Carlo Scarpa e la Grecia. Un architetto occidentale

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Carlo Scarpa e la Grecia. Un architetto occidentale | 1 Il 28 novembre si è svolto a Ca’Foscari il convegno “Carlo Scarpa come educatore”, organizzato dal professor Paolo Pellizzari. Sono stata invitata e nell’occasione ho svolto alcune considerazioni su Scarpa e la Grecia. Ma strada facendo non ho potuto fare a meno di fare anche qualche osservazione d’intorno. Qualche anno fa ho pubblicato il libro “A lezione con Carlo Scarpa” che a tutt’oggi (non lo dico per vantarmi) è considerato uno dei più importanti libri pubblicati su Carlo Scarpa: lo dice anche il figlio, Tobia Scarpa. Ora quel libro è esaurito. Rimane però l’unico libro con le parole autentiche, dalla sua viva voce, di Scarpa: ho “tradotto”, come dico sempre, le lezioni che ho registrate negli anni accademici 1975- 76. Dicevo: “tradotto”, in quanto la trascrizione pura e semplice delle parole in libertà di un grande artista – che però non era abituato alle lezioni accademiche (alle quali dovette abituarsi per le trasformazioni universitarie) che cominciava con un soggetto e i mille incisi della sua lingua parlata – avrebbe potuto rendere impossibile la lettura. Quindi non potuto fare a meno di riferirmi a quelle parole: che ora si possono leggere e rileggere con varie interpretazioni. Ora io l’ho riletto, per una doppia fortunata opportunità: perché il libro sarà ripubblicato da un importante editore e perché l’occasione del convegno mi ha invitato a farlo.

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Il 28 novembre si è svolto a Ca’Foscari il convegno “Carlo Scarpa come educatore”, organizzatodal professor Paolo Pellizzari. Sono stata invitata e nell’occasione ho svolto alcune considerazionisu Scarpa e la Grecia. Ma strada facendo non ho potuto fare a meno di fare anche qualcheosservazione d’intorno.Qualche anno fa ho pubblicato il libro “A lezione con Carlo Scarpa” che a tutt’oggi (non lo dico pervantarmi) è considerato uno dei più importanti libri pubblicati su Carlo Scarpa: lo dice anche ilfiglio, Tobia Scarpa. Ora quel libro è esaurito.Rimane però l’unico libro con le parole autentiche, dalla sua viva voce, di Scarpa: ho “tradotto”,come dico sempre, le lezioni che ho registrate negli anni accademici 1975- 76. Dicevo: “tradotto”,in quanto la trascrizione pura e semplice delle parole in libertà di un grande artista – che però nonera abituato alle lezioni accademiche (alle quali dovette abituarsi per le trasformazioniuniversitarie) che cominciava con un soggetto e i mille incisi della sua lingua parlata – avrebbepotuto rendere impossibile la lettura.Quindi non potuto fare a meno di riferirmi a quelle parole: che ora si possono leggere e rileggerecon varie interpretazioni. Ora io l’ho riletto, per una doppia fortunata opportunità: perché il librosarà ripubblicato da un importante editore e perché l’occasione del convegno mi ha invitato afarlo.

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Scarpa e la Grecia, dunque. Mi ha molto interessato il fatto che fin dalla prolusione del ’63-

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’64, Scarpa accenna “alla maniera dei greci” in riferimento all’interno di una capanna africana, aun letto in muratura rivestito con delle stoffe piegate, e, cito: “probabilmente come i grecitenevano i cuscini delle loro poltrone”.Forse per un architetto il “citare la Grecia” potrebbe sembrare ovvio, ma lo è ancora, oggi?Inizierò quindi da un’osservazione: la preoccupazione costante in tutta l’opera di Scarpa di “dareuna definizione” alle parti o all’insieme, stabilendo limiti, e chiusure appropriate. È quantoemerge, anche dalle parole delle lezioni, nelle quali propone addirittura una ricerca conriferimento all’architettura antica, soprattutto greca.Osservo che – come Leon Battista Alberti parte da Vitruvio, che tramanda nel suo De Architectural’eredità greca e non quella romana del suo tempo – anche Scarpa conosce e cita Vitruvio e, purnon essendosi mai recato in Grecia, la sua citazione dell’architettura della Grecia antica, anche semediata, è viva e precisa, e rappresenta un importante riferimento nella sua cultura.E non sto a dirvi i testi che cita, sulla Grecia, sull’architettura classica, come per esempio quello diFrançois Cali, L’Ordre grec. Essai sur le temple dorique (Paris, Arthaud, 1958); oppure l’autoreSalomon Reinach, che ha scritto molto sull’arte antica; oppure cita un libro francese La Grèce àvol d’oiseau. Senza peraltro dimenticare autori italiani.

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Ricordiamo, anche, che per i greci l’architettura fu quasi come una scienza; essi concepirono gliordini architettonici non come regole materiali né modelli predeterminati, ma come regole idealiche possono tradursi in soluzioni diverse. Così, per esempio, l’ordine dorico più che una formasensibile, visibile, è una forma intellettuale; tra la forma intellettuale e la realizzazione esiste unmargine di modi diversi, nella scelta interpretativa dei quali trova spazio la libertà del progettista.Infatti Scarpa (22/01/76) osserva:l’Ellade antica andrebbe considerata, guardata e l’insegnamento che ci offre non consiste nellaricopia delle cose, è lo spirito che consente di vedere dentro le cose. Se noi esaminiamo quellospirito, lo leggiamo, lo studiamo, lo penetriamo e a forza di guardarlo questo fatto ci entra dentro,è probabile che un pizzico di armonia e di senso dei rapporti entri dentro a voi.Quindi dirò, appunto, della ricerca proposta da Scarpa: quella di “dare una definizione” alle parti(con il riferimento che propone all’architettura greca).Cominciamo con il ricordare tutti i diversi casi che Scarpa cita a proposito del “definire” unaparte, le cornici. Posso dire, semplificando: egli le cita con diversi modi: terminale, chiusura,finale, cimasa.Quello delle cornici è un argomento che risalta, dato che ne parla in ben sette lezioni.Penso che la diversa tipologia delle cornici di chiusura di un muro sia apprezzata da Scarpa,nell’architettura antica, in ragione del luogo, della luce dello stesso luogo, ed anche in rapporto aidiversi punti di vista privilegiati delle opere antiche considerate.

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La chiesa di San Giacomo di Rialto (conosciuta popolarmente come San Giacométo)

Così, per esempio, Scarpa comincia – fin da una lezione del febbraio 1975, una delle prime – adire: “E come fare la cimasa della finale del muro?” E citando una scrittura bizantina descritta daRuskin nel suo libro “Pietre veneziane”, arriva a dire che la pietra sul muro di Sant’Iacopo diRialto “l’ho trovata la più bella proporzione di chiusura di un muro che esista in città”. Non parlaevidentemente, badate, di un elemento greco, ma, come diceva, si tratta di “quel pizzico diarmonia e di senso dei rapporti” che gli derivano dall’insegnamento greco.E poi osserva – e qui noi non possiamo non pensare alla tomba Brion:oggi non si può fare, è troppo caro; ma si può fare anche con calcestruzzo, se usato bene. Allorabisogna fare una lunga discussione per verificare come tratteresti questa materia.

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Palazzo Chiericati a Vicenza

Certamente però, a mio parere, c’è una lezione che prelude alla Tomba Brion – quanto ariferimenti alla Grecia – ed è quella che si riferisce alla Banca Popolare di Verona. In questo casosembra quasi che Scarpa voglia gareggiare, distinguendosi da Andrea Palladio che pur cita congrande attenzione.Scarpa parte dal “tremar della forma” – che nota (ad esempio) nelle fiamme a coronamento inPalazzo Chiericati a Vicenza o su palazzi veneziani come la Ca’ d’Oro, le Procuratie Vecchie, ilPalazzo Ducale, e che consentono quel movimento necessario, cioè, per vedere variabili, estremeluminosità al termine dell’edificio – per giungere a quella “finale” (al femminile) che gli permettedi vedere, appunto, quel “tremare della forma”, quasi a sfumare l’edificio nel cielo.Operazione e ragionamento complesso questo del partire dalle fiamme per arrivare alcoronamento in facciata della Banca.

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Intendo

dire che se Scarpa parte dallo sfumare palladiano nel cielo, egli ricerca poi, in quella volontà diavere “tutto un nero a coronamento” anche una “luce al posto di un’oscurità”, sperimentando(banca permettendo) una moderna modanatura, nella quale inserisce sotto la “sua” metopa unelemento semisferico, di bronzo dorato, in modo che, da lontano, ci siano delle luminosità.Aggiungendo che – mettendo una piccola sfera d’oro – “l’oro brilla anche nell’oscurità, anche nelpiù buio assoluto, se vi palpita un raggino di luce.”

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Banca di Vicenza. Modanatura nella quale è inserita una metopa, elemento semisferico dibronzo dorato

E conclude dicendo: “In certo senso io ho fatto il capitello”.

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Si tratta a mio modo di vedere di un classico ragionamento di Scarpa: che proponendo,argomentando anche contraddicendosi, parte dal Palladio per arrivare… alla Grecia! Ma a me ha

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anche assai interessato, “intrigato”, la descrizione delle sfere dorate: all’esterno (sotto la metopa)e all’interno a legamento in alto delle colonne.

Perché quel suo dire (ripeto) “L’oro brilla anche nell’oscurità […] se […] vi palpita un raggino diluce […]” mi hanno ricordato le parole precise precise di Mario Praz, nello scritto Un internopubblicato nel libro Voce dietro la scena (Adelphi 1980, Milano), quando descrive le diverse lucidell’appartamento di palazzo Ricci in via Giulia, nelle ore del giorno. Anche se Scarpa (perscaramanzia) non avrebbe mai citato Praz per la nomea che lo circondava. Ma lo conosceva assaibene. En passant: il libro di Praz è un gran bel libro, che consiglio.

Comunque è interessante anche notare quanto Scarpa si dilunghi, a proposito della Banca,

su la finale, la zona alta e conclusiva dell’edificio, con una dettagliata descrizione. E anche sullecolonne interne, spiegando, oltre che la parte alta con le semisfere dorate, anche la base e lesfaccettature dei pilastri-colonne. In una moderna gara con l’antico, con la preoccupazionecostante (come è in tutta l’opera di Scarpa) di “dare [appunto] una definizione” alle parti oall’insieme, stabilendo limiti e chiusure appropriate: una ricerca, insomma, con riferimento

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sempre all’architettura antica, soprattutto greca.Dicevo precedentemente che Scarpa cita in ben sette lezioni la “cornice”, ma in ben undici lezionisu quattordici Scarpa cita la Grecia e le sue opere: cornice e Grecia sono sempre connesse.Intendo dire cioè che le cornici – o terminale, chiusura, finale, cimasa, come le chiama – sono unelemento strettamente connesso alla grecità (come direbbe Scarpa), alla quale sempre si riferiscedistinguendola dalla romanità, che ritiene una “civiltà spuria”.È una ricerca – come sappiamo – che Scarpa s’impone fin dalle cose più semplici: per esempio, perla chiusura delle teste dei profilati metallici che usa; per la protezione di pareti e diaframmi con laposa, al minimo, di un piatto di ferro; per la marginatura dei pavimenti con la pietra.La Banca Popolare di Verona – in tal senso – mi sembra la massima “ricerca sulla cornice, sulmargine”: dai più piccoli particolari d’interno e di esterno, all’insieme tutto, nel quale ilcoronamento delle facciate è, come dicevo, una esplicita moderna gara con l’antico. Cito: “unamodanatura secondo la tradizione e […] una metopa antica”.Ma poi Scarpa si sofferma, in particolare, sulla Grecia nelle due lezioni sulla Tomba Brion: dovenon fa riferimenti fra la sua opera e la Grecia (come nel caso della Banca), ma la Grecia incombecome un pensiero imminente, non come un evento minaccioso, ma da ponderare e considerare convivo interesse. Meglio forse sarebbe dire “aleggia con leggerezza”.

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Ma non posso non ricordare che perfino quando parla della Gipsoteca di Possagno e dei due muridi contenimento della vetrata-teca per le Tre Grazie compareil Tempietto delle Core nell’Eretteo: una delle cose più belle della grecità [e] la sagoma che èsopra le grandi Core, una cosa mirabile.

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In questo caso era alla ricerca di un “terminale” per quei muretti.E la Grecia allora aleggia sulla Tomba fin dal “gocciolatoio della fronte della cornice dell’Eretteo[che ritorna!] dove stanno le belle Kore.” Scarpa ricorda anche l’emozione che ha provatosentendo quella forma, “è un volo”, che paragona a una nota musicale. Ma quell’ornamento fasempre parte della “cornice”.Nelle lezioni Scarpa si sofferma su elementi del dorico e dice sul loro significato spaziale: analizzala pausa rappresentata dalla metopa fra due triglifi. Oppure, disegnando la sezione di una colonna,sottolinea come attraverso l’uso del modulo fosse possibile misurare anche lo spazio scanalato fradue spigoli della stessa colonna. Efra quel vuoto e quel pieno c’è una relazione di armonia inimmaginabile.

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Nel caso Brion l’argomento “cornice” o coronamento (quindi la sua Grecia) compare conun’attenta ricerca nel caso del Tempietto e dei Propilei.

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Tempietto

Propilei

Sottolineerò solo alcune citazioni e i riferimenti di Scarpa fra la Tomba e la Grecia, come

quando parla diQuei piccolissimi rapporti che fanno splendide alcune modanature o sagome che hanno fatto gliarchitetti della Grecia […] Bisognerebbe abituarsi a distinguere, ad avere orecchio musicale[ricordando che] la metopa è lo spazio, anzi in greco vorrà dire proprio così, tra i triglifi.Oppure ancora parla dell’Eretteo o della Vittoria Aptera, dei templi greci, e cita ben dieci volte(nella seconda lezione Brion) la Grecia e anche la Grecia classica, la Grecia ellenistica, ricordandoche “la Grecia è sempre stata la mia passione”,per concludere con Le Corbusier e la modanatura del Partenone, e il suo dire di “moralità dorica”in Vers une architecture.Certo, Scarpa cita esplicitamente il Giappone nel caso della Tomba, soprattutto quando ci rendepalese, ci manifesta la Tomba nelle forme. Intendo dire che ogni suo riferimento all’Oriente, e alGiappone in particolare, è una “variante”, cioè sempre in relazione a un oggetto, un pensiero,occidentale; e che quell’”aleggiare” della Grecia, anche se non fu un riferimento dettoesplicitamente nelle forme a proposito di Brion, ha un riferimento profondo, robusto nel pensierodi Scarpa, anche per le sue tante frequentazioni letterarie.Talvolta, insomma, credo che quando si vuol privilegiare l’aspetto “orientale”, in riferimento aforme e lemmi usati da Scarpa nel caso Brion, si voglia quasi avvalorare quella sconsolante

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definizione di “formalista”, con la quale taluno lo cita. Mentre io invece, vorrei ricordare, perconcludere, il Padiglione per la Meditazione nel complesso della Tomba. E ricordare anche le sue(di Scarpa) precedenti frequentazioni “foscoliane”, come nel caso di Possagno: Scarpa – a mesembra evidente – ha ben conosciuto Le Grazie, Carme (dedicato) ad Antonio Canova di UgoFoscolo e soprattutto quell’Inno Terzo dedicato a Pallade dea della virtù.

Così io vedo, per esempio: nello spazio di sosta meditativa l’isola remota in cui Pallade condusse leGrazie a loro protezione; poi, nella porta vitrea (quella che, aperta, sprofonda nell’acqua)l’inaccessibilità a chi non sappia meditare su quanto offre la vita umana, così come in quelfoscoliano “Inno Terzo” l’inaccessibilità all’isola agli uomini impegnati nell’azione di guerresanguinose;

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e nella

copertura del “padiglione” vedo il velo delle Grazie, raffigurante la giovinezza, l’amore coniugale,l’amore materno: quel velo che protegge dalle passioni umane le Grazie.

Certo nel caso della Tomba Brion una mediazione fra forme orientali e cultura occidentale ci fu,ma in architettura e nelle arti in genere, è importante mi sembra la formazione e la costruzionedel pensiero di un artista, i suoi riferimenti e il suo mondo culturale: ed è indubbio che Scarpaebbe una cultura occidentale fortemente sedimentata, fra Grecia e letteratura. Penso perciò che

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bisognerebbe sempre saper distinguere fra le forme e il loro significato.

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Carlo Scarpa e la Grecia. Un architetto occidentale was last modified: Dicembre 3rd, 2018 by FRANCA SEMI