Caterinetta 1945-1955 - Trio Lescano · Peppino Angotti, Franco e Renato D’Agostino, Carla Righi...

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Archivio del sito http://www.trio-lescano.it/ Virgilio Zanolla Caterinetta 1945-1955 Con le testimonianze di Peppino Angotti, Franco e Renato D’Agostino, Carla Righi D’Agostino, Maria Rosaria e Gesuino Epicureo, Maria Luisa Tecchi Ultimo aggiornamento: 14.10.2013 Aprile 2012

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Archivio del sito

http://www.trio-lescano.it/

Virgilio Zanolla

Caterinetta 1945-1955

Con le testimonianze di Peppino Angotti, Franco e Renato D’Agostino,

Carla Righi D’Agostino, Maria Rosaria e Gesuino Epicureo, Maria Luisa Tecchi

Ultimo aggiornamento: 14.10.2013

Aprile 2012

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1. Un militare in congedo (1945); 2. La quiete dopo la tempesta (1946); 3. Gli anni spensierati (1947-49); 4. Dove si canta, ma non per cantare (1950-51); 5. Il mare «caro al cuore» (1951); 6. Un’ineccepibile ma cata-strofica idea (1952); 7. Da un sedile a un sellino (1953); 8. Tristi vicende (1954); 9. La «bugia pietosa» (1955); 10. Epilogo (1955-2010).

1. Un militare in congedo (1945) Su Caterinetta Lescano, dal dopoguerra fino al momento della sua

scomparsa, nel ’65, ben poco è noto. Di questo periodo pur lungo vent’an-ni, quel che si sapeva fino ad oggi era del suo abbandono del Trio nel ’46; di alcune sue esibizioni negli anni 1954-55 col complesso di Cosimo Di Ceglie ad Alassio, dove una piastrella col suo nome figura tra quelle appo-ste nel celebre Muretto; d’una sua relazione con Duilio D’Agostino, anti-quario o fratello di antiquario a Torino; e della sua partenza per il Vene-zuela alla fine degli anni Cinquanta (altri dice nel 1961), nazione dove qualche tempo dopo avrebbe sposato un ingegnere italiano.

Una fortunata serie di ritrovamenti fotografici e documentali avvenuta nel luglio 2011, e la scoperta d’ignoti e preziosi testimoni, ci permettono però di fare un ampio squarcio di luce sulle vicende italiane di Caterinetta, con scoperte riguardanti anche gli anni del Trio; tuttavia, per il momento abbiamo deciso di occuparci soltanto dell’arco di tempo che va dalla fine del secondo conflitto mondiale alla sua partenza per Caracas.

Verso il termine della guerra, come si sa, Eva e le sue tre figlie rientra-rono a Torino. Il 28 aprile ’45 la città, dopo cinque giorni di combattimen-ti, era stata liberata dalle truppe tedesche e repubblichine ad opera di for-mazioni partigiane; ma solo il 1° maggio, con l’arrivo del contingente an-glo-americano, essa poté dirsi definitivamente fuori pericolo, perché ad o-vest del capoluogo erano attestate due divisioni tedesche al comando del generale Schlemmer, che con 35.000 uomini, artiglieria e mezzi corazzati, avrebbero potuto scatenare l’inferno.

Alessandra, Giuditta e Caterinetta si stabilirono con la madre in un nuo-vo appartamento, in via Cesare Battisti 3, a poca distanza da quella via de-gli Artisti dove avevano vissuto fino a circa un anno e mezzo prima. Que-sto luogo, in realtà, era una grande pensione per artisti, aperta molti anni prima e di cui era proprietaria, da generazioni, la famiglia Martellacci: sud-divisa in più appartamenti, ospitò in quegli anni alcuni cantanti lirici, e divi dello spettacolo come la coppia Achille Togliani e Vera Rol, il Duo Fasa-no, Wanda Osiris, Dapporto, Nino Taranto, Walter Chiari e Renato Rascel. Quasi subito, le tre sorelle olandesi ripresero a cantare. Tra il luglio e il settembre, ma forse fino all’autunno inoltrato, le troviamo infatti a Livorno con altri colleghi, a esibirsi presso le truppe anglo-americane all’America Officers Club; in luglio, esse vennero fotografate con le Andrews Sisters, venute in Italia in tournée nell’àmbito del Circuito Foxhole.

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Non si hanno notizie in proposito, ma sembra naturale supporre che le Lescano abbiano subito tentato di tornare a lavorare alla radio: trovando però la porta chiusa. Il motivo, valido anche per altri loro colleghi, era che, volenti o nolenti, la loro immagine si era troppo identificata con gli anni del regime. Naturalmente, all’epoca la RAI (nuova denominazione assunta nel ’44 dall’EIAR, come acronimo di Radio Audizioni Italiane) pullulava di funzionari che si erano compromessi col fascismo ben più delle Lesca-no; ma i cantanti erano personaggi pubblici, mettevano le loro voci e la faccia. Oggi, così, esse pagavano il prezzo della loro passata celebrità. Questo trattamento, tuttavia, non fu eguale per tutti: basti dire del popola-rissimo Oscar Carboni, il quale, benché costretto, dopo l’8 settembre ’43, a interpretare alla radio delle canzoni di propaganda repubblichina, nell’im-mediato dopoguerra trovò subito posto tra i cantanti RAI.

Il film-documentario Tulip Time di Boniotti e De Stefanis (2007) ha dif-fuso la notizia di un ‘concerto radiofonico d’addio’ del Trio, avvenuto, pre-sumibilmente a Roma, il 1° settembre ’45, con la presenza di Alberto Sem-prini, giunto apposta da Londra. Sull’attendibilità di quest’informazione nutriamo fortissimi dubbi. Prima di tutto, perché non se n’è finora trovato conferma negli archivi RAI, né - ciò che risulta ancor più indicativo - nei programmi radiofonici pubblicati dai giornali. Non si capisce, poi, perché stabilire un ‘concerto d’addio’: dato che in quella data le tre sorelle olande-si erano ben lungi dall’abbandono dell’attività artistica, o dalla partenza per qualche tournée in paesi lontani; dunque, non ce n’era proprio motivo. Infine, credere al fatto che il pianista, compositore e direttore d’orchestra Alberto Semprini (1908-80) sia venuto apposta da Londra per accompa-gnarle al pianoforte o con un complesso orchestrale è semplicemente ridi-colo. Semprini era loro amico, e sul finire degli anni Trenta le aveva ac-compagnate spesso in esibizioni, nei concerti Cora e in altre occasioni, componendo per loro, nel ’37, il motivo della canzone-tango di Leonardi e Cram Due chitarre; ma tanta sollecitudine da parte sua non sarebbe credi-bile neppure se al posto delle Lescano vi fossero stati Bing Crosby o Frank Sinatra. Ricordiamo, inoltre, che in quel periodo la rete radiofonica non era ancora stata pienamente ripristinata: basti dire che soltanto il 3 novembre del ’46 vennero riallacciati i collegamenti tra le stazioni radio del Nord e quelle del Centro-Sud, con l’esclusione della Sardegna. Quanto al fatto di tornare a incidere dischi, per loro il problema riguardava anzitutto la ricer-ca di nuovi motivi, ed era comunque strettamente connesso alla diffusione degli stessi via radio.

Ma eccoci a Caterinetta. Nel maggio-giugno del ’45, quando lei, le so-relle e la madre erano appena rientrate a Torino, essa conobbe un militare sardo in congedo permanente per malattia, che era in procinto di rientrare nella sua città natale: Giulio Epicureo (Cagliari, 25 maggio 1917-ivi, 25 a-prile 1989). Sestogenito di nove fratelli, - tre maschi e cinque femmine, tutti commercianti, in genere merciai, e residenti a Cagliari nell’antico

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quartiere di Stampace - l’Epicureo contava due anni più di Caterinetta. Nel 1936, poco più che diciottenne, innamoratosi d’una sua coetanea di Selar-gius, Maria Cara, per vincere le resistenze delle famiglie organizzò con lei quella che in Sicilia si definirebbe una fuitina, rifugiandosi con la ragazza presso alcuni parenti: costoro, però, li misero a dormire in stanze separate; ma la loro fuga ebbe comunque successo, cosicché lui ottenne di sposarla. Il loro matrimonio, che non dette figli, durò circa sedici mesi: perché verso la fine del ’37, chiamato al servizio di leva in sussistenza, Giulio venne de-stinato a Torino. L’ambiente fervido del capoluogo piemontese lo entusia-smò, tanto che volle fermarsi lì anche dopo il congedo: e, separatosi dalla moglie, avviò in quel periodo un’attività commerciale, iniziando a occu-parsi della compravendita di gioielli, e ampliando poi il suo operato fino a comprendere gli altri oggetti d’arte.

Quando conobbe Caterinetta, Giulio aveva ventott’anni: bruno, piacen-te, dinamico, lo sguardo acceso e i modi cortesi e affabili, generosissimo, non tardò a fare breccia nel cuore di lei, che era molto corteggiata: tra gli altri, da un signore anziano molto danaroso e ‘promozionato’ dalle sorelle, in particolare da Giuditta, ma da lei aborrito. Nell’estate del ’45 Giulio fece ritorno a Cagliari, dove trascorse l’estate; in quel periodo passato in fami-glia, egli chiese alla sorella Maria Rosaria, a cui era molto legato, di veni-re con lui a Torino quando, in autunno, vi avrebbe fatto ritorno: «nel capo-luogo piemontese» - a ricordare è Maria Rosaria - lui le promise che le a-vrebbe fatto conoscere «tanta gente bella e interessante». Così, in ottobre Giulio rientrò a Torino portando con sé la sorella, allora ventunenne. I due alloggiarono in una pensione nei pressi di piazza Solferino, non lontano dal Teatro Alfieri, gestita da tale signora Galletti: era quella dove lui aveva ri-sieduto da militare. Ma il fratello, ricorda lei, in genere dormiva fuori - do-ve, non sa; e aggiunge: «una sera, mi portò a ballare con sé e due coppie di suoi amici, alla Sala Biffi sotto i portici di via Roma, e qui mi avvidi che lui ballava stretto stretto sempre con una bella ragazza bionda, piuttosto slanciata, che poi mi presentò: era Kitty». In quell’occasione, ella conobbe pure Alessandra e Giuditta, anch’esse presenti.

Risale quasi certamente a un giorno d’estate l’unica foto di quell’anno che riprende assieme la giovane coppia, apparsa nel documentario Tulip Time e proposta anche dal nostro sito: in cui lei è seduta con le gambe su una panchina, e lui, dietro in piedi, le è accostato col viso e ha le mani sulle sue spalle. Foto che non venne scattata ad Alassio, ma a Sanremo o in un’altra località della riviera ligure, se non in una spiaggia della Versilia (Caterinetta, ricordiamolo, trascorse quella stagione per gran parte a Livor-no con le sorelle, dove il Trio cantava per le truppe anglo-americane); Ma-ria Rosaria rammenta che quell’immagine fu la prima in cui ella vide Kitty insieme al fratello: «Me la spedì lei per posta, credo ai primi del ’46, prima ancora che mettesse per la prima volta piede in Sardegna. Quando Cateri-netta me la regalò loro non si conoscevano da più di sei mesi».

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A sinistra: Kitty e Giulio (estate 1945, Liguria o Versilia).

2. La quiete dopo la tempesta (1946) Di lì a poco, Giulio e Caterinetta andarono a vivere assieme: anche se

Maria Rosaria non rammenta in quale luogo; ed egli riprese con maggiori velleità il suo commercio. Spirito libero e amante della vita, formidabile viaggiatore in auto, in traghetto, e più tardi in aereo, faceva la spola tra la città natale e il capoluogo piemontese, girando in lungo e in largo per repe-rire pietre preziose, mobili, vasellame, quadri, stampe, tappeti e quant’al-tro, occupandosi dello sgombero di vecchie dimore e vendendone gli og-getti a negozi antiquari. Era un grandissimo lavoratore: in breve tempo, di-venne il fornitore fiduciario di alcuni dei principali negozi antiquari di To-rino, tra cui il celebre Accorsi, realizzando grandi guadagni.

Ai primi del ’46, un terribile temporale si addensò sul cielo delle Lesca-no: perché poco prima di sottoscrivere il contratto per una tournée, Cateri-netta annunciò a madre e sorelle la sua decisione di lasciare il Trio. I moti-vi erano molteplici. Anzitutto, sentendosi per la prima volta sicura e soddi-sfatta sul piano sentimentale, era ansiosa di vivere con pienezza la sua sto-ria d’amore; inoltre, era stufa di girare, facendo quindi scelte obbligate, e desiderosa, semmai, di proporsi quale solista, una carriera che aveva già in parte intrapreso con buon successo a partire dal 1941, e che solo la guerra aveva interrotto; si aggiunga che, pur amandole, aveva frequenti litigi con

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le sorelle, le quali, maggiori di lei per età, pretendevano ancora di coman-darla a bacchetta, e a quanto pare le facevano scherzi odiosi (Giuditta in particolare), e con la stessa madre, che giudicandola un pochino sventata la trattava ancora come una bambina. Ma oltre a tutto ciò, ella non stimava il loro nuovo impresario, l’ex attore Vincenzo (Nino) Gallizio, già spalla di Macario e compagno di Alessandra, che le Lescano avevano conosciuto nell’autunno del ’42 lavorando nella rivista Sogniamo insieme…. Siccome, tuttavia, il Trio Lescano realizzava «il mistero della trinità celeste», rende-re manifesto questo divorzio sarebbe stato un delitto di lesa maestà, ed an-che un pessimo affare dal punto di vista professionale, almeno per Alessan-dra e Giuditta. La circostanza infatti, come poi ricordò Alessandra, portò le sorelle a litigare fino a «strapparsi i capelli»; ma non è tutto: perché Eva, persuasa che dietro alla decisione di Caterinetta ci fosse l’Epicureo, si ri-volse ad un avvocato per denunciarlo, accusandolo d’aver causato la rottu-ra di contratti di lavoro al Trio, tra i quali, pare, addusse anche una vantag-giosa tournée in Argentina, che nella realtà avrebbe avuto luogo solo due anni più tardi.

In un primo tempo, il compagno di Caterinetta affidò la tutela dei propri interessi ad un legale di Cagliari suo amico, l’avvocato Angioni, che aveva lo studio in piazza Yenne, nel palazzo dove ora c’è il Banco di Roma; poi d’un tratto cambiò idea, e con un atto di delicatezza verso la sua compa-gna, essendo innamoratissimo di lei e non avendo problemi economici, ac-consentì di buon grado a indennizzare Eva, Alessandra e Giuditta. Così le sorelle trovarono infine un accordo, non sancito - pare - da alcuna scrittura privata, ma riassumibile in questi termini: Caterinetta rinunciava per sem-pre alla carriera artistica, quantomeno col nome Lescano; nel contempo, A-lessandra e Giuditta l’avrebbero rimpiazzata con altra cantante, che si sa-rebbe esibita passando per lei. Con qualche accorgimento, all’epoca la cosa era fattibile: perché, sebbene le Lescano vantassero legioni d’ammiratori, ben pochi le avevano davvero viste di persona. Certo, non era facile trovare un’altra Caterinetta: la sua, era la voce dal timbro più alto, quella che in trio eseguiva la maggior parte dei brani solistici. Fu però scoperta, quasi subito, una graziosa e bravissima allieva del maestro Pasero, la ventunenne torinese Maria Bria, dalla voce di soprano leggero: che a partire dalla se-conda metà di maggio di quell’anno «divenne» Caterinetta, benché fosse meno alta della più giovane sorella del Trio. Il fatto che l’Epicureo abbia corrisposto senza batter ciglio una somma alle parenti di Caterinetta (som-ma di cui ignoriamo l’entità, ma che non doveva certo trattarsi di un pro forma), e che la più giovane componente del Trio abbia finito per accettare questa clausola-capestro, la dice lunga, non solo sull’amore reciproco che provava la coppia, altresì sul desiderio di lei di condurre finalmente un’esi-stenza tranquilla, lontana dalle luci del palcoscenico; questo, perché qual-siasi buon avvocato, e quindi anche l’Angioni, avrebbe facilmente potuto

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opporre mille ragioni alle pretese, in qualche misura motivate ma invero piuttosto arroganti, accampate da Eva, Alessandra e Giuditta.

A sinistra: manifesto dello spettacolo «Vuoi divertirti?» dove Caterinetta risulta tra gli ospiti (Torino, 7 marzo 1946). A destra: Kitty e Giulio in una foto del ’46, probabil-mente scattata a Cagliari.

Pare che Giulio e Kitty avessero preso in considerazione l’idea di spo-sarsi: ma essendo lui separato dalla prima moglie, poiché all’epoca il di-vorzio era ancora ben lungi dal rientrare nel nostro ordinamento civile, si erano dovuti arrendere davanti all’evidenza delle circostanze. Caterinetta fece buon viso alle mancate nozze e non se la prese più di tanto per le ri-chieste categoriche di madre e sorelle: col suo Giulio, continuò a frequen-tare il mondo dello spettacolo torinese, che fino a pochi mesi prima l’aveva vista protagonista. Un piccolo manifesto proposto all’attenzione dal nostro Paolo Benevelli annuncia con un Vuoi divertirti? la prossima apertura, il 7 marzo 1946 alle ore 15, del locale torinese l’Ala d’Italia in via Goito 15, destinato a ospitare appuntamenti trisettimanali di «pomeriggi danzanti studenteschi» coi goliardi della Dixie Stompers di Renato Germonio e la «dinamica orchestra swing» diretta dal fisarmonicista Franco Goldani; e ri-ferisce come in occasione della sua inaugurazione la sala vedrà la presenza «dei cantanti Catarinetta [sic] Lescano, Maria Marrone, Ada Rossi, Gigi Beccaria, Loris Cervelli, Gianni Di Palma, Raul Crilissi, Lino Stano, della danzatrice Dea Pierretta, delle Sisters Bice and Bancy, del Balletto Am-mappete’quantosobbone, delle 20 Gambe Pelose 20 del Balletto Goliardi-co, del caricaturista prof. Guido Lagna, della vedette Norma Riga e dell’or-chestra dinamite Dixie Stompers» (1).

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A sinistra: Maria Rosaria e Kitty (Cagliari, 30 dicembre 1946). A destra: caricatura del regista Lino Girau, di Radio Sardegna a Cagliari.

Tornato il sereno tra le tre sorelle e recuperato il rapporto con Eva, nella seconda metà di maggio del ’46, mentre il nuovo Trio si apprestava a fare la sua prima apparizione pubblica, Giulio e Caterinetta vivevano momenti molto intensi della loro storia d’amore. Egli aveva portato la sua compagna in Sardegna, presentandola al resto della famiglia: e Caterinetta, col suo fa-re semplice e spontaneo, aveva subito fatto breccia nel cuore di tutti, a par-tire dalla madre di Giulio, Pasqualina, vedova da ormai quattordici anni. A Cagliari, i due innamorati alloggiavano all’Hôtel Italia; Caterinetta andava a fare i bagni alla spiaggia del Poetto, usciva a passeggio con Maria Rosa-ria (una foto del 30 dicembre di quell’anno le mostra a braccetto per le vie del capoluogo, con un’espressione particolarmente felice dipinta sui volti), e strinse amicizia col gruppo di persone che allora animava Radio Sarde-gna, in particolare coi cantanti isolani Candido Manca, Paolo Rabatti, Gianni Sulis, col regista Lino Girau e col giovane chitarrista e promettente direttore d’orchestra e compositore Franco Pisano, destinato a una splendi-da carriera (tra l’altro, vinse come autore anche un Festival di Sanremo). Non pare, tuttavia, abbia preso parte a trasmissioni radiofoniche, ma canta-va volentieri accompagnata da Pisano. Nel giugno ’46, lei e Giulio sog-giornarono anche a Bosa Marina; e nel corso di quell’estate, toccarono Sas-sari, Alghero ed altre località dell’isola, rientrando a Torino solo in autun-no.

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Osserva Maria Rosaria: «Kitty aveva una pelle meravigliosa, una carna-gione molto chiara, e magnifici occhi azzurri, mentre quelli di Alessandra e Giuditta erano scuri; aveva anche bellissimi capelli biondi. Ho anch’io ben presenti le foto del Trio Lescano, ma secondo me, era soltanto in quell’e-poca che lei si tingeva i capelli, e di bruno, per rassomigliare di più alle so-relle. Perché non ho mai visto una volta Caterinetta tingerseli o farseli tin-gere, in quasi otto anni in cui ci frequentammo: e a Cagliari come a Tori-no conoscevo benissimo i suoi parrucchieri, anzi, spesso andavamo a farci i capelli assieme. Le dico che lei li aveva castani chiarissimi, era quasi una bionda naturale: e d’estate, poi, quando si andava al mare, sotto il sole la sua chioma si schiariva ulteriormente».

Roma, 17 gennaio 1947. Eva, Giulio e Kitty fotografati all’interno del Colosseo. 3. Gli anni spensierati (1947-49) Nel corso dell’anno successivo, mentre il nuovo Trio girava in tournée

la penisola, anche Caterinetta e Giulio lasciarono spesso Torino, e non solo per recarsi in Sardegna. Una foto del 17 gennaio ’47, scattata a Roma al-l’interno del Colosseo, mostra Giulio sorridente a braccetto di Eva e della sua ultimogenita; per l’occasione, egli portò le due donne nei migliori ne-gozi di via Condotti: regalò a Caterinetta una bella pelliccia di volpe rossa e non dimenticò certo di omaggiare anche la di lei madre. Giulio e Kitty furono anche a Portofino, dove egli aveva rapporti di lavoro con un anti-quario suo corregionale, Nicola Piras. Nella primavera dello stesso ’47, in auto, Giulio portò Caterinetta e Maria Rosaria in Costa Azzurra: visitarono diverse località, tra cui Nizza, Monaco, Marsiglia e Saint-Tropez, percor-rendo strade così impervie e dissestate che oggi farebbero rabbrividire; a

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Giulio guidare piaceva molto, e «durante il tragitto - ricorda Maria Rosaria - Caterinetta ci cantava spesso qualche canzone del suo repertorio e di quello del Trio, come Tulipan, e poi alla fine, scherzando, ci diceva: - Ma cosa volete da me? Canto da sola quel che una volta cantavamo in tre! - Però cantava altrettanto volentieri dei motivi incisi da alcuni suoi vecchi colleghi, specialmente di Rabagliati e Natalino Otto. Ce n’era una che mi è ancora rimasta impressa, ma non ne rammento il titolo; i versi del refrain dicevano qualcosa come: “Nulla può farmi tornare da te...”». Il 24 giugno, Caterinetta e i due fratelli Epicureo, partiti in aereo da Cagliari raggiunsero Milano, dove visitarono la Fiera Campionaria e ammirarono anche un qua-dro di Picasso. Poche settimane dopo, di sera, gli stessi raggiunsero in auto Saint-Vincent: qui, in una modesta abitazione, soggiornavano Alessandra, il suo compagno Nino Gallizio e Giuditta; essi dormirono lì, ospitati su al-cune brande, e l’indomani, dopo il pranzo, ripartirono per Torino.

«Dopo quella circostanza - dice Maria Rosaria - vidi Alessandra e Giu-ditta una terza ed ultima volta, nella hall di un albergo di Torino, dove sog-giornavo con Giulio e Caterinetta. Doveva essere la tarda primavera del ’48, lo rammento, perché quando esse vennero a trovarci parlarono della loro tournée in Argentina, data per imminente. Ricordo un episodio che mi colpì, perché fornì un’ennesima prova della generosità di Kitty. Lei calzava un bellissimo paio di scarpe dal tacco alto, di colore rosa antico: e quando Alessandra le vide, se ne mostrò subito entusiasta; economicamente, a quell’epoca le due sorelle di Caterinetta non dovevano passarsela proprio al meglio. Ebbene, poiché lei e Sandra avevano il piede della stessa misura, con la massima semplicità Kitty se le sfilò e gliele diede in regalo. Lei era fatta così, aveva proprio il cuore in mano. Le racconto un altro episodio per dirle la delicatezza di sentimenti di questa donna. Nell’anno in cui ci fu l’alluvione del Polesine [il 1951], io mi trovavo a Torino con Kitty quando Giulio tornò da uno suoi molti giri; come al solito, aveva portato a Cateri-netta alcuni bellissimi regali: ricordo in particolare un prezioso profumo e una magnifica veste da camera. Lei li vide e li gradì molto, poi gli chiese: - E a Rosaria, non hai portato nulla? - Un po’ in imbarazzo, Giulio rispose d’essersi dimenticato (mio fratello era generosissimo anche con me, ma quella volta evidentemente era andata così). Ebbene, il giorno dopo Kitty uscì e comprò una splendida veste da camera, di cui mi fece dono».

Nel capoluogo piemontese, Caterinetta non mancava mai di fare visita ai suoi vecchi amici, come Carlo Alberto Prato. Ricorda Maria Rosaria che un giorno di quell’anno ella la portò con sé «alla sede RAI, e mi presentò il maestro Prato. Caterinetta gli voleva un bene dell’anima: per lei era come uno zio, o un secondo padre: non c’era giorno che non lo andasse a trovare. Gli confidava tutte le sue cose, ed anche lui le era affezionatissimo. Ho da-vanti agli occhi quest’immagine: Prato al pianoforte e Caterinetta accostata al piano, lui che suona ed ella che canta. Quel giorno, lì con lui, trovammo una giovane ma già affermata cantante: Nilla Pizzi. Presso Prato ho cono-

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sciuto anche le sorelle Fasano, che tempo dopo rividi nella nostra pensio-ne».

Estate 1947. Due ritratti di Kitty nella spiaggia del Poetto, a Cagliari.

Giulia e Caterinetta tornarono più volte in Sardegna; nel ’47, dopo alcu-ni giri in Liguria con Maria Rosaria (nel corso dei quali furono anche a Sanremo e, forse per la prima volta, ad Alassio, dove trascorsero una setti-mana), si recarono sull’isola, trattenendosi lì fino al Capodanno del ’48. In quei mesi, a Cagliari, essi poterono finalmente lasciare l’albergo per trasfe-rirsi in un’abitazione; Francesca, un’altra sorella di Giulio, che aveva un negozio di calzature in via Domenico Azuni, possedeva un piccolo appar-tamento nella stessa via, formato da cinque vani e servizi: tre stanze le oc-cupava la figlia Gianna, di cui Caterinetta era stata madrina alla cresima, e le due rimanenti le mise a disposizione della coppia. Nello stesso periodo, Giulio prese in affitto un locale in piazza Yenne 24, che utilizzò come ma-gazzino per gli oggetti d’arte che reperiva sull’isola. Risalgono probabil-mente a quei giorni le uniche pubbliche esibizioni canore di Caterinetta in terra sarda: ella infatti interpretò per tre sere - in uno spettacolo di benefi-cenza, nell’appena inaugurato Teatro Massimo - alcuni motivi del suo vec-chio repertorio da solista, come Nebbia. Lei, Giulio e Maria Rosaria si re-carono anche a Carbonia, per assistere a una gara su pista nel locale velo-dromo, esso pure di recente apertura, dove Fausto Coppi si cimentava in coppia con Luigi Casola. Ricorda Maria Rosaria: «Dormimmo all’hôtel

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Centrale, dove alloggiava anche il campionissimo. L’indomani mattina era-vamo seduti a un tavolino del bar dell’albergo, e poco più in là sedeva

Carbonia, 1947. Kitty, Giulio e il boxer Vicky.

Coppi. A un certo punto io m’alzai e andai da lui a chiedergli l’autografo, che mi venne concesso con molta gentilezza. Quando tornai a sedermi, Kit-ty s’arrabbiò: - Non dovevi andare tu da lui, - mi disse - doveva essere lui a venire da noi». Una foto, scattata in quei giorni a Carbonia, ci mostra Giu-lio seduto su una panchina, con Caterinetta in piedi dietro a lui, e ai piedi dello stesso la cagna Vicky, un tenerissimo boxer che avevano preso all’età di tre mesi e che Giulio portava con loro in Sardegna. Ad Iglesias, Giulio e Caterinetta fecero da padrini di battesimo al figlio di Guido, un loro amico medico: un bimbo di nome Luciano. Essi soggiornarono, di nuovo, ad Al-ghero e a Bosa Marina; poi Giulio portò Kitty sull’isola Maddalena, a ve-dere la casa di Giuseppe Garibaldi, e fecero una puntata anche in Corsica.

L’anno 1948 registrò, il 2 luglio, la partenza del nuovo Trio per l’Ar-gentina. Lasciò il Bel Paese anche Eva, per stabilirsi in Olanda presso pa-renti. La partenza di madre e sorelle consentì a Caterinetta d’insediarsi as-sieme a Giulio nel loro (e suo) antico appartamento nella pensione per arti-

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sti in via Cesare Battisti 3. Di quest’abitazione dice Maria Rosaria: «Non ricordo bene in quale piano si trovava, ma so che sopra di sé aveva la ter-razza di Andrea Martellacci, il proprietario dello stabile: esso consisteva in una grande sala, un salottino, una camera da letto, un bagno, e una stanza piccola uso studio, dove, quando mi trovavo a Torino, dormivo io su una branda. Rammento molto bene Rosa, la signora torinese che veniva a farci i servizi di casa».

Va detto come, nonostante tra Giulio e Caterinetta complicità e affiata-mento fossero totali, le frequenti assenze di lui per lavoro motivavano a volte l’irrequietezza di quest’ultima. Spiega Maria Rosaria: «Lei era una donna meravigliosamente sincera, abituata a non nascondere mai i suoi sentimenti; uno dei tanti motivi per cui era davvero impossibile non volerle bene. E Giulio, pure amandola moltissimo, siccome viaggiava parecchio, si sarà forse guardato in giro: le belle donne gli sono sempre piaciute. Quello che so a proposito della gelosia di Kitty, è che una signora che stava nel palazzo di via Battisti mi disse una volta d’aver saputo che lei aveva messo alle calcagna di mio fratello un suo conoscente affinché lo ‘pedinasse’ mentre andava in giro: si era persuasa che, oltre al lavoro, lui potesse con-cedersi qualche piacevole diversivo».

Risale con buone probabilità al ’48 anche un breve soggiorno a Napoli di Caterinetta, Giulio, Maria Rosaria e Francesca Epicureo, quest’ultima col marito. Gli affari di Giulio andavano a gonfie vele: con la sua incredi-bile capacità di coniugare lavoro e divertimento, riusciva a fare ottimi affa-ri anche in qualche gita domenicale avviata senz’altra intenzione che quella del puro svago; da tempo, era divenuto il principale fornitore dell’antiqua-rio Accorsi, il quale si serviva di lui anche indirizzandolo verso famiglie altolocate che sapeva in difficoltà, per acquistarne gli arredi; da una di que-ste, egli acquistò un giorno un preziosissimo tappeto persiano del Settecen-to. Si aggiunga tutto quanto egli recuperava di sua iniziativa, specialmente in Sardegna, stoccando nel magazzino cagliaritano.

Qualche tempo fa, il nostro Alessandro Rigacci ha segnalato all’atten-zione alcuni annunci pubblicitari apparsi sulla “Nuova Stampa Sera”, ri-spettivamente nei giorni lunedì 30 e martedì 31 agosto 1948 e martedì 2 a-gosto ’49 (2), relativi a due spettacoli di rivista rappresentati al cine-teatro I-deal di Torino dalla compagnia Freddi Pistoni e Mimma Rizzo, Ma dove vogliamo arrivare! e Pallino segue... la flotta: nei quali, tra gli artisti, si legge il nome di una Caterinetta o Ketty Lisbona; ipotizzando potesse trat-tarsi di uno pseudonimo utilizzato da Caterinetta Lescano per poter tornare a esibirsi senza rischiare di danneggiare le sorelle in tournée. Ma la compa-gnia di Freddi Pistoni (più noto come Fredo) e Mimma Rizzo era di secon-do piano e apparteneva al più tipico avanspettacolo romano; possibile che Caterinetta ne facesse parte, in un momento, oltrettutto, in cui non sentiva affatto il bisogno di tornare a cantare in pubblico? La signora Maria Rosa-ria, interrogata su possibili esibizioni canore della fidanzata di Giulio dopo

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quella cagliaritana al Teatro Massimo, nega decisamente l’eventualità, né ha mai saputo di partecipazioni dell’allora ‘cognata’ ad altri spettacoli, col proprio nome o con pseudonimi: «Kitty non aveva alcuna nostalgia del canto né delle sorelle: negli anni in cui la frequentai, dalla sua bocca non u-scì mai un ripensamento a proposito della brillante carriera artistica che a-veva interrotto e di quella che avrebbe potuto condurre individualmente. Eppoi, in quel periodo lei passava tutto il mese d’agosto con noi».

Bosa Marina (Cagliari), 28 agosto 1949. Kitty e Giulio.

Anche il ’49 fu per lei un anno sereno. Con Giulio, fu sempre molto presente sull’isola: oltreché a Cagliari, ad Alghero, a Macomer, a Bosa Marina… Di quest’ultima località restano tre foto che recano la data del 28 agosto e riprendono rispettivamente: Giulio e Caterinetta su uno scoglio, Caterinetta e Giulio in spiaggia (in entrambe, sono in costume da bagno), Caterinetta vestita, seduta presso la spiaggia accanto alla loro cagnetta sar-da, Mascherina, che era golosissima di paste. Ma essi soggiornarono anche brevemente in Liguria: a Sanremo, a Rapallo, fors’anche ad Alassio.

4. Dove si canta, ma non per cantare (1950-51) L’Anno Santo, il 1950, per Giulio e Caterinetta trascorse con eguale se-

renità. È forse in tale periodo che, a Torino, quest’ultimo prese in affitto da un signore ebreo, tale Sevre, un locale in via Maria Vittoria 8, con lo stesso scopo con cui nel ’47 aveva preso in affitto quello di Cagliari in piazza Yenne, ovvero, per stiparvi la merce acquisita durante i suoi viaggi e poter-

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ne, così, vendere una parte individualmente, con calma e alle migliori con-dizioni; allora come oggi, via Maria Vittoria era nota come la via degli an-tiquari. Porta la data del 20 giugno di quest’anno la dedica apposta sul retro della bella foto di Caterinetta realizzata nel capoluogo piemontese dallo studio Luigi Bertazzini in piazza Carlo Felice 26, che da Torino ella inviò ad un’altra sorella di Giulio, Ignazia Epicureo: «O mia cara cognata / Inia-zia [sic] con affetto / Caterina». Si tratta di una delle prime immagini di carattere ufficiale dove la più giovane ex componente del Trio appare da sola. Dello stesso periodo appare un’altra foto, un piccolo ritratto a mezzo busto proveniente da un documento, firmato in basso «Leschan Caterina».

1950. Due ritratti di Kitty, entrambi con la sua firma: il primo, uso documento; il se-condo, effettuato a Torino dallo Studio di Luigi Bertazzini, reca la data del 20 giugno.

In Sardegna, dove tornarono presto, Caterinetta si sentiva ormai come a

casa: tant’è vero che aveva assunto alcune consuetudini isolane. Per esem-pio, dalla moglie di un fratello di Giulio, - Giuseppina, madre di Gesuino - aveva perfino imparato a preparare e cucinare is malloreddus, i tipici gnoc-chetti sardi conditi con sugo di salsiccia fresca, di cui Giulio andava ghiot-to. «Kitty era un’ottima cuoca, - ricorda Maria Rosaria - ma in verità sape-va fare di tutto. Cuciva, ricamava, lavorava all’uncinetto, e sapeva stirare come non avevo né ho mai più visto in vita mia: le camicie di Giulio usci-vano dalle sue mani come neanche dalla stireria di un grande albergo. Ri-cordo che un giorno s’innamorò di un tessuto di cotone visto nel negozio di mia sorella Francesca: intendeva comprarlo, ma ella volle regalarglielo; eb-

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bene, una volta a casa si confezionò, da sola, un bellissimo vestitino alla villanella. Aveva mani di fata… Tornando alla cucina, lei adorava la pasta-sciutta: comprava sempre i bucatini della Barilla. Era bravissima nei fritti, sapeva preparare una maionese stupenda (che si divertiva a sbattere col cucchiaio mentre girava cantando per la casa), un gustoso coniglio al latte ed anche le costolette d’agnello. Non amava molto, invece, i piatti troppo elaborati: così la zuppa di pesce, che a Giulio piaceva molto, la preparavo sempre io. Kitty si divertiva anche a fare la spesa: era molto attenta nella scelta delle cose da comprare. Un altro piatto sardo, cagliaritano, che da noi imparò a fare bene è la frègula: una pasta a base di semola lavorata che si condisce col sugo e si accompagna con le arselle, oppure si può mettere nella minestra».

Lo stesso Gesuino, oggi sessantaseienne, ricorda «una festa in famiglia con mia nonna, sempre presente, e diversi zii con le rispettive famiglie; du-rante questa festa Caterina cantò una canzone nella quale ricorreva più vol-te la parola “nulla” e lo zio Giulio di fianco, nell’ilarità generale, mimava la canzone, naturalmente senza parole proprio perché “nulla” era il leit-motiv». E conferma: «Caterinetta era entrata nella famiglia a pieno titolo, e intendo famiglia al completo: nonna, zii e zie. Fu accolta da tutti con affet-to e simpatia e lei ricambiava con altrettanto affetto e gentilezza d’animo. Tutti le hanno voluto bene cercando di non farla sentire un’estranea. Ha fatto da madrina a qualche cugina, e partecipato agli avvenimenti impor-tanti della nostra vita, gioendo o soffrendo al nostro fianco: era insomma u-na di noi. Certo, all’epoca ero molto piccolo, e ho notizie di seconda mano; ma nel tempo, parlando con quelli più grandi di me, zie, cugini e quanti l’hanno conosciuta più a fondo, ho avuto conferma di questi miei ricordi, sentimenti e valutazioni su di lei».

Caterinetta aveva ricevuto un’educazione molto religiosa. Suo padre A-lexander aveva voluto così per tutte le tre figlie, ma per motivi indipenden-ti dalla sua volontà questo era valso in particolare per Kitty. Infatti, essen-do la più piccola, quando Eva, Alessandra e Giuditta, in varie tournées, a-vevano girato l’Europa e attraversato l’Atlantico e il Mediterraneo prima col Dickens Ballet, poi con le Sunday Girls e infine con le Sunday Sisters, lei era rimasta a L’Aja, affidata ad una zia, sua madrina di battesimo, Matje II De Leeuwe, sorella quartogenita di Eva: presso questa parente ella aveva vissuto negli anni tra il 1928 e il ’35, quando studiava in collegio; zia Ma-tje, - raccontava Caterinetta alla ‘cognata’ - oltre ad essere piuttosto sorda (e vittima, per questo, di qualche scherzo della nipote, che si divertiva a suonarle una campanella accanto all’orecchio), era una donna molto pia e le aveva inculcato una fede motivata e profonda. Maria Rosaria ricorda al-cuni episodi che lo testimoniano. Kitty, ad esempio, era particolarmente devota a Santa Rita da Cascia, e a Torino la portò a visitare la chiesa dedi-cata alla «santa degli impossibili» nella piazza omonima, a sud-ovest della città e, allora, quasi in campagna. Uno zio di Giulio e Maria Rosaria si era

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fatto frate cappuccino, e ogni volta che veniva a Cagliari e si recava in visi-ta dalla sorella, Caterinetta, a motivo del suo stato di concubinaggio, per vergogna e riguardo si andava a nascondere in un’altra stanza, dove man-giava da sola, non presentandosi mai in sala da pranzo: «quando mio zio lo venne a sapere, s’incuriosì e volle conoscerla: parlandole, fu così colpito dal suo atteggiamento che la pregò di recedere e sedere con loro, dicendole che il giudizio su certi comportamenti umani spettava a Dio, non ai suoi ministri».

Riccardo Morbelli

L’estate di quell’anno, essi la trascorsero in buona parte in Sardegna, ma anche nel ponente ligure, che, per la sua relativa vicinanza a Torino, era piuttosto comodo da raggiungere per Giulio: egli, in settimana impegnato col lavoro nel capoluogo piemontese, al venerdì sera o alla mattina del sa-bato raggiungeva Caterinetta al mare. Chissà se il 13 settembre quest’ulti-ma avrà avuto modo di ascoltare alla radio, dalle 13.37 alle 13.55 sulla «Stazione della rete rossa» che trasmetteva da Roma, il programma Incon-tri musicali - Trio Lescano, per il quale Riccardo Morbelli, vecchio amico del Trio fin dagli anni torinesi dell’EIAR, aveva preparato un delizioso te-sto e una scelta di sette motivi. Era, quello, il primo tentativo di ‘sdogana-mento’ radiofonico delle Lescano nel dopoguerra: giacché, come anticipato nel 1° paragrafo, del famoso ‘concerto d’addio’ alla RAI del 1° settembre ’45 non abbiamo alcuna certezza.

Caterinetta festeggiò il Capodanno 1951 nel capoluogo sardo. Nel gen-naio del nuovo anno, come d’abitudine, lei, Giulio e Maria Rosaria rientra-rono a Torino: e dalla città dove nacque il Trio Lescano, nel pomeriggio del 31 raggiunsero Sanremo per un appuntamento inedito: la serata finale della 1ª edizione del Festival della Canzone. Purtroppo, però, Caterinetta non si presentava là per cantare: con gli Epicureo, era stata invitata dal loro grande amico Achille Togliani, che, come detto, in quegli anni viveva an-ch’egli nella pensione torinese di via Battisti, assieme alla sua compagna d’allora, l’attrice Vera Rol. Con Nilla Pizzi e le sorelle Fasano, il bell’A-chille formava il gruppo di cantanti chiamati a dar voce alle venti canzoni prescelte dalla giuria per le tre serate: interpretava ben otto motivi (ma il

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record, con dieci, spettò alla Pizzi): Sedici anni, Serenata a nessuno, Sei fatta per me, Mani che si cercano e Mai più quale unico interprete, Eco tra gli abeti e La luna si veste d’argento con Nilla Pizzi, Al mercato di Pizzi-ghettone col Duo Fasano (queste scelte degli organizzatori si spiegano col fatto che allora si giudicavano anzitutto le canzoni, poi gli interpreti: il di-vismo, insomma, pur essendo già da decenni ben presente nel mondo della musica leggera, era stato bandito dall’esordiente manifestazione); direttore d’orchestra unico era Cinico Angelini, presentava Nunzio Filogamo: an-ch’essi, due vecchi amici di Caterinetta, al pari di Angelo Nizza, l’ideatore del Festival assieme ad Angelo Nicola Amato. La vittoria, come si sa, spet-tò alla Pizzi con Grazie dei fiori, mentre Togliani si aggiudicò il secondo posto con la stessa Pizzi per La luna si veste d’argento e il terzo per Sere-nata a nessuno.

5. Il mare «caro al cuore» (1951) Quell’estate, Caterinetta, Giulio e Maria Rosaria trascorsero assieme la

maggior parte delle loro vacanze: sulla riviera ligure, ad Alassio. «Se vole-te avere l’impressione che le vacanze durino tutta la vita, venite ad Alas-sio», iniziava un articolo scritto in quegli anni per “La Stampa” da Furio

Alassio, 17 giugno 1951. Kitty in auto accanto al boxer Vicky.

Fasolo, che avrebbe ben potuto costituire lo slogan pubblicitario di questo luminoso centro balneare (3). Allora, con Sanremo e Portofino, la ridente cittadina del ponente era la località rivierasca più alla moda, molto pratica-ta dai turisti inglesi, da famosi industriali, da calciatori della nazionale co-me Carletto Parola, Rino Ferrario, Sergio Manente e Giuseppe Casari; e da

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Estate 1951, Alassio. Sopra: Kitty, Giulio e Maria Rosaria a un tavolino del bar “La Cave”. Sotto: gli stessi sul pattino. personaggi dello spettacolo come Wanda Osiris; un angolo di paradiso, di cui lo scrittore Carlo Levi, suo frequentatore fin dall’infanzia, ebbe a scri-vere: «Era il mare di Alassio, il più mite e infantile, caro al cuore e alle abi-tudini dei torinesi» (4). Un centro balneare, però, non a tutti accessibile: ba-sti dire che il prezzo del soggiorno completo in una pensione poteva arriva-re a 700 lire al giorno, e quello in albergo partiva da 1.100 lire e giungeva a

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4.200: nel ponente, tariffe seconde solo a quelle di Sanremo (5); questo, quando lo stipendio medio di un operaio era di 23.500 lire, e di un brac-ciante, al nord di 13.346 lire e al sud di 3.868 lire.

Il 24 giugno, quando giunsero là, Caterinetta, Giulio e Maria Rosaria furono tra i 6.328 villeggianti arrivati ad Alassio quel mese, 3.058 italiani contro ben 3.270 stranieri (6). Si fermarono fino ai primi giorni di settem-bre, pigliando in affitto un appartamento in una bella villetta a meno di mezzo chilometro dal mare, di proprietà di un gioielliere d’origine abbruz-zese parente del sindaco d’allora. Nei fine settimana e durante le ferie, quando anche Giulio era lì, tutte le mattine andavano in spiaggia, assieme alla cagna Vicky. Restano di questo soggiorno una quindicina di foto: alcu-ne senza data, altre risalenti al 15 e 17 giugno, 25 luglio e 5 agosto; che ri-traggono Caterinetta sola, con Giulio, con Maria Rosaria, con Vicky sul-l’auto di Giulio, con tutt’e due i fratelli ed altri amici in spiaggia, sul patti-no e seduti a un tavolino del bar “La Cave”, dove solevano fermarsi a bere: situato a pochi metri dal mare. Tra i frequentatori di quei luoghi c’era an-che un pittore destinato ad avere una certa fama, Delmo Veronese (Ospe-daletto Euganeo, 13 febbraio 1920-Bologna, 18 maggio 2001), ex allievo di Morandi, e futuro ritrattista di personaggi come Winston Churchill e Le-na Horne, immortalato in una foto in barca con Caterinetta e Maria Rosa-ria. Veronese, che con quest’ultima ebbe un breve flirt , un bel giorno ri-trasse Caterinetta. «Ma senza dirglielo, cioè a memoria - precisa Maria Ro-saria. - Ricordo che una volta andai nel suo studio, e trovai un dipinto co-perto da un telo. “E questo cos’è?”, chiesi a Delmo. Lui mi rispose che si trattava di un ritratto di Kitty, che non voleva mostrare; ma io, con la pron-ta curiosità dei giovani, sollevai subito il telo. Il ritratto era verticale, all’in-circa un 50x70 centimetri, dipinto ad olio ma in monocromo, bianco e ne-ro; l’effigiata era ripresa a mezzo busto, anzi, di meno: dal collo in su, per-ché Delmo aveva allungato il collo di Kitty come avrebbe potuto farlo Mo-digliani. “Non è che gli assomigli tanto”, commentai, “gli hai fatto un collo troppo lungo”. Ma lui non mi rispose. Quel dipinto, però, non volle donar-lo né venderlo all’interessata: perché di lì a poco aveva intenzione d’espor-lo in una personale. Non so poi come sia andata a finire». È anche possibile che, se non andò venduto alla mostra, il quadro abbia potuto comunque en-trare in possesso della ritrattata: perché qualche anno dopo Caterinetta tor-nò ad Alassio, e Delmo probabilmente la rivide; in quegli anni, infatti, il bar-ristorante “La Cave” (tuttora attivo: si trova in Passeggiata Italia 7, presso la spiaggia), era gestito da suo fratello Adriano (di fratelli ne aveva ben nove) e dalla sua compagna, una signora americana, e il pittore tornò altre estati là per le vacanze.

Sebbene all’epoca fosse senz’altro già stata informata della chiusura del nuovo Trio, avvenuta un anno prima a Caracas (nessuno, dunque, le avreb-be più vietato di cantare esibendosi col suo vero nome), quell’estate ad A-lassio Caterinetta fece solo la villeggiante. Ma è credibile abbia stabilito i

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primi contatti con alcuni personaggi del posto coi quali avrebbe avuto pre-sto frequenti rapporti. Uno di essi, fu il pittore Mario Berrino (Alassio, 22 settembre 1920-ivi, 3 agosto 2011), proprietario, coi fratelli Giorgio ed E-lio, del Caffè Roma di via Roma. Nei mesi del soggiorno alassino di Giulio e Caterinetta si trovava nella cittadina, in compagnia della moglie Mary e del loro pappagallo Pedrito, anche uno dei più celebri scrittori del dopo-guerra, Ernest Hemingway. L’autore de Il vecchio e il mare era un amico di Berrino fin dal ’48, cioè dalla prima volta che aveva messo piede ad A-lassio. Fu proprio chiacchierando con lui che a Berrino nacque l’idea di so-stituire il libro degli ospiti del Caffè Roma (dov’erano raccolte le firme di tanti personaggi venuti a soggiornare nel posto, tra cui alcuni giocatori del Grande Torino scomparso nel ’49 a Superga), con singole piastrelle firmate

Alassio, estate 1951. A sinistra: una ‘torre’ formata in spiaggia da Kitty, Giulio e Ma-ria Rosaria con un amico giornalista di “Stampa Sera” (foto del 5 agosto); a destra: Kitty in piedi sul pattino. da apporre sul lungo, basso ed anonimo muretto che, di fronte al Caffè Ro-ma, era deturpato da cartelloni pubblicitari strappati e mèta abituale dei giovani che si sedevano a cavalcioni sul suo bordo. La piastrella di Hemin-gway, dove lo scrittore è ritratto assieme a Pedrito, fu una delle prime ad essere apposte: porta la data del 2 luglio 1951, ma è credibile che questa si

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riferisca alla foto da cui venne tratta l’immagine, perché - come vedremo più avanti - essa è sicuramente posteriore.

Un tardo pomeriggio di quell’estate, mentre Caterinetta e Maria Rosaria si trovavano in giro per la cittadina, e stavano percorrendo un vialetto piut-tosto solatìo, d’un tratto Kitty si arrestò e i suoi occhi si calamitarono verso un omone che stava camminando verso di loro. Tra lei e lui due corse un urlo: poi Kitty si precipitò tra le sue braccia e lui la sollevò da terra e la fe-ce roteare due o tre volte, prima di farle ritoccare il suolo. Felice, emozio-nata, e ancora scombussolata, Kitty chiamò a sé la ‘cognata’ e le disse: - Ti presento Alberto Rabagliati. - Maria Rosaria rimase colpita dal magnifico timbro di voce del cantante. Restarono a conversare per strada una buona decina di minuti: «non ricordo di cosa parlammo; non credo lui si trovasse ad Alassio per lavoro, perché se avesse cantato da qualche parte saremmo senz’altro andate a sentirlo». Caterinetta non aveva certo dimenticato che una decina d’anni prima o poco più il ‘Raba’ era stato uno dei suoi più as-sidui corteggiatori.

Ricorda Maria Rosaria che «quando rientrammo a Torino da Alassio, Giulio, che si era portato dietro due ceste piene di pesce fresco, organizzò una cena dai Martellacci, alla quale furono inviati gli amici Achille Toglia-ni e Vera Rol, ed altri artisti che allora frequentavano la pensione, tra i qua-li Nino Taranto; cucinò Giulio stesso: perché quando aveva tempo si diver-tiva a mettersi ai fornelli, ed era un cuoco sopraffino».

Caterinetta e gli Epicureo si recarono quindi in Sardegna, e rientrarono a Torino ai primi d’ottobre. Il 1° novembre, Maria Rosaria e Caterinetta accompagnarono a Como Giulio, che andava là per motivi di lavoro. Tor-nati nel capoluogo piemontese, pochi giorni dopo Caterinetta, che soffriva da qualche tempo di dolori al basso ventre, venne ricoverata alla clinica Sedes Sapientiæ, in via Giorgio Bidone 32, per la rimozione di un presunto fibroma. Lì, poco prima di essere operata conobbe un giovane sacerdote, che le chiese se voleva confessarsi; lei acconsentì, e con molta semplicità e partecipazione gli raccontò che viveva con un uomo con cui non era sposa-ta, e per questo non poteva comunicarsi. (Si tengano presenti i tempi: quat-tro anni dopo, la signora Giulia Occhini sarebbe stata arrestata e incarcera-ta perché, sposata e madre di quattro figli, era divenuta l’amante di Coppi). Questo religioso fu così colpito dalla sua umiltà che alla fine le disse: - Si-gnora, non si preoccupi per questo. Io l’assoluzione gliela dò lo stesso, e se lo desidera la comunico molto volentieri, perché lei dimostra vero amor di Dio.

Ad eseguire l’intervento (e anche questo la dice lunga sull’attenzione e l’estremo amore di Giulio verso la sua compagna) fu una grande speranza della chirurgia italiana: il professor Aldo Costantini, principale collabora-tore di Achille Dogliotti, che aveva progettato e realizzato con lui l’appa-recchio per la circolazione forzata del sangue; Costantini, nato a Venezia nel 1909, sarebbe morto ad appena quarantaquattro anni, il 26 gennaio

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1953 a Cagliari, in un incidente aereo: mentre, nominato titolare della cat-tedra della locale università e direttore della sua clinica chirurgica, stava rientrando a Torino dopo la prima presa di contatto col suo nuovo ambiente di lavoro. Una volta sotto i ferri, a Kitty non fu però trovato nulla. Ricorda Maria Rosaria: «Un amico dottore, un bell’uomo alto, sui cinquant’anni o più, che con Caterina si dava del “tu”, perché era medico dei cantanti e a-mico di Prato, ci confessò: - Non aveva niente d’importante, abbiamo pre-so un granchio. - Kitty poi, uscita in barella dalla sala operatoria, vedendo-mi in ansia mi disse: - Sei pallida da far paura. A me sembri tu quella che ha avuto l’intervento».

La salute di Caterinetta migliorò progressivamente; ella trascorse il Na-tale a Torino con Giulio e sua sorella, e festeggiò lì anche il Capodanno del ’52.

6. Un’ineccepibile ma catastrofica idea (1952) Ricorda Maria Rosaria come a un certo punto il fratello, - da una parte

un po’ stufo per il poco tempo libero che gli restava a disposizione a causa dei continui giri dovuti al lavoro, e dall’altra, cominciando a rendersi conto come nel mondo dell’antiquariato, mentre a Torino aveva da confrontarsi con molti colleghi, sulla piazza di Cagliari non avrebbe avuto in pratica competitori - iniziò ad accarezzare l’idea di focalizzare i suoi affari nell’i-sola e trasferirsi perciò definitivamente a Cagliari. Ne parlò con Caterinet-ta: ma ella non si sentiva di lasciare Torino. Nel capoluogo piemontese, do-ve risiedeva da ormai diciassette anni, si trovava a meraviglia, e contava numerosissimi amici; senza dire dei ricordi. Si trovava assai bene anche a Cagliari, era ovvio, ma non si trattava della stessa cosa. Sicché Giulio, si-gnorilmente, accantonò il progetto.

Verso l’inizio dell’anno nuovo, egli concepì e mise in atto un’idea pro-fessionalmente ineccepibile, che tuttavia si sarebbe rivelata catastrofica per il suo rapporto con Caterinetta. Si disse: perché non trasformare il magaz-zino in via Maria Vittoria 8 in un negozio antiquario, dove poter vendere direttamente gli oggetti senza doverli cedere ad altri antiquari? Se fino al-lora non l’aveva fatto, era perché, trovandosi sempre in giro a reperire mer-ce, per lui sarebbe stato impossibile occuparsene in loco. Ma c’era Cateri-netta: la quale, non avendo occupazioni particolari, è possibile che a un certo punto gli abbia chiesto di rendersi utile. Sia stata lei a domandarglielo o lui a suggerirglielo, la cosa parve fattibile; tanto che Giulio decise sen-z’altro d’acquistare la licenza d’esercizio per il negozio e d’intestargliela, certo anche per darle modo di avere un’entrata finanziaria sicura. In prati-ca, lui si sarebbe occupato della parte amministrativa e avrebbe continuato a procurare la merce, girando Piemonte e regioni limitrofe e facendo su e giù dalla Sardegna, ed ella si sarebbe limitata a fare le sue veci in negozio quand’egli non fosse stato presente.

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Restava il fatto che, con la migliore buona volontà possibile, Caterinetta non aveva alcuna dimestichezza con gli oggetti d’arte, e soprattutto non a-veva pratica di negozio. In un primo tempo, infatti, quest’ultima chiese a Maria Rosaria se poteva venirle a dare una mano, consapevole che durante le frequenti assenze di Giulio, da sola non avrebbe mai potuto cavarsela e-gregiamente. Dopo qualche titubanza, Maria Rosaria accettò: ma alla fine non se ne fece nulla. Il motivo è presto detto: sull’esempio di quanto stava facendo a Torino, Giulio aveva pensato di trasformare anche il suo magaz-zino cagliaritano in piazza Yenne 24 in un negozio antiquario, da affidare proprio a Maria Rosaria.

Duilio D’Agostino. A sinistra, in una foto tessera giovanile, del 21 novembre 1942; a destra, col nipote Franco (Torino, 1946).

Per rimediare alle incertezze di Caterinetta, egli pensò di affiancarle

come commesso un giovane che lui conosceva da tempo, perché anch’esso fornitore di oggetti d’arte a negozi antiquari, sebbene su un piano infinita-mente più modesto: Duilio D’Agostino (Cittanova, Reggio Calabria, 22 marzo 1925-Torino, novembre 1992). Minore di Giulio di quasi otto anni e di quasi sei di Caterinetta, il D’Agostino, forse, poteva conoscere già que-st’ultima: perché nei mesi tra il 1944 e il ’45 in cui lei, la madre e le sorelle vissero rifugiate nella pensione gestita da Giuseppina Ravizza presso Saint-Vincent, lui si trovava in zona: la sua famiglia, infatti (composta, ol-treché dai genitori, da ben diciassette fratelli), tra il 1941 e il ’46 era vissu-ta nella cittadina valdostana, e dopo l’8 settembre ’43, per evitare l’arruola-

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mento nei repubblichini, lui si era aggregato a una formazione partigiana attiva proprio sulle circostanti montagne e appartenente alla divisione co-mandata dal discusso Piero Urati, più noto come Piero Piero (1922-2011): il quale, fratello d’un fuorilegge che aveva militato nella banda Bedin, era tristemente conosciuto, più che per azioni eroiche, per le atrocità e i furti commessi ai danni delle popolazioni valligiane e del Canavese. Di modesta statura, Duilio era piuttosto un bel ragazzo, dagli occhi vivi e dal sorriso pronto. Nei giorni in cui rimase solo in negozio con Kitty, che certo non furono pochi, non tardò a fare presa su di lei: e, una volta conscio del pote-re seduttivo che esercitava sulla sua principale, non esitò ad approfittarsene corteggiandola in modo serrato, essendo, a sua volta, molto attratto da lei. Per persuaderla a cedergli, pare non abbia lesinato anche i colpi bassi: pun-tando sul fatto che Giulio non poteva sposarla, aveva battuto come con un’incudine nel cervello di lei, raccontandole altresì che il suo fidanzato a-veva una ragazza in un paese del Piemonte, con cui s’incontrava di fre-quente con la scusa del lavoro; una probabile falsità, che tuttavia avrà irri-tato non poco Caterinetta.

Tra la tarda primavera e l’estate, Caterinetta e Giulio furono con Maria Rosaria anche ad Arezzo. La bella stagione Kitty la passò in Sardegna, a Cagliari con gli Epicureo. Andava spesso a bagnarsi alla spiaggia del Poet-to, e dava una mano a Giulio e Maria Rosaria nell’allestimento del negozio d’antiquariato in piazza Yenne 24. L’esercizio, “Cose d’altri tempi”, fu a-perto verso l’autunno, e venne poi condotto per vari decenni da Maria Ro-saria. Il 25 novembre, Caterina e Giulio si trovavano ancora a Cagliari: lo ricorda Maria Rosaria perché quel giorno, festività di Santa Caterina e ono-mastico di Kitty, suo fratello donò alla compagna un bracciale d’oro. Verso i primi di dicembre, mentre Giulio, ancora impegnato con l’avviamento del negozio cagliaritano, rimase in Sardegna, Caterinetta ripartì per Torino: la sua presenza nel capoluogo piemontese è del resto documentata dall’inser-zione nella rubrica Annunci de “La Nuova Stampa” dell’11 dicembre, dove si legge: «Compra porcellane, quadri, mobili antichi. Via Cesare Battisti 3, Lescano» (7).

Dobbiamo supporre che, all’epoca, la storia col D’Agostino avesse avu-to già almeno un preludio. Ricorda Maria Rosaria, «quando Caterinetta tor-nò a Torino, mi avvidi che qualcosa non andava: dato che, inspiegabilmen-te, Giulio non l’accompagnò in aeroporto, come invece aveva sempre fatto fino ad allora ogniqualvolta lei partiva sola. Nelle settimane seguenti, or-mai nel ’53, accertai che essi continuavano a sentirsi al telefono; ma lui a-veva decisamente cambiato umore: si era fatto laconico, cupo e distaccato. Finché un giorno presi il coraggio a due mani e, forte della grande confi-denza che ho sempre avuto con mio fratello, gli domandai: - Insomma Giu-lio, si può sapere cos’hai? - A quel punto lui scoppiò a piangere, e mi dis-se: - Kitty se n’è andata. - Fu come se il soffitto ci crollasse addosso; per tutti noi, a partire da nostra madre, che le era affezionatissima».

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Si può immaginare che le cose andarono nel modo seguente: Caterinetta e Duilio iniziarono a flirtare quasi subito, e, se nel secondo semestre del ’52 Kitty non tornò più a Torino fino a dicembre, è probabile che tra loro i rapporti si fossero fatti intimi già prima della partenza di lei per la Sarde-gna. In ogni modo, il bracciale d’oro donato da Giulio a Caterinetta a fine novembre indica che fino a quel momento lui era ancora all’oscuro di tutto. Pertanto, è facile ipotizzare come lei, per non guastare l’atmosfera a Giulio e ai suoi parenti, abbia atteso proprio l’ultimo giorno per aprigli il cuore. Da qui la reazione di lui, indubbiamente emblematica, e i sospetti di Maria Rosaria. Come detto, però, Giulio e Kitty continuarono a sentirsi; d’altron-de era inevitabile, visto che tra loro intercorrevano anche rapporti di lavoro e altre questioni pratiche. Ma ecco cosa ricorda Maria Rosaria: «Nei giorni in cui la rottura tra Giulio e Kitty divenne nota a tutti, trovai una lettera di lei indirizzata a mio fratello, che lui aveva sbadatamente dimenticato in vi-sta nell’abitazione; potei appena scorrerne alcune righe, perché Giulio en-trò subito dopo; in essa, Kitty gli raccomandava: Stai tranquillo, non fuma-re troppo, ricorda che voglio tu vada a messa; ti ho lasciato nel bagno un po’ d’acqua di Colonia». Come si vede, dal tono di queste parole trapela un grande affetto verso Giulio, che in Caterinetta del resto non venne mai meno. La raccomandazione sulla messa è curiosa; ma come già detto, Kitty era molto religiosa: ella raccontò a Maria Rosaria che la stessa Eva, pur es-sendo di religione ebraica, amava alcuni riti del cattolicesimo: per esempio, a Natale preparava l’albero con le figlie e le accompagnava sempre in chie-sa, perché affascinata dalla Messa di Mezzanotte. È ancora Maria Rosaria a dirci: «Qualche settimana dopo che Kitty si era messa ufficialmente col D’Agostino, un giorno mi capitò per caso, non vista, d’ascoltare mio fratel-lo, durante il corso d’una telefonata che ebbe con lei. Mi rimasero impresse queste parole di Giulio: - Io sono pronto a perdonarti e ti perdono, ma chi non è pronta è la mia famiglia. - Credo che Kitty si fosse pentita del-l’avventatezza compiuta già dopo poco tempo, ma ormai era troppo tardi: perché ne avevamo tutti sofferto troppo. Io stessa, devo ammettere, in quel periodo la chiamai al telefono e le dissi di tutto; allora lei mi scrisse una lettera - una delle due sue che conservo - dove mi suggerì di Non ascoltare le cattive lingue».

7. Da un sedile a un sellino (1953) La nuova situazione venutasi a creare portava, comunque, all’urgenza

di definire alcune questioni a Torino. La prima, quella dell’alloggio, venne affrontata subito da Caterinetta, che lasciò la pensione di via Battisti 3 e si trasferì nell’appartamento dove allora risiedeva il D’Agostino, in via Do-modossola 2; una soluzione temporanea, perché dopo qualche tempo la coppia si trasferì in un nuovo domicilio, in corso Rosselli 35. La seconda, quella del negozio, era senz’altro la più spinosa: ma la licenza dell’eserci-zio essendo intestata a Caterinetta, nobilmente, Giulio non volle avanzare

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alcuna rivendicazione; c’era che, in quei primi tempi senza di lei, la sola i-dea di tornare a Torino lo faceva rabbrividire. Eppure, più tardi Giulio e Kitty si rividero ancora: sempre dai Martellacci a quanto pare, e non in una sola occasione. Infine, la loro cagna torinese, il boxer Vicky, passò a Maria Rosaria, che se ne prese cura fino a quando essa morì, all’età di tredici an-ni.

Lasciando Giulio per Duilio, ancora una volta, Caterinetta aveva scelto col cuore; lo prova il fatto che non aveva considerato gli enormi problemi a cui andava incontro. Perché mentre Giulio era un avviato ed esperto pro-fessionista, lavoratore instancabile e di generosissima indole (non solo ver-so di lei, che amava: esistono decine di aneddoti sulla sua propensione a fa-re regali, a invitare a pranzo e a cena, tanto gli amici quanto i suoi collabo-ratori ed anche i più semplici lavoranti, perché un’altra dote che aveva era quella d’essere schiettamente democratico), Duilio era ancora di là dal di-sporre d’una solida posizione economica, e seppur lavorava, - ebbe a ricor-dare Peppino Angotti, che per un certo periodo, fino a quegli anni, fu suo socio come fornitore di negozi antiquari - non aveva una solida conoscenza degli oggetti d’arte e «non era mica il tipo da ammazzarsi di fatica». Giulio viaggiava su una comoda Giardinetto Ingap modello 1950 decapottabile di color verde, Duilio su una Vespa GS: da un giorno all’altro, pertanto, Cate-rinetta passò da un sedile a un sellino… Ma non era tutto: perché se con Giulio a lei non era mai venuto a mancare nulla, con Duilio si trovava nella scomodissima posizione di essere la principale del suo amante, e perdipiù, in un lavoro nel quale, nonostante gli anni trascorsi accanto a Giulio, ella sapeva destreggiarsi ben poco. Nel valutare la sua nuova relazione, questi particolari vanno tenuti tutti sempre ben presenti.

In ogni modo, almeno nel primo periodo, in quel 1953 che vide la morte di Stalin e l’ultimo trionfo di Coppi al Giro d’Italia, la loro storia d’amore fu felice. A testimoniarlo è anzitutto Franco D’Agostino, figlio unico di un fratello maggiore di Duilio, Vincenzo, che aveva tredici anni più di lui: e-gli, che all’epoca non contava ancora nove anni, fu forse il suo nipote pre-diletto. Franco ricorda di essere stato «coccolatissimo» anche da Caterinet-ta, la quale, col suo modo di fare spontaneo, semplice e affabile, si catturò subito l’amicizia di sua madre, Francesca Ronco, e della madre di suo cu-gino Renato, che divennero le sue confidenti. La signora Francesca suona-va egregiamente il mandolino, e spesso accompagnava Kitty, che cantava per lei Tornerai. «Zio Duilio e Kitty - ricorda ancora - mi portavano soven-te a passeggio con loro, al parco Valentino, e mi offrivano il gelato; qui c’era la famosa Sala Gay, dove ho visto più volte Kitty cantare, da solista, accompagnata dall’orchestra di Angelini». In quel periodo, infatti, Cateri-netta aveva ripreso a cantare: ed era un passo inevitabile, essendo quella l’unica professione che si sentiva davvero in grado di svolgere.

Risale ai primi di febbraio di quest’anno il suo appello radiofonico per avere notizie della famiglia di Bertus Martron, residente a L’Aja: il 1° feb-

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braio, la città olandese era stata colpita da una spaventosa mareggiata che aveva provocato l’inondazione di 160.000 ettari della provincia sud-occi-dentale della Zelanda, causando la morte di oltre 1.800 persone. La più giovane delle sorelle Lescano era in ansia per la sorte della sua madrina, la zia Matje, a cui era molto legata: questa signora abitava col secondo mari-to, l’attore e cabarettista Hubertus Pierre Martron, in Hofwijckstrast 34. Reca la data del 5 febbraio un messaggio in lingua italiana, compilato con

A sinistra: un’immagine del ‘Watersnoodramp’ che il 1° febbraio 1953 sconvolse la co-sta sud-occidentale della Zelanda. A destra: ritratto giovanile di Matje II de Leeuwe, madrina di Caterinetta. macchina da scrivere da un radioascoltatore de L’Aja («L. Bena»), e invia-to alla sede provinciale torinese della RAI in via Arsenale (recapito poi corretto a matita con «Roma» e dirottato nella sede centrale dell’Urbe) «con preghiera di inoltrare alla signora LESCANO», che dice: «Gent. Ma signora, / Ho udito il suo appello alla Radio e mi sono subito messo in contatto con sua Zia in Hofwijckstraat 34. / Tutto bene, L’Aja non ha sof-ferto, soltanto il Bouleward di Scheveningen tra vuurtooren e Schev. ha-wen è distrutto. / Sua Zia le scriverà. / Cordialmente [segue firma]». Que-sto documento è conservato dalla signora Maria Rosaria Epicureo, assieme a un biglietto di Caterinetta con gli auguri pasquali alla stessa zia e fami-glia, mai spedito, che risale quasi certamente a qualche anno prima; il bi-glietto dice: «Vroolyk paasfeest. / Kitty [e] Giulio»; l’intestazione è: «Fam. / Matron [sic] Bertus / Hofwijckstraat 34 / (Holland) Den Haag». L’appel-lo radiofonico di Caterinetta, a quanto pare, non fu il solo: secondo la si-gnora Maria Luisa Tecchi di Trieste, pare che ella ne avesse già rivolto uno nel novembre del 1951, quando si verificò la disastrosa alluvione del Pole-sine: che lei ebbe occasione di udire; in quella circostanza, si trattò di un generico sollecito per l’invio di denaro, vestiti e generi alimentari destinati alla Catena di Fratellanza (si chiamava così) che si occupava delle popola-

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zioni colpite. Questi appelli dimostrano che Caterinetta frequentava sempre l’ambiente della radio: dove, probabilmente, sperava di poter conseguire u-na nuova opportunità per tornare a cantare.

Nelle estati 1953 e ’54 ella tornò ad Alassio, per esibirsi col complesso di Cosimo Di Ceglie: tenne alcuni concerti nel Roof Garden del Caffè Ro-ma, nel dancing all’aperto Villa Romana, e, forse, nel Caffè-Pasticceria Balzola e nel dancing Capannina; a presentarli erano, sovente, personaggi come Nunzio Filogamo e Febo Conti. Franco D’Agostino, coi genitori, la vide cantare una sera al Villa Romana: «Venne presentata - da chi, non lo ricordo più, ma era uno famoso, uno che più tardi fece anche dei film: for-se, Lucio Flauto - come “la grande Caterinetta Lescano” e cantò vari brani dell’epoca, sia del suo repertorio che di quello di altri. Allora, usava così: passava tra i tavolini un inserviente, e ciascuno gli consegnava un biglietto con un paio di richieste di motivi; egli, poi, lo portava a cantante e direttore d’orchestra, perché soddisfacessero le richieste più frequenti. Rammento che Kitty cantò Tornerai, perché era la canzone preferita di mia madre, e lei e mio padre la indicarono senz’altro nel loro biglietto». Il D’Agostino ricorda che lei e Duilio si recarono anche in altre località del ponente li-gure, soprattutto a Sanremo: credo perciò che un’indagine sulla pagina de-gli spettacoli dell’edizione ponentina de “Il Secolo XIX” o di qualche altro periodico locale di quegli anni potrà chiarire luoghi e date delle partecipa-zioni canore della più giovane sorella del Trio.

A sinistra: la firma di Caterinetta Lescano su una piastrella del celebre Muretto di A-lassio (ca. 1954). A destra: Kitty in spiaggia ad Alassio (5 agosto 1951).

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La firma di Caterinetta affianca quella del chitarrista Cosimo Di Ceglie,

nel celebre Muretto che, proprio a partire dal 1953, per iniziativa di Mario Berrino accolse le prime piastrelle firmate, e divenne il luogo prescelto per la celebre Sagra del Muretto, con l’elezione di una Miss destinata a parteci-pare alla finale del concorso di Miss Italia. Compositore e direttore d’or-chestra, oltreché eccellente virtuoso della chitarra, Cosimo Di Ceglie (An-dria, Bari, 21 ottobre 1913-Groppino, Bergamo, 23 agosto 1980) aveva tra i suoi maggiori successi la rielaborazione di alcuni motivi interpretati dal Trio Lescano, come Oi Marì (del quale nel ’42 aveva composto la musica) e Titina, nonché La barca dei sogni, che sempre nel ’42, con l’orchestra Barzizza, proprio Caterinetta, come solista, aveva reso famosa. Presto un’altra sua canzone, Sul muretto di Alassio, avrebbe anch’essa goduto di una discreta popolarità. Si sa che la piastrella firmata da Di Ceglie fu forse la prima ad essere apposta sul Muretto, assieme a quella di Hemingway; e la piastrella di Caterinetta, che cantava col complesso Di Ceglie e affianca infatti, come detto, quella del maestro, non può che essere coeva.

8. Tristi vicende (1954) Caterinetta - in questo concordano pienamente i pareri di Angotti, di

Franco e Renato D’Agostino e di Maria Rosaria Epicureo - era «una donna affascinante e bellissima, piena di vita». È naturale che i suoi modi cordiali e le sue attrattive fisiche possano aver destato attenzione e curiosità da par-te di più di un uomo; ma a differenza del mite Giulio, Duilio era un italiano dal sangue caldo, dominato da una gelosia - le parole sono di Angotti - «a livelli stratosferici». Tra di loro, quindi, insorsero spesso discussioni, dia-tribe, litigi; e, più d’una volta, Duilio alzò le mani su di lei. In quelle tristi circostanze, Caterinetta andava a sfogarsi e piangere dalle sue confidenti, in primis da Francesca. Ricorda Franco D’Agostino come sua madre, un giorno, litigò furiosamente con suo padre perché secondo lei il marito, qua-le fratello maggiore di Duilio, non aveva fatto abbastanza per censurare la condotta violenta di quest’ultimo. Ma la verità era che, sotto certi aspetti, Duilio non andava molto d’accordo con gli altri membri della sua famiglia; i genitori ed alcuni suoi fratelli, infatti, persone con un concetto tradiziona-le della famiglia, quando seppero che lui aveva un’amante non gli rispar-miarono rimbrotti e critiche. È possibile - anzi, è molto probabile - che Ca-terinetta, per trovare solidarietà, abbia sentito lo stesso Giulio, il quale (te-stimonia Maria Rosaria) era ancora innamorato di lei; naturalmente, non gli avrà certo raccontato per filo e per segno le azioni del suo nuovo com-pagno: perché era una donna orgogliosa, e inoltre non voleva che tra i due uomini crescessero ulteriori attriti.

Verso la fine del ’53, o ai primi del ’54, Caterinetta rimase incinta. Quella notizia fu, per lei, fu come un fulmine a ciel sereno. Non perché ella non amasse i bambini: tutt’altro; ma perché a impedire quella maternità

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c’erano motivi estremamente seri. Per quanto si sa finora, ella non soffriva di alcuna particolare malattia, ma era di costituzione piuttosto delicata. La sua gravidanza era di tipo extrauterino: e in quegli anni particolarmente, le probabilità di aborto spontaneo erano così alte da spingere i medici a consi-gliare senz’altro l’aborto terapeutico; nel suo caso, poi, l’intervento diveni-va una necessità imprescindibile: perché l’operazione subìta nel novembre del ’51, probabile causa di tale gravidanza anomala, aveva sensibilmente aumentato i fattori di rischio. C’era, poi, da considerare la sua situazione e-conomica: che passata da un giorno all’altro dalla stabilità e confortevolez-za alla labilità, non avrebbe certo consentito un’esistenza agevole alla nuo-va vita che portava in grembo. Anche Duilio, che - forse con un pizzico d’incoscienza, ma anche col generoso slancio verso la vita tipico della gen-te del meridione - avrebbe tanto voluto quella creatura, dovette presto pie-garsi alla dura realtà dei riscontri medici. Così, in data imprecisata, ma quasi certamente nel primo semestre del ’54, Caterinetta abortì alla Clinica Fornaca di Sessant, in corso Vittorio Emanuele II 91; ad eseguire l’inter-vento fu il professor Nizza. La signora Carla Righi, vedova di Duilio, dalla quale ho appreso i particolari di questa triste vicenda, rammenta molto be-ne queste cose apprese dal marito, anche perché, quand’ella rimase incinta del figlio Giuseppe, Duilio la portò dal Nizza per una visita di controllo e nel presentarglielo le disse: - Sai? Questo signore è quello che ha salvato la vita a Caterina.

Torino, la Clinica Fornaca di Sessant.

Dopo quell’episodio, la vita della coppia non fu più la stessa. Il loro rapporto ne uscì provato, e tra Duilio e Caterinetta giunsero giorni di gran-de freddezza. Maria Rosaria Epicureo racconta d’aver saputo da una vicina di casa della coppia, che conosceva, di come a un certo punto lei fosse ri-masta sola. Ma c’è di più: perché, pare in questo periodo, Duilio sottrasse a Caterinetta alcuni gioielli che ella aveva avuto in dono da Giulio, e si rifiu-tò di restituirglieli; per poterli riottenere, ella fu costretta a rivolgersi a un vecchio amico conosciuto anni prima a Carbonia, dove questi soleva recar-si ogni estate in vacanza, in compagnia della moglie e della figlia: il com-

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missario di Polizia Gianni Della Valle di Roma. È probabile che il Della Valle abbia telefonato a Duilio, intimandogli l’immediata restituzione del maltolto se non voleva passare dei guai: del resto, Caterinetta era perfetta-mente in grado di dimostrare che quei gioielli le appartenevano, e da chi li aveva avuti; e Duilio si piegò di buon grado a quell’ingiunzione. Sappiamo ben poco su questa faccenda, ma siamo propensi a credere che tale sottra-zione non si trattò di un furto, bensì di un tentativo di ricatto riguardo qual-cosa, anche se questo qualcosa ha i contorni alquanto sfumati.

Caterinetta non stava bene di salute, aveva perso la sicurezza economi-ca, e col suo nuovo compagno le cose non andavano più come prima, anzi, parevano esser giunte ai minimi termini... In quei giorni, quali cupi pensie-ri le attraversarono la mente? La signora Righi dice che a un certo punto el-la tentò il suicidio, chiudendosi in casa e aprendo il rubinetto del gas; non si sa chi intervenne a scongiurare il peggio, se Duilio o qualche vicino, in-sospettito dall’acre odore che si propagava: ciò lo apprese direttamente dal-la bocca di suo marito, ma non sa o non ricorda altro, anche perché su que-sta vicenda Duilio mostrò sempre un certo riserbo. Tutto quel che sappia-mo, è nella testimonianza di Franco D’Agostino, il quale rammenta il «gran piangere» di Kitty presso sua madre, e ricorda altresì che quest’ulti-ma «un brutto giorno, venne avvisata da vicini che accorresse, perché Ca-terinetta aveva cercato d’uccidersi». Non siamo in grado di stabilire se il suo tentativo di suicidio fosse sincero, o se con quel gesto ella avesse sol-tanto cercato un po’ di comprensione e d’aiuto: ricordiamo che Caterinetta era molto devota, e la Chiesa cattolica ha sempre considerato il suicidio un peccato mortale. Fatto sta che Duilio accorse presso di lei, ed essi si ricon-ciliarono. Lui non le faceva più scenate di gelosia, era anzi gentile: ma il fuoco della passione tra loro si era ormai spento, l’incantesimo che essi a-vevano vissuto nei primi mesi della loro storia si era irrimediabilmente dis-solto.

9. La «bugia pietosa» (1955) Ciò nondimeno, la loro relazione andò avanti ancora per vari mesi, for-

se per quasi un anno. Caterinetta, ferita e disillusa, ma non per questo me-no attaccata a Duilio (il suo attaccamento, certo, doveva avere una compo-nente anche nell’orgoglio: per lei, avrebbe potuto essere ben più arduo l’ammettere con se stessa d’aver sbagliato), cominciò a guardarsi intorno, per tentare di riprendere quella carriera di cantante che costituiva l’unico punto fermo della sua vita, la base da cui ripartire per recuperare quell’au-tonomia finanziaria di cui aveva un disperato bisogno. Non tralasciò nulla. E dalla madre, che ancora risiedeva in Olanda e con la quale si teneva in contatto epistolare, le venne il suggerimento di trasferirsi in Venezuela, a Caracas: dove, dopo la chiusura della loro carriera artistica, le sue sorelle stavano faticosamente tentando di rifarsi una vita. Ma Caterina non le pre-stò consiglio. C’era probabilmente che, oltre alla prospettiva di lasciare

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Duilio, non le andava di recarsi da loro a mani vuote, come una parente po-vera; eppoi, considerava d’avere ancora qualche carta da giocarsi in Italia, anche se non a Torino. Nell’ultima lettera che ella scrisse a Maria Rosaria - senza data, ma che è presumibile ritenere del ’53 - aveva manifestato all’ex ‘cognata’ la sua intenzione di recarsi a Roma, dove tramite alcuni amici contava di poter ottenere di lavorare come cantante alla RAI. Questi amici romani chi erano? Non ne abbiamo contezza, ma è facile supporre si trat-tasse di conoscenze acquisite prima della guerra a Torino, perché nei primi anni Quaranta alcuni funzionari della sede torinese dell’EIAR erano passati alla sede romana, divenuta sede centrale; tra costoro, come abbiamo visto, il più caro amico delle Lescano era indubbiamente Riccardo Morbelli. Ri-cordiamo per inciso che fino al 3 gennaio del ’54 la RAI era un ente esclu-sivamente radiofonico, e fino al 10 aprile dello stesso anno il suo nome era l’acronimo di Radio Audizioni Italiane: Caterinetta, pertanto, si riferiva al-la possibilità di riprendere quello che fino all’8 dicembre del ’42 - ovvero alla data del primo disastroso bombardamento alleato su Torino, che aveva parzialmente distrutto la locale sede dell’EIAR - era stato un aspetto im-portante della sua professione d’artista, il più importante assieme all’inci-sione delle canzoni: cantare alla radio. Questa possibilità che le era stata ventilata, o forse le era addirittura stata promessa, per motivi che ci sono i-gnoti tuttavia non ebbe esito positivo.

Cosicché, verso i primi del ’55 Caterinetta cominciò a pensare seria-mente all’eventualità di lasciare l’Italia per trasferirsi in Venezuela. E ne parlò col suo convivente: perché intendeva compiere quel passo assieme a lui. Ma Duilio, a quanto pare, aveva ben altre intenzioni: e, pur senza ma-nifestarlo, era ormai stufo di quel legame con lei. Forse, la Caterinetta che aveva adesso davanti agli occhi non era più quella donna vivace, briosa e piena di vita che emanava fascino da ogni poro della sua pelle, ma una creatura stanca, provata e ferita nel più profondo del suo intimo. Per lui, in ogni caso, la possibilità che lei si trasferisse dall’altra parte dell’Atlantico si rivelava un’opportunità insperata per concludere al meglio un rapporto che lo soffocava, per il quale ormai da troppi mesi si sentiva legato mani e piedi. C’era però anche altro: perché Caterinetta era la titolare del negozio antiquario, e in caso di suo trasferimento la sua prima preoccupazione sa-rebbe stata quella di cedere la licenza d’esercizio: un modo per incassare qualche lira, di cui ella aveva più che mai necessità per non giungere a Ca-racas a mani vuote. Perciò Duilio, da allora, operò su due fronti: da una parte si sforzò d’incoraggiare la partenza definitiva di Caterinetta, dall’altra fece in modo di differire la propria, e forse, di ottenere da lei la licenza d’e-sercizio, col pretesto di occuparsene lui in modo da poterla manlevare da ogni responsabilità, per permetterle di partire quanto prima; lui, natural-mente, le forniva le più ampie rassicurazioni sul fatto che non avrebbe tar-dato a seguirla. Non è nostra intenzione accusare Duilio in mancanza di

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prove, ma sull’ambiguità del suo atteggiamento esistono almeno tre testi-monianze oltremodo significative. Ascoltiamole.

La prima è quella della sorella di Giulio Epicureo, Maria Rosaria. La quale ricorda: «Un giorno del 1955 io mi trovavo con mio fratello nel no-stro negozio a Cagliari in piazza Yenne, quando Giulio, guardando fuori dalla vetrina, vide qualcuno che, in piazza, sembrava avviarsi verso la no-stra insegna: subito il suo volto s’incupì e mi disse: - Sta arrivando Duilio. Se entra e chiede di me digli che non voglio vederlo - quindi sparì nel re-trobottega. Quando il D’Agostino entrò nel nostro negozio, io m’avvidi d’averlo già visto a Torino, e capii finalmente chi era fisicamente il nuovo compagno di Kitty. Lui mi chiese di Giulio: se ben ricordo, aveva bisogno di alcune firme, per il passaggio della licenza d’esercizio del negozio tori-nese; perché quando Giulio ne aveva assegnato la titolarità a Kitty, si era riservato qualche funzione amministrativa, a cui nei successivi due anni non c’era mai stato bisogno di ricorrere. Ma io gli ripetei pari pari le parole di mio fratello. Lui certo si aspettava una reazione del genere, ma comun-que non la prese bene, perché prima d’uscire mi disse: - Che sciocco! An-ziché trattarmi così, Giulio dovrebbe ringraziarmi, perché Caterina io glie-l’ho tolta di mezzo!». Parole, ahimé, che si commentano da sole.

La seconda, è quella di Peppino Angotti, il quale ricorda che quando la relazione con Kitty aveva ormai preso una piega per lui insoddisfacente, Duilio fece di tutto per persuadere Caterinetta a recarsi in Venezuela; e per convincerla le garantì che sarebbe andato là anche lui, ma l’avrebbe rag-giunta solo dopo avere sbrigato le questioni inerenti al negozio: «Non so se, per questo, Duilio si fece fare da lei una procura, ma ciò mi appare pro-babile. Ricordo bene come, non appena Caterinetta partì, lui venne da me e si sfogò, confidandomi: - Finalmente sono riuscito a levarmela di torno!».

La terza, è la testimonianza della vedova di Duilio, la signora Carla: «È vero, - dice - mio marito in certo modo incoraggiò Caterina a recarsi in Ve-nezuela, promettendo che l’avrebbe seguita. Era stata lei a pensare di tra-sferirsi, ed anche se, probabilmente, ella sapeva benissimo che quella di lui era soltanto una scusa, forse non perse del tutto la speranza di vederlo a Caracas». A ulteriore conferma del fatto che fu Duilio a incoraggiare Cate-rinetta a partire, ci sono anche i ricordi di due suoi nipoti, Franco e Renato D’Agostino. Evidentemente, nel frattempo egli era riuscito ad accomodare la questione della licenza d’esercizio, forse inducendo Caterinetta stessa a chiedere le firme necessarie al suo antico fidanzato

Dopo la «bugia pietosa» di Duilio (per dirla con le parole di Violetta ne La traviata), Caterinetta si risolse, dunque, a congedarsi dall’Italia. La sua partenza avvenne nell’estate o agli inizi d’autunno del 1955, e c’è chi pen-sa abbia lasciato l’Italia in condizioni economiche talmente precarie che il biglietto aereo le sia stato pagato tramite una colletta, a cui concorsero i D’Agostino. La cosa non parrebbe probabile, dato che ella avrà pur dovuto intascare qualcosa dalla sua cessione della licenza a Duilio; ma in verità,

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non abbiamo certezza sul fatto che tale licenza sia stata effettivamente ce-duta: perché - almeno nei primi tempi - Duilio avrebbe potuto benissimo gestire il negozio tramite una semplice procura, come ipotizza Angotti. Pe-raltro, ove le condizioni economiche di Caterinetta fossero davvero state precarie al punto da non permetterle di pagarsi il biglietto aereo per Cara-cas, è da credere che all’acquisto del medesimo abbia provveduto Giulio E-picureo. Dal Venezuela, Caterinetta scrisse a Francesca, la madre di Franco D’Agostino, e con ogni probabilità anche alla madre di Renato. Avrà scrit-to anche a Duilio? e a Giulio? Purtroppo, non ci è dato saperlo.

10. Epilogo (1955-2010) Duilio D’Agostino, già si sa, non seguì Caterinetta in Venezuela: rima-

se a Torino, e portò avanti i suoi affari nel negozio antiquario in via Maria Vittoria 8, che era stato di lei. Il 26 novembre di quello stesso anno, duran-te un viaggio a Modena conobbe colei che sarebbe diventata sua moglie, Carla Righi: nipote dell’ingegnere che costruì l’autodromo cittadino e al-l’epoca studentessa; se ne innamorò, e il 26 aprile del ’56 la sposò a Mode-na. Dopo alcuni mesi, decise di mettersi in società col fratello Vincenzo, anch’egli commerciante e fornitore di antiquari: che divenne il nuovo tito-lare del negozio. I due, però, non andarono mai molto d’accordo. Ciò non impedì che la loro società andasse avanti, anche quando - verso la metà de-gli anni Sessanta - essi cedettero il negozio antiquario e si trasferirono in via Bogino 7, al pianterreno di Palazzo Graneri Della Roccia, dove apriro-no una galleria d’arte. Ma nei primi anni Settanta, quando lo storico e pre-stigioso edificio seicentesco progettato dall’architetto Giambattista Baron-celli venne finalmente sottoposto a restauro, la galleria fu chiusa e i due fratelli, dopo una furiosa litigata, si separarono, aprendo ciascuno un eser-cizio per proprio conto.

E che ne fu di Giulio Epicureo?, si chiederà qualcuno. Egli, sempre de-voto alla memoria di Caterinetta, dal giorno in cui si separò da lei tornò a Torino il meno possibile. Preferì trasferire i suoi affari su Milano, e su altre città: del resto, come abbiamo visto, girare gli era sempre piaciuto. Quan-do, nel ’65, la notizia della morte della più giovane componente del celebre Trio giunse in Sardegna, egli pianse Kitty con tutte le sue lacrime.

Eppure, da tre anni, era di nuovo innamorato. Nel 1962, lì in Sardegna, aveva conosciuto una studentessa non ancor diciottenne, Paola: e nonostan-te i ventott’anni di differenza, tra loro era subito scoccata la scintilla. Nel dicembre 1970, quando il deputato radicale Loris Fortuna riuscì a fare ap-provare la legge sul divorzio che porta il suo nome, Giulio contattò sua moglie, Maria Cara, perché intendeva divorziare. Le trattative furono por-tate avanti tramite avvocati e colloqui telefonici, ma infine tra le due parti si trovò un accordo. Il giorno in cui per lui e Maria fu il momento di tro-varsi davanti al giudice per firmare le carte, i due coniugi non si vedevano da forse trent’anni: entrato nell’ufficio, Giulio vide una donna accanto al

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tavolo del giudice, s’avvicinò e la salutò, chiamandola Maria: ma non si trattava di sua moglie, bensì della cognata, che aveva accompagnato la so-rella… Quest’ultima, lui non l’aveva neppure riconosciuta! Ottenuto il di-vorzio, nel 1973 Giulio si sposò una seconda volta, con la sua Paola: e do-ve la portò in luna di miele? Ma in Olanda, perbacco. Con essa visse otto anni, prima di separasi; la coppia non ebbe figli, e la sua vedova vive tutto-ra.

Giulio Epicureo nella sua Galleria Antiquaria (Cagliari, fine anni Cinquanta)

Giulio non si dimenticò mai di Caterinetta. Racconta la signora Maria

Rosaria che nel 1984, quando prima su “Repubblica” eppoi su “Gen-te” apparvero le interviste ad Alessandra Lescano, egli cercò il numero di telefono di quest’ultima e prese a chiamarla, per ricordare con lei Cateri-netta e i bei tempi andati. I loro colloqui telefonici divennero una consuetu-dine: Giulio chiamava immancabilmente Alessandra ogni due o tre pome-riggi, dal negozio antiquario che egli allora aveva a Cagliari in via Trento, e con ogni probabilità si recò anche a trovarla a Salsomaggiore: la foto ap-parsa su Tulip Time, infatti, proviene dal fondo di Alessandra Lescano, ed è quasi certo che ella l’abbia avuta proprio da lui. Né è da scartare l’ipotesi che Giulio possa averla aiutata economicamente. In ogni caso, quell’andaz-

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zo telefonico durò fino al ricovero in ospedale, eppoi alla morte, della mag-giore delle sorelle Lescano.

Tra gli Epicureo, il ricordo di Caterinetta è ancora ben vivo. Per loro, nonostante tutto, l’ex fidanzata di Giulio è rimasta una persona di famiglia. La signora Maria Rosaria ricorda che sua madre, a dispetto del grande do-lore provato per la separazione tra lei e Giulio, dopo la notizia della sua morte non mancò mai di far celebrare - una volta all’anno, finché visse - u-na messa di suffragio alla sua memoria. E rammenta ancora come «quan-do, nel settembre 2010, venne programmato in tv lo sceneggiato Le ragaz-ze dello swing (che personalmente ho trovato falso e orrendo), i miei nipoti mi chiamarono per avvertirmi e mi dissero: - Zia, lo sai che stasera in tv c’è uno sceneggiato dove si parla di zia Kitty?».

_______________________ 1) Vedi, nel Notiziario del nostro sito, la Mailing-list n° 7 del 30 dicembre 2010, pp. 1-

2. 2) Vedi Notiziario, 22 dicembre 2010, p. 25, e Appendice, p. 61. 3) Furio Fasolo, Felicità dei “padroni di casa”, su “Stampa Sera”, Torino, anno VIII,

n° 171, giovedì 22 luglio 1954, p. 3. 4) Carlo Levi, Mare di Alassio, su “La Nuova Stampa”, Torino, anno X, n° 267, mar-

tedì 9 novembre 1954, p. 3. 5) «a. a.», Prevista l’affluenza di molti stranieri, su “La Nuova Stampa”, Torino, anno

VII, n° 146, venerdì 22 giugno 1951, p. 3. 6) «a. a.», In costume da bagno pronti a divertirsi, su “La Nuova Stampa”, Torino, an-

no VII, n° 159, sabato 7 luglio 1951, p. 3. 7) “La Nuova Stampa”, Torino, anno VIII, n° 293, giovedì 11 dicembre 1952, p. 8. Nel frontespizio: Caterinetta con la cagnetta Mascherina (Bosa Marina, 28 agosto 1949).

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A p p e n d i c e Mail di Gesuino Epicureo all’Autore, datata 14.4.2012 Egr. Virgilio,

prima di tutto ho una rimostranza da fare: perché con Franco, nipote di Duilio vi date del “tu”, mentre con Ino, nipote di Giulio siamo ancora al “lei”. È tempo quindi che anche tra noi si passi alla forma più amichevole.

Veniamo all’argomento che a noi tutti sta molto a cuore. La storia d’amore tra Giulio e Caterinetta.

Di ritorno da una breve vacanza pasquale, mercoledì 11 aprile ho visitato con molta curiosità il vostro sito alla ricerca di quanto aspettavamo da tempo. La pubblicazione del tuo saggio mi era stata preannunciata telefonicamente da zia Rosaria.

La lettura devo dire mi ha sorpreso non poco: mi aspettavo appunto un arido saggio, un’asettica cronistoria degli avvenimenti ed una elencazione di date. Niente di tutto questo, ho letto invece quasi un romanzo, un’appassionante storia d’amore tra due giovani che, in una Italia reduce da un drammatico e lacerante periodo, vivevano nonostante tutto la loro romantica avventura. Certo non c’è stato il consolatorio “lieto fine” ma mi è piaciuto come hai descritto il dramma di Caterinetta di fronte alle scelte finali, e la generosità di zio nel momento del sofferto distacco dalla sua Kitty.

Mi è piaciuto soprattutto, ed era quello che ci premeva, come hai descritto la figura di zio Giulio. Hai colto in pieno quello che io, ma soprattutto zia Rosaria, abbiamo lasciato trasparire dai nostri ricordi, viziati forse da un eccesso di partigianeria dovuto al grande affetto ed al bellissimo ricordo che abbiamo di Giulio. Il tutto con sullo sfondo lo splendido affresco dell’intera famiglia Epicu-reo.

Non so se la lettura che ho dato possa farti piacere, forse avresti preferito che emergesse più il documentato saggio piuttosto che il romanzo d’amore, ma io da vecchio romantico ho colto questo aspetto.

Con queste premesse mi sono permesso di saccheggiare il vostro sito affin-ché anche zia potesse godere della tua opera. Ho scaricato e stampato la pre-sentazione del curatore del sito, il tuo saggio, la cronistoria delle sorelle Lesca-no, ho unito la corrispondenza intercorsa tra noi, ho fatto una copertina e rile-gato il tutto sotto forma di libro dal titolo

Giulio e Caterinetta 1945 – 1955

una storia d’amore

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A piè di pagina della copertina ho riportato la foto di Kitty, Giulio e Rosaria seduti ai tavolini del bar La Cave.

Ho scritto una breve dedica e ieri sera sono andato con mia moglie a trovare zia Rosaria per consegnarle il “libro”.

Ci ha accolti con un velato rimprovero: “Vi aspettavo da mercoledì”. Questo per dirti con quanta ansia attendeva di leggere quanto da te pubblicato.

Quindi le ho letto quasi tutto il tuo saggio interrotto frequentemente dalle sue esclamazioni di meraviglia: “ha scritto anche questo!” “giusto!” “esatto” “che bravo” il tutto condito da ripetuti pianterelli e tantissime lodi per te e, di rifles-so, per me.

Abbiamo scherzato sul suo flirt con Delmo e lei, con una certa ritrosia, ha ammesso quello che per noi era già evidente. Si è lamentata comunque, e mi è sembrata un poco delusa, perché non hai pubblicato la sua foto con Delmo e Caterinetta sul pattino, giustificandoti prontamente “si, però me l’aveva detto che non avrebbe pubblicato tutte le foto”.

Per farla breve devo dirti che ha apprezzato e gradito moltissimo, ed io con lei, tutta la tua opera. Credo che il sito web guadagnerà molti altri estimatori fra i miei parenti.

Per concludere voglio riferirti di una scoperta fatta nei giorni scorsi visitan-do il sito:

Il maestro Francesco Saverio Mangieri citato nella sezione NOTIZIE, era un cugino in primo grado di mia mamma. Mia nonna materna era sorella del padre di Francesco Saverio.

Mia mamma era molto affezionata sia a lui che al padre di Filippo, Nicola, che ovviamente io ho conosciuto entrambi. Il primo l’ho incontrato un paio di volte a Roma dove lui viveva ed insegnava all’Accademia Nazionale del Cinema. Nicola, maestro di scuola, agli inizi dell’insegnamento era stato mandato in Sar-degna, a Carbonia, e spesso veniva a trovarci. Fra cugini si sono tenuti sempre in contatto epistolare ed in famiglia abbiamo seguito tutte le vicende artistiche di zio Ciccio, sostenendolo spesso con le famose cartoline postali, quando si trattava di votare le sue canzoni nelle varie competizioni canore cui partecipa-va.

Come è piccolo il mondo o, se preferisci, come è grande il web.

Spero che ci siano altre occasioni per sentirci. Quindi, parafrasando Rick ri-volto a Renault nell’ultima inquadratura di Casablanca, “Virgilio, forse noi og-gi inauguriamo una bella amicizia!”.

Ti saluto cordialmente ringraziandoti anche a nome di zia Rosaria. ino epicureo

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Maria Rosaria Epicureo, Delmo Veronese e Kitty Lescano (Alassio, estate 1951).