammentazione tra imprese,ma riconducibile a un piano meta-organizzativo di cooperazione ed integrazione tra le medesime,si leggano, tra gli altri, Sven William Arndt and Henryk Kierzkowsky, eds, Fragmentation. NewProduction Patterns in the World Economy, Oxford University Press, New York 2001; A. Petrucciand B. Quintieri, Will Italy Survive Globalization?, in Arndt and Kierzkowsky (2001); A. Sapir(edited by), Fragmented Power: Europe and the Global Economy, Bruegel Books, Brussels 2007.7 Si veda, in particolare, il capitolo 2 di Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi, Paolo Savona,(a cura di), op. cit.

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rie, i “movimenti di capitale”, che a quelle transazioni commercialisi affiancano8.

Il dato di fatto dal quale si parte nel riconoscimento di un carattere dua-listico, e non nella ricerca dei motivi di un persistente divario tra le due Italie,viene offerto proprio dalla rilevazione dei flussi commerciali tra le regioniitaliane e tra le singole regioni italiane e altre economie nazionali. Dal 1995al 2005 questi flussi sono stati rilevati e quantificati e il segno finale di que-ste transazioni presenta un carattere di stabilità significativo, che permette digiudicare duale, e non solo divaricato nei tassi di crescita, il sistema econo-mico italiano proprio a partire dalla persistenza di un regime di importazio-ni nette, per un insieme di regioni, e di esportazioni nette, per l’altro insieme.

Esiste e viene rilevata, inoltre, anche una marcata correlazione tra le re-gioni che sono esportatori netti verso le altre regioni italiane e quelle che losono anche verso altre economie nazionali. Mentre esiste una correlazionealtrettanto significativa tra importatori netti, sia dal resto dell’economia italia-na sia da altri paesi del mondo. Una complementarietà, che si traduce pro-gressivamente in un dato preoccupante, si presenta invece, in termini di dina-mica economica, osservando i dieci anni delle serie storiche prese in esame.

Mentre per molti anni alle nostre spalle, prima del terzo millennio, l’e-conomia del Paese, considerata come un tutto, compensava con le pro-prie esportazioni nette il volume di importazioni nette generato dall’altrametà del sistema, negli ultimi anni, e in particolare per quelli successivi al2005, si osserva il venir meno delle caratteristiche export led del sistemaitaliano come un tutto, ancorché duale al suo interno.

In altre parole, sta venendo meno la capacità di esportare un volu-me, adeguato in valore, per compensare il volume di importazioni chesi generano nella macroregione importatrice netta del Paese, simmetri-ca rispetto a quella che si configura come esportatrice netta.

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8 Si leggano in proposito le analisi di R. Jones, and H. Kierzkowski, The Role of Servicesin Production and Internationa l Trade: A Theoretica l Framework, 1990 in R. Jones andA. Krueger (eds), The Politica l Economy of Interna tiona l Trade: Festschrift in Honor ofRobert Ba ldwin, Oxford: Basil Blackwell, ma anche Henryk Kierzkowski and LurongChen, Ou tsourc ing a nd Trade Imba la nces : The Un ited Sta tes – Chin a Case, “PacificEconomic Review”, Volume 15, Issue 1, pages 56–70, February 2010.

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Il sistema italiano, nel suo complesso, insomma, potrebbe diventarestabilmente un sistema importatore netto, con tutte le conseguenze delcaso, cioè con una chiusura del dualismo per adeguamento alla condi-zione peggiore e non a quella migliore, tra le due che ne definiscono lapolarità reciprocamente opposta. Il rischio di questo esito si è chiara-mente manifestato, come si esporrà meglio nel seguito, nel decennio1995-2005.

Occorre vedere quali siano le regioni esportatrici nette e quali quel-le che chiudono i propri conti correnti con l’estero in termini di importa-zioni nette. Essendo ormai chiaro che l’effetto “pentola bucata” si riferi-sce proprio alla circostanza che, in termini finanziari, si debba registrareun ingresso di risorse monetarie che alimentano la spesa delle famigliee delle imprese, destinatarie di quei trasferimenti dall’esterno della re-gione considerata, per consumi e investimenti in regioni, o in paesi di-versi. In queste circostanze, le regioni meridionali, che sono quelle im-portatrici nette stabilmente, diventano tipicamente definite da due squi-libri: una dipendenza dai flussi finanziari necessari per generare una do-manda aggregata superiore alle dimensioni dell’offerta aggregata loca-le; una dimensione del risparmio locale insufficiente per coprire il fab-bisogno di investimenti e una dimensione del reddito disponibile proc api te che risulta superiore a quello del reddito prodotto pro c api te,confermando implicitamente come necessaria la dipendenza dai flussifinanziari esterni per la chiusura del circuito regionale del reddito e del-la produzione.

2. Il Sud e il Nord e le bilance commerciali delle regioni italiane9

A partire dagli anni novanta si nota, nella dinamica delle esportazioniitaliane, una contrazione progressiva della loro quota sul mercato inter-

9 Tutti i dati e le interpretazioni dei dati stessi, richiamati in questo paragrafo, sonoampiamente riportati nel capito 2 del volume Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi, PaoloSavona (a cura di di), op. cit.

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10 Mario Draghi affronta questo tema in almeno tre occasioni.Le Considerazioni Finali sull’andamento dell’economia italiana nel 2009, lette il 31 maggio2010, nelle quali scrive che “Nell’Unione monetaria stagnazione, disoccupazione e, allalunga, tensioni nel bilancio pubblico sono l’inevitabile conseguenza della perdita dicompetitività. La correzione dei conti pubblici va accompagnata con il rilancio dellacrescita. Nei dieci anni precedenti la crisi, la produttività di un’ora lavorata è salita del 3per cento in Italia, del 14 nell’area dell’euro. Negli stessi anni l’economia italiana è cresciutadel 15 per cento, contro il 25 dei paesi dell’area. Il tasso di occupazione degli italianiresta basso, 57 per cento nel 2009, 7 punti meno che nell’area; il divario è più ampio peri giovani e raggiunge 12 punti per le donne. In molte altre occasioni abbiamo affrontatoil tema delle riforme strutturali. La crisi le rende più urgenti: la caduta del prodotto accrescel’onere per il finanziamento dell’amministrazione pubblica; i costi dell’evasione fiscalee della corruzione divengono ancora più insopportabili; la stagnazione distrugge capitaleumano, soprattutto tra i giovani”.Nell’intervento alla Giornata mondiale del Risparmio, dove traccia un bilancio delledivergenze sulla politica economica praticata nelle diverse aree regionali dell’economiamondiale, il 28 ottobre 2010. “La ripresa dell’economia è forte nei paesi emergenti, debolenegli Stati Uniti,diseguale nell’area dell’euro. Le risposte di politica economica sonodifformi. Le politiche monetarie restano ovunque espansive, ma mentre nell’area dell’eurosi inizia a discutere di un rientro, negli Stati Uniti si preannunciano ulteriori ampliamentidella liquidità attraverso acquisti di titoli del Tesoro da parte della Riserva Federale. InEuropa le politiche di bilancio sono ormai decisamente orientate a contenere i disavanzie a ridurre il debito; non così altrove. Interventi sui cambi sono utilizzati in alcuni paesiper sostenere le esportazioni. Gli squilibri nei pagamenti internazionali tornano adampliarsi; le valute il cui cambio è lasciato alla determinazione del mercato risentono deldivaricarsi delle politiche e delle conseguenti tensioni speculative; la stessa ripresamondiale è a rischio. Non vi è altra risposta che un più stretto coordinamento tra lepolitiche economiche dei principali paesi”.E, infine, nella lezione magistrale che tiene nella Università di Ancona il 5 novembre2010. “Secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, la quota dell’area dell’euronel PIL mondiale, pari nel 2000 al 18 per cento, a parità di potere d’acquisto, scenderàal 13 nel 2015. Nello stesso periodo la quota dei paesi emergenti asiatici raddoppierà,dal 15 al 29 per cento: non tanto a causa della crescita della popolazione, quanto perl’aumento del PIL per abitante, che passerà nel 2015 al 20 per cento di quello dell’areadell’euro, dall’8 del 2000. È sufficiente questo dato per descrivere il mutamento radicalenegli equilibri economici mondiali. La nostra economia ne risente più di altre. Essamanifesta da anni una incapacità a crescere a tassi sostenuti; l’ultima recessione ha fattodiminuire il PIL italiano di quasi 7 punti. Abbiamo subito una evidente perdita dicompetitività rispetto ai nostri principali partner europei. Tra il 1998 e il 2008, nei primi

nazionale, sia in valore sia in volume. Il fenomeno si presenta in terminiaggregati e questa circostanza induce a considerarlo come un effetto diuna progressiva perdita della capacità di competere del nostro sistemaeconomico10. Ma molte analisi puntuali su imprese e sistemi o reti di im-

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dieci anni dell’Unione monetaria, il costo del lavoro per unità di prodotto nel settoreprivato è aumentato del 24 per cento in Italia, del 15 in Francia; è addirittura diminuitoin Germania. Questi divari riflettono soprattutto i diversi andamenti della produttività dellavoro: in quel decennio, secondo i dati disponibili, la produttività è aumentata del 22per cento in Germania, del 18 in Francia, solo del 3 in Italia. Nello stesso periodo il costonominale di un’ora lavorata è cresciuto in Italia del 29 per cento: più che in Germania(20 per cento), molto meno che in Francia (37 per cento). La maggiore inflazione italiana ha contenuto i salari reali, allineandone la dinamica aquella tedesca (3 per cento nel decennio); ma in Germania le retribuzioni orarie medie,all’inizio del periodo, erano di oltre il 50 per cento maggiori delle nostre. In Francia leretribuzioni reali orarie sono aumentate del 16 per cento. Per comprendere le difficoltàdi crescita dell’Italia, dobbiamo innanzitutto interrogarci sulle cause del deludenteandamento della produttività. I fattori sono molteplici. Alcuni sono simili a quelli che distinguevano il “modello di sviluppo tardivo” dell’Italia,come lo definì Fuà: marcati e persistenti dualismi nella dimensione delle imprese, nelmercato del lavoro. La loro origine stava per Fuà nella difficoltà di introdurre in modogeneralizzato le tecniche organizzative e produttive sviluppate nei paesi leader. Nederivava una segmentazione della struttura produttiva tra imprese “moderne” e “pre-moderne”, con ampie differenze di produttività, che si riflettevano nelle retribuzioni. Ladimensione media delle imprese italiane rimane ridotta nel confronto internazionale. Inpassato, quando l’innovazione era prevalentemente di processo, la piccola dimensioned’impresa poteva dare flessibilità al sistema produttivo, meglio se attraversoun’aggregazione in distretti. Oggi l’innovazione riguarda principalmente i prodotti e laloro diversificazione: per le imprese più piccole si rivela sempre più difficile sfruttare leeconomie di scala e competere con successo nel mercato globale. Nel mercato del lavoroil dualismo si è accentuato. Rimane diffusa l’occupazione irregolare, stimata dall’Istat incirca il 12 per cento del totale delle unità di lavoro. Le riforme attuate, diffondendo l’usodi contratti a termine, hanno incoraggiato l’impiego del lavoro, portando ad aumentarel’occupazione negli anni precedenti la crisi, più che nei maggiori paesi dell’area dell’euro;ma senza la prospettiva di una pur graduale stabilizzazione dei rapporti di lavoro precari,si indebolisce l’accumulazione di capitale umano specifico, con effetti alla lunga negativisu produttività e profittabilità. Si aggiunge un problema di concorrenza nei servizi. Studicondotti in Banca d’Italia mostrano da tempo come la mancanza di concorrenza nelsettore terziario ne ostacoli lo sviluppo e crei inflazione; essa incide anche sulla produttivitàe competitività del settore manifatturiero. Nel 1998 si presero misure di liberalizzazionedel commercio al dettaglio; documentammo come esse favorissero in quel compartol’occupazione, la produttività e l’adozione di nuove tecnologie. Ma l’impegno a liberalizzareil settore dei servizi si è da tempo interrotto”.

prese, tra loro collegate, mostrano che esiste, e si manifesta, una capacitàdi aumentare la dimensione delle rispettive produttività e capacità dicompetere, ribaltando la tendenza, almeno per quelle imprese e reti diimprese, alla contrazione delle quote di mercato internazionale.

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Esiste, in altre parole, sia un problema di produttività di sistema, chepenalizza l’economia italiana come un tutto, comprimendone la capa-cità di competere, sia un problema di produttività aziendale che con-sente, se risolto a quella scala, di aumentare la capacità di competerema solo per coloro che abbiano un tale incremento della propria pro-duttività aziendale, capace di più che compensare il declino della pro-duttività di sistema11.

Se, tuttavia, in una determinata area del Paese si registra in manieraricorrente e sistematica una progressiva posizione di credito o di debitocommerciale verso il resto dell’economia italiana, e il resto del mondo,se ne deve trarre la conclusione che in quelle aree, anche se si osservas-se la presenza di imprese o reti di impresa, competitive alla scala delmercato internazionale, il sistema come un tutto si presenterebbe inca-pace di ribaltare il segno della propria bilancia commerciale e, dunque,viene confermata l’ipotesi di un dualismo tra le due Italie che impone,anche alle imprese di successo dell’area importatrice netta, di doverconvivere con un regime di bassa produttività media del territorio di ri-ferimento per la propria produzione. Ne segue la conseguenza che, fer-mi restando i costi frizionali relativi alla effettiva delocalizzazione dellaproduzione industriale da quelle aree, aumenta l’incentivo per le impre-se a prendere in considerazione una simile soluzione strategica, in unaottica di medio periodo12.

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11 Si veda, in proposito, il rapporto curato dal Centro Studi Confindustria, Le sfide dellapolitica economica per ra fforzare l’Ita lia, autunno 2010, Roma 13 settembre, 2010.12 In questo caso, le imprese competitive dell’area importatrice netta scontano unaesternalità negativa che deriva dalle condizioni di contesto nell’area in cui si trovano,cioè dalla bassa produttività di sistema che impone loro di integrarsi verticalmente,aumentando i propri costi fissi, essendo inesistente o inefficace la fornitura dall’esternodi servizi che trasformerebbero quei costi fissi in costi variabili. Queste imprese di successodevono scontare un aumento del proprio break even point a parità di prezzi e di domandainternazionale. E, in casi nei quali la domanda internazionale sia stagnante, o si presentiuna contrazione dei prezzi internazionali, risultano penalizzate da questa circostanza. Illoro dilemma strategico diventa una scelta tra la negatività minore, integrarsi verticalmentee scontare l’aumento dei costi fissi, o delocalizzare e scontare i costi di trasferimento inun’altra localizzazione. Si noti che l’integrazione verticale agisce comunque come unaumento dei costi, rendendo meno competitiva, nel suo complesso, l’area territoriale, la

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E se questa opzione strategica si traducesse in una scelta effettiva,allora quell’area del Paese assisterebbe a una contrazione delle dimen-sioni della propria base industriale e, di conseguenza, a un aumento ul-teriore della posizione di debito verso il commercio internazionale, e diquella, simmetrica, di dipendenza dai flussi finanziari provenienti dal-l’esterno, allargando il dualismo tra quelle aree e le rimanenti aree delPaese.

Esiste, insomma, una sorta di inerzia dinamica che esaspera il duali-smo in presenza di uno scarto sistematico tra produttività aziendale eproduttività di sistema nelle singole regioni italiane.

I risultati del volume di cui discutiamo confermano sia la persistenzanel tempo, dal 1995 al 2005, dei segni, di credito o debito, nelle bilancedei pagamenti regionali, sia la correlazione tra regioni importatrici dallealtre regioni e regioni importatrici dal resto del mondo. E anche dellamedesima correlazione tra regioni esportatrici verso altre regioni italia-ne e regioni esportatrici verso il resto del mondo13.

Si rimanda il lettore alla interessante mole di dati esposti nel volumedi cui si discute in questo scritto. Si qui offre una sintesi della dimensio-

regione in cui risiede l’impresa. Un regione importatrice netta, per motivi di scarsaproduttività di sistema, impone alle imprese, che scelgono l’opzione della integrazioneverticale, una soluzione che dilata la inefficienza media del sistema e ne aumenta, comesi era detto nel testo, la perdita di competitività sul mercato internazionale. Si apre unaspirale involutiva e si chiude la strada della crescita per quella regione: ferma restandola sua dipendenza finanziaria dalle altre regioni, o dalla intermediazione fiscale dellapubblica amministrazione, per quanto riguardi la mera riproduzione del circuito dellereddito e della spesa su livelli anche solo identici a quelli del periodo temporaleprecedente. Il permanere di un simile stato delle cose impedirebbe ogni forma difederalismo fiscale in senso stretto: una economia con queste caratteristiche non puòrimanere stabile, e non può assolutamente crescere, senza un apporto netto di risorsereali dall’esterno.13 D’altra parte un caso simile, ma riprodotto su scala allargata alla dimensione dell’UnioneEuropea, esiste tra la Germania, esportatrice netta rispetto all’Unione Europea e leeconomie dei paesi dell’Europa latina, singolarmente considerati. Si veda l’appendicedella relazione annuale sullo stato dell’economia italiana per l’anno 2009, precisamenteil capitolo 3 della parte relativa all’economia internazionale e il capitolo 12 di quellarelativa al’economia italiana. http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/relann/rel09/rel09it

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ne degli intrecci che si creano tra le posizioni di credito e quelle di debi-to sia nella relazione tra le regioni italiane sia nella relazione tra le regio-ni italiane e il resto del mondo. Tutti i dati che si espongono rappresen-tano l’interscambio commerciale relativo alla media annuale dei valoriosservati nel biennio 2004-2005. I valori rappresentano miliardi di euro.Si tratta degli ultimi due anni della serie analizzata nel volume, che si ri-ferisce al decennio 1995-2005. La Lombardia presenta un def ic it versol’estero di 27,2 e un surplus di 70,5 sull’interno. Senza le vendite nelleregioni meridionali peggiorerebbe la sua posizione commerciale com-plessiva, ma si ridurrebbe anche il volume di spesa interna e, di conse-guenza, il tasso di crescita della regione. Non è possibile dire quantaparte di quelle vendite si potrebbero canalizzare verso l’estero, chiu-dendo la posizione di deficit o ribaltandola in una posizione di surplus,perché dovremmo considerare la natura e il prezzo delle merci e deiservizi ceduti. Anche il confronto tra vendere in Italia e vendere nei pae-si che adottano l’euro non sarebbe facile per la diversità dei poteri di ac-quisto osservabili nonostante la presenza della medesima valuta per de-nominare il prezzo delle stesse prestazioni nei vari mercati locali pre-senti nell’economia italiana ed in quella europea.

Il Veneto presenta un surplus sull’estero di 5,4 e un surplus sull’in-terno di 2: è una regione esportatrice netta a tutti gli effetti e si collega,come è noto, ai mercati dell’economia tedesca grazie a un collaudato si-stema di accordi e di relazioni commerciali tra le imprese locali e tra leimprese locali e quelle europee. Il Piemonte presenta una posizione in-vertita rispetto a quella della Lombardia: un surplus verso l’estero di 5,9nonostante un deficit verso le regioni italiane di 5,4. Una spiegazionepotrebbe essere trovata nella esistenza di sistemi di filiera tra le impresepiemontesi e quelle meridionali che generano flussi commerciali intra-regionali.

La Campania presenta un surplus di 0,4 sull’estero ma anche un de-ficit di 18,9 sull’interno. È una “pentola bucata” nel senso stretto del ter-mine: compra beni e servizi da altre regioni pur avendo una piccola ri-dotta capacità di esportazione verso l’estero. I trasferimenti di redditoalle imprese e dalle famiglie defluiscono dal mercato regionale che ve-

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de ridursi la dimensione della domanda effettiva locale in presenza diuna rilevante disoccupazione. Non deve essere sottovalutato, in questocaso, lo scarto tra la dimensione della popolazione e quella del redditorispetto al totale nazionale: la popolazione della Campania si adegua al10% di quella nazionale mentre il suo reddito osservabile si colloca po-co sopra il 6% di quello nazionale. Nelle regioni meridionali, insomma,e la Campania è la più rilevante sotto il profilo demografico, l’analisidella bilancia dei pagamenti sconta la opacità dell’economia sommersa,che si compone di economia criminale ma non solo di quella. Le transa-zioni sommerse generano sia un effetto sul saldo tra esportazioni e im-portazioni, ma anche un rilevante effetto sul saldo tra spesa pubblica etassazione. La seconda si allarga perché alcune persone appaiono comebisognosi di servizi e trasferimenti e sono solo evasori, più o meno rile-vanti. La presenza degli evasori riduce il gettito delle imposte e delle tas-se e, dunque, il saldo della politica fiscale (G-T) si allarga perché si ridu-ce il gettito e si incrementa la spesa. Il vincolo della identità contabile, ilfatto che lo scarto tra risparmio e investimento debba essere uguale alsaldo corrente della bilancia dei pagamenti e al saldo tra spesa pubblicae prelievo fiscale, risulta molto alterato nella sua rilevazione al cresceredelle dimensioni dell’economia sommersa ed illegale. Anche la signifi-catività dei valori osservato ne risulta compromessa, per certi versi.

La Calabria presenta un doppio defic it: 0,2 sull’estero e 8,4 sulle re-gioni italiane. La Sicilia, infine, presenta un defic it verso l’estero di 10 euno, del medesimo ordine di grandezza, sull’interno pari a 11.

L’economia siciliana è una “pentola bucata” che acquista beni e ser-vizi, in termini di saldo netto finale, sia sul mercato delle regioni italianesia su quello delle nazioni diverse dall’Italia stessa.

Come si vede da tutte le combinazioni tra i due saldi che sono stateriportate, questi sei casi rappresentano la tipologia possibile e la pola-rizzazione tra le due Italie del fenomeno di cui si discute.

L’insieme delle osservazioni riportate ci indica anche le tre dimen-sioni della politica economica che sono immediatamente collegabili aqueste fenomenologie: la politica della crescita; la spinta verso una poli-tica fiscale che sia gestita in termini federali alla scala amministrativa

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delle regioni italiane14; la politica di contrasto all’evasione fiscale e quel-la, convergente e complementare, della promozione di opportunità alleimprese sommerse, ma non “criminali”, perché possano emergere dallapropria condizione opaca di gestione.

Rimane evidente come tutte le regioni meridionali, ma anche la Vald’Aosta, il Trentino, e le Marche presentino un persistente segno negati-vo: considerando che i valori esprimono la media del decennio 1995-200515. Emerge il carattere duale, come si è già detto, del sistema.

Ma emerge anche la circostanza che il sistema nel suo complesso,almeno nel decennio preso in esame, non abbia raggiunto un saldo net-to delle esportazioni rispetto al resto del mondo e che, da questa evi-denza, risulti confermata la diagnosi di una caduta nella capacità dicompetere delle imprese italiane nel decennio medesimo rispetto al de-cennio precedente e agli anni cinquanta e sessanta, la stagione del “mi-racolo economico”.

3. I f lussi f in an ziar i com pen san o o eccitan o l ’ef fetto del la“pentola bucata”?

Si è già detto che in questo approccio ai problemi della crescita re-gionale, e della struttura economica del Paese, l’assenza di valute legaliregionali e di una banca centrale di cui esse rappresentino le passività,

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14 “Cova sotto la cenere una questione sociale. Il Sud che già ora è un focolaio di rivolte –quando, con il federalismo fiscale, dovrà farcela, e scoprirà che non ce la fa, con le proprieforze – minaccerà di diventare per la nostra Repubblica, ciò che è stata l’Algeria per la QuartaRepubblica francese, la causa scatenante della sua crisi; il Nord – se scoprirà che il Fondodi perequazione del federalismo solidale altro non sarà che la prosecuzionedell’assistenzialismo al Sud – ripiomberà nella volgia secessionista, che si sommerà alla causascatenante meridionale nel provocare la crisi”. Scrive con grande lucidità Piero Ostellinonell’editoriale, Il riba ltone per favore no, del “Corriere della Sera” il 15 novembre 2010.15 Si veda la Tabella 1, a fine testo. Nella citata tabella si evidenzia come esista una lineadi separazione tra Centro Nord Est, le regioni esportatrici nette, e una parte del Nord (Vald’Aosta, Liguria e il Trentino) e le rimanenti regioni meridionali. Si veda, su questasegmentazione delle due Italie, anche Massimo Lo Cicero, L’economia e l a pol i t ic aeconomica nel Mezzogiorno. Da lla questione meridiona le a lla questione settentriona le(1995-2009) in “Economia italiana”, 2010/1 gennaio-aprile, Roma, Unicredit Group.

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impedisce che eventuali squilibri permanenti nei saldi tra le varie regio-ni possano o debbano essere risolti con un aggiustamento dei tassi dicambio: inesistenti per definizione in queste circostanze. Ma questo si-gnifica che a uno squilibrio sistematico nei saldi commerciali deve corri-spondere uno squilibro altrettanto sistematico nei flussi finanziari. Si ri-cordi, prima di addentrarsi in questa dimensione del problema che, aiflussi commerciali in senso stretto, deve essere affiancato il flusso dispesa che il turismo induce sul territorio in presenza di consumatoriprovenienti da altre regioni e altre nazioni. Le spese per i consumi legatialle attrezzature turistiche, ma anche le spese indotte dal flusso turisticonell’intorno dei beni naturali e culturali o comunque nel corso della per-manenza dei turisti sul territorio di una regione, rappresentano una ca-pacità di acquisto aggiuntiva che assorbe il corrispettivo in termini dibeni e servizi reali in vendita nella regione medesima. Se questi beni eservizi sono prodotti dalla base economica, cioè l’insieme delle impreseesistenti e radicate nel territorio, quella spesa affettiva risulta analoga aquella delle esportazioni in senso stretto. Beni prodotti nel perimetrodel territorio, di cui cerchiamo di spiegare il saldo dei conti con l’estero,vengono ceduti mentre viene accumulato nel medesimo perimetro ilcontrovalore monetario del loro prezzo.

Ovviamente, non possiamo escludere che parte dei beni ceduti a tu-risti, che provengano dall’esterno del perimetro territoriale, non sianostati preventivamente importati. È difficile, insomma, correggere i saldicommerciali con una misura dei flussi monetari in entrata a fronte deiconsumi dei visitatori esterni rispetto alla regione considerata.

Il saldo commerciarle complessivo, che includa sia il turismo sia letransazioni per beni e servizi, deve essere bilanciato da tre ordini di tra-sferimenti finanziari: quello relativo alla politica fiscale, lo scarto tra spe-sa pubblica che entra nella regione e tassazione che viene prelevata dairedditi distribuiti nella regione; quello relativo alla posizione netta cre-ditoria delle banche operanti nella regione, considerando quella posi-zione come il volume della raccolta esterna alla regione reimpiegata co-me crediti nella regione stessa dopo aver considerato le dimensioni del-la raccolta interna rispetto agli impieghi di contropartita erogati sull’in-

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terno. La dimensione dei trasferimenti previdenziali può essere ricom-presa in un conto allargato della spesa e dei prelievi che intercorrono traattori economici e pubblica amministrazione. L’insieme delle transazio-ni che avvengono attraverso lo stato patrimoniale delle banche dovreb-be includere anche le partite sotto la linea per le quali esse ricavano so-lo commissioni di intermediazione. Ci si riferisce a una raccolta del pa-trimonio di terzi che venga impiegata in titoli pubblici o privati, sianoesse obbligazioni o prodotti di ingegneria finanziaria riconducibili, inultima istanza, a impieghi di capitale (equity) su titoli emessi da impreseesterne all’area in esame. Esiste, infine, un terzo deflusso netto di fondiche è rappresentato dal volume degli investimenti diretti all’esterno del-la regione, o della nazione in cui si trova la regione, di cui si considera-no i saldi con l’estero, che genera uscite di mezzi finanziari a fronte del-l’investimento in altre aree del mondo, ma anche deflussi finanziari, perl’acquisto di tecnologie e servizi che debbano essere impiegati per rea-lizzare investimenti.

Questa ultima voce appare certamente anche nelle importazioni,ma potrebbe anche essere veicolata come servizi, corrispettivi di allean-ze imprenditoriali o roya lt ies, su investimenti localizzati nella regionedella quale si cerca la dimensione dei conti con l’estero, derivanti dajoin t ven tures ed altre forme di networking imprenditoriale, realizzatetra le imprese della regione osservata e quelle esterne al perimetro dellastessa.

L’insieme di tutte queste direzioni di ricerca è stato esplorato e ana-lizzato nel volume di cui si discute e rappresenta un primo passo moltointeressante nella ricerca di metodologie e criteri che permettano unmonitoraggio regolare, e non solo una tan tum, delle bilance dei paga-menti alla scala regionale.

La corrispondenza ex post dei saldi commerciali correnti con quellidei trasferimenti finanziari e degli altri saldi economici, lo scarto tra ri-sparmi e investimenti e quello tra spesa pubblica e prelievo fiscale, ri-mane un dato di fatto. Sul terreno della politica economica diventa inte-ressante avviare anche una ulteriore prospettiva di lavoro. Si tratta di ca-pire se sia l’eccesso di trasferimento di fondi verso una regione meridio-

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16 “Le importazioni di beni intermedi e di investimento possono rivelarsi un fattore dipromozione della competitività territoriale, dato che possono essere impiegate permigliorare la competitività del sistema produttivo regionale. Tuttavia, se le importazioniriguardano esclusivamente beni di consumo senza che esista un livello paragonabile diesportazioni, il territorio è sottoposto ad un continuo stress di compensazione, che nellungo periodo può comportare il rischio di una desertificazione industriale”, RiccardoDe Bonis, Zeno Rotondi, Paolo Savona (a cura di), op. cit., p. 43.17 In questa ottica, si pensi ad un caso particolare. In una stagione di trapasso tecnologico,parti della base economica di una regione risultano obsolete e parti, magari marginaliper dimensioni, presentano forti opzioni di crescita e di espansione, in ragione di unrinnovamento radicale degli impianti e dei processi organizzativi con cui quegli impiantidebbano essere gestiti e governati. In casi simili, trasferimenti finanziari che sostenganol’acquisto di servizi e di apparati formativi che possano garantire la riconversione dirisorse umane, in via di obsolescenza perché legate alla parte più tradizionale della baseindustriale locale, verso nuovi profili di competenza e di capacità, che possano essereimpiegati nella quota dinamica della medesima base economica regionalerappresenterebbero un apporto costruttivo alla crescita dell’economia regionale e noncerto l’effetto di tracimazione della pentola bucata, che impedisce il riequilibrio tradimensione demografica e dimensione della base produttiva locale. Un simile approcciotende a correggere il tipico fallimento del mercato del lavoro, che si presenta quandol’offerta di lavoro risulti corta rispetto alla dimensione della domanda potenziale mentrel’eccedenza di offerta, esposta al rischio latente di una obsolescenze delle proprie capacità,non trovi alcuna forma di impiego. Sostenere questa disoccupazione, di caratterestrutturale, con strumenti finanziari di supporto pubblico sarebbe uno sterile sussidio,che innesca spirali negative da “pentola bucata” alimentando importazioni attraverso iconsumi, mentre una politica strategicamente fondata della formazione rappresenta uningresso di fondi ma anche un investimento in capitale umano per creare le condizionidi una futura espansione della base economica locale.

nale a generare una capacità di spesa eccedentaria, che si trasforma inimportazioni nette, in un riequilibrio del reddito come tenore di vitapossibile e non in un incremento del prodotto pro capite generato nellaregione16. Ma si tratta anche di capire se una base economica, inadegua-ta alle dimensioni demografiche della regione stessa, non imponga tra-sferimenti necessari per allargare quella base economica e mettere invalore le risorse umane disponibili sotto un profilo demografico ma inu-tilizzabili nel contesto di una base economica inadeguata17.

Non si deve confondere, insomma, la “pentola bucata” con una eco-nomia aperta agli scambi con l’estero per garantirsi un’accelerazionedella propria crescita. In entrambi i casi il perimetro dell’economia deveessere permeabile ma l’esito del risultato dipende dal modo con cui l’in-

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gresso di risorse finanziarie viene impiegato per ottenere creazione edaccumulazione del valore creato. Costruendo, con i mezzi finanziari iningresso, strutture e organizzazioni che siano capaci di generare valorein futuro, che siano investimenti e non mero consumo di risorse impor-tate nella regione di riferimento, al servizio di un tenore di vita gonfiato,in termini patologici, dalla finanza o dalla fiscalità.

Sostengono una simile interpretazione da economia aperta ai mer-cati internazionali alcune evidenze che si ritrovano nel volume in esa-me: la correlazione diretta tra saldo netto delle esportazioni verso le al-tre regioni e saldo netto complessivo verso l’estero; la correlazione in-versa tra grado di apertura al commercio infraregionale ed al commer-cio internazionale. Questa seconda osservazione spiega che non è pos-sibile agire sulla base di una verifica competitiva che sia fondata solosulla prossimità e non anche sulla dimensione lunga della relazione trapaesi diversi. Anche perché, estendere la propria presenza esterne de-termina l’esistenza di una opzione: la potenzialità ma non la certezza diincontrare nuove tecnologie e nuovi modelli di business che ci permet-tano di aumentare la nostra produttività, una sorta di ca ll sul potenzialeancora inespresso di crescita. Senza contare che la globalizzazione delmercato offre un incentivo oggettivo alla espansione delle dimensionidell’impresa, essendo questa seconda variabile una conseguenza pro-prio della estensione del mercato disponibile. In mercati locali tende adaffermarsi il potere dei pochi attori incumben t, che agiscono come mo-nopolisti. I mercati globali presentano un latitudine dove possono con-vivere una pluralità di imprese, ciascuna con una quota significativa dimercato rispetto alla propria dotazione tecnologica ed alle proprie arti-colazioni organizzative.

Le reti di impresa e i network – costruiti, alla scala mondiale, per in-tercettare sia la “targettizzazione” puntuale della clientela, le tribù di con-sumatori, sia le economie di scala sulla produzione dei componenti e deibeni intermedi – rappresentano una applicazione di questo nuovo ap-proccio fondato sulle esternalità positive, alimentate dalla dimensioneinternazionale delle strategie aziendali, anche quando quelle reti nonsiano state costruite solo sulla dilatazione della propria organizzazione

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ma dando vita a una forma organizzativa che include, ma non assorbenecessariamente, le capacità di altre organizzazioni imprenditoriali.

4. Sintesi e osservazioni conclusive

L’impianto del volume, curato da Savona e dagli analisti economicidell’Unicredit, è molto interessante e innovativo per tre ordini di motivi.In primo luogo, perché collega la teoria della crescita, anche in una re-gione e non in una nazione, a un approccio fondato sui vantaggi, ed ipericoli, della partecipazione a un mercato aperto e liberalizzato, pro-ponendo la dimensione della domanda effettiva, e la conseguente largascala di produzione potenziale, come molla determinante dell’espan-sione economica.

In secondo luogo, perché conferma il carattere dualistico dell’econo-mia italiana e la diversità strutturale intrinseca tra le parti della stessa. Lapersistenza di importazioni nette e di esportazioni nette nel tempo, co-me la correlazione tra il segno del saldo verso le altre regioni e quellodel saldo verso l’estero, rivelano la natura strutturale della differenza, trale macroregioni italiane, che non può essere, quindi, ricondotta a unmero divario quantitativo nel tasso di crescita. Non ci troviamo di frontead un’area arretrata e a un’area avanzata, entrambe con la medesima ar-chitettura, in termini di strutture economiche e sociali, ma a una confi-gurazione diversa della relazione tra capacità di produrre e capacità diacquisto: ciò determina uno squilibrio crescente tra dimensione demo-grafica e dimensione della base industriale, generando volumi di disoc-cupazione nelle sezioni deficitarie del Paese, che assume essa stessa uncarattere strutturale. Finanziare la popolazione disoccupata, con stru-menti che le trasferiscono reddito monetario, secondo gli effetti descrittigrazie alla metafora della “pentola bucata”, allarga e non riduce lo scar-to tra la capacità di spesa e la capacità di creare valore, di produrre benie servizi utili alla comunità.

In terzo luogo, perché propone un insieme di linee di ricerca che ri-portano alle determinanti effettive della crescita, oltre la caratteristica

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18 Scrivono puntualmente gli autori della ricerca: “L’ipotesi di partenza, per cui i flussi discambio reali, interregionali ed internazionali, influenzano la qualità del credito a livelloterritoriale, trova sostanziale riscontro empirico. I saldi della bilancia commerciale, siache si considerino le componenti di esportazione, sia tenendo conto di quelle diimportazione, emergono quali variabili capaci di spiegare la rischiosità del credito a livelloterritoriale. La relazione tra scambi e rischiosità appare in genere più forte per i flussiinterregionali che emergono come la componente più rilevante della struttura produttivae di scambio tra le regioni italiane… Nelle direzioni di ricerca future andranno approfonditii nessi di causalità che legano le variabili (utilizzate nelle stime econometriche)”. CfrRiccardo De Bonis, Zeno Rotondi, Paolo Savona (a cura di di), op. cit., pp. 157-158.Si potrebbe allargare lo spettro di questa dimensione sulle future indagini suggerendoanche la utilità di una divaricazione ulteriore nelle ricerche sul sistema bancariomeridionale. Una linea di analisi a livello del sistema, e della natura degli intermediariche lo compongono, che riprenda e riproponga i temi del volume molto interessante,citato dagli autori della ricerca, di F.M. Tamagna e D. Qualeatti, Sviluppo economico edintermediazione finanziaria, Franco Angeli, Milano 1978. Il sistema bancario ha superatola dicotomia tra banche ed istituti speciali di credito, ma resta aperta la questione delprocesso di trasferimento dal risparmio all’investimento, considerando che le banchegestiscono sia il credito a medio sia quello a lungo termine e controllano, indirettamenteattraverso sgr e fondi, la raccolta di risparmio dal patrimonio delle famiglie e il suotrasferimento alle imprese, con titoli, obbligazionari ma anche azionari. La seconda lineadi ricerca dovrebbe, invece, prendere in esame la seguente questione: esiste, e in casoaffermativo per quale motivo, un differenziale di rischio tra le imprese locali stand a lone,le locali che creano network tra imprese locali o fondi collettivi di garanzia, le impreseincluse nelle filiere lunghe trans regionali ed, infine, le imprese medie e grandi chelocalizzano impianti nelle regioni importatrici nette? Le tecniche del ra ting, che si sonomolto sviluppate, misurano questi rischi ma sarebbe importante aggiungere alla tecnicadella misura una descrizione delle origini e delle cause dei rischi stessi per aggredire allaradice, nella gestione dell’impresa e nella politica economica, la rimozione o almeno ilridimensionamento delle stesse. Una tassonomia della diversità di questi rischi e del loroimpatto sulle gestioni aziendali sarebbe molto interessante per misurare la affidabilitàdelle banche nella stima adeguata della capacità di credito, che rappresenta la molla delladinamica possibile della crescita. Essendo il credito una sorta di biglietto necessario peraccedere alla crescita, come insegna una lunga tradizione analitica a partire dallememorabili diagnosi di Schumpeter sui banchieri come “efori” del capitalismo.

dell’esistenza o meno di un saldo netto delle esportazioni e dell’in flowmonetario generato dai flussi turistici.

Lungo queste tre direttrici si possono e si devono sviluppare ulterio-ri analisi: una riflessione sulla relazione tra finanza e crescita e, di conse-guenza, sulla natura e il ruolo del sistema bancario rispetto al processodi accumulazione18; una riflessione su tecnologia e organizzazione, deimodi e della scala dei processi di produzione, che impone di ragionare

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19 Sia detto per inciso, ma un simile approccio, alle reti di impresa ed alle risorse umane,conferma che, sotto questa particolare prospettiva analitica, l’esistenza delle reti di impresa,come filiere lunghe, assegna a queste organizzazioni la natura di un bene pubblico: unavera e propria esternalità positiva, rispetto al contenuto intrinseco dei contratti e dellerelazioni esistenti tra le parti. Un modo per trovare una forma di governance nella relazioneambigua, tra conflitto e cooperazione, che Williamson sostiene essere il dato comune diogni transazione che si conclude in un accordo. La filiera lunga, per altri versi e con altrolessico, potrebbe anche essere definita come una meta impresa, rappresentando un livellosuperiore e coordinato tra le singole imprese a essa appartenenti. Si veda Oliver E.Williamson, University of California, Berkeley, Tr a n s a c t ion Cos t Economi cs: The Na tura l Progression, Nobel Prize Lecture, 2009.http://nobelprize.org/nobel_prizes/economics/laureates/2009/williamson-lecture.html

sulla dimensione dell’impresa, sulla capacità delle reti di imprese diproiettarsi attraverso e oltre i confini regionali e nazionali, sulle compe-tenze e le capacità delle risorse umane necessarie perché queste ambi-zioni possano diventare realizzazioni concrete19; una riflessione, infine,sugli effetti del decentramento amministrativo nella gestione delle poli-tiche fiscali, la riforma federalista che si propone in Italia.

Su questo ultimo punto sorgono alcuni interrogativi abbastanza rile-vanti: se sia efficiente la scala delle attuali regioni amministrative comedimensione ottimale del processo di decentramento; se si possa impor-re il medesimo criterio di decentramento alle regioni esportatrici netteed a quelle importatrici nette; se non si debba prendere in considerazio-ne, per superare gli ostacoli derivanti dalle due fattispecie appena ricor-date, la opportunità di individuare macro regioni che abbiano le mede-sime caratteristiche economiche strutturali creando, per ognuna di esse,una politica, e un sistema di organizzazioni che diano corso a quella po-litica, adeguati alla morfologia dei rispettivi caratteri strutturali.

Del resto, con uno schema fondato sulle categorie di lavoro produt-tivo e improduttivo, altri interpretano così il dualismo tra le due Italie:“Sono in tutto cinquanta miliardi (di euro) che ogni anno lasciano ilNord per foraggiare il resto del Paese. L’ho ribadito più volte e l’ho do-cumentato in un libro recente (Il sacco del Nord)… I due squilibri fiscalida rimuovere sono piuttosto l’evasione fiscale e lo spreco di risorsepubbliche, quest’ultimo sia sotto forma di di sussidi indebiti (falsi invali-

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20 Luca Ricolfi Il sacco del Nord, Saggio su lla giustiz ia socia le, Guerini e Associati, Milano2010; una interpretazione autentica delle tesi medesime viene offerta dall’autore stessoin un articolo apparso sul quotidiano “La Stampa”, (lunedì 1 novembre) dal titolo Laforza del Sud.

di, imprese fantasma, finti corsi di formazione) sia sotto forma di pessi-mi servizi pubblici, una delle più potenti cause di povertà ed emargina-zione”. Si ricorda anche che “al Nord sono sovra finanziate le tre regionia statuto speciale” e che “la spesa (pubblica) corrente continuava a fa-vorire il Sud, ma quella in conto capitale (che finanzia gli investimenti ele infrastrutture) lo ha invece gravemente penalizzato”20. Si proponecioé esattamente la descrizione della “pentola bucata” ma in un ordinedi grandezza, dei relativi flussi di trasferimento, ipodimensionato rispet-to ai risultati del volume di Savona e dei suoi coautori. I soldi sottratti alNord, “saccheggiandolo”, ritornano verso la propria destinazione di ori-gine finanziando la espansione delle esportazioni del Nord verso il Sud,che chiude il ciclo della produzione del reddito grazie a questa doman-da effettiva – quasi una mimesi del piano Marshall che sosteneva la spe-sa europea che si traduceva in esportazioni americane – in assenza dellaquale, e non essendo necessariamente competitivi sul mercato interna-zionale i prodotti e i servizi dell’economia settentrionale, sarebbe statomarcatamente sottodimensionato il volume del circuito reddito spesanelle regioni del Nord. Come gli Stati Uniti non risultarono “saccheggia-ti” dal piano Marshall, così non sembrerebbe essere un danno per ilNord questo circuito che genera benessere monetario nel Sud e ricchez-za reale nel Nord del Paese. Fermi restando gli effetti negativi, nel lungoperiodo, della diversa produttività reale nelle due aree del paese e della,conseguente, produttività media di sistema, per l’intero Paese, decre-scente negli ultimi due decenni.

Valga per tutti l’esempio della soluzione di Bretton Woods nel 1944,dove al Fondo Monetario Internazionale veniva affidato il coordina-mento degli squilibri temporanei delle bilance di pagamenti tra paesisviluppati mentre, alla Banca Mondiale, era assegnato l’obiettivo del su-peramento della condizione di importatori netti, per i paesi poveri, ga-

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rantendo trasferimenti di risparmio addizionale e monitorando l’investi-mento di quei flussi di risparmio perché si traducessero in investimenticapaci di allargare la creazione di reddito nei paesi stessi, arrivando pro-gressivamente a un volume di prodotto interno lordo capace di alimen-tare, senza trasferimenti netti dall’esterno, il volume degli investimenticoerente con il pieno impiego delle risorse umane disponibili.

TABELLA 1 . Regioni in defic it e in surplus

media ne l decennio 1995-2005

18

14

10

6

2

-2

-6

-10

-14

-18

-22

-26

-30

-34

Fonte: nostra elaborazione da “Sviluppo, rischio e conti con l’esterno delle regioni italiane”

a cura di Riccardo De Bonis, Zeno Rotondi, Paolo Savona

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-0,9

abru

zzo:

-5,5

mol

ise:

-17,

3

cam

pani

a: -1

9,4

pugl

ia: -

18,8

basi

licat

a: -1

7,4

cala

bria

: -31

,3

sici

lia: -

26,6

sard

egna

: -18

,9

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Page 23: Cause e conseguenze della trasformazione delleconomia ... · Il decimo capitolo offre una nota metodologica sulla stima del commercio interregionale delle regioni italiane, dal 1995

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Cause e conseguenze della trasformazione dell’economia meridiona le in una “pen tola buca ta”

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