CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

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CATALOGO D'ARTE

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“Se un giorno scoprissi cheun’opera da me eseguita

fosse finitarimarrei deluso e considererei

la mia ricerca una cosa spenta”

Luigi Grossi

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3IN PRINCIPIO ERA LA LINEA

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Pubblicato in occasionedell’esposizioneIN PRINCIPIO ERA LA LINEA

Biblioteca NazionaleSala LeopardiPalazzo RealeNapoli settembre 2008

Edito da PROART

A cura di Luigi Grossi

IntroduzioneAlbachiara Caccavale

Testi diMauro GiancasproFilomena Maria SardellaEduardo AlamaroMarco Bussagli

Coordinamento organizzativoAlma Serena Lucianelli

Segreteria Anna Maria FioreRosaria BimonteAnna Cardillo TremarelloMaria Calascibetta Laura Sacco

Ufficio stampaLydia Tarsitano

Sito webGennaro Alifuoco

Staff tecnicoVincenzo AvallonePasquale AgrilloMarco De RosaEduardo MarinoAniello TozziLuigi Vallefuoco

Tutti i diritti riservati.Nessuna parte di questapubblicazione puòessere riprodotta,interamente o in parte,memorizzata o inseritain un sistema di ricercadelle informazioni otrasmessa con qualsiasiforma e con qualsiasimezzo (elettronico,meccanico in fotocopiao altro) senza il previoconsenso scrittodell’editore.

Biblioteca NazionaleNapoli

AUGUSTEOTEATRO

NAPOLI

Ministero per i benie le attività culturali

ASSOCIAZIONE CULTURALE ONLUS

FotografieRino PalmaGiosuè Scognamiglio

Progetto della mostrarealizzazione dell’allestimentoLuigi [email protected]

Colonna sonoraMarco Zurzolo

Progetto graficoSara PolliniStefano Tornincasaper Studio Moratti

StampaCangiano

Finito di stamparesettembre 2008

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5LUIGI GROSSI

SALA LEOPARDIPALAZZO REALE

NAPOLI

BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI

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Il Teatro Augusteo è da sempre - e per an-tica e consolidata tradizione - vicino almondo dell’arte.Non solo a quella teatrale, cui sempre èchiamato da suo ruolo istituzionale, ma atutte le varie espressioni del mondo arti-stico, con particolare riferimento alla pittura.Di qui l'impegno e l’interesse con i qualil’Augusteo ha sempre seguito l’attività deipittori napoletani, in particolare di quelli piùaperti ad una ricerca continua in grado diinterpretare le incertezze e l’ansia del nostrotempo.Un posto di riguardo in quest’area spetta aLuigi Grossi, che il Teatro Augusteo segueda anni e del quale ha ospitato e conservaalcune opere.L’occasione della sua mostra nella Sala Leo-pardi della Biblioteca Nazionale di Napoli èdunque propizia per confermare all’artistal’amicizia e l’appoggio dell’Augusteo e miopersonale, con l’auspicio che la rassegnapossa ancora una volta incontrare il piùlargo consenso di critica e di pubblico

Albachiara Caccavale

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E’ accaduto a molti artisti, al culmine dello

snodarsi dei loro itinerari, dopo aver attraver-

sato stagioni di esuberanza creativa e di

grande ricchezza espressiva, di rendere sem-

pre più rarefatta la cifra del proprio linguag-

gio. Difficile dire se è responsabile del

fenomeno il raggiungimento della piena si-

curezza dei propri mezzi e della propria ener-

gia, e quindi di una conseguita maturità,

oppure il bisogno impellente di imprimere

maggiore rapidità e sinteticità alla comunica-

zione; quasi che subentrasse una nuova sol-

lecitazione dell’età che avanza e che,

allargandosi lo spazio della memoria e restrin-

gendosi quello del futuro, si inneschi la vo-

lontà di far presto.

Alberto Savinio sospettava che i musicisti, col

passare del tempo, diventassero sempre più

inclini alla velocità; ma appena avanzato il so-

spetto e appena formulato uno dei suoi para-

dossali assiomi, si smentiva immediatamente

e spudoratamente, si metteva in discussione

e si contraddiceva palesemente, chiedendosi

se per caso Rossini e Vivaldi non fossero nati

già adulti.

Lucio Fontana arriverà nelle sue ricerche sullo

Spazialismo all’essenzialità della linea drastica-

mente e velocemente espressa in un taglio

su una tela bianca.

Luciano Fabro ricorrerà alla purezza asettica

della linea, materializzandola in sottili filamenti

metallici sospesi nel vuoto di un ambiente

privo di qualsiasi connotazione spaziale o cro-

matica.

Oppure….l’affermarsi della necessità di sintesi

e di immediatezza si fa tanto più cogente

quanto più urge l’impellenza di una fantasia

prorompente che esige con nuove metafore

e nuove soluzioni figurative, maggiore velo-

cità di comunicazione. E Luigi Grossi di fanta-

sia ne ha e ne ha avuta sempre da vendere,

difficilmente indugiando su una formula sco-

vata e su un motivo ben riuscito, pur efficaci

e di successo, ma sempre proiettandosi verso

nuovi temi e nuovi linguaggi, per il piacere

dei suoi ammiratori ai quali accade qualcosa

di apparentemente contraddittorio.

Chi, infatti, è affascinato dal cosmo di Grossi,

qualunque sia il sussulto provocato da una

sorpresa, riconosce sempre la sua mano in-

confondibile, la sua cifra, il suo tratto, la sua

freschezza d’inventiva, pure in contesti diver-

sissimi: da quelli dove il colore è prorom-

pente, rutilante e quasi aggressivo, a quelli

dove il cromatismo si smorza progressiva-

mente fino a spegnersi del tutto cedendo il

passo ad una laconica giustapposizione di

bianco e di nero; da quelli dominati da una

IN PRINCIPIO ERA LA LINEA Mauro Giancaspro

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corposa materialità tattile a quelli dove sem-

bra dilagare il nulla; da quelli urlanti di gioia

e d’energia e quelli silenziosi e quasi muti; da

quelli dove tutto è volume e tridimensionalità

a quelli più rarefatti e, come in quest’ultimo

caso, affidati alla essenzialità della sola linea.

Come dire che – sia nell’esternazione della

più incontenibile e clamorosa forza, fatta di

esplosioni incandescenti, di bagliori abbaci-

nanti, di clangori assordanti, sia nell’esilità ele-

gante di una linea sottile che sinuosamente

descrive – c’è sempre dietro lo stesso Luigi

Grossi, creatore imprevedibile, che trascorre

con disarmante agilità dall’energia del titano

tracotante alla bonomia del calligrafo gentile.

Eccolo, dunque, affidarsi alla linea; non ha

più bisogno di conglomerare colori, ora con-

trapponendosi in stridente contrasto, ora sfu-

mandoli l’uno nell’altro; non ha più bisogno

di farsi alchimista nell’utero di una camera

oscura per scrutare embrioni di vita in incu-

bazione; non ha più bisogno di dare alle

campiture cromatiche quello spessore che gli

consente, a vernice ancora fresca, di scavare

come con un aratro solchi sinusoidali ed ellit-

tici o spigolosi tracciati densi di piegature

acute e spezzate. Ora torna alla linea, quale

primigenio e originario strumento di comu-

nicazione. E la linea sembra essere estrapolata

proprio dalle profonde rughe tracciate sul

manto della pittura ancora molle, come su

un terreno umido.

Osservando le linee di Grossi non possono

non tornare alla mente alcune pagine di

Punto, linea, superficie di Kandinsky, rivoluzio-

nario studio del 1926. Non sappiano se

Grossi le abbia mai lette, ma è lecito ritrovare

nel modo di trattare la linea tutta la forza che

il pittore russo le attribuiva, come elemento

dinamico che, scaturita da un punto, assu-

meva la capacità di rappresentare nel suo svi-

lupparsi retto, spezzato, arcuato o curvilineo

che fosse, i più disparati stati d’animo.

Si tratta di un percorso di scomposizione nel

quale la linea sembra divincolarsi dal disegno,

sottraendosi alle leggi imposte dal suo crea-

tore, rifiutando l’obbligo di dover realizzare il

progetto finale del suo disegnatore.

Sembra che Grossi abbia fatto un sogno, del

quale rende partecipi i suoi spettatori. Le linee

dei suoi stessi disegni improvvisamente si ri-

bellano, si staccano dalla superficie del foglio,

si mettono a lievitare nell’aria, felici di questa

nuova libertà di giocare, di danzare, di attor-

cigliarsi, di compiere mille evoluzioni, all’oc-

correnza di illuminarsi e di farsi beffe di tutti i

disegnatori che le hanno ingabbiare nella di-

sciplina figurativa a mimare un volto, una

casa, una foglia. Le linee insomma sfuggono

alla mano di chi vuol dominarle. Sembrano

sfuggire anche a quella dello stesso Grossi;

ma da lui, le linee, non hanno proprio cuore

di separarsi del tutto. Gli rimangono intorno,

a giocare con lui, divertendosi a fare il verso

ai suoi vecchi disegni, per realizzare con libere

evoluzioni altri impalpabili disegni, quasi a ri-

cambiargli scherzosamente il dono della vita

che il pittore ha fatto loro.

Un tempo era lui a guidarle e a farle volteg-

giare sulla pagina o sulla tela; ora sono loro

che lo conducono, sono loro che gli dimo-

strano che hanno imparato a procedere da

sole e potrebbero, siccome le ricordano a

memoria, ricostruire e rifare da sole tutte le

sue opere. Sono adesso loro, le linee, a gui-

darlo verso chissà quali nuove scoperte, es-

sendo diventate, da obbedienti servitrici quali

erano, compagne alla pari. Volano incontrol-

labili: possono fermarsi in sospensione nel-

l’aria, lasciarsi cullare dal vento, descrivere

ghirigori, addirittura danzare, farsi morbide e

sinuose, giocose e ironiche.

L’artista appare affascinato dal prorompente

potere delle linee quasi sentendosene posse-

duto al punto da stabilire con loro uno stretto

rapporto simbiotico.

Così guardando le loro evoluzioni riesce a

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fermarle in uno dei tanti stadi figurativi che

esse assumono di continuo lasciandosi anche

ritrarre con loro, come in una vera e propria

foto di famiglia, e godendosi, con evidente

gioia, la loro conquistata autonomia.

Le linee allora riprendono la loro primigenia

forza; non sono solo capaci di disegnare

senza una mano esterna che le conduca, ma

sanno addirittura parlare rinsaldando la pos-

sibilità di comporsi in lettere, in monogrammi,

in parole, come in un corsivo letterario, che,

avendo appreso l’arte del narrare a furia di la-

sciarsi generare dalla penna dello scrittore, se

ne va da solo a raccontare.

Il pittore le lascia andare, osservandole nel

loro libero volteggiare, con l’ingenuità di un

bambino che segue le evoluzioni imprevedi-

bili di un aquilone che egli stesso ha costruito.

A chi ha confidenza con le scritture antiche

gli andamenti sinusoidali delle serpentine di

Grossi potrebbero fare pensare all’elegante

corsivo di una scrittura caduta, per uno di

quei misteriosi sortilegi di cui solo gli artisti e i

sognatori sono capaci, da un manoscritto

composto in una lingua indecifrabile. Una mi-

steriosa scrittura dal potere magico cui libera-

mente ogni spettatore può, sulla spinta

dell’emozione, attribuire il più imprevedibile

significato.

Questa mostra si presenta come un’irrefrena-

bile danza delle linee che si scatenano, con

una coreografia spontanea, in sospensione

nell’aria e si spostano volatili cercando spazi

dove planare, per fermarsi quasi a riprendere

fiato e riposarsi.

Immaginiamo, allora, un vento, a tratti lieve

e a tratti impetuoso che le solleva in aria, che

le avviluppa e le attorciglia, le intreccia come

trama e ordito di tessuti, le compone in ri-

cami eleganti e ricercati, le infittisce negli spi-

goli e negli aculei di invalicabili cancelli:

composizioni sostenute nel vuoto come fili-

formi alianti, finchè non cessa di sorreggerle.

Ma la consolidata familiarità con uno scrit-

tore come Alberto Savinio potrebbe giustifi-

care, nell’osservare quest’ultimo linguaggio

di Grossi, un capovolgimento totale dell’as-

sunto iniziale ipotizzando che tanta lineare

semplicità non sia dettata tanto dalla rapidità

che un’età più matura richiede quanto pro-

vocata, piuttosto, dal sopravvenire di una

nuova inaspettata ventata di giovanilissima,

quanto infantile, ingenuità che è pronta a

stupirsi e a meravigliarsi di tutto, anche delle

cose più semplici e a immaginare che le sue

linee altro non siano che il contorno di

quelle figure che da bambini abbiamo visto

nel vario e imprevedibile gioco grafico delle

nuvole, reso continuamente instabile dal

vento.

E, caduto il vento, il loro primordiale istinto

porta le linee a riacquistare peso e corpo per

atterrare o scendere in picchiata fino a po-

sarsi e a stamparsi su antichi reperti litici, su

pietre informi, mai toccate dalla mano del-

l’uomo, ma plasmate dalla forza della natura.

E qui le linee di Grossi si posano, impri-

mendo a massi informi e frastagliati il loro più

antico segno, riproducendo le ferite inflitte

dal fuoco di eruzioni, da sconvolgimenti

della natura, dall’irrequietezza chimica di un

cosmo in evoluzione, delimitando poi le fasce

di una stratigrafia geologica e, infine, imi-

tando i graffiti primitivi di chi, con la ruvida

sciabolata di un tratto, esternava paure, spe-

ranze, preghiere, amore ed elaborava sinteti-

che simbologie di riti apotropaici.

E’ ancora una volta la linea, spigolosa e ta-

gliente, o morbida come un ininterrotto cor-

sivo a dare pulsione comunicativa e voce a

vecchie schegge di rocce e di terra: una ri-

conferma, insomma, che nel comunicare –

nel disegnare o nello scrivere, o in un primi-

genio processo dove disegno e scrittura si

fondono e si identificano – “in principio era la

linea”.

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PERCHE’ VIVEREE’ ANCHE INCANTO Filomena Maria Sardella

Sentiamo. Non con l’udito o l’olfatto o il

gusto. Dentro di noi, provocato da un quid

non sempre rintracciabile all’esterno, nasce

improvviso un moto dell’anima, che non ha

suono né odore né gusto, che ci fa trasalire

e lascia il fiato corto e come un attonito stu-

pore.

Usiamo definirle Emozioni, segni di un lon-

tano racconto, di un esistere al di là del-

l’Idea platoniana, oltre gli ´έιδολa, astratte

forme che pur racchiudono simboli visivi,

oltre qualsiasi determinismo razionale: fan-

tasie senza margini…magie. Perché vivere

è anche Incanto.

Forti o discrete, sono emozioni le risposte

che provocano le opere di Grossi; esse ci tra-

sportano in luoghi che sentiamo lontani dal

chiasso del giorno e dal pasticcio di segni e

colori che quotidianamente ci rimbalzano

dinanzi agli occhi e si fanno immagine.

Egli descrive ciò che non c’è, che anzi non

appare; eppure l’opera è lì che affabula e

sostiene la sua volontà carismatica: di esserci

senza mostrare la forma dell’essenza.

Grossi non è un artista astratto, non traccia

linee impastate di colori, non tesse tele su

tela per imbrigliare chi guarda le sue crea-

ture; Grossi cattura direttamente lo sguardo

del fruitore e lo porta dentro la sua opera fa-

cendone cedere la superficie. Io, piccola

come una volta catturata dallo specchio ove

l’occhio indagava incredulo e ansioso su

cosa ci fosse al di là, facendosi largo tra i ri-

gidi contorni della cornice, mi son trovata a

smarrirmi. Spiegare… solo chi sceglie di la-

sciarsi prendere dalla magia visiva sa appro-

dare al di là e cogliere il senso e la bellezza

dell’opera. Sì, perché le opere, colorate o

scure o ancora monocromi di cretti arricciati,

ruvidi sotto il tatto e lo sguardo, donano

una forma che rallegra, avvicina e coin-

volge piacevolmente, espressioni di un

gusto esercitato al Bello.

Luigi Grossi infatti non si improvvisa artista.

Egli, oltre ad aver condotto gli studi rituali,

ha una lunga frequentazione con l’am-

biente artistico degli anni Settanta del Nove-

cento e soprattutto con quello napoletano;

guarda alla scultura di Perez e assimila le no-

vità espressive di Burri e di Fontana, il grafi-

smo di Caporossi e il simbolismo di Bacon

come pure le soluzioni di Raffaele Lippi. Una

lunga gestazione che lo porta, alle soglie

del nuovo millennio, alla maturazione della

sua personale ricerca. La prima mostra, nel

2001, segna la conclusione della sua primi-

tiva espressione artistica e l’apertura alle

nuove esperienze. Le scarne iconografie,

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teste smunte come teschi dagli occhi scavati,

non stanno solo a spegnere le ultime stan-

che annotazioni iconografiche; rinviano per

lo più a immagini rintracciabili nella mente,

quasi scarnificando le umane sembianze do-

lenti del proprio destino teso verso il nulla,

intraprendendo il nuovo percorso espressivo

dell’artista: l’annullamento dell’immagine.

Dopo l’esposizione del 2001 l’attenzione di

Grossi è tesa a cancellare ogni profilo ricon-

ducibile a immagini reali per sperimentare

sempre più la materia, talvolta colorandola,

sempre con una progressiva ansia di distrug-

gere infine ogni pigmento. Le rappresenta-

zioni diventano flussi di pigmento come

nella mostra dedicata al Vulcano; onde ver-

miglie e palpabili – n.b. la mostra titola il Vul-

cano è dentro di noi, 2002, Villa Bruno –

riprese dal di dentro, un rapporto tanto rav-

vicinato con l’immagine che descrive da di-

struggere i confini del segno. Ed è questa la

sua scelta espressiva; il suo linguaggio da ar-

tista si affina su questa ricerca, affonda ne I

colori del nulla con la mostra 2003 all’Istituto

degli Studi Filosofici, presentata da Aldo Ma-

sullo che ne scrive: “i colori del nulla…non

sono altro che i colori dell’anima…non sono

che i colori della vivente unità psiche –

mondo”. “È come – scrive Isabella Valente –

se l’eruzione vulcanica si fosse fermata, e i

colori di quella energia avessero trovato un

loro lento cammino orizzontale…”. L’artista

non segue però che i suoi percorsi, rapido a

esperire nuove formule per la sua ricerca

sempre più involuta, ad occhi introflessi con

una messa a fuoco tanto ravvicinata da per-

dere i confini dello spazio interagente.

Nascono così le opere della mostra dal titolo

I volumi del nulla, 2004, nella sala Leopardi

della Biblioteca Nazionale di Napoli. Sono

icone che esistono a tratti, si illuminano e

scompaiono e sono altro da se stesse, prelu-

dio alla mostra che viene allestita ancora

nella sala Leopardi in questo mese che anti-

cipa all’autunno 2008.

Le opere esposte nel 2004 hanno la loro

continuità in quelle che compongono la mo-

stra del 2005 Vibrazioni materiche nelle sale

del Castel Nuovo e ancora in quella che si

svolge nel 2006 a Castel dell’Ovo che titola

Sprigionamenti.

Le opere sono lastre, bellissime e poetiche

opere tattili che l’artista tratta a monocromo;

ciascun segno a rilievo su rigido piano ap-

pare nato da un progetto scritto e ben dise-

gnato a priori, quindi eseguito a bulino, no

a pennello di rigide setole, no a spatola di

piccolo spessore, no… con i polpastrelli delle

mani, creature nate come musica dalle dita

sapientemente condotte dall’artista sulla

morbida lastra, senza ripensamenti – che

non sono consentiti – veloci e sicure a realiz-

zare un progetto che è solo nella mente

dell’artista. Tecnica mista?

Non è possibile licenziare così, tout court,

l’esecuzione di ciascuna opera, perché

ognuna di esse è insieme creatività proget-

tuale ed esecuzione materica. Non c’è un

prima né un dopo, ma solo un: C’É, av-

viene in quell’attimo e quando prende

forma subito esiste. Non ci sono sinopie.

E allora, cosa altro creare? Stupire? Non è il

senso della sua ricerca. Grossi cerca condivi-

sione e affronta in quest’ultima mostra an-

cora un’altra sfida: torna ad avvalersi di

tecniche di luce, come ne I volumi del nulla,

ma non si lascerà attrarre da una sola super-

ficie agente, poiché interverrà su due, so-

vrapposte o interposte a seconda della

scena, con una architettura, questa sì pro-

gettuale, che lo impegna a esperire soluzioni

di difficile equilibrio statico per le complesse

forme scelte a rappresentare l’Idea.

Sono 18 le opere, tutte di grande eleganza.

Questa volta il segno vince. Le forme sono lì

rigide, spesso lucenti, le ho viste, ammiccanti

e leggere, in uno studio bianco e ordinato,

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spazio vuoto raccolto intorno ai nuovi em-

blemi di una creatività che non cerca riscon-

tri, non segue il passo di maestri ammiccanti:

è essa stessa manifestazione di un prototipo

d’arte, ricchezza dell’occhio che capta l’origi-

nale e medita su sperimentazioni tecnologi-

camente complesse eppure creature d’arte,

pensieri in forma.

Queste creature dell’arte appaiono incorpo-

ree ad occupare uno spazio quasi virtuale,

per la evidente bidimensionalità delle forme;

sembrano propense a dimenarsi nello spa-

zio per non volere esistere, per esistere solo

nella fantasia del loro artefice che, con una

vera e propria messa in scena, cerca condi-

visione nel fruitore.

Rimbalzano così all’occhio di chi le osserva

superfici lisce sulle quali scorre un segno, un

colore che attrae; all’improvviso è buio e la

lastra si accende e la superficie diventa al

contrario un corpo profondo, ove il blu as-

sorbe e il giallo rimbalza, il bianco svetta e il

suo opposto, il nero, inghiotte in un dina-

mismo di sensazioni ancestrali che è la vera

provocazione dell’artista.

Egli non si arrende alla forma, cattura il frui-

tore fino a dedicargli una magia illusionista

attraverso le trasformazioni che impone allo

sguardo che, come risucchiato nel passato,

torna a vedere ciò che non ha mai visto,

spettatore del magma primitivo della crosta

terrestre.

A creare la magia visiva è infine un teleco-

mando, strumento reso indispensabile dai

tempi correnti ma pur sempre strumento del

pensiero che, unico, decide di vedere ciò

che sceglie di vedere. L’idea creativa di

Grossi è quella di affidare alle scatole geo-

metriche i tre momenti essenziali dell’Essere:

ANIMA-CORPO-PENSIERO.

Nasce così il titolo della nuova esposizione

Pensieri luminosi; in realtà sono segni illumi-

nati. Per l’artista l’anima trascende la terra e

arriva nell’aere che non è il vuoto dell’uni-

verso, ma la densità di aria e di arie che lo

compongono ed entrano nel pensiero e lo

illuminano.

Realizza nell’opera Totem, con pezzetti di

specchio, una illuminazione che rende pos-

sibile vedere al di dentro e si accende ap-

pena ci si accosta; attraverso i piccoli specchi

frammentati, la propria immagine riflessa a

tratti dietro il confine della prima lastra

muove il piano retrostante, come a definire

la rarefazione dell’immagine alla ricerca di se

stessa nella complessità del suo esistere.

Gli ambienti della Sala Leopardi ospitano in-

fatti opere che chiamano continuamente il

fruitore ad interagire con esse: all’inizio del

percorso, vive l’istallazione del Totem; quindi

in successione sono collocati a parete dipinti

che appaiono alla luce artificiale che poi,

spegnendosi nell’ambiente per riaccendersi

in ogni opera, crea nuovi quadri enfatiz-

zando gli stessi che appaiono racchiusi in

scatole luminose; in ultimo il pensiero si fa

azione con l’uso del telecomando e come

in un salotto simulato ciascuno va alla ri-

cerca delle sue immagini: come dire in ori-

gine era la linea.

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Se li vedi attaccati di giorno alle pareti di casa

sono dei quadri. Dei “normali” quadri dipinti

nella consolidata tradizione della modernità. Il

fondo è uniforme, monocromatico, bianco,

nero, grigio. Intaccato solo da un gesto pri-

mario, energico, agitato, rutilante. Fatto senza

intermediazioni di oggetti. Direttamente colle

dita e colle unghia, senza compiacimenti este-

tizzanti. Grado zero. In questa furia “primitiva”,

che prende il maggior campo del quadro,

compaiono per dialogo, per contrappunto

follia-ragione, anima-animale, alcune figure

geometriche primarie. Astratte. Due triangoli,

una circonferenza. O una lunga e precisa stri-

scia di colore, assoluto. “I Grossi” di giorno si

presentano così. Nulla di più, nulla di meno

compare in questi quadri dichiaratamente

moderni.

Ma tutto cambia quando vien la sera.

Quando cala la notte e si accendono le luci.

Quando l’antico fruitore d’arte prende in

mano il telecomando e si trasforma in ordina-

rio spettatore. Utente e cliente della società

dello spettacolo e dell’informazione ordinaria-

mente ultras. E’ allora che quegli stessi bravi

quadri puliti, asciutti, verginali, perfino reli-

gìosi, si travestono e diventano tentatori e di-

sponibili lucciole. “Belli di notte”, appunto.

Tutti pieni di specchietti e inganni d’artista, bel-

letti e profumi seducenti. Intermittenti e oc-

chieggianti con neon a comando a distanza.

Pieni di luci metropolitane e colori fosfore-

scenti. Quei bravi quadri di giorno sono così

perduti e s-perduti nello spazio delle meravi-

glie del nostro mondo visivo contemporaneo

e contraffatto.

Il lavoro di Luigi Grossi alla “Sala Leopardi” della

Biblioteca nazionale nel Palazzo reale di Na-

poli, è perciò un (calcolato e coraggioso) salto

nel buio. Alla lettera. Nel senso che Grossi

spinge i linguaggi della modernità (dei quali si

è voracemente nutrito negli ultimi dieci anni,

anche per recuperare il tempo perduto nelle

arti utili del vivere quotidiano giovanile), nel ri-

schio della contemporaneità più spinta e illu-

soria. Intrinsecamente e massivamente pop e

kitsch. Per Grossi l’obiettivo dichiarato di questa

sfida, di questa sua ultima operazione este-

tica/sociale, è quella di evidenziare questi due

mondi visivi, diurni e notturni, nello stesso

quadro d’azione d’arte. Onde e donde spin-

gere poi verso un’interrogativa “fusione

Grossi”. Quando l’esteriore – nei suoi intenti–

“si fonde e confonde con l’interiore”. Le luci

dell’anima con quelli della ribalta. E del ribaldo

moderno che è ineliminabile in noi.

Sfinge

Ma prima di procedere nel “Grossi-pensiero”

(& azione) alla “Leopardi”, è doverosa una pre-

messa. L’arte non ha bisogno di presentazioni,

si spiega da sé. O non si spiega. E allora si

piega da sé. Il critico non può e non deve

spiegare l’artista. Semmai è suo complice nel

“delitto”. L’arte si autopresenta e si rappresenta

in uno spazio interrogativo autorefenziale, da

sempre. Pone domande e non fornisce rispo-

ste, da sempre. Non per cattiveria e cinismo

dell’artista, ma perché questo è il suo compito

sociale, da sempre. Quello è il suo spazio

d’azione, da sempre, nei secoli dei secoli.

Amen, ameno, almeno, così sia, per sempre.

L’arte utile, quella che si spiega e si piega, l’arte

volenterosamente pedagogica, con la risolu-

zione a piè di pagina e di opera, fa sempre

cattivi servizi alla società alla quale vorrebbe es-

sere invece utile. L’arte (o almeno tutto ciò che

gli uomini d’oggi chiamano arte) è in se stessa

non-violenta e disponibile alla penetrazione

soggettiva, aperta. Ma non per questo è con-

ciliante e accomodante, intrattenente. Al con-

trario pone sempre domande toste e estreme,

ultimative. Da sfida, da sfinge.

Pretende perciò Edipi intraprendenti e corag-

giosi, talvolta tragici. Normalmente ed uma-

BELLI DI NOTTE Eduardo Alamaro

28

Page 29: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

namente tragici. Innocenti bambini d’ogni

età, razza e ceto sociale. “Ti rendo lode,

Padre, perché hai nascosto queste cose ai sa-

pienti ed ai dotti e le hai rivelate ai piccoli e ai

minori (ma non minorati) come Noi”, disse il

Salvatore in quel Suo tempo dell’Arte assoluta.

Traducibili ancora nel nostro tempo parteno-

peo ‘e munnezza, nonostante tutto (e tutti)

gli alti e basso-lindi della nostra Storia recente.

Per questo suo gioco millenario l’Arte pre-

tende disciplina e fede nel Mistero e nel mi-

sterioso umano. Pone perciò sempre regole

nette in chi la domanda. In chi ha mente,

cuore e necessità inderogabili per sciogliere

l’enigma. O scoprire la contraffazione d’ori-

gine controllata.

Con indispensabile appropriazione, debita o

indebita che sia. Fino al furto con scasso, che

compie l’interrogante, lo spettatore, l’aspi-

rante e aspiratore d’Arte. Cioè il viandante, il

passeggero, il metropolitano distratto e bi-

strattato d’ogni bastardo giorno d’oggi. Da

salvare, da riscattare col Salvatore di turno (e

di torno) dell’arte nostra. Nell’assoluta cer-

tezza che le sofferenze del presente tempo

(di ricerca) non siano paragonabili alla gloria

futura che sarà rilevata in noi artefatti. O fatti

ad arte. Così sia.

Rosalindo sprint

Nonostante quanto sopra evidente, per

consuetudine dei “tempi moderni”, l’artista

si ostina per ogni sua mostra e esposizione

a chiedere “all’esperto” una rassicurante pre-

sentazione ai suoi pubblici enigmi e (vie) cru-

cis-verbi. Un conforto, un viatico, un sussidio

didattico, scritto dal filosofo, dall’estetologo,

dal critico, dallo storico, dal sociologo, dal-

l’antropologo, al futurologo di turno.

Insomma da tutti i preti e pretini, spiegatori

apocrifi del suo personale Vangelo, da con-

dividere. Omelie ed esegesi che non di rado

si sovrappongono al testo visivo originario

dell’artista, già chiaro-scuro ed esaustivo in

sé. Esperti e addetti (spesso molto detti e con-

trad-detti) che fanno tendenza e credenza

nel mondo gossip della nostra post/moder-

nità. In questo senso sono tutte cose assolu-

tamente inutili. Anzi dannose. Come inutili e

forse dannose (ma non danarose) sono que-

ste mie piccole noterelle (di cronaca d’arte,

cronaca nera locale) che ora sto scrivendo

per il nostro Grossi, un napoletano sorpren-

dente, atipico, accuorto, silenzioso.

Un artista acuto e non ottuso, proveniente

dal basso (verso l’alto). Sottile e fine, proiet-

tato verso (e non versus) l’infinito. Ma anche

beneficamente contaminato da Napoli e dal

suo spessore. E perciò artista “gruosso”, più

che Grosso. Che viene da lontano. Che to-

pograficamente “scende giù per Toledo”,

come Patroni Griffi. Come Rosalindo Sprint.

Mi ha incuriosito per questo suo voler stare

oggi in più registri critici.

Con un piede (e un cervello) nelle due staffe

del cavallo napoletano imbizzarrito nell’arte

d’oggi. E devo dire che non scriverei questa

trascurabile cosa sul suo ultimo lavoro a Pa-

lazzo reale di Napoli se non fosse per la que-

stione “del telecomando”, decisiva per i suoi

odierni quadri/installazione. Per i suoi “Belli

di notte”. Beneficamente immersi e som-

mersi in un religioso delirio camp che ag-

giorna il gusto iperbarocco di Napoli.

Col caldo che imperversa sovrano non ho

certo tempo e voglia di far “presentazioni”

d’artista. E poi, confermo, le ritengo assolu-

tamente inutili. Talvolta fuorvianti. Meglio le

auto presentazioni, le dichiarazione di poe-

tica, se le hanno da fare, gli artisti. Meglio le

loro intenzioni e considerazioni d’opera e

fuori opera. I loro frammenti di vita scritta, le

loro testimonianze di vita … anche con gli

errori e strafalcioni di ortografia e gramma-

tica.

29

Page 30: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

S-Partenope

Ero deciso, quindi, di dire di no a Grossi e sono

andato al vico D’Afflitto, un nome che è tutto

un programma esistenziale, appena sopra via

Toledo, nei famosi Quartieri spagnoli a Napoli,

al suo studio, solo per piacere -e compiacere-

un comune amico pittore. Oltre tutto da qual-

che tempo non amo più gli artisti napoletani,

specie quelli d’Epoca moderna. Mi hanno an-

noiato. Li ritengo, salvo qualche lodevole ecce-

zione vivente (anzi vivacchiante) e qualche

defunto (come Augusto Perez e/o, su un altro

versante, Luca (Luigi Castellano), artisti caduti e

s-caduti. Geni del loco incompresi ed incom-

prensibili. Presuntuosi, pigri, noiosi, lamentosi,

burocratici. Nel secolo scorso, presi all’ingrosso,

non hanno combinato niente di buono.

Spesso solo cattivi rimasticamenti e pezzottati,

nemmeno furbeschi e geniali mix alla Totò o

alla Renato Carosone e loro aggiornamenti

odierni. Il (movimento) moderno in effetti non

ha mai attecchito in profondità a Napoli, luogo

sirenuso della bellezza, tomba nella tradizione

e della Natura.

La modernità s/Partenopea (da verbo “spar-

tere”, dividere) non ha mai elaborato nulla di

veramente originale, tra architetture e arti visive

(per non parlare del design). Sicché, come ha

scritto recentemente Renato De Fusco, «nes-

suna tendenza, corrente, manifesto, “ismo”,

artificio di poetica è nato nella nostra città nel

secolo XX; tal che non siamo riusciti - tranne

le solite eccezioni - ad avere nonché una so-

lida committenza reale, neanche un'altra di

natura virtuale.» Questo clima così servile e

pigro, ha alimentato –com’è noto– le buro-

crazie scolastiche ed accademiche e le sacche

ECA dell’arte più o meno d’Ava ‘nguardia (Ava

come lava, s’intende). C’è stato molto Stato

(chi è stato è Stato!) e poco mercato (e molto

mercatino). Poca ricerca autoctona, niente

esportazione e molta importazione e contrab-

bando (di idee, stili, forme, firme …).

Infine oggi, gli artisti indigeni, stetti nel mercato

globale della Napoli/Madre (e/o Matrigna)

delle archistar e degli artistar, sono diventati

ancor più litigiosi, servili e servizievoli: il peggio

del peggio della Napoli d’Epoca moderna.

Per tutto quanto sopra scritto (ed inscritto) ero

quindi assolutamente deciso a dire a Luigi

Grossi: no grazie! Ma quando mi sono imbat-

tuto “nel telecomando” che accendeva (a pia-

cimento dello spettatore) l’Arte nostra dei suoi

“Belli di notte” travestiti nel vico D’afflitto di Na-

poli, ‘ncoppa ‘e Quartieri, ci son cascato di

nuovo, nella presentazione d’artista. All’artista.

Patto scellerato

Scrivo rapidamente il perché, se ci riesco. In-

nanzitutto il luogo, lo studio di Luigi Grossi.

L’ho percepito subito come un reliquario, un

luogo sacro, una cappella votiva della fu

modernità.

Allineate alle pareti c’erano infatti tanti quadri

dell’artista in questione. Tante sue opere

ascrivibili al tempo della modernità s-parte-

nopea sopra indicata-tà. Testimoni della spe-

rimentazione linguistica operata nel tempo

utile da Grossi, specie nell’ultimo decennio.

A partire da un’antica consuetudine con

tanti artisti del luogo (e/o fuori luogo) da lui

proficuamente frequentati, specialmente il

non dimenticato Lippi. Tutte cose pregevoli,

le sue, di cui hanno scritto ottimamente filo-

sofi di vaglia e critici di taglia (grande). Ma

che a me non interessano molto. Fanno

parte di un rispettabile piano di lavoro sul

passato, storico, archivistico, alto.

A me invece interessano oggi pratiche dif-

fuse verso il basso. Palpitante d’arte sana-

mente “criminale”. Dove sia evidente il patto

(o il piatto, ricco s’intende), il patto “scelle-

rato”, dicevo, tra arte, architettura e design.

Cerco contributi su questo versante.

Le altre cose, pur pregevoli, non mi riguar-

30

Page 31: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

dano più. Cerco quindi “situazioni sporche”,

impure, inquinate, rotte e corrotte (o almeno

corruttibili). Compromesse e collaudate sul

campo dall’uso e dall’abuso popolare e mas-

sivo. Mix d’arte & archi-design che abbiano

la loro “antica” radice nella nobile recente

modernità (ad esempio, come in questo

caso di Grossi, nei gesti clamorosi, fondanti,

di Fontana, di Burri, di Munari, Castellani …

e di tutto lo sperimentalismo anni sessanta

della op-art …), nelle attrezzerie adoperate

da questi maestri, che rimandano al loro

gesto “forte”, al loro rapporto “tosto” col

corpo dell’arte.

Telecomando

Quest’ultima produzione di Grossi, inedita,

è una “cosa” che, ho pensato subito, poteva

dialogare con me. Con questo mio approc-

cio critico “sporco”. Di pratiche dell’arte “atte-

nuate” e bastarde. Sono opere infatti, e mi

ricollego a quanto scrivevo all’inizio di questa

noterella, che sfondano il piano moderno

del pulito “quadro di giorno” verso la crimi-

nale notte metropolitana contemporanea.

Piena e ricca di trans(artisti), viados, femmi-

nielli et similia bella contro natura. Più che

singolarmente ho colto i quadri-travestiti

“belli di notte” di Grossi nel loro valore di pro-

posta arredativa d’insieme. Più (e oltre) ciò

che sono, li ho vissuti e toccati nella loro po-

tenzialità designata e design-abile. Molto

abile. Nella loro ambiguità di collocazione -

e quindi proiezione- nella contempora-

neità/domani del luogo retrò s-partenopeo.

E non solo in esso, evidentemente. Parte del

mondo di retro globalizzato.

“I belli di notte” di Grossi sono opere che

hanno in sé, in tutto e in più, il portato della

modernità più accesa (in effetti se si guar-

dano “spenti”, ribadisco, sono dei quasi con-

sueti quadri da esposizione). Ma se azionati

dal telecomando sono opere spinte nel-

l’oggi, nel nostro mondo tardomoderno,

dialogante col pop e col kitsch imperante ed

imperativo. Ma sempre a partire dal senso e

nonsense del luogo, della Napoli moderna:

da Luca (fa presto) Giordano dello spetta-

colo barocco, via via – saltando i secoli e le

mode – fino alla sperimentale Piedigrotta fu-

turista di Cangiullo e, per li rami, fino al trave-

stimento congenito allo spettacolo odierno

televisivo. Ai chi l’ha visto (e chi li ha visti)

dell’arte?

In questo senso “i Grossi” mi hanno fatto ri-

cordare una geniale e tranchante battuta di

Oldenburg: “le mie sculture sono architet-

ture, ma non hanno i servizi igienici”. Ho

visto questi napoletani “Belli di notte” come

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Page 32: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

travestimenti ambigui di architetture-sculture

(possibili servizi igienici inclusi, regalia a pia-

cere). E tutta l’arte moderna è andata verso

la ricomposizione nell’architettura, nell’am-

biente, nello spazio dell’installazione. Nella

raccolta indifferenziata e omologata di og-

getti ritrovati per la via. Orinatoi e wc con

“merda d’artista” inclusa. Anzi in primis.

Da questo punto di vista “oldenbughiano”,

Grossi rischia grosso con questa mostra. Con

questa virata non accademica che ha im-

presso al suo tranquillo lavoro. E io stesso

con questo scritto, critico e complice, mi as-

sumo una grossa e grossip responsabilità.

Non vorrei sovrappormi ed essere “cattivo

maestro”. Alias, tendenzioso interprete del

suo lavoro.

Luigi Grossi, è importante scriverlo, pro-viene

dall’arte umile, fabbrile e febbrile. Per questo

motivo possiede una grande competenza

nel “fare oggetti”. Ha una mano magica col-

legata al cervello. Nel parlare dei suoi “belli

di notte & giorno”, sottolinea sempre che

non son semplici a farsi, materialmente, “og-

gettivamente”. Che fa tutto da sé, senza aiuti

artigiani: plexiglas, specchi interni, inseri-

mento neon, kit del telecomando modifi-

cato e mille altre diavolerie tecnologiche.

Grossi è laborioso artefice del luogo che si è

fatto artista. Un antico costruttore che acca-

rezza il colore che stende sulla tela. “Passando”

gli umori dalla sua mano magicamente sulle

superfici sottili della tela. Per questo motivo si

definisce innanzitutto pittore. E questo infatti

è stato fino ad ora (ad horas) il suo spazio. Il

suo quadro d’azione.

Ma le (sue) cose d’oggi vanno ineluttabil-

mente oltre la pittura. I suoi oggetti non sono

più quadri. “Come li chiamiamo?”, gli ho in-

fatti domandato. Queste sono cose/altre.

Cose Grossi. “Sono quadri di televisori, tele-

schermi dell’anima”, lui dice. Sostiene Grossi.

Ma per me sono travestimenti d’artista, sue

proiezioni performative. Quadri della (sua)

modernità che incontrano (tendono a in-

contrare) pubblici di massa, barbari. Fame-

lici, voraci di ogni spazzatura urbana. Da

comandare (e rac/comandare) col teleco-

mando, a distanza. E’ “arte a distanza”. Forse

da distanziare. Opera fruibile col teleco-

mando. Appunto, “Belli di notte”. E poi, an-

cora, gli ho chiesto: “Vuoi correre qualche

rischio di impaginazione critica? O vuoi vivere

tranquillo nella consuetudine (di Palazzo)?

Scegli!”. Ed il poverino manzonianamente ri-

spose.

“Casa Grossi”

E così andammo, ci demmo un appunta-

mento per l’indomani, sul luogo del delitto.

Al Palazzo reale, nelle tre stanze “Leopardi”,

al piano terra della Biblioteca nazionale.

Come l’infallibile ispettore Rock, il piano

(espositivo) dell’artista Grossi era ben conge-

gnato, ma non aveva fatto i conti con me.

Che gli ho detto: “per il tempo della mostra

questa dev’essere la tua casa. “Casa Grossi”,

tre vani ed accessori d’arte, servizi (oldenbur-

ghiani) compresi a Palazzo Reale. Il pubblico

deve entrare nella tua casa. Devi conquistar-

telo, adescarlo. Devi farlo diventare partecipe

per condividere la tua (tollerante) casa d’arte.

Il tuo spazio d’azione sociale. Senza spiegare

nulla. Con la sola forza delle cose esposte.

Un collaudo per i tuoi quadri travestiti”.

I suoi occhi d’artista si sono allora illuminati.

Abbiamo ragionato, abbiamo mediato, ab-

biamo deciso. Abbiamo poi scritto così: Luigi

Grossi è stato invitato allo Spazio Leopardi

della Biblioteca Nazionale di Napoli per

porre innovative riflessioni tra tradizione mo-

derna e contemporaneità. Tra giorno e

notte s-partenopea. In una città in cui la sto-

ria “antica” sembra essere un fardello ingom-

brante ma difficilmente eludibile. E quella

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Page 33: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

moderna un peso imbarazzante, finito nella

spazzatura (smaltita e termo-valorizzata a Mi-

lano, che ce l’aveva inviata in nuce, ab initio

novecento). Tutto ciò per sperimentare solu-

zioni accettabili all’homo neapolitano con-

temporaneo e (sperabilmente) s-gomorrato.

E proprio su quest’uomo pezzottato s’incen-

tra (forse) l’attuale progettazione d’arte/de-

sign & architettura di “Casa Grossi”. Una casa

attraente e contaminata che ci permette di

sognare ancora tra Chiaja-Posillipo e Scam-

pia, non disdegnando una puntatina a

Casal di Principe. Che ci permettere di stu-

pirci, di andare per vie notturne e misteriose.

Tra scippatori e ricottari. Tra virtuosi e mar-

chettari dell’arte. Tra alti e basso, molto basso

lidi d’approdo nostrani. Dopo il naufragio

della modernità a Napoli. Che è sotto gli

occhi di tutti.

E ciò può avvenire, afferma di fatto l’artista,

quando ci si scrolla di dosso il passato più o

meno rinascimentale (‘o passato è passato!!)

e guardiamo con occhi curiosi e rinascenti le

nuove realtà di fatto (e talvolta di fotto) che

avanzano. Le nuove problematiche sociali (e

forse socievoli) che connotano il nostro locale

mondo contemporaneo globale.

Mondo in cui ha forte rilevanza il coinvolgi-

mento nel progetto d’arte di coloro che poi

vivranno quel luogo, quello spazio estetico

compromesso dall’uso. I cittadini hanno

quindi diritto “al lusso” della contempora-

neità condivisa. Non elitaria e partecipata.

Non eterodiretta e dirigistica. Non preconfe-

zionata. I cittadini hanno diritto al lusso di

oggetti preziosi nella notte odierna. Adda

passà ‘a nuttata!

Vedendo i “Belli di notte” di Grossi, ho ripen-

sato alle mie vicende di vita e di lavoro di

tutti i santi (e meno santificati) giorni d’archi-

tettura/design, arte inclusa. Alla mia sorpresa

(e frustrazione) nel notare le differenze so-

stanziali di progettare (e del rappresentare)

oggi, in una rapida trasformazione tecnica

e di percezione sociale. Da docente a di-

scente. Da artista a critico. Tra corpo e mac-

china. Anima e core. Sfinge ed Edipo. Fino

alle stesse relazioni di mutuo scambio inter-

personale, ove sempre più esclusivamente si

delega alla macchina, al già fatto e regi-

strato, l’individuale interpretazione della per-

cezione sensoriale del cuore.

Ulisse

E in tutto questo quadro problematico qual

è l’apporto di Grossi esposto allo “Spazio Leo-

pardi”? A me pare sia innanzitutto la sua per-

sonale disponibilità d’artista a mettersi in

gioco. Di rinunciare al comodo spazio ma-

nuale del quadro, che possiede ad arte

(anche di mercato). Di fare il (primo) passo

non metaforico nella notte. Nel buio del do-

mani (e dopodomani) metropolitano. Grossi

è un uomo curioso, armato di una pila che

s’è (come detto) autocostruita. E’ un gene-

roso perché la sua pila d’arte è partecipativa

e coinvolgente. Vuol illuminare spazi interro-

gativi per molti. In un rapporto biunivoco e

riflessivo. In questo senso Grossi mi pare un

Ulisse dei quartieri spagnoli napoletani (che

ora – ultim’ora – se ne cadono a pezzi, non

metaforicamente).

Mi ha detto, con la sua voce incantata, forse

attoriale: “…. il dipinto che faccio di giorno

se ne va via quando per i fatti suoi accendi

il quadro nel buio della notte … e dove va,

chi incontra, che strade percorrerà?” Qui il

punto interrogativo della mostra odierna.

“Casa Grossi” pone la questione dello spae-

samento del segno d’origine, dello spazio in-

terstiziale tra giorno e notte. O meglio, in

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Page 34: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

questo caso abitativo, “tra zona giorno e

zona notte”. Ricerca di nuove identità collet-

tive, quindi. “Dove sono di casa?” Meglio:

“Dove siamo di casa?” Chi siamo oggi? Dove

sto io? Che rimane di me? Di Noi. “Il resto di

niente!”, direbbe l’amaro Striano. Ma non

Luigi Grossi, che invece cerca il suo pubblico

sperimentale, in queste tre stanze della sua

casa provvisoria a Palazzo.

Grossi si presenta (e autorappresenta) così in

un progetto d’installazione che prevede al-

l’ingresso, nella prima stanza, una sorta di

totem immerso nel buio. Sprofondato in un

virtuale e virtuoso gioco di specchi, di ri-

mandi alla luna nel pozzo e alla poesia. All’il-

lusione, alla follia, ai limiti della ragione ed

tante altre suggestioni letterarie.

Poi la seconda stanza progettata per “Casa

Grossi”, quella dei quadri “belli di giorno”,

quadri da esposizione, con il segno espres-

sionista e selvaggio moderno, di cui abbiamo

già detto all’inizio.

La terza stanza, la più interessante per il no-

stro approccio critico, è quella del travesti-

mento. Dell’arte di “quelli della notte”. Di

Rosalindo Sprint. Dove il segno colto (già)

moderno incontra il quotidiano d’oggi. In

una ambientazione che (spero) Grossi faccia

decisamente alla Ikea, mobili per tutti. Con

relativi armadi, librerie, tinello, divani sog-

giorno-pranzo e letto accessoriato. Inflazio-

nati da suoi assoluti quadri “belli di notte”.

Azionabili dal pubblico a piacimento col te-

lecomando. E in ciò sta il punto centrale e

sperimentale di questa simpatica mostra. Il

passaggio miracoloso (che spera l’artista)

dalla tv spazzatura alla tv dell’anima (sua);

dalla tv esclamativa al quadro-tv interroga-

tiva; dall’esteriore all’interiore possibile; dal

pubblico passivo all’attivo (o attivo-passivo,

biunivoco, andata e ritorno) …. Speriamo,

le vie del Signore sono infinite e misteriose.

Io non lo seguo tanto su questa sua speran-

zosa ipotesi di salvezza … ma staremo a ve-

dere. Del resto è scritto in antico, in eterno:

“… ogni mio segno non ritornerà a me

senza effetto, senza aver operato ciò che de-

sidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho

mandato”. E Luigi Grossi è uomo religioso e

di fede contemporanea. Ma di buone inten-

zioni, si sa, è piastrellato (spesso) l’inferno

dell’arte. E (forse) della “Casa Grossi” d’Arte.

dal Palazzo San Nicandro in Napoli,

14 luglio 2008,

presa della Pastiglia rivoluzionaria

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Page 42: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

“Poesia della materia” potrebbe essere la

chiave giusta per descrivere l’opera di Luigi

Grossi che ha riscosso tra l’altro, l’attenzione di

un filosofo della statura di Aldo Masullo. Il fatto

non è un caso dal momento che gli studi re-

centi del grande avellinese hanno toccato il

campo della metafisica considerandola come

<<… la storia della potenza e degli errori della

ragione>>, laddove quest’ultima era costretta

ad esibire la sua infelicità e la sua sofferenza.

Esattamente quel che accade con i Dinamismi

materici di Luigi Grossi che, a dispetto dei co-

lori soffici e avvolgenti, soffrono la condizione

della fessurazione, del distacco della concre-

zione che si raggruma come la linfa degli al-

beri quando si coagula sulla corteccia. Come

la ragione soffre della sua impotenza rispetto

all’inaccessibilità del mistero ed è costretta a se-

gnare i propri limiti, così la materia di Luigi

Grossi soffre nell’impossibilità di divenirne

forma. La lezione dei Macchiaioli prima e

quella degli Impressionisti poi che erano an-

dati ad analizzare i meccanismi della visione

retinica, infatti, sfocia inaspettatamente anche

nell’esaltazione della materia pittorica. I prece-

denti illustri dell’ultimo Tiziano, Rembrandt e

poi, con un grande salto cronologico del

Monet delle cattedrali o dei viali e del lago di

Giverny, costituiscono i presupposti di una

poetica della materia che però, già con il Fu-

turismo e con il Cubismo vede l’inserto di altri

materiali (giornali, intrecci di sedie impagliate)

sul supporto pittorico. Allora con il Novecento,

il rapporto fra il colore (del quale ben presto gli

artisti non si accontenteranno più) e della tela

diviene un dialogo di protagonisti che prescin-

dono dal racconto. Si pensi per esempio al-

l’Espressionismo astratto di Franz Kline, oppure

ai personaje di Rapaci Canogar. Per questo

Luigi Grossi può essere avvicinato ai Burri, ai

Fautrier, ai Dubuffet, agli Antoni Tàples. E’, in-

fatti, quella della materia una “microstoria” una

storia senza eroi, che nasce e muore sul sup-

porto pittorico, ma che evoca anche la malin-

conia della condizione umana che Dubuffet e

Fautrier hanno evocato nella forma delle loro

incrostazioni materiche. Lacerazioni, screpola-

ture, distacchi, macerazioni, spaccature, sbri-

ciolamenti sono tutte condizioni della

memoria che decade ma anche dell’anima

che soffre, o della ragione che stenta a capire,

richiamate tanto dalla tela di un sacco liso,

quanto dal colore colato, oppure dal pig-

mento steso con perizia dell’artista sulla la-

miera insieme ad altri materiali, fino a farli

spaccare. Nascono, così i grandi quadri di

Grossi nei quali assoluto protagonista è il co-

lore che si sposa alla materia. E’ un matrimo-

nio misto ad una sofferenza lenita soltanto

dalla gioia dei rosa, dei cerulei, dei grigi e del

giallo pallido. Così il rosso finisce per essere

una mastodontica ferita, una colata lavica sul

fianco di un immaginaria montagna che par

che si squassi perennemente al ricordo della

fatica della creazione. In queste opere, infatti

il colore di Luigi Grossi si alimenta di un respiro

universale soffiato dalla natura e dalla storia.

Lo dimostra bene la varietà di proposte che

Grossi dispone intorno al nucleo centrale

della sua poetica pittorica quello della materia

e del colore. Tanto tormentati sono i Dinami-

smi materici, bene, quanto felici e serene

sono le opere che appartengono alla serie de

I Colori del nulla. Il pittore infatti qui muta

completamente registro e dipinge, con tinte

sfumate l’una nell’altra, quasi i cieli primordiali

della nascita del mondo. Non importa la tec-

nica, ma l’esito. Per ottenerlo, infatti, Grossi

utilizza tanto gli acrilici quanto i pastelli quanto

gli acquarelli. Il risultato sono superfici fluore-

scenti alludono ad atmosfere gassose, dense

di vita e di forme che non si sono ancora

espresse: i nulla o il vuoto. Entrambi pronti a

farsi tutto e pieno.

POESIA DELLA MATERIA Marco Bussagli

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Page 54: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

INDICE

LINEA POWER2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 21

LINEA OPEN/CLOSE2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x60x7pag. 25-26

LINEA REPEAT2008

light box, neoncon telecomando

cm. 50x70x7pag.13

LINEA SLOW2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 23

LINEA RESUME2008

light box, neoncon telecomando

cm. 80x80x7pag. 49

LINEA STEP2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 36-37

LINEA RETURN2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 43

LINEA TIME2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 45

LINEA LANGUAGE2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 24

LINEA SUBTITLE2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 35

54

Page 55: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

LINEA ANGLE2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 22

LINEA SETUP2008

llight box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 48

LINEA TITLE2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x80x7pag. 12

LINEA PLAY2008

light box, neoncon telecomando

cm. 60x70x7pag. 46-47

LINEA REW2008

light box, neoncon specchio

e telecomandocm. 50x125x7

pag. 14-15

LINEA NEXT2008

light box, neoncon specchio

e telecomandocm. 50x125x7

pag. 38-39

LINEA MUTE2008

light box, neoncon specchio

e telecomandocm. 50x125x7

pag. 44

LINEA CLEAR2008

light box, neoncon specchio

e telecomandocm. 50x125x7

pag. 25

55

Page 56: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

56

Grossi e Aniello Scotto - Lacco Amenod’Ischia, 2005

Da sinistra D’Antonio, il Prefetto Profili,Masullo, Grossi, Iozzi - Napoli 2005

Grossi e Riccardo Notte, 2004

Marisa Caselli, Grossi, Salvatore Ciaurro eCarlo Cordua, Roma 2004

Nello studio - Napoli 2005

Grossi con il sindaco Valenzi, Galleria ToledoNapoli 1981

Grossi, sottopassaggio Piazza Trieste Trento,Napoli 1963

Da sinistra Elasi, Grossi, Mattera, Napoli 1981

Grossi e Claudia Cardinale, Libreria FeltrinelliNapoli, 2002

Pisani e Grossi, personale di DomenicoSpinosa, Galleria Giosi - Napoli 2002

Installazione al museo Pithecusae di Ischia,2005

Grossi e Domenico Spinosa, 2002

Grossi e Gianni Caroli, 2002

Memmolo, Valente, Masullo, D’Antonio,Grossi, Castel Nuovo - Napoli 2005

Foto di gruppo 1983

Inaugurazione della mostra Vibrazioni materi-che, Sala Carlo V - Castel Nuovo - Napoli 2005

Villa Arbusto, Museo Archeologico Pithecusae,2005

Da sinistra Mazzella, Masullo, Ciaurro, D’Antonio - Napoli 2004

Palina della mostra in via Caracciolo,Il pensiero si fa messaggio - Napoli 2001

Il pensiero si fa messaggio, galleriaLa Gioconda - Napoli

Page 57: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

Grossi, installazione a Castel dell’Ovo, 2007

Castel Nuovo - Napoli 2005

Omaggio a Gaber, Grossi, Ilaria Sabatino,Aurora Spinosa, Galleria Proart - Napoli 2008

Omaggio a Domenico Spinosa, da destraDi Ruggiero, Pinto, Grossi, 2007

Renato Barisani e Grossi. Sprigionamentiinstallazione a Castel dell’Ovo - Napoli 2007

Presentazione del volume “Vibrazioni materiche”Sala della Loggia, Castel Nuovo - Napoli 2005

Da sinistra, Mazzella, Grossi, Iozzi, D’Antonio,Ciaurro, 2005

Da sinistra Masullo, il Prefetto Profili, Grossi,2005

Incontro omaggio a Domenico Spinosa Napoli 2007

Castel dell’Ovo - Napoli 2007

Galleria Morra, da sinistra Purificato,Nespolo, Grossi, Morra, 2006

Presentazione della manifestazione “Viag-giamo insieme”, Apogeo dell’Annunziata

Banner della mostra, 2005

Galleria Terzo piano, Biografie a confronto,Napoli 2008

Grossi - 2007

Inaugurazione della mostra all’Apogeo del-l’Annunziata - Napoli 2006

Grossi alla vernice della mostraSprigionamenti, 2007

Presentazione della monografia all’Apogeodella S.S. Annunziata - Napoli 2006

Intervista, 2007

Mostra di Grossi all’Apogeodella S.S. Annunziata - Napoli 2006

Page 58: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

MOSTRE COLLETTIVE1969 Associazione artisti contemporanei, Galleria Vega - Portici

1972 Associazione artisti contemporanei, Galleria Vega - Portici

1973 “Arte Sacra, Chiesa dei Miracoli - Napoli

1975 “Peluso, Grossi”, Galleria Vega - Portici

1978 “Arte Sacra, Chiesa dei Miracoli - Napoli

1981 Studio d’Arte Ganzelli - Napoli

1983 “Disegni”, Galleria d’Arte Toledo - Napoli

1987 Galleria Toledo - Napoli

MOSTRE PERSONALI1998 Galleria La Gioconda - Napoli

2001 Galleria La Gioconda - Napoli

2002 Villa Bruno, S. Giorgio a Cremano - Napoli

2003 S. Maria La Nova - Napoli

Villa Campolieto - Ercolano

Palazzo Serra di Cassano - Napoli

Chiostro S. Michele - Anacapri

2004 Galleria L’Indicatore - Roma

Galleria Italarte - Roma

Palazzo Reale Sala Leopardi - Napoli

Centro Studi Caprese “I. Cerio” - Capri

2005 Castel Nuovo, Sala Carlo V - Napoli

Museo Archeologico Pithecusae, Villa Arbusto

Lacco Ameno d’Ischia

Galleria Le Muse - Napoli

Villa Campolieto - Napoli

2006 Apogeo dell’Annunziata - Napoli

Villa Bruno, S. Giorgio a Cremano - Napoli

Castel dell’Ovo - Napoli

2007 Galleria Senato - Milano

Palazzo dei Congressi - Capri

2008 La Grange - Cassino

Biblioteca Nazionale, Sala Leopardi - Napoli

1993 “Grafica”, Galleria La Gioconda - Napoli

1995 Galleria La Gioconda - Napoli

1999 Galleria La Gioconda - Napoli

2002 “L’arte in mostra”, Villa Campolieto - Ercolano

“Prima Quadriennale”, Istituto d’Arte F. Palizzi U.C.A.I - Napoli

2003 “Il mare tra le terre del fuoco” U.C.A.I - Napoli

Villa Campolieto - Ercolano

“Sculture”, Galleria d’Arte Anacapri - Anacapri

2004 Sede centrale della Banca di Roma - Roma

Galleria Senato - Milano

Galleria d’Arte Anacapri - Anacapri

La Quadreria d’Arte Conte, Istituto Statale d’Arte F. Palizzi - Napoli

2005 Galleria Terzo Piano - Napoli

“Cinque artisti”, ProArt - Napoli

Domus Arte - Parigi

Lineart - Expo Belgio

2006 Circolo Artistico Politecnico - Napoli

Libreria Tombolini - Roma

Libreria Bocca - Milano

Villa Campolieto - Ercolano

Museo civico del Torrione Forio d’Ischia

Arte riflessa - Battipaglia

Morra Arte Studi - Napoli

Lineart Expo Belgio

Perriart - Campobasso

Expo - Cosenza

2007 La grafica del ‘900, Proart - Napoli

Pensando Gaber, Proart - Napoli

Grandi maestri contemporanei, Morra Arte - Napoli

Galleria Senato - Milano

Lineart (GENT) - Belgio

Galleria Italarte - Roma

Domus Arte - Roma

Omaggio a Gaber, Proart - Napoli

Museo Emblema - Terzigno Napoli

2008 Artisti informali, Domus Arte - Roma

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Page 59: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

VOLUMI MONOGRAFICIQuando il pensiero si fa messaggio

Il Vulcano è dentro di noi

I colori del nulla

I volumi del nulla

Vibrazioni materiche

Momenti di ricerca

Sprigionamenti

La dialettica del colore

One by One

In principio era la linea

OPERE PUBBLICHENapoli, Banca d’Italia

Consiglio Regionale della Campania

Napoli, Azienda Autonoma di Soggiorno Cura e Turismo

Ercolano, Villa Campolieto

Comune S. Giorgio a Cremano

Napoli, Teatro Augusteo

Napoli, ABI, Associazione Bancaria Italiana

Napoli, Museo d’Arte Moderna F. Palizzi

Napoli, Palazzo Reale, Biblioteca Nazionale

Roma, Caffè Greco

Prefettura di Napoli

Lacco Ameno d’Ischia, Terme Regina Isabella

Napoli, Consolato Generale d’India

Lacco Ameno d’Ischia, Museo Archeologico Pithecusae

Roma, P.O.Saugenio

Gaeta, Museo d’Arte Contemporanea

Terzigno, Museo Emblema

Consolato Onorario della Malesia a Napoli

Napoli, CAM Museo Arte Contemporanea di Casoria

Napoli, Banca di Credito Popolare Ag.19

Napoli, Banca della Campania Ag.6

INSTALLAZIONILacco Ameno d’Ischia, Museo Archeologico Pithecusae,

Coesioni cifrate e Vibrazioni materiche, 2005

Napoli, Biblioteca Nazionale, Sala Leopardi, Palazzo Reale,

I volumi del nulla, 2004

Napoli, Castel Nuovo, Sala Carlo V, Vibrazioni materiche

e Coesini cifrate, 2005

Napoli, Castel dell’Ovo, Sala delle carceri, Sprigionamenti, 2007

Napoli, Biblioteca Nazionale, Sala Leopardi, Palazzo Reale,

In principio era la linea, 2008

INCONTRI CON L’AUTORE“Il vulcano è dentro di noi”, Libreria Vesuvio, San Giorgio a Cremano, 2002

“I colori del nulla”, Palazzo Serra di Cassano, Napoli, 2003

“I colori del nulla”, Chiostro S. Michele, Anacapri, 2004

“I volumi del nulla”, Sala Rari, Biblioteca Nazionale, Palazzo Reale,

Napoli, 2004

“I volumi del nulla”,Fondazione I. Cerio, Capri, 2004

“Vibrazioni materiche” Sala della Loggia, Castel Nuovo, Napoli, 2005

“Coesioni cifrate e vibrazioni materiche” Museo Pithecusae,

Lacco Ameno, Ischia, 2005

“Momenti di ricerca” Apogeo dell’Annunziata, Napoli, 2006

“Vibrazioni materiche” Villa Bruno, San Giorgio a Cremano, 2006

“La dialettica del colore” Villa Campolieto, Ercolano, 2006

One by one, Sala dei Congressi, Capri, 2007

“I volumi del nulla” Villa Campolieto, Ercolano, 2007

Sprigionamenti, Sala delle Carceri, Castel dell’Ovo, Napoli, 2007

In principio era la linea, sala Rari, Biblioteca Nazionale,

Palazzo Reale, Napoli, 2008

OPERE IN PERMANENZAGalleria Italarte, Roma

Galleria Senato, Milano

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Page 60: CATALOGO "IN PRINCIPIO ERA LA LINEA"

N. D’Antonio, “Quattro situazioni”, in cat. mostra Galleria “La Gioconda”,

Napoli 1999

G. Catuogno, “Tornano due opere”, Roma, 23 dic. 2000

T. Boniello, “Spunta l’opera d’arte”, Il Mattino, 31 dic.2000

N. D’Antonio, “Le paure dell’uomo”, Galleria La Gioconda, Napoli 2001

W. Memmolo, “Una mostra annunciata”, Galleria La Gioconda, Napoli

2001

P. Carillo, “L’arte in mostra nelle Ville”, Il Mattino, 4 mag. 2002

C. Ruju, “Il vulcano è dentro di noi”, Villa Bruno, S.Giorgio a Cremano, dic.

2002

G. Caroli, “Genius loci” in cat. mostra, Villa Bruno, S. Giorgio a Cremano,

dic. 2002

W. Memmolo, “Quasi un ritratto”, in cat. mostra, Villa Bruno, S.Giorgio a

Cremano, dic. 2002

G. Ippolito, “L’occhio di Empedocle”, in cat. mostra, Villa Bruno, S.Giorgio

a Cremano, dic. 2002

G. Improta, “Luigi Grossi espone in Villa Bruno...”, in cat. mostra, L’Aquilone,

S.Giorgio a Cremano, dic.e 2002

A. Masullo, “I colori del Nulla”, Edizioni Pro Art, Napoli, giu. 2003

A. Masullo, “I colori del Nulla”, le forme dell’anima, Il Denaro, Napoli, 3 giu.

2003

A. Masullo, “Luigi Grossi”, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Napoli, 5

giu. 2003

A. Masullo, “I colori del Nulla”, Chiostro S. Michele, Anacapri, 7 lug. 2003

A. Pepe, “La pittura di Grossi”, Roma, 17 ott.2003

W. Memmolo, “Il pittore Luigi Grossi...”, L’Aquilone, S.Giorgio a Cremano,

n°8, ott. 2003

A. Masullo, “I Volumi del Nulla”, Ed. Pro Art, Napoli, giu. 2004

M. Giancaspro, “L’annullamento del colore”, Ed. Pro Art, Napoli, giu.2004

R. Notte, “L’occhio e l’infinito”, Ed. Pro Art, Napoli, giu. 2004

M. Guida, “Il buio diventa pittura nei quadri di Grossi”, Corriere del Mezzo-

giorno, 16 giu. 2004

A. Pepe, Grossi celebra le nozze tra il bianco e il nero nei suoi rarefatti e

scarnificati, “Volumi del nulla”, giu. 2004

W. Memmolo, “I Volumi del nulla”, L’aquilone, San Giorgio a Cremano, n°6-

7, giu.-lug. 2004

N. D’Antonio, “Le Incisioni di Grossi”, Edizioni Pro Art, Napoli giu. 2004

P. Purificato, Luigi Grossi, in “Nuovo Surrealismo visionario e fantastico”, Gal-

leria Senato, Milano, maggio-giugno 2004

P. Purificato, Luigi Grossi, in “Nuovo Surrealismo visionario e fantastico”,

Italarte, Roma 2004

A. Faillace, “Luigi Grossi”, L’Espresso napoletano, n°15, Napoli, apr. 2005

E. Molea, “Luigi Grossi”, Qui Napoli, n°5, mag. 2005

A. Masullo, “Il visibile e l’invisibile”, in cat. mostra, Vibrazioni materiche, Gall.

Senato, Milano, 2005

M. Giancaspro, “Informi totem”, in cat. mostra, Vibrazioni materiche, Gall.

Senato, Milano, 2005

I. Valente, “Coesioni cifrate e dinamismi materici”, in cat. mostra, Vibrazioni

materiche, Galleria Senato, Milano 2005

V. Trione, “Dinamismi Materici di L. Grossi, tra informe e geometria”, Il Mat-

tino, Napoli, 15 mag. 2005

A. Ziccardi, “Una vicenda artistica sul destino dell’uomo”, Roma, 8 mag.

2005

W. Memmolo, ”Vibrazioni materiche”, L’Aquilone, San Giorgio a Cremano,

n°5, a.2005

G. Simongini, “Quando l’idea diventa colore”, in cat. mostra, Villa Arbusto,

sett. 2005

W. Memmolo, “Luigi Grossi espone a Lacco Ameno”, L’Aquilone, San Gior-

gio a Cremano, n°8-9, 2005

G. Agnisola - R. Pinto, “Prospettive surreali”, Artisti & Pubblishing Company,

Città di Gaeta, 2005

A. Pepe, “Luigi Grossi, un pensiero sulla tela”, Roma, nov. 2005

V. Papa, “Luigi Grossi, la personale al centro d’arte Le Muse”, Il Brigante, 2005

“Viaggiamo insieme”, Il Mattino, feb.io 2006

M.R di Virgilio, “Un opera ai caduti...di Luigi Grossi”, mar. 2006

“Pensando a Gaber”, apr. 2006

“I volumi del nulla”, Il Mattino, 18 nov.2006

“Sprigionamenti per la libertà”, Corriere del Mezzogiorno, 18 dic. 2006

A. Ziccardi, “L’uomo e i suoi destini nelle opere di Grossi tra gli “sprigiona-

menti” di Castel dell’Ovo, Roma, 19 dic. 2006

A. Izzo, “Mare, essenza della pittura, magia di una fusione di colori”, dic.

2006, Napoli

T. Tricarico, “Grossi, la metafora degli sprigionamenti” Il Mattino, 9 gen. 2007

N. D’Antonio, Il vino si fa immagine, Mostra Itinerante di Pittura, feb. 2007

“Il vulcano esplode a colori”, Corriere della Sera, 28 feb. 2007, Milano

F. Messina “I colori dell’anima”, La Provincia, 15 feb. 2008

Golia De Luna, Casa Mia Decor, n. 140

B. Desideri, “Luigi Grossi e il suo fare pittura”, L’A 20 - Napoli

M. Giancaspro, “In principio era la linea, in cat. mostra, Ed. Proart, Biblioteca

Nazionale - Sala Leopardi, Napoli 2008

F. M. Sardella, “Perchè vivere è anche un incanto”, in cat. mostra In principio

era la linea, Biblioteca Nazionale - Sala Leopardi, Napoli 2008

E. Alamaro, “Belli di notte”, in cat. mostra In principio era la linea, Biblioteca

Nazionale - Sala Leopardi, Napoli 2008

M. Bussagli, “Poesia della materia” in cat. mostra In principio era la linea,

Biblioteca Nazionale - Sala Leopardi, Napoli 2008

BIBLIOGRAFIA

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