Carlotta vigliani

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Carlotta Vigliani, Tempo fa .... Tempo fa … ho assistito ad un seminario tra filosofi e psicoanalisti (avendo la fortuna, o l’incombenza, di avere un marito che è sia l’uno che l’altro), nel quale si raccontava questa breve storia che ora mi piace dire a voi. Il mondo, diceva il filosofo, le cose che io vivo e di cui sono parte sono un grande tessuto, enorme tessuto, una grande coperta. È bello che abbia parlato di coperta perché con sé porta il senso del mistero rispetto a quel che nasconde. Il mondo si presenta a noi come la grande coperta di questo mistero, e noi abbiamo la possibilità di sollevarla pizzicandola da un lembo, da un altro, ancora da un altro, e possiamo alzarla di pochi centimetri, di metri e metri. Sollevando una coperta già sollevata da centinaia di migliaia di anni da chi ci ha preceduto noi non vediamo quel che c’è sotto, ma creiamo figure che hanno rilievi, avvallamenti, voragini: in questa storia l’uomo non ha fatto altro che sollevare la coperta e dire “ecco, ecco il mondo!”, il mondo per lui sono quelle pieghe che ha prodotto per curiosità, per passione, per caso, e per millenni l’umanità si è radunata intorno a questa stupefacente costruzione di monti e di valli. Noi non creiamo il mondo, voleva dire il filosofo, ne creiamo le forme. La fotografia è un dettaglio, un frammento di queste pieghe, un particolarissimo scorcio di un insieme che viene colto dalla fantasia, dalla memoria, dalla cultura di chi le ha osservate. Come per ogni evento che ha la capacità di impreziosire la nostra anima è lo stupore a farci voltare lo sguardo, a farci premere l’otturatore. La piega non è più la stessa, l’intreccio tra involuzioni, vallate e voragini crea una nuova forma. Un nuovo mondo mi appare. Senza stupore anche l’immagine, come qualsiasi racconto, si riduce ad un passaggio di informazioni. Ascoltare il seminario dei dotti mi ha insegnato che senza lo stupore di una piega nuova, senza nuovi intrecci, involuzioni, storture che rendono ogni volta differente il presentarsi a me di questo mondo, piccolo o grande che sia, allora l’insegnamento si riduce ad un passaggio di informazioni: in questo senso il prefisso in davanti alla parola formazione si legge come non- formazione: e come ci formiamo tutti, se non attraverso momenti successivi di stupore? Gli insegnanti sono testimoni del fatto che il loro talento è prima di tutto la possibilità di far sgranare gli occhi alla sorpresa, l’unica possibilità di arrivare dritti al cuore, l’unico veicolo per formare i ragazzi.

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Carlotta Vigliani, Tempo fa .... Tempo fa … ho assistito ad un seminario tra filosofi e psicoanalisti (avendo la fortuna, o l’incombenza, di avere un marito che è sia l’uno che l’altro), nel quale si raccontava questa breve storia che ora mi piace dire a voi. Il mondo, diceva il filosofo, le cose che io vivo e di cui sono parte sono un grande tessuto, enorme tessuto, una grande coperta. È bello che abbia parlato di coperta perché con sé porta il senso del mistero rispetto a quel che nasconde. Il mondo si presenta a noi come la grande coperta di questo mistero, e noi abbiamo la possibilità di sollevarla pizzicandola da un lembo, da un altro, ancora da un altro, e possiamo alzarla di pochi centimetri, di metri e metri. Sollevando una coperta già sollevata da centinaia di migliaia di anni da chi ci ha preceduto noi non vediamo quel che c’è sotto, ma creiamo figure che hanno rilievi, avvallamenti, voragini: in questa storia l’uomo non ha fatto altro che sollevare la coperta e dire “ecco, ecco il mondo!”, il mondo per lui sono quelle pieghe che ha prodotto per curiosità, per passione, per caso, e per millenni l’umanità si è radunata intorno a questa stupefacente costruzione di monti e di valli. Noi non creiamo il mondo, voleva dire il filosofo, ne creiamo le forme. La fotografia è un dettaglio, un frammento di queste pieghe, un particolarissimo scorcio di un insieme che viene colto dalla fantasia, dalla memoria, dalla cultura di chi le ha osservate. Come per ogni evento che ha la capacità di impreziosire la nostra anima è lo stupore a farci voltare lo sguardo, a farci premere l’otturatore. La piega non è più la stessa, l’intreccio tra involuzioni, vallate e voragini crea una nuova forma. Un nuovo mondo mi appare. Senza stupore anche l’immagine, come qualsiasi racconto, si riduce ad un passaggio di informazioni. Ascoltare il seminario dei dotti mi ha insegnato che senza lo stupore di una piega nuova, senza nuovi intrecci, involuzioni, storture che rendono ogni volta differente il presentarsi a me di questo mondo, piccolo o grande che sia, allora l’insegnamento si riduce ad un passaggio di informazioni: in questo senso il prefisso in davanti alla parola formazione si legge come non-formazione: e come ci formiamo tutti, se non attraverso momenti successivi di stupore? Gli insegnanti sono testimoni del fatto che il loro talento è prima di tutto la possibilità di far sgranare gli occhi alla sorpresa, l’unica possibilità di arrivare dritti al cuore, l’unico veicolo per formare i ragazzi.