Catalogo rassegna film per le scuole medie

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Catalogo rassegna film 2006/2007

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Didattica

Creativa

dell’Immagine

& Animazione

Sociale

Il Nuovo FantarcaVia Ospedale Di Venere 36, Bari – CarbonaraTel. 080.9909447 – 080.4673486 – [email protected]

Il Nuovo FantarcaVia Ospedale Di Venere 36, Bari – CarbonaraTel. 080.9909447 – 080.4673486 – [email protected]

Direzione artistica e coordinamentoROSA FERRO

Schede filmiche e dibattitiROSA FERROANTON GIULIO MANCINOPATRIZIA ROSELLI

Incontri preparatori e laboratori di verifica finaleROSA FERROANTON GIULIO MANCINO

OrganizzazioneVALENTINA VISITILLI

CollaboratoriKHALED FUAD ALLAMJOLANDA SPAGNOLUCA D’ADDARIOROBERTO BASILIGIANLUCA SCIANNAMEO

Si ringraziaClaudio Gubitosi(Direttore artistico Giffoni Film Festival)Centro Documentazione Ebraica Contemporanea di MilanoCentro Espressioni Cinematografiche di UdineVincenzo Martino (Cinema Royal)Antonio Belvedere (Cinema Ambasciatori)The Finnish Film Foundation (Finlandia)Napis - Sottotitoli elettronici - RomaIstituto LuceMedusaBIM CinematograficaWarner Bros – BariDaniel TorkanPaolo TempestaImagicI registi Francesca Elia e Gian Paolo Cugno

Tutti i dirigenti scolastici, i docenti, gli alunni eloro famiglie che hanno aderito alla Rassegna.

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Rassegna Internazionale di Cinema per la Scuola

La terra vista dalla luna è il titolo di un mediometraggio realizzato nel 1966 da Pier Paolo Pasolini, in cui, attraverso le vicendeironiche di due poveracci, l'autore invita ad essere lunari quel tanto che basta per prendere le distanze dagli schematismi e dai conformismisociali. Un invito che ci sembra ancora attuale e necessario, essendo alto il livello di passività sociale e psicologica nei confronti di unarealtà non sempre comprensibile. Pigrizia culturale, molto foraggiata da un sistema politico ed economico che si esprime essenzialmenteattraverso i network televisivi e il mercato, ormai da anni così invasivi, potenti e persuasori. E allora, partendo dalla nostra esperienzaquotidiana che ci fa conoscere bambini e ragazzi che hanno voglia di essere informati e hanno voglia di esprimere il loro punto di vista edi conoscerne altri, solo se vengono loro dati gli spazi adeguati, crediamo sia necessario a livello educativo far sorgere domande sul nostromondo e provare a staccarsi dalla visioni quotidiane e scontate per cominciare a riflettere sul “possibile” prima ancora che sul “fattibile”.Scriveva lo storico Carlo Ginzburg: “occorre porsi come stranieri nel proprio paese perché lo stesso procedimento della conoscenza implical'elemento della distanza per riuscire a vedere le cose. Se sono troppo vicine non le vediamo più”.

Il cinema, attraverso la modalità stessa del “proiettare” le storie su uno schermo posto di fronte allo sguardo, crea la distanza giustaper facilitare la conoscenza, l'osservazione, lo straniamento, la riflessione, il confronto e quindi l'empatia. La Rassegna di quest'anno propone sedici titoli provenienti da vari paesi e vari contesti culturali, ma con un unico elemento in comune: la prassi nonviolenta, senza la quale,ne siamo convinti, la conoscenza rischia di rimanere un bell'esercizio mentale. Le storie, i film che vi proponiamo sono uno straordinariospaccato sulle innumerevoli possibilità che abbiamo come persone e come cittadini, di ripensare al presente e quindi al futuro.

Benvenuti sulla luna...anzi sulla terra!

La Terra vista dalla Luna mi fa pensare alle tante possibilità cheabbiamo, come spettatori e come cittadini, di guardare al mondo daangolazioni diverse per verificare concretamente che ogni prospettiva, anchela più visionaria, ha una sua verità. Quando Pasolini scelse questo titolo peril suo film avvertiva drammaticamente l’omologazione culturale che portavala nostra società, assoggettata ai codici di un nuovo potere, a non immaginarepiù di tanto. Con gli sviluppi degli ultimi decenni (sviluppi ma non progressi,per usare ancora una volta il vocabolario del poeta di Casarsa) oggi ha ancorapiù senso provare a vedere “la terra dalla luna” perché quell’appiattimentoculturale è più che mai in atto. La Rassegna del Nuovo Fantarca - con i filmche propone, i temi che intende affrontare e le sessioni di approfondimentoin cui si articola - è uno spazio prezioso grazie al quale i bambini e i ragazzidella nostra provincia oltre a vedere opere cinematografiche di indubbiovalore artistico (e spesso, ahimè, fuori dai circuiti rigidi del mercato) potrannosvolgere un sano esercizio di democrazia e di poesia. E allora il sostegnoall’iniziativa da parte mia e dell’Ente che rappresento è un modo concretoper essere partecipi insieme ai ragazzi e agli adulti di un percorso culturaleche, mettendo in gioco emozioni, creatività e intelligenze, contribuisca allacostruzione di un futuro migliore.

Vittorino CurciAssessore alla Cultura - Provincia di Bari

“So bene che il futuro non sarà quasi mai bello come una fiaba.Ma non è questo che conta.Intanto, bisogna che il bambino faccia provvista di ottimismo e difiducia, per sfidare la vita.E poi, non trascuriamo il valore educativo dell'utopia.Se non sperassimo, a dispetto di tutto, in un mondo migliore, chi celo farebbe fare di andare dal dentista?”(G. Rodari, Grammatica della fantasia)

Cinema ed educazione al futuroLa prassi nonviolenta

Il titolo suggestivo della rassegna di quest’anno, La Terra vistadalla Luna, apre lo sguardo verso prospettive diverse, insolite o anchesconosciute. Cosa ci può essere ancora di sconosciuto nel nostro tempo incui tutto è globalizzato e tecnologizzato? La conoscenza stessa. Quellaconoscenza che non si accontenta di ciò che ci viene dato, ma ricerca,confronta, mette insieme i pezzi mancanti, scruta ciò che rimane nell’ombra.Mi riferisco alle mille sfumature dell’animo umano, ai tanti diritti nonancora riconosciuti, al rapporto tra democrazia e regimi, più o menocamuffati. Mi riferisco anche a culture, religioni, filosofie di vita che nonfanno parte della nostra quotidianità, che non sono visibili nel grande showmediatico, ma la cui lettura non può essere affidata unicamente ai codicioccidentali. Guardare la Terra dalla Luna significa sentirsi parte di unecosistema che prevede codici e linguaggi differenti che necessitano disguardi a lungo raggio e che siano coraggiosi, fiduciosi, sconfinati e primadi tutto tolleranti e nonviolenti per immaginare il futuro. La Rassegna delNuovo Fantarca si muove fra queste coordinate pedagogiche, tutt’affattoteoriche, ma praticate concretamente, con sessioni preparatorie, dibattiti,incontri con gli autori, laboratori, schede di analisi critica e visione di filmanche in lingua originale e proiettati esclusivamente in Italia nell’ambitodi questa iniziativa, come un regalo prezioso per il pubblico barese. Sapereche siete sempre numerosi a partecipare a questa iniziativa è un confortoe una risposta a quanti fanno fatica a guardare la terra dalla luna.Buona visione a tutti voi!

  

Nicola LaforgiaAssessore alle Culture - Città di Bari

Rosa FerroDirettore artistico

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(in memoria della Shoah) - 6ª edizione

in collaborazione con:

CDEC – Centro di Documentazione EbraicaContemporanea (Milano),Centro Espressioni Cinematografiche di Udine

BROKEN SILENCE:International Documentary Series di Andrei Wajda,Luis Puenzo, Pavel Chukhraj, Janos Szasz, Vojtech Jasnj

NOTTE E NEBBIA di Alain Resnais

MEMORIA di Ruggero Gabbai

BINARIO 21 di Diego Pucciai

OLIVER TWISTdi Roman Polanski Repubblica Ceca, 2005

VAI E VIVRAI di Radu Mihalineau Israele, 2006

RACCONTAMI UNA STORIA di Francesca Elia Italia, 2006

MIO PADRE, RUA ALGUEM 5555 di Egidio Eronico Brasile, 2006

IL CANE GIALLO DELLA MONGOLIA di B. Davaa Mongolia, 2006

SENZA DESTINOdi Lajos Koltai Ungheria, 2006

I FRATELLI GRIMMdi Terry Gilliam Gran Bretagna, 2006

LA ROSA BIANCA – SOPHIE SCHOLLdi Mark Rothemund Germania, 2006

SALVATORE – QUESTA È LA VITAdi Gian Paolo Cugno Italia, 2006

INNAMORARSI A MANHATTANdi Mark Levin USA, 2006

PARADISE NOWdi Hany Abu Assad Palestina, 2006

CURIOSO COME GEORGEdi Matthew O'Callaghan USA, 2006

CRASH – CONTATTO FISICOdi Paul Haggis Germania/USA, 2006

VALOdi Kaija Jurikkala Finlandia, 2006

VIAGGIO ALLA MECCAdi Isamel Ferroukhi Marocco, 2005

LA STELLA DI LAURAdi P. de Ricker e T. Rothkirch Belgio, 2005 Incontri preparatori ai film

Laboratori di educazione all’immagine

Laboratori di educazione alla nonviolenza

Corsi di formazione

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Dickens, ieri

I film nascono spesso da molte suggestioni che si intrecciano:lo spunto può provenire dalla realtà circostante, ma anche da altrediscipline, come la letteratura, e anche – come in questo caso –dalla pittura. All’origine di questo film di ambientazione ottocentesca,oltre ai riferimenti ai giorni nostri, che meritano di essere presi inesame, c’è una doppia ispirazione. La prima è di tipo pittorico.Infatti la triste e oscura bellezza figurativa di questo Oliver Twist,che il regista Roman Polanski ha realizzato pensando ai suoi figlipiccoli come spettatori ideali, comincia e finisce con alcune celebriillustrazioni di Gustave Dorè. Dorè, noto anche per aver illustratola Divina Commedia di Dante Alighieri (particolarmente sconvolgentisono le tavole realizzate per l’Inferno), nelle sue incisioni rappresentòsempre una Londra brutta, brulicante di persone, scura per il fumodenso e la pioggia, incattivita dalla fame e dalla vicinanza brutaledi persone molto ricche e molto povere. Una Londra, per l’appunto,non molto dissimile da un Inferno in Terra. La seconda fonted’ispirazione, quella cioè letteraria, ci suggerisce invece una domandamolto semplice. Perché un regista come Polanski, dopo essersi

occupato dello sterminio degli ebrei durante il nazismo ne Ilpianista, ha scelto di portare sullo schermo uno dei più importantiromanzi di Charles Dickens? Stiamo parlando di un romanzo scrittoquasi due secoli prima. Dickens pubblicò Oliver Twist, tra il 1837e il 1839. Lo pubblicò a puntate. L’opera, attraverso le vicende delbambino trovatello finito nelle grinfie di una banda di malviventi,era un atto di denuncia delle gravissime condizioni in cui vivevanoi poveri in Inghilterra durante l’Età Vittoriana (il lungo regno dellaregina Vittoria ebbe inizio proprio nel 1837). Nel libro venivanocondannati sia gli abusi che la violenza, specialmente nei confrontidei minori e delle persone meno abbienti, aumentati proprio inun’epoca in cui la Rivoluzione Industriale, la crescita tecnologicae l’idea di progresso avrebbero dovuto portare miglioramenti nellasocietà. Eppure quello che lo scrittore descrive nel suo libro è unmondo cupo e infelice, dove la vita nella capitale londinese èpersino più insopportabile di quella nelle campagne, dove il lavoroin fabbrica è terribile, dove i poveri vivono sempre peggio, e dovei bambini vengono sfruttati con la scusa di essere aiutati e avviatiad una professione. A questo proposito, vengono molto criticatedallo scrittore le opere di carità volute dai più ricchi che invecerendevano più tremenda l’infanzia dei bambini orfani come Oliver,il cui cognome Twist viene scelto a caso, proprio a indicarel’indifferenza che il signor Bumble nutre nei suoi confronti. Le“workhouse” (cioè case [house] di lavoro [work]), che dovevanodare assistenza ai poveri, ai malati e a tutti i bisognosi, grandi e

Regia: Roman Polanski. Soggetto: tratto dall’omonimo romanzodi Charles Dickens. Sceneggiatura: Ronald Harwood.Fotografia: Pawel Edelman Montaggio: Hervé de Luze.Musica: Rachel Portman. Scenografia: Allan Starski. Costumi:Anna B. Sheppard. Interpreti: Ben Kingsley (Fagin), BarneyClark (Oliver Twist), Jamie Foreman (Bill Sykes), Leanne Rowe(Nancy), Lewis Chase (Charley Bates), Edward Hardwicke (ilsignor Brownlow), Jeremy Swift (il signor Bumble), Mark Strong(Toby Crackit), Frances Cuka (lasignora Bedwin), Chris Overton(Noah Claypole), Michael Heath (il signor Sowerberry), GillianHanna (la signora Sowerberry). Origine: Francia, Gran Bretagna,Italia, Repubblica Ceca, 2005. Durata: 120 min.

Londra, XIX Sec. Il piccolo Oliver Twist scappa dall'istituto pergiovani orfani gestito dal perfido Sig. Bumble e viene cooptatoda un gruppo di ladruncoli di strada che fanno capo al vecchioFagin. Durante una delle loro scorribande, il gruppetto di furfantideruba il ricco signor Brownlow, e Oliver, che ha assistito sorpresoe innocente, viene arrestato mentre gli altri ragazzi riescono afarla franca. Tuttavia, quella che potrebbe essere una disgrazia,si rivela per il piccolo orfano una svolta felice perché dopo latestimonianza in suo favore resa dal libraio, il facoltoso Sig.Brownlow lo accoglie nella sua bella e confortevole casa. Ma iguai per il piccolo Oliver non finiscono qui.

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“Non sapeva dove stesse andando,ma prese la prima strada che gli capitò

e iniziò a correre”Charles Dickens

da Le avventure di Oliver Twist

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piccoli, diventarono con la legge di assistenza ai poveridel 1934 dei luoghi di punizione, vere e proprie prigioni,dove i diritti umani e civili dei più sventurati venivanoogni giorno calpestati da soprintendenti senza scrupoli esenza coscienza. Fu proprio grazie alle opere di Dickensche questa realtà drammatica venne alla luce e conosciutadai lettori dell’epoca. Ma, tornando alla domanda iniziale,perché questa situazione così lontana ha spinto il registadel film ad occuparsene? La prima risposta, immediata, èche la vita nelle “workhouse” non era bella affatto,esattamente come quella nei campi di lavoro,concentramento e sterminio nazisti sparsi in tutta l’Europacontinentale durante la Seconda Guerra Mondiale. EPolanski, avendo vissuto sulla sua pelle la tragedia dellaShoah, ha ritrovato nelle pagine di Dickens la stessa

tremenda esperienza vissuta dagli ebrei perseguitati esterminati oltre mezzo secolo fa dal regime hitleriano. Mala ragione più importante da comprendere, circa l’interessedi questo regista assai sensibile al rapporto tra il Bene eil Male nella nostra società, risiede proprio nellacontraddizione tra una società e una nazione, come quellainglese dell’Ottocento, convinte di andare verso il progressoe la felicità da esso derivata, e le reali condizioni disumanein cui versavano gli strati bassi di quella stessa società edi quella stessa nazione. Cosa comportò allora la RivoluzioneIndustriale? La modernizzazione, l’aumento del lavoro el’allargamento del benessere materiale di tutti? Piuttostosignificò, per la gente povera, la riduzione dell’uomo aduna cosa senza dignità. Le fabbriche trasformarono gliindividui in oggetti intercambiabili, in ingranaggi di unamacchina produttiva senza sentimenti e senza pietà. Iprincipi di carità e solidarietà sociale che ispiravanoapparentemente istituzioni come le “workhouse”diventavano la facciata insincera, ed effettivamentemalvagia, di una società dove sempre più alto era il muroche separava i ricchi dai poveri,con i poveri condannati adessere ancora più poveri e i

ricchi persino più ricchi. Evidentemente il regista del film,partendo dal romanzo originale, ha ritenuto che quelmodello di società assomiglia molto alla nostra, dovenuovamente l’entusiasmo per il progresso tecnologico (coni passi da gigante compiuti dalla microtecnologia,dall’elettronica e dall’informatica) sta trascurando e anziaggravando il divario sociale, all’interno della stessa societào tra Stati e società diverse, dove ancora numerosissimie scandalosi sono gli esempi di infanzia negata in tuttoil mondo, dove il lavoro e lo sfruttamento dei bambinisono troppo diffusi per essere dimenticati, e dove la vitadegli esseri umani conta molto poco, a causa della diffusionegeneralizzata della violenza, delle guerre, delle limitazionidella libertà personale e delle dittature.

Polanski, oggi

Insomma, come si è visto, Polanski, rileggendo Dickens,ci parla soprattutto dell’oggi, ci ammonisce, ci vuole offrireargomenti di riflessione utili. Proviamo ad analizzarli unoper uno. Accanto alla paura, alle atmosfere sinistre che sipercepiscono nel film sin dalla prima inquadratura, si notala tendenza a rappresentare con ironia gli esseri più sordidi,violenti o brutali (pensiamo ai responsabili della workhouse,la gente delle strade, il ladro Fagin e l’assassino che allafine si impicca da solo mentre la folla lo guarda attonitoe il cane ulula). Sì, in fondo sono personaggi terribili maanche assurdi, tanto da far persino ridere (Fagin inparticolare è più buffo di chiunque, anche se è un vecchioavido e infido). Perché mai? L’autore di questo film assumenei confronti del Male un atteggiamento di distacco. Sirende cioè conto di come il Male sia qualcosa di complessoe sfuggente. Sa benissimo che il Bene non è soltanto ilcontrario del Male. Il Bene non può essere separato dalMale. Infatti i malvagi di questo film, specialmente quellipoveri, sono a loro volta vittime dei loro simili. Prendiamoad esempio la giovane Nancy, che prima rapisce Oliver epoi sacrifica la propria vita per restituirgli la libertà e lafelicità che lei non ha mai conosciuto. Prendiamo ancoraad esempio il cane Bullo, che appare inizialmente ferocee implacabile, ma poi rischia di essere ucciso dallo stessopadrone assassino, e perciò fugge e lo consegna allagiustizia. Delitto e castigo appaiono in questo filmugualmente ingiusti e disumani. Gli uomini non hanno ildiritto di decidere della vita di altri uomini. La spiralemalsana della violenza sembra accomunare in modotrasversale sia gli individui più abietti che le istituzionicosiddette umanitarie, dove i bambini lavorano duramentee vengono malnutriti, e le istituzioni giudiziarie, dovechiunque potrebbe essere più facilmente condannato cheessere riconosciuto innocente. Sono insomma, chi più chimeno tutti inconsapevoli vittime della stessa societàspietata che rischia di travolgere anche il piccolo Oliver.La forza di Oliver, che incarna l’ideale dello scrittoreDickens: “non essere mai gretto, falso e crudele”, consistenel riuscire a sopravvivere e a restare buono in un mondoche buono non è: questo bambino è un essere innocentee profondamente generoso, tanto generoso che alla finenon riesce ad essere contento della sorte dell’ex carceriere

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e ladro Fagin. Va a trovarlo in carceree prova compassione per lui. Chi haconosciuto torti e ha subito graviingiustizie o ha rischiato la vita ama lavita più di chiunque altro. E rispetta glialtri come persone, pur giudicandonegativamente le azioni nefaste. Oliverè così. E il regista sta dalla sua parte.Perciò nel finale, il pensiero della forcache attende Fagin lo rattrista. La vistadella folla che vuole vendetta, la stessafolla che lo aveva consegnato alla poliziaper il puro gusto di vederlo punire, gliispira una profonda tristezza. Oliver eil suo nuovo e generoso tutore anzianosi lasciano alle spalle la città “oscura”(come la “selva oscura” di Dante), dovela sete di violenza appare ancora , la setedi vendetta a tutti i costi, non risparmianessuno, e dove persino i peggiorimalfattori si sentono investiti dell’assurdo diritto di punire iricercati o infierire contro i presunti delinquenti, spesso innocenticome Oliver. Ecco cos’è la compassione. Il povero Oliver che haconosciuto la fame e sta per approdare con profondo dispiacereal benessere si rende ormai abbastanza conto che buoni e cattivilo possono essere tutti all’interno della società, nonostante ledivisioni o la diseguale distribuzione della ricchezza. Ma è propriograzie a lui, che il Male viene progressivamente sconfitto,lasciando il posto al Bene: mentre all’inizio sembrano tutti moltocattivi con Oliver, gradualmente un numero sempre maggioredi persone positive si avvicinano a lui e cercano di aiutarlo,anche se spesso sono persone ambigue, pieni cioè di luci e ombre.Insomma, Oliver trova sulla sua strada sempre più personemigliori, seppur faticosamente. E persottolineare questo messaggio, il registacompie una modifica rispetto alromanzo originale: Oliver nel film nonè un aristocratico, uno “nato bene”,bensì un figlio del popolo. Perché lasua bontà non deve apparire come ilfrutto dell’estrazione sociale alta madella volontà di perseguire la propriastrada, di sopravvivere in un mondoche non offre scampo, proprio comefece il regista che, all’età di Oliver, riuscìa scampare alle atrocità del nazismo.A questo punto non dimentichiamocomunque il monito che il regista cilancia: sembra volerci infatti dire chei l Bene , una volta d ivenuto“maggioritario”, appare ugualmentefalso, pericoloso, massificato einquietante. Ed è non soltanto lospecchio della Londra vittoriana brutta,

sporca e incattivita, esasperata dalla brutale contiguità traricchissimi e poverissimi e immersa nella caligine piovigginosa,ma anche quello del mondo attuale, dove le divisioni tra Paesipoveri e Paesi ricchi appaiono molto marcate. Come lo sonoall’interno dello stesso Paese o della stessa città, dove le periferiedegradate assomigliano molto spesso allo spazio urbanorappresentato da Polanski in Oliver Twist.

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• In quale periodo storico e in che tipo di ambiente si muovono i personaggidel film?• Fra i vari personaggi conosciuti nel film, scegline tre che ti hannoparticolarmente colpito. Descrivili e spiega cosa ti ha colpito di loro. Confrontapoi il tuo lavoro con quello del resto della classe.• Avrai notato che rispetto ai personaggi, il regista cerca di non definiremai nettamente il positivo e il negativo. Come mai? Sei d’accordo o preferiscivedere chiaramente il Bene e il Male? In base a quanto visto nel film, chedefinizione dai tu del Bene e del Male?• Come giudichi il gruppo di ragazzini amici di Oliver e come consideriFagin? Come mai alla fine del film, nonostante tutto, Oliver resta dispiaciutodella sorte a cui è destinato Fagin e desidera a tutti i costi rivederlo?• Se hai letto il romanzo di Dickens, quali elementi trovi in comune con ilfilm e quali diversi?• Cosa ha a che vedere questo film ambientato nella Londra del 1800 conla nostra società?

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Come mai ha deciso di fare “OliverTwist”? Dov'è Roman Polanski in questofilm?In realtà volevo realizzare un film adattoad un pubblico giovane, e con giovaneintendo dai 9 ai 99 anni, però non volevocadere nella trappola di fare il solito filmper giovani pieno di effetti speciali visivie sonori. Volevo dare ai ragazzi qualcosache li facesse pensare e, allo stesso tempo,potesse fare appello al loro cuore.Ovviamente, oggi è difficile fare questotipo di film, quindi mi sono attenuto adun grande classico, adattandolo senzamodificarne l'ambientazione e senzametterci elementi come il sesso.

Nel film, il vecchio usuraio dice albambino: "Continua su questa stradae sarai un eroe dei nostri tempi". Siriferisce forse a qualche vero eroe deinostri tempi?La cosa bella di Charles Dickens è che

ogni riga del suoromanzo è carica diironia. E la presenzadi questa capacità latroviamo in tutti i suoilibri, in quanto lui erau n c ro n i s t a d itribunale ed avevaascoltato molti di queiracconti. Tra l'altro,

Oliver Twist lo scrisse da giovane, avevasolo 25 anni.

Le scenografie del film lasciano pensareun po' all'horror classico.Come per i personaggi, Dickens descriveminuziosamente anche gli ambienti, laLondra di quel periodo. Altro autore chemi viene in mente, più o meno dellostesso periodo, che descrive con estremointeresse i luoghi in cui si verificano lescene è Emile Zola. Comunque, per quantoriguarda il film, abbiamo cercato di dargliquesto feeling romantico, ma senzarenderlo troppo espressionista, e loscenografo ha capito molto bene ciò cheveniva descritto e come realizzarlo.

Caratter i s t ica essenz ia le de lpersonaggio di Oliver è l'innocenza.L'innocenza, la bontà, sono sentimentidi cui oggi si parla poco, forse perquesto l'hanno colpita?Questa era la parte più importante delfilm, per questo abbiamo impiegato moltotempo a scegliere il bambino che avrebbepotuto interpretare Oliver: non volevamoun volto angelico, ma un bambino cheapparisse reale e la cui innocenzarisultasse convincente. E la cosa piùimportante per me, appunto, era mostrarequesto sentimento.

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Lo scrittore inglese Charles Dickens (1812-1870), natoda modesta famiglia (i genitori erano ex domestici),passa l’infanzia tra continue peregrinazioni, vere eproprie fughe motivate dall’abitudine paterna dilasciar debiti dovunque. Nel 1824, a Londra, il padrefinisce in carcere, e la famiglia lo segue, sistemandosinell’ala riservata ai familiari dei condannati, secondol’uso del tempo. Charles, secondo di sei fratelli, all’etàdi 12 anni deve lasciare la scuola e va a lavorare inuna fabbrica di lucido da scarpe, dove incolla etichettesulle scatole. Un’improvvisa eredità gli permette diriprendere gli studi. In seguito trova posto di scrivanoin uno studio legale. A 18 anni entra nella redazionedel The True Sune più tardi in quella del MorningChronicle, e si afferma come resocontista parlamentare.Nel 1833 pubblica il primo racconto, anonimo e senzacompenso. Poi ne escono altri, sui giornali per cuilavora, con lo pseudonimo di Boz. A 25 anni si sposa.Intanto, uno dopo l’altro, scrive i romanzi che rendonofamoso il suo nome, tutti pubblicati in dispense mensilie poi raccolti in volume. Nel 1836-37 esce Il circoloPickwick, imperniato su un signore di mezz’età, calvoe panciuto, ottimista e credulone, attorno a cui siraccolgono bizzarri personaggi impegnati a fareperiodici rendiconti delle proprie avventure. Delle 400copie iniziali si passa alle 40.000 dell’ultima dispensa,assicurando all’autore la fama e una rendita. Nel 1838esce Oliver Twist; nel 1839 Nicholas Nickleby, ancoraun romanzo di formazione come Oliver Twist; nel1841 La bottega dell’antiquario, che ha comeprotagonista una bambina che morirà precocemente.Nello stesso anno lo scrittore parte per l’America,dove tiene un ciclo di conferenze. Nel 1842 è in Italia,con la famiglia. Tornato in patria, nel 1843 pubblicail primo dei racconti natalizi, La canzone di Natale,e nel 1850 il capolavoro, David Copperfield,d’ispirazione autobiografica. Intanto fonda una propriatestata giornalistica, Household Words, e si batte peril risanamento dei quartieri degradati londinesi e perle condizioni dell’infanzia operaia. Riprende i viaggiper l’Europa, leggendo in pubblico brani del suocapolavoro riscuotendo molti consensi. Muore nellasua villa di Gadshill, a 58 anni ed è sepolto nell’Abbaziadi Westminster.

Figlio di Ryszard Liebling, polacco di discendenza ebraica e Bula Katz, cattolica di origini russe, Roman vienealla luce nell'agosto 1933, nella città di Parigi. Due anni prima dell'avvento della Seconda Guerra Mondiale, lafamiglia Polanski emigra dalla Francia, a causa del crescente antisemitismo che sta incombendo nel Paese. Facosì ritorno in Polonia. Giunti a Cracovia, viene però rinchiusa dai nazisti nel ghetto di Varsavia; nel 1941, lamadre di Roman, prelevata dalle SS e deportata ad Auschwitz, viene uccisa nel campo di sterminio. Aiutatodal padre, il piccolo di appena sette anni, riesce a fuggire dalla terribile area di concentramento situata nellacapitale polacca. Nonostante le tremende angherie subite da parte dei soldati tedeschi – come quella di divertirsiad usarlo come bersaglio e a guardarlo saltellare terrorizzato, per evitare i colpi – il bimbo riesce a scappare,

rifugiandosi presso famiglie cattoliche. Tra le premurose cure di due genitori adottivi, Roman può finalmente iniziare una nuova vita:si sviluppa in lui una certa vena artistica, orientata verso il mondo del cinema. Il conflitto è ormai al suo epilogo e il giovane Polanskiritrova il tanto amato padre, sano e salvo. Dopo aver dichiarato al papà la sua predilezione per il cinema, questo ambizioso ragazzo,nel 1953, ottiene una parte nel primo film. A soli 22 anni debutta dietro la macchina da presa. Tra i suoi film più noti ricordiamol’horror comico Per favore non mordermi sul collo e l’horror Rosemary’s Baby, che crea la moda dei film sulla possessione diabolica,come L’esorcista. Dalla nota tragedia shakespeariana trae una intensa versione di Macbeth. Seguono il giallo Chinatown con JackNicholson, candidato a 11 premi Oscar. Nel 2002 riceve invece l’Oscar come miglior regista per Il pianista, dove finalmente Polanskiriesce a rievocare gli anni tragici dello sterminio degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. E per i suoi figli, Morgane e Elvis,decide di girare Oliver Twist.

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Contraddizioni

Vai e vivrai è un film fatto di contraddizioni. Non nel senso chesi contraddice lungo l’asse del racconto. Al contrario, è un filmestremamente coerente, perché riesce dal principio alla fine a faremergere il bisogno dei protagonisti di comunità, il bisogno distare assieme pacificamente e con uguali opportunità per tutti. Lecontraddizioni riguardano invece ciascun personaggio, a partiredal protagonista Schlomo, e in generale i rapporti tra i singolipersonaggi. Queste contraddizioni, presenti all’interno di gruppifamiliari, gruppi religiosi, gruppi linguistici e nazionali, sono inpratica lo specchio di una realtà umana e planetaria moltocomplessa. Il film, che nasce da un romanzo scritto dallo stessoregista assieme al romanziere di professione Alain Dugrand, vuoledunque farci affrontare il tema della civile convivenza senza peròregalarci troppe illusioni. E lo fa mettendoci di fronte ai problemi

concreti, anche a livello storico e culturale: ci fa cioè comprendereche questa convivenza deve essere messa alla prova. La prova sonole difficoltà materiali, le contraddizioni evidenti. E’ un film che,a scopo educativo, predilige i problemi effettivi più che le soluzionifacili e immediate. Proviamo a vedere più da vicino questecontraddizioni e a far luce sui problemi. Innanzitutto c’è ilprotagonista, Schlomo, che conosciamo in tre momenti diversi, treetà, che sono anche le tappe essenziali di una crescita e di unamaturità: il bambino Schlomo si trova, benché molto piccolo, adover scegliere la strada della sopravvivenza e rinunciare alleproprie radici (religiose, geografiche e soprattutto affettive, perchéla partenza per Israele comporta il distacco definitivo e precocedalla madre). Per un bambino l’allontanamento dalla madre (cheresta una presenza viva, ma irraggiungibile), diventa un motivo diforte instabilità. Infatti il capitolo a lui dedicato termina quando,in seno alla famiglia che l’ha adottato, riprende a mangiare edunque a comunicare, dopo un lungo periodo di silenzio scontrosoe di testarda inappetenza. Prima contraddizione di Schlomo: èsopravvissuto, ma ha perso l’unica persona che gli restava di unafamiglia distrutta: sua madre. Durante l’adolescenza, Schlomo vivela seconda contraddizione: ci sono persone che lo amanoprofondamente, come l’intera famiglia che l’ha accolto, e in primoluogo la madre adottiva Yael e la sorellastra Suzy, il suo anzianoprecettore e la ragazza che da sempre lo ama, Sara, eppure attornoa sé percepisce l’indifferenza, l’emarginazione, la tiepida tolleranzariservata dagli ebrei bianchi ai “falascha”, gli ebrei di coloreprovenienti dall’Etiopia. Per un ragazzo che si sta sforzando di

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Durante la carestia che colpì l’Africa a metà degli anni ’80, gliebrei etiopi ebbero la possibilità di raggiungere Israele aiutati,tra gli altri, anche dal governo statunitense. Per sfuggire aduna morte certa, la madre di Schlomo fa passare il figlio neroe cristiano, per un bambino ebreo e orfano e, una volta giuntoa Tel-Aviv, il bimbo viene adottato da una famiglia di originefrancese che non conosce il suo passato. Accompagnato dalricordo della madre, Schlomo dovrà convivere con la paura cheil suo segreto venga rivelato.

Regia: Radu Mihaileanu; Soggetto: Radu Mihaileanu;Sceneggiatura: Radu Mihaileanu, Alain Dugrand;Fotografia: Remy Chevrin; Montaggio:Ludo Troch;Musica:Armand Amar; Scenografia: Eytan Levy;Costumi: Rona Doron; Interpreti: Roschdy Zem (Yoram), YaelAbecassis (Yael), Roni Adar (Sarah), Mimi Abonesh Kabebe(Hana), Raymonde Abecassis (Suzy), Moshe Agazai (Scholomobambino), Moshe Abebe (Schlomo adolescente), Sirak Sabahat(Schlomo adulto), Meskie Shibru Sivan (madre di Scholomo);Origine: Belgio/Israele; Anno di produzione: 2005;Durata:140 minuti.

«Le braccia della madre si aprono sul figlio, le mani si aggrappano a lui.Allora, un lamento sfugge, si amplifica, si alza.

Un grido insieme di rivolta e di felicità.»(Radu Mihaileanu, Alain Dugrand, Vai e vivrai)

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accettare il nuovo ambiente in cui suo malgrado devevivere, è una contraddizione che pesa e complica tutto.La terza contraddizione, che è forse la più importante,sopraggiunge quando diventa adulto: Schlomo è israelianoma non ebreo. E non potrebbe essere cittadino dello Statodi Israele senza essere ebreo. Infatti fino a quel momento,quasi in lotta contro tutto e tutti, si è finto ebreo pertanto tempo. Certo, la contraddizione è relativa perchédentro di sé Schlomo ormai si sente ebreo. E si rendeconto che non può continuare ancora a mentire sullapropria identità: deve assolutamente rivelare alle personecare, perché solo così potrà recuperare l’equilibrio perdutoda bambino. Insomma, pur non essendo ebreo, la suaformazione spirituale, linguistica e culturale è ebraica.Questo non vuol dire che la nazionalità israeliana glispetti, perché in principio, per necessità, ha mentito.

La Legge del Ritorno

A stabilire la nazionalità israeliana vi sono due leggi:la prima detta la Legge del Ritorno del 1950, la secondasulla nazionalità del 1952. La Legge del Ritorno stabilisceper la nazionalità criteri simili a quelli vigenti in altripaesi, ed è inoltre estesa a tutti coloro che al momentodell’indipendenza dello Stato di Israele (cioè nel 1948) virisiedevano. Tale Legge del 1950, emendata nel 1970,dispone che chiunque nel mondo desideri emigrare inIsraele diviene subito cittadino, ove sia in grado didimostrare di essere ebreo. Per l’emendamento del 1970,è ebreo chi sia nato da madre ebrea o chi sia convertitoal giudaismo e non pratichi un’altra religione. Come sipuò vedere, sebbene ebreo praticante, ufficialmenteSchlomo non è davvero ebreo (a causa della menzognainiziale), però nel profondo lo è diventato nel corso deglianni trascorsi nella sua nuova patria. Come scioglierequesta contraddizione, che non è più giuridica (essendogià stato riconosciuto come ebreo e israeliano da tutti),ma individuale, interiore, psicologica? Il primo passo perlui è aprirsi agli altri, a quelli di cui si fida, come ilprecettore, la madre adottiva e la moglie. Talvolta scopreche alcune di queste persone (il precettore etiope) lohanno sempre saputo e per questo lo hanno protetto. Mascopre anche che Yael o Sara meritavano di conoscereprima questo segreto, proprio perché la fiducia deve esserereciproca e non a senso unico.

La Terra Promessa

Le contraddizioni di Schlomo, se si presta attenzioneall’impostazione del film, si allargano a macchia d’olioall’intero mondo circostante. Non conta infatti se questobambino sfortunato sia ebreo o abbia scelto di esserloappena giunto in Israele. Conta piuttosto la sua coscienza

religiosa di ebreo, maturata nel corso del tempo. Questasua apparente contraddizione è in fondo la stessa dellamadre adottiva Yael, che gli confesserà più tardi di nonessere stata lei a volerlo adottare a tutti i costi, ma ilmarito. Eppure è lei che, istintivamente, ha stabilito conSchlomo il rapporto più profondo e duraturo. Mentre ilmarito non fa che litigare con il ragazzo. Se questa giovanedonna, che prima non voleva un figlio adottivo ma hafinito per amarlo come un figlio suo, perché Schlomo nonpotrebbe aver diritto a sentirsi nel profondo un ebreo,migliore, più preparato e più tollerante di molti ebreipraticanti, come si evince dalla disputa dottrinale pubblicadove “sbaraglia” il concorrente e riceve l’applauso? Maquesta stessa contraddizione non riguarda l’intero Statoisraeliano, nato dal bisogno di un popolo senza patria di

ritrovare uno spazio comune, soprattutto dopo l’eccidiodi massa della Seconda Guerra Mondiale? Infatti, se quellodella Terra di Israele (“Eretz Israel”) è un ideale di TerraPromessa, come vuole il precetto biblico che si lega allospirito dell’Alleanza, come è concepibile la discriminazioneverso gli ebrei etiopi, i “falashà”? E come è possibile esseretanto severi nell’accogliere come concittadini i nerid’Etiopia sottoponendoli a così rigidi esami d’ammissioneo renderli oggetto di una così spietata diffidenza, inpratica al razzismo diffuso come quello presente in tuttol’Occidente nei confronti dei neri, fino a creare in lorostessi disagio e incertezza a livello personale circa l’identitàautentica? Non dovrebbe proprio Israele essere la TerraPromessa, capace quindi di accogliere (come desideranofare le persone più aperte che incontriamo nel film, daYael al poliziotto) anziché escludere (come vorrebbe ilpadre conservatore di Sara), se si batte da decenni, spessoanche con strumenti impropri come le armi e lasopraffazione, per essere accettato come Stato laicodentro il mondo arabo-islamico? Schlomo e in genere i“falashà” fanno emergere questa forte contraddizione diun’intera nazione, nata sulle ceneri terribili della Shoah.Una contraddizione che può essere superata solorecuperando il significato profondo dei testi sacri comela Torah, che non può essere espressione di esclusione. Ilsignificato profondo di una religione o di uno spirito

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autenticamente religioso riguarda l’inclusione, lacompresenza e la “realtà di tutti”, come ci ha insegnatoAldo Capitini. Torah letteralmente significa“insegnamento” e, per estensione, “legge”. La Torahviene spesso menzionata per indicare l’intera Scritturaebraica, e infatti questa parola indica propriamente icinque libri biblici del Pentateuco (cioè Genesi, Esodo,Numeri, Levitico, Deuteronomio). Quando Schlomoparla ad una platea di ebrei praticanti, e interpreta laTorah dimostrando che l’identità dell’ebreo non puòessere condizionata dal colore della pelle,ci fa capire come le peggiori forme diintolleranza religiose non nascono dail ibr i sacr i , ma da una erratainterpretazione. Quando si cerca a tuttii costi la violenza, è facile trovarla. Anche

nei libri sacri. Ma questo non vuol dire che ci siadavvero. Ciò che invece Vai e vivrai ci insegna è chel’unico valore è quello della nascita. Esseresemplicemente nati, senza differenze di cultura, specie,religione, lingua o colore della pelle, significa essersiaggiunti a quel patrimonio globale che è la compresenzauniversale, e che per l’appunto comprende tutti, persinoi vivi e i morti. Perché quando si fa parte di una cosadavvero più grande, nemmeno la morte può estinguerla.Si può solo aumentare di numero, con la nascita. E ildono di Schlomo è l’essere nato, non di essere etiope,ebreo o nero, di avere una o più madri (prima Kedane,poi Hana, poi ancora Yael). Così come gli spiega anchel’anziano precettore, che ha perso tutta la sua famigliatragicamente, durante l’attraversamento del Sudan,ma che ha conservato la Torah e la volontà di dedicarsi

al prossimo, quindi di considerare Schlomo comese fosse figlio suo. In nome di quel valore che èla compresenza.

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Radu Mihaileanu, ebreo rumeno, è nato nel 1958 aBucarest, è figlio di Morderai Buchman, giornalista ebreoe comunista, che dopo l’internamento e la fuga dai lagernazisti, cambia il nome in Ion Mihaileanu. Radu cominciaa lavorare in teatro e nel 1980 fugge dalla dittatura diCeausescu e dopo un soggiorno in Israele finisce conl’installarsi in Francia. Montatore e poi assistente allaregia (fra gli altri di Marco Ferreri), scrive e dirige il suoprimo lungometraggio nel 1993, Trahir. I riconoscimentiinternazionali arrivano con Train de vie (1998), candidatoall’Oscar come miglior film straniero.

• In che senso questo film offre allo spettatore una serie di contraddizioni?E come si riflettono, ad esempio, queste contraddizioni sul personaggio diSchlomo?• Che idea ti sei fatto, vedendo questo film, sui rapporti tra una religionecome l’ebraismo e la vita delle persone all’interno di una nazione come Israele?• Come ti spieghi che il protagonista Schlomo sente alla fine il bisogno dirivelare il suo segreto, dopo essere riuscito per così tanto tempo a conservarlo?• Come reagiscono i diversi personaggi del film che vengono a conoscenzadell’inconfessabile segreto di Schlomo?• Che significato attribuisci alla sequenza finale in cui Schlomo, divenuto unmedico, riabbraccia la donna che sembra essere sua madre?• Puoi spiegare il valore e il significato della parola “compresenza” in relazionea questo film?

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Come è venuto a conoscenza della storia degliebrei etiopi e perché ha scelto di raccontarla inun film?Quando nel 1999 il mio film, Train de vie ha apertoil festival di cinema ebraico di Los Angeles ho avutola fortuna di essere seduto a tavola accanto ad unsignore nero che mi ha detto di essere ebreo, etiopee israeliano. Avevo dei ricordi molto vaghidell'operazione Mosé degli anni '84-'85. Abbiamopassato tutta la notte insieme, mi ha raccontato la

storia della sua comunità e la sua storia personale. Lui ha persotutta la famiglia sulla strada tra l'Etiopia e il Sudan. Era solo al

mondo. Non ho mai pianto tanto come quellasera. Come mai la più grande avventura delventesimo secolo non è conosciuta per nulla?Solo perché sono neri, poveri non possono

raccontare la loro storia? Non sapevo ancora che avrei fatto unfilm ma sono rientrato a Parigi e ho letto tutto ciò che ho trovatosull'argomento e poi sono partito per Israele e lì ho deciso di girareun film che fosse un ponte tra gli Etiopi e la loro storia meravigliosae il pubblico di tutto il mondo. Volevo rendere giustizia a questagrande epopea sconosciuta.

Ci sono state difficoltà a girare in Israele?Devo dire di no anche se io me le aspettavo perché il film attaccagli estremisti religiosi. Pensavo per esempio che il giorno in cuiavremmo girato la scena della grande manifestazione degli etiopiebrei di fronte al rabbinato di Gerusalemme, un fatto storico

Radu Mihaileanu

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accaduto in quel luogo, gliestremisti avrebbero tentatodi interrompere le riprese einvece non è successo. Nessunoha manifestato contro il filmnonostante il tema sia moltodelicato. Ho passato cinque anni in ricerche,documentandomi su Israele, ho incontrato tante persone,etiopi ed israeliani, e ho raccolto le loro testimonianze.Non puoi farti un'idea di ciò che accade in Israeleunicamente leggendo i giornali o guardando la televisione,perché spesso tutto è rappresentato attraverso cliché,attraverso immagini semplicistiche del conflitto coipalestinesi che raccontano di Israele come una potenzamilitare forte che va nei territori per uccidere i bambini.Il mio intento non era quello di fare un film di propaganda,ma riportare la realtà di Israele trattando l'aspetto umano.La società israeliana, come tutte le società del resto, nonha un unico punto di vista, non sono tutti razzisti edestremisti o tutti buoni e solidali. Ci sono opinioni diversesu ogni cosa, come in qualsiasi altra società, ma bisognaammettere che la maggior parte degli israeliani ha accoltogli etiopi a braccia aperte, a parte una piccola minoranzacome i rabbini ortodossi, secondo i quali le persone dicolore non potevano essere ebree. Penso inoltre cheisraeliani e palestinesi siano entrambi vittime che nonriescono ad uscire da questo conflitto nel quale, in realtà,non riescono più a riconoscere un nemico. Forse tuttiabbiamo l'idea che Israele sia un popolo di destra e chei palestinesi siano tutti di sinistra, ma non dobbiamodimenticare che prima della guerra del Libano gli israelianierano di sinistra. Ci sono opinioni estremiste sia da un

lato che dall'altro. Ho voluto che lafamiglia che nel film accoglie Schlomofosse di sinistra perché così potevoesplicitare, attraverso le figure del padree della madre, il conflitto interno allasocietà israeliana tra chi vuole lasciareil paese per evitare che i propri figlidiventino soldati e chi vuole restare pernon lasciare il potere in mano ai falchiche vogliono la guerra.

Nel suo film è presente con forza la figura della madre,che in questo caso non è una sola, ma sono tutte ledonne che si prendono cura di volta in volta del piccoloSchlomo.

Il mio desiderio voleva essere fare un film sulle madri.Vai e vivrai è un po' una versione etiope di E.T. : Schlomoguarda la luna e vuole tornare a casa. E' un film su quattromadri che salvano il loro bambino, e tra queste includoanche la fidanzata di Schlomo che nel momento in cuigli darà un figlio diventerà un po' anche sua madre. Perme è una metafora del mondo in cui viviamo: se guardiamola mappa geopolitica del nostro mondo vediamo tantiposti in guerra, dove le donne non contano nulla. Schlomoè il nostro mondo, che ha bisogno di essere accudito esalvato dal cuore grande delle madri.

Come nei suoi precedenti film eanche in Vai e vivrai ritroviamo iltema dell'impostura, cioè dellamenzogna a fin di bene.

Essenzialmente per due motivi. Il pubblico mi conoscecol cognome Mihaileanu, ma in realtà il mio vero cognomeè Buchman. Mio padre fu costretto a cambiarlo durantela guerra, per sfuggire ai campi nazisti. Io ho vissutopositivamente tutto questo, tuttavia persiste in me unconflitto tra queste due identità e in tutto quello chefaccio c'è un punto di vista duplice: fuori sono Mihaileanu,ma dentro resto Buchman. Il secondo motivo èlegato alfatto che sono dovuto fuggire dalla Romania durante ladittatura di Ceausescu e mi sono rifugiato in Francia, malì mi considerano uno straniero perché ho l'accentorumeno, e d'altra parte in Romania mi dicono che sonofrancese perché ormai abito a Parigi e hoacquistatol'accento francese. Oggi la mia unica casa sono i mieibambini.

Sembra quasi che questosuo sentimento di "nona p p a r t e n e n z a " l epermetta di essere piùinternazionale quandoracconta certe storie.

Mi sono accorto di averfatto film su storie specifiche, ma con un linguaggiouniversale. Questo forse è legato al fatto che al centrodei miei film c'è sempre il tema dell'identità che è specificodella cultura ebraica, ma al tempo stesso appartiene amolti di noi, a tutte quelle persone costrette adabbandonare il proprio paese portando dentro tantasofferenza, ma anche quell'umorismo essenziale persuperare i momenti difficili. Viviamo in un mondo che cibombarda di immagini, ma a me interessa raccontare unastoria solo quando penso che sia veramente buona. Mipiace parlare di cose che mi stimolano e che mi portanoa conoscere altre persone.

Cosa vuol dire per lei oggi patria?

Odio la parola patria perché mi ricorda troppe guerre,troppi morti in suo nome. La patria è una cosa astrattae io preferisco ragionare in termini di esseri umani. Nonsono legato ad alcuna patria, ma alla Francia, a Parigi,dove ci sono tutte le persone che amo, all'Italia, dove misento a mio agio, all'Africa, dove sono entrato in contattocon tante persone che mi hanno toccato profondamente,e poi ancora al Sud America e all'Asia, anche se non leconosco moltissimo. Per me l'ideologia è una prigione,ed io preferisco tenere aperte porte e finestre, per arricchireed essere arricchito dagli altri, in un continuo scambio.

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Spettatori o protagonisti?

Il film si apre con scene in cui vediamo un bambino, Ricky, chegioca in un parco in compagnia di sua madre mentre viene ripresocon una telecamera (lo capiamo dall’immagine più sgranata rispettoa quella della pellicola). Subito dopo scopriamo che quelle immaginisono trasmesse da un televisore davanti al quale c‘è proprio ilbambino Ricky, solo. Queste due sequenze con cui si apre il filmraccontano molto del nostro protagonista: il fatto che Ricky siasolo mentre rivede le immagini piacevoli in compagnia dei suoi

genitori ci dice che la felicità per lui è qualcosa cheappartiene al passato ed è qualcosa di cui oggi èspettatore più che protagonista. La felicità di Ricky ètalmente occasionale che vale la pena riprenderla econservarla (con la telecamera in questo caso), che èpoi l’unica maniera per non perderla definitivamente.Lo stato d’animo di Ricky raccontato in queste primedue sequenze viene rafforzato subito dopo dalle sceneambientate a scuola, in cui Ricky appare come unbambino un po’assente, poco partecipe, abbastanzaannoiato anche dall’idea di prendere parte alla recitascolastica natalizia, che sente estranea e distante daciò che sta vivendo. E’ come se ancora una volta Ricky

avvertisse il rischio di subire gli eventi, senza avere diritto di parola:a casa subisce la crisi del rapporto fra i suoi genitori, a scuolasubisce una recita sempre uguale a se stessa per la quale i ruolisono scelti dall’insegnante. In nessuno dei due casi è Ricky ascegliere. E’ come se a suoi occhi si trattasse di due copioni daaccettare così come sono, senza alcun coinvolgimento diretto daparte sua. E allora se le cose stanno così perché Ricky dovrebbeessere felice? E’ a questo punto che arriva la sua domanda di aiuto,affidata ad un computer e diretta al suo eroe preferito Trashcrash.Perché Ricky chiede aiuto a una creatura della fantasia e non apersone in carne e ossa come i suoi genitori? Semplicemente perchéla “lingua” che parlano i suoi genitori è a lui incomprensibile! Rickynon riesce a capire intanto cosa sta succedendo fra i due, anche

Siamo alla vigilia delle festività natalizie. Ricky, dieci anni, frequentala quinta elementare in un istituto privato e non mostra particolareinteresse per il clima di festa perché ha intuito che qualcosa non vanel rapporto tra i suoi genitori. Nonostante i due facciano di tutto pernon coinvolgerlo nella loro crisi, il bambino non può fare a meno diprovare un profondo malessere, al punto di desiderare che il Natalepassi più in fretta possibile. Un giorno, trovato in un’aula un computeracceso, ne approfitta per scrivere sulla tastiera un messaggio d’aiuto,sperando che possa giungere direttamente agli angeli del Paradiso.Poco tempo dopo, a bordo della sua moto rombante, giunge a scuolauno studente universitario di nome Gabriele, che guarda caso ha lesembianze del supereroe preferito di Ricky: Trashcrash, un personaggiodi fantasia molto amato dai bambini. Il compito di Gabriele è quellodi preparare i ragazzi alla comprensione del significato del Nataleattraverso l'allestimento di uno spettacolo di pupazzi ispirato allevicende della Natività. La recita e il supporto di Gabriele aiutano Rickya capire qualcosa in più del rapporto fra i suoi genitori e a vedere ilNatale e la sua famiglia con occhi diversi.

Regia: Francesca Elia: Sceneggiatura: Francesca Elia, PaoloLelli; Direttore di produzione: Mauro Venditti; Fotografia:Roberto de Nigris; Musiche: Franco Befani; Costumi: StefaniaCorsetti; Montaggio: Roberto Martucci, Pietro Morona; Attoriprincipali: Elenoire Casalegno (madre di Ricky); Simone Faucci(Ricky), Patrizio Colombo, Davide Gemmani, Liliana OricchioVallasciani, Antonella D’Arcangelo, Remo Masini, AndreaMugnai, Tony Rucco; Produzione: Mauro Colombo e FirminioPasquali; Origine: Italia; Anno: 2006; Durata: 84 minuti.

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Tu non sei piú vicina a Dio di noi;siamo lontani tutti. Ma tu hai stupende

benedette le mani.nascono chiare a te dal manto,

luminoso contorno:io sono la rugiada, il giorno,

ma tu, tu sei la pianta.Rainer Maria Rilke

(Annunciazione dal Libro delle immagini)

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perché i suoi genitoricercano di non far arrivarea l bambino l e lo roincomprensioni per evitargliuna certa sofferenza ma inrealtà il loro malesserearriva ugualmente a Rickyperché le emozioni, i corpi,gli sguardi a volte diconomolto di più delle parole.

Questa incomprensione crea una forma di straniamentoche in Ricky si traduce in silenzi e ricorso all’immaginazione.E’ come se non stando bene a casa sua, cercasse altri luoghie altri personaggi con cui sentirsi a suo agio. In altri bambiniquesto straniamento può tradursi in modo diverso: maggioreaggressività, svogliatezza, autopunizione, ecc...Non è cheTrashcrash dia a Ricky la felicità di cui ha bisogno masicuramente gli fa compagnia, con lui può parlare,comunicare limitando così la sua solitudine. Ma se Ricky,da solo, capisce che fra i suoi genitori ci sono dei problemiallora perché non se ne parla in famiglia? A che servenasconderli? La madre dice che non parlarne a Ricky, quindinon coinvolgerlo, significa evitargli la sofferenza. In realtàquesto è un gioco di finta, è una specie di recita nellarecita quella dei suoi genitori. Allora tanto vale, parlarnecon il bambino. Comunicare le proprie paure, le propriedifficoltà non è un atto di debolezza ma al contrario è unatto di coraggio e di rispetto nei confronti di ognicomponente della famiglia. Ecco quello che manca nellafamiglia di Ricky è questo atto di coraggio, il dirsi la verità,il comunicarsi a vicenda il malessere che si sta provandoe quindi i desideri di felicità. E’ troppo semplice nascondersidietro delle maschere, dei ruoli. E’ come essere degli attoria vita. E’ come se i genitori di Ricky vestissero i panni dipersonaggi che recitano un copione uguale a se stesso. Ilche vuol dire essere spettatori della propria vita! E dovesono finiti i protagonisti?

L’ Annunciazione di una nuova maternità.

Il film è solo apparentemente incentrato sulla festivitàdel Natale, in realtà punta molto su un evento che precededi nove mesi la nascita di Gesù e cioè l’Annunciazione. Lavisita dell’Arcangelo Gabriele, come si legge in San Luca,che annuncia a Maria (o Miriam, secondo la tradizioneebraica) l’essere stata scelta Madre del figlio di Dio è unpassaggio importante nella storia del film. Infatti il giovaneGabriele, che è visto inizialmente da Ricky, come la copiaperfetta del suo supereroe Trashcrash alla fine si scopreche potrebbe essere l’Arcangelo Gabriele della preziosapala d’altare custodita a scuola, per via di quel braccialeche Ricky regala a Gabriele e che quasi per magia appareal polso del Gabriele dipinto nellapala.Cosa vuol dire tutto questo? E’ soloun simpatico gioco di richiami che laregista si è divertita a disseminare nelfilm? Potrebbe anche essere ma,volendo andare un po’ oltre possiamo

notare che il personaggio dell’animatore Gabriele, nellafantasia di Ricky, tiene insieme due mondi decisamentemolto lontani: quello dei supereroi e quello delle sacrescritture. Da una parte un mondo in cui prevalgono imuscoli, la forza fisica, i mezzi tecnologici, i nomiall’americana, l’aspetto aggressivo e dall’altra un mondoin cui prevale la delicatezza, l’attesa, la forza dell’animoe della parola. Il primo mondo, quello dei supereroi servea Ricky per darsi quell’energia fisica per rompere la gabbiain cui vive psicologicamente con la sua famiglia (a questoproposito da notare la postura fisica, il modo di parlare diRicky nella prima parte del film). Il secondo mondo gliserve per imparare a porsi domande, ad andare con piùfiducia verso gli altri, ad avere speranza. Dalla recita diNatale, così come la presenta e la sviluppa Gabriele, ècome se Ricky rinascesse accompagnato da una visionediversa dei suoi genitori. A tal proposito è efficace la scenafinale in cui Ricky sbircia attraverso il sipario del teatroe scopre in platea i suoi genitori finalmente insieme esorridenti.

Beniamino che dorme

La figura del pastorello Beniamino è stata recuperatadalla regista nell’ antica tradizione partenopea dei presepi.Una figura sempre presente che rappresenta colui chedurante l’evento più importante dell’umanità, la nascitadi Gesù, dorme beatamente e non si accorge di nulla.Quindi la messa in scena di Gabriele punta sul farsi domandee sul risveglio di sé. Se abbiamo un atteggiamento didormienti nella nostra vita sarà difficile che riusciremo avedere e a vivere a pieno certi eventi e comunque, restandosul tema della natalità, ogni bambino che nasce è unevento straordinario che meriterebbe tutta l’attenzionedel mondo, perché in quanto essere umano è prezioso enessuna vita può essere trascurata o ignorata. Questoriguarda, ancora una volta, anche lo stato d’animo di Ricky

del cui malessere a casa nessuno siaccorge perché i suoi genitori sonotroppo presi da se stessi.Se siamo troppo concentrati su di noie non riusciamo ad entrare in empatiacon chi ci sta accanto, diventiamo unpo’ ciechi con il rischio di lasciarci

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Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Firenze in Scenografia, Francesca Eliaha esordito professionalmente come scenografa e costumista. A teatro halavorato, tra l’altro, ne La Clizia di Machiavelli e ne Il Girifalco dell’Harem perla regia di Giorgio Albertazzi. Come assistente costumista ha lavorato per i filmCaino e Caino, Cari fottutissimi amici, E adesso sesso, Andata e ritorno, Memoriaimperfetta. Come sceneggiatrice ha firmato L’amore non è un osso, Il linguaggiodell’amore. E’ inoltre autrice di soggetti per lungometraggi come Domani? Saràun altro giorno!, Ali di farfalla, Le quattro stagioni della vita, Quando si dicel’amore!, Il volo della poiana, Il piacere dell’essere – I want a hero, i miei ragazzi,storia di ragazzi che combatterono la Prima guerra mondiale. Ha inoltre insegnatoArti Figurative presso la Scuola Elem. San Giovanni Battista di Firenze, harealizzato i costumi per Compagnie di Attori Indipendenti.Come regista ha diretto Un caso particolare, cortometraggio che affronta iltragico e scottante tema della pedofilia, premiato al terzo Festival InternazionaleCortometraggi Melescorto 2002.Raccontami una storia segna il suo debutto di regista di lungometraggi. Il filmè stato realizzato con il finanziamento del Ministero dei Beni Culturali che loha classificato come Film d’interesse culturale nazionale.

“L’idea del film nasce da una necessità: non sonoper niente soddisfatta dei film per bambini efamiglie che da anni girano nelle salecinematografiche italiane, specie nel periodonatalizio. Intanto sono tutti film stranieri, per lopiù americani che quindi non sono consoni allanostra tradizione e che, prendendo a pretesto ilNatale, propongono trame spesso insulse. Io sentivoil bisogno di raccontare una storia , che attraversoil genere fantastico, fosse in grado di proporre ilsignificato più autentico della ricorrenza: l’avventodell’amore vero sulla Terra, rappresentatoattraverso la nascita di Gesù.”

prendere ed imbrogliare da personaggi oscuri maeleganti come l’Emissario presente nel film che è unaspecie di “demonio”. Spiega la regista “Il demonio diRaccontami una storia è stato trattato in manieraapparentemente leggera, come una sorta di emissario“commerciale” che offre il benessere materiale incambio dell’innocenza”.Quanta parte di umanità giace nella posizione didormiente? Quanti Ricky produce questa parte diumanità? La messinscena di Gabriele accende un farosulla solitudine del bambino e la fa contaminare dalgruppo, dalle energie positive di quest’ultimo. Ungruppo che riesce a far ballare piccoli e grandi, perchéle emozioni e le domande importanti sulla vitariguardano tutti, bambini e adulti, poveri e ricchi.

• Scegli tre sequenze del film che ti hanno particolarmentecolpito. Descrivile o disegnale. Cosa rappresentano? Cosaraccontano di Ricky? Quelle tre scene contengono qualcosache riguarda anche te? Confronta il tuo lavoro con quellodel resto della classe.• Fai un ritratto di Ricky. Come appare nelle prime sequenzedel film, come parla, cosa fa durante la giornata, dove vive,ecc...Disegna poi su un foglio una specie di sole al centrodel quale scrivi il nome di Ricky. Ogni raggio rappresentale persone con cui lui viene in relazione. Le relazioni positivecolorale in rosso, quelle negative in nero e quelle incertein grigio. Quale situazione ne emerge? Fai lo stesso giocoscrivendo al centro del sole il tuo nome e quindi colorandole tue relazioni.• Quale espediente usa Ricky per chiedere aiuto? Tusolitamente che modalità usi? Funziona?• Cosa rappresenta il personaggio di Gabriele?• Cosa rappresenta il personaggio dell’Emissario? E quellodel Beniamino dormiente?• Cosa significato dà Ricky al Natale, all’inizio del film?Cosa impara dal lavoro fatto con Gabriele? E per te cosarappresenta il Natale?• In che modo Ricky aiuta suo padre e sua madre pertornare a stare meglio?• Confronta il Ricky conosciuto all’inizio del film con quelloche vediamo in chiusura della storia. Ci sono delle differenze?Prova a descriverle o a disegnarle indicando anche con unaparola qual è stato il passaggio che ha prodotto ilcambiamento.• Dopo aver visto il film, su un foglio scrivi le prime treparole che ti vengono in mente a proposito della famiglia.Confronta poi il tuo lavoro con quello del resto della classe,mettendo in evidenza elementi in comune e differenze.• Cosa ha a che fare il Natale con l’idea di famiglia che haiespresso?• Nel film si parla di una preziosa pala antica che riportala scena dell’Annunciazione. L’Annunciazione è stata dipintanel corso della Storia molte volte cambiando prospettive,

piani, colori a seconda delperiodo storico in cui venivaconcepita. Potrebbe essereinteressante, con il supporto delprofessore di artistica, fare unaricerca su questo per capirnea d e s e m p i o c o s a h arappresentato l’Annunciazionenelle varie epoche. Prova tu adisegnare la tua idea diAnnunciazione e magaripotreste fare una bella mostraa scuola.......

Appuntidi viaggio

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Una scomoda eredità

Da bambino Hermann ha sempre saputo che suo padre eradisperso in Russia e la sua figura l’ha conosciuta solamente attraversoi ricordi accorati della famiglia. Poi a quindici anni scopre la tragicaverità. Nel film non lo si sente mai chiamare per nome, ma tuttisanno di chi si sta parlando. La cosa vale per lui, il padre, così comevale per il figlio e per altri componenti della famiglia. C'è unascena, in particolare, che riguarda proprio il figlio: lo si vede dabambino sui banchi di scuola, dove nessuno osa pronunciare quelcognome. Il cognome del padre. Ma una inquadratura successiva

mostra il dito di un insegnante, che scorre sul registrodi classe, fino a sfiorare un cognome, di cui si intravedonopoche lettere che compongono la parola “Mengele”. Sì,proprio Mengele. Come deve essersi sentito il giovaneHermann quando ha scoperto chi è davvero suo padree come poteva sostenere il peso di quel cognomedivenuto sinonimo delle atrocità e delle infamie senzalimiti, compiute da costui nei lager nazisti? Come ci sideve sentire a crescere in un ambiente familiare doveper anni tutti sembrano adoperarsi a ricordareossequiosamente la figura del padre assente e aproteggerne la latitanza con la loro omertà? Si puòsopportare il peso di un'eredità così scomoda senza veniremeno alla propria integrità morale? Il film di EgidioEronico cerca di dare delle risposte scavando nel profondo

dell’animo del giovane Hermann partendo da un libro “Papà” scrittodal tedesco Peter Schneider che si è occupato della famiglia Mengeleper diversi anni e ha registrato varie interviste al figlio di Mengele,che nella vita si chiama Rolf, soprattutto in riferimento al loroincontro avvenuto nel 1977. Mengele è colui che fece dell'igienerazziale la sua unica ragione di vita e la ragione della morte dimolti. Certezze e convinzioni che riuscì a concretizzare come medicodelle SS ad Auschwitz. Tra il 1943 e il 1945 fu responsabile dellamorte di centinaia di migliaia di persone da lui "selezionate" a scopiscientifici, soprattutto gemelli, nani e donne incinte. Entrato inclandestinità alla fine della guerra, nel 1949 lasciò la Germania efuggì in America Latina (Argentina, Paraguay e Brasile, dove morìin circostanze mai definitivamente chiarite nel 1979). Il film non

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Regia: Egidio Eronico; Sceneggiatura: Egidio Eronico, AntonellaGrassi Fabio Carpi, Peter Schneider; Soggetto: Egidio EronicoAntonella Grassi Fabio Carpi Peter Schneider; Montaggio:Raimondo Aiello; Fotografia: János Kende; Scenografia:Ettore Guerrieri; Costumi: Maria Beatriz Salgado; Musica:Riccardo Giagni; Personaggi e interpreti principali: CharltonHeston, Thomas Kretschmann, F. Murray Abraham CamilloBevilacqua Thomas Heinze RoberT; Origine:Italia / Brasile /Ungheria; Anno di produzione:2006; Durata: 100 min.

Brasile, 1977. Hermann, tedesco, 35 anni, decide di andare a cercare suopadre, che non ha mai conosciuto, nella baraccopoli di Belem, città brasiliana,dove questi pare si sia rifugiato. Il desiderio di Hermann è più che altroquello di guardare in faccia un uomo che è sì suo padre, ma un padremolto, troppo scomodo trattandosi del Signor Josef Mengele, criminalenazista, meglio noto come l’Angelo della morte. Hermann riesce a trovarela baracca in cui l’anziano padre vive, e apre con lui un confronto duro,aperto, difficile attraverso il quale il figlio vuole scoprire altre verità oltrequelle raccontate nei libri di Storia ma anche liberarsi di colpe che loperseguitano da quando è nato e che lui non ha, se non la “colpa” di esserefiglio di un mostro nazista. Ma, inaspettatamente Hermann trova davantia se un uomo rigido, lucido, per niente pentito e abbastanza convinto diaver fatto solamente il proprio “dovere”. Nel frattempo fuori dall’albergoin cui alloggia Hermann, una folla inferocita di ebrei e sopravvissuti aicampi nazisti chiedono giustizia.

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racconta la vita di Mengele, salvo evocarlo attraverso gliincubi del figlio e pochi ma sufficienti fotogrammi inbianco/nero. E’ piuttosto il racconto dell’incontro/scontrogenerazionale tra due epoche tedesche: quella della folliadi Stato rappresentata dal nazismo e quella del rimorsorappresentata dalle generazioni nate dopo la fine delnazismo. Il risultato è un incontro/scontro a somma zeroperché Eronico conduce tutto il film evitando di dire chiha ragione e chi ha torto ma usando l’approccio piùdifficile e cioè quello di mostrare le infinite contraddizionidell’animo umano. Quelle contraddizioni che possonomettere in crisi le nostre coscienze, facendoci fare cosediverse da quelle che desideriamo o che consideriamoeticamente ingiuste. E così, nonostante Hermann fossepartito alla ricerca del padre mostro per restituirlofinalmente alla giustizia, per liberarsi del proprio senso dicolpa e per venire incontro alle richieste di Paul Minski,avvocato del gruppo di superstiti alle strage di Auschwitz,alla fine Hermann fa il contrario di ciò che si era proposto.Hermann infatti non restituisce suo padre alla giustizia,sarebbe stata anche una forma di comprensibile vendettapersonale considerata tutta la sofferenza che ha provatoda bambino a causa di quel padre. Hermann lo lascia alproprio destino, prendendosi tutta l’ira violenta del gruppodi ebrei che lo aspettano fuori dall’albergo e che ha lettonella scelta di Hermann una forma di collaborazione, dicomplicità con suo padre. Perché Hermann rinuncia acondannarlo definitivamente? Forse semplicemente perchéè suo padre? Forse perché Mengele è ormai un vecchiosignore pieno di acciacchi e non è più capace di fare delmale? Il film non dà risposte chiare a queste domande,ma è certo che il regista abbia voluto porre la coscienzadel figlio, avvocato e cittadino Hermann, di fronte ad unuomo fiero di sé, ancora convinto della bontà e dell’utilitàscientifica dei suoi esperimenti, come se tutto fosse statonormale, terribilmente normale. Di fronte a questa“normalità” Hermann scappa e non sa più da che partestare. Una soluzione narrativa che probabilmente lasciaspiazzato il pubblico che avrebbe voluto un finale in cuiil Bene avesse vinto sul Male, un finale in cui il Mostrofosse stato definitivamente eliminato, così anche noi(come pubblico) ne usciamo più rassicurati e convinti cheil Male sia stato sconfitto. Ma forse il Male non può esserecircoscritto a un periodo storico o a un uomo, è semmaiuna comodità che non possiamo permetterci.

La banalità del male

Il regista non ha voluto quindi fare un film per ricordarciquanto è stato mostruoso il personaggio di Mengele, maquanto “il mostro” non sia una persona così diversa,diabolica e facilmente identificabile. Il mostro è anche lanostra incapacità ad assumerci precise responsabilità,specie in determinati contesti .“Il Mostro – scrisse lafilosofa Hannah Arendt parlando dei nazisti - è una persona

terribilmente normale e di conseguenza il Male stessoappare banale ma proprio per questo ancora più terribile:perché i suoi, più o meno consapevoli, servitori, altro nonsono che dei piccoli, grigi burocrati simili in tutto e pertutto al nostro vicino di casa. E’ inutile e pericoloso,aspettarsi dei “demoni”: i macellai del nostro secolo sonotra noi, in tutto simili a noi.” E infatti ciò che colpisceHermann è vedere quel signore di mezza età non farealtro che prodigarsi in favore degli abitanti di una favelasai margini della metropoli brasiliana, in cui è amato eprotetto. A nessuna delle famiglie che abitano in RuaAlguem verrebbe da pensare che dietro alle spoglie di quelmite signore si cela uno dei più sanguinari stragisti delTerzo Reich. Josef Mengele si mostra al figlio come unenigma vivente. Come far coincidere l'immagine di unvecchietto arzillo, che scherza amabilmente guardando i

film di Charlie Chaplin insieme ai bambini delle favelas,con quella dell'aguzzino che ad Auschwitz seviziava gemellie donne incinte per scopi, a suo dire scientifici?L'agghiacciante serenità con cui l'uomo, a distanza di annidai suoi crimini, continua a difendere certe teorieevoluzionistiche riferite con leggerezza e cinismoall'umanità fa rabbrividire. L’importanza del film, secondolo storico Marcello Pezzetti, «è quella di mostrare chedietro un personaggio circondato per anni da un’aura digrandezza negativa, c’è in realtà un piccolo uomo, inviatoad Auschwitz dal «Kaiser Wilhelm Institut» dove lavoravacol sostegno dell’industria farmaceutica tedesca. Ma lesue crudeltà e i suoi cosiddetti esperimenti sull’ereditarietà,

oltre a fare centinaia divittime e a provocareimmensi dolor i , nonpotevano servire a nulla,perché non era statoancora scoperto il dna.Mengele è stato aiutato daun incredibile catena dicomplicità, da quella della

società tedesca a quella del Vaticano, fino a quella delgoverno brasiliano e dello stesso figlio che, dopo averlo

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incontrato non lo ha denunciato. Pare che il servizio segreto israelianofosse riuscito a individuare Mengele in America Latina grazie a unasua agente che ne diventò l’amante segnalandone i movimenti.Mengele, accortosi della trappola, l’avrebbe uccisa pochi anni primadi annegare in mare.” Parlando dei nazisti e di come abbia potutorealizzarsi la soluzione finale degli ebrei, lo psichiatra Bruno Bettelheimha trovato la sua spiegazione nella nostra incapacità a comprendereappieno come l’organizzazione sociale e la tecnologia moderna, nellemani del totalitarismo, possano conferire ad un uomo mediocre,normale il potere di svolgere ruoli così decisivi nello sterminio dimilioni di ebrei. E’ la stessa cosa che ha sostenuto Hanna Arendt chepur riconoscendo ai nazisti tutta la responsabilità delle loro terribileazioni, ritiene comunque che in un sistema totalitario l’uomo diventaun ingranaggio nella complessa macchina della gestione del potere.E questo non significa ridurre le responsabilità di un uomo comeMengele ma puntare l’attenzione più che sui singoli uomini, sull’interosistema di potere per riconoscerlo e combatterlo. E se Mengele hafatto cose disumane, le ha potuto fare perchè circondato da una

serie di persone compresialcuni illustri professorimedici della Germania deltempo che davano la loroapprovazione ufficiale agli

esperimenti di Mengele, come si capisce dal testo riportato nelparagrafo “Un ottimo ufficiale...” qui riportato. Allora non devestupire che Hermann si trovi di fronte non una persona cattiva,psicopatica ma un signore dolce e amato dai vicini. E non deveneanche stupirci il fatto che Hermann rinunci a denunciarlo. Al dilà di ogni nostro giudizio morale sui personaggi, l’invito che il filmci rivolge è quello di considerare quanto i sistemi politici ed economiciin cui viviamo possano indurci facilmente ad accettare le regole daloro imposte, perché ognuno ha poi un suo interesse e tornacontoe quanto più mediocri siamo noi come persone tanto più facile saràper noi lasciarci coinvolgere. Quando si accettano le regole delpotere diventa più difficile criticarlo e restarne fuori. E questo valeanche per l’oggi, non solo per il passato.

Chi era Josef Mengele

Josef Mengele nacque il 16 marzo1911 a Günzburg. Sin da giovanissimo,nel 1927, aderì alla Lega Pangermanicadella Gioventù e nel 1931 alle formazionigiovanili dello "Stalhelm" l'organiz-zazione revanscista tedesca.Dal 1930 aveva deciso di studiare medicinaed aveva iniziato gli studi a Monaco prose-guendoli a Monaco e a Vienna.Si laureò nel 1935 con una strana tesi daltitolo "Ricerca morfologico-razziale sulsettore anteriore della mandibola in quattrogruppi di razze".Il suo relatore, il professor Mollison, era unantropologo convinto della disparità tra lerazze.Ad Auschwitz Mengele per prima cosa sicircondò di una équipe di medici prigionieriche lo aiutassero nel suo lavoro.Scovò nel campo circa 15 dottori prove-nienti da tutta Europa, infermieri profes-sionali ed una disegnatrice con il compitodi fare ritratti dei pazienti.Il primo obiettivo consisteva nello studiodei gemelli. Mengele eseguì ogni sorta disperimentazione e di misurazione, tentòtrasfusioni incrociate, cercò di cambiare ilcolore degli occhi delle sue vittime, studiòil "Noma" una malattia dovuta alla profondadenutrizione.Collezionò gemelli arrivando a studiare ea torturare sino alla morte 3.000 personeper lo più bambini e adolescenti.

Aveva organizzato ad Au-schwitz un vero e propriocentro studi, una parodiadi un istituto scientificotedesco: i medici prigionierierano costretti ad ascoltare

le sue conferenze. Il 1° settembre 1944 liintrattenne con una giornata di studio cheintitolò "Esempi di analisi antropologica edi ereditarietà genetica effettuati nel campodi concentramento di Auschwitz".Mengele inviava al suo maestro Verschuergli occhi, gli organi interni, le ossa, il sanguedei gemelli affinché gli studi venisseroapprofonditi.Il 17 gennaio 1945 Mengele abbandonòAuschwitz portandosi dietro il materialeraccolto. Si presentò al campo di concen-tramento di Gross-Rosen dove per un breveperiodo dette il suo contributo negli espe-rimenti batteriologici compiuti su prigionierirussi. Anche da Gross-Rosen fuggì primache vi arrivassero i russi.

Un ottimo ufficiale....

Il comandante medico del campo di Au-schwitz, il dottor Eduard Wirths così valutòil suo sottoposto Mengele: "Il dottor Men-gele, durante il suo periodo di servizio nelcampo di concentramento di Auschwitz,ha messo le sue conoscenze teoriche epratiche al servizio della lotta contro graviforme di epidemia. Tutti i compiti che glisono stati affidati li ha assolti con assiduitàed energia, dimostrandosi all’altezza di ognisituazione e soddisfacendo appieno, nono-stante le difficili circostanze, le aspettativedei suoi superiori . Ha inoltre sfruttato ogniattimo libero da impegni di servizio percontinuare i suoi studi di antropologia, nelcui campo ha raggiunto straordinari risul-tati, sfruttando il materiale scientifico asua disposizione grazie alla sua posizionedi servizio. Assolvendo scrupolosamente ilsuo dovere di medico per combattere epi-demie, si è ammalato lui stesso di tifopetecchiale. Per la sua eccellente opera èstato premiato con la croce all’onor militaredi seconda classe con spade. Oltre alleconoscenze mediche, possiede una partico-lare preparazione in campo antropologico,risultando pertanto indicato per qualsiasialtro incarico, anche più elevato".

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Sono un appassionato di Storia perciò ho letto il libro diSchneider nel 1989. Il romanzo mi aveva molto colpito perdue motivi: conoscevo le gesta di Mengele e avevo appenaperso mio padre. Mi immedesimai non per il rapporto tra idue. Io andavo molto d'accordo con lui, ma mi chiesi cosaavrei fatto io al posto di Rolf Mengele. Avrei denunciato miopadre una volta saputo dove si trovava? Ecco volevo che lospettatore si ponesse lo stesso dilemma. Lo scrittore, a causadel suo romanzo, «ha subito due processi, subendo ricattimorali ed economici da parte della famiglia Mengele, che inGermania ha un’importanza paragonabile a quella degli Agnelli».

«Nel nostro piccolo abbiamo fatto qualcosa dispregevole anche noi italiani. Con le spedizionicoloniali, 500 mila morti in Africa. Per decenni si èfatto finta che non fosse accaduto. E oggi? Abbiamoassistito alla pulizia etnica nell’ex-Jugoslavia. E’inaudito ciò che è successo nel generale, inquietantesilenzio e immobilità. Il mondo è tristemente ripetitivo.Quello che cambia è solo il modo con cui si finge distupirsi».

«Per quanto riguarda l’attore che interpreta Mengele quelloche sapevo per certo era che volevo un attore di lingua tedesca.Mi sarebbe piaciuto Maximilian Schell ma per impegni dilavoro, prima, e problemi di salute poi, non è stato possibilelavorare insieme. Così ho pensato a Anthony Hopkins che puravendo trovato il ruolo molto interessante non poteva aderireal progetto perché vincolato da un contratto con una major

americana. Fu allora che mi chiamò Heston. Il suo agente gliaveva fatto leggere il copione e lui ne era entusiasta.'Sarebbe un onore concludere la mia carriera con questo ruolo'mi disse. Ma sono io che devo ringraziarlo: a 78 anni harinunciato agli agi degli studios per stare sotto al sole brasilianocon 43 gradi al l 'ombra e i l 93% di umidità.»

 

• Il film è diviso in tre diverse scansioni temporali.Indica quali sono e a cosa si riferiscono.

• Come mai Hermann decide di andare alla ricercadi suo padre? A quale scopo?

• Dal film e dalla scheda qui riportata che ideati sei fatto di Mengele nazista?

• Che tipo di uomo incontra Hermann quandoarriva in Brasile? Racconta l’incontro tra padre efiglio mettendo in evidenza i momenti che tihanno maggiormente colpito.

• Che idea ti sei fatto tu dell’uomo Mengele?

• Cosa pensi della scelta del figlio di nondenunciarlo più?

• Nel film ci sono due posizioni diverse rispettoalle responsabilità dello sterminio degli ebrei: unasostenuta da Hermann che vede tutto nellaresponsabilità personale di ogni nazista e l’altrasostenuta dall’avvocato degli ebrei Paul Minskiche invece fa rilevare come il sistema di poterein cui si è sviluppato il nazismo abbia favoritocerte azioni. Tu cosa ne pensi a riguardo?Confrontati con il resto della classe.

• Ai giorni nostri ci sono sistemi di poteretotalitari? Quali e dove sono? Quali sono i loroeffetti?

Ha detto il regista....

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Il testo della favola

Tanto tempo fa, su questa terra viveva una ricca famiglia. Avevauna figlia bellissima. Un giorno però ella si ammalò gravemente.Non c’era medicina che potesse guarirla. Così il padre decise dichiedere il parere di un saggio. Il saggio disse: “Avete un canegiallo. E’ adirato, dovete portarlo via”. Allora il padre chiese: “Maperché? Esso protegge noi e il nostro gregge”. Il vecchio rispose:“Io ho detto ciò che dovevo dire, e tu hai saputo ciò che hai chiesto”.Il padre non ebbe il coraggio di uccidere il cane giallo. Ma per ilbene della figlia doveva pur fare qualcosa. Così lo nascose in unacaverna, dalla quale nessun animale a quattro zampe sarebberiuscito a uscire. Ogni giorno gli portava da mangiare, tuttavia ungiorno il cane scomparve. La figlia tornò davvero a stare bene. Ilmotivo reale però era che si era innamorata di un giovane. Equando il cane giallo non ci fu più, i due poterono incontrarsiliberamente.

La favola del cane giallo

Per la popolazione mongola le fiabe e le canzoni hanno una grande

importanza: molte delle storie spiegano la natura e ilmondo nomade in modo semplice e piacevole. Numerosisono i nomi e i personaggi dell’antica tradizione,soprattutto orale, presenti nella cultura, nei rituali onella toponomastica. Anche la caverna del cane gialloesiste veramente. Si trova al centro di un parco naturaleai piedi del vulcano Khorgo, spento ormai da circa 8.000anni, pieno di caverne. La più grande di queste è stata

battezzata dalla popolazione “caverna del cane giallo”. Da qui nascela leggenda a cui fa riferimento il film.Nel film Il cane giallo della Mongolia e parallelamente nella favolaa cui fa riferimento ci sono almeno tre elementi che troviamointeressanti perché sono propri della cultura mongola:- il viaggio spirituale che compie la bambina;- il rapporto tra tradizione e modernità;- il rapporto tra la vita e la morte o meglio la reincarnazione.Il tutto può essere sintetizzato in questa maniera: Nansa accompagnalo spettatore in un viaggio verso le sue radici spirituali. Come nellefavole, la piccola Nansa deve abbandonare il piccolo Macchia.Cercando di farlo, dimentica la strada. Si perde. Quando da lontanosente la melodia di un canto, la segue. Incontra un’anziana donnache canta a squarciagola verso la valle sconfinata. Nansa vieneaccolta dall’anziana nella sua tenda. Il tempo al suo interno sembraessersi fermato...qui ha luogo un incontro davvero speciale: l’anticoe il nuovo ritrovano il loro punto di contatto nella favola del canegiallo, che nel film rappresenta il vertice del viaggio esistenzialedella piccola Nansa. Macchia, il cucciolo della protagonista, diventail cane giallo. Il livello dell’azione vera e propria si fonde con ladimensione metaforica: Nansa conosce così la sua origine culturale

Regia e Sceneggiatura: Byambasuren Davaa. Fotografia: DanielSchonauer. Montaggio:Sarah Clara Weber.Musica: GampurevDagvan. Suono: Ansgar Frerich. Interpreti: Urjindorj Batchulun(il padre), Buyandulam Daramdadi Batchuluun (la madre), NansalBatchuluun (la figlia maggiore), Nansalmaa Batchuluun (la figliaminore), Batbayar batchuluun (il figlio), Teserepuntsag Ish (ladonna anziana). Produzione: Schesch Filmproduktion.Origine: Mongolia/Germania, 2006. Durata: 94 minuti.

Negli sconfinati spazi del paesaggio mongolo, una famiglia nomadeconduce una vita lontana dalla civilizzazione. Secondo l’antica tradizionevive dell’allevamento delle pecore, in piena armonia con la natura.Durante una delle sue passeggiate, Nansa, che ha sei anni, trova in unacaverna un piccolo cane, con macchie bianche e nere, a cui dà il nomedi Zochor (macchia) e che porta con sé a casa. Invece di abbandonarlodi nuovo, così come vorrebbe il padre, il cane diventa il fedele e inseparabilecompagno della bambina. Un giorno tuttavia, Nansa ne perde le traccenella steppa – e durante la ricerca incontra un’anziana nomade, che leracconta la commovente leggenda del cane giallo della Mongolia.

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Madre: - Apri la mano, Nansa, e cerca di morderti il palmo.Nansa: - Non ci riesco...Madre: - Avanti, prova ancora, cerca di morderlo.Nansa: - Ma non ci riesco, mamma, non ci riesco.Madre: - Ce l’hai sotto il naso eppure non ce la fai a morderlo. Non puoi avere tutto quello che vedi!

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e spirituale. Perché è così importante far conoscere aNansa le sue origini? Perché Nansa rischia di perderle.Infatti per andare a scuola, la bambina è costretta alasciare la sua famiglia e a trasferirsi a casa di qualcheparente dove resta per tutto il tempo del periodoscolastico. Le scuole in Mongolia, sono solamente neigrandi villaggi. Il passaggio alla città, rischia con le sueluci e i suoi richiami alla modernità, di smarrire il sensospirituale della tradizione su cui buona parte della culturamongola ancora oggi si regge. E questo senso spiritualenella pratica si traduce innanzitutto in un rapporto moltostretto con la natura. Spiega la regista: “I nomadi nelrimettersi in cammino ringraziano il pezzo di terra sucui hanno potuto trascorrere l’estate, e chiedono scusaper i cosiddetti “timbri”, come vengono chiamati nellanostra lingua, i segni lasciati sull’erba dalle loro duetende: ci si sente in colpa perché in qualche maniera siè fatto del male alla Madre Terra. Questo spirito di

immedesimazione si manifesta non solo nei confrontidell’erba, ma anche degli animali e degli altri esseriumani. E’ alla base del vivere comune: ci si sottomettevolentieri alla natura.”Se facciamo riferimento al buddismo, che è la principalefonte spirituale del paese, questo sentirsi un tutt’unocon la natura richiama direttamente il principio dellareincarnazione raccontato in due passaggi del film:all’inizio quando il padre di Nansa seppellisce il cane, labambina gli chiede: “Papà perché gli metti la coda sottola testa?” e il padre le risponde “Così rinasce uomo conla treccia e non cane con la coda.” – “Come rinasce?”- chiede ancora Nansa. E il padre risponde: “ Tutti muoiono,ma in realtà non muore nessuno”, volendo significarecon queste parole il principio per cui ogni anima nonmuore mai ma rivive in altre creature viventi, come adesempio l’anima di un uomo che rivive in un cane. L’altropassaggio del film in cui viene fatto riferimento a questoè quando la signora anziana che dà ospitalità a Nansaprende un grosso ago e fa scivolare su di esso dei granelli

di riso. “Vedi – dice la signora anziana a Nansa – quand’èche un chicco di riso si ferma sulla punta dell’ago?” eNansa le fa osservare che “Non può fermarsi sulla puntadell’ago”. E la signora anziana aggiunge: “Vedi piccolamia, rinascere persona è come per un chicco di risofermarsi sulla punta dell’ago. Per questo la vita umanaè così preziosa”. Facendo riferimento alla nonviolenza,il rispetto dell’altra persona è fondamentale ma ancoradi più lo è la compresenza, cioè la presenza contemporaneadi diverse anime, la persona, la natura, l’animale in unrapporto di perfetta interdipendenza, senza sopraffazionedell’uno sull’altro. Nel film, per la spiritualità e la culturache esprime, si nota molto bene l’interdipendenzadell’ecosistema in cui viviamo e la scena cinematograficaè sempre piena di tutte le componenti (umana, animale,terra, cielo, vento, acqua, ecc...).

Tradizione e modernità

Nell’incontro di Nansa con l’anziana signora c’è tutta lapreoccupazione della regista di far dialogare la tradizionecon la modernità, il passato con il futuro prossimo.Il film è ricco di scene e di particolari in cui vengonomostrati gesti quotidiani della tradizione come ad esempioil ciclo di lavorazione del latte: vediamo come vienemunta una mucca; come viene utilizzata una ruota dicarro a mo’ di torchio per spremere l’acqua del formaggio;come, usando uno spago, il formaggio viene tagliato astrisce; infine come le fette di formaggio vengono appesead asciugare al vento.Nel film è anche documentata la demolizione di unatipica tenda da nomadi che ha lo scopo non solo dimostrare quanta arte e quanta scienza c’è nel costruiree smontare una tenda – casa, ma quella scena (e quiveniamo alla modernità) ha anche lo scopo di mostraremolto bene quanto i nomadi siano poco attaccati allecose e quanto per loro contino poco i beni materiali.Dice a proposito la regista: “Ai miei occhi tutto ciòrappresenta il simbolo della demolizione di un’interacultura. Volevo catturare ancora una volta questa cultura,finché esiste ancora”.E anche alla fine del film si scontrano di nuovo dueepoche: l’antica, rappresentata dalla carovana dei nomadi,e la nuova, simboleggiata dall’automobile dellapropaganda elettorale dal cui altoparlante si sentedire:”Speriamo che facciate la scelta giusta!”. La frasenon si riferisce solo alle elezioni per il parlamento, bensìal fatto che la famiglia di nomadi vive già una lacerazione,quelle per la scelta tra la propria cultura tradizionale ela civilizzazione moderna.

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• Descrivi la famiglia protagonista del film, mettendo in evidenza le loroabitudini, la loro abitazione, i loro vestiti, ecc...• Quali grandi differenze trovi tra il loro modo di vivere e il nostro e trail modo di giocare dei bambini mongoli e i nostri?• Che ruolo ha la natura e il mondo animale nella vita delle persone vistenel film? Fai un paragone con la nostra cultura.• Qual è il senso della favola del cane giallo? Quanto ha a che fare conla storia di Nansa?• Quali sono gli elementi (oggetti soprattutto) nel film che introduconola modernità nella vita dei nomadi? Che significato ha la loro presenza?• Cosa perderebbero e cosa guadagnerebbero i nomadi mongoli accettandola modernità?• Disegna la scena che ricordi maggiormente. Che importanza ha per te?• Che tipo di inquadrature (campi lunghi, primi piani, ecc...) utilizza inmaniera particolare la regista? E che tipo di montaggio usa (lento, veloce,a ritmo normale, ricco o povero di effetti speciali)? Qual è il loro significato?

Intervista alla regista

Come è nata l’idea del film?Da tempo mi occupo del cambiamento attualmente in corso inMongolia: l’urbanizzazione e la conseguente questione dei nomadi.All ’ inizio però non avevo idea di come elaborarecinematograficamente questo tema – fino a che nel settembre2003 sono stata alla prima de La storia del cammello che piangenella mia città natale, Ulan – Bator, e durante il soggiorno misono imbattuta per caso in un racconto di Gantuya lhagva: lastoria di un cucciolo di cane che viene abbandonato durante lospostamento di una famiglia nomade e che salva dagli avvoltoila bambina più piccola. Questa vicenda mi ha molto commosso.

Quanto c’è della tua infanzia nella storia che hai raccontato?In linea generale, molto di ciò che succede nel film l’ ho appresoda mia nonna. Ad esempio quell’insegnamento di vita che nelprologo del film il padre dà alla figlia durante la sepoltura delcane: “Ognuno muore, ma nessuno è morto”. Secondo la credenzanell’eterna ruota della reincarnazione diffusa in Mongolia, l’animavaga da un corpo all’altro, fino a diventare un cane e poi un essereumano. Per questo motivo secondo la tradizione del mio paeseesiste un legame particolarmente stretto tra il cane e l’essereumano. Inoltre, è stata mia nonna a raccontarmi la favola delcane giallo quando ero bambina. In modo altrettanto giocoso, percosì dire casuale, da piccola ho imparato damia nonna il rispetto del rapporto con lanatura.

Il cane giallo della Mongolia dàl’impressione che i bambini nomadi siassumano grandi responsabilità già moltopresto...Infatti è così. Da noi in Mongolia si dice:“Se un bambino viene viziato troppo, diventaun bambino di vetro”. Per questo i genitoridel film in fondo non erano contrari al fattoche persino il bambino di un anno fossepresente ovunque e partecipasse anche alleazioni più pericolose: secondo loro, ognibambino deve fare personalmente le proprieesperienze. Non per niente, come si vedenel film, i bambini in Mongolia giocano in maniera diversa rispettoai bambini occidentali. Normalmente, già da molto piccoli, inomadi imparano a rapportarsi con i cavalli; sanno cavalcare quasiprima di camminare. Inoltre, già molto presto, gli viene insegnatoa occuparsi del gregge. Alcuni conoscono gli animali persinomeglio dei genitori: i bambini nomadi spesso sono in grado didistinguere senza problemi un intero gregge.Gli basta uno sguardomolto attento agli animali per dire: “Ne mancano due”. E si scopreche hanno ragione!

Qual è la situazione de i nomadi oggi in Mongolia?La loro cultura è da più punti di vista compromessa: da un lato,in Mongolia il numero dei nomadi è rapidamente calato. A causadei cambiamenti climatici degli ultimi anni, molti hannopuntualmente visto morire il proprio gregge, perdendo così labase della propria esistenza ed essendo costretti a cercare fortuna

in città. A ciò si aggiunge il fattoche, nel passaggio alla sedentarietà,molti abbandonano i propri caninella steppa; ciò fa sì che questianimali tornino a essere selvatici, si uniscano ai branchi di lupi edecimino i greggi dei nomadi rimasti. La questione naturalmenteha anche una dimensione politica: prima della svolta politica del1989 i Mongoli non potevano scegliere personalmente il proprioluogo di residenza, ma era lo stato a regolare la situazione in baseall’economia. Gli uomini non avevano la libertà, ma la sicurezza.Oggi avviene il contrario: gli individui possono scegliere liberamentedove abitare: hanno la libertà, ma non la sicurezza. Questa è solouna delle cause della trasformazione in atto da alcuni anni nellasocietà mongola.

Fino a che punto?La cultura nomade in senso classico si mescola alla modernacivilizzazione: ha fatto il suo ingresso la televisione, al pari deicucchiai di plastica verde chiaro o degli animali di peluche rosacosì come si vedono nel mio film. Sarebbe ingenuo credere dipoter fermare questo tipo di evoluzione. Nella mia patria latelevisione, ad esempio, non viene demonizzata, ma è vista comeuna conquista: finalmente anche le persone che abitano nelleregioni più remote sanno qualcosa del mondo, si dice da noi.

E tu come giudichi questa evoluzione?Penso che l’arrivo della modernità faccia perdere molte cose: laquiete, l’innocenza, l’originalità della vita. Ma vedo anche tutti ivantaggi della modernizzazione, come ad esempio una buonaistruzione per i bambini. E io non voglio dire a nessuno come devevivere: desidero solo mostrare l’evoluzione, non giudicarla. Vedendoil mio film ogni spettatore deve trarre le proprie conclusioni.

(l’intervista è tratta dal press-book del film, a cura della BIM)

La regista

Byambasuren Davaa è nata in Mongolia nel 1971. Dal 1989al 1994 ha lavorato come assistente alla regia nella tvpubblica del suo paese e in contemporanea ha studiatodue anni giurisprudenza all’università di Ulna-Bator, suacittà natale. Nel 1998 ha iniziato un secondo corso di studiall’istituto per il cinema. Nel 2000 si è trasferita in Germania,per proseguire gli studi. La storia del cammello che piange,realizzato insieme al regista italiano Luigi Falorni è statoil suo secondo film, ottenendo la nomination all’ Oscar2005 come miglior documentario.

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La Shoah, una questione aperta

Ogni volta che si vede un film o un servizio in tv, si legge unlibro o un articolo di giornale sulla Shoah, ovvero sul tentativo didistruzione del popolo ebraico (il termine “olocausto”, che significa“sacrificio”, è meno appropriato di “shoah” che infatti significa“distruzione”), compiuto dai nazisti durante la Seconda GuerraMondiale, si ha sempre l’impressione di apprendere qualcosa dinuovo. Di guardare o pensare a questo tremendo evento da unaprospettiva diversa. Come se fino a quel momento non si sapevatutto o non si sapeva abbastanza. Sembra assurdo ma è così. Leragioni sono tante, e le comprendiamo meglio soffermandoci a

riflettere sul film che abbiamo visto, Senza destino, diretto daLajos Koltai e scritto da Imre Kertész, vincitore del premio Nobelper la Letteratura nel 2002 e autore del romanzo omonimo e quasiautobiografico Essere senza destino, pubblicato per la prima voltanel 1975. La verità è che il genocidio degli ebrei europei ad operadel regime hitleriano non è semplicemente – e tragicamente – unevento storico, lontano nel tempo e nello spazio, ma un problemadi coscienza. Ogni volta che le innumerevoli e sconvolgenti vicendedi ebrei morti o sopravvissuti prima e durante la Seconda GuerraMondiale ci vengono riproposte, specialmente in un film di finzione,dove sono immagini nuove a parlare e non solo le parole o leimmagini già note, ecco che ci interroghiamo sul significato di“essere umano”. Cos’è esattamente un “essere umano”? La domandaassume un doppio valore, proprio in riferimento alla Shoah. Cichiediamo cioè: 1) Come hanno potuto degli esseri umani farecose così ignobili ad altri esseri umani? 2) Come possono degliesseri umani (gli ebrei perseguitati) accettare condizioni così“disumane” e talvolta sopravvivere, come accade al quattordicenneGyuri del film e del romanzo originale di cui ci stiamo occupando?Quello che noi chiamiamo “essere umano”, e che immediatamenteci porta a pensare al “genere umano”, ovvero a tutti gli esseriumani, senza distinzioni di razza, cultura, lingua o nazionalità,resta un mistero. Sì, un mistero, un rebus, se torniamo indietro eci interroghiamo su cosa davvero è accaduto in Europa duranteil nazismo.

Regia: Regia:Lajos Koltai Soggetto:dal romanzo «Essere senza destino» diImre Kertész (edito da Feltrinelli). Sceneggiatura:Imre Kertész. Fotografia:Gyula Pados. Montaggio: Hajnal Sellõ. Musica:Ennio Morricone. Scenografia:Tibor Lázár. Costumi: Györgyi Szakács. Interpreti: Marcell Nagy (GyuriKöves), Béla Dóra (Fumatore), Bálint Péntek (il bel ragazzo), Endre Arkanyi(il vecchio Kollmann), Áron Dimény (Bandi Citrom), Zsolt Dér (Rozi), AndrásM. Kecskés (Finn), Dani Szabó (Moskovich), Tibor Mertz (Fodor), Péter Vida(Lénárt). Produzione: Péter Barbalics, András Hámori, Ildiko Kemeny, JonathanOlsberg per EuroArts Entertainment, H2O Motion Pictures, Hungarian MotionPicture Ltd., Magic Media Inc., Renegade Films. Origine: Ungheria/GranBretagna/Germania, 2005. Durata: 132 minuti.

Un ragazzino ebreo ungherese di appena quattordici anni,Gyuri Koves, dopo aver visto suo padre andarsene perdestinazione ignota nei campi di concentramento nazisti, vifinisce a sua volta come altri compagni di sventura. Trasferitodi volta in volta da un campo all’altro, da Auschwitz aBuchenwald, scampando allo sterminio immediato, masopportando condizioni di lavoro, di malnutrizione e ditrattamento disumane, si sottrae miracolosamente ad unamorte certa. Rientrato nella sua città natale, la capitale Budapest,tenta di fare i conti con il suo tragico passato. Ha indossoancora la terribile uniforme a strisce che indossava nel campo.E percepisce l’indifferenza, l’impossibilità di capire davvero oaddirittura l’ostilità della gente. I vicini di casa e gli amiciinsistono perché dimentichi l’orribile esperienza che lo ha vistoprotagonista e costretto ad abituarsi a ogni tipo di abiezionepur di sopravvivere e si lasci così il passato alle spalle. C’èpersino chi definisce i campi di concentramento “il più infimogirone infernale”, ma per il ragazzino scampato all’orrore dellaStoria non rimane che meditare da solo e valutare il significatodi quella terribile esperienza.

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«Se esiste un destino, allora la libertà non è possibile; se però la libertà esiste,allora non esiste un destino, il che significa che noi stessi siamo il destino»

(Imre Kertész, Essere senza destino)

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La prima domanda, aldi là del film

La prima delle due domande,ossia come hanno potuto farequesto agli ebrei o come hapotuto aver luogo questo orrore sotto gli occhi di tutti,resta spesso senza risposta. Perché sorge immediatamenteuna contraddizione: la Shoah è stata una cosa indegna diesseri che si vogliono definire “umani”. Il termine “disumano”nega per l’appunto valore di “umanità” ad un atto. La“natura umana” non può concepire qualcosa checontribuisce a distruggere l’umanità stessa. E’ questa lacontraddizione. Gli psicologi hanno cercato di spiegarcicome hanno potuto agire in questo modo sia i nazisti chela gente comune che sapeva ma non ha fatto nienteaffinché certe nefandezze su larga scala (sei milioni di

morti in così pochi anni) non fossero compiute. Ci hannospiegato che per uccidere così tante persone in così pocotempo, è bastato imitare gli altri, cioè comportarsi comefacevano tutti gli altri: commettendo atrocità direttamenteo facendo finta di niente. Oppure ci hanno spiegato cheil Male, quello nazista che ha funestato oltre mezzo secolofa principalmente l’Europa e il popolo ebraico ivi residente,ha assunto un aspetto così “normale”, addirittura “banale”,come se si trattasse di un lavoro, di un mestiere, di unapratica quotidiana, che si è potuto svolgere con tranquillitàrelativa, con calma e metodo. Ci è stato quindi fatto capireche la Shoah, specialmente nella sua fase più terribile (lacosiddetta “soluzione finale” che ha incrementato losterminio di massa) è stata organizzata come un sistemaproduttivo, come l’attività di una gigantesca fabbrica: unafabbrica che produceva Morte a ritmo crescente. Solo cosìha potuto mietere tante vite umane senza grosse difficoltà.Queste sono le spiegazioni “tecniche” o “psicologiche” dicui disponiamo. Spiegazioni che tuttavia non ci impedisconodi porci ugualmente il problema della “natura umana”. Se

gli uomini (alcuni uomini, certo, ma pur sempre “esseriumani”) hanno potuto fare questo, possiamo fidarcidell’Uomo? Possiamo cioè dire che l’essere umano è uncontenitore di bontà? Si tratta di una domanda, come sidiceva poc’anzi, destinata a non trovare risposte. Per questo,ogni volta che si vede un film serio o si legge un libro seriosulla Shoah, si ha la sensazione di imparare, di ricominciaredaccapo il ragionamento che tuttavia ci porterà a fare iconti con noi stessi, su quel che siamo o siamo stati noncome singoli individui, ma come esseri umani nei decennie secoli passati e in quelli futuri.

La seconda domanda, dentro il film

La seconda domanda riguarda invece gli ebrei.Ovviamente non coloro i quali sono morti allora, bambini,uomini, donne o anziani. I morti non possono più parlare.Il loro destino si è compiuto in modo mostruoso. Parliamodegli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio e diconcentramento. Se guardando film o documentari oleggendo libri diamo per scontato che ci siano dei testimonia informarci dei fatti atroci, la domanda che spessodimentichiamo di rivolgere a loro o a noi stessi è piùcomplessa: come sono riusciti a sopravvivere? E’ possibilesopravvivere quando si sa di essere considerati e trattatinon come persone, ma come “cose” da distruggere nelmodo più sbrigativo o sadico, “cose” viventi private quindidi un destino (come ci ricorda il titolo del film e del romanzo,inizialmente intitolato “Senza destino” e poi rititolato“Essere senza destino”)? Questo film ha un grande ecoraggioso merito: non si concentra tanto sulla malvagitàdei nazisti o degli stessi collaboratori dei nazisti(nell’Ungheria occupata, o negli stessi campi diconcentramento o sterminio, dove gli stessi ebrei, con ilgrado di “kapò” fanno violenza ad altri ebrei), ma sullacapacità assurda di resistere, di sopravvivere, di farsi forzae di non lasciarsi andare che un condannato a morte,ovvero un ebreo, ha dimostrato quasi suo malgrado inquelle circostanze. La storia di Gyuri, che in gran parteriflette l’esperienza dello scrittore, ma è anche l’emblemadi un intero popolo condannato a non avere un destino,ci offre lo spunto per capire meglio le possibilità nascosteche un essere umano, specialmente se forte e giovane(dentro più che fuori), scopre in circostanze straordinariee spaventose. Di fronte all’orrore e alla matematica certezzadi un ebreo di non poter scampare alla morte, in milionisono morti prima e durante la Seconda Guerra Mondiale.L’essere stati privati prima dei diritti civili e della dignità

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umana, poi delle libertà elementari e del diritto alla vita,ha comportato in molti ebrei una rinuncia preventiva allavita. L’impossibilità fisica di sopravvivere ha fatto di solitoil resto. Ma prima molte di queste persone sono stateuccise dentro, moralmente e psicologicamente (nel filmsi dice anche che gli stessi ebrei, specialmente i bambinie i più giovani, non comprendendo la persecuzione, sisono sentiti in colpa del solo fatto di essere ebrei oaddirittura hanno provato ripugnanza per gli ebrei). Eppure,

come per assurdo, molti altri sono sopravvissuti, imparandoa considerare quella negazione stessa della vita come unaforma di vita possibile. Sono cioè riusciti, grazie anchealla fortuna e alle possibilità fisiche, ad accettare l’ideaprofonda della libertà individuale, da cui unicamentedipende il destino. Coloro i quali sono sopravvissuti, ovveroquelli che hanno conservato il rispetto dei propri simili(come nel caso di Gyuri), e non quelli che hanno sceltola via della sopraffazione dei propri compagni di sventura(come i kapò o il deportato che “vende” il cibo a Gyuri eagli altri ebrei), ci sono riusciti perché hanno creduto nellapropria libertà, nel libero arbitrio. Certo, il film, come illibro non intende essere troppo ottimista, se pensiamoalla sorte dell’amico ungherese, Bandi Citrom, chemaggiormente è convinto di salvarsi e probabilmente nontornerà più a casa.

La felicità paradossale

Eppure, come ci spiega il personaggionel finale, sfidando il bisogno degli “altri”di capire e di interpretare nel bene o nelmale la Shoah, più che altro per farseneuna ragione, il pensiero di chi haconosciuto l’Inferno ma è sopravvissuto,

corre alla felicità. Sì, alla felicità. Come si può anchelontanamente pensare alla felicità di fronte alla morte(quasi) certa? Come si può essere (stati) felici dentrol’Inferno? Gyuri non crede più all’Inferno dopo averconosciuto i lager, perché l ’Inferno è fruttodell’immaginazione – spiega – mentre i lager sono reali.Invece, la felicità di essere (ancora) vivi, di poter (ancora)vivere per un giorno, per un’ora, per un minuto è unamaniera per riaffermare il principio assoluto della libertà,

anche quando questa sembra impossibile (e spesso lo èanche stata). E non di morte, né di orrore, ma di felicitàci parla appunto Gyuri nell’ultima sequenza del film,attraverso la sua voce fuori campo mentre lo vediamoallontanare in una via di Budapest. Le sue parole, riportatenel film, provengono direttamente dal romanzo, dove èlo scrittore a esprimere i pensieri del protagonista, concui chiaramente si identifica: «Non esiste assurdità chenon possa essere vissuta con naturalezza e sul miocammino, lo so fin d’ora, la felicità che mi aspetta comeuna trappola inevitabile. Perché persino là, accanto aicamini [le ciminiere dei forni crematori, per l’esattezza],nell’intervallo tra i tormenti c’era qualcosa che assomigliavaalla felicità. Tutti mi chiedono sempre dei mali, degli“orrori”: sebbene per me, forse, proprio questa sial’esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicitàdei campi di concentramento che dovrei parlare loro, laprossima volta che me lo chiederanno. Sempre che me lochiedano. E se io, a mia volta, non l’avrò dimenticata».Ciò non toglie che questa felicità nasce da un paradosso:quello di essere riusciti – miracolosamente, è il caso didire – a uscire vivi e a poter raccontare ciò che era possibileraccontare. Non a caso, alla domanda rivolta a Gyuri daun uomo che vorrebbe negare, a guerra finita, l’esistenzastessa delle camere a gas, il ragazzo risponde praticamentedi non averle viste dall’interno, perché altrimenti non

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avrebbe potuto star lì a parlarne. Da un lato si intravedeil pericolo costituito da chi vorrebbe nascondere e rimuovereil passato, che è poi il rischio delle giovani generazioniattuali. Dall’altro la situazione paradossale in cui ci troviamoquando cerchiamo di avere risposte sui morti dai vivi, chenon hanno potuto sperimentare la morte, ma soltantoessere ad essa sfuggiti. Per caso o per necessità, come lostesso Gyuri che arriva ad un certo punto a tenersi accantoun ragazzino della sua età, morto da giorni, pur di avereuna doppia razione di cibo.

Gli ebrei ungheresi durante la secondaguerra mondiale

Maggio 1938:L’atto XV del 1938 sull’Equilibrio della vita sociale edeconomica viene trasformato in legge. La cosiddetta“Prima legge ebraica” prevede che non più del 20% deimembri degli ordini professionali dei giornalisti, medici,avvocati e ingegneri possano essere di fede ebraica.maggio 1939:L’atto IV del 1939 “sui limiti imposti agli ebrei nella vitapubblica e nell’economia” viene trasformato in legge. Lacosiddetta “seconda legge ebraica” prevede una distinzionerazziale e non più religiosa tra i cittadini ungheresi.Qualunque individuo che abbia almeno un genitore o duenonni di origine ebraica viene considerato ebreo. Gliindividui di origine ebraica non possono più ottenere lacittadinanza. Al Ministero degli Interni viene riconosciutoil diritto di privare i cittadini ungheresi della lorocittadinanza se questa è stata acquisita dopo il 1 luglio1914. Gli individui di origine ebraica non possono essereassunti in agenzie statali o in istituzioni pubbliche e nonpossono rappresentare più del 12% sul totale degli impiegatinelle società private. Gli individui di origine ebraica nonpossono essere né redattori né editori e non più del 6%dei membri degli ordini dei giornalisti, avvocati, medici,ingegneri, attori di teatro o di cinema possono essere diorigine ebraica. Gli individui di origine ebraica non possonodirigere cinema o teatri. La legge dichiara anche che lepercentuali indicate devono essere raggiunte entro e non

oltre il 31 dicembre 1942.Marzo 1944:Le truppe della Germania nazista occupano l’Ungheria.Marzo 1944:La promulgazione dei Decreti governativi 1200, 1210,1220, 1230 e 1240/1944 che impediscono agli individuidi origine ebraica di assumere persone di origine ebraicapresso le proprie case; gli individui di origine ebraica nonpossono più far parte degli ordini professionali deigiornalisti, attori di teatro e di cinema; infine gli individuidi origine ebraica devono farsi riconoscere indossandouna stella gialla sugli abiti.Maggio 1944:In tutta l’Ungheria, gli individui registrati come Ebrei

cominciano ad essere raccoltinei ghetti e ad essere deportatinei campi di concentramento(soprattutto a Auschwitz). Ilreggente Miklós Horthy,ordina la deportazione degliebrei di Budapest a giugno.Giugno 1944:Comincia la distruzioneufficiale dei cosiddetti “libriebrei”, volumi scritti da artistie studiosi di origine ebraica.Ottobre 1944:Viene formato un governo

guidato dalla Croce Uncinata, formato da Ferenc Szálasi,che si dichiara “Leader della Nazione.” Dopo la presa delpotere da parte della Croce Uncinata, i pochi ebrei ancorarimasti in Ungheria vengono perseguitati in manierasistematica e il regno del terrore istauratosi contro di lororaggiunge le conseguenze più estreme.Ottobre 1944:Il governo della Croce Uncinata fonda l’Ufficio Nazionaledell’Inquisizione, il cui compito é perseguitare gli oppositoridel regime.3 novembre 1944:Il governo di Szálasi emana il decreto 3840/1944, chedichiara che le proprietà degli ebrei devono essere trasferiteallo stato.dicembre 1944:Il Ministro degli Interni della Croce Uncinata Gábor Vajnaordina che gli Ebrei di Budapest vengano trasferiti nelghetto. Moltissime persone continuano ad essere caricatesui treni. Nell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale,

circa 600.000 ebrei ungheresi sonostat i uccis i nei campi diconcentramento ed in Ungheria.febbraio 1945:Le truppe provenienti dal SecondoFronte Ucraino cacciano i Nazistie la Croce Uncinata da Budapest.Grazie all’arrivo delle truppe, moltiebrei di Budapest riescono afuggire.

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Intervista con il registaLajos Koltai

Mentre lavoravate allasceneggiatura, avete parlato solodella sua visione oppure aveteanche discusso di altri film o generi cinematografici?

Abbiamo cercato soprattutto di non cadere nell’errorecommesso in altri film che hanno raccontato l’Olocausto.Per noi era fondamentale che tutto quello che avremmomostrato di quel mondo fosse eccezionalmente preciso eopportuno. Ormai sono pochi i sopravvissuti all’Olocaustoancora in vita, purtroppo e noi volevamo evitare che i loroeredi, avessero un’impressione sbagliata o falsa di quellache era stata la storia dei loro cari. Se non avevamoabbastanza informazioni su una determinata scena opersonaggio, preferivamo non metterlo per niente piuttostoche creare dei contrasti con quella che era la realtà.Fortunatamente le descrizioni di Kertész erano moltoprecise e questo è stato sempre un ottimo punto dipartenza. Ma la cosa curiosa è che c’erano delle personeche avevano vissuto insieme a Kertész in una tenda all’epocadei fatti, che ricordavano le cose in maniera diversa. Unodi loro ha insistito molto su un fatto che secondo lui siera svolto in maniera diversa da come l’aveva raccontataImre, ma poi due settimane dopo mi ha telefonato e miha detto che era Imre ad avere ragione al riguardo. Tuttociò che sappiamo oggi viene dagli archivi fotografici poichénei campi di concentramento non c’erano tante macchineda presa e quindi non esistono dei filmati, dei documentarisulla vita dei prigionieri nei campi di concentramento.Tuttavia, gli studiosi che si sono occupati dell’argomentosono convinti dell’esistenza di materiale filmato. Sostengonoche le condizioni di vita nei campi siano state filmate inrealtà ma che quelle bobine siano andate distrutte.Di conseguenza, l’unico materiale sul quale potevamobasarci erano delle fotografie in bianco e nero, e abbiamocercato di restare il più possibile fedeli a quelle immaginiin tutto il film. Le immagini si dissolvono mano a manoche l’azione prosegue perché nell’immaginario collettivol’Olocausto è avvenuto in bianco e nero, o almeno senzatroppi colori vivaci. Dopo la liberazione, invece i Russi egli Americani fecero delle riprese a colori ma si trattavagià di un altro mondo perché raccontavano la vita dopoi campi.Il nostro obiettivo principale, nel realizzare questo film èstato cercare di raffigurare al meglio i cambiamentipersonali, fisici e mentali delle persone oltre al voler ritrarreun mondo che fosse il più accurato possibile. Nella maggiorparte dei film sull’Olocausto, generalmente tra l’inizio ela fine della storia passa almeno un anno ma negli attorinon si notano mai cambiamenti fisici. Senza destino è unfilm umorale che racconta al tempo stesso una storia dispossatezza e sofferenza. Nella fattispecie, il film seguevisivamente la macilenza, l’estrema magrezza delpersonaggio principale, Gyuri Köves, ma al tempo stessosi interessa anche dei destini paralleli dei personaggi chelo accompagnano, che poi scompaiono uno alla volta eche in alcuni casi muoiono.

La visione finale del film corrisponde alla visione cheaveva immaginato leggendo il romanzo per la primavolta?Sì. La maggior virtù del film è che è composto da sequenzemolto chiare e lucide e risponde chiaramente alla domandaper la quale in realtà non esiste una risposta: “Come èpotuto accadere tutto questo?” Il film racconta una storiache fa cenno ad una sorta di impossibilità, nella fattispecievuole dire che nel mondo moderno può succederequalunque cosa, da un momento all’altro, a chiunque:ognuno di noi può essere tirato giù da un autobus, ognunodi noi può essere costretto ad avere paura del prossimo:è questo il messaggio del film. FATELESS non vuole direnulla di più di questo ma vuole semplicemente prepararcial peggio perché le cose che possono capitarci in questomondo potrebbero non essere positive.Non abbiamo fatto un film sull’Olocausto ma abbiamosemplicemente raccontato la storia di un ragazzino.Abbiamo iniziato a seguire Gyuri Köves perché è unapersona interessante, con la quale è facile identificarsi eperché siamo curiosi di sapere cosa gli succederà. Abbiamoseguito l’anima di un ragazzino, come se si trattasse di un

documentario, mentre entra in un mondo del quale nonvorrebbe far parte. Il nostro scopo non era certamentequello di far commuovere il pubblico, di farlo piangereraccontandogli una storia strappalacrime e commoventema al tempo stesso se qualcuno avrà voglia di piangere,che lo faccia. Non vogliamo stuzzicare il pubblico girandoil coltello nella piaga, non andiamo in cerca delle lacrimedel pubblico ma se il pubblico, nel suo intimo, siidentificherà con il ragazzino al punto da lasciarsicoinvolgere emotivamente, siamo certi che scoppierà apiangere. La cosa interessante da notare è che ogni voltache rivedo il film, non riesco a prenderne le distanze comemi è sempre capitato con i precedenti; ma al contrario,più lo guardo e più me lo sento vicino.

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• Di fronte a questa nuova vicenda di un ebreo sopravvissuto allo sterminionazista durante la Seconda Guerra Mondiale, torna a riproporsi la questionedella natura umana. E’ difficile credere che degli esseri umani abbiano potutofare cose così atroci ad altri esseri umani. Qual è la tua opinione al riguardo,specie dopo aver visto questo film?• L’altra grande questione, a proposito della Shoah, riguarda lo spirito disopravvivenza che ha consentito ad alcuni deportati come Gyuri di salvarsi.In cosa consiste secondo te il dramma di un ebreo sopravvissuto, anche dopoessere stato liberato da un campo di concentramento?• Perché alla fine del film il protagonista parla addirittura di “felicità” dentroi campi di concentramento?• Il tema del destino, secondo quanto scrive l’autore del romanzo, si intrecciacon quello della libertà. Potresti spiegare in che modo?• Qual è l’atteggiamento, o per meglio dire: gli atteggiamenti, della societàcivile di fronte ai sopravvissuto Gyuri?

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Dietro le quinte delle favole

Si commette spesso l’errore di considerare quello delle favolecome un mondo compatto, unico, dove l’unica regola che contaè la fantasia. Le favole, innanzitutto, appartengono agli autori chele scrivono, diversi autori. E questi diversi autori traggono ispirazionedal mondo in cui vivono. Spesso le favole che essi scrivonoprovengono dai racconti orali, le hanno cioè ascoltate. Eappartengono alla tradizione e all’immaginazione popolare. Dunquele favole sono un po’ di tutti. Sono patrimonio dell’umanità. Male differenze esistono. Differenze storiche, geografiche. Differenzedi stile, di contenuti, di messaggi. Infatti chi sceglie di scriverle,ci mette qualcosa di suo. E dell’epoca storica in cui vive. Ad esempio,le favole del francese Charles Perrault, vissuto nel 1600, sonodiverse da quelle del danese Hans Christian Andersen, vissuto nel1800. Ma anche quelle di Andersen sono diverse da quelle dei

quasi contemporanei fratelli tedeschi Jacob e Wilhelm Grimm,vissuti tra il 1700 e il 1800. Questo film, intitolato appunto I fratelliGrimm (nella versione italiana invece diventa I fratelli Grimm el’incantevole strega), vuole farci conoscere il mondo che sta dietrole favole. Vuole anche farci conoscere l’epoca. E soprattutto vuolefarci conoscere coloro i quali le inventano, se le inventanocompletamente, o che le scrivono o soltanto le trascrivono dopoaverle ascoltate da qualcuno, mettendoci dentro qualcosa di proprioe di originale. Non possiamo cioè capire le favole dei Grimm,particolarmente realistiche e impressionanti, sembra dirci questofilm, senza conoscere prima i Grimm. Solo così possiamo capire imessaggi contenuti nelle favole. Lo scopo di questo film dalle milleinvenzioni, dalle mille sorprese, dalle mille complicazioni, è quellodi farci entrare nella bottega dei due artisti, per scoprire i segretidella loro fantasia, per capire come hanno fatto a concepire quellestorie. Conoscendo i Grimm, come personaggi delle loro stessefavole, possiamo capire dove finisce la realtà e dove comincia lafantasia. Ma impariamo anche ad accorgerci non soltanto che lafantasia nasce dalla realtà, vive dentro la realtà. Può infatti accadereil contrario: ossia che la realtà nasce a sua volta dalla fantasia.Che una cosa soltanto immaginata diventa per una persona o perpiù persone talmente importante da trasformarsi in realtà. Si può

Germania, primo Ottocento. I fratelli Wilhelm e Jacobattraversano le terre dell’Impero Napoleonico in cerca di soldifacili con la promessa di cacciare demoni e mostri. Quando leautorità francesi, che diffidano della fantasia e delle credenzepopolari, scoprono la loro truffa, i due fratelli vengono mandatiin una foresta incantata, dove dovranno affrontare un veromaleficio riguardante la misteriosa scomparsa di bambine. Inun epico scontro tra fantasia e realtà, i Grimm vedrannomaterializzarsi una ad una le loro fantasie: regine, torri, streghe,lupi mannari, alberi che si muovono da soli...

Regia: Terry Gilliam. Soggetto: tratto dalle fiabe dei Fratelli Grimm.Sceneggiatura: Ehren Kruger. Fotografia: Newton Thomas Sigel.Montaggio: Lesley Walker. Musica: Dario Marianelli. Scenografia: GuyDyas. Costumi: Gabriella Pescucci, Carlo Poggioli. Interpreti: Petr Ratimec(Wilhelm [Will] bambino), Barbora Lukesová (mamma Grimm), JeremyRobson (Jacob bambino), Matt Damon (Wilhelm [Will] adulto), HeathLedger (Jacob adulto), Peter Stormare (Cavaldi), Jonathan Pryce(Delatombe), Denisa Vokurkova (Greta), Laura Greenwood (Sasha), LenaHeadey (Angelika adulta), Denisa Malinovska (Angelika bambina), MonicaBellucci (la Regina Strega). Origine: Inghilterra, Francia, Germania, Italia,2005. Durata: 90 minuti.

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«Le storie esistono solo nelle storie, mentre la vita scorrenel corso del tempo senza il bisogno di sfornare storie»(Lo stato delle cose di Wim Wenders)

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infatti immaginare un mondo per poi renderlo reale. Lafantasia non è soltanto il contrario della realtà, non è unafuga dalla realtà, non è una facoltà che accompagna ipiù piccoli, e scompare pian piano con il sopraggiungeredell’età adulta. La fantasia può essere un modo di guardarealla realtà, per cambiarla, per metterla in discussione, permigliorarla, per arricchirla. Questo film ce lo spiega moltobene.

Realtà e fantasia, come due fratelli

Abbiamo parlato di “realtà” e “fantasia”. Due sempliciparole. Anzi, più che due semplici parole, sono due concetti.Bene, si sarà chiesto il regista Terry Gilliam a questo punto:che cosa accadrebbe, se invece di due concetti,immaginassimo la realtà e la fantasia come due personein carne e ossa come noi? Insomma, persone con caratterie sentimenti. Con un volto, con certezze e problemi, dubbie contraddizioni. Per questo ha scelto, tra i tanti scrittoridi fiabe, di occuparsi proprio dei fratelli Grimm. Perchésono due. E perché sono fratelli. Fratelli di sangue, cioèfigli della stessa madre, come la realtà e la fantasia. Anchela realtà e la fantasia hanno una origine comune: il mondoin cui viviamo, la Natura da un lato, la Storia dall’altro.Pur scontrandosi come due fratelli molto diversi tra loroe molto litigiosi, la realtà e la fantasia appartengono aquesto mondo. Perciò Jacob e Wilhelm non possono farea meno l’uno dell’altro come la realtà non può fare ameno della fantasia e la fantasia non può fare a menodella realtà. Jacob, il maggiore dei due fratelli, rappresentala realtà. Wilhelm, il minore, rappresenta invece la fantasia.Il primo insiste troppo sulla realtà, dipende troppo dallarealtà, crede solo nella realtà. Il secondo vive esclusivamentedentro la sua fantasia, non conosce altre regole se nonquelle che la sua fantasia gli suggerisce, crede alla fantasiasin da quando, da piccolo, ha comprato una manciata difagioli da uno sconosciuto illudendosi che fossero magicie potessero guarire la sorellina malata. Jacob nel film non

fa che rimproverarglielo. Eppure, una volta giunto nelbosco dove succedono cose che sfuggono alla ragione,dovrà ricredersi sul fratello Wilhelm: sarà proprioquest’ultimo a cavarsela meglio e ad affrontare la stregae i suoi sortilegi. Wilhelm, attraverso la fantasia, comprendegli assurdi eventi che stanno sconvolgendo l’intero villaggio:alberi che si muovono e imprigionano con i loro rami gli“intrusi”, bambini che scompaiono e vengono rapiti dacreature misteriose, troll, lupi mannari, regine defunte dasecoli che vogliono diventare belle ed immortali. La ragionedi fronte a tutti questi prodigi si arrende. Mentre la fantasiaha carta bianca. E può agire nel bene dell’intera comunitàminacciata dalla strega.

Dal confronto all’incontro

Ma siamo poi così sicuri che la vera minaccia sia lastrega? Chi ci fa più paura in questo film: una megerache vorrebbe essere sempre la più bella del Reame (comela regina di Biancaneve, favola nota soprattutto grazie aifratelli Grimm) oppure l’esercito francese che non credea niente e a nessuno e pretende con arroganza e disprezzodella Natura di bruciare il bosco intero, i fratelli Grimme il libro con le favole? I veri “nemici” in questo film sonoi soldati francesi dell’impero napoleonico. Sono i nemicidella gente comune, che crede alle leggende del bosco ealle creature incredibili che lo abitano. L’esercito

n a p o l e o n i c orappresenta il latopeggiore dellaragione umana:la freddezza, lamancanza d icompassione e dirispetto per lacultura altrui.Napoleone inquegli anni con le

sue truppe ha occupato l’intera Europa, compresa laGermania dei fratelli Grimm. E pretende di imporre anazioni con culture e tradizioni differenti lo stesso mododi pensare, fatto di realtà e di ragione. Viene dunquemessa al bando la fantasia, vengono condannati a mortedue scrittori di fiabe come i Grimm, e con essi i sentimentiche legano un popolo al suo patrimonio di racconti, mitie personaggi straordinari. L’impero Napoleonico, in nomedi un progresso imposto ai popoli con la forza, l’occupazionemilitare e le armi, fu infatti il risultato più sinistro eopprimente della Rivoluzione Francese, che accanto agliideali di libertà, uguaglianza e fraternità, aveva innalzatola ragione come unica grande qualità umana. Eppure unaragione, costretta a credere soltanto alla realtà e alle coseche si vedono, è incapace di comprendere la fantasia cheguarda a una realtà diversa, quella dei sentimenti, deisogni, dei desideri segreti. Ragione e realtà da una parte,cuore e fantasia dall’altra, i militari francesi da una parte,il popolo tedesco dall’altra, Jacob da una parte, Wilhelmdall’altra: da che parte stare? Contrapporre queste

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concezioni del mondo è impossibile e sbagliato. Allo stessomodo negli anni in cui i fratelli Grimm scrivono o trascrivonole loro favole più celebri (Biancaneve, Hänsel e Gretel,Cappuccetto Rosso, tutte presenti all’interno del film) dueconcezioni del mondo, due filosofie si stanno scontrando:l’Illuminismo, che ripone tutta la sua fede nella ragione umana,e il Romanticismo, che invece confida nella fantasia, nellepassioni, nei sentimenti altrettanto umani. Eppure non si puòdire che l’Illuminismo sia più importante del Romanticismoo viceversa. Sarebbe come parteggiare per Jacob o per Wihlelmsenza accorgersi che sono due facce della stessa medaglia,come la realtà e la fantasia, la ragione e il sentimento. Anchele nazioni hanno bisogno – sembra spiegarci questo film – distare tutte assieme, di avere prospettive che vadano oltre iconfini territoriali ma nello stesso tempo devono conservareciascuna la propria identità, il proprio carattere e le propriedifferenze. Come gli individui che devono poter andared’accordo senza sopraffarsi a vicenda, conservando però lapropria personalità. Come Jacob e Wilhelm. Ancora una volta,il tema centrale del film è la compresenza, l’atteggiamentononviolento che consente alla diversità di essere valorizzatacome un qualcosa in più, che “aggiunge” e non toglie,“arricchisce” e non impoverisce. Sbaglia Wilhelm ad esseretroppo credulone, a non ragionare, a non sapersi difenderedagli inganni dei malvagi (sin da quando ha creduto ai fagiolimagici), ma sbaglia anche Jacob a credere solo nel denaro,nell’amore senza sentimenti, nelle cose che unicamente sonovere perché si possono vedere e toccare. Il bosco incantato èa suo modo una realtà che va compresa. Gli alberi cheimpediscono agli estranei malintenzionati di giungere allatorre o di poter fuggire, in fondo sono i custodi di una Natura

che non dovrebbe mai essere violata odistrutta, come pretende di fare il terribileufficiale francese Delatombe (“de-la-tombe” vuol dire morte, morte dellafantasia, morte delle tradizioni e dellecredenze popolari, morte della Natura)bruciando il bosco. I bambini rapiti chela strega vorrebbe sacrificare per riaverela sua bellezza rappresentano la fine dellafanciullezza, il passaggio cioè dall’etàinfantile all’età adulta. In questo film lacrescita torna continuamente come filoconduttore di tutte le storie e di tutti i personaggi. AncheWilhelm, con la sua inesauribile fantasia e la sua inesauribilefiducia negli altri, è un po’ come un bambino che non vuolecrescere ma deve farlo e imparare così a difendersi dalle insidiee i pericoli. Mentre Jacob è l’adulto che, crescendo, hadisimparato a credere al proprio cuore, ai sentimenti e allepassioni segrete. Assieme rappresentano l’individuo completo,equilibrato, con i pregi del bambino e quelli dell’adulto. Anchequando li vediamo all’inizio ingannare gli abitanti di unvillaggio con i trucchi, pur di intascare il denaro, certo fanno

una cosa sbagliata. Ma in fondo, anche approfittandodisonestamente dell’ignoranza di quella povera gente, riesconoa conservare intatte credenze e fantasie popolari checementano l’intera comunità. Ancora una volta questo èpossibile perché Jacob, con la sua ragione disinvolta da bambinodispettoso e monello concepisce solo la frode e il profitto, manel frattempo Wilhelm, pur accettando di essere suo complice,dentro di sé ci crede e prende tutto molto sul serio. Come unbambino a suo modo giudizioso. La stessa strega con il suoterribile progetto egoistico non è che una bambinadisperatamente ostinata a non voler crescere: non vuoleaccettare il tempo che passa, vede il tempo e l’età che avanzanocome una disgrazia e non come un’opportunità. Vorrebberestare giovane in eterno, perciò si rinserra nella sua torre.Ma il tempo, la Storia, il progresso non sono demoni, cosìcome non possono essere considerate negative, arretrate,immature le favole e le leggende popolari tramandate digenerazione in generazione, di padre in figlio, di nonna innipote. E che Wilhelm attentamente registra nel suo libro, perconsegnarci un patrimonio inestimabile di fantasia, messaggi,insegnamenti esemplari. Le fiabe altro non sono, da sempre,che un grande tesoro di saggezza in cui tutto è simbolico eserve a farci capire come siamo fatti dentro, quali sono i nostridesideri e pensieri nascosti. Ci parlano della crescita, ciinsegnano a crescere, ci mettono di fronte alle nostre paure,spiegandocele. Distruggere tutto ciò significa cancellarel’umanità, negare quanto di più particolare gli individuicustodiscono nel proprio cuore, cancellare il profondo equilibrioe il rispetto secolare che legano l’Uomo alla Natura, che coni suoi segreti diventa un territorio dalle infinite sorprese. Unteatro meraviglioso per avventure senza tempo, senza età.Come le storie di questo film che si avvicendano, si accavallano,si sovrappongono, generandosi una dentro l’altra, scaturendol’una dall’altra. Liberamente. Senza regole, come prescrive lafantasia quando per l’appunto è sinonimo di libertà. Libertàinteriore e collettiva, perché non ci può essere armonia tragli individui se ogni individuo non la raggiunge dentro di sé,con quei pensieri inconfessabili di cui spesso non è nemmenocosciente (quello che Sigmund Freud ha chiamato “inconscio”).E fuori di sé, con la Natura da cui tutti dipendiamo e di cuitutti facciamo parte.

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Terry Gilliam, regista britannico dotato di enorme talentofantastico, ha sempre prediletto storie dove succedono cosestraordinarie. La sua smisurata immaginazione però è sempreal servizio di messaggi civili e libertari, come si comprendedai suoi film più celebri: Brazil che ci parla di un regimetotalitario, Le avventure del Barone di Munchausen che èun inno alla creatività dell’uomo, La leggenda del Re Pescatoreche ipotizza l’incontro tra una cinica star radiofonica e unbarbone dotato di immensa inventiva e fiducia nel prossimo,L’esercito delle dodici scimmie che ci parla ancora di libertànegate e di un mondo che rischia di auto-distruggersi.

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• Qual è il valore delle favole che questo film cerca di insegnarci,assistendo a continui prodigi? E perché, anziché raccontarcelesoltanto, insiste su chi – come i Grimm – le scrive?• Perché, tra tanti autori di raccolte di favole, il regista si èconcentrato proprio sui fratelli Grimm? Cosa rappresentanonel film?• Due mondi, sotto diversi aspetti, si scontrano in questo film:due concezioni filosofiche e politiche, due dimensioni cheappartengono comunque all’essere umano. Potresti spiegarein che modo e a quali mondi si fa riferimento?• Perché il tema della crescita è un filo conduttore per situazioni,vicende e personaggi? Prova a spiegare come questo avvieneattraverso una serie di esempi.• Chi sono i veri “buoni” e i veri “cattivi” di questo film? Perchéil regista è persino indulgente con la regina-strega e i suoisortilegi mentre non lo è con l’ufficiale napoleonico Delatombe?• Prova a individuare tutti i riferimenti, quelli più espliciti equelli meno espliciti, alle fiabe più note dei fratelli Grimm,spiegandone il significato.• Anche in questo film si fa appello alla compresenza, alletecniche nonviolente, all’incontro tra posizioni e caratteriall’apparenza inconciliabili. Riesci a motivare queste scelte?

I fratelli Grimm nacquero nel 1785 (Jacob) e nel 1786 (Wilhelm) ad Hanau, vicinoa Francoforte. Frequentarono il Friedrichs Gymnasium di Kassel e poi studiaronolegge all'università di Marburg. Dal 1837 al 1841, si unirono a cinque colleghiprofessori dell'università di Göttingen per protestare contro l'abrogazione dellacostituzione liberale dello stato di Hannover da parte del re Ernesto Augusto I.Questo gruppo divenne celebre in tutta la Germania col nome “I sette di Göttingen”.In seguito alla protesta, tutti e sette i professori furono licenziati dai loro incarichiuniversitari e alcuni di loro furono persino deportati. L'opinione pubblica e l'accademiatedesche, tuttavia, si schierarono decisamente a favori dei Grimm e dei loro colleghi.Wilhelm morì nel 1859; suo fratello maggiore Jakob nel 1863. I Grimm contribuironoa formare un'opinione pubblica democratica in Germania e sono considerati progenitoridel movimento democratico tedesco, la cui rivolta fu in seguito soppressa nel sanguedal regno di Prussia nel 1848.I fratelli Grimm sono celebri per aver raccolto ed elaborato moltissime fiabe dellatradizione tedesca; l'idea fu di Jacob, professore di lettere e bibliotecario. Nei lorovolumi pubblicarono tuttavia anche fiabe francesi, che i Grimm conobbero attraversoun autore ugonotto che costituiva una delle loro principali fonti. Le loro storie nonerano concepite per i bambini; oggi, molte delle loro fiabe sono ricordate soprattuttoin una forma edulcorata e depurata dei particolari più cruenti, che risale alletraduzioni inglesi della settima edizione delle loro raccolte (1857).Le storie dei fratelli Grimm hanno spesso un'ambientazione oscura e tenebrosa, fattadi fitte foreste popolate da streghe, goblin, troll e lupi in cui accadono terribili fattidi sangue, così come voleva la tradizione popolare. L'unica opera di depurazione chesembra essere stata messa scientemente in atto dai Grimm riguarda i contenutisessualmente espliciti, piuttosto comuni nelle fiabe del tempo e ampiamenteridimensionati nella narrazione dei fratelli tedeschi.Lo psicologo infantile Bruno Bettelheim, nel suo libro Il mondo incantato, sostieneche le fiabe dei Grimm siano rappresentazione delle figure mitiche legate al nostroinconscio, così come li ha descritti e spiegati il padre della psicanalisi, Sigmund Freud.

Qual è la sua opinione sul genere cosiddetto “fantasy” legato almondo delle favole ambientate in mondi fatati e meravigliosi,tornato di moda al cinema grazie anche al successo di “HarryPotter” e de “Le cronache di Narnia”?Non mi piace l'idea di far parte di una categoria. Se tutti fanno filmfantasy allora io deciderò di cambiare genere. Una delle cose che misembrava ci fosse bisogno era di portare il mondo del fantasy ad unlivello più basso, più piccolo e semplice, così come le favole. I film dipura fantasia, come quelli di fantascienza, non mi piacciono. Con Ifratelli Grimm ho voluto raggiungere un livello più intimo dellanarrazione, perché le favole che leggevo da bambino riguardavano lepersone. Si trattava di piccole storie e non de “il palazzo più grandedel mondo” o della “montagna più alta”. Erano storie legate ai personaggie non all'ambiente in cui si muovevano. Personalmente preferiscoconcentrarmi sul dettaglio per esplorare un mondo che abbia un verosignificato e cui il pubblico possa rispondere in maniera emotiva. Oggiil digitale consente di fare tutto al cinema, ma il fatto che sia possibilefarlo non obbliga nessuno a fare davvero tutto. Così ho voluto creareun mondo più vicino a quello delle favole così come sono state scritte.Non amo i film che perdono del tutto il contatto con la realtà. E nonmi appassionano neanche le pellicole che si prendono troppo sul serio.Le peggiori sono quella d’azione. Tutte uguali, quando vedo i trailerpenso che stiano facendo la pubblicità a un vecchio film, sempre lostesso. Botte, salti, esplosioni…Ma voi non avete questa impressione?

Al bando gli effetti speciali, dunque?Per I Fratelli Grimm ho dovuto ricorrere all’animazione digitale. Soloi marziani ne fanno a meno. Ma non ho potuto esimermi dal rovinarequotidianamente il lavoro dei tecnici. Sarebbe venuto perfetto, troppobello, ma privo di legami col mondo reale.

Cosa le piace delle favole?E' il mio mondo: straordinario e fantastico. Quello in cui sono cresciutoe in cui - sfortunatamente - ogni tanto credo ancora di vivere. Ma lavita non è una favola, vero? Ad ogni modo è un film che ho accettatodi fare perché il produttore mi ha mandato questa sceneggiatura. Miha subito colpito l'idea di due imbroglioni che si trovavano ad avere

a che fare con dei veri incantesimi. Era divertente potere creare unafavola su dei creatori di fiabe... I personaggi sono molto interessanti,uno pragmatico e cinico, e l'altro romantico e idealista. Due mondiopposti, due differenti visioni della vita.

Sono molti i riferimenti a favole celebri nel suo film.Sì, assolutamente le più famose dei fratelli Grimm: Raperonzolo, Hansel& Gretel e Cappuccetto rosso. Ovviamente ce ne sono altre centinaiameno note, ma noi abbiamo preferito - soprattutto - tenerci moltovicini a quelle maggiormente presenti nell'immaginario collettivo delpubblico.

Di che tipo di fantasia ha bisogno l'uomo moderno?Non saprei. Posso raccontare le mie fantasie, le cose che mi ispirano.In un mondo pieno di numeri e calcoli sembra che ci sia poco spazioper il sogno, e a me piace girare film che ispirano le persone a ritrovarela propria immaginazione. Io posso solo mostrare le mie di fantasie. Algiorno d'oggi il sogno e la fantasia hanno pochissimo spazio. A mepiace sostenere coloro che, nel mondo, sono strani, o folli, perchéguardando il mio film penseranno: "Beh, almeno siamo in due!" Amoi bambini per la loro mente aperta, per la capacità di vedere un'altrarealtà dietro ogni cosa. Non hanno perduto la loro capacità di sognaree di immaginare un presente diverso con una mente aperta. Credo cheil mio cinema, alle volte, serva a rompere il guscio in cui l'età imprigionai bambini nascosti dentro le persone.

Intervista al regista

I fratelli Grimm

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La Rosa Bianca

La Rosa Bianca è il nome assunto da un gruppo di studenti cheformò un movimento di resistenza nonviolenta nella Germanianazista. (“Resistenza nonviolenta” significa opporsi a un sistemache non si condivide proponendo cambiamenti e assumendo mezzie fini che non prevedono l’uso della violenza). La Rosa Bianca fuattiva dal giugno 1942 al febbraio 1943 e aveva come base la cittàdi Monaco. Il gruppo scrisse e diffuse sei volantini che sollecitavanoil popolo tedesco a ribellarsi al nazismo, attraverso forme diresistenza nonviolenta. Un settimo fascicolo, che potrebbe esserestato preparato, non venne mai distribuito perché il gruppo caddenelle mani della Gestapo. Il gruppo era composto da cinque studenti:Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander

Schmorell e Willi Graf, tutti poco più che ventenni.Ad essi si unì un professore, Kurt Huber che stese gliultimi due volantini. I membri della Rosa Bianca eranotutti studenti all’Università di Monaco di Baviera, eallo stesso tempo avevano partecipato alla guerra sulfronte francese e su quello russo, dove furono testimoni

delle atrocità commesse contro gli ebrei e dove capirono che lesofferenze patite dall’esercito tedesco a Stalingrado avrebberoportato alla sconfitta della Germania. Essi rigettavano il militarismodi Adolf Hitler e credevano in un’Europa federale che aderisse aiprincipi cristiani di tolleranza e giustizia. Citando apertamente laBibbia, Lao Tzu, Aristotele, Novalis, Goethe e Schiller, quei cinquestudenti si appellarono a quella che consideravano l’intellighenziatedesca, credendo che questa si sarebbe opposta al Nazismo. In unprimo momento, i volantini vennero spediti verso diverse città dellaBaviera e dell’Austria, dopo il luglio 1942 la Rosa Bianca prese unaposizione più vigorosa contro Hitler e nel febbraio 1943 oltre adistribuire gli ultimi due volantini, scrisse anche slogan anti hitlerianisui muri di Monaco e sui cancelli universitari. Il sesto volantinovenne distribuito all’Università, il 18 febbraio 1943 in coincidenza

Germania, Monaco, 1943. La guerra di Hitler sta devastando l’Europadiffondendo un clima di terrore e morte in nome della salvaguardia dellarazza pura. Alcuni coraggiosi studenti universitari, non si piegano al climadominante e anzi decidono di ribellarsi al nazismo organizzandosi in ungruppo clandestino che si dà il nome de La rosa bianca. Obiettivo del gruppoè quello di fare controinformazione cioè far sapere a quanta più gentepossibile ciò che il nazismo non dice: la morte assurda di migliaia di giovanitedeschi ai fronti, i campi di concentramento, la perdita totale di libertàdello stesso popolo tedesco a favore di una cultura di morte. Di questopiccolo movimento di resistenza nonviolenta fa parte Sophie Scholl,studentessa, una ragazza come tante ma audace ed impegnata. Il 18 febbraiodel 1943, Sophie ed il fratello Hans vengono scoperti ed arrestati mentredistribuiscono volantini all’università. Nei giorni a seguire, l’interrogatoriodi Sophie da parte di Mohr, ufficiale della Gestapo, si trasforma in unostrenuo duello psicologico. La ragazza mente e nega, ricorre a strategie eprovocazioni, sembra cedere e si riprende con forza, arrivando a disarmareil suo avversario. Colpito dal suo straordinario coraggio, Mohr le offre unavia di uscita, ma ad un costo: tradire i suoi alleati.

Regia: Marc Rothemund; Sceneggiatura: FredBreinersdorfer; Fotografia: Martin Langer; Musiche:Reinhold Heil Johnny Klimek; Montaggio: Hans Funck;Interpreti principali: Julia Jentsch (Sophie MagdalenaScholl), Fabian Hinrichs (Hans Scholl), Gerald AlexanderHeld (Robert Mohr), Johanna Gastdorf (Else Gebel),André Hennicke (il dottor Roland Freisler), Florina Stetter(Christoph Probst), Johanns Suhm (Alexander Schmorell),Maximilian Bruckner (Willi Graf), Jorg Hube (RobertScholl), Petra Kelling (Magdalena Scholl); Scenografia:Jana Karen – Brey; Costumi: Natascha Curtius-Noss;Origine: Germania; Anno di produzione: 2005; Durata:117 minuti.

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"Lo Sato è un organismo vivente: in verità non può esserecostruito come si vuole ! Chi non tiene conto di ciò lo rovina.Chi vuole impadronirsene lo perde. L'uomo nobile evita l'eccesso,evita la superbia, evita la sopraffazione"

(Lao-Tze)

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con la fine delle lezioni. E’ da questo punto che parte ilfilm, il 18 febbraio del ’43 quando Sophie e suo fratelloHans nel distribuire i volantini all’università furono vistida un bidello della stessa università nonché militantenazista, che non esitò a denunciare i due ragazzi.

Staticità e movimento: regime e libertà

Tutto il film è caratterizzato da una scenografia efotografia dalle linee diagonali, dritte, rigide, fisse. Pensiamoalle strade che i ragazzi devono quasi clandestinamenteattraversare, all’atrio dell’università, alle grandi svasticheonnipresenti, alla stanza dell’interrogatorio e alla posturadei personaggi durante l’interrogatorio, alla cella, allastanza del processo, alla ghigliottina. Non ci sono inoltrenel film scene d’azione particolarmente movimentatetanto che i personaggi sono quasi sempre seduti e il loroalzarsi e sedersi dipende da un ordine che stanno ricevendo.Eppure ci sono momenti in questo film in cui alcuni piccolimovimenti ripercuotono l’intera pellicola come una pietraquando viene lanciata nell’acqua che crea un movimentolungo e concentrico tanto da interessare una vastasuperficie di liquido. Questi momenti sono ad esempio, lacanzone in lingua inglese cantata da Sophie insiemeall’amica Else davanti alla radio all’inizio del film, i volantinigettati da Sophie dalla balaustra del secondo pianodell’Università, lo sguardo di Sophie verso la finestra dellacella o della stanza dell’interrogatorio per guardare unpezzetto di cielo con le sue nuvole in cammino, ancora losguardo lieve ma intenso di Sophie verso il crocifisso almomento della sua condanna a morte e poi la voce diHans che ostinatamente rompe il silenzio nella sala delprocesso per raccontare al mondo la disfatta militare emorale della Germania e infine ancora la voce di Hans chesquarcia il silenzio dell’atto della morte e del nerodell’immagine finale con il suo grido “Libertà!”, quellastessa parola (Freiheit che in tedesco vuol dire libertà) cheSophie scrive su un biglietto lasciato sul tavolino della suacella. Sophie e Hans con la loro compostezza e con la forzaimmensa delle loro parole ( “Bisogna avere un cuore teneroe uno spirito duro” dice Hans a sua sorella) romponocontinuamente l’ordine della messa in scena e l’Ordine del

potere imposto dal nazismo. La loro presenza interrompe,seppur per breve tempo, le linee rette e immobili del regimeche li vede come anarchici incoscienti, ma che in realtàsono l’essenza del diritto di libertà dell’uomo. La loropresenza e le loro azioni (le loro parole sono anche azioni)sono attimi di respiro in un corpo sociale mortorappresentato dal regime e da tutti quelli che subisconoil regime pur non aderendovi apertamente. “Se un'ondatadi ribellione si estende attraverso il paese, se questo "sisente nell'aria", se in molti vi contribuiscono, allora sipotrà rovesciare questo sistema con un estremo poderososforzo. Una fine orrenda è sempre meglio di un orroresenza fine” - recita un passo del secondo volantino dellaRosa Bianca.

Il film considerando gli ultimi cinque giorni di vita diSophie Scholl e di suo fratello, non mostra tutti gli aspettidella lotta nonviolenta della Rosa Bianca. In particolareil film mette molto bene in evidenza il contrasto tral’ottusità del regime, preoccupato di soffocare ognitentativo di pensiero e azione individuale, e la difesa dellaverità e della libertà da parte di Sophie e Hans attraversol’uso della parola, della testimonianza che passadall’assunzione di responsabilità individuale di fronte allarealtà. Ma per arrivare a credere nella propria responsabilitàe considerarla come l’arma più efficace contro ogni formadi sopraffazione umana, bisogna amare profondamentela vita. Colpisce ad esempio vedere nel film Sophie edHans quasi sempre sorridenti, i loro sguardi sono teneri,

sereni, complici, fieri finoalla morte.“Non preoccupatevi perme, rifarei esattamente ciòche ho fatto” dice Sophieai suoi genitori prima dimorire. Questa forzainteriore è propria di chi siribella per amore della vita

e della libertà dell’uomo. Le parole di Sophie non cedonomai all’odio pur trovandosi di fronte al suo aguzzino, anchenei passaggi più duri dell’interrogatorio e non cede alricatto della denuncia dei suoi compagni. Sophie conoscetalmente bene il valore della libertà che non vuole barattarein nessun modo la sua, cosa questa che mette in imbarazzolo stesso Mohr, non abituato a tanto sacrificio personale.Sophie rifiuta così un potere che richiede come prova difedeltà il tradimento del fratello, un potere che vuolerecidere ogni legame dell’individuo con un altro, perchéchiede che l’individuo sia legato solo a sé. Ogni altrolegame, in quanto legame, è sovversivo per quel tipo dipotere. E perciò va reciso, eliminato. Dice ancora Sophie:“Anche se non capisco molto di politica, e non ho nemmenol’ambizione di capirla, tuttavia possiedo un pochino ilsenso di cosa è giusto e di che cosa è ingiusto, perchéquesto non ha nulla a che fare con la politica e lanazionalità. E mi viene da piangere, per come sono crudeligli uomini nella grande politica, come tradiscono i loro

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Senz’armi di fronte a Hitlerla resistenza nonviolenta

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f ra t e l l i s o l o p e r a v e r n e u n v a n t a g g i o ”.Per arrivare ad amare la libertà bisogna combattere controtutto quello che può minarla, come ad esempiol’indifferenza, più terribile di qualsiasi forma di regimeperchè è l’indifferenza della massa che crea i regimi. Cosìscrive Sophie al fidanzato: “Basta che tu non diventi untenente arrogante e indifferente (Scusami!). Ma il pericolodi diventare indifferenti è grande. E se potessi, continuereisempre più a pungolarti contro l’indifferenza che potrebbeassalirti, e vorrei che i pensieri rivolti a me fossero unaspina costante contro l’indifferenza.” Questo è quello cheviene fuori in maniera forte nel film, ma se andiamo aleggere i sei volantini scritti e diffusi da La Rosa Bianca,vi troviamo elencate “le tecniche”, i mezzi nonviolenticonsigliati alla popolazione per opporsi al regime e minarlodalle fondamenta, cioé cominciando a togliergli consenso.Riportiamo qui sotto alcuni passaggi contenuti nel secondo,terzo e quarto volantino:“Molti, forse la maggior parte dei lettori di questi volantini,non sanno con esattezza in che modo potrebbero fareresistenza. Non ne vedono alcuna possibilità. Cercheremodi dimostrare loro che ciascuno può contribuire alla cadutadi questo regime. Non sarà certo possibile preparare ilterreno per il rovesciamento di questo "governo" , medianteuna resistenza individuale, da solitari amareggiati, etantomeno si potrà in tal modo affrettarne la caduta.Si può riuscire solo con la collaborazione di molti uominiconvinti ed attivi; uomini concordi circa i mezzi con i qualipotranno raggiungere il loro scopo. Non abbiamo grandipossibilità di scelta. Disponiamo di un mezzo solo: laresistenza passiva . Il senso e il fine della resistenza passivaconsistono nel far cadere il regime nazionalsocialista. Inquesta lotta non dobbiamo esitare davanti a nessunastrada, a nessuna azione; in qualunque campo si trovino.Sabotaggio quindi nell'industria bellica e nelle fabbricheimportanti per la guerra; sabotaggio di ogni adunata,manifestazione, festività, organizzazioni nate ad opera delpartito nazionalsocialista. Occorreimpedire il regolare funzionamento dellamacchina bellica (una macchina chelavora per la guerra che esclusivamentesi svolge per la salvezza e lac o n s e r v a z i o n e d e l p a r t i t onazionalsocialista e la sua dittatura).Sabotaggio in tutti quei settoriscientifici e culturali che svolgonoattività per la continuazione dellapresente guerra: sia nelle università chenelle scuole superiori, nei laboratori,negli istituti di ricerca, negli ufficitecnici.Sabotaggio in tutte le manifestazioniculturali che possono aumentare il prestigio dei fascistidi fronte al popolo. Sabotaggio in tutti i rami delle artifigurative che abbiano anche un minimo rapporto con ilnazionalsocialismo e che ad esso servono.Sabotaggio di tutte le pubblicazioni, di tutti i giornali che

siano al soldo del "governo", e che lottano per le sue ideee per la diffusione della menzogna bruna. Non date uncentesimo nelle collette stradali, anche quando essevengano fatte sotto il mantello di un'opera di beneficenza;questa è soltanto una mimetizzazione: in realtà il ricavatonon va né alla Croce Rossa né ai bisognosi.Non date nulla per le raccolte di metalli, tessuti o altro.Cercate di convincere tutti i conoscenti, anche quelli delleclassi meno elevate, della inutilità di continuare questaguerra, della sua mancanza di ogni prospettiva, dellaschiavitù spirituale e materiale determinata dalnazionalsocialismo , della distruzione di tutti i valori moralie religiosi, e di persuaderli alla resistenza passiva.Si tratta della lotta di ognuno di noi per il nostro futuro,per la nostra libertà ed il nostro onore, in uno stato chesia consapevole della sua responsabilità morale.“Come si vede nei testi dei volantini, ciò che la Rosa Biancachiede è quello di indebolire il regimecolpendolo nei suoi interessi vitali:l’economia e il consenso cioè l’appoggiodei cittadini. Per questo il processo e lacondanna a morte dei tre ragazzi è cosìspettacolare, teatrale nel film, comed’altronde lo è stato nella realtà. Il regimecondannando i tre giovani alla ghigliottinadimostrava a voce alta a tutti i giovanidella nazione tedesca, ancora una voltala sua superiorità e la sua arroganza chedistrugge sul nascere i tentativi di critica,di non ubbidienza al potere, ridicolizzandoli prima e poiassassinandoli. Sophie, Hans e gli altri compagni sapevanoche le cose potevano andare così? Si, lo sapevano. Hannorischiato consapevolmente. Ma in loro il bisogno di svegliarela gente, gli altri giovani universitari di fronte ad unacatastrofe mondiale di cui “vergognarsi per il resto dellavita del mondo” ha prevalso su ogni possibilità di salvarematerialmente se stessi.

Marc Rothemund è nato nel 1968 e inizia la sua carriera professionalecome assistente all regia di Helmut Dietl (per Rossini), Bernd Eichwiger(per Das Madchen Rosemarie), Dominik Graf (per Sperling) e diGerard Corbiau (per Farinelli). Nel 1998 riceve il Bavarian Film Prizecome Miglior Regista Esordiente per il suo primo film Scene d’amoresul pianeta terra. Accolto da un vastissimo pubblico, il suo secondolungometraggio Harte Jungs è stato uno dei film di maggior successonel 1999. Il giallo per la televisione dal titolo Das Duo Der Liebhaber!ha ricevuto il VFF TV Movie Award nel 2003. Con La Rosa Bianca –Sophie Scholl vince il Festival di Berlino, 2005 e viene candidato agliOscar come Miglior Film Straniero.

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Il regista

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Intervista al regista

(tratta da filmfilm.it)

Cos’è cambiato in sessanta anni da consentire alla nuovagenerazione di registi di affrontare le tematiche del nazismoe d e l l a s e c o n d a g u e r r a m o n d i a l e ?Non dobbiamo dimenticare tre importantissimi film tedeschiche parlano del nazismo: Die Burke del 1950, Il tamburo dilatta del 1979 che ha vinto un oscar e La rosa bianca del 1981.Quest’ultimo descrive le vicende del gruppo e termina con illoro arresto. Dopo la seconda guerra mondiale i tedeschi sonos t a t i mo l t o o c cupa t i c on l a r i c o s t ru z i one .Nel 1981 il governo era fortemente contrario alla diffusionedel film che riapriva problematiche che in quel momento laGermania voleva lasciare alle proprie spalle. All’epoca il registaMichael Verhoeven è andato comunque avanti con il suoprogetto ed ha realizzato il film.Ora abbiamo una nuova generazione di cineasti interessati allestorie dei loro nonni. Dopo la Seconda Guerra Mondiale nonhanno parlato di queste cose, ma adesso, la nostra generazione,pone delle questioni, essendo gli ultimi che possono porredomande dirette a testimoni dell’epoca. Nel 2004 abbiamoricevuto un grande supporto per realizzare questo film. Noiregisti nuovi non abbiamo nessun senso di colpa nei confrontidella storia, ma abbiamo la volontà di fare film emozionali chestimolino la riflessione. Spero che anche le prossime generazioniaffrontino il tema, traendo, come possono fare gli italiani,lezioni dal passato, applicabili nel futuro.

Quanto pesa il passato della Seconda Guerra e cosa nepensa dell’ipotesi di santificazione di Sophie Scholl?Un passato che significa cinquanta milioni di morti, è moltodifficile da superare. Il gruppo della Rosa bianca è quello piùimportante della resistenza tedesca. Ci sono centonovantascuole che portano questo nome. Quando hanno commemoratoi sessanta anni dalla morte di Sophie Scholl, ho saputo chec’erano dei verbali inediti che raccontavano gli ultimi giornidella ragazza quasi minuto per minuto. Da questi scopriamola sua umanità, il suo combattere per la vita e il suo progressivoconvincimento nei confronti della resistenza. Per quantoriguarda la santificazione, preferisco rappresentarla come unadonna civilmente impegnata con un carattere molto forte edeterminata a resistere.

Come mai in I ta l i apochissimi conoscono laRosa bianca, e in checontesto si inserisce questogruppo nella resistenzagenerale?Per otto mesi ho accompa-gnato questo film in giro peril mondo. Ho saputo daglistudenti che c’è così tanto da dire sui crimini efferati, su Hitlere altri gerarchi che non rimane tempo per approfondire i temidella resistenza. A sessantanni dalla fine della guerra, è orache all’estero sappiano che anche dei tedeschi hanno resistitoperdendo la vita. Per me questo è la formula di resistenza piùimportante perché è partita dai giovani. Ci furono altri tipi diresistenza, religiosa, militare, ma in questa dei giovani, i ragazzihanno lottato per i diritti umani.Monaco fu bombardata dagli alleati nell’agosto 1942. Nelgennaio 1943 il governo ha riconosciuto che il fronte orientaleera perso. I componenti del gruppo pensavano che la fine dellaguerra si stesse avvicinando. Credevano che anche gli altristudenti potessero condividere questa speranza. Invece neglistudentati quantunque la guerra andasse male, invitavano leragazze a fare figli per la patria, piuttosto che studiare. Ilgruppo della Rosa Bianca assunse i rischi nella speranza diaccelerare la fine della guerra, non potevano sapere che sarebbedurata ancora molto.

Il linguaggio dei volantini ricorda quellodelle madri-coraggio che chiedono il ritirodall’Iraq.presenti nei volantini, sono le richieste dilibera informazione ed espressione, ladignità della persona.gruppo è emozionale, per aprire gli occhialle persone facendo leva sui sentimenti.I membri del gruppo avevano delle grandisperanze. Non immaginavano che la guerrasi sarebbe protratta così a lungo e che lepersone, per esempio i l bidel lo

dell’università,gli sarebberoandati contro,denunciandol a l o r odistribuzionedi volantini.Per quantoriguarda me,non ho fatto ilf i lm per i lpopolo tedesco

ma per assecondare la mia curiosità per il lato umano di eroidella resistenza, giovani impegnati per cambiare il mondo.In seguito alla riunificazione i problemi economici sonoaumentati. I gruppi vicini alla destra estrema, che rialimentaidee naziste sono vicini al quindici per cento tra i giovani.Sophie Scholl è stato un grande successo della passata stagionein Germania. Il film non invita solo a fare un confronto storico,ma pone delle domande ai giovani di oggi a proposito dellaloro capacità di reagire nei confronti del potere.

E’ sicuro che il suo sia un cinema emozionale, sembra moltopolitico?Negli anni settanta ottanta era più facile raggiungere le personeattraverso gli slogan politici, oggi abbiamo bisogno di trasmettereemozioni per poter arrivare alle nuove generazioni. Primaeravamo anche più legati al periodo della guerra, mentre orache ne siamo più discosti, l’emozione può colmare questadistanza. Nel film dell’ottantuno, all’attrice fu espressamentevietato di versare una lacrima, mentre nel nostro la protagonistapiange. La differenza mi sembra emblematica del passaggiodel tempo.

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• Che cos’è stato La Rosa Bianca?• In che contesto storico è nato? Qual era il suo scopo?• Come mai Sophie fa cadere i volantini nell’atrio dell’Università col rischiodi essere scoperta?• Quali sono le fasi essenziali dell’interrogatorio di Sophie? Come si difende?Cosa chiede alla fine il nazista Mohr per darle una possibilità di salvarsi?• Perché Sophie rifiuta l’offerta di Mohr?• Attraverso l’interrogatorio, il processo e in altre parti del film, Sophie esuo fratello Hans dicono cose che rivolgono direttamente al popolo tedescopiù che agli uomini della Gestapo. Cosa ricordi in particolare delle loroparole? Cosa ti ha colpito maggiormente del loro modo di pensare e di fare?• Nel film si parla di resistenza passiva o nonviolenta. Che idea ti sei fatto?Ti sembra utile o controproducente? Attraverso quali azioni si manifesta laresistenza passiva proposta da La Rosa Bianca? Conosci altri esempi dellastoria anche recente in cui siano state messe in atto azioni di lotta di questotipo? Confrontati con i tuoi compagni.• Quale scena del film ti ha particolarmente emozionato? Descrivila e poiparla liberamente delle emozioni che hai provato. Confrontati poi con ilresto della classe.

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Salvatore, tra fiaba e realtà

Il film si ispira a una storia realmente accaduta. Eppure è ancheuna fiaba. Una fiaba, potremmo dire, che prende spunto dallarealtà. Perché non è difficile nel Sud d’Italia incontrare ragazzinicome Salvatore. Di quale ragazzini stiamo parlando? Di quelli cherinunciano alla scuola sin dalla tenera età per lavorare qua e là perguadagnare quel poco che serve a sopravvivere. Da una delle ultimeindagini (che risale al 2004) realizzate dai sindacati in Italia risultache il numero dei minorenni che lavorano e non frequentano lascuola o la frequentano saltuariamente è di circa 114.000 unità.Una buona parte di questi numeri riguardano minori stranieri(provenienti in particolare dall’Europa dell’Est o Rom). Questi minorisono concentrati soprattutto al Centro e nel Nord d’Italia, maun’altra buona parte riguarda bambini italiani, che a loro voltavivono in condizioni sociali ed economiche molto precarie. Questiultimi sono concentrati soprattutto nel Sud d’Italia. Il caso diSalvatore rientra proprio in queste ultime statistiche. L’essere orfanospinge Salvatore, che è l’unico maschio di casa, a rimboccarsi le

maniche e a fare qualsiasi tipo di lavoro: l’importanteè dare da mangiare a chi rimane a casa. Potremmo direche Salvatore, tutto sommato, si trova a suo agio inquello che fa, perché anche il lavoro è una scuola divita. Salvatore si sente infatti, come dice il suo stesso

nome, la persona destinata a “salvare” la famiglia lavorando. Perciòè di quelli che crede che sia meglio imparare un mestiere piuttostoche andare a scuola e magari prendersi qualche sospensione (comesostengono molti genitori). Questi sono discorsi che si fannosolamente guardando all’emergenza del problema. Cioè, se nellafamiglia di Salvatore non c’è neanche il cibo per sopravvivere, èpersino “normale” che lui vada a lavorare anziché a scuola. Ciò chenon è normale però è il fatto che Salvatore sia costretto ad andarea lavorare, che non abbia altra scelta. A Salvatore, come per moltibambini, anche in Italia dove c’è una delle migliori legislazioni afavore dell’infanzia, manca una rete di protezione che gli dia lapossibilità di vivere (e non di sopravvivere), che gli dia la possibilitàdi godere dei suoi diritti (Salvatore ha diritto a giocare, a divertirsi,a studiare), che gli dia la possibilità domani di scegliere se continuarea studiare o andare a lavorare. Invece il Salvatore che conosciamonel film, e i mille Salvatore che conosciamo fuori dalla salacinematografica, è già predisposto e rassegnato a vivere una vitaabbastanza sacrificata. Una vita dove la persona diventa una speciedi oggetto, perdendo così parte della propria umanità: diventa cioèuna macchina fatta soltanto per produrre e per stare alle dipendenze

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Regia e Soggetto: Gian Paolo Cugno; Sceneggiatura: GianPaolo Cugno e Paolo Di Reda con la collaborazione di PaulZonderland; Scenografia: Paolo Innocenzi; Fotografia:Gino Sgreva; Montaggio: Ugo De Rossi; Musiche: PaoloVivaldi, la canzone dei titoli di coda “Come il soleall’improvviso” di Gino Paolo e Zucchero è cantata da LauraPausini; Attori e interpreti principali: Enrico Lo Verso(Marco Brioni, il maestro), Galatea Ranzi (Laura Valvo –l’assistente sociale), Giancarlo Giannini (Timpaliscia – ilgrossista di ortofrutta), Gabriele Lavia (direttore scuola),Lucia Sardo (la nonna Maria), Alessandro Mailla (Salvatore),Ernesto Mahieux (il bidello), Maurizio Nicolosi (il padre);Origine: Italia, 2006; Durata: 90 minuti.

Marco Brioni è un giovane maestro di scuola elementare che lavora evive a Roma. Accetta di trasferirsi per un anno in un paesino della Siciliaper insegnare nella scuola locale. Qui conosce il piccolo Salvatore, unbambino che, a causa di problemi familiari, non può frequentare lascuola. Orfano di entrambi i genitori, Salvatore vive infatti in una piccolacasa in riva al mare con la nonna e la sorellina e provvede al lorosostentamento lavorando nella serra di pomodori che fu del padre epescando nel mare davanti casa. Il maestro prende a cuore la suasituazione e cerca di aiutarlo, facendogli lezioni a domicilio. In pocotempo, i due diventano inseparabili.

Noi siamo il presente, la nostra voce è il futuro(dalla Dichiarazione del Movimento Mondiale dei

Bambini Lavoratori)

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del padrone di turno. Da questo punto di vista la scena incui vediamo un bianco cavalluccio di legno arenato sullaspiaggia siciliana rappresenta un'infanzia andata alla derivae abbandonata al proprio destino.

Da Danilo Dolci a Marco Brioni:maestri di vita

Ci sono situazioni nel nostro Paese in cui l’infanzia el’adolescenza sono considerate fasi in cui è necessariaancora la sottomissione, come se i bambini, i ragazzininon fossero in grado di pensare, di provare emozioni, didesiderare una vita diversa. Un ambiente socio-culturalecome questo produce bambini e adolescenti che, anchein fase adulta, non sono in grado di esprimereeffettivamente i propri bisogni e non sono in grado diesprimere desideri o tanto meno di realizzare sognipersonali. Sono coloro che, più di tutti gli altri, finisconoper dipendere dalle mode (da oggetti, dall’abbigliamento

e in generale dai prodotti destinati alconsumo) spesso con la frustrazionedi non poterli avere non essendociadeguate disponibilità economiche. Lamancanza di diritti e la mancanza difigure di adulti di riferimento, cheaiutino certi bambini e ragazzini aprendere coscienza di se stessi, sonoil terreno fertile per l’ignoranza e ladipendenza, e quindi creano personenon libere. Questo l’aveva capito moltobene Danilo Dolci, il grande pedagogo

e maestro di nonviolenza, che dalla sua città natale, Sesanain provincia di Treviso, negli anni ’50 si era trasferito nellaprovincia palermitana, prima a Trappeto, poi a Partinico,dove ha vissuto fino alla sua morte. Dolci scopre che esisteuna Sicilia poverissima in cui la gente è stata tenuta nellapiù buia ignoranza affinché non sapesse leggere e scriveree non prendesse coscienza dei propri diritti e doveri dipersona e cittadino. L’atteggiamento che ha avuto Dolcinei confronti dei bambini, degli adolescenti, delle donnee degli anziani della zona era stato proprio quello di dar

loro la possibilità di uno spaziocollettivo di confronto grazie alquale potessero per la prima voltascoprire la libertà individuale ecominciare a chiedere alle Istituzioniservizi di cui avevano pieno diritto

e invece non venivano loro offerti. Ed è quello che faràmolti anni dopo anche Don Pino Puglisi a Brancaccio,quartiere alla periferia di Palermo, quando comincia aparlare ai bambini e ai ragazzi invitandoli ad interrogarsisulle loro precarie e inaccettabili condizioni di non-vitae ignoranza. In un certo senso il maestro del film, MarcoBrioni, si pone su questa scia: anche se la sua non è unamissione sociale vera e propria, ma le sue azioni sonomosse da un sano istinto affettivo che lo porta a coglierel’assurdità di ciò che vede. Il suo cognome esprime moltobene il senso delle sue azioni: è una persona che ha “brio”e perciò è in grado di dare “brio”. Come nel film Diario diun maestro, tratto dal romanzo Un anno a Pietralata diAlbino Bernardi, dove il maestro riporta personalmente ascuola i ragazzi del quartiere Tiburtino di Roma, o comenel film Non uno di meno, in cui la giovanissima maestra

di uno sperdutovillaggio cinese vaa cercare fino nellagrande città doveera costretto alavorare l’unicobambino che lemancava in classe.Così il maestroMarco Brioni non sidà pace sapendo

Salvatore assente in classe e costretto a lavorare. La suacoscienza di maestro e di cittadino lo porta a rivedere isuoi tempi e i suoi obblighi burocratici. Anzi va oltre ciòche il suo ruolo gli impone: fa quello che avrebbe fattoDon Milani. Va oltre i suoi doveri burocratici per seguirei suoi doveri etici. Ascolta ciò che gli chiede la sua coscienzae il suo senso di responsabilità. Così Marco va a fare ilmaestro lì dove si trova Salvatore. Quindi trasforma la suastessa aula scolastica, la allarga oltre i confini murari dellascuola fino a comprendere la casa di Salvatore, dove afine lavoro va a dargli qualche lezione. La testardagginedi Marco non è un atto eroico o un incosciente abuso chepuò mettere a rischio il suo stesso posto di lavoro, comeviene fuori dal confronto con l’assistente sociale. E’ invecela conseguenza pratica del sentirsi persona prima ancorache insegnante: un educatore a tempo pieno, che va oltrel’orario scolastico. Se della sua classe fa parte anche

Salvatore, e se Salvatore non va ascuola, tocca alla scuola andare daSalvatore, almeno per tentare dicapire cosa è possibile fare. Nessunbambino o ragazzino, specie in etàdi obbligo scolastico, può essereabbandonato a se stesso. Ancheperché un bambino non è in gradodi scegliere serenamente cosa faredella propria vita. Le sue scelte sonosempre fortemente condizionate

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dall’ambiente in cui vive. Allora è giusto e necessarioprospettargli altre possibilità, altre scelte. Se la scuolae lo Stato non si rendono veramente disponibili inquesto senso, di figli continuerà a perderne tantisenza neanche più porsi il problema. Marco Brionisi trova di fronte a una realtà che va al di là di ognisua aspettativa. Avrebbe potuto lasciar perdere,perché tanto un giorno sarebbe ritornato nella suacittà, e invece si tuffa nella nuova realtà, attraversola figura di Salvatore. Così ci fa scoprire che di frontea certe questioni, vale sempre la pena di non fermarsialle leggi e alla burocrazia. Che la nostra coscienzae il nostro sguardo possono molto di più, senza perquesto avere la pretesa di salvare nessuno (soloSalvatore può “salvare” se stesso e non solo la suafamiglia, se imparerà, grazie all’aiuto anche di unmaestro come Marco, a porsi le domande giuste eagire di conseguenza). Il compito, da educatore, diMarco è quello di stimolare in Salvatore domandenuove. A Salvatore e in generale a chi, senzanemmeno rendersene conto, ha sacrificato la propriainfanzia e con essa la libertà più intima. A questoriguardo occorre ricordare quanto scrisse DaniloDolci: “Un cambiamento non avviene senza forzenuove, ma queste non nascono e non crescono se lagente non si sveglia a riconoscere i propri interessie i propri bisogni”.

Gian Paolo Cugno ha pubblicato due romanzi, Passi nel buio(1994) e La donna di nessuno (1997), prima di passaredietro la macchina da presa. Ha realizzato vari documentarisulle città d'arte italiane, è stato assistente alla regia dinumerosi film girati in Sicilia ed ha ideato e diretto, nel2001 e 2002, il Festival Internazionale del Cinema di Frontiera.Nel 2003, ha diretto il cortometraggio Il volto di mia madre.

“Questa storia rappresentava per meuna sorta di ossessione. Dovevo iniziarele riprese di un thriller, soltanto che –ad un certo punto – queste sono staterimandate, come accade spesso,all’ultimo momento. Io, nel frattempo,ho deciso di scrivere la storia di Salvatore. Non pensavosarebbe mai diventato un film ma – in quel momento –sapevo di doverlo fare. Non per gli altri. Per me. Così hobuttato giù la sceneggiatura. Chiunque la leggesse nerimaneva molto colpito. A quel punto ho iniziato a pensareche sarebbe potuto diventare un film interessante.”

“Alessandro Mailla, il bambino che interpreta Salvatore, hauna famiglia che lo adora e che lo segue, va a scuola e viveuna vita come tutti i bambini della sua età. Al tempo stesso,però, aiuta la famiglia con piccoli lavoretti che gli hannoconsentito di acquisire quella manualità naturale che nessunopotrà mai imparare per un film. Quando dovevamo girare lascena del cimitero in cui Salvatore scappa dall’assistente socialeper andare sulla tomba dei genitori, Alessandro mi ha chiestose potevamo utilizzare la tomba di suo nonno cui era legatissimoe che è scomparso non molto tempo fa. È lui che oggi si occupadi pulire la tomba, cambiare i fiori e controllare che tutto siaapposto. Così mi ha chiesto di cambiare la location della ripresa.Fortunatamente il punto dove era situata ci consentiva dieffettuare la ripresa così come l’avevamo immaginata nelloscript.La sua interpretazione è decisamente magnifica, perché credoche emotivamente sia riuscito a identificarsi in maniera moltoforte con Salvatore.”

“Il mio film parla di una Sicilia moltoattuale, ma al tempo stesso anche antica.Un luogo in cui tradizione e modernitàcoesistono, dove si ripetono gesti cheappartengono a secoli fa e – al tempo

stesso – si utilizza in maniera intensiva la tecnologia di Internete il wireless”.

...l’attore Enrico Lo Verso (il maestro diSalvatore)

“Quella dove abbiamo girato è una Sicilia molto particolare: ilpunto più a Sud dell’intera Europa, l’incontro tra i due mari, ilpunto di sintesi tra la cultura greca e quella araba...un luogomagico, misterioso che con le sue atmosfere, i suoi colori, i suoiodori e i suoi sapori ricorda un’idea di India con le sue suggestionie la sua grandissima forza evocativa. Per tutto il tempo delleriprese, il regista teneva molto a che questi colori, odori, saporiarrivassero anche al pubblico.”

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• Il film, tratto da una storia vera, ha anche elementi fiabeschi. Prova ad indicare qualisono gli elementi e i personaggi strettamente realistici e quali sono quelli che inveceti sono sembrati più fiabeschi.• Fai un ritratto di Salvatore indicando carattere, modi di fare, persone con cui vive,l’ambiente in cui si muove, le cose che sa fare. Poi fai la stessa cosa parlando di te.Ci sono elementi in comune o siete totalmente diversi?• Descrivi l’incontro e il rapporto tra Marco Brioni e Salvatore. Cosa ti ha colpitomaggiormente della loro storia?• In cosa l’assistente sociale non concorda rispetto all’operato di Marco? Tu sei d’accordocon quanto sostiene l’assistente sociale o ti senti più vicino all’insegnante Marco?• Cosa vuole Marco da Salvatore? E cosa ne guadagna alla fine Salvatore dall’incontrocon Marco?• Indica gli altri personaggi del film (dalla sorella, al direttore della scuola, a Timpaliscia,

al bidello, ecc...) che importanza hanno nella vita di Salvatoree che funzione hanno nella storia?• Che immagine della Sicilia viene fuori da questo film? E’ quellache conoscevi già o ti ha dato impressioni nuove?• Ci sono nella tua classe o nella tua scuola alunni che oltre avenire a scuola lavorano o che a scuola non vengono per lavorare?Se la risposta è positiva potrebbe essere interessante ascoltarliun pò.• Lo sapevi che nel 1996 a Kandapur in India è nato il MovimentoMondiale dei Bambini Lavoratori, oggi costituito da 115rappresentanti tra gli 8 e i 16 anni, provenienti soprattuttodall’Africa, dall’Asia centrale e dall’America Latina? QuestoMovimento si incontra ogni due anni in varie città europee,ha pubblicato una Carta dei Diritti dei Bambini Lavoratori epromuove un sacco di iniziative interessanti.Se vuoi sapere qualcosa di più puoi consultare il sito italianowww.italianats.org

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Lo sguardo trasformato

Cosa vuol dire innamorarsi per la prima volta? A undici anni?Il regista Mark Levin più che dare delle risposte, recupera nel suopersonale passato quella che è stata la sua prima esperienza diinnamoramento e ce la mostra in questo film, che è anche il suoprimo lungometraggio. Ciò che ci fa vedere in particolare è comele cose cambiano ai nostri occhi se solo siamo innamorati, comeaccade al piccolo Gabe che fino a un certo punto sembra tranquillo,per quanto a tratti annoiato ma comunque ben protetto, nel suotran tran quotidiano fatto di scuola, giri per il quartiere con ilmonopattino, videogiochi, tv, chiacchierate con i compagnirigorosamente di sesso maschile perché “le ragazze hanno i pidocchie sono esseri ripugnanti da tenere a distanza”. E poi, all’improvviso,un giorno quelle stesse ragazze diventano le creature più adorabilidella terra, senza le quali la giornata sarebbe invivibile. Questastraordinaria trasformazione dello sguardo è accompagnata da unaserie di “fenomeni” che sorprendono Gabe, come una eccessivasudorazione alle mani, l’ansia per l’attesa di una telefonata da partedi Rosemary, la gelosia per il nuovo compagno di karate, la felicitàper l’invito a casa, il batticuore e il “solletico” allo stomaco per il

primo bacio, la tristezza per la sua partenza.Parallelamente è tutta la vita di Gabe che si scompone:improvvisamente gli amici diventano noiosi, i genitori opprimenti,i calci di precisione meno interessanti. Gabe vive per le lezioni dikarate, dove fa coppia con Rosemary, e per gli allenamenti che facon lei, che gli consentono di avere con la ragazzina un contattofisico. Innamorarsi è come ritrovarsi sotto l’effetto di un incantesimo:il mondo è pieno di cose meravigliose, che non erano mai statenotate; è come se fosse sempre primavera, con il cielo azzurro eil sole ben alto e caldo.La stessa città, il quartiere in cui Gabe è vissuto fino ad allora,appaiono diversi ai suoi occhi: non più il luogo in cui scivolarevelocemente sul monopattino ma un sentiero in cui cercare sguardi,odori, colori che in qualche modo possano condurlo alla personaamata. Gabe cambia il modo di vestire, di pettinarsi, il modo divivere la propria casa, che non è più il luogo in cui rifugiarsi aguardare il televisore sopportando a malapena i suoi genitori, mala tana in cui imparare ad ascoltarsi.Insomma...innamorarsi, dice Gabe, è entrare in una relazione nuovacon il mondo, a qualsiasi età. Una relazione che accentua la nostrasensibilità e ci fa sentire in forte comunicazione con un’altra personaper la quale siamo disponibili a fare qualsiasi cosa pur di averlaaccanto a noi. Certo ci sono anche i risvolti negativi, ci dice ancora

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Dio mio cosa mi sta accadendo?Cos’è questo strano dolore che mi prende lo stomaco?Chi è questa meravigliosa creatura che mi sta di fronte?(battuta di Gabe, nel film)

Gabe è un ragazzo di 11 anni che vive nell’Upper West Side di Manhattancon il padre Adam e la madre Leslie. I due genitori sono separati da unanno e mezzo ma condividono ancora la stessa casa. A Gabe hannoconcesso di poter giocare nel quartiere, rimanendo però in un raggio dinove isolati e al ragazzo piace andare in giro con gli amici. Tutti lorocredono che chiunque venga toccato da una ragazza finirà per prenderei pidocchi. Ma la vita di Gabe cambia quando incontra al corso di karateRosemary, una bambina con la quale andava all’asilo. Adesso lei è più altadi lui, molto graziosa e molto brava con il karate. Gabe si ritrova con ilcuore in tumulto, sempre sudato e incapace di parlare. Non gli resta checercare di starle il più vicino possibile allenandosi insieme a lei.

Regia: Mark Levin; Sceneggiatura: Jennifer Flackett; Direttoredella fotografia: Tim Orr; Montaggio: Alan Edward Bell;Scenografia: Stuart Wurtzel; Costumi: Kasia Walicka Maimone;Musica: Chad Fisher; Attori e interpreti principali: JoshHutcherson (Gabe), Charlie Ray (Rosemary), Bradley Whitford(Adam), Cynthia Nixon (Leslie), Willie Garson (Ralph);Produzione: Twenty Century Fox; Origine: U.S.A.; Anno: 2006;Durata: 84 minuti.

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Gabe, come ad esempio, la scoperta un giorno, che lapersona amata non ci ama più o che si sta allontanandoda noi. Ma questa è un’altra storia.Forse da grande Gabe non ricorderà più quell'estate, gliamici con cui giocava a basket, ma per sempre, finchévivrà, ricorderà la prima persona che gli ha fatto scoprirele meraviglie del batticuore e delle farfalle nello stomaco.

Il presente illuminato

Innamorarsi a Manhattan come abbiamo già detto, è unfilm sull’innamoramento quindi su cosa ci succede,fisicamente ed emotivamente quando scopriamo che siamofortemente attratti da un’altra persona e soprattutto sullapossibilità che ognuno di noi ha di trasformare, cambiarela realtà se la guardiamo con sentimenti forti come l’amore.Cosa vuol dire trasformare la realtà? Il film, in manieramolto semplice ci mostra ad esempio come cambiano leabitudini di Gabe, i suoi interessi, il suo modo di vederei propri genitori. Tutte queste piccole trasformazioniavvengono non perché cambia la realtà delle cose (cheresta perfettamente la stessa) ma perché cambia il nostromodo di guardare la realtà e quindi di sentirla e di viverla.E’ come dire che in fondo la realtà oggettiva non esistema esiste la realtà che ognuno di noi vede e vive. Questoè straordinario perché vuol dire che ognuno di noi puòfare molto per cambiare abitudini, comportamenti,situazioni che non ci piacciono. Gabe dimostra che non èil bambino un po’ passivo e sottomesso che vediamo quae là nel film ma una giovane persona in grado di darevoce ai propri sentimenti. Dare voce alle proprie emozionisignifica entrare in una relazione vera con altre persone,significa sentire l’umanità dell’altro (positiva o negativaquesto non è importante), significa sentire sempre il propriobattito e quello di chi ci sta vicino. Insomma significa esserevivi. Immaginiamo se questo straordinario potere di cambiare

la realtà lo usassimo più spesso. Quante cose non daremmopiù per scontate, quanto saremmo meno passivi e piùpartecipi della vita, sempre nei limiti del rispetto degli altriovviamente! L’innamoramento che seguiamo nel film nonè altro che una unità di misura, quella che ci viene forsepiù facile da capire e accettare, delle possibilità che abbiamodi amare. Dove “amare” significa essenzialmente romperedegli schemi rigidi, vecchi, ripetitivi per ampliare la propriaumanità e arricchirla di sfumature emotive. E’ interessanteche il regista abbia scelto dell’amore proprio la fasedell’innamoramento, che è poi quella che generalmenteresta più a lungo nei nostri ricordi proprio perché è sinonimodi scoperta, conoscenza, sconfinamento, è l’artedell’avvicinamento all’altro, anzi alla bellezza dell’altromettendo in gioco il meglio di noi stessi. L’innamoramentocoincide con una fase di passaggio nella vita di una persona,piccola o grande che sia, come se fosse simbolicamentel’inizio di una nuova vita. L’innamoramento è una fasesegnata dal mutamento, è uno slancio verso il futuro e nelfilm è vissuto anche simbolicamente, cioè come la possibilitàche ci diamo di essere felici.

Voci fuori campo

Possiamo individuare tre “voci fuori campo” nel film.La prima è quella di Gabe che sentiamo scandire esottolineare i vari passaggi della sua storia come se stesseleggendo il suo diario. E come in ogni diario, prevale iltono sentimentale. La seconda voce fuori campo (nel sensoimproprio del termine perché nel film non è utilizzatatecnicamente come voce fuori campo) è quella dei genitoridi Gabe. Diciamo “fuori campo” perché sembra che vivanouna realtà diversa e distante da quella che vive Gabe, quindicome se fossero voci fuori dai bisogni del loro piccolo. Isuoi genitori infatti sono ormai separati, tanto che la madreha un altro compagno di vita, ma per la legge americana

finché la separazione non è definitivamente formalizzata,i genitori devono vivere nella stessa casa. Il rapporto distantefra i due genitori è ben evidenziato nelle sequenze chemostrano il cibo nel frigorifero con tanto di etichette sucui è riportato il nome di ognuno, sottolineando la mancanzadi condivisione fra i due. Ed è bello scoprire che in Gabenon sta crescendo un certo rifiuto o disillusione delladimensione famigliare ma al contrario la sua giovane età,la sua piena apertura verso il mondo e il futuro lo porta

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a vedere il punto critico del rapporto fra i suoi genitori e aindividuarne anche una soluzione. Gabe infatti, grazie alfatto che sta imparando ad ascoltarsi, intuisce che i suoihanno smesso di parlarsi con il cuore ormai da anni e chequesti loro silenzi, portati avanti per abitudine e per mancanzadi coraggio, sono diventati muri. Gabe scopre la bellezzadella parola d’amore detta, comunicata, condivisa. Che puòessere anche una parola di dolore ma se le parole restanodentro rischiano di diventare pietre, se invece sono condivisearricchiscono la vita delle persone. Gabe riesce, con la suavoglia di assaporare la vita, a dare voce anche a suo padre,a spingerlo ad avere una comunicazione vera con la sua exmoglie ma non per tornare ad essere marito e moglie maper darsi la libertà di essere se stesso e di recuperare la suaumanità. Esprimere i propri sentimenti è infatti una grandeforma di libertà e di rispetto verso se stessi innanzitutto echi impara a rispettare se stesso, rispetta solitamente anchegli altri. La terza voce fuori campo presente nel film èl’elemento scenografico, cioè la città di Manhattan, che èil cuore di New York. Il regista ci mostra una città bella,luccicante, pulita, serena non solo perché così la vede Gabema anche perché così vorrebbe conservarla il regista nellasua memoria. A Manhattan Mark Levin si è innamorato perla prima volta quando era ancora unbambino e la sceneggiatura di questofilm l’ ha scritta insieme a sua moglie,Jennifer Flackett. In più a Manhattansono stati girati diversi film che sonograndi storie d’amore. Se la città diNew York rappresenta gli Stati Unitid’America e Manhattan rappresental’amore, è chiaro che il richiamo chefa il regista è quello che questa partedi mondo possa tenere e svilupparedentro di sé proprio tutto quel tumultoemotivo che ha provato in piccolo Gabe,per essere una città veramente apertae che va verso l’altro senza pregiudizio,con la voglia di “conquistare” l’altro nel senso di amarlo.Aldo Capitini, che è stato un grande maestro della nonviolenza,chiamerebbe tutto questo “l’apertura al tu” che è la capacitàcreativa di sorridere all’altro, di includerlo anziché escluderlo.Esattamente come si fa quando si è innamorati.

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Innamorarsi a Manhattan è il primolungometraggio di Mark Levin cheprecedentemente ha lavorato comeproduttore e sceneggiatore per la TVamericana e per il cinema.

• Prova a riassumere il film, mettendo in evidenza i passaggi più importanti.• Fai un breve ritratto di Gabe, descrivendo il suo carattere, e quelli cheper te sono i suoi lati positivi e negativi. Fai poi la stessa cosa per Rosemary.Chi dei due ti assomiglia di più? In cosa?• Descrivi il rapporto tra la mamma e il papà di Gabe. Come lo vive Gabe?Tu cosa ne pensi?• Con un’immagine di fantasia prova a descrivere come cambia il mondoagli occhi di Gabe man mano che si accorge di essersi innamorato.• Che idea aveva Gabe delle ragazze, prima di conoscere Rosemary? Chene pensi?• Su un foglio scrivi velocemente tutto quello che ti viene in menterispetto alla parola “innamoramento” (puoi scrivere nomi, cose, colori,sentimenti, emozioni, frasi, versi di canzoni, ecc...). Confronta poi il tuolavoro con quello dei tuoi compagni di classe. Successivamente fate unconfronto con quanto ha espresso il regista nel film.• Cosa consiglia a un certo punto Gabe a suo padre per vivere diversamenteil suo rapporto con la ex moglie? Sei d’accordo con quello che suggerisceGabe? E tu esprimi facilmente i tuoi pensieri? Comunichi solitamente letue emozioni?• C’è una frase o un gesto o uno sguardo o una sequenza del film che tiha particolarmente colpito? Scrivila o disegnala o mettila in scena. Chesensazioni provi?• Come mai nel film viene usata la voce fuori campo? Qual è la suafunzione?• Dalla storia che hai visto, quali comportamenti definiresti nonviolenti?Confrontati con i tuoi compagni di classe.

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Tre regole elementari

Ad un film chiediamo essenzialmente tre cose. In primo luogoche dia spazio sullo schermo agli esseri viventi. Usiamo l’espressione“esseri viventi” anziché “esseri umani” per porre l’accento sul concettodi “vivente”. E dunque sul concetto di vita, come valore assoluto eprincipio attivo della condizione umana. Come seconda cosachiediamo che ogni inquadratura sia in grado di contenere unmessaggio coerente e dunque che possa durare quanto bastaaffinché questo messaggio sia compreso dallo spettatore. Lo stessoritmo del film, dato dal succedersi di più inquadrature di sensocompiuto, dovrà obbedire a questa esigenza di comprensione. Laterza cosa riguarda invece la posizione che lo spettatore deveassumere rispetto alla vicenda rappresentata: il film deve mettercinella migliore posizione possibile. Deve cioè farci stare dalla partepiù giusta.

I protagonisti come esseri “viventi”

Proviamo a vedere in che modo Paradise Now, proprioperché affronta una questione drammatica e complessacome quella del conflitto israeliano-palestinese, offre

una risposta adeguata a queste tre richieste. A prima vista puòsembrare equivoca e non condivisibile la scelta di concentrarsi sudue personaggi precisi: due aspiranti “martiri” palestinesi, decisi asacrificare la propria vita per distruggerne altre in territorio israelianocredendo che questo apra loro le porte del Paradiso. Ma è correttodire che l’autore del film in questo modo ci fa conoscere solo ilpunto di vista palestinese del conflitto in atto. Ecco allora che larisposta alla prima delle tre richieste ci aiuta a capire meglio il sensodi questa scelta. Il regista, anche sceneggiatore del film, non ci fastare da una parte politica, ma dalla parte di due persone comuni.Due esseri umani. O, per usare l’espressione prima indicata, dueesseri viventi. Di Khaled e Saïd sappiamo ben poco all’inizio.Possiedono soltanto la loro vita. Non è una vita entusiasmante,questo è certo. Grava su di loro, come su molti giovani palestinesi,un senso di scoraggiamento e di sconfitta, di dignità offesa, dimancanza di prospettive dovuto all’occupazione armata israeliana.Un’occupazione che mette in crisi chi sta cercando un’identitàindividuale. Un’identità che deriva a sua volta dall’identità nazionale.In altre parole, possiamo dire che l’orgoglio di questi giovani siintreccia con l’orgoglio della nazione intera. E la pressione esercitatadai militari israeliani nei territori occupati viene sentita dai palestinesi,

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Regia: Hany Abu-Assad. Soggetto e sceneggiatura: Bero Beyer,Hany Abu-Assad. Fotografia: Antoine Heberlè. Montaggio: SanderVos. Musica: Jina Sumedi. Scenografia: Olivier Meidinger. Costumi:Walid Maw'Ed. Interpreti:Kais Nashef (Saïd), Ali Suleiman (Khaled),Lubna Azabal (Suha), Amer Hlehel (Jamal), Ashraf Barhoum (Abu-Karem), Mohammad Bustami (Abu-Salim), Olivier Meidinger (Abu-Shabaab), Mohammad Kosa (il fotografo), Hiam Abbass (la madredi Saïd). Produzione: Augustus Film, Razor Film, Lumen Film.Origine: Francia, Germania, Olanda, 2005. Durata: 90 minuti.

Nablus, Palestina, oggi. Khaled e Saïd sono amici da quando avevanootto anni, ma ora sono adulti e sono stati scelti per un attentatokamikaze in Israele come risposta all'occupazione israeliana. Il padredi Saïd è stato ucciso quando il ragazzo aveva solo dieci anni, accusatodi aver collaborato con la controparte israeliana. Suha, figlia di uneroe della resistenza palestinese della generazione precedente, tornaa Nablus. E' stata via per due mesi e per prima cosa va al garage dovelavoravano i due ragazzi: è chiaramente attratta da Saïd, anche se nonlo dà a vedere, e da pacifista convinta cercherà di fargli cambiare idea.Il giorno previsto per la missione è pieno di dubbi e imprevisti.

Saïd: «Il martirio ci porterà in Paradiso»Suha: «Il Paradiso non esiste, esiste solo nella tua testa»Saïd: «Meglio un Paradiso nella testa che l'inferno di quaggiù»(dialogo tratto dal film)

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specialmente dai piùgiovani, come unaforma di oppressionepersonale.t a n t o p i ùinsopportabile.Perché i giovani perprimi amano sentirsiliberi, autonomi edindipendenti.Non è un caso, comedimostra purtroppola cronaca, che i casid i k a m i k a z e

palestinesi in territorio israeliano, a fronte di una disperazionesempre crescente e diffusa tra i giovani, è aumentato proprioda quando è andata sempre più complicandosi la prospettivadi uno Stato Palestinese libero dall’ingerenza israeliana.Cioè da quando hanno cominciato ad affievolirsi le speranzedi libertà, dignità, di nazionalità riconosciuta nate in seguitoagli storici accordi di pace sottoscritti a Washington il 13settembre1993: questa è la data della nota ”Dichiarazionedi principio su accordi transitori di autonomia” o“Dichiarazione di principi israeliano-palestinese”, firmatacongiuntamente da Itzhak Rabin e Shimon Peres, per loStato di Israele, e da Mahmoud Abbas e Yasser Arafat perl’Olp (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina,nata nel 1964). «La Dichiarazione – si legge nel libro Storiadel conflitto israeliano palestinese – Tra dialoghi di pacee monologhi di guerra di Giovanni Codovini –contenevainfatti principi e modalità che le due parti avevanoconcordato per realizzare in tempi determinati il previstoautogoverno palestinese ad interim, quale fase transitoriache precede il negoziato sulla sistemazione definitiva». Cosaè successo dopo il 1993? Cosa è successo cioè dopo che lecittà palestinesi erano state sgomberate dagli israeliani, cheera possibile esibire ufficialmente le bandiere palestinesi eusare le uniformi palestinesi? Si era diffusa un’euforia euna fierezza, destinata però ad una più cocente delusione,come ci spiega Christopher Reuter, autore del libro La miavita è un’arma – Storia e psicologia del terrorismo suicida:«Poi però questa fierezza si era sbiadita, il governo autonomodi Arafat si era rivelato corrotto e antidemocratico, le cittàpalestinesi erano state ridotte a isole separate tra le qualiviaggiare era più difficile di prima, la costruzione degliinsediamenti israeliani era continuata e oggi sembra nonsolo inattuato, ma anche inattuabile ciò che avevanosperato».Dunque, soffermandosi con inquadrature prolungate e densesui due protagonisti, sui loro familiari e amici, pedinandoli,inseguendoli con la macchina da presa, raccogliendo le loroparole e vigilando sui loro silenzi, il regista di Paradise Nowprova a capire l’importanza di quelle vite schiacciate da unsenso di disagio più grande. Vite che per kamikaze votatialla morte appaiono come un bene transitorio, sacrificabileper una causa più alta non rendendosi conto che non esisteuna causa più alta della vita stessa. Il regista si concentrasu queste due persone, senza giudicarle, ma osservandolecon apprensione nel corso delle ventiquattro ore che separanola vita dalla morte (la loro di vita, ma anche quelle diinnocenti vittime e ignare israeliane). Vi insiste. E ottiene

un risultato importante per noi spettatori: l’immedesimazionea livello umano e non politico.

L’immedesimazione a livello umano

I due protagonisti sono scontrosi, perché, lavorandosvogliatamente in un’officina meccanica, vediamo comereagiscono con violenza alle pretese di un cliente. Ma questofa parte del loro carattere. Khaled sembra addirittura piùirascibile di Saïd. Eppure è Saïd il primo nel film a farsifotografare, senza sorridere, in vista dell’arruolamento nelcommando suicida. Da questo momento però quell’unicobene di cui disponevano, la vita, viene offerto per una causache è una causa di morte, prima ancora di essere una causareligiosa o politica. Le loro vite stanno per essere trasformatein oggetti. Oggetti mortali: la morte, attraverso Khaled eSaïd, compirà un doppio misfatto, ovvero agirà contro icosiddetti “martiri” e nel contempo contro gli innocenticittadini, militari o civili israeliani. Eppure lo spettatore nonpuò condividere questa prospettiva, proprio perché il filmnon ci ha mostrato da subito i due protagonisti nella veste

di kamikaze, ma come persone, dentro una vita e dentronuclei familiari che ancora appartengono a loro e hannoun valore, pur nella sofferenza, nello sconforto, nel malesseredi un intero popolo e di un’intera nazione. Passiamo oraalla seconda domanda: per ottenere il risultato di farciimmedesimare con i due protagonisti il film fa in modo chele singole inquadrature a loro dedicate, spesso silenziose eprive di spiegazioni, durino a lungo. Lo scopo è quello didare a noi il tempo necessario per condividere lo spaziovitale dei protagonisti. E consentire a loro di varcare lasoglia della nostra coscienza. Attenzione: abbiamo appenaparlato di “immedesimazione”. Ma immedesimarsi nonsignifica condividere le loro intenzioni omicide e suicide,bensì percepire costoro come persone vive e reali (nonsoltanto personaggi): quindi simili a noi e parte integrantedell’umanità, ciò che la nonviolenza chiama empatia. Laparticolarità di Paradise Now l’ha spiegata molto bene adesempio Mike Corradi, che è il responsabile del settoremediorientale per Amnesty International: «Abbiamo decisodi patrocinare il film perché è un vivo esempio di come siaimportante la sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulgrave problema dei diritti umani. Il connubio con il cinemaè importantissimo, perché il cinema ha la capacità dimostrarci casi particolari di una situazione che noiconosciamo a grandi linee dai giornali e dalle tv, ma penetraquesti fatti, e ci mostrano la vita quotidiana».

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Dalla parte della vita

Dalla corretta applicazione delle prime due regole derival’importanza che in questo film assume soprattutto la terzaregola. Che vuol dire stare dalla parte giusta in questa storiaincentrata su due kamikaze palestinesi? Vuol dire comprenderela complessità del problema affrontato. Vuol dire non staredalla parte degli uni (i palestinesi unici protagonisti del film)o degli altri (gli israeliani assenti, ma ugualmente percepiticome esseri viventi). Vuol dire rendersi conto che la storia delconflitto tra israeliani e palestinesi ha origini lontane e nonpuò essere ridotta ad un confronto-scontro tra ragioni chestanno tutte da una parte e torti tutti dall’altra. Ci sono torti(la violenza, a qualsiasi livello) e ragioni (il bisogno di unposto in cui vivere) su ciascun fronte. A questo riguardo si èespresso con estrema chiarezzalo scrittore israeliano Amos Oznel libro Contro il fanatismo:«I palestinesi sono in Palestinaperché la Palestina è la patria,l’unica patria del popolopalestinese. Allo stesso modoin cui l’Olanda è la patria degliolandesi, o la Svezia deglisvedesi. Gli ebrei israeliani sono in Israele perché non esistealtro paese al mondo che gli ebrei, in quanto popolo, inquanto nazione, abbiano mai potuto chiamare “casa”. Inquanto individui sì, ma non come popolo, come nazione. Ipalestinesi hanno loro malgrado cercato di vivere in altri paesiarabi. Sono stati respinti, talvolta persino umiliati e perseguitatidalla cosiddetta “famiglia araba”. Nel modo più doloroso, sonodiventati consapevoli della loro “palestinità”: sono statimalvoluti come libanesi, siriani, egiziani, iracheni. Hannoimparato brutalmente che sono palestinesi e che questo èl’unico paese sul quale possono contare. Stranamente, ilpopolo ebraico è come se avesse un’esperienza storica parallelaa quella del popolo palestinese. Gli ebrei sono stati espulsidall’Europa. Così come i palestinesi sono stati cacciati dapprimadalla Palestina e poi da tutti i paesi arabi, o quasi. Alcuniconflitti sono molto reali, sono ben peggio di un malinteso.Temo che non ci sia alcun malinteso di base, fra arabi palestinesie israeliani ebrei. I palestinesi vogliono la terra che chiamanoPalestina. La vogliono per delle ragioni stringenti. Gli ebreiisraeliani vogliono esattamente la stessa terra esattamenteper le stesse ragioni, il che garantisce una perfettacomprensione fra le parti, e dà la misura di una terribiletragedia». Dunque che può fare un semplice film come ParadiseNow di fronte a questo problema storico e di difficile soluzione,cui solo il tempo e la comprensione reciproca potrà provvedere?Può scegliere di stare dalla parte migliore, date le circostanze.E fare stare noi da questa parte migliore, ossia dalla parte

della vita. La vita di tutti. La vitache contiene le ragioni di tutti. Noistessi, come spettatori, guardandoi l f i lm , c i augur iamo incontinuazione che avvengaqualcosa di imprevisto cheimpedisca il corretto e letalesvolgimento del progetto suicidae omicida. E se questo accade èperché anche il film si sforza di

cercare una terza soluzione, un’altra via d’uscita rispetto almuro contro muro, di cui i due giovani kamikaze Khaled eSaïd del film sono espressione. Il film trova in Suha, figlia asua volta di un martire palestinese, la principale interpretedi questa profonda esigenza di vita, di comprensione e didialogo. Anche lei soffre per la condizione del suo popolo,ma ripudia la violenza. Ama la vita, perché è segretamenteinnamorata di Saïd, e sente che suo padre, per quantoconsiderato da tutti un eroe, le manca profondamente. Enessuna causa, politica o religiosa che sia, potrà restituirgliela.Specie quando il presunto martirio o atto terroristico diventauno spettacolo crudele, dove i “martiri” sono costretti arecitare più d’una volta il proprio doloroso testamento, affinchépoi le videocassette con questi messaggi di morte giunganoe vadano a ruba sul mercato di commercianti senza scrupoli,che ci speculano.

In che condizioni finanziare è stato prodotto il film?Il film è stato prodotto da capitali europei, e il budget non ècertamente elevatissimo. Abbiamo chiesto anche agli israelianidi investire nel film, ma hanno rifiutato. C'è anche un produttoreisraeliano, che ci è stato indispensabile soprattutto dal punto divista logistico, e che ringrazio tantissimo, ma dal punto di vistafinanziario non ci è arrivato nulla. Ma la storia non è stata affattocondizionata dal budget. Volevo costruire una storia realistica, equello ho fatto. Un thriller che avesse in sè situazione, tempo eluoghi reali.

Ragionando sul fenomeno dei kamikaze, che si è molto inaspritoin questi ultimi tempi, le risulta che ci siano più morti palestinesi

per mano palestinese o per mano ebrea?Io sono l'ultimo a dire che ora come ora in Palestina ci sia una situazione serena. Mad'altra parte non c'è una situazione sana. Israele però non fa nulla per aiutare ipalestinesi, nulla per aiutarci a crescere, progredire. Il popolo palestinese, in particolarmodo nella striscia di Gaza, vive sotto occupazione. Ora nel mio film non mi sembradi parlare di questi aspetti in maniera politica, il mio è un film sul cinema, non sullapolitica.

Delle due visioni della lotta che lei riporta nel film, in quale si riconosce? Comeè stato accolto il film dai movimenti che lottano per una liberazione della Palestina?C'è stato in effetti uno dei movimenti, lì in Palestina, che mi ha criticato molto. Glialtri, convinti che comunque il mio film parlasse del tentativo di liberazione dellanostra terra, mi hanno lasciato fare liberamente. In generale c'è stata moltacondiscendenza. La Palestina è una società plurale, io sono sicuramente fra coloro chesostengono che i kamikaze ci mettono allo stesso livello degli occupanti. La necessità,l'urgenza di raccontare questa storia è un modo per perpetrare la memoria, per assicurarela sopravvivenza a un popolo.

• Quali sono le tre regole indicate in questa scheda cui un film dovrebbe obbedire perstabilire con lo spettatore un rapporto di proficuo dialogo educativo?• Come può essere interpretata la prima regola all’interno di questo film? Che idea ti seifatto, guardando il film e leggendo la scheda, della personalità di un kamikaze?• La seconda regola invece ci consente di conoscere più a fondo, umanamente e nonpoliticamente, i protagonisti. Puoi spiegare come?• La terza regola, mettendoci dalla parte della vita come valore assoluto, in che misuraci dà anche la possibilità di comprendere la complessità del conflitto tra israeliani epalestinesi?• Quale personaggio e perché si fa interprete del punto di vista al di sopra delle partiassunto dal film?• Attorno alla pratica rituale del “martirio” terroristico si sviluppa anche un commerciolegato alle immagini. Puoi spiegare come funziona, riflettendo anche su come oggi nelleattuali guerre il mercato delle immagini abbia preso il sopravvento? Un suggerimento:prova a fare un collegamento tra i video-testamenti dei kamikaze e le esecuzioni “indiretta” che i rapitori di Al-Qaeida diffondono sui mass media.

Intervista al regista

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Porte che si chiudono e si aprono

Se ci facciamo caso, in questo film accade spesso che per unaporta che si chiude in una inquadratura, se ne apre un'altra nellasuccessiva. Questa trovata visiva, quest’idea di montaggio moltosemplice riassume un modo di raccontare le storie che si intrecciano.Ed è anche un modo di indagare la realtà complessa dove personediverse, etnie diverse, uomini e donne convivono. Il film si svolgein una città precisa: Los Angeles. Ma Los Angeles vuol dire l’Americatutta. O forse addirittura il mondo intero, dove la convivenza trapopoli, culture, razze, religioni e nazioni rappresenta la principalesfida per il futuro. I conflitti, le guerre, le tensioni dovute allediversità (diversità di tutti i tipi) rappresentano oggi una tristerealtà. Il film vorrebbe, con molta chiarezza e con dolenteconsapevolezza mostrarci la possibilità concreta di questa convivenza,ma non si fa illusioni sulle difficoltà altrettanto concrete di attuarla.Il film ci mostra dunque un modello di società (losangelina,

statunitense o mondiale) e ne sottolinea le disfunzioni.Sembra cioè che andare d’accordo sia impossibile, perchétutti per ragioni personali o per ragioni effettive sonoarrabbiati, risentiti e pronti allo scontro frontale. Il“crash” del titolo, ha un doppio significato: si riferisceall’impatto fisico negativo dell’incidente (il “crash”), maanche all’occasione di incontro che può derivarne.Stranamente e tragicamente i personaggi del film

stabiliscono rapporti, alcuni casuali altri obbligatori. Ci sono unacasalinga e il marito procuratore, un iraniano proprietario di unnegozio aperto 24 ore su 24, due detective della polizia, ancheamanti occasionali, il direttore nero di un canale televisivo e lamoglie, un fabbro latinoamericano, due ladri di automobili, unpoliziotto con il padre ammalato e la giovane recluta con cui faservizio di pattuglia, una coppia coreana di mezza età. Ma tuttiquesti rapporti, questa rete di relazioni, risulta nel bene e nel malecoerente. Coerente come può essere un gioco di vasi comunicanti,di porte che si aprono e si chiudono simultaneamente: insommadi “contatti fisici” tra individui che non rappresentano solo se stessi,ma sono emblematici di una condizione etnica, sociale e psicologica:occidentali, asiatici, mediorientali, afroamericani, ma anche adultie bambini, ricchi e poveri, uomini e donne, persone colte e personeignoranti, persone arrabbiate e persone di buon senso, personeviolente e persone non violente, genitori e figli, fratelli e sorelle,amici e amiche, datori di lavoro e dipendenti. Costoro, presi uno

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Durante la notte a Los Angeles, il detective di colore Graham Waters scopreun cadavere al lato della strada. Non sarà un omicidio qualsiasi, come si scopriràalla fine. In precedenza c’erano stati vari avvenimenti: 1) il furto dell’automobiledel procuratore distrettuale, da parte di due balordi neri. Mentre il procuratore,è principalmente preoccupato di non alienarsi il voto della comunitàafroamericana, sua moglie, dopo l’episodio, dà voce a tutto il suo razzismo,complicando il rapporto coniugale. 2) Un commerciante iraniano acquista unapistola per far fronte ai tentativi di rapina nel suo negozio, che però vienesvaligiato. Quando l’assicurazione si rifiuta di rimborsarlo, dà la colpa al fabbrolatinoamericano che gli ha sostituito la serratura. 3) Un poliziotto di pattugliabianco vorrebbe più attenzioni per il padre malato, dall’assistenza sanitaria.Non ricevendole, sfoga il rancore su una coppia di facoltosi afroamericani,fermati dopo il furto del veicolo del procuratore: minaccia l’uomo, un registadi successo ma succube della politica razzista dello studio, e abusa della moglie,che rimprovera al marito di averlo lasciato fare. Queste e altre storie simili, diquotidiana intolleranza o disparità razziale, intrecciandosi e raggiungendo illimite massimo della tensione interna, finiranno per esplodere.

Regia: Paul Haggis. Soggetto: Paul Haggis. Sceneggiatura: PaulHaggis, Bobby Moresco. Fotografia: James Muro. Montaggio: HughesWinborne. Musica: Mark Isham. Scenografia: Laurence Bennett.Costumi: Linda M. Bass. Interpreti: Don Cheadle (il detective GrahamWaters), Matt Dillon (l’agente Ryan), Brendan Fraser (il procuratoredistrettuale Rick Cabot), Sandra Bullock (Jean Cabot), Thandie Newton(Christina Thayer), Ryan Philippe (l’agente Tommy Hanson), JenniferEsposito (Ria), William Fichtner (Jake Flanagan), Terrence DashonHoward (Cameron Thayer), Lucadris (Anthony), Larenz Tate (PeterWaters), Karina Arroyave (Elizabeth), Dato Bakhtadze (Lucien), SeanCory (il poliziotto in motocicletta), Tony Danza (Fred), Keith David(il tenente Dixon), Eddie Fernandez (l’agente Gomez), Howard Fong(il proprietario del negozio), Billy Gallo (l’agente Hill), Ken Garito(Bruce), Nona Gaye (Karen; Origine: Stati Uniti, Germania, 2005.Durata: 113 minuti.

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per uno, scatenano reazioni a catena destinate a produrreeffetti di breve, media e lunga durata. Fortunatamente,il più delle volte positivi. Già perché l’autore del film, PaulHaggis, che firma anche la sceneggiatura, non si limita amostrare lo schema di questi svariati contatti che simoltiplicano, si sovrappongono. L’intreccio che Haggiscostruisce contiene anche una prospettiva precisa. Avrebbepotuto dare un indirizzo in prevalenza negativo ai risultatidella serie di incontri e scontri. Invece, nonostante l’omicidioinvolontario che apre e chiude il film, la maggior partedi questi personaggi legati dalle circostanze più impensabilidi incontro-scontro trova un accordo. Un accordo chepuò apparire anche come una semplice tregua. I conflittiinfatti non si appianano, ma almeno superano la loro fasepiù acuta e preoccupante. Per una pistola che spara e cheuccide, molte altre miracolosamente non sortiscono lostesso micidiale effetto (pensiamo a quella delcommerciante iraniano che rischia di sparare e ucciderela figlia del fabbro latinoamericano). Questo vuol direscegliere e dunque credere in una svolta lenta maincoraggiante. Il film sembrerebbe essere molto pessimista.Invece avviene proprio il contrario, come ci dimostrano leporte che si aprono immediatamente dopo quelle che sichiudono, saldando così una sequenza all’altra: quando ilpessimismo generalizzato in materia di rapporti di forzaall’interno del conclamato e improbabile crogiuolo di razze(gli Stati Uniti si definiscono appunto un melting potovvero un “crogiuolo di razze”) si trasforma in uno schemafisso a livello di scrittura e di montaggio cinematograficiè inevitabile che dietro ci sia l’ottimismo: l’illusione cioèche il congegno ad orologeria in grado di regolare leinterferenze e le interazioni culturali possa essere altrettantogeneroso e provvidenziale quanto una solida sceneggiaturaassecondata da un montaggio altrettanto puntuale.

La forma del contenuto

Questa tecnica di montaggio, che abbiamo riassuntonelle ricorrenti porte che si chiudono in una sequenza esi aprono immediatamente dopo nell’altra, in gergo tecnicosi chiama “montaggio incrociato”. Viceversa, si chiama“montaggio parallelo” l’altra tecnica di montaggio con cuisi apre il film. Il montaggio parallelo serve a combinareo a mettere in relazione tempi diversi. Abbiamo il montaggioparallelo quando scatta il lungo flashback del film dopo

la prima sequenza dove il poliziotto di colore GrahamWaters giunge sulla scena del delitto. Lui sa bene chi è lapersona uccisa e ne rimane profondamente addolorato.Si tratta di suo fratello, il fratello più inquieto e balordo.Ma noi spettatori non sappiamo all’inizio chi sia statoucciso, né come e perché. Non lo sappiamo perché nonconosciamo la storia, anzi le storie, che ci sono dietro.Perciò il film ha bisogno di un lungo resoconto. Perciò ilracconto fa marcia indietro: il lungo flashback serve a noia sapere come è potuto accadere il fatto increscioso cuistiamo assistendo assieme al poliziotto. A renderci contocioè della complessità del quadro generale che ha prodottoquel tragico effetto particolare. Abbiamo dunque parlatodi montaggio. Di montaggio “incrociato” e di montaggio“parallelo”. Ma, a pensarci bene, non si tratta solo diterminologia cinematografica specialistica. I concetti di“incrociato” e “parallelo” in questo film assumonoun’importanza enorme a livello umano. Cosa si intende

per “incrociato” ecosa si intende per“parallelo”?L ’ e s e m p i o p i ùimmediato possiamode r i v a r l o da l l ageometria: due rettes i d e f i n i s c o n oparallele quando nonsi incontrano mai;

diversamente si dice che si incrociano in un determinatopunto. Applichiamo questa considerazione al film Crash:i personaggi che non possono né incontrarsi o scontrarsisono destinati a non comunicare mai, e questo è terribile.Chi invece ha la fortuna o la sfortuna di fare un incontro,bello o brutto, ha qualche possibilità di uscire dal proprioisolamento. Non è detto che la cosa possa funzionare, maalmeno esiste una remota possibilità di superamento dellebarriere. Quando il film comincia il delitto è stato giàcompiuto, la morte ha avuto il sopravvento. E niente onessuno può provvedere più. Ecco perché il regista decidedi servirsi del montaggio parallelo, attraverso il flashback,per farci sapere ciò che serve sapere, comunque nellaconsapevolezza di non poter modificare il destino tragicotoccato alla vittima, alla persona uccisa. Il regista in altreparole mette l’uno accanto all’altro due tempi (il presentee il passato) nella triste convinzione di non poterli far piùdialogare. Se il presente avesse potuto agire sul passato,il delitto non si sarebbe consumato. Ma ora è tardi: ilpresente (quello che noi chiamiamo “il senno di poi”) nonpuò più agire, beneficamente, sul passato. Occorre dunquerisalire alla causa. O, seguendo lo schema che il filmpropone, alle cause. Non esiste infatti una sola causa. Lecause sono tante e concomitanti, persino in contraddizionetra loro. Come i popoli, le situazioni, le persone, le culture,le idee. Il film vuole perciò che di questo possiamo renderciconto: della complessità, del quadro d’insieme, dei singoli

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dentro la comunità mista, conflittuale e turbolenta. Perciò,da quando ha inizio il lungo flashback, ecco che la tecnicacon cui vengono saldate le singole sequenze (ciascunacontenente una porzione specifica di società) è quella delmontaggio incrociato, che offre ai protagonisti e ancheagli spettatori più chances di soluzioni concrete e condivise.Il flashback, pur introducendoci in una dimensione anteriore,cioè la dimensione del passato, non ci sembra più unflashback dopo che le singole sequenze si susseguono. Cidimentichiamo presto che stiamo assistendo a un lungoflashback. Tutto diventa presente e perciò può esserecambiato, migliorato, grazie a questa serie di intrecci,incroci, contatti, imprevisti, coincidenze. Riassumendo, inquesto film il montaggio incrociato delinea quindi il giocodelle possibilità. Mentre quello parallelo sigla l’impossibilitàdi ottenere risultati proficui. Bisogna vivere – ci dice l’autore– i rapporti umani come momenti di un lungo, laboriosoe proficuo presente. Guardarsi alle spalle e riconoscere glierrori può anche essereutile e importante, mares ta un ’e sper i enzasp i a cevo l e . Tu t t i ipersonaggi in questo filmpotrebbero o avrebberopotuto fare meglio di ciòche scelgono lì per lì difare o hanno ormai giàfatto. La sfortuna può decretare la morte di qualcuno (ilfratello balordo del poliziotto) o la salvezza di qualcunaltro (la bambina latinomericana figlia del fabbro o laragazza afroamericana che rimane intrappolatanell’automobile che sta per esplodere dopo l’incidente).Ma non deve essere questione di fortuna o sfortuna,sebbene nel film però la fortuna superi la sfortuna (ed èuna precisa posizione dell’autore in fondo molto ottimista).Se il problema è l’intolleranza tra soggetti o gruppi diversio l’incomprensione reciproca a qualsiasi livello che producegli “incidenti”, ovvero i “crash”, la soluzione al problemaè contenuta proprio in questi stessi “crash” che possonoriservare sorprese inaspettate: il poliziotto arrabbiato cheaiuta, a rischio della vita, istintivamente la ragazza cheaveva profondamente umiliato, la ragazza stessa cheaccetta di fidarsi di costui nel momento del bisogno.Sempre di incidenti si tratta, ma dagli esiti migliori possibili.Questo film in sostanza ci parla di un mondo sconvoltoda divisioni, violenze, pregiudizi, soprusi e incomunicabilità.

Eppure affidatutte le suespe ranze aquesta varietài r r iduc ib i le .Ci parla did i f f i c i l ecompresenza,d i s o m m ain f i n i t a d i

soggetti che stentanoa trovare un accordoo al più un buoncompromesso. Manon nega loro una possibilità di raggiungerlo, persino nellecircostanze più impensabili. Sta dalla parte più “giusta”.Quella della apertura all’altro. Sta dalla parte delle personechiuse nel proprio dolore che però riescono, all’improvviso,una volta tanto, tra mille contraddizioni, a riconoscersinegli altri. Sta dalla parte dell’io, di ogni singolo io cheimpara a dare del tu. Ma ci avverte anche che la disponibilitàverso gli altri non basta, non può essere sopravvalutata oconsiderata di per sé una soluzione certa. Non a caso èproprio il poliziotto bianco, giovane, buono e tollerantea sparare e ad uccidere, involontariamente fino a un certopunto perché anche lui in fondo ha obbedito al pregiudizioverso il ragazzo di colore cui ha dato il passaggio in pienanotte. Anche lui ha creduto che potesse essere un criminale,

quale infatti era. Ma non ha capitoche il semplice gesto di prenderequalcosa in tasca, persino da partedi un criminale sciocco e inoffensivo,p o t e v a n o n c o n t e n e r enecessariamente una minaccia.

Questo poliziotto si è comportato sempre molto bene, maha commesso per un istante – fatale – l’errore di cedereall’istinto violento, offensivo, pregiudiziale. Questi sono icasi della vita, i “crash” appunto, che offrono però moltebuone opportunità. Sapendole cogliere. Sapendole gestire,in nome di un’apertura verso l’altro, di una persuasioneche vede nella compresenza multiculturale un valore dasaper apprezzare nella giusta e prudente misura e non unaminaccia da cui difendersi sempre e comunque. Tuttodipende dalle persone. Dalla loro intelligenza, forza interiore,pazienza. Insomma dalle ragioni profonde della nonviolenzache alle volte trovano più spazio nell’individuo più chenelle convenzioni imposte dalla società: il rimorso, lo stessomale di vivere, la rassegnazione, il senso di colpa, lacoesistenza breve e occasionale riescono laddove la societàha fallito e sembra impegnarsi a fallire in continuazione.I rapporti interpersonali e diretti hanno quindi miglioriopportunità risolutive del sistema stesso. Questo, sembrasottolineare il film, nonostante qualche eccezione spiacevolee fallimentare, che serve a confermare la regola dell’amore.La quadratura del cerchio è impresa ardua ma necessariae soprattutto utile.

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Appuntidi viaggio

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Paul Haggis, uno dei più prestigiosi e impegnatisceneggiatori di Hollywood, ha debuttato dietrola macchina da presa proprio con Crash, chegli è valso nel 2006 l’Oscar come miglior registae per il miglior film. Precedentemente, hascritto la sceneggiatura del film Million DollarBaby di Clint Eastwood, anch’esso vincitore dimolti Oscar nel 2005, tra cui quello per ilmiglior film. Ha scritto anche la sceneggiaturadi Flags of Our Fathers che racconta la battagliadi Iwo Jima durante la Seconda GuerraMondiale, sempre diretto da Clint Eastwood,dell’ultimo film della serie di 007, Casino Royale,e del rifacimento americano de L’ultimo baciodi Gabriele Muccino.

Come nasce l'idea del film?La mia macchina è stata rubata nel 1991 ed io ho cominciatoa pensare ai due uomini che l'avevano rubata. Mi tornava inmente questa storia continuamente e alla fine, dieci anni fa,ho pensato di scriverci sopra una sceneggiatura. Mi incuriosival'approccio che si ha con gli stranieri, spesso abbiamo di loroun impatto negativo senza sapere che tipo di vita conducono.Ho messo nel film me e mia moglie e tutto quello che ci erasuccesso: quando alle due di notte abbiamo cambiato laserratura di casa per paura che ci entrassero questi sconosciuti.Seguendo questi personaggi sono rimasto affascinato dal fatto

che entriamo incontatto conquesto tipo digente ma non lic o n o s c i a m oaffatto. Allora hocominciato achiedermi chifossero i due chec i a v e v a n orapinato, comevivessero , da

dove venivano e dove sarebbero andati.Ho seguito questi pensieri allargandolicon riflessioni sulle persone che incrociper caso, con cui ti capita di interagiresolo qualche secondo che però hanno unavita e una storia alle spalle.

Le è mai capitato di subire delle discriminazioni come alpersonaggio del regista nel suo film?Il razzismo negli Stati Uniti è molto diverso rispetto a 50 annifa, determinate cose non si dicono più ad alta voce, ma questonon toglie il fatto che molti ancora le pensino. Mi è capitatoalcuni anni fa di incontrare dei produttori televisivi che parlandocon un regista di colore raccontarono una barzelletta sui nerie sebbene il regista sorridesse con loro, il suo sguardo eraamaro. Mi chiesi quante volte gli sarà capitata una cosa delgenere? Dove va a finire la sua dignità? Nel mio film ho volutoraccontare cose che ci riguardano tutti, cose che viviamo nelquotidiano, non ho voluto dividere i buoni e i cattivi comecapita spesso nei film, ho voluto mostrare le persone nella lorocomplessità. E' una cosa che amo molto: la complessità dellanatura umana, talmente grande e piena di contraddizioni!

Ha scelto Los Angeles come set per questo film per qualchemotivo particolare?Ho scelto questa città perché ci vivo da vent’anni, non vogliofar pensare che sia una città più razzista delle altre, perché ilmio discorso è assolutamente universale. Il mio discorso valeper tutte le grandi città, durante una giornata si è abituati adimbatterci in tanti tipi e "razze" di persone diverse, ma quandosi entra nel privato della propria vita il discorso è ben diverso.

Il tema del razzismo sfuma in quello dell'intolleranza?In effetti Crash è un film sull'intolleranza, è un problemagrandissimo, dall'intolleranza nasce la paura… Ma io mi definiscoil più cinico fra gli ottimisti: appena arrivato a Los Angelesanni fa, nevicò, "la prima nevicata dopo tanto tanto tempo"mi dissero, perciò se può nevicare a Los Angeles, c'è ancorasperanza!

• Perché lo schema narrativo del film è simboleggiato moltobene da porte che si chiudono in una scena e si aprononell’altra?• Prova a delineare la mappa delle diversità rappresentatenel film (diversità in base al colore della pelle, alla condizionesociale, sessuale, culturale e religiosa).• Che differenza c’è tra il montaggio parallelo e quelloincrociato? Il regista adotta tutte e due queste tecniche dimontaggio, dove e con quale messaggio?• Perché questo film, anziché concentrarsi su una singolastoria, ne sviluppa molte contemporaneamente?• La scelta della città di Los Angeles pensi che possa essereallargata alla realtà di molte altre città del mondo intero,compresa la tua?• Pensi che l’atteggiamento del regista in questo film rispettoalla realtà rappresentata sia più pessimista o più ottimista?• Prova a dare una tua definizione dell’intolleranza, delpregiudizio e dell’ingiustizia sociale. Da cosa nascono? Comepotrebbero essere affrontate a livello individuale? Confrontale tue idee con quelle espresse nel film e con il resto dellaclasse.

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Il termine arabo rihla (viaggio) presente nel titolo originale delfilm, rimanda, nell’arabo letterario, a tutta una tradizione dellaletteratura araba medievale; rimanda anche alla nozione diconoscenza, nel senso di penetrazione di mondi sconosciuti, esterioried interiori. Il termine ha dunque anche una valenza filosofica.Sono famosi alcuni autori del medioevo arabo che scrissero deiloro viaggi: ad esempio Ibn Battuta, con la sua celebre Rihla in cuiriferisce di un suo viaggio da Tangeri sino ai confini della Cina. Masono famosi anche alcuni racconti di viaggi interiori, come quellodel poeta, filosofo e mistico andaluso Ibn Arabi, nato a Murcia emorto a Damasco nel 1240.Il film rappresenta una sorta di congiunzione tra questi due tipidi viaggio: lo spostamento fisico da un punto all’altro della terrae il viaggio interiore. Il viaggio che viene narrato è innanzituttoquello di un padre: un marocchino immigrato in Francia da oltretrent’anni, un padre molto osservante, dall’aspetto austero, chenasconde una profonda ricchezza interiore. Arrivato alle soglie

della vecchiaia il padre, come ogni musulmano che neabbia la possibilità fisica ed economica, decide dicompiere il suo pellegrinaggio alla Mecca, che nellatradizione rappresenta uno dei cinque pilastri dell’islam:per un musulmano recarsi alla Mecca significa

riattualizzare la memoria simbolica, poiché l’islam si è rivelatoproprio in quella città.Ma mentre molti fedeli si recano ormai alla Mecca in aereo, il padredecide stranamente di raggiungerla in automobile, e dunque diaffrontare un grande viaggio che lo porterà, partendo dalla Francia,ad attraversare l’Italia, la ex Jugoslavia, la Turchia, fino al desertod’Arabia, esattamente come si faceva, a cavallo, nel Medioevo,quando i pellegrini musulmani partivano dalla Sicilia, dalla Spagnaandalusa o da Sarajevo. Non sapendo lui guidare, doveva esseresuo fratello a portarlo in automobile; ma qualche giorno primadella partenza, al fratello, anche lui immigrato in Francia, vieneritirata la patente perché sorpreso a guidare dopo aver bevuto unagrande quantità di alcool. Il padre, dopo avervi pensato a lungo,chiederà al giovane figlio, non ancora ventenne, di sostituire lozio e di assumere lui la guida e dunque la responsabilità di quelgrande viaggio.Il ragazzo, di nome Reda, non capisce il perché del viaggio inautomobile, dal momento che suo padre ha i mezzi per acquistareun biglietto aereo; il padre non risponde alla sua domanda, e si

Sentendosi forse prossimo alla morte, Mustapha, un anziano marocchinoemigrato in Francia, si accinge a realizzare il sogno di un’intera esistenza:recarsi al pellegrinaggio alla Mecca, viaggio che ogni buon musulmanodeve compiere almeno una volta nella vita. Non potendo contare su nessunaltro, chiede al figlio Réda di accompagnarlo nel lungo viaggio. Réda, assaidistante dalle tradizioni e non in buoni rapporti con il genitore, vorrebbeesimersi da questa incombenza, ma non può rifiutarsi. Strada facendoperò, in automobile da Marsiglia a Istanbul, attraverso un’Europa semprepiù vicina all’Islam, e poi da Damasco alla Mecca, Réda impara a conosceree a condividere la prospettiva paterna. Ma alla Mecca l’uomo, dopo essersirecato in preghiera, non fa ritorno. E a Réda, mescolatosi alla folla deipellegrini, non resta che cercarlo.

“Quanto è bello questo tempio! Di più grandee di più bello esiste solo la dignità umana!”Maometto

Titolo originale: Rihla al kubraRegia: Ismael FerroukhiFotografia: Katell DjianMontaggio: Tina BazMusica: Fowzi GuerdjouCostumi: Christine BrottesInterpreti principali: Nicolas Cazalé (Réda), Mohamed Majid (ilpadre), Malia Mesrar El hadaoui (la madre), Jacky Nercessian(Mustapha), Ghina Ognianova (anziana signora);Origine: Francia/Marocco, 2006Durata: 108 minuti.

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crea una situazione di tensione; ma in forza all’autoritàtradizionalmente esercitata dai genitori nel mondo islamico,egli deve sottomettersi alla decisione del padre. Così i duepartono da una piccola città della Francia. Il padre è, sindall’inizio, immerso nell’atmosfera concentrata e silenziosadel pellegrinaggio: parla poco, ha lo sguardo fisso come sesi concentrasse sui riti che dovrà compiere una volta giuntoalla Mecca. Il figlio ventenne sembra vivere in tutt’altromondo: pensa alla sua ragazza, attraversando città comeMilano e Venezia chiede al padre di fermarsi per visitarle, mail padre ha una sola idea: raggiungere la Mecca. A un certopunto il padre, infastidito dalle telefonate di Reda allafidanzata sul cellulare, di notte mentre il giovane dorme gettal’apparecchio nella spazzatura.Il viaggio continua, ma con una tensione crescente: perchépadre e figlio non parlano la stessa lingua, non comunicano.Fanno strani incontri nella ex Jugoslavia: una vecchiacontadina, cui danno un passaggio, ripete sempre le stesseparole, è diventata pazza: probabilmente è un’immagine diquel paese durante la guerra civile. In Turchia, dopo unincontro amichevole e vari inviti, vengono derubati dei soldi;in particolare un personaggio che fa bere Reda e lo portacon sé nei locali notturni rappresenta le tentazioni nell’esistenzaumana. Le peripezie continuano, ma tutto si svolge secondoun ritmo piuttosto lento, teso a evidenziare le due temporalitàcongiunte della nostra vita: quella del nostro esistere nellasocietà e quella scandita di segni, di tappe interiori comepietre chilometriche nelle strade che si snodano nel deserto.Dopo la Turchia, i due giungono ai confini con la Siria, dovehanno difficoltà ad approvvigionarsi causa la mancanza didenaro: Reda grida a suo padre che vuole mangiare carne,non solo pane. Qui è messa in luce la dimensione del padreche ha superato gli istinti, mentre il ragazzo ne è del tuttodipendente. In Siria, in un villaggio sperduto, il padre scambiail suo apparecchio fotografico per un agnello: immaginedell’agnello sacrificale, che il padre è pronto a immolare persuo figlio, quasi a rinnovare la memoria di Abramo. Ma Redasi fa sfuggire l’animale che, salvandosi, forse salva anche

l’anima del giovane. I due giungono in Giordania, al confinecon l’Arabia Saudita: qui di nuovo Reda si perde nei localinotturni dove incontra una ballerina che porta in albergo.Il padre, vedendo la scena, si offende e decide di proseguireda solo per la Mecca. Il figlio lo rincorre per raggiungerlo,e gli chiede perdono: il padre non risponde, camminandoa piedi con la sua valigia. Il figlio gli grida: “Ma non esisteil perdono nella tua religione?” Il padre allora sale inmacchina, e attraversano il deserto che li condurrà allaMecca. Lì, in mezzo al deserto, avverrà il vero incontrofra padre e figlio, con una sorta di rinascita di quest’ultimo.Non c’è acqua, dunque il padre fa le sue abluzioni con la

sabbia. Reda guarda il padre, sembra non capire,e gli chiede: “Papà, perché non hai preso l’aereoper andare alla Mecca?”. Il padre risponde: “Vedi,affrontare un pellegrinaggio così lungo inmacchina significa capire il tempo e lo spazio.Ci si purifica quando si procede più lentamente,proprio come l’acqua dell’oceano quando evapora:quanto più vasto è l’oceano, tanto maggiore èla purezza dell’acqua evaporata.” Il figlio glichiede perché compia quel pellegrinaggio, e lui

risponde che è uno dei pilastri dell’Islam, e aggiunge: “Arrivail momento in cui l’uomo deve purificare la sua anima primadi morire; perché siamo solo degli invitati sulla terra.” Il figliorimane in silenzio. Arrivano presto alla Mecca, dove incontranodei pellegrini che avevano già incrociato durante il viaggio;ma durante uno dei riti il padre parte per il viaggio senzaritorno. Reda, quasi impazzito, cerca suo padre tra l’immensafolla, finchè alcuni poliziotti lo conducono nel sotterraneodi una moschea, dove vengono portati coloro che muoionodurante il pellegrinaggio e si recitano le preghiere per loro:l’imam solleva, uno a uno, i lenzuoli che coprono ogni defunto,finchè giunge al penultimo. Il figlio, riconoscendolo, scoppiain lacrime e si pone accovacciato, in posizione fetale, accantoa suo padre, mentre il suo pianto risuona nello spazio dellamoschea. Reda vende l’automobile, raggiunge l’aeroporto;qui vede una povera e le dà l’elemosina: un gesto che suopadre aveva fatto durante il pellegrinaggio verso unamendicante con una bambina, un’elemosina che il figlio avevarifiutato di concedere con il pretesto che loro non avevanoquasi più denaro per mangiare.La scena dell’elemosina è la chiave di lettura dell’intero film:perché, oltre a rappresentare un gesto di grande intensità,vuole significare che i genitori debbono trasmettere la memoriaai propri figli. Morendo, il padre ha trasmesso a Reda lapropria memoria, come l’acqua necessaria nelle oasi alla vitadelle palme, l’acqua senza cui l’universo - come i cuori degliuomini – inaridisce.Oltre a trasmettere i valori universali dell’educazione, questofilm consente un approccio alla questione dell’Islam bendiverso da quello oggi corrente: mostra che esiste un Islamlontano dai tormenti e dalle guerre, un Islam rimasto puroperché autentico.

Scheda a cura di Khaled Fouad Allam*

* Khaled Fouad Allam è docente di sociologia del mondomusulmano all’Università di Trieste e di Urbino, collaboratorede la Repubblica, autore di numerosi saggi e dei libri “L’islamglobale” edito da Rizzoli e “Lettera a un Kamikaze”, edito daPiccoli Saggi, Rizzoli, Milano.

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“Réda e il padre appartengono ad unacultura ove il dialogo tra padre e figlio èdifficile, se non impossibile. L’abisso che lisepara (generaz ionale , cultura le ,linguistico…) è ancora più grande a causadel loro stato di esiliati in Francia.Ho fatto questo film per permetterequell’incontro che la promiscuità del viaggiorende inevitabile. Réda e il padre, chiusinella loro automobile, in un faccia a facciaobbligato dove non esistono vie di fuga,attraversando spazi immensi costellatid’imprevisti ed incertezze, senza più puntidi riferimento, sono costretti a rivolgersil’uno all’altro. Si libereranno cos’ì anche dalloro stato di padre e figlio e si avvicinerannomano a mano che il viaggio si evolve.I dialoghi sono ridotti al minimo, ma èattraverso i loro silenzi che i due comunicanomaggiormente. Nel corso del viaggio ed inincontri casuali, scopriranno ciò che più lisepara e anche ciò che li unisce. “Il grandeviaggio” ci mostra come Réda e il padrepassano da un rapporto segnatodall ’ indifferenza e dall ’osti l ità alr iconosc imento de l l ’a l t ro e a l lariconciliazione.”

Ismael Ferroukhi è nato a Kenitrain Marocco nel 1962 ed è cresciutoa Crest, nel Sud della Francia. Haesordito nel cinema con il cortoL’éxposé (1992), vincendo numerosipremi che gli hanno permesso dicollaborare alle sceneggiature dialcuni film di Cédric Kahn, comeTrop de bonheur (1994), Tous lesgarcons et les filles de leur age eCulpabilité zero (1996). Ferroukhiha diretto il corto L’inconnu conCatherine Deneuve, all’interno dellaserie Court Toujours di Arte e CanalPlus, e i telefilm Un été auxhirondelles (1997) e Akim (1998)incentrati tutti sul tema dell’islame dell’integrazione in occidente.

Il film offre una visione dell’islam diversa daquella che ogni giorno ci viene data dallatelevisione. Insieme ai compagni di classemetti a confronto le due immagini, le duerealtà. Che idea ne viene fuori? Potresteapprofondire ulteriormente l’argomento nonsolo parlando direttamente con alcuni deitanti musulmani presenti nel tuo territorioma anche vedendo altri film che affrontanolo stesso argomento come ad esempio

Monsieur Ibrahim e i fioridel Corano o leggendoalcuni testi interessanti esemplici sulla percezioneche noi in Italia abbiamodell’islam, come L’anti-islamismo spiegato agliitaliani – come smontarei principali pregiudizisull’islam di Sadi Marhabae Karima Salama edito daErikson e L’islam spiegatoai nostri figli di Tahar BenJelloun, Bompiani Editori.

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• Descrivi il rapporto tra Rèda e suo padre all’inizio del film. Come mai padre e figlio sono così distanti? Cosa lidifferenzia in particolar modo? Come mai è proprio Réda a dover accompagnare suo padre nel lungo viaggio?• Come si evolve il loro rapporto? Quali sono i conflitti più forti che scoppiano fra di loro? Quali sono le tappe ogli episodi che determinano dei cambiamenti significativi?• Che significato ha per Mustapha il viaggio alla Mecca? E che significato ha per Réda?• Durante l’intero viaggio, attraverso varie città del mondo, i due incontrano personaggi un po’ particolari comel’anziana signora a cui danno un passaggio nella ex-Jugoslavia oppure il musulmano che ruba loro dei soldi, lamendicante, ecc…Che significato hanno queste figure nella storia?• Come mai Mustapha muore dopo aver raggiunto la Mecca? Che significato ha la sua morte nella storia?• Cosa credi abbia imparato Réda da suo padre e dal viaggio?• Cosa vuol dire l’ultima scena in cui Réda dà i suoi spiccioli ad una mendicante, cambiando completamenteatteggiamento rispetto ad una scena precedente in cui si rifiuta categoricamente di offrirli?• Che tipo di emozioni ti ha offerto questo film? Fai un confronto con la tua esperienza personale, rispetto alrapporto che tu hai con tuo padre, rispetto all’idea che tu hai del viaggio e rispetto all’immagine che tu hai dell’Islam.

di Carlo Chatrian

Pur essendo il tuo filmd’esordio, Il grande viaggioè preceduto da una serie diesperienze, la collaborazionealle sceneggiature di Cédric

Kahn, il lavoro per la televisione, ecc.. Inche misura questo film partecipa di queilavori?Il progetto del film Viaggio alla Mecca è nellamia mente da una decina di anni, epoca in cuilavoravo alla stesura del mio cortometraggioL’éxposé. In quel film raccontavo dell’infanziadi Réda, ciò che avviene prima del suo grandeviaggio. Se dovessi stabilire un legame, direiche tutti i miei film trattano della stessaproblematica: come comunicare con l’altro eaccettarlo con la sua diversità? Per quantoriguarda invece la mia collaborazione conCédric Kahn, che è innanzitutto un amico,risale al mio primo corto, di cui ho realizzatoil montaggio. Dopo quest’esperienza abbiamoavuto voglia di scrivere insieme. E così è stato.

Uno degli elementi di originalità del filmrisiede nel suo soggetto. Cosa ti ha spintoa trattare un pellegrinaggio?Quando ero giovane mio padre ha compiutoil suo pellegrinaggio in macchina, quel viaggiomi ha fatto sognare. In un certo senso ho fattoil film per dare forma a quel sogno. D’altraparte, esso mi è sembrato il contesto idealeper raccontare l’avventura e l’incontro tra idue personaggi.

Il rapporto tra tradizione e modernità staal centro di “Viaggio alla Mecca”. In questoquadro qual è il ruolo dei sogni?I sogni sopraggiungono ogni qualvolta Rédaè inquieto nei confronti del padre. I sogniavvicinano il figlio all’universo del padre e loaiutano a comprenderlo.

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Da David Copperfield a Valo

Tutta la prima parte del film si concentra sullo sguardo limpidoe attento di Valo, sguardo rivolto alla realtà in cui vive e che luipuntualmente ritrae attraverso i suoi disegni e i suoi diari. Com’èla realtà che vedono gli occhi di Valo? E’ fatta di uomini in divisaminacciosi, è fatta di cortei in cui si protesta contro il regime main cui si viene arrestati come accade a suo padre; la realtà chevede Valo è fatta di giorni in cui un cielo di bombe uccide il suomiglior amico, Matthie; è fatta di uomini vestiti di nero (l’ispettoredella zona e il maestro Vassili) che detestano i bambini e credonodi fare a loro ciò che gli fa più comodo per dimostrare chi ha ilpotere. La realtà che vede Valo sin dall’inizio è fatta di adulti chepicchiano i bambini e che non hanno alcun rispetto per il futurodei propri figli. Valo, come David Copperfield, è nato in un tempoin cui la dignità e i diritti del bambino erano impensabili, l’educazioneriguardava solamente i figli dei ricchi e la scuola era consideratainutile perché i bambini erano destinati a fare lavori di ogni tipoubbidendo ciecamente alla volontà degli adulti. L’atteggiamento

che i grandi avevano verso i piccoli corrispondevaesattamente al comportamento che i padroni (nel casodi Valo parliamo dello Zar di Russia e dei suoi sottoposti)avevano nei confronti della gente comune. Un cerchiodi schiavitù difficile da rompere che genera violenza eignoranza. In questo contesto ogni cosa (una protesta,

un libro, una parola) che andasse in una direzione diversa da quellaimposta, veniva considerata sovversiva e quindi andava punitapesantemente e pubblicamente, così che la punizione di uno potesseessere di lezione per tutti.E’ per questo che l’amata maestra Marija parla ai bambini di“segreto” quando comincia a leggere loro le prime pagine di DavidCopperfield di Charles Dickens, romanzo proibito intanto perchéera inglese, quindi straniero (e gli Zar non amavano ciò che nonapparteneva loro) e poi perché anche David Copperfiled è unbambino che ha vissuto sulla propria pelle le ingiustizie socialiimparando a proprie spese a prenderne coscienza. La maestra Marijalegge ai bambini le prime righe del romanzo di Dickens: “Per iniziarela mia vita proprio dal principio, ricorderò che nacqui (così mihanno informato e così credo) un venerdì, a mezzanotte. Si notòche il pendolo prese a battere e io a strillare, simultaneamente.Tenuto conto del giorno e dell’ora della mia nascita, la levatrice,e certe discrete comari del vicinato dichiararono – primo – ch’erodestinato nella mia vita alla sventura e, - secondo – che avevo laprerogativa di vedere fantasmi e spiriti.” Perché Marija legge proprioquesti passaggi del romanzo, che sono gli stessi che leggerà Ville

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Inizi del ‘900. Valo, un bambino di nove anni, vive con il padre, unospazzacamino in un villaggio nella regione russa dell’Ingria dove vive sottoil controllo costante dei gendarmi essendo considerato un ribelle e unrivoluzionario. Per questo anche Valo viene subito tenuto sotto controlloper le sue idee ritenute “eccessive” dal potere locale. Quando la maestraMarjia viene arrestata perché la sua educazione è ritenuta inadeguata, lascuola viene chiusa. Ma Valo non ci sta e insieme a Ville e Julia, suoicompagni, organizza una nuova scuola in cui gli insegnanti non sono altroche gli stessi bambini, a turno. Alcuni adulti del villaggio disapprovano illoro progetto. Altri pensano che per loro non sia necessario avere un’istruzione:se imparano a leggere e a scrivere potrebbe essere meno facile controllarlied è meglio che vadano a lavorare. La scuola così viene chiusa di nuovo.Ma i bambini rifiutano di arrendersi e creano una scuola segreta.

Regia: Kaija Juurikkala; Sceneggiatura: Markku Flink ispirata aidiari di Aleksanteri Ahola Valo; Fotografia: Harri Räty;Scenografie: Tarja Väätänen; Costumi: Riitta Röpelinen; Suono:Pekka Karjalainen; Musiche: Annbjorg Lien, Bjorn-Ole Rasch;Montaggio: Jukka Nykänen; Interpreti principali: Vili Jarvinen(Valo), Joni Kehusmaa (Ville), Sara-Maria Juntunen (Julia), AlinaSakko, Eveliina Uusitalo, Teijo Eloranta, Rea Mauranen, Olka Horila,Hannu Kivioja, Pentti Korhonen, Morten M. Faldaas, JanneRaudaskoski, Hannu Kangas, Liisa Toivonen; Origine: Finlandia,2005; Durata: 84 minuti.

“Il solo capitale dell’uomo è il tempo”Aleksanteri Ahola Valo

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alla fine del film? Perché parlano della nascita di David.Cosa c’è a questo mondo più importante della nascitadi un bambino? Dovrebbe essere un fatto meravigliosoe invece in molti casi diventa l’inizio di una vita difficilese non addirittura additata come sfortunata. Una vita

in cui non si impara ad esprimere se stessi ma a difendersicontinuamente da qualcuno più forte. Marija nel leggerequelle pagine cerca di avvicinarsi ai bambini aiutandolia prendere coscienza di se stessi, tanto che a un certopunto Valo le si avvicina e le chiede “Maestra, ma cosale è successo?” E Marija aggiunge “Che vuol dire, cosami è successo?” e Valo risponde “Lei ci ascolta, ascoltai bambini!”. Marija non avrà più la possibilità di leggereai piccoli la storia di David Copperfield perché i suoiinsegnamenti saranno considerati “pericolosi”, “devianti”da chi nel villaggio esercita il potere e il controllo. Eppurela sua breve presenza lascia una traccia talmente profondadi diversità rispetto agli altri adulti che un bambinosensibile come Valo nonsi limita a guardareMar i ja che v ieneportata via. La storia diDavid Copperf ie lddiventa un pò la suastoria e di fronteall’amico Ville che portaaddosso i segni dellepercosse del padre e sidice destinato a fare ilsoldato, Valo sale su untrampolino di legno egrida al cielo “Promettoche dedicherò tutta lavita a combattere ilmale”. “Sarai anche tuun soldato?” – glichiede Ville. “No –risponde Valo. Io nonvivrò per la spada. Sarò

un coltivatore di anime”. Cosa vuol dire Valo con questeparole? Essenzialmente ciò che dice Marija quando entraper la prima volta a scuola e chiede ai bambini “Chi sacosa vuol dire coltivare l’anima? Significa leggere. E’qualcosa che dà piacere”. Marija è la prima personaadulta che ascolta i bambini, è la prima persona cheparla di piacere. Una parola inesistente per la vita diquei bambini. E chi prova piacere nel leggere si apre almondo, alla conoscenza. E chi si apre alla conoscenzadiventa padrone di se stesso cioé è un uomo libero. Valo,grazie allo spirito ribelle di suo padre che indirettamentelo ha educato a riconoscere le ingiustizie e grazie anchea Marija si pone in questa prospettiva di apertura almondo e porta avanti il suo progetto, difendendolo epagando di persona. Come aveva giurato agli altribambini. Come David Copperfield.

Una scuola per tutti i bambini

Quello che fa Valo dal momento in cui la scuolaviene chiusa e la maestra arrestata è un capolavoro dilotta nonviolenta che proprio nella cultura russa ha unodei suoi padri più straordinari: Lev Tolstoj, scrittorefamosissimo, che come Valo, creò una scuola per tuttii figli dei contadini, allora destinati all’ignoranza.Cosa fa esattamente Valo per combattere le ingiustiziefatte ai danni dei bambini? Innanzitutto non ha mai iltimore di dire ciò che pensa e di denunciare le ingiustizie(come nella scena in cui scrive sulla lavagna: “I bambininon si picchiano!”); si dà da fare per creare una nuovascuola e per non rischiare che venga considerata illegale(e quindi richiusa) con l’aiuto di Katarina, una donnadel villaggio, va da un avvocato che gli suggerisce ilmodo per far rientrare il tutto nella legalità; inoltre Valo crede molto nelle possibilità creative che ogni bambinopossiede e chiede ad ognuno, a turno, di dare lezioniagli altri su ciò che conosce meglio. Questo significaresponsabilizzare i singoli bambini e dare a tutti le stesse

opportunità per evitare che ognunopossa sentirsi superiore ad un altro.I bambini diventano così tantoresponsabili del loro progetto chevendono i loro disegni perraccogliere fondi e sostenere lascuola, senza aspettare invano chequalcun altro lo faccia per loro.Quando la scuola viene chiusa perla seconda volta, Valo chiede difare scuola lì dove i bambinilavorano; guarda in faccia coloroche spadroneggiano nel villaggioe dice quello che pensa mettendoliin ridicolo (come nelle scene delteatr ino) dimostrando chel’oppressore non è altro che unburattino nelle mani di un altrooppressore più potente. E ancora,quando Valo viene arrestato noncerca di scappare ma si fa prendere

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andando incontro alla punizione che gli è stata riservata:il carcere minorile, dove i bambini imparano ad essere violentinei confronti di altri bambini e anche lì Valo non perdel’occasione per insegnare proprio a chi sta in quell’inferno,a leggere e a liberare lo spirito. E infine il processo, duranteil quale Valo non si lascia intimorire dalla situazione maprende la parola chiedendo al giudice se sa cos’è il Bene ecos’è il Male e spiega che ha solamente invitato i bambinia ribellarsi agli adulti che li picchiano. Questo vuol diresemplicemente combattere le ingiustizie. Le sue parolesaranno rafforzate dall’arrivo di Ville che mostra al giudicei diari di Valo e testimonia a tutti la possibilità che egli hadato a diversi bambini di imparare a leggere e a capirel’importanza dell’anima di una persona. E lo stesso Ville neè un esempio importante dell’opera di Valo. La testimonianzadi Ville e il suo radicale cambiamento nei confronti del padree della vita dimostrano che l’esempio di Valo ha coinvoltopiù persone e questo costituisce una buona premessa perchéle cose possano veramente cambiare. Non a caso il film sichiude sulle immagini di Ville che legge, a tutta la classe ein presenza del padre partecipe, le prime pagine di DavidCopperfield. Ci troviamo di fronte a una rivoluzione fattada bambini per i bambini, da cui anche alcuni adulti trarrannobeneficio perché le rivoluzioni nonviolente hanno la capacitàdi educare anche chi, a vario titolo, si pone come avversario.

Valo, una storia vera

La storia raccontata dal film è contenuta nei diari scrittida un bambino realmente vissuto. Si chiamava AleksanteriAhola Valo, nato nel 1900 e morto nel 1997. Valo è statauna personalità straordinaria e geniale tanto da essereparagonato a Michelangelo. Era infatti un bravissimo pittore,ritrattista, scultore, architetto, traduttore. Come architettoè famoso il suo progetto di realizzare una vasta area di verdetutta intorno alla città di Mosca nell’idea che l’uomo e lanatura dovessero sempre essere abbracciati. Ma quel progettonon è mai stato realizzato. Suo padre era stato veramenteun rivoluzionario contro la politica degli Zar ma Valo purcapendo lo spirito di libertà e uguaglianza che animaval’azione di suo padre e dei suoi amici, non ha mai condivisoquel tipo di rivoluzione che causava anche delle perditeumane. Valo ha sempre creduto, fino all’ultimo giorno dellasua vita, che non sono le rivoluzioni specie se armate, acambiare il mondo ma è l’educazione il vero motore delcambiamento. Certe idee le pensava e le scriveva anche dapiccolo, esattamente come si vede nel film. A questo propositonel suo diario del 25 marzo 1911, Valo scriveva: “Mio padreha detto che tutto cambierà quando ci sarà la rivoluzioneperché questa renderà le persone uguali, non ci saranno piùpadroni e non ci saranno più schiavi. Ma io gli ho detto chegli uomini staranno meglio non facendo la rivoluzione maquando capiranno cos’è la vita”. E poi ancora nel diario del1 maggio 1911: “Ho discusso tutto il pomeriggio con miopadre su cosa potrebbe accadere nei prossimi anni. Miopadre crede nella rivoluzione e io invece ho cercatoinsistentemente di fargli capire che la rivoluzione non è

necessaria. Occorre invece portare l’educazione e la culturatra i contadini perché è l’unica cosa che può dare le stesseopportunità a tutti e dare loro la possibilità di capire il sensodella vita”.

• Descrivi il personaggio di Valo mettendo in evidenza il suo carattere,le cose che gli piace fare, la maniera in cui coinvolge gli altri bambini.Attraverso quali passaggi, quali azioni importanti Valo riesce a vincerela propria battaglia. Di che battaglia si tratta?• Quando Valo parla di ingiustizie, a cosa si riferisce in particolare?• Quali sono i personaggi che nel film causano ingiustizie? E chi sonocoloro che le subiscono?• Cosa vuole dimostrare Valo ai suoi compagni? Perché i bambini, ancheuno particolarmente ribelle come Ville, seguono Valo nel suo progetto?• In cosa le azioni di Valo e di tutti i bambini possono essere consideratenonviolente?• Quale personaggio del film hai sentito più vicino a te? Come mai?In cosa ti assomiglia? E tu, cosa senti ingiusto per te? Cosa fai, nel tuopiccolo, per combattere ciò che senti ingiusto? Ci riesci? Con qualirisultati?• Cosa ti dimostra la storia di Valo?• Come mai la maestra Marija viene arrestata?• Perché Marija legge ai bambini il romanzo David Copperfield di CharlesDickens? Cosa ha a che fare con la storia del film?• Come giudichi la scelta della regista di chiudere il film con il bambinoVille che legge David Copperfield? Cosa vuol dire?• Disegna o racconta la scena che ti ha particolarmente colpito. Poiconfronta il tuo lavoro con quello del resto della classe. Cosa ne vienefuori?• Conosci altri film o altre storie, racconti in cui ci sono bambini chelottano per i bambini?• Raccontale e mettile a confronto con la storia di Valo.

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Nata nel 1959, Kaija Juurikkala ha lavorato comeinsegnante elementare dal 1980 al 1989. Nel 1990intraprende i suoi studi al Dipartimento di Cinema eTelevisione dell’Università di Arti Industriali e Designdi Helsinki. Laureatasi nel 1997 in regia, già nel 1994,vince il Premio Risto Jarva al Festival di Tampere peril suo primo film: Rosa was here. Nel 2003 riceve ilprestigioso Premio dello Stato perle sue produzionicinematografiche per bambini. Attualmente Kaija lavoraalla regia e alla sceneggiatura di film, telefilm eprogrammi televisivi peri più piccoli.

La regista

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Le schede dei film Curioso come George e La Stella di Laura sono contenute nei fascicolidi approfondimento per le scuole elementari, insieme ai film Raccontami una storia eIl cane giallo della Mongolia. Indichiamo qui di seguito le trame dei due cartoni animati.

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Durante una spedizione in Africa ad opera della direzionedi un noto museo americano, Ted il responsabile dellamissione, si imbatte in un delizioso cucciolo di scimpanzé.Terminata la spedizione, il curioso scimmiotto seguiràil nuovo amico attraverso il viaggio di ritorno, fino adintrodursi furtivamente nella stiva della nave, cheriporterà gli uomini in città. La metropoli risulterà agliocchi di George come una nuova e complessa giungla,decisamente pericolosa, in cui potrà comunque daresfogo a tutta la sua fantasia.

Laura, sette anni, è costretta a cambiare casa con tutta la suafamiglia. Il distacco dai suoi luoghi abituali la fa sentire moltotriste per cui affronta la nuova casa con distacco e ritrosia. Unasera, guardando il cielo dalla finestra della sua stanza, Lauravede una stella cadente che precipita proprio nel parco vicinoa lei. Laura corre a prenderla e scopre che la stella ha un pezzettomancante. Da quel momento la bambina si prenderà cura dellasua stella fino a ritrovarle la parte mancante, a farla risplendere,e a farla andare via nel suo spazio naturale. Laura affronta cosìun altro importante distacco ma ne capisce l'importanza dellalibertà e dell'amicizia.

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