Carlo D’Onofrio · colline al confine tra i comuni di Casalfiumanese e ... nell’anno mille con...

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Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea Un antico castello tra i calanchi di Casalfiumanese e Imola

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Carlo D’Onofrio

I mille anni di

Pieve Sant’Andrea

Un antico castello tra i calanchi di

Casalfiumanese e Imola

In copertina: panorama della Pieve di S. Andrea, particolare tratto da una foto

di Ugo Tamburini scattata intorno agli anni 1903-1906. Collezione privata

Maurizio Flutti. Progetto ed elaborazione grafica Federico Monterumisi e

Marco Farolfi.

Le foto moderne, ove non diversamente indicato, sono state scattate dall’autore

negli anni 2009-2011.

Un DVD con un filmato tratto dal libro sulla storia della pieve, della durata di

venti minuti, è reperibile presso l’autore.

Con il patrocinio del comune di

Imola.

Con il patrocinio del comune di

Casalfiumanese.

Una piccola tessera in un grande mosaico, in un territorio dove chiese e

monumenti splendono del bizantino caleidoscopio musivo. Con questa

immagine nel pensiero ho scritto il libriccino che state sfogliando, come un

breve racconto su luoghi, genti, avvenimenti che non troveremo nella “grande

storia”, ma che pure ne costituiscono l’invisibile trama a noi vicina. In queste

colline al confine tra i comuni di Casalfiumanese e Imola emergono a tratti

frammentarie tracce della presenza umana già di epoca romana, come

sommerse dalla nuova storia che iniziò nell’anno mille con la Pieve di S.

Andrea. E poi la rocca, e le antiche mura, e le case addossate! E oggi la

moderna vita, che in questo piccolo borgo sembra ritrovare la magica

sospensione del tempo antico. Non ripercorro i capitoli delle pagine che

seguono, la brevità del testo e le tante foto (oltre cento) credo potranno

incuriosire anche il lettore frettoloso e la domanda “Carneade! Chi era

costui?” di don Abbondio del Manzoni troverà per la pieve una facile risposta!

Per qualche “dotta” spiegazione sul sistema plebano o sui castelli della

Romagna, certo non comune bagaglio culturale, ho rubato le parole di valenti

studiosi, mentre dai “semplici” racconti degli anziani è tratta l’affascinante

memoria collettiva di anni che sembrano già lontani. Infine dalle lunghe

ricerche tra le polverose carte degli archivi e biblioteche della regione ho

ripreso il filo della storia della nostra pieve.

La professionalità e gentilezza (ben oltre il dovere d’ufficio) del personale mi

hanno sempre accompagnato durante le ricerche nella biblioteca di Imola,

nella Sezione Archivio di Stato di Imola, negli archivi diocesani di Imola e

Ravenna, nella Soprintendenza per i Beni Artistici di Bologna e nelle tante

istituzioni culturali consultate (il Centro imolese di documentazione sulla

resistenza antifascista e storia contemporanea-CIDRA, la cineteca di Bologna,

la biblioteca universitaria di Bologna, le piccole biblioteche comunali, ecc.). Il

dottor Flutti mi ha dato consigli e stupende foto originali, l’aiuto della dott.ssa

Orsi è stato fondamentale per ritrovare la memoria di un quadro oggi

scomparso di Antonio Dardani, le chiacchierate con l’amico Bernabei mi

hanno aperto nuove conoscenze. Il dott. Saracino, combattente in età giovanile

nella Folgore, ci ha dedicato pagine di emozionanti memorie sulla liberazione

della Pieve. Il dott. Zambrini è il competente autore del capitolo sull’ambiente

naturale. Un sentito grazie a tutti, in particolare alle famiglie Cristiani e Poli di

Valsellustra, alle signore Silvana Cerchiarini e Nanni Franca, al Maestro

Farolfi per aver realizzato il filmato tratto dal libro, alla dott.ssa Farolfi per il

suo prezioso contributo e agli amici della pieve a lungo interrogati e coinvolti,

genitori e nonni compresi!

L’attento lettore potrebbe trovare qualche involontario “vulnus” all’italiana

favella… non me ne voglia, grato all’esimio Leo Pestelli che si aggira nel

nostro antico castello “tra” e non “fra” i calanchi, accorto maestro della

nostra lingua.

Pieve di Sant’Andrea, marzo 2012.

Carlo D’Onofrio

INDICE

La pieve. Le origini. Pag. 7

Il castello. 18

La chiesa di S. Andrea apostolo. Le genti, i cimiteri, gli “ospitali”. 33

Il borgo in epoca contemporanea. 52

Cà di Pidriaga. 75

L’ambiente naturale, a cura di Antonio Zambrini. 80

Mappa con l’antica circoscrizione della Pieve di S. Andrea tratta

dalle carte topografiche 1:25.000 dell’I. G. M., Firenze. 87

Glossario e abbreviazioni. 88

Elenco dei nomi e dei luoghi citati. 90

Bibliografia e fonti. 92

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

7

La pieve. Le origini.

“Nel chiaro mattino s’insinua, per suoi segni nobili, il tempo: il tempo fluito, ch’è

irripetibile agli atti, ed è il taciturno regno delle anime… È consegnato alle chiese,

ai palazzi, alle torri! Ai vecchi libri, alle tarme.” (Gadda C. E., Le meraviglie

d’Italia-Gli anni, Torino 1964).

Il tempo, scriveva Gadda, è “consegnato alle chiese, ai palazzi, alle torri! Ai

vecchi libri, alle tarme”, e qui nel piccolo borgo di Pieve di S. Andrea

apostolo, ancora in parte racchiuso entro le antiche mura, mille anni di storia

hanno lasciato come un’impronta sulle pietre e sui mattoni delle torri, della

chiesa, delle case. La prima memoria della pieve è contenuta in una bolla di

papa Onorio II indirizzata al vescovo Bennone databile negli anni 1126-

1130 ed oggi leggibile solo in trascrizioni notarili del XV e XVI secolo.

Nella bolla sono elencati i beni immobili di proprietà della Chiesa in Imola e

nel circondario, con inclusa la menzione della “plebe Scti Andree”, oltre ad

altre 17 pievi.1

1 Fantuzzi riporta parzialmente una pergamena ravennate del 4 gennaio 1031 per una

investitura nel territorio d’Imola, dove si menziona un “fundum qui vocatur Casale in

territori Corneliensi plebe S. Andree”. Fantuzzi M., “Monumenti ravennati de’ secoli di

mezzo…”, tomo I, Venezia 1801. In realtà la pergamena, esaminata con l’aiuto di Massimo

Ronchini presso l’archivio della diocesi di Ravenna, fa riferimento alla Pieve di S. Andrea

in domoculta (una delle tre pievi accertate con sicurezza a Cervia): “fundum q(ui)

v(ocatur) Casal(e) terr(itori)o Ficoclense Pl(e)be S(an)c(t)i Andree”, non territorio

Corneliense quindi ma di Ficocle, cioè l’antico nome di Cervia. Hanno seguito l’errore del

Fantuzzi tutti gli studiosi della materia: il Gaddoni, il Baldisserri, ecc. Cfr. anche: Le carte

ravennati del secolo undicesimo…, a cura di Benericetti R., Faenza 2009. Le bolle di

Onorio II e la successiva di Eugenio III sono riportate da: Gaddoni S., Zaccherini G.,

Chartularium imolense, Imola 1912, 2° vol. n. 726 e 727; la sentenza dell’arcivescovo di

Ravenna Gerardo, citata più avanti nel testo, è trascritta al n. 729 del Chartularium.

Copia della bolla

di papa Onorio II

contenuta nel

codice A, c.2v-3,

conservata presso

l’archivio della

diocesi di Imola.

Particolare della

sottoscrizione e

dei sigilli. In alto

a destra la data

“Anno Domini

1129” aggiunta

nel XVI secolo.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

8

Nel 18 maggio 1151 la pieve è riportata nella bolla di papa Eugenio III

come “plebem S. Andree et capellam S. Pauli in castro Albori.”2

2 Luigi Baldisserri nel descrivere “Le antiche pievi della Chiesa imolese” ricorda che fu

detta anche “plebs S. Andree de Flagnano Selleris”. Baldisserri L., Le antiche pievi…,

Imola 1914. Interessante la storia dello scomparso castello dell’Alboro (dal latino arbor,

in dialetto romagnolo albar per indicare la varietà del pioppo bianco), distrutto nel 1199

dai bolognesi. Il castello era posto su di un ameno colle oggi detto il Poggio, alla destra

del Sillaro, dove ora è una grande casa colonica chiamata “castelletto” o anche palazzo

dell’Alboro, nel comune di Castel S. Pietro Terme, via Paniga n. 2350. Vari autori

(Calindri, Merlini, Montevecchi) ne hanno tracciato compiutamente la storia dalle sue

prime notizie, tratte da un documento rogato a Imola nel 1117, che ne attesta la proprietà

agli Oradini, e successivamente dal privilegio di papa Eugenio III del 1151 che lo concesse

alla Chiesa imolese, per passare due anni dopo al comune di Bologna per mano di

Guerrino Massanesi. Tornò soggetto a Imola nel 1194 e nuovamente espugnato dai

bolognesi nel 1198, che l’anno seguente lo demolirono per sempre trasferendo i suoi

abitanti nell’appena fabbricato castello di San Pietro. Castel dell'Alboro era luogo molto

più importante di quanto non sembri, per la memoria che ne resta, con un numero di

uomini in armi quasi maggiore che non il numero degli uomini del castello d'Imola; l’età

degli abili alle armi era da 16 a 60 anni, il coefficiente stimato tra gli abili alle armi e la

popolazione è di 35 unità. Per castro Albori gli atti alle armi erano 220, quindi gli abitanti

erano circa 780 alla data del 16 ottobre 1199, anno dell’avvenuta distruzione del castello.

Della bolla di papa Onorio

II esistono nell’archivio

della diocesi di Imola solo

tre copie desunte

dall’originale,

rispettivamente contenute

nei codici A (c.2v-3), B (cc.

19-20), C (c. 38). Di fianco

è riprodotta la copia della

pergamena conservata nel

codice C e rogata nell’anno

1456 dal notaio “Antonio

filio Lanzilotti de

Primartinis de Imola”.

In calce sono riprodotti i

sigilli di Onorio II.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

9

Territorio di Imola descritto da padre Vincenzo Maria Coronelli, Venezia 1692. La mappa,

conservata presso la biblioteca comunale di Imola, indica “Pieve di S. Andrea Villa”. Bim.

Fondo iconografico, Piante di Imola e di località dei dintorni, 19 1 Cass. 5 cartella 1 n. 3.

Pieve S. Andrea è ricordata anche nelle bolle di papa Alessandro III del 30

marzo 1179 e di papa Innocenzo III del 1215. Del 25 ottobre 1186 è una

sentenza3 di Gerardo, arcivescovo di Ravenna, in favore del vescovo di

Imola Enrico contro Bertoldo di Königsberg (Legato d'Italia), che assegna al

vescovo varie località, tra le quali il monte in cui si trova la Pieve di S.

Andrea, esenti da ogni altra esazione che non sia quella del vescovo. Il 2

marzo 1210, con privilegio dell’imperatore Ottone IV, la Pieve S. Andrea

era elencata tra le terre per le quali era confermata l’appartenenza al vescovo

di Imola (rinnovata anche dall’imperatore Federico II nel 1226). Ancora

nell’anno 1265 gli “inquisitores rationes” (ufficiali estimatori), nel

compilare a fini di esazione il “Quaternus fumantium comitatus Ymole”,4

non inserirono nel registro i “fumanti” di alcune località dell’imolese di

esclusiva giurisdizione del vescovo: Pieve S. Andrea, Poggiolo, Torano,

3 L’importante sentenza si inserisce nelle lotte tra papato e impero, tra gli incerti equilibri

e le precarie alleanze dei comuni della regione (cfr. Ferri A., Imola nella storia…, Imola

1991, cap. XV). 4 Mascanzoni L., Guido Deotaiti e Flordebella…, Bologna 2010. Per il termine “fumanti”

si veda il glossario.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

10

Codrignano, Valsalva, Pieve di Gesso e Codronco. Una premessa sulle pievi

e il sistema plebano, seguendo quanto autorevolmente già hanno scritto

sull’argomento, tra gli altri, Currado Curradi, Andrea Ferri e Antonio Renzi,

è opportuna per comprendere meglio la storia e l’importanza che la nostra

pieve ha avuto per tanti secoli. “È noto che il termine pieve, inteso come

struttura plebana, è espresso per la prima volta da papa Pelagio I (anno

561), sebbene la sua organizzazione fosse già descritta in modo

particolareggiato nel concilio di Vaison dell'anno 529. Eppure dovranno

passare due secoli prima che si realizzi.

Soltanto a partire dall'VIII secolo, infatti, è attestata una riorganizzazione

del territorio diocesano per pievi, e le più antiche chiese battesimali delle

campagne appaiono come il centro della vita religiosa e civile di un

distretto territoriale minore, rispetto al territorio maggiore dell'antico

municipio, che spesso coincide con quello della diocesi. E solamente

Tavole Albrizziane,

Imola 1768, con la

rappresentazione

della città di Imola

e del suo territorio.

È presente anche

l’indicazione della

Pieve “S. Andrea”.

Bim, Fondo

iconografico,

Tavole Albrizziane

della città di Imola.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

11

dall'VIII secolo cominciamo a trovare il termine plebs nei documenti

pubblici e nei contratti privati redatti dai notai, col significato di ‘territorio

plebano’ che serve come ‘criterio ubicatorio’, per precisare dove sono

situati fondi, terre, chiese, luoghi grandi e piccoli.”5

E ancora “l'antica provincia ecclesiastica ravennate si estendeva in quel

periodo a tutto il territorio dell'attuale Emilia Romagna, ad eccezione di

Rimini e Bobbio (ndr. si tratta della sede vescovile Sarsinate, la ‘diocesi

Bobiensis’). Le origini della diocesi di Imola risalgono almeno al secolo IV,

con un territorio ricomprendente le vallate del Senio e del Santerno, oltre a

una larga fascia della pianura, limitata dal Sillaro e dal Senio.

Colle di Pieve S. Andrea. Fotografia databile negli anni 1903-1906, in primo piano

l’edificio bianco delle scuole, demolito prima del 1960, detto “C. Prussiana” (cfr. IGM

Firenze, anno 1832, aggiornamenti anni 1928 e 1941, foglio 99 Borgo Tossignano). Foto

Tamburini. Riproduzione da Orsini L., Imola e la Valle del Santerno, Bergamo 1907.

Seppure con alcune variazioni dei suoi confini, la giurisdizione spirituale

del vescovo di Imola rimase inalterata dalla fine del secolo XI sino quasi al

termine dell'età moderna. L'organizzazione interna della diocesi di Imola,

come delle altre suffraganee di Ravenna, era imperniata sulla pieve,

termine con il quale si indicava ad un tempo una comunità di fedeli, un

5 Curradi C., Pievi Imolesi, in Ravennatensia, 16 (1991).

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

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edificio sacro e una porzione di territorio in cui l'azione pastorale era

esercitata dal clero designato dal vescovo e da lui dipendente. Il sistema

plebale riguardava sia le aree rurali che i centri urbani, seppure con

caratteristiche parzialmente diverse. Il sorgere delle pievi, soprattutto

lontano dai principali centri abitati, sovveniva alle necessità dei fedeli

spesso impossibilitati a compiere lunghi viaggi sino alla chiesa cattedrale

per ricevere il battesimo ed altri sacramenti e riti dell'iniziazione cristiana.

Elemento distintivo della pieve rispetto ad ogni altro luogo di culto era la

presenza del fonte battesimale, con il cui lavacro si entrava a fare parte del

popolo di Dio, la plebs Dei; la stessa etimologia del termine pieve, derivata

appunto dal latino plebs, rivela il suo tratto peculiare.

Catasto pontificio gregoriano, anni 1817-1835. Vi è la chiara rappresentazione

topografica del borgo all’epoca, con indicazione della linea rossa di confine tra i comuni

di Casalfiumanese e Imola che divide in due parti la pieve. SASI, cartella 562, tav. 04,

particolare. Su autorizzazione del Min. Beni e Attività Culturali. Archivio di Stato di

Bologna, aut. 917 del 9.2.2010.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

13

Non di rado poi le circoscrizioni plebane ricalcavano le precedenti

partizioni del ‘territorium’ municipale romano e degli insediamenti militari

bizantini, assumendo rilievo sempre maggiore nella vita sociale delle

comunità insediatevi. All'interno del piviere esistevano di frequente altri

luoghi di culto, con varie funzioni religiose, ma i sacerdoti che vi

officiavano erano gerarchicamente dipendenti dall'ecclesiastico preposto

alla chiesa plebana, la sola dove venivano amministrati i sacramenti del

battesimo, della cresima e della penitenza pubblica, e dove si celebravano

le principali feste liturgiche, i riti funebri e le sepolture. Dal IX-X secolo il

sacerdote a capo della pieve assunse spesso il titolo di archipresbiter, o

quello di praepositus, che sottolineavano entrambi il suo ruolo primario e

quello della chiesa a lui affidata. Le variazioni degli insediamenti umani, le

vicende politico religiose e le condizioni economiche della Romagna

medievale resero il suo sistema plebano assai dinamico e mutevole, con un

significativo assestamento solo tra il XII e il XIV secolo, per poi definirsi

maggiormente in quello successivo.”6 Il concilio di Trento (1545-1563)

aveva imposto a tutte le chiese parrocchiali la compilazione dei registri dei

matrimoni e dei morti, tuttavia poiché solo un numero limitato di esse era

dotato del fonte battesimale, l'obbligo di tenuta dei relativi registri

incombeva esclusivamente ai parroci di queste ultime. Solamente il codice

di diritto canonico, promulgato da papa Benedetto XV nel 1917, sancì la

presenza del fonte battesimale in tutte le chiese parrocchiali. La

suddivisione amministrativa del territorio Imolese era articolata in 18

circoscrizioni plebane diffuse in modo omogeneo tra pianura e collina con

quest’ultime, di solito di minore estensione, collocate principalmente lungo

antiche vie. Nell’alternarsi delle vicende politiche e militari la giurisdizione

spirituale del vescovo d’Imola resterà inalterata, come già detto, dalla fine

del secolo XI sino all’epoca napoleonica. La Pieve di S. Andrea è situata a

323 metri sul livello del mare sulla cima di un poggio dominante il versante

destro della valle formata dal torrente Sellustra, a circa 12 chilometri sia da

Casalfiumanese sia da Imola.7

6 Ferri A., Renzi A., Fontes salutis. Chiese battesimali della diocesi di Imola in età

moderna, Imola 2002. 7 Due sono oggi le vie carrabili principali che portano alla pieve: via Ponticelli Pieve e via

Pieve di S. Andrea. Via Ponticelli Pieve inizia appena fuori dell’abitato di Ponticelli da via

Montanara al confine del comune di Casalfiumanese. Nel 1892 si chiamava “via della

Pieve”. Nel 1900 aveva già il nome attuale. Vi sono venuti alla luce reperti archeologici

dell’epoca romana repubblicana. Via Pieve di S. Andrea, così menzionata nel 1798,

prosegue via di Montecatone sul vecchio tracciato elevato spesso sopra i calanchi, con

l’ultimo tratto, dove si congiunge con via Ponticelli Pieve, su un nuovo tracciato; il vecchio

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

14

Il borgo è suddiviso storicamente tra due comuni, Imola e Casalfiumanese,

rispettivamente a est e a ovest, con una divisione ricordata già nel 1781, e

con la stessa chiesa “in quanto al dominio temporale, edificata per metà in

circa sul territorio Bolognese, e per lo rimanente sul territorio Imolese”.8

Le descrizioni ottocentesche della chiesa infatti riportano la linea di confine

tra i due comuni individuata circa a metà della chiesa con una fila di

mattoni. Tale linea oggi non è più visibile, ma si può approssimativamente

collocare in corrispondenza dello scalino che attualmente divide il

presbiterio dalla parte riservata ai fedeli. Nel Catasto pontificio gregoriano

(SASI, cartella 562, tav. 04, anni 1817-1835) chiara è la rappresentazione

percorso è ormai ridotto a un sentiero appena percettibile nella collina, ben visibile nella

mappa del catasto pontificio gregoriano degli anni 1817-1835. La via prosegue, non

asfaltata, per Croara dove si congiunge con quella che da Casalfiumanese portava alle

frazioni di Gesso, Sassoleone e Casoni di Romagna.

Tra le altre vie minori, oggi parzialmente transitabili, di una certa importanza era l’antico

percorso che univa Dozza a Imola passando nei pressi della località Monticino e quello

che da Fiagnano scendeva al torrente Sellustra e risaliva a Pieve S. Andrea. Dalla via

Emilia e dalla via Selice la via Montanara costituiva un percorso verso la Toscana già in

età romana, ricordato anche in diversi documenti dal secolo XI. Un’altra strada conduceva

in Toscana, attraverso la Valsellustra sino a Croara, per ricongiungersi con un percorso di

crinale dalla Pieve S. Andrea sino a una pista che dalla via Montanara attraversava

Casalfiumanese. 8 Calindri S., Dizionario Corografico, georgico..., Bologna 1781.

Catasto Boncompagni, anno

1781, particolare. Grande

pergamena (2,13 m x 2,34 m)

delle “Comunità di Fiagnano

e Bello poste nella Potesteria

di Casale Fiumanese.” Viene

disegnata la sola parte della

pieve ricadente nel comune di

Casalfiumanese. In alto

l’indicazione della “Fontana

del Pogiolo”, smantellata in

anni recenti, mentre lungo la

strada pubblica di Carisi è

riportata la “Fontana Carisi”

(non in foto). SASI, cartella

100. Su aut. del Min. Beni e

Attività Culturali. Archivio di

Stato di Bologna, aut. 917 del

9.2.2010.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

15

topografica del borgo, con indicazione della linea di confine tra i comuni di

Imola e Casalfiumanese.

Il territorio della pieve era di modeste dimensioni. I confini della

circoscrizione plebana, riprendendo un’attenta analisi del Merlini,9 possono

essere collocati a sud-est sulle colline a destra del Sillaro, ove sorgeva sino

al 1199 il distrutto castello dell’Alboro, a sud-est di Castel S. Pietro, presso

la via Emilia.10

“A settentrione i castelli di Monte Catone e Poggiolo erano ricompresi

dentro la circoscrizione plebana di San Cassiano, mentre il castello di

Fiagnano, sulla sponda opposta del torrente Sellustra a circa un chilometro

a sud ovest della sede pievana, era posto nella giurisdizione della pieve di

Santa Maria in Gesso. A est il confine era limitato dal territorio della

piccola pieve di San Savino di Mezzocolle e forse raggiungeva il corso del

9 Merlini F., Paesaggio e insediamenti rurali…, tesi di laurea, Bologna 1979-1980.

10 Il “fundum qui vocatur Casale” (Fantuzzi, cit.) indagato dal Merlini non è identificabile

“con i vari toponimi ‘casale’ e ‘casalino’ disseminati a nord-ovest di Casalfiumanese…”.

Tale citazione infatti non è riferita al territorio Corneliense bensì a quello Ficoclense,

come già indicato nella nota n. 1.

Pieve S. Andrea, planimetria

degli edifici ricadenti nella

giurisdizione del comune di

Imola. SASI. Cessato catasto

1959-1962. Su autorizzazione

del Min. Beni e Attività

Culturali. Archivio di Stato di

Bologna, aut. 917 del

9.2.2010.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

16

fiume Santerno.”

A meridione il limite della giurisdizione si attestava ben più a nord di

Croara.

L’inventario del 1869 del pievano don Crispino Santarelli descrive i confini

della parrocchia che “si estende sopra quattro colli, e due vallette; confina a

levante con Monte Catone e Mezzocolle, a mezzogiorno con Croara, a

ponente con Fiagnano, a tramontana con Doccia.11

Dessa ha un circuito di circa cinque miglia, conta quarantasette famiglie,

duecentottantasei individui, cresimati duecentoquaranta, comunicati

duecentosei. In questa parrocchia attualmente non v’ha alcun sacerdote né

chierico, né oratorio, né convento.”12

Analoga descrizione contiene l’inventario, sempre di don Santarelli, redatto

11

Per orientarci nella terminologia usata negli inventari e nelle diverse epoche ricordiamo

come venivano indicati i punti cardinali: NORD-settentrione-tramontana; EST-levante-

oriente; SUD-ostro-mezzogiorno-meridione; OVEST-ponente-occidente. 12

Santarelli C., pievano dal 1854 al 1910, Inventario dei beni stabili e mobili, anni 1869,

1875, 1902, Archivio diocesi di Imola.

Una bella immagine dall’alto del borgo di Pieve di S. Andrea in epoca moderna. Foto

Fabbri Pietro, anno 2011.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

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nel 1902, salvo che per l’indicazione in sei chilometri del circuito di confine

della pieve, all’epoca “abitata da 55 famiglie che formano 322 individui…”.

Pieve di S. Andrea. La fotografia è databile negli anni 1903-1906 attraverso un

confronto con l’età e caratteristiche dei due alberi a sinistra dell’ingresso del borgo,

visibili in altra foto Tamburini. Al centro dell’immagine nel prato si vede la piccola

costruzione di un antico pozzo che, insieme alle sorgenti delle Accarisie e del

“Pogiolo”, costituiva la fonte di approvvigionamento d’acqua della pieve. Foto

Tamburini. Coll. priv. Flutti Maurizio, Imola.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

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Il castello.

“È suta consuetudine de’ principi per potere tenere più sicuramente lo stato loro

edificare fortezze, che sieno la briglia et il freno di quelli che disegnassino fare

loro contro, et avere uno refugio sicuro da uno subito impeto... Quel principe che

ha più paura de’ populi che de’ forestieri, debbe fare le fortezze; ma quello che ha

più paura de’ forestieri che de’ populi, debbe lasciarle indrieto… Ne’ tempi nostri,

non si vede che quelle (le fortezze, ndr) abbino profittato ad alcuno principe se non

alla contessa di Furlì (Caterina Sforza, ndr)… Ma dipoi valsono ancora a lei poco

le fortezze, quando Cesare Borgia l’assaltò e che il populo suo inimico si

congiunse col forestiero. Pertanto… sarebbe suto più sicuro a lei non essere odiata

dal populo che avere le fortezze.” (Machiavelli N., Il Principe, cap. XX).

Ingresso al borgo di Pieve S. Andrea, come appariva prima delle distruzioni del 1945,

fotografia databile negli anni 1903-1906. Foto Tamburini. Anche in Orsini L., Imola e la

Valle del Santerno, Bergamo 1907. Coll. priv. Flutti Maurizio, Imola.

Un’interessante ricerca della Piolanti aiuta a comprendere il fenomeno della

nascita e della diffusione dei castelli medievali nelle nostre contrade.13

Numerosissimi in piena età medievale, i castelli in Romagna effettivamente

attestati dalle fonti sono 110. Mettendo in relazione la situazione topografica

13

Piolanti A., Imola: castelli e territorio. In Castelli medievali…, Bologna 2006.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

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e ambientale con il numero di insediamenti fortificati sicuramente presenti,

risulta che i castelli imolesi super stratam (cioè sopra la via Emilia, ovvero

verso l’Appennino) sono più numerosi di quelli subtus stratam (cioè sotto la

via Emilia, ovvero nella pianura).

Dal punto di vista insediativo la bassa-media collina era infatti preferita

all'area di pianura a valle della via Emilia. Come già detto gli insediamenti

collinari e montani erano ubicati principalmente lungo le antiche vie che

congiungono la Romagna alla Toscana attraverso i valichi appenninici. In

montagna, mancando una reale possibilità di espansione dell'economia

agricola a causa degli ostacoli naturali (altitudine sopra i 500 metri,

pendenze e tipo di terreno), tali insediamenti presentavano una pronunciata

tendenza alla staticità. Nell'area pianeggiante invece la distribuzione

insediativa era meno stabile: la deforestazione, le bonifiche e la messa a

Pianta dei castelli e delle rocche dell’Emilia Romagna con Pieve S. Andrea indicata come

“luogo castellato-città fortificata”. Perogalli C., Castelli e rocche…, Milano 1972.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

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coltura di sempre nuovi terreni conferivano una fisionomia insediativa più

mobile, caratterizzata dalla scomparsa di vecchi centri e dalla fondazione e

rapido sviluppo di nuovi, che si fissò in modo quasi definitivo in epoche

successive. Il fattore che più determinò il tipo di scelta insediativa collinare

o montana fu probabilmente dettato da esigenze strategiche, connesse con la

necessità di controllare il transito appenninico. Un altro dato importante è

rappresentato dal fatto che i castelli derivavano dalla fortificazione di entità

insediative preesistenti quali le pievi, le massae, le curtes.14

I castelli

medievali presenti sul territorio sono attestati in un arco di tempo che copre

più di cinquecento anni, dall’anno 872 al 1413 per l'area super stratam e dal

964 al 1482 per l'area subtus stratam. In entrambe le zone fra i secoli IX e X

si registra una scarsissima incidenza di strutture fortificate. A partire però

dall'XI secolo il fenomeno dell'incastellamento nelle due aree si evolve in

direzioni diverse l'una dall'altra.

14

Il termine castello deriva da “castrum” o “castellum”. Seguendo l’analisi che ne fa

l’Adani (Rocche, fortilizi..., Cinisello Balsamo 1988) ricordiamo che secondo la lingua

latina il termine indicava un villaggio fortificato e in seguito una pura e semplice fortezza

militare. Nel medioevo si ereditò il termine e l'insieme dei suoi significati storici. Ogni

volta che incontriamo un “castrum” o un “castellum” si pone la necessità di sapere di che

cosa si stia parlando con precisione in quanto occorre discernere di volta in volta quali

sono gli elementi di maggior peso che contribuirono alla realizzazione della fortificazione:

esigenze dell'autorità sovrana, esigenze del signore locale di affermare il proprio potere

nella zona o l'iniziativa più o meno spontanea dei rustici bisognosi di disporre di un luogo

sicuro entro cui rifugiarsi, anche temporaneamente, nei momenti di maggior pericolo. Per i

termini “massae” e “curtes” si consulti l’allegato glossario.

Pieve S. Andrea: immagine del torrione circolare e dell’edificio adiacente con

vista di Fiagnano. Repertorio dei castelli…, Bologna 1970.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

21

Nell'area collinare (super stratam) che interessa la nostra pieve il fenomeno

dell'incastellamento tocca punte minime per quasi tutto il secolo XI, durante

il quale sono attestati solo tre castelli.

Una forte attività edificatoria si registra nel XII secolo (26 più i 3 già

presenti sul territorio), che prosegue nel successivo; dal XIV secolo, invece,

inizia un’inversione di tendenza che caratterizza anche il XV secolo.

Secondo il Berardi15

nei secoli IX-XV il territorio super stratam doveva

contare 77 castelli mentre, secondo la Collina, 13 di questi sono semplici

località.16

La particolare posizione collinare di confine tra Imola e Bologna

sembrerebbe connotare una naturale vocazione castellana della pieve di S.

Andrea. La simbiosi tra centro plebano e castello, sulla scorta della

documentazione esistente, consente di ipotizzare un “incastellamento”

successivo alla nascita della pieve. La presenza aggregante del borgo

pievano, che probabilmente precedette o comunque favorì un incremento

15

Berardi D., Rocche e castelli…, Bologna 1972. 16

Collina F., Per un censimento dei castelli medioevali dell’Emilia Romagna..., tesi di

laurea, Bologna 2001-2002.

Colle di Pieve S. Andrea in un’immagine databile circa al 1960. Repertorio di

castelli…, cit.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

22

dell’insediamento rurale preesistente, è confermata da vari ritrovamenti di

medaglie, sigilli, ecc. dei primi tre secoli dell’impero romano e di mattoni

manubriati,17

nonché dalla presenza di ben quattro fonti (la più antica delle

17

Il rinvenimento di mattoni manubriati (cioè con un incavo per facilitarne la presa)

avvenne sul crinale sovrastante la fonte delle Accarisie. Altri mattoni simili sono inseriti

nelle costruzioni presso Pedriaghe, mentre probabilmente di spoglio di epoca romana sono

alcune pietre inserite alla base della torre tonda a sud-ovest della Pieve di S. Andrea. Il

Calindri (cit.) narra dei rinvenimenti d’epoca romana e medievale:”in un rio detto della

Cà nova al Mezzodì del fin'ora descritto Castello, si trovano ad ogni tanto Medaglie di

Argento Consolari e Medaglie Imperiali del primo, secondo e terzo secolo; Sigilli anulari;

abbigliamenti antichi da Donna; palle e mezze palle di Bronzo, e di Ferro; pezzi di metallo

liquefatti, ed altre tali cose.”

Mattoni manubriati: altezza 37

cm, larghezza 15 cm, spessore

10 cm, rinvenuti alcuni decenni

or sono sul crinale che sovrasta

l’antica fonte detta Accarisie,

presso il pino che si erge isolato

sulla strada che porta da Pieve

S. Andrea a Croara.

Fontana detta delle

“Pedriaghe” nei pressi

dell’omonimo gruppo di case,

lungo la via Ponticelli Pieve.

Attualmente la sorgente è

interrata, ma accessibile, con

la vena d’acqua dispersa nel

campo; è collocata al

limitare di un terreno di

proprietà del sig. Carlo

Dalmonte.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

23

quali è detta “Cariso” o delle “Accarisie",18

rilevata tra l’altro nel Catasto

Guerrini19

degli anni 1739-1741), che sembra confermare la successiva

fortificazione di un borgo plebano già organizzato e popolato, certo per

18

Fonte o fontana: si tratta di un termine che in latino significa esattamente “sorgente”,

aggettivo che in italiano ha sostantivato il significato. La fonte chiamata Cariso,

ripristinata nel 2008, si trova sul sentiero detto comunemente Accarisio o Carisi. La

famiglia Accarisi (Cassianus, Guidus, ecc.) è citata nei manoscritti relativi alla vita

pubblica imolese. Accarisius Balduinus fu senatore nell’anno 1059 (Nanetti A., Imola

antica…, Imola 2008). Famoso fu Graziolo Accarisi di Tossignano lettore di diritto civile

nell’Università di Bologna nel 1400. Capostipite della famiglia fu Accarisio, che generò

Guido, console nel 1178... La genealogia è riportata da Bombardini S., Archivio

Criminale..., Imola 1984. Un’altra ipotesi sull’origine del nome della fonte Carisi si

ricollega al termine latino “carix-caricis”, che indica appunto una pianta palustre comune

presso le sorgenti. La fontana mantiene inalterato anche in estate il flusso d’acqua di circa

3000 litri al giorno e fino a pochi decenni or sono era utilizzata per le necessità quotidiane

dagli abitanti della pieve. Le altre due fonti attualmente esistenti sono situate

rispettivamente l’una presso l’ingresso della pieve, oggi nascosta in un boschetto, ma ben

visibile in una foto Tamburini di inizio ‘900, l’altra (seminterrata in un campo nei pressi di

via Ponticelli Pieve) è indicata come fonte di Pedriaga. 19

Negli anni 1739-1741 il perito Giuseppe Guerrini di Ravenna riunì in undici volumi le

195 mappe catastali nelle quali descrisse con molta precisione e con i relativi nomi i fiumi,

le strade, le case del territorio imolese. Sono nominati inoltre i proprietari con

l’indicazione dell’appezzamento corrispondente e della relativa superficie, misurata in

tornature, pertiche e piedi. Per la stima la terra è divisa in tre gruppi, ciascuno con il

proprio valore, di “buona, mezzana o triste” (Rotelli C., La distribuzione della proprietà

terriera…, Milano 1966).

L’antica fonte delle Accarisie come si presenta dopo il ripristino dell’anno 2008

ad opera di privati. Foto Biagi Loris.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

24

motivi anche di ordine strategico, difensivo e militare, oltre che funzionale

alla preminente difesa di un centro rurale.

In generale “la diffusione dei castelli in rapporto alla situazione topografica

e ambientale induce a ritenere che la bassa-media collina fosse preferita

dal punto di vista insediativo… Molto probabilmente il fattore che più

determinava tale tipo di scelta insediativa fu legato a motivi di sfruttamento

agricolo.”20

Un’altitudine inferiore ai cinquecento metri consentiva in queste zone la

coltivazione della vite e dell’ulivo, dimostrando la vocazione agricola del

borgo, generalmente superiore a quella prettamente militare. La prima

incerta attestazione di una “ecclesie S. Andree castri” appare in un

documento del 16 luglio 1184 relativo alle disposizioni testamentarie di

Hugonis dal Melo con una donazione di una tornatura di terra.21

Certa è

invece l’identificazione della nostra pieve nel “castrum Sancti Andreis”

occupato dai bolognesi nel 1365,22

che lo avevano sottratto di fatto al

controllo della Chiesa, ma che veniva nuovamente riconquistato il 23 agosto

20

Merlini F., Villaggi, pievi, castelli…, in Studi romagnoli, 33 (1982). 21

Gaddoni S., Zaccherini G., Chartularium..., cit., 1° vol. n. 341. 22

Il Calindri menziona il massaro di Pieve S. Andrea tra quelli del “Comune di Imola”

radunati nella chiesa di S. Maria di Casalfiumanese per “sottoporre i rispettivi Comuni ai

Bolognesi”. Calindri, Dizionario…, cit.

Catasto Guerrini, dicembre 1739, particolare. Nelle 11 carte del registro sono indicate 21

proprietà di Pieve S. Andrea. Da notare l’indicazione della presenza di un’antica fonte detta

“Cariso”, tuttora esistente. SASI, registro n. 20 foglio VI, anni 1739-1741. Su aut. del Min.

Beni e Attività Culturali. Archivio di Stato di Bologna, aut. 917 del 9.2.2010.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

25

1405 dal legato del papa Baldassare Cossa (antipapa Giovanni XXIII nel

1411), che lo tolse al conte Alberico da Barbiano.

Il castello, con altri possedimenti, fu assegnato con breve dell’11 ottobre

1412 per 10 anni a Ludovico Alidosi dall’antipapa Giovanni XXIII

attraverso il legato cardinale Lodovico del Fiesco.23

Il possesso dell’Alidosi

non fu sempre pacifico dovendo nel 1417 fare ricorso a Bologna per

scongiurare una possibile rivolta del castello di Pieve S. Andrea.24

23

Vedi anche “Sommario dei diritti competenti a Ludovico Alidosi…”, anno 1413? Bim,

Mss. imolesi n. 1016. 24 L’episodio è così descritto dallo storico Scipione Ammirato nelle sue Storie Fiorentine,

anno 1648 (ridotte all’originale e annotate da Luciano Scarabelli, Torino 1853): “nel

seguente gonfalonierato di Filippo Carducci l’Alidosi signore d’Imola dubitando di

qualche tratto che si maneggiava in Bologna per fargli ribellare Castel della Pieve a S.

Andrea, pregò la signoria a mandargli un suo cittadino, perché col suo consiglio e con la

sua ombra si preservasse da simili trattati, massime avendo i bolognesi negato a Paolo

Carnesecchi e a Neri Vettori mandati da Firenze a quelli anziani, che si fosse simil trattato,

ancora che il comune di Bologna prendesse le ragioni sul detto castello. Fu mandato

pertanto a Imola Giovanni della Stufa.”

Nel sommario dei

diritti competenti a

Ludovico Alidosi è

compresa la “Plebis

St. Andree”, anno

1413 (?), come

sappiamo assegnata

per dieci anni con

breve dell’11 ottobre

1412 dall’antipapa

Giovanni XXIII.

Bim, Mss. imolesi n.

1016.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

26

L’Alidosi mantenne il castello sino al 1424 quando, sia pure per un breve

periodo, Filippo Maria Visconti duca di Milano se ne impadronì insieme

alla valle del Santerno.

Ceduta dal Visconti alla Chiesa nel 1426, Imola ritornò ai Visconti nel 1434

per poi ricadere sotto il papa nel 1435 e di nuovo sotto il Visconti nel 1438,

finché la città fu da questi ceduta a Guidantonio Manfredi, signore di

Faenza, che la tenne fino al 1473. Nello stesso anno Galeazzo Maria Sforza

(successo al suocero Visconti), esautorato Taddeo (figlio di Guidantonio

Manfredi), diede la città di Imola in dote alla figlia naturale Caterina in

occasione del suo matrimonio con Girolamo Riario, nipote di papa Sisto IV.

La signoria dei Riario, che comprendeva Imola e Forlì, ebbe termine nel

1499 con l’occupazione della Romagna da parte di Cesare Borgia (figlio di

papa Alessandro VI Borgia), cui fece seguito nel 1501 la formale rinuncia

alla signoria da parte di Caterina Sforza, prigioniera a Roma da oltre un

anno. Durante la signoria di Cesare Borgia ricordiamo che furono ad Imola

Niccolò Machiavelli e Leonardo da Vinci. Con l’improvvisa morte di papa

Alessandro VI nel 1503 sarà il nuovo papa Giulio II a riconquistare

definitivamente la Romagna allo stato Pontificio fino all’occupazione

napoleonica del 1797. È di questi anni l’interessante figura di don Matteo fu

Giovanni Orsolini di Tossignano, nominato pievano di S. Andrea da papa

Eugenio IV con bolla del 13 aprile 1446. Studioso di diritto canonico,

attento nella gestione dei beni della chiesa, abile negli affari politici, venne

confinato a Tossignano dal duca di Milano Galeazzo Maria Sforza in

seguito a una fallita congiura.

Un tratto delle mura lato est con

in primo piano la torre quadrata

di nord-est prima degli ultimi

interventi di ristrutturazione del

borgo. La costruzione risale

probabilmente al XIV secolo, al

periodo cioè del possesso

bolognese. Valli di Zena, Idice e

Sillaro…, cit.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

27

Sempre arciprete della Pieve S.

Andrea, nel 1475 è di nuovo politicamente influente nella curia imolese e

latore di ambascerie presso papa Sisto V. Tuttavia con testamento del 7

febbraio 1492 rinuncia al beneficio della pieve. Come detto, la prima

fondazione del “castri” di S. Andrea viene fatta risalire probabilmente

all’anno 1184, anche se appare plausibile dalle superstiti vestigia e dalle

vicende storiche che l’impianto del castello oggi visibile sia ricollegabile

agli anni che lo videro passare nel possesso di Bologna per la cinta muraria

e di Ludovico Alidosi per il torrione rotondo.25

Interessante la descrizione

che ne fa il Calindri (Calindri S., Dizionario…, cit.), osservatore privilegiato

di una struttura che nel 1781 non aveva subito le distruzioni o le

manomissioni del XX secolo: “è quella Chiesa costruita dentro le mura di

un antico fortificato castello, che servì anche dopo introdotto l’uso delle

artiglierie da fuoco,26

con grosse mura fiancheggiate da torri quadrate, e da

25

L’antipapa Giovanni XXIII con breve dell’11 ottobre 1412 stabiliva, tra l’altro, l’obbligo

da parte dell’Alidosi del rafforzamento e manutenzione del castello di Pieve S. Andrea:

plausibile quindi la comune attribuzione all’Alidosi della costruzione del torrione rotondo. 26 Nel 1467 in Italia nella battaglia di Molinella il capitano Generale della Serenissima

Bartolomeo Colleoni impiegò per la prima volta contro Federico III di Montefeltro

bombarde e spingarde montate su carretti. In realtà fu Carlo VIII di Francia il primo a

impiegare in guerra su larga scala le artiglierie mobili e proprio nella sua discesa in Italia

nel 1494. Ricordiamo come nel corso della campagna di guerra contro le truppe imperiali

La foto ritrae il torrione di sud-ovest

così come appariva nelle campagne di

rilevamento della provincia di

Bologna tra il 1968 e il 1971.

Probabilmente di spoglio le pietre

alla base della torre. Di colore più

chiaro e ben visibile la tamponatura

di un antico ingresso alla torre.

All’interno una botola tuttora

esistente consente l’accesso ai livelli

inferiori. L’esperienza sul campo...,

Bologna 1981.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

28

un bastione rotondo tutto di pietra cotta, e fortificato con suo verrone, merli

e cannoniere, tuttora esistente, saldo ed intero, ma ridotto ad uso di casa

chiamata la Rocchetta.

Era d’ogni intorno cinto e munito questo castello da un’ampia fossa secca

con suo spalto. Una parte della stessa Chiesa, cioè a Ponente, è stata eretta

sopra un muraglione già merlato, e servito per la parte laterale di un

cassero, o fortezza, che ergevasi nell’interno del descritto castello sopra le

esterne circondanti mura; riconoscendosi chiaramente dalla porzione de’

piccoli archi l’uno all’altro contigui, che servivano al marciapiede e

verrone della medesima, e che sono tuttora rimasti a sostenere parte del

tetto di questa Chiesa di S. Andrea.” È stato fatto notare come, considerate

le dimensioni di circa 20 cm delle aperture nel bastione rotondo, più che

“cannoni qui si potevano usare soltanto colubrine, spingarde o

falconetti.”27

Restano ancora ampi tratti delle mura descritte oltre due secoli

or sono dal Calindri, benché a ridosso e sopra queste mura siano state

costruite case o praticate aperture. Un edificio quadrato è inserito di fianco

alla “Rocchetta” in aderenza al muro sud del castello. La torre così detta

trovò la morte nel 1526 il condottiero Giovanni dalle Bande Nere, figlio di Caterina Sforza,

a causa della mortale ferita di un colpo di falconetto. 27

Valli di Zena, Idice e Sillaro..., cit.

Torrione circolare di sud ovest in

una foto antecedente il 1970, con

ben visibile un lacerto delle vecchie

mura (lato ovest) aderente al

torrione. Repertorio di castelli…,

Bologna 1970.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

29

Alidosi nei secoli è stata utilizzata come abitazione, fienile, caposaldo

militare tedesco nel 1945 e infine, restaurata recentemente, di nuovo come

abitazione. La pianta del castello ha la forma di un esagono irregolare,

abbastanza simile a un rettangolo, con le mura ancora ben visibili nei suoi

lati est (verso Montecatone) e sud (verso Croara).

Gli angoli di nord-est e sud-est erano protetti da torri quadrate, con

quest’ultima di figura romboidale, a difesa dell’ingresso posto sul lato

meridionale. L’angolo di sud-ovest è appunto munito della citata Rocchetta

La torre quadrata di sud-est dell’antico borgo castellano prima dei recenti

restauri. Documentazione presso l’Archivio dell’Ufficio Tecnico del Comune di

Imola, 1989.

Pianta del castello di Pieve S.

Andrea secondo il rilievo del

Montevecchi. Si nota l’ingresso al

borgo nel lato sud affiancato da

una torre quadrata. A sud-ovest il

torrione rotondo mentre a nord-est

era collocata una terza torre

quadrata. Repertorio dei

castelli…, Bologna 1970.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

30

quasi circolare. Alta dieci metri, con un diametro di sei metri, questa torre è

per quasi la metà della sua altezza “occupata dall’alta scarpa; la fascia di

Una recente foto del lato est delle mura che comprendono, a sinistra, la torre quadrata di

sud-est, oggi utilizzata come abitazione.

muratura sopra il toro che spartisce l’una dall’altra è invece a piombo, ma

di altezza assai contratta, essendo coronata dai beccatelli (mancanti però

A est del borgo un tratto ben

conservato delle antiche

fortificazioni, prima delle moderne

manomissioni. In primo piano, oggi

non più visibile, una probabile

caditoia per acque meteoriche.

Uguale apertura è ancora presente

all’interno della casa addossata

alle mura nel lato sud. Valli di

Zena, Idice e Sillaro…, cit.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

31

verso l’interno del recinto), i quali sorreggono a loro volta una muratura

eccezionalmente alta, e quindi pure pesante, per essere interamente a

sbalzo. Gli archetti retti da detti beccatelli sono alternamente pieni, oppure

dotati d’una caditoia, così che poteva essere esercitata una difesa

piombante efficiente, ma ridotta al cinquanta per cento”,28

come per i

torrioni della rocca di Imola o del castello

di Dozza.

28

Perogalli C., Castelli e rocche di Emilia e Romagna, Milano 1972.

Il torrione di sud-ovest prima dei

restauri. Sul verone è ancora

percepibile nell’eterogeneo

paramento murario la tamponatura

della merlatura originaria all’altezza

della finestra. Valli di Zena, Idice e

Sillaro…, cit.

A sinistra il torrione

circolare della pieve,

particolare del verone dopo i

restauri del 2000, a confronto

(sopra) con una delle torri

della rocca di Imola con la

medesima tipologia di

caditoie alternate. Da notare,

sotto la feritoia orizzontale,

l’apertura circolare (oggi

chiusa) del diametro di circa

20 cm, adatta all’uso di

spingarde o falconetti.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

32

L’angolo di nord-ovest era privo di torre. L’ingresso al castello, un tempo

con ponte levatoio, venne parzialmente demolito dai tedeschi in ritirata al

momento dello sfondamento della linea Gotica nell’aprile del 1945.

Il voltone d’ingresso al borgo e alcune abitazioni durante i lavori di restauro.

Documentazione presso l’Archivio dell’Ufficio Tecnico del Comune di Imola,

1989.

Interno del verone della torre di sud-ovest dopo i lavori di restauro. Nell’immagine di sinistra

la botola per l’accesso al piano inferiore con un contrappeso; a destra Giuliano Marzocchi,

proprietario del torrione, con Liana Farolfi in una scherzosa ambientazione rinascimentale.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

33

La chiesa di S. Andrea apostolo. Le genti, i cimiteri,

gli “ospitali”.

“L'Aria è bonissima, ed i morti adulti un anno per 1'altro giungono appena al

mezzo per cento. La parte del Popolo soggetta nel temporale al Bolognese

appartiene alla Potestaria di Casale Fiuminese sotto il nome di Comune, o

Massaria di Bello. Il Massaro, allorchè è il tempo, si estrae a questa Pieve. Una

volta la nomina del Comune era a dirittura Pieve di S. Andrea, come lì vedrà più

avanti. (Calindri S. , Dizionario…, cit.).

La storia quotidiana della pieve e la sua descrizione, un tempo ben

documentata attraverso l’archivio della chiesa, è oggi affidata in gran parte a

Esterno della

chiesa di S.

Andrea con

l’abside orientata

a est. La prima

persona da destra

è il pievano

Crispino

Santarelli, già

ricordato come

l’autore degli

interessanti

inventari della

chiesa e dei suoi

beni. Al suo

fianco è

probabilmente un

personaggio

illustre, il

trentenne poeta e

letterato Luigi

Orsini. Foto

databile negli

anni 1903-1906.

Foto Tamburini.

Riproduzione da

Orsini L., Imola e

la Valle del

Santerno,

Bergamo 1907.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

34

quanto gli storici poterono consultare prima della quasi totale distruzione

dei registri parrocchiali nel 1945: in particolare agli studi fatti da Serafino

Gaddoni (1887-1927) sulle chiese della diocesi di Imola, pubblicati postumi

a cura di Bruno Monfardini dal secondo volume,29

o in epoche più remote al

Calindri (Calindri, Dizionario…, cit.). Il Gaddoni così descrive questo

piccolo archivio: “nell'archivio si conservano Libri dei battesimi e dei morti

dal 1564, dei matrimoni dal 1578; Libro di memorie dei secoli XVII-XIX;

Libro di memorie del pievano Francesco Santandrea, Libro di questua dal

1760, Libro ricordi dal 1824 al 1896, Inventari del 1637, 1703, 1737, 1742,

1828, 1833, 1850, 1854. Preziosissimo per il valore in sé e per i documenti

trascritti dal 1376 al 1610 è un piccolo codice membranaceo, assai

sciupato, di cc. (carte, ndr.) 14, di mm. 190 per 205. Nel 1834 si fece un

armadiolo a muro per l'archivio. È uno degli archivi migliori della diocesi

per notizie, ricordi e documenti!”

29

Gaddoni S., Le Chiese della diocesi d’Imola, 2° vol., Imola 2007.

Archivio diocesi di

Imola. Don Crispino

Santarelli, pievano di

Pieve S. Andrea dal

1854 al 1910. Prima

pagina del suo

inventario dei beni

stabili e mobili fatto

nell’anno 1875. Altri

due suoi inventari del

1869 e del 1902 sono

anch’essi conservati

nell’archivio della

diocesi.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

35

Una descrizione particolareggiata del contenuto dell’archivio è presente

anche nell’inventario del 20 febbraio 1869 compilato dal pievano don

Crispino Santarelli che enumera 22 tra libri, “vacchette”, “carte” e inventari.

Nelle colorite parole del Cronicon30

(un fascicolo dattiloscritto conservato

nella diocesi di Imola) di don Armando Bettuzzi, pievano dal 1945 al 1969,

è l’annotazione sull’archivio parrocchiale “completamente distrutto ad

eccezione di un libro dei battezzati 1908-1930 (rectius 1936, ndr.) perché

messo dai tedeschi come tappo sotto un palo del rifugio della canonica”.

Nell’archivio diocesano di Imola nei faldoni 1 e 2 concernenti la Pieve di S.

Andrea sono conservati, oltre il libro dei battezzati (e dei matrimoni) sopra

30

Armando Bettuzzi, “Cronicon Ecclesiae Plebanalis-Plebis S. Andreae Ap. ad anno 1945

usque ad annum 19..”, fascicolo dattiloscritto di 14 pagine conservato presso l’archivio

della diocesi di Imola.

Una prolifica coppia di abitanti della pieve nel 1929 circondata dai nove figli, l’ultimo nato

di nome Benito in braccio alla madre Maria Martelli. Il capo famiglia Antonio Cristiani posa

con la medaglia con la quale venivano insignite durante il fascismo le famiglie numerose.

Per gentile concessione della famiglia Cristiani.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

36

ricordato da don Bettuzzi, legati vari, un registro dei morti dal 1800 al 1852,

un registro dei battesimi dal 1848 al 1908, un fascicolo manoscritto di otto

pagine più copertina dell’anno 1851 con le “Costituzioni, e Statuti della

venerabile Confraternita canonicamente eretta nella Chiesa Plebale di S.

Andrea apostolo” a cura di Francesco Santandrea, pievano dal 1830 al 1854

(faldone n. 1).

Nel secondo faldone sono conservate carte varie (lettere per i problemi di

elettrificazione, per i numeri civici, bollette di utenze varie, ecc.) tra cui la

relazione della visita pastorale del 19 ottobre 1952 del vescovo Benigno

Carrara, con l’indicazione della popolazione di 408 persone (famiglie 62)

nella parrocchia di S. Andrea.

Nella visita pastorale viene constatato come l’archivio fosse “letteralmente

distrutto dagli eventi bellici ad eccezione: un libro dei battezzati dal 1908 al

1936 e un altro frammentario dal 1848 al 1908”.

In uno scatto del 1955 del fotografo Pasquali il faticoso approvvigionamento d’acqua degli

abitanti della pieve dalla fonte Accarisie, o forse dal vicino pozzo tuttora esistente nel bosco

a destra dell’ingresso al borgo. L’acquedotto venne completato solo nel dicembre del 1981.

Foto Pasquali Enrico. Cineteca del comune di Bologna. Famiglia Pasquali.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

37

Di grande interesse inoltre sono i tre inventari “dei beni stabili e mobili” ai

quali si è fatto riferimento in precedenza e conservati nell’archivio

diocesano di Imola, ciascuno di circa 50 pagine manoscritte, redatti da don

Crispino Santarelli (che curiosamente appare nelle foto del Tamburini fatte

nella Pieve a inizio ‘900) negli anni 1869, 1875 e 1902. Alcuni autori

ricordano, senza tuttavia riportare le fonti, lavori di restauro avvenuti

intorno al 1870, interventi non citati in nessuno dei tre inventari del

Santarelli. Dal Cronicon di don Bettuzzi sappiamo che nel 1935 il pievano

don Galanti, nel “25° di messa rinnovò il pavimento e la decorazione a tutta

la chiesa”.

Per la descrizione della chiesa, come doveva apparire nei primi anni del

‘900, utilizzeremo le parole di padre Gaddoni, che ricollegheremo anche alla

descrizione particolareggiata che fa della chiesa e dei suoi arredi il pievano

Santarelli: “la chiesa, costruita sulla fine del Quattrocento o inizio del

Cinquecento, ha facciata a ponente, e guarda su un precipizio. Le

fondamenta sono di materiale romanico: grossi pietroni e tavelle; l'interno,

La famiglia Cesarini della

località Le Vallette nella Pieve

di S. Andrea in una foto

“ufficiale” con gli abiti della

festa, anno 1939. A sinistra la

signora Elvira Cristiani, a

destra il signor Giovanni

Cesarini, al centro la piccola

Elide, futura “stellina” della

pieve negli anni 1950. Per

gentile concessione della

famiglia Cesarini.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

38

assai ampio, misura passi 50 per 16 ed è alto passi 20, ha soffitto a travi

con 13 catene, in mezzo alla chiesa una lista di pietra indica la divisione dei

due comuni.31

L'ingresso principale della chiesa sta sotto il comune di

Casalfiumanese per circa 8 metri, quello laterale a sinistra mette davanti

alla canonica.

L'abside è di costruzione anteriore al corpo della chiesa, e la parte in cornu

31 Le misure indicate dal Gaddoni coincidono parzialmente, seppure con lievi differenze,

con gli inventari Santarelli che parla rispettivamente di 50 piedi per 16,5 e altezza di 18

piedi. Le misure riportate negli inventari hanno bisogno di alcune tavole di ragguaglio,

anche con riferimento alle peculiari caratteristiche di singole realtà locali. Seguendo

quanto riporta il Raccagni (Raccagni D., Tavola di ragguaglio…, Imola 1898) si avrà:

piede 0,4396608 m (la pertica è composta da 10 piedi), braccio 0,639350 m; misure di

superficie, tornatura di 100 tavole o pertiche quadrate di ari 19,330161 (tavola o pertica

quadrata 0,193302 m). Secondo quanto riporta il Bosi (Bosi G., Ragguaglio fra le

misure…, Bologna 1829) si ha per la legazione di Bologna: piede 38,009829 cm, braccio

64,00387 cm; per la legazione di Ravenna-distretto di Imola: piede (diviso in 10 oncie)

43,966079 cm, braccio 63,93500 cm.

Pieve S. Andrea: in primo piano la torre e sullo sfondo la chiesa con l’ingresso originale

orientato ad ovest. Foto databile negli anni 1903-1906. Foto Tamburini. Riproduzione da

Orsini L., Imola e la Valle del Santerno, Bergamo 1907.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

39

Epistolae32

è più ampia per cui l'altare maggiore non è posto al centro. Ha

quattro altari: il maggiore con quadro di S. Andrea che abbraccia la croce

e indica la chiesa, fatto dipingere da don Pietro Filippo Ferruzzi al sig.

Dardani, Principe dell'Accademia di Pittori di Bologna, ha questa

iscrizione: Petrus Philippus Ferruzzi plebanus ex devotione 1732.

Prima vi era un antico affresco del protettore con altri santi. Il ciborio

antico in legno in parte dipinto e in parte dorato ha nella parete posteriore

questa iscrizione: Joannes Baptista Bicchius Imolensis plebanus fieri fecit

a. 1595 di 29 novembris. In cornu Evangelii sta l'altare della Beata Vergine

32 “Cornu Epistolae”: lato di destra guardando l’altare (al lato dell’Epistola, perché è lì

che il ministro ordinato legge o canta l’Epistola del giorno); “cornu Evangelii”: lato di

sinistra guardando l’altare, ove si leggono le pericopi evangeliche del giorno (versi tratti

dai testi evangelici) e, quasi a ogni messa, l’intero prologo del Vangelo secondo S.

Giovanni. Le due estremità dell’altare si chiamano, dal latino, “cornua”, cioè spigolo.

Mappa dell’anno 1750 circa che “Giovanni Prete Farina di Lugo delineò”, incisione

del faentino Pietro Savorelli, pittore che operò in Roma e ricordato quale vincitore del

premio di pittura dell’Accademia di S. Luca di Roma nel 1785. Rappresentazione della

diocesi di Imola, particolare. Al centro della carta è indicata Pieve di S. Andrea. Museo

parrocchiale di Dozza, per gentile concessione di don Francesco Corradossi.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

40

del Rosario e a destra quelli di S. Antonio da Padova e di S. Carlo

Borromeo con l'immagine del santo ornato di noce alla cappuccina. La pila

dell'acqua santa è formata da un capitello di marmo bianco di stile

corinzio, trasportata vicino alla porta laterale nel 1833 da don Francesco

Santandrea, dal posto precedente giudicato ingombrante e insicuro. La Via

Crucis è stata eretta nel 1747 da Fra Antonio da Faenza. Il fonte

battesimale, consistente in un vaso di marmo bianco racchiuso da cancelli,

è a destra entrando dalla porta maggiore. L'organo è del Seicento. La

canonica è assai modesta; vi è stata collocata la parte della lapide situata

prima nel selciato del cortile con fregi quattrocenteschi e frammenti di una

iscrizione. Il campanile è a vela per due campane… I beni immobili della

Pieve comprendevano questi fondi: Bagura, Pazzolo, Fiamignano, 3

tornature alla Cellina, Campo del Ceresolo, Torrisella, Solame e le Vigne

del Piano. Il reddito annuale nel 1574 è di scudi 80, nel 1657 sale a scudi

230. Si registrano i nomi dei fondi e delle case antiche: Ravignano,

Pedriaga, Bignanone, Bignarello, Albignano, Raggio, Fiamignano (ora

Vallette), Rifiano, Morazze, Merendola, Pietra Santa, Cabianca, Poggiolo,

Tombino; il casamento attorno alla chiesa si chiama Castelletto e dà

alloggio a 13 famiglie. La chiesa e il campanile sono stati danneggiati

frequentemente da fulmini: il 13 ottobre 1767 alle ore 22, il 24 luglio 1770

all'una di notte, e il 24 giugno del 1774. Nel 1854 il 16 giugno e il 5 luglio

ci furono violenti scosse di terremoto accompagnate da fortissimi venti

caldi.” L’inventario redatto nel 1869 dal pievano Santarelli, quindi alcuni

decenni prima della descrizione che fa della chiesa e dei suoi arredi il

Gaddoni, non ha rilevanti diversità. Il coperto della chiesa è descritto essere

in buono stato, mentre il pavimento è in cattive condizioni e richiede

importanti riparazioni; quattro gli altari “internati nelle cappelle” con

l’altare maggiore dove si conserva “il SS.mo Sacramento. Sotto la cappella

del coro pende un quadro grande rappresentante S. Andrea Appostolo

titolare della Chiesa… Il suddetto quadro fu fatto in Bologna da un certo

Dardani…”.

Presso il presbiterio è l’altare (dipinto da un “ornato discretamente bello” da

“un certo Zuffi33

Imolese”) della Beata Vergine del Rosario con una statua

della “SS Vergine del Rosario avente in braccio il Bambino Gesù… formata

di stucco… vestita di un abito di stoffa fiorata…” ed ornata con collane di

pietre dure o coralli, croci e monili di argento ed oro.

33

Si tratta probabilmente dei fratelli Zuffi, ricordati da Giovanni Villa nel suo libro sulle

pitture della città di Imola, quali autori di un “fregio” nella chiesa di San Giovanni

Battista. Villa G. N., Pitture della Città d’Imola, ossia…, Imola 1794.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

41

Di fronte è l’altare di S. Antonio da Padova che, oltre a un quadro del santo,

ha sull’altare un crocefisso “verniciato e velato”.

Piante del borgo riferite al 1865 e al 1975 con evidenziate in giallo le principali modifiche

agli edifici, in particolare si nota la rotazione di 180 gradi dell’ingresso/abside della

chiesa a seguito della ricostruzione del 1946. Valli di Zena, Idice e Sillaro…, cit.

L’ultimo altare è dedicato a S. Carlo, “formato di pietra”, con un “quadro

assai vecchio rappresentante il detto Santo dipinto in tela”. Distribuite nella

chiesa le quattordici stazioni della Via Crucis in cartapesta; presso la porta

laterale è murata la pila di marmo per l’acqua santa che “esteriormente ha la

forma di un capitello d’una colonna”; due sono i confessionali simili in

legno di abete forniti di portiera di mussola. L’organo di cui si sono perse le

tracce, citato anche dal Gaddoni e probabilmente andato distrutto alla fine

della guerra nella rovina dell’abside, era dentro il presbiterio “a cornu

Epistole infisso nel muro… di cinque registri del Bersani”. L’inventario del

Santarelli prosegue con la minuta descrizione delle reliquie, dei benefici, dei

paramenti sacri (oggi conservati nel museo diocesano di Imola: stole,

piviali, pianete, abiti talari, cappe, ecc.) e di arredi sacri come incensieri,

candelieri, campanelli, messali, lanternini, lampade, ecc.. Segue una

descrizione della canonica e dei suoi arredi e infine l’enumerazione degli

stabili e dei poderi appartenenti alla pieve: Poggiolo, Casino, Merendola,

oltre altri terreni sparsi nelle parrocchie di Monte Catone e Mezzocolle. Per

circa due secoli dalla metà del ‘500 Pieve S. Andrea fu unita alle “ville” di

Linaro, Mezzocolle, Monte Catone, Pediano, Monte Meldola per l’elezione

di un unico massaro, autonomo in materia annonaria rispetto ad Imola.

Questa autonomia si riflette anche nei catasti del secolo XVI che non

menzionavano i territori della valle del Santerno. Pieve S. Andrea, Monte

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

42

Catone, Pediano, Monte Meldola riceveranno infatti i primi periti

agrimensori solo nel 1739 (catasto Guerrini).34

A detta del Calindri presso la pieve esisteva la Confraternita degli Umiliati,

soppressa nel 1571, menzionata anche dal pievano Santarelli nell’inventario

del 1869.

Tuttavia una ricerca di Andrea Padovani ricorda che le memorie relative a

Pieve S. Andrea, fino al 1469 almeno, smentiscono tale conclusione, “né si

rinviene traccia di un siffatto insediamento nelle accurate descrizioni del

luogo contenute nelle visite episcopali”.35

34

La comunità di Imola nel 1703 con una lettera al Legato Pontificio di Bologna denuncia

la mancanza di un catasto e quindi l’impossibilità di regolare l’imposta e la colletta a

Pieve S. Andrea e a Monte Catone. Rotelli C., La distribuzione della proprietà…, cit. 35 Padovani A., Repertorio dei monasteri Benedettini ed Umiliati…, Imola 2000.

Dall’antica via che porta verso Croara una superba vista della pieve in una foto

attuale che riprende un’analoga inquadratura del Tamburini di inizio Novecento.

Foto Farolfi Liana.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

43

Non manca la conoscenza, pur nella scarsità delle fonti, degli aspetti più

rilevanti della vita di tutti i giorni del borgo e del territorio della pieve, vita a

volte legata a liti o fatti delittuosi, come in particolare avvenne in tutto

l’anno 1434, durante il quale si compirono numerose uccisioni e aggressioni

tra varie fazioni rivali, tanto che gli stessi contendenti decisero di porvi fine.

Così Croara e Pieve S. Andrea elessero dodici dei loro rappresentanti per

trattare la pace: “Lodovico fu ser Domenico, massaro di Croara convocò 55

capi famiglia a suon di campana col banditore Binello nella casa del

Comune situata sopra la porta superiore del Castello. Erano coinvolti

Pinamonte fu ser Giovanni dei Morandi, Tonio di Badino e Renzolo di

Staffino dei Bartoli fuorusciti da Tossignano, Giacomo fu ser Ricciardo,

Lamberto fu ser Antonio del Ronco, Nicola di ser Giovanni a nome di 25

uomini di Sassatello, 14 di Gesso, 11 di Abello, 3 di Macerata, 5 di

Fontana, 4 di Cassano, altri di Campeggio, di Monte Calderaro, di

Monterenzio e di Caburaccia con i loro avversari di Pieve Sant'Andrea

rappresentati da ser Ugolino di ser Giacomo da Croara, abitante a

Pieve S. Andrea. Spaccio, trattoria e negozio, anni 1903-1906. Chiusa nel 1965, ancora

per venti anni aprirà un’altra trattoria in una vicina casa. L’osteria ebbe come assiduo

avventore dal dopoguerra il pievano don Bettuzzi, famoso anche per saper portare dai

tavoli della briscola ai banchi della chiesa i compagni di gioco con un semplice “alè,

ades’ andè mò tot’ a messa!”. Nelle case dei parrocchiani ancora si ricorda la simpatica

espressione “ades’ te pret’ sta’ mò alè”mentre appendeva la veste talare prima della

consueta partita a carte. Foto Tamburini. Coll. priv. Flutti Maurizio, Imola.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

44

Fiagnano, con altri undici, l'arciprete di Pieve Sant'Andrea don Pietro fu

ser Francesco da Codronco e i suoi fratelli Ugolino e Tonio, Totto di

Domenico e Riguglio di Lippo dei Cattanei di Mezzocolle e altri di

Fiagnano, di Mezzocolle e di Gallisterna. Si strinsero la mano, si

baciarono, perdonandosi le offese reciproche e in particolare l'uccisione di

Guglielmo della Pieve, assassinato da Tonio di Chele da Macerata, a sua

volta ucciso da Gorriero figlio di Guglielmo. E per togliere i motivi di

discordia sulla divisione delle terre di confine e delle selve di Croara si

affidarono al lodo del dottore in legge Giacomo da Norcia, Uditore di

monsignor Francesco Vescovo d'Orvieto, Luogotenente d'Imola e Forlì per

la Chiesa….”36

Ritroviamo in questi anni anche don Matteo Orsolini di Tossignano, rettore

di Pieve S. Andrea, del quale avevamo parlato nelle pagine precedenti, con

una sua accusa verso “il massaro di Codronco Francesco di Vincenzo e

quello della Bastia Pietro della Collina per il danno che i loro uomini

hanno arrecato al suo mulino che non ha più acqua per macinare...” (cfr.

nota precedente).

36

Bombardini S., Tossignano e Val di Santerno..., Imola 2003.

Editto del cardinale Barnaba

Chiaramonti (“D. Gregorio”),

vescovo di Imola dall’anno

1785 e futuro papa Pio VII dal

1800, inerente gli obblighi e le

regole per il pagamento del

tributo della decima, con

sanzioni penali e religiose

sino alla scomunica. Sulla

porta della Pieve S. Andrea ne

venne certo affissa una copia

come disposto dal vescovo.

Editto emesso tra il 1785 e il

1799. Coll. priv. dell’autore.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

45

Ma anche nei secoli successivi momenti di lite e rissosità degli abitanti della

pieve sembrano non venir meno, anche se in modo meno violento, tanto che

numerosi sono i processi rinvenibili nella Sezione di Archivio di Stato di

Imola, come quello del 1709 che vide accusati i fratelli Gamberoni Ottavio e

Antonio Mario per avere tagliato legna dal bosco situato in un podere di

ragione dell’Ospitaletto posto nel comune di S. Andrea, pretendendo di

appropriarsene nonostante fosse da tempo scaduto il periodo di affitto.

Neanche i sacerdoti erano dediti solo all’ascesi e alla preghiera, tanto che

nel 1748 don Giacomo Nanni, sacerdote alla Pidriaga, e il fratello Giovanni

Rappresentazione della pieve presso l’ingresso del borgo: a destra alcuni abitanti e, a

sinistra in abito talare, don Crispino Santarelli, pievano dal 1854 al 1910, secondo la

cronologia indicata da padre Gaddoni. Foto databile negli anni 1903-1906. Foto

Tamburini. Riproduzione da Orsini L., Imola e la Valle del Santerno, Bergamo 1907.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

46

Antonio subirono un processo per rissa con Tommaso Nanni per motivi di

interesse, mentre nel 1756 don Antonio Maria Ossani, parroco della Pieve S.

Andrea, è accusato per avere cacciato fuori dalla chiesa Giovanni Gordini,

interrompendo la celebrazione della Messa. Ritroviamo di nuovo nel 1753

don Giacomo Nanni che, con i fratelli Matteo e Giovanni Antonio, è

accusato di aver aggredito Tommaso Nanni a seguito “del pascolo del

bestiame nei suoi campi seminati, oltre che per ingiurie a causa di vecchi

rancori sulla tenuta dei conti per la massaria della Pieve di Sant’Andrea.”37

Di due altri episodi delittuosi più recenti ci informa il Gaddoni, il primo con

vittima il pievano di S. Andrea, il secondo con protagonista la famiglia

Nanni, nome ricorrente nella parrocchia. “Il 27 luglio 1849 alle 6 e mezzo

del pomeriggio quattro ladri entrano in canonica ed aggrediscono e

derubano il pievano. Aveva ospite P. Arcangelo da Faenza, Minore

Riformato. Per lo spavento il pievano si ritira per un certo tempo in città

con le nipoti ed affida la cura della parrocchia al P. Ascanio, Minore

Riformato. Il 15 febbraio del 1851 nove capi assassini aggrediscono la

famiglia Nanni di Petringa. Estrassero ad una giovane d'anni venti le anella

dalle orecchie e le fecero altre ingiurie, non che alla di lei madre. Poi

andarono al Bignano grande e fecero man bassa di tutto, ruinando e

rompendo, ecc. Appartenevano alla banda di Stefano Pelloni, detto il

Passatore, ucciso pochi giorni dopo detta aggressione.” Un abitante della

pieve molto noto a fine Ottocento e nei primi decenni del Novecento, questa

volta non per avvenimenti delittuosi, fu Alessandro Renzi, il simpatico

“Sandolone” che rallegrava feste religiose o sagre paesane con il suo

organetto, in giro per i vicini borghi e paesi, da Montecatone a Ponticelli, da

Linaro a Pediano, a volte sino a Riolo o Casola Valsenio.38

37

Sezione Archivio di Stato di Imola, Curia vescovile Imola. Processi anni 1706-1791. 38

Memorabile un episodio che lo vide protagonista di un battibecco con il pievano Angelo

Sabattani nel febbraio del 1914. Ricorda il fatto Venerio Montevecchi: “Sandolone, di

ritorno da una serata familiare alle ‘Murazze’ in una casa colonica dei dintorni, per

dimenticare il freddo e la stanchezza intonò una vecchia canzone popolare a cui le figlie,

che lo accompagnavano, fecero coro. La mattina dopo, in chiesa, durante la predica, il

parroco disse:’questa notte ho sentito delle civette cantare e ho visto che erano mie

parrocchiane’. I presenti capirono l’allusione e sbottarono in una risata generale.

‘Sandolone’ allora si sentì in diritto di chiedere spiegazione e abbordò il prete all’uscita

della chiesa. Questi gli fece una gran morale, con tanti paroloni che egli non riusciva a

comprendere. Ascoltatolo pazientemente per un poco, ‘Sandolone’ troncò la chiacchierata

dicendo:’quèl ch’l’à détt an l’ò capì, ma se al mi fiòli a gliè dal zvétti, lò l’è un

barbazégn’.” (Quello che lei ha detto non l’ho capito, ma se le mie figlie sono delle civette

lei è un barbagianni)… Ricorda ancora il Montevecchi di un avvenimento occorso nel 1922

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

47

I cimiteri.

Come abbiamo visto e ricordato dagli inventari e dalle visite pastorali, nella

chiesa erano presenti molte tombe: Marchesini nella visita pastorale del

1574 constata “multe tumbe pro sepelim mortuis”, così anche il Gaddoni a

inizio Novecento, che tuttavia ricorda come nel 1817 in occasione del tifo si

fosse proibito di seppellire in chiesa, mentre nelle vicinanze della pieve vi

era la “Chiesuola di Allignano, …con un appezzamento di terra

appartenente al fondo Ferendola, situato parte nel comune di Mezzocolle e

parte in quello di Pieve,” che “è detto Chiesuola; vi si vedono ancora ruderi

di una chiesa e si trovano scheletri, ad indicare l’antico cimitero” (Gaddoni

S., Le Chiese…, cit.). Il cimitero principale ricordato maggiormente negli

inventari fino al secolo scorso si trovava “a circa 380 passi dalla chiesa,

due tiri di sasso", lungo la strada che portava verso Croara, oggi in un

terreno adiacente la casa di via Pieve di S. Andrea n. 3. Ancora in epoca

recente sono stati rinvenuti resti delle antiche sepolture. Mentre un “oratorio

intitolato alla Natività della B. Vergine è ricordato nell’Inventario del 1637

in cui si legge: ‘c’è anche la cellettina della Ravaglia, posta nel cimitero

altre volte benedetto per seppellire gli infetti, lontano dalla pieve due tratti

di balestra’”, presumibilmente sempre sulla strada che conduce a Croara.

Nel cimitero, di cui si è persa ogni traccia, la cellettina era “intitolata alla

Concezione della B. Vergine e vi si celebra una volta alla settimana. Anche

nella pieve durante una festa da ballo ove “Sandolone” mise rudemente alla porta tre

fascisti prepotenti armati di rivoltella e bastoni. Montevecchi V., L’organetto di

“Sandolone”…, in “Sabato Sera” del 3 maggio 2003.

Lapide, ricomposta,

con i nomi dei

dodici abitanti della

pieve morti sul

fronte nella Prima

Guerra Mondiale.

Sotto la scritta

“lasciate vivere

come noi morimmo”

sono ricordati

Francesco Sabattani

(fratello minore del

pievano Angelo),

Adelmo Dal Monte,

Giovanni e Tullo

Sabbioni, Giovanni

Marzocchi e altri.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

48

nel 1657 conserva questo titolo, ma è già passata alla famiglia Spanochiis.

Sull’altare è posta l’immagine della B. Vergine. Nel 1700 la famiglia

Spannocchia vi faceva celebrare quattro messe all’anno. Nel 1713 viene

sospeso sinchè non sia restaurato e provvisto del necessario.

Il vescovo Marelli lo trova ancora sospeso ed ordina di riattarlo. Il

proprietario è Francesco Spanocchi che è tenuto a soddisfare il legato fatto

dalla famiglia Ravaglia. Il cardinal Giancarlo Bandi confermò la

sospensione; il parroco don Antonio Rossi ricorda che è crollata nel 1764”,

ed evidentemente in questa epoca si deve collocare l’abbandono del

“cimitero degli infetti”, certo purtroppo molto utilizzato per la famosa peste

del 1630, ricordata anche dal Manzoni ne’ “I Promessi Sposi”: nell’anno

“1632 cessato, che fù il contaggio” nel vicariato di Dozza erano rimasti

come abitanti a “S. Andrea, villa, 1 prete, 64 uomini, 75 donne, 30 putti, 31

putte, sommano 201”.39

Gli “ospitali”.

Gli “ospitali” (dal latino medioevale hospitalia, nel significato di ricovero

per poveri viandanti e pellegrini) che sorsero nelle strade interappenniniche

bolognesi sono, in generale, modestissime strutture rette da un “ospitalario”

che doveva tenerle aperte, provvedere alle riparazioni e all’arredamento. In

genere questi hospitali avevano una o due stanzucce, qualche letto o lettiere

(sacconi o semplicemente paglia), legna per il fuoco, ecc.

39 Gamberini N., Croniche d’Imola…, Bim Mss imolesi.

Il “soldato bersagliere” Giovanni Marzocchi

morto in Austria l’8 febbraio 1918. La lapide

posta sul lato destro della chiesa, riprodotta

nella pagina precedente, lo ricorda tra gli

abitanti della pieve caduti nella Prima Guerra

Mondiale. Alcune note biografiche e un suo

ritratto a figura intera sono riportati nel

volume Caduti imolesi della Grande Guerra, a

cura di Andrea Ferri, Imola 2011.

Per gentile concessione della famiglia

Marchesi.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

49

Dal Quattrocento in avanti con i mutamenti politico-sociali le strade erano

percorse più da mercanti che da pellegrini, sicché gli hospitalia diventarono

hospicia, cioè osterie o locande a pagamento, causando la trasformazione di

molti hospitali; questo malgrado le Provisiones del cardinale Gabriele

Paleotti (arcivescovo di Bologna dal 1566) emanate nel sinodo diocesano

del 1593 a Bologna e l’editto di Fabro de Fabri giudice ed esecutore del

1595. Questa trasformazione venne accelerata “dagli stessi hospitalieri, laici

ed ecclesiastici, che li depredavano del loro piccolo patrimonio costituito

per lo più da varie pezze di terra il cui reddito sosteneva l’opistalario”.40

Tre gli ospedali nel territorio della pieve: l’ospedale di “Sant’Antonio-

Sant’Andrea”, l’ospedale di “San Giovanni Battista e Sant’Antonio”,

l’ospedale di San Giacomo. Nel ‘500 nell’antico territorio Corneliense,

riferisce il Cortini,41

esistevano a monte della via Emilia circa 30 ospedali

40

Guidotti P., Strade transappenniniche bolognesi…, Bologna 1991. 41

Cortini G. F., Storia della città d’Imola e della valle di Santerno, 3 vol. dattiloscritti, s.a.

Strade percorribili oggi nel territorio della pieve, disegno di Matteo Montevecchi.

Particolare. Zambrini A., Montevecchi V., L’ambiente naturale della val Sellustra…,

Imola 2003.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

50

(indicati negli atti dei notai di Casola Valsenio, Castel del Rio, Fontanelice,

Tossignano), tra i quali quello di S. Andrea nella pieve omonima. Galassi42

nella sua opera sugli ospedali imolesi parla di numerosi piccoli ospedali,

sparsi per la maggior parte nei castelli e nella diocesi (pochi nelle ville), per

il solo ricovero dei pellegrini e dei viandanti, provvisti di uno o due letti e

gestiti per lo più da sacerdoti delle parrocchie con le rendite di piccoli

terreni. La visita pastorale del vescovo di Imola Rodolfo Paleotti del 1612 a

ventuno ospedali della diocesi, tra i quali risulta destinato agli ammalati solo

Tossignano, descrive l’ospedale San Giovanni di collazione vescovile e

assegnato al pievano con una rendita di sei ducati ricavata da quattordici

tornature di terra.

Il Gaddoni ne parla come citato in vari documenti dapprima con il nome di

“Sant’Andrea e Antonio”, “poi più frequentemente viene indicato il nome di

ospedale di San Giovanni e altre volte di S. Giovanni e S. Antonio. Non

risulta l’obbligo di accogliere i bastardini. Dalla bolla di Gregorio XIII si

dice che è di giuspatronato dei laici ed ha un reddito annuale di 25 ducati

d’oro.” All’ingresso del castello a destra si trovava l’ospedale di S.

42

Galassi N., Dieci secoli di storia ospitaliera a Imola, 1° vol., Imola 1989.

Interno della chiesa con l’autore di questo libro durante una visita tra le antiche

mura alla ricerca di moderni riscontri.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

51

Giacomo che, come ci ricorda il Galassi, venne istituito fra il 1130 e il 1151,

perché non si trova menzionato tra i beni della giurisdizione episcopale di

Onorio II, mentre “appare chiaramente indicato come hospitale in tre bolle

pontificie: quella di Eugenio III del 1151 (Chart., n. 727), quella di

Alessandro III del 1179 (Chart., n. 728) e quella di Innocenzo II (rectius

Innocenzo III, ndr.) nel febbraio 1215, emessa in Laterano a conferma dei

beni della diocesi Imolese.” Ricorda sempre il Galassi un atto del vescovo

Mainardino Aldighieri del 1218 che colloca l’ospedale di S. Giacomo nella

distrutta località di Alboro, vicino alla pieve da cui dipendeva. La citata

visita pastorale del vescovo Rodolfo Paleotti nel 1612 ne ricorda l’esistenza.

Dell’ospedale di “Sant’Antonio-Sant’Andrea” (cfr. Cortini G. F., Bim, Mss.

imolesi n. 793, che lo elenca tra i 27 “Ospedali antichi nella Montagna

Imolese”) ne parla il Gaddoni riferendo di una visita nel 1571 del vicario

episcopale che trova l’ospedale di Sant’Antonio retto da Nicola Andreino da

Imola con un letto ed una mensa per i poveri ed esorta a continuare questa

forma di carità. “Tre anni dopo il visitatore si reca ad una casa chiamata

ospedale S. Andrea (d’ora in poi porterà sempre questo titolo), dove è

ospitaliera certa Caterina del Ciuffa, ma non si tiene ospitalità. I

Confratelli della Società del Corpo di Cristo fanno istanza per averne il

governo, perciò vengono date precise disposizioni per il buongoverno.

Anche nell’anno successivo non si fa ospitalità. Nel 1654 la piccola casa in

cui è eretto l’ospedale serve per ricevere gli esposti. Il cardinale Dal

Verme, vedendo questo ospedale rovinato, ne ordina la ricostruzione

impiegandovi i frutti dei possedimenti terrieri. Anche nel 1713 viene

rinnovato questo ordine, ma si suppone senza alcun risultato.” (Gaddoni).

Il torrione

rotondo come

appare oggi nel

tramonto di

una giornata

autunnale.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

52

Il borgo in epoca contemporanea.

“Qui dove è quasi distrutta la storia resta la poesia.” (Pascoli G., Pensieri e

discorsi, Bologna 1914).

Il “castrum Sancti Andreis” riprende la sua funzione difensiva

inaspettatamente nella seconda guerra mondiale come parte delle

fortificazioni germaniche della linea Gotica. Le truppe tedesche erano

acquartierate nel borgo e lo stesso torrione rotondo era parte della struttura

difensiva. La gente del luogo era sottoposta alle vessazioni delle truppe

nemiche, aiutata per quanto possibile dal pievano don Galanti. Affiorano dai

ricordi degli anziani episodi grandi e piccoli: prosciutti salvati dai

provvidenziali “allarmi” del pievano per l’arrivo dei tedeschi, preziosi

corredi familiari sottratti per la pulizia delle armi, partigiani aiutati a

nascondersi dagli abitanti della pieve. Il 12 aprile 1945 il Gruppo di

combattimento Folgore, formazione interamente italiana costituita il 24

settembre 1944 (formata dal reggimento Nembo di paracadutisti e dal

reggimento S. Marco di marinai, composto da tre battaglioni, Grado, Bafile

e Caorle), inizia l’attacco alle postazioni germaniche occupando senza colpo

Dettaglio delle operazioni militari del 14 e 15 aprile 1945 per la liberazione di

Pieve S. Andrea, con evidenziate le direttrici di attacco del battaglione Grado e del

successivo intervento della I compagnia Nembo. Da Ministero della Difesa. Stato

Maggiore dell’esercito. Ufficio Storico. I gruppi di combattimento…, Roma 1973.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

53

ferire Casalfiumanese. Nelle parole di don Pio Cavina la tensione di quei

giorni: “Croara è liberata alle ore quattordici dal Grado, mentre per Pieve

S. Andrea le cose si complicano, perché nella zona di Ronco, al bivio con la

strada di Pieve S. Andrea, il Grado trova una consistente difesa tedesca,

tale da chiedere aiuto al I battaglione (compagnia, ndr) Nembo che, liberato

Ponticelli, è costretto a deviare verso Ca’ del Vento nell’intento di prendere

alle spalle il nemico; soltanto alle ore 6,30 del 15 aprile la reazione tedesca

finalmente crolla, lasciando sul terreno imprecisate perdite (le nostre

furono di quattro morti e di cinque feriti) e il Grado può proseguire…”.43

In effetti dopo due giorni di lotta non si era riusciti a piegare la resistenza

dei tedeschi asserragliati nella Pieve S. Andrea, che all’attacco del giorno 14

aprile del 194544

avevano reagito con un violento fuoco di artiglierie, mortai

e armi automatiche, costringendo al ripiegamento il Grado e il Nembo. Un

pezzo di artiglieria germanico di grosso calibro era infatti collocato poco

prima dell’ingresso del borgo e dall’osservatorio posto nel torrione tondo le

truppe tedesche, costituite dalla 278° Divisione fanteria e dai veterani di 43

Cavina P., Dalla storia alla cronaca. Casalfiumanese..., Castelbolognese 1997. 44

Con fonogramma n. 721 Op. delle ore 24.00 del 13 aprile il generale Giorgio Morigi,

comandante il Gruppo Folgore, confermava le comunicazioni verbali ai “comandanti

reggimento ‘Nembo’ et ‘S. Marco’ ore 23.00. Domani battaglione ‘Grado’ et compagnia I

‘Nembo’ puntino su Pieve S. Andrea iniziando movimenti rispettivamente ore sette et ore

sei da attuali posizioni.”

Il generale inglese Harold Alexander passa in rassegna i paracadutisti della I

compagnia Nembo poche settimane prima della battaglia per la liberazione di Pieve

di S. Andrea.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

54

Cassino della Divisione paracadutisti “Hermann Goering”, indirizzavano i

tiri di artiglieria contro i soldati italiani.

Dai ricordi dell’oggi quasi novantenne marò Ugo Saracino, che con la

compagnia comando del Grado entrò in Pieve S. Andrea nelle prime ore del

15 aprile, sappiamo che “i paracadutisti germanici la sera del 14 aprile

1945 avevano minato e fatto saltare il lato destro del fabbricato del

Castello… Sul muro rimasto in piedi su di un lato comparivano le scritte di

propaganda nazista”, si trattava dell’ingresso del borgo, ricostruito nel

dopoguerra.

Nella notte tra il 14 e 15 aprile il nemico era ripiegato dalle posizioni più

avanzate, tanto che la stessa notte le pattuglie del battaglione Grado

raggiunsero Pieve S. Andrea, procedendo subito oltre in direzione di Monte

Bello dove verso le 09,30 del 15 aprile si ricongiunsero con le pattuglie del

Nembo.45

La pieve fu oggetto del cannoneggiamento del I e II gruppo

Folgore e sulle mura ne restano ancora visibili i segni.

45

Nella mappa a pagina 87 sono indicati i luoghi liberati dalla Folgore, con scontri a volta

molto cruenti, come a C. Valpidrio dove il Bafile combattè all’arma bianca. Il dettagliato

racconto degli avvenimenti, con il testo dei fonogrammi con gli ordini del generale Morigi,

Alcuni paracadutisti della

4° Divisione “Hermann

Goering” si arrendono

dopo la lunga e aspra

difesa della riva sinistra

del fiume Senio. Si tratta

della migliore unità

tedesca sul fronte italiano

che si era già distinta nella

valorosa difesa di Cassino

e che, insieme alla 278°

Divisione fanteria,

combatterà a Pieve S.

Andrea contro i soldati

italiani della Folgore. Per

gentile concessione di

Saracino Ugo.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

55

Purtroppo irreparabili i guasti, come detto, specialmente alla chiesa.46

Ancora al marò Ugo Saracino è affidato il ricordo della mattina del 15 aprile

1945, con l’immagine della chiesa “con il tetto totalmente distrutto e raso al

suolo. In mezzo a tante rovine, come un attore abbandonato… restava in

alto, unica sopravvissuta, una silenziosa e isolata campana, la sola a non

crollare… Anche l’altare era distrutto e coperto di macerie…”.

Nella pieve, tra un numero ingente di mine occultate nei posti più

imprevisti, opere interrate, camminamenti, postazioni e sbarramenti, i

si trova nel volume del Ministero della Difesa. Stato Maggiore esercito. I gruppi di

combattimento Cremona, Friuli, Folgore…, Roma 1973. Il dott. Ugo Saracino, marò del

Grado, pochi mesi prima della sua scomparsa avvenuta il 29 febbraio 2012, ci ha

consegnato un interessante fascicolo inedito che raccoglie i giovanili ricordi di guerra. 46 Sempre nelle emozionate parole di don Cavina la conclusione della giornata: “nel

pomeriggio del 15 una grande euforia prende tutti i combattenti italiani, tanto che il S.

Tenente Ferraris, parlando in romagnolo, promette abbracci di ragazze e tagliatelle a tutta

la grande famiglia del Btg. Nembo, quando dal Comando arriva un contrordine: tornate

indietro! E' fatica ubbidire quando si è già sulla strada d'Imola e Bologna e si intravede il

trionfo... tornare ad arrampicarsi sui monti e accamparsi a Pieve S. Andrea, fra le macerie

del Castello e della Chiesa.”

Il marò Ugo Saracino (a

destra) ritratto con il

comandante della

compagnia comando del

Grado, capitano di

artiglieria Filippo

Sorgato (a sinistra), e il

soldato Ernesto Panno

(al centro) il 15 aprile

1945 a Montecatone, con

alle spalle la canonica

della chiesa, poche ore

dopo la liberazione di

Pieve S. Andrea. Per

gentile concessione di

Saracino Ugo.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

56

soldati della Folgore sostarono per circa 15 giorni. I soldati italiani, racconta

ancora Saracino, dormirono in un grande camerone al piano terra della

canonica, mentre al piano superiore, in un piccolo locale, era tenuto

prigioniero un soldato tedesco che si era arreso ai partigiani nei pressi di

Montecatone.

Le parole intense del Pascoli “qui dove è quasi distrutta la storia resta la

poesia”, scritte in occasione del terremoto di Messina del 1908, soccorrono

per immaginare i gravi danni riportati dalla chiesa, che il pievano Bettuzzi

descrive nel suo Cronicon come scoperchiata e “semidistrutta ai primi di

aprile di quest’anno per l’avanzata del fronte”, ma dove si celebra

comunque la Messa il 30 settembre 1945.

Insieme alla chiesa andò perso, come già detto, quasi totalmente l’archivio,

“letteralmente distrutto dagli eventi bellici ad eccezione: un libro dei

battezzati dal 1908 al 1936 e un altro frammentario dal 1848 al 1908” (dal

resoconto della visita pastorale del 1952 del vescovo Carrara).

Stato attuale della Pieve di

S. Andrea. Da notare la

nuova abside inserita

all’interno dell’edificio

secondo i restauri del 1946 e

l’ingresso della chiesa

orientato a est sulla piazzetta

del borgo. In corrispondenza

della balaustra dell’altare,

quasi a metà chiesa, è

murato un misterioso vano

(profondo circa 50 cm, alto

360 cm, largo 200 cm) ben

visibile nella planimetria e

aggettante sulla parete

esterna.

Stemma originale

della Folgore, 1945.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

57

In merito allo stato patrimoniale il capo VIII della visita pastorale contiene

le dimensioni della chiesa ricostruita, lunga 20 metri, larga 7 metri, alta da

9,90 a 7 metri.

Il 1 settembre 1946 la chiesa è riedificata dopo soli tre mesi esatti di lavori,

mentre il successivo 30 novembre per la festa del patrono S. Andrea

apostolo vengono conclusi i restauri “nel suo vero stile romanico” (Bettuzzi,

Cronicon…, cit.) anche all’interno, dove Tonino Dal Re nel 195447

eseguirà

un ciclo di affreschi con scene della vita e del martirio di S. Andrea

apostolo, per il fonte battesimale un Gesù con S. Giovanni Battista e le

cappelle di Sant’Antonio e della Madonna del Rosario, oltre ad alcuni

affreschi votivi.

47 Tonino Dal Re, Imola 1924-2010. Ebbe come maestri Tommaso Della Volpe (che

conobbe tramite il poeta Luigi Orsini nel 1940) e Anacleto Margotti, due personalità

famose nell’ambito della pittura locale. Le sue prime esibizioni pubbliche risalgono al

1949. Padrone di ogni tecnica pittorica, gli furono commissionate opere, come affreschi e

restauri, per importanti chiese dell’Emilia Romagna. A Dozza è stato uno dei primi a dare

impulso al “Muro Dipinto”. Gli ultimi anni della vita li ha trascorsi nel suo atelier nelle

campagne imolesi, a Ponte Santo, in breve divenuto non solo uno studio d'arte ma anche il

punto di raccolta di una folta compagnia di amici, ammiratori e collezionisti. Un’accurata

recente biografia è stata scritta dal figlio Franco. Dal Re F., Sulle orme di mio padre…,

Imola 2011.

Decorazioni nel locale creatosi dietro la nuova abside, un tempo ingresso della chiesa,

fatte dipingere dal pievano don Galanti nel 1935. L’alto zoccolo è affrescato a fingere

dei riquadri in marmo sormontati da una fascia a piccoli quadri gialli e rossi.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

58

Un’interessante serie di fotografie del Tamburini dei primi anni del ‘900

consente di confrontare i guasti prodotti dalla guerra e dagli interventi di

ripristino, non sempre rispettosi dell’impronta medievale dei luoghi:

l’ingresso del borgo ridotto a un basso voltone, perso il campanile a vela

Don Francesco Corradossi, parroco

prevosto di Dozza sino al 2011, mentre

officia la Messa (primi anni 2000 circa)

nella chiesa di Pieve S. Andrea ormai

chiusa al culto. Si può notare la

scomparsa della grande tela di Antonio

Dardani con S. Andrea, quadro che era

presente dietro l’altare maggiore nella

foto scattata durante la Messa officiata

dal cardinale Sabattani nel 1983. Foto

Cristiani Dina.

Abside. Scena della vita del santo titolare della chiesa raffigurato nel momento in cui

abbandona il lavoro di pescatore per seguire Gesù (“seguitemi, vi farò pescatori di

uomini”, Matteo 4, 18-20); nella parete opposta Tonino Dal Re ha affrescato il

momento del martirio di S. Andrea.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

59

della chiesa, l’abside ricostruita orientata a ovest anziché est, dove oggi è

l’ingresso della chiesa, ristrutturazione della canonica (restaurata nel 2006) e

delle abitazioni (restaurate tra il 1979 e il 2000) addossate e sopra le mura.

Capitello di marmo intagliato,

utilizzato come acquasantiera,

murato sulla parete a destra

dell’ingresso della chiesa. Il

pievano Santarelli e padre

Gaddoni lo descrivono nei loro

inventari.

Una moderna immagine della chiesa e di parte della canonica in un paesaggio invernale.

Ai lati della porta le due lapidi relative ai civili e ai soldati morti a causa della seconda

guerra mondiale fino al 1947, sul lato destro della chiesa la lapide della guerra 1915-

1918. Foto Farolfi Liana.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

60

Pieve S. Andrea. Una delle

abitazioni costruite ad inglobare le

mura est in una serie di tre

immagini che ne documenta le

rilevanti modifiche avvenute

nell’ultimo cinquantennio. In alto

una foto del 1955 di Enrico Pasquali

(Cineteca del comune di Bologna.

Famiglia Pasquali); al centro una

foto del 1989 dell’Archivio Ufficio

tecnico del comune di Imola; infine,

in basso, lo stesso gruppo di

abitazioni in un’immagine del

gennaio 2011.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

61

Il Ministero della Pubblica Istruzione pose sotto tutela alcuni edifici nella

pieve: la chiesa parrocchiale di S. Andrea (decreto 11.11.1911), il torrione

rotondo (decreto 26.3.1921), la torre di Pedriaga e il nucleo abitativo

Foto tratta dal periodico “Bologna

Incontri” dell’aprile 1975, con un

articolo di Aureliano Bassani sulla Pieve

di S. Andrea e il castello di Fiagnano.

Nell’immagine si nota che, all’epoca

dell’articolo, nella parete dove si apriva

l’originale ingresso della chiesa era

ancora presente una finestra ogivale,

oggi murata.

Pieve S. Andrea: immagini del

torrione circolare angolo sud

ovest in fase di restauro (anno

1999) a cura dell’architetto

Penazzi. Coll. priv. Penazzi

Claudio.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

62

annesso, in frazione Pieve S. Andrea (Ministero per i Beni Culturali, decreto

22.6.1989). Il restauro e il consolidamento statico del torrione rotondo, che

tuttavia non aveva subito importanti danni durante la guerra, vennero

completati nell’anno 2000, committente la famiglia Marzocchi Toschi; una

serie di foto documenta i lavori. Nel 1976 la parrocchia cedette il Titolo alla

nuova chiesa di S. Maria Assunta di Valsellustra, costruita nel 1956, con il

territorio compreso tra i due crinali del torrente Sellustra; il restante

territorio fu incorporato alla pieve di Mezzocolle. Officiata ancora per pochi

anni, la parrocchia di Pieve di S. Andrea Apostolo in S. Maria Assunta di

Valsellustra è ora chiusa al culto.48

Insieme a S. Maria A., Pieve S. Andrea è

stata affidata al prevosto di Dozza, dal 1996 don Francesco Corradossi e dal

luglio 2011 don Francesco Nanni.49

Gran parte degli arredi sono andati persi

48

La popolazione della parrocchia, seguendo le indicazioni del Gaddoni, che aveva avuto

modo di consultare gli archivi della pieve prima della loro distruzione nel 1945, si

mantenne abbastanza stabile fino agli anni ’50 del secolo scorso, per ridursi drasticamente

in questi ultimi cinquanta anni a poche decine di residenti. I periodici censimenti della

popolazione residente nel territorio della pieve confermano una presenza costante nel

tempo sin dal 1571 con 350 abitanti; nel 1583 abitanti 134; 1612 abitanti 300; 1632 preti

1, “huomini” 64, donne 75 (altre fonti: abitanti 201, tra cui 1 dottore, 30 putti, 31 putte);

1695 abitanti 198; 1742 abitanti 216; 1833 fumanti 30, famiglie 40, abitanti 240, 120

“huomini”, 119 donne; 1853 abitanti 212, famiglie 35 (statistica stato Pontificio);1895

abitanti 300; 1920 famiglie 54, abitanti 426; 1925 abitanti 388; 1956 abitanti 529; 1977

abitanti 58. 49

Elenco pievani di S. Andrea tratto dal Gaddoni, con integrazioni e aggiornamenti: nel

1423 Cristoforo della terra di Bagnara; nel 1426, 1428, 1430, 1434 Pietro di Francesco de

Codronco; nel 1443 Pietro di Codronco; nel 1446 (pieve concessa con bolla di papa

Eugenio IV), 1448, 1451, 1453, 1463, 1476, 1481, 1487, 1492 Matteo del fu Giovanni De

Ursolinis di Tossignano; nel 1507 Antonio del fu Baldassarre Fabe; nel 1522 Giovanni

Battista de Mazzanìcis; nel 1526 Giacomo Piero de Fìrmis; dal 1539 al 1547 Valeriano de

Crema; nel 1539 Carlo del fu maestro Gregorio de Gabrietis di Brisighella; nel 1546

Valeriano de Chera di Brescia; nel 1553 Bartolomeo de Bagno; dal 1556 al 1558

Valeriano di Dimone de Crema; dal 1571 al 1577 Regoli Stefano (Stefano De Regulis); dal

1578 al 1586 Canè Giulio; dal 1587 al 1603 Becchi Giambattista; dal 1604 al 1630

Galanti Vincenzo; dal 1631 al 1640 Mazzolani Giovanni; dal 1644 al 1664 Landi Gaspare;

dal 1665 al 1668 Peppi Carlo Francesco; dal 1669 al 1672 Berti Bernardo; dal 1672 al

1676 Selva Vincenzo; dal 1677 al 1702 Gamberini Giambattista; dal 1703 al 1714 Dal

Monte Marcantonio; dal 1714 al 1743 Ferruzzi Pietro Filippo; dal 1743 al 1770 Ossani

Antonio Maria; dal 1770 al 1791 Rossi Antonio; dal 1791 al 1809 Pasetti Luigi di Lugo

(era stato maestro di retorica a Casola Valsenio); dal 1810 1829 Tassinari Francesco; dal

1830 al 1854 Santandrea Francesco; dal 1854 al 1910 Santarelli Crispino; dal 1911 al

1925 Sabattani Angelo; dal 1925 al 1945 Galanti Domenico; dal 1945 al 1969 Bettuzzi

Armando; dal 1969 al 1973 Zannoni Carlo (arciprete di Croara); dal 1977 al 1996 Brusa

Paolo (parroco S. Maria Assunta).

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

63

o distrutti dalla parziale rovina della chiesa e purtroppo le dispersioni si

sono accentuate negli anni più recenti a seguito della sua chiusura al culto.

La campagna di rilevamento dei beni culturali nelle chiese della provincia,

effettuata negli anni 1968-1971 dalla Soprintendenza di Bologna, contiene

le foto e la descrizione degli arredi della pieve. L’elenco comprende, oltre al

quadro del santo titolare della pieve, di cui parleremo in seguito, la foto e la

descrizione di un crocefisso di buona fattura, presumibilmente della prima

metà dell’Ottocento, di bottega imolese, in cartapesta e dipinto, con i tratti

anatomici della figura del Cristo ben caratterizzati ad accentuare l’umana

sofferenza, con elementi classicisti che si sposano con un’espressività

realistica. La testa è completamente riversa sul braccio destro, il piede

destro con una brusca torsione si sovrappone al sinistro. I piedi, la zona

ascellare sinistra e il collo presentano gravi danni, mentre completamente

scomparsa è la mano sinistra. Oggi irreperibile, il crocefisso è stato

sostituito con un altro moderno.

Il rilevamento della Soprintendenza prosegue con la descrizione, a destra del

presbiterio, della statua della Madonna del Rosario col Bambino in

cartapesta dipinta eseguita circa nel Novecento (ovvero a metà secolo

Scomparso crocefisso,

presumibilmente della

prima metà

dell’Ottocento, di bottega

imolese, in cartapesta e

dipinto. Foto tratta dalla

campagna di rilevamento

dei beni culturali nelle

chiese della provincia di

Bologna, anni 1968-1971.

Atti pubblicati l’anno

1974. Ministero per i Beni

e le Attività Culturali. Su

concessione del MiBAC.

Archivio fotografico della

Soprintendenza BSAE

Bologna, GFS 57118.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

64

trattandosi della statua donata nel 1946 dal sig. Cristiani, come più avanti

detto) e attribuita alla bottega dei Dal Monte di Faenza (indicazione sulla

base della statua). La Vergine è rappresentata a figura intera, al naturale, con

il Bambino sorretto sul braccio sinistro. Sia la Madonna sia il Bambino

reggono in mano dei rosari. L’ampia aureola della Vergine è circondata di

stelle. A destra della porta d’ingresso è collocata un’acquasantiera formata

Foto a sinistra, un’immagine del lato ovest del borgo. La fabbrica dell’Appennino…,

Casalecchio di Reno 1988. Rispetto a oggi (foto a destra in una veduta invernale, Farolfi

Liana) si possono notare la torre non ancora restaurata e la moderna abside della chiesa

con una finestra ogivale non ancora murata. Il terrapieno in primo piano trattiene ancora

oggi, benché spesso riutilizzati nelle vicine abitazioni, i mattoni, i ciottoli e le pietre delle

antiche mura.

da un capitello, probabilmente parte dell’antica struttura rinascimentale, di

bottega imolese in marmo intagliato, in buono stato: il capitello è in stile

corinzio composito, scavato nella parte superiore e inserito nel muro; gli

intagli presentano delle foglie di acanto nella parte inferiore, racemi e volute

con fiore centrale nella parte superiore. Una sommaria descrizione del

capitello è presente anche nel Gaddoni e negli inventari del Santarelli. Il

rilevamento continua con la descrizione di un calice di fattura moderna di

ottone dorato con decorazione a volute e motivi fitomorfi; di un tronetto per

l’esposizione dell’eucaristia dell’inizio del XIX secolo di bottega imolese in

legno dorato e tessuto damascato; di tre pianete di manifattura imolese,

probabilmente del XIX secolo, di cotone ricamato con un filo dorato a

motivi floreali, in buono stato. Attribuibili alla prima metà dell’Ottocento

(cfr. anche l’inventario Santarelli del 1869) sono due confessionali in legno

di bottega imolese in discreto stato di conservazione: la struttura è a pianta

triangolare con andamento curvilineo e sagomato nel basamento; le finestre

del parlatoio e quella centrale hanno archi a tutto sesto e sono definite da

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

65

lesene doriche. Lo sportello della

porta d’ingresso ha una grande

losanga al centro. La decorazione

della cimasa, ormai quasi

completamente rotta, presenta una

croce tra due volute. La descrizione

della Soprintendenza non menziona

un piccolo quadro eseguito per la

pieve nel 1946 da Tommaso Della

Volpe raffigurante Santa Teresa del

Bambin Gesù, evidentemente già scomparso all’epoca del censimento, ma

ricordato nel 1964 in una descrizione degli arredi della chiesa.50

50

“Il quadretto di S. Teresa del B. G. è del Conte T. Della Volpe.” Bortolotti L., I comuni

della provincia di Bologna…, Bologna 1964.

Confessionale, presumibilmente

della prima metà del 1800, di

bottega imolese. È collocato, di

fronte ad un altro identico, sulla

parete laterale della chiesa, vicino

all’ingresso. Entrambi sono stati

restaurati in epoca recente.

[

Digitare una citazione tratta dal

documento o il sunto di un

punto di interesse. È possibile

collocare la casella di testo in

qualsiasi punto del documento.

Madonna del Rosario col Bambino,

sulla base è l’indicazione della data di

realizzazione (19)46 e la firma della

bottega faentina dei Dal Monte,

Enrico o forse del figlio Gaetano

(Tano), all’epoca trentenne. L’attuale

restauro è stato completato nel 2011

presso il laboratorio L’Appiolo di

Imola. L’opera, in tela gessata, è stata

ricollocata nella chiesa il 18 gennaio

2012. Foto Monterumisi Federico.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

66

Grazie a don Bettuzzi abbiamo memoria della collocazione delle nuove

statue della Beata Vergine del Rosario e di S. Antonio abate. Nel Cronicon

di don Bettuzzi, infatti, alla data del 1 settembre 1946 è indicata

l’inaugurazione della “chiesa riedificata… Pomeriggio solenne processione

con la nuova statua della B.V. del Rosario dono del parrocchiano Cristiani

Olindo… Ha rallegrato la giornata il corpo bandistico di Castel San

Pietro.”51

Sempre dal Cronicon di don Bettuzzi conosciamo anche il

momento della collocazione in chiesa della nuova statua di S. Antonio

abate: “23 gennaio 1947-Nelle ricorrenze delle feste di Sant’Antonio Abate

viene benedetta la nuova statua, dono del signor Nanni Ausenzio,

proprietario dei fondi Pedriaghe di questa parrocchia.”

51 Grazie alla buona memoria della quasi centenaria Dina Cristiani sappiamo trattarsi di

un ex voto del fratello Olindo per la guarigione da una grave ferita alla gamba durante la

battaglia di Tobruk nel 1942. La signora Dina è morta il 10 novembre 2011. Le sue parole

antiche sono il bel ricordo della sua cristianissima vita.

Momento di vita contadina, pittura oggi

danneggiata da infiltrazioni di acqua e non più

visibile. Parte della serie di riquadri dipinti da

Dal Re nell’arco della cappella di S. Antonio

abate con scene agresti di “ex voto”. Foto del

pittore Tonino Dal Re, anno 1980 circa.

Cappella di S. Antonio abate con

la statua del santo posta sopra

l’altare tra episodi della sua

vita. La statua venne donata nel

1947 dal sig. Ausenzio Nanni

all’indomani della ricostruzione

della chiesa.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

67

Spogliata di gran parte degli arredi, privata delle due campane52

(la minore è

conservata nel museo diocesano di Imola), la pieve mantiene un ultimo

52

Questa è la descrizione del Gaddoni del loro stato all’inizio del ‘900: “il campanile è a

vela per due campane. Le prime due campane pesavano libre 70 e 30: la maggiore aveva

questa iscrizione: Gaspar Landi plebanus f f anno Domini MDCXLVI; la piccola: Joannes

Mazzolanus plebanus anno Domini MDCXXXVI. Nel secolo XVIII la campana maggiore

era di libre 428; crepata a causa di un fulmine e rifusa dal campanaro imolese Pietro

Mondini, viene di nuovo innalzata sul campanile il 19 maggio 1779; nel 1783 vi si colloca

la minore, di libre 150, che era stata fatta per il Suffragio di Lugo a cui vengono

consegnate le prime due. Successivamente avvengono altri cambiamenti; le attuali

campane sono così descritte. La piccola ha questa iscrizione: Honori D. N. 1. C. Mariae V.

Sanctorum Andreae ap. patroni coel. Karolo Borromeo cardo Antonii senioris, Yincentii a

Ferrerio in ampliorem formam ex veteri Santandreas curio pleban. Studio anno cristiano

MDCCCLIV conflandum curavit-Antonius Franchini Bononiae, ed ha in rilievo le

immagini del Crocifisso, della Madonna col Bambino e degli altri santi nominati; sulla

maggiore si legge: Christus nobiscum state. Rinaldo Gandolfi accademico clementino -

Franciscus Landi laicus professus A. D. MDCCLXXI-R.mo P. M.ro Hieronimo Gabussi

Min. Gen.li, e vi sono scolpite in rilievo le immagini di S. Francesco d'Assisi e S. Chiara”.

Un repertorio delle campane conservate presso il museo diocesano di Imola (Violi M.,

Renzi A., Repertorio…, Imola 2007) riporta i dati (scheda n. 24) della campana minore:

“Antonio Franchini, Campana, sec. XIX- seconda metà (1854), bronzo fuso. Dalla chiesa

di Sant'Andrea in Pieve di Sant'Andrea. - Maniglia. Corona a sei bracci (due semplici e

due a coppie) a guisa di mascheroni aggettanti e convergenti verso l'anello centrale

rialzato. Il dorso dell'arco centrale presenta sulla sommità l'attacco di tre perni. - Spalla.

Più in basso rispetto all'attacco della maniglia è posta una prima serie di tre nervature

orizzontali appressate sotto cui pendono ampie fogliette d'acanto intercalate da motivi a

flabello. Di seguito, tra due coppie di sottili nervature parallele orizzontali, è posto un

serto vegetale continuo. - Corpo. Nella parte superiore del vaso, pendente dall'ultimo

fascio di nervature della spalla, è una ricca festonatura di fiori, frutta, foglie di gusto

rinascimentale. Nella parte mediana del vaso, entro una ampia fascia delimitata

inferiormente da una nervatura, sono a bassorilievo le effigi di Sant'Andrea, della

Madonna col Bambino, di San Vincenzo Ferreri, di Cristo crocifisso, di Sant'Antonio

abate, di San Carlo Borromeo. Nella parte inferiore del vaso, verso l'incavo, aperta da una

coppia di nervature, sottolineate da un motivo continuo a piccole fogliette appuntite, sono

poste le iscrizioni (recto e verso): ANTONIUS FRANCHINI FECIT BONONIAE

(l'iscrizione è contornata da una coppia di angioletti recanti un serto festonato di foglie

d'alloro) HONORI O.M.C.E.T. MAR . VIR . A . ROSAR SANCTOR/ANDREAE . AP . PAIR

. COEL . KAR BORROM . CARD . / ANTONI .SENIORIS . VICEN . A . FERRERIO . / IN .

AMPLIOREM . FORMAM . EX VETERI . / SANTANDREAS . CURIO . PLEBAN . STUDIO

. SUO . / AN CHRISTIANO . / MDCCCLIV CONFLANDUM . CUR . - Bordo. L'inizio del

bordo è sottolineato da una coppia di sottili nervature orizzontali e parallele nella guisa

delle precedenti. Nella parte basale del bordo, a circa 5 centimetri dalla nervatura

precedente, è un cordone continuo di fogliette appuntite e bipartite. - Interno. Presente

l'anello in ferro con il battente ancora in situ. - Misure. Altezza massima cm 56,

circonferenza dell'orlo cm 159, diametro dell’orlo cm 48,5, altezza della maniglia cm 12,5,

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

68

segreto, la scomparsa di un grande dipinto su tela raffigurante S. Andrea

apostolo. Il quadro, di metri 1,51 per metri 2,20, si vede ancora dietro

l’altare maggiore nelle foto scattate il 9 ottobre 1983 in occasione della

Messa celebrata dal cardinale Aurelio Sabattani, che proprio qui era stato

battezzato il 19 ottobre 1912, mentre non è più visibile in una foto dei primi

anni duemila. Il quadro è stato fotografato e censito53

nel 1971 dalla

Soprintendenza ai Beni Culturali di Bologna, che lo descrive con S. Andrea

“raffigurato a figura intera, in piedi a reggere con la mano destra una

grande croce poggiante per terra.

altezza del corpo cm 43,5...” Dopo il parziale crollo del campanile a vela nel 1945, del

tutto demolito nei restauri del 1946, le due campane furono per alcuni decenni collocate

con delle staffe di ferro sul muro della canonica, subito di fianco alla chiesa. 53 Una scheda del censimento relativamente al quadro è riportata nel volume: Il

patrimonio culturale della provincia di Bologna…, Bologna 1974. Restaurato dalla ditta

CRIC di Molinella (Bo) nel 1981 per il consolidamento dei colori e del retro della tela, con

una leggera pulizia e ritocco, il restauro venne fatto su incarico del Ministero della

Pubblica Istruzione, Soprintendenza alle Gallerie di Bologna, sotto la direzione di

Jadranka Bentini.

Museo diocesano di Imola. Campana minore della chiesa di Pieve S. Andrea in bronzo

fuso del 1854, contenente a bassorilievo, tra le altre, l’effige a destra di S. Andrea e a

sinistra di S. Carlo Borromeo. In basso, da sinistra, quattro particolari con l’effige

della Madonna col Bambino, San Vincenzo Ferreri, Cristo crocefisso e Sant’Antonio

abate.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

69

In alto due testine angeliche tra le nuvole. Nella zona inferiore un

paesaggio collinare con borgo fortificato che potrebbe essere la veduta

reale di Pieve S. Andrea nel ‘700… Il dipinto è datato 1732 ma non è

firmato. Le caratteristiche formali ed espressive sono quelle di un artista

tardo barocco… Pietro Filippo Ferruzzi è il nome del committente….” In

realtà l’autore non è ignoto, ma come indicato dal pievano don Santarelli

nell’”Inventario dei beni stabili e mobili, fatto l’anno 1875, di Pieve

S. Andrea Apostolo” (Archivio diocesano di Imola), il quadro “in tela fu

fatto da un certo Professore Dardani di Bologna l’anno 1732 ad opera del

pievano Ferruzzi; ed è di qualche pregio.”

S. Andrea che

abbraccia la croce

dipinto da Antonio

Dardani. Sullo sfondo

a destra il torrione

tondo di sud ovest e la

pieve, a sinistra in alto

in un paesaggio di

calanchi si intravede

Fiagnano. Olio su tela,

1,51 m per 2,20 m,

anno 1732. Foto tratta

dalla campagna di

rilevamento nella

provincia dei beni

culturali nelle chiese

della provincia di

Bologna, anni 1968-

1971. Atti pubblicati

l’anno 1974. Ministero

per i Beni e le Attività

Culturali. Su

concessione del

MiBAC. Archivio

fotografico della

Soprintendenza BSAE

Bologna, GFS 57118.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

70

Si tratta certamente di Antonio Dardani (Bologna 1677-1735), eletto

Principe dell’Accademia Clementina di Bologna nella seduta del 4

novembre 1731 e come tale ricordato anche dal Gaddoni (che ha come fonte

un inventario del 1737) nel suo citato libro sulle chiese della diocesi

d’Imola.54

All’interno della chiesa oggi rimangono pochi arredi.

L’acquasantiera è murata a destra dell’ingresso, due confessionali

ottocenteschi (oggi restaurati e dettagliatamente descritti nel censimento del

1971 della Soprintendenza, riportato nelle pagine precedenti) sono

appoggiati alle due pareti della navata.

Sulla parete di sinistra la statua di S. Antonio abate è qui collocata dal 1947

in una piccola cappella con altare, affrescata da Tonino Dal Re, con sei

riquadri dalle realistiche scene di ex voto per eventi miracolosi, tra cui un

fulmine che lascia incolumi i contadini intenti alla raccolta del fieno,

l’incendio di una casa senza danni alle persone, il miracoloso salvataggio di

un contadino travolto dall’aratro. Ai lati della statua due episodi con la vita

del santo. La cappella successiva, che già era dedicata alla Madonna del

Rosario col Bambino, da alcuni anni ha nella nicchia una nuova statua della

Madonna di Lourdes. La lunetta dell’arco ha affreschi monocromi, mentre

all’interno è rappresentata un’Annunciazione. Di fronte, sulla parete

54

Senza esito le ricerche del quadro del Dardani nelle vicine parrocchie (in specie nelle

chiese dedicate a S. Andrea apostolo) e nel museo della diocesi di Imola. Invano cercati

anche il crocefisso e il tronetto della prima metà dell’Ottocento descritti nelle pagine

precedenti.

Celebrazione della Messa nella Pieve S. Andrea officiata dal cardinale Aurelio

Sabattani (di spalle) con don Paolo Brusa, il 9 ottobre 1983. Sullo sfondo, dietro

l’altare maggiore tra gli affreschi di Tonino Dal Re, si vede lo scomparso quadro di S.

Andrea dipinto da Antonio Dardani. Foto Cristiani Gina.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

71

opposta, si trova una piccola cappella con il fonte battesimale: all’interno

l’affresco di Dal Re con battesimo di Cristo nel Giordano, molto deteriorato

da vecchie infiltrazioni di acqua; nell’arco interno della cappella battesimale

si trova una lapide di marmo bianco posta in

occasione della visita del cardinale Sabattani il

9 ottobre 1983 che ricorda il battesimo del

prelato avvenuto il 19 ottobre 1912 (Ravaglia

P., Ha amato la Chiesa…, Imola 2009).

Visita nella Pieve di S. Andrea del cardinale

Aurelio Sabattani, nella foto appena oltre il

voltone di ingresso del borgo. Lo

accompagnano don Paolo Brusa e la signora

Dina Cristiani, che fu la promotrice della

costruzione della chiesetta di S. Maria Assunta

in Valsellustra, alla quale la Pieve cedette il

Titolo nel 1976.

Piccola cappella del fonte battesimale con affreschi che rappresentano il battesimo

di Gesù nel Giordano. A sinistra una foto del 1980 circa (foto del pittore Tonino

Dal Re), a destra un’immagine dei nostri giorni con gli affreschi notevolmente

danneggiati da infiltrazioni di acqua.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

72

Sulla parete di fianco era collocato il crocefisso, descritto nelle pagine

precedenti nel censimento del 1971, e ora sostituito da un altro di modesta

fattura posto al centro di un affresco con colonne e trabeazione a fingere una

cappella simmetrica rispetto a quella opposta dedicata alla Madonna.

Separati da una balaustra sono l’altare maggiore e la nuova abside ricavata

all’interno della chiesa e affrescata da Tonino Dal Re.

In alto Cristo Pantocratore, sotto, al centro, la figura stante di S. Andrea

apostolo, ai lati scene della vita del santo: a destra chiamata di S. Andrea tra

barca e reti da pesca; a sinistra crocefissione del santo (sullo sfondo un

ambiente collinare e calanchi) con firma e data in un cartiglio “T. Dal Re

dipinse anno 1954”.55

Una porticina occultata nell’abside immette in un angusto spazio

trasformato in ripostiglio, dove prima dei lavori del 1946 era l’ingresso della

chiesa, con ancora visibili la vecchia pavimentazione e, sulle pareti, le

antiche pitture con un alto zoccolo dipinto a fingere il marmo sormontato da

una cornice a quadri gialli e rossi. Sull’arco dell’abside figure di santi e

degli evangelisti.

A sinistra dell’arco è collocata la statua in gesso e cartapesta del 1946

(targhetta dedicatoria sulla base) di Gesù del Sacro Cuore, restaurata nel

2011 con il rifacimento di due dita della mano destra. Al centro della navata

sei panche donate dai fedeli e dal parroco dopo la ricostruzione della chiesa

nel 1946.

55

Sono persi irrimediabilmente gli antichi affreschi dell’abside e delle cappelle di cui parla

il Gaddoni con riferimento ad una visita pastorale del 1574: nell’abside “vi era un antico

affresco del protettore con altri santi”, “sopra il fonte battesimale stanno pitture deformi”.

Crocefissione di S.

Andrea apostolo,

affresco di Tonino

Dal Re nell’abside

della chiesa. Il santo

è rappresentato

crocefisso con lo

sfondo dei calanchi

di Fiagnano come

nella tela dipinta dal

Dardani nel 1732.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

73

Le quattordici stazioni di una moderna Via Crucis in gesso dipinto con

colori vivaci sono appese all’interno della chiesa. Sulla facciata della chiesa

ai due lati dell’ingresso sono murate due lapidi (committente don Bettuzzi),

che ricordano i caduti civili e militari a causa del secondo conflitto

mondiale; sul lato destro è presente una lapide, ricomposta, con i nomi degli

abitanti della pieve morti al fronte nella prima guerra mondiale.56

La

canonica e la chiesa sono state restaurate da ultimo rispettivamente nel 2006

e nel 2009.

Dagli anni 1950 in poi per alcuni decenni la vita sociale della pieve si

sviluppò in modo analogo al territorio regionale e numerose erano le feste

da ballo nelle case intorno al borgo o nel piazzale antistante il torrione.

L’elezione di una “miss” anche nella Pieve di S. Andrea caratterizzò per

alcuni anni questi momenti di festa: oltre le due “stelline” ritratte,

ricordiamo tra le vincitrici degli ambiti premi (cosmetici e profumi) Bruna

Donattini, Adriana Turrini e Clotilde Nanni.

56

Nella lapide, riprodotta e in parte descritta nelle pagine precedenti, sono ricordati i

dodici abitanti nella parrocchia di Pieve Sant’Andrea morti nella Grande Guerra: il

s.tenente Sabattani Francesco medaglia di bronzo al valor militare (nelle aride note

biografiche ministeriali indicato come studente, unico tra coloni o braccianti), i soldati

Sabbioni Giovanni, Salieri Ermenegildo, Masi Attilio. E ancora, inumati nel sacrario

militare della Certosa di Bologna, i soldati Ronchi Augusto, Dal Monte Adelmo, Bianconi

Ugo, Mengoli Giovanni, Marzocchi Giovanni, Mestri Sante (morto a soli 18 anni),

Sabbioni Tullo, Bianconi Guido. Nel già citato libro di Andrea Ferri, Caduti imolesi…,

sono inseriti alcuni cenni biografici dei caduti imolesi, oltre alle fotografie dei soldati

Marzocchi, Bianconi, Ronchi e Tullo Sabbioni. Nel libro I morti della provincia di

Bologna…, edito nel 1927 a cura dell’Ufficio Notizie alle Famiglie dei Militari, sono

riportati nomi, foto (per la Pieve quelle di Dal Monte, Sabbioni Tullo, Marzocchi, Bianconi

e Ronchi) e alcuni dati anagrafici dei 647 caduti di Imola e Casalfiumanese nella guerra

del 1915-1918.

Negli anni 1950, tra una

piadina e un valzer,

nelle giornate estive era

eletta la “Stellina della

festa dell’Avanti!”.

A sinistra Elide

Cesarini, a destra

Domenica Crevenni,

locali bellezze della

Pieve elette “Stelline”.

Per gentile concessione

delle persone ritratte.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

74

I primi segni della modernità arrivano con la corrente elettrica che entra

nelle semplici case della pieve nel 1961, mentre solo nel dicembre del 1981

verrà completato l’acquedotto per tutti gli abitanti di Pieve S. Andrea.

Il borgo in questo periodo è tornato ad avere un vivace segno di presenza

religiosa e sociale con la creazione nella canonica di un centro

internazionale giovanile per “settimane di convivenza, studio, giornate di

incontri, momenti culturali organizzati”, come ricorda don Giuseppe

Tagariello, che ne è stato l’artefice.

La chiesa apre le sue porte solo per particolari ricorrenze, prima fra tutte per

la processione che unisce Pieve di S. Andrea con la vicina chiesa di S. Maria

Assunta in Valsellustra il venerdì antecedente la prima domenica di agosto.

La pieve è oggi abitata da alcune famiglie che nei giochi e nelle risa dei

bambini, nelle case riportate a nuova vita, nella quotidianità di questo

piccolo borgo medievale trova una nuova via alla sua millenaria storia. E

quasi si avverte la presenza del “Genius loci”, misteriosamente nascosto tra

gli aridi calanchi e le antiche mura, a proteggere i mille anni di quiete della

Pieve di Sant’Andrea.

Ritratto degli abitanti della pieve negli stessi luoghi già fissati dall’obiettivo di Ugo

Tamburini oltre cento anni or sono. Ancora oggi si riflette nelle persone il sentimento di

appartenenza che vuole riaffermare la continuità della vita del borgo. Foto Grandi

Gianni, gennaio 2011, elaborazione grafica Farolfi Marco.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

75

Cà di Pidriaga.

“Le colline incombevano tutt’intorno, serravano tutt’intorno, sempre più flou

autunnalmente, in un musicale vorticare di lenti vapori, talvolta le stesse colline

nulla più che vapori.” (Fenoglio B., Il partigiano Johnny, Torino 1978).

Borgo di Pedriaga, con a destra la torre del XV secolo, visto dalla Pieve di S. Andrea,

novembre 2009. Foto Contillo Nicola.

“A circa un chilometro a nord-est dalla sede pievana, a 227 metri sul livello

del mare è presente un gruppo di costruzioni che porta il nome di Cà di

Pidriaga su cui domina una torre del XIV secolo da poco restaurata (ndr. in

altri studi del XV secolo). Il nome di questa località è legato ad un locus

Scena di interno nelle case di

Pedriaga in un’immagine del

fotografo Pasquali del 1955. Foto

Pasquali Enrico. Cineteca del

comune di Bologna. Famiglia

Pasquali.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

76

detto Valpithriaga esistente nella zona nel XII secolo.

Il toponimo deriverebbe secondo il parere del professor Polloni, studioso di

toponomastica romagnola, dalla unione della parola latina vallis (valle)

con il termine ravennate-bizantino pidria (riempitoio o imbuto), che nel

caso specifico assumerebbe il significato di valle a calanchi. Queste

conformazioni geologiche, caratteristiche della zona, potrebbero aver

suggerito il nome di varie altre località vicine.

Troviamo infatti, concentrati in un raggio di pochi chilometri, toponimi

come S. Martino in Pedriolo e Cà Cavalpidrio, sulla sinistra del torrente

Sellustra.”

Così ricorda una ricerca del Merlini, che continua in merito alla prima

notizia riguardante la località di Valpithriaga in Pieve S. Andrea,

“contenuta in un documento rogato presso la canonica di San Cassiano il

Casa Pedriaga. Dai rilievi si leggono chiaramente le funzioni degli ambienti e la tecnologia

costruttiva. Rielaborazione da La fabbrica dell’Appennino…, Casalecchio di Reno 1988.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

77

18 dicembre 1165.57

I canonici rinnovano in quell’occasione, agli eredi di

Petrus, il fratello Morandino ed il figlio Albertino, la concessione

enfiteutica delle terre appartenute al defunto da dividersi in parti uguali.

Tra le clausole del contratto è compreso l’impegno, da parte dei beneficiari,

di garantire a certa Verdianam, forse la vedova di Petrus, vitto, alloggio e

vestiti secondo i suoi bisogni: ‘omnibus diebus vite sue victu et vestitu

secundum equalitatem sue persone’. Il nome della donna ricompare

nell’elenco dei beni posseduti dalla canonica di S. Cassiano nella zona di

Monte Catone. Infatti, in una nota dell’anno 1223, Ricardus et Thomasius

de Valle Pidriaga posseggono terre che un tempo furono di Verdiane. Per

questo podere ‘debent dare -ai canonici di S. Cassiano- unam

albe(r)gariam et quatuor staria frumenti et unam saumam de vino puro’.58

La nota successiva, contenuta nella medesima carta, è datata 1224 e

comprende ‘unum podere’, un tempo posseduto da ‘Gualdrate filie Ricardi,

in Valle pidriage’, per il quale Riccardus Ugonis de Vigo si impegna a

consegnare ogni anno ai canonici di S. Cassiano: ‘duos starios frumenti et

unum barile vini’.” 59

Il frumento consegnato ai canonici di S. Cassiano salirà a tre staia e un

57

Il documento è in Gaddoni S., Zaccherini G., Chartularium…, cit., 1° vol. n. 242. 58

Anche il Cortini ricorda il documento, tratto dal Chartularium imolese di Gaddoni e

Zaccherini 1° vol. n. 147, e di come fossero inoltre salvi anche servizi e “alia albergaria”.

Il terratico si mantenne sempre corrisposto in natura, mentre i “servitia” furono convertiti

in denaro. Cortini G. F., Storia della città di Imola…, cit. 59 Merlini F., Mille anni fa: castelli, pievi e villaggi. Pieve S. Andrea e Pidriaga alzavano

castelli e torri. In “Sabato Sera”, 23 gennaio 1988. L’articolo riprende in termini

pressoché identici il medesimo argomento trattato dal Merlini nella sua tesi di laurea,

“Paesaggio e insediamenti rurali nel territorio imolesi dall’VIII al XII secolo”, Bologna

1979-1980. Per un evidente “lapsus calami” l’articolo originale del Merlini riportava

l’anno 1185 anziché 1165 come data della prima notizia di Valpithriaga.

La torre di Pedriaga, a pianta quadrata, è

simile ad altre coeve, ma conserva alcuni

caratteri altrove dispersi, quali le piccole

finestre ad arco e bandellone in mattoni, o

il cornicione, sempre in mattoni, a dentello

gotico sotto le aperture della colombaia;

purtroppo questo cornicione, in origine

centrato sulla larghezza dei fronti, dopo i

restauri, è ora a coronamento. Valli di

Zena, Idice e Sillaro…, cit.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

78

quarto nel 1253.60

La torre, massiccia, è alta 14 metri, con base 8,50 per 7 metri, con barbacane

e cordonata: in una costruzione vicina si nota un tratto di muro con

barbacane e cordonata, avanzo di fortificazioni costruite dai Bolognesi nel

XIV secolo e proseguite dagli Alidosi nel secolo successivo. La torre è

simile ad altre coeve, ma conserva alcuni caratteri altrove non più visibili,

“quali le piccole finestre ad arco e bandellone in mattoni, o il cornicione,

sempre in mattoni, a dentello gotico sotto le aperture della colombaia;

purtroppo questo cornicione, in origine centrato sulla larghezza dei fronti, è

ora a coronamento perimetrale del fabbricato, secondo una regola qui

ignota. Probabilmente l'edificio ha origine quale presidio della strada che,

salendo dal Santerno, scavalca la dorsale e scende al Sellustra, disegnando

un difficile percorso nel paesaggio dei calanchi.

Torre Pedriaga, particolare del paramento murario. A sinistra foto della Soprintendenza, a

destra dell’autore. Foto a confronto dopo i restauri. Ministero per i Beni Culturali.

Soprintendenza di Bologna. Esperienze sul campo... Le campagne di rilevamento... 1968-

1971, Bologna 1981.

Sotto l'aspetto costruttivo, si può notare come quest'area geomateriale sia

completamente diversa da quelle in cui torri simili sono state costruite: la

muratura è di tipo misto, in laterizio e pietrame, e questo non è costituito da

conci più o meno regolari, ma da grosso ciottolame fluitato in alveo;

evidentemente qui non vi erano affioramenti o cave di pietra utilizzabili

nell'edificazione.

60 Anno 1253, notaio Porfirio. “Li 14 settembre Viviano, figlio del fu Riccardo da

Valpidriaca, promise e s'obbligò di pagare ogn'anno ai canonici Papa e Giovanni Gavello,

accettanti a nome della chiesa cattedrale, tre staia di frumento e la quarta parte di un altro

staio di frumento nella festa di San Cassiano, per le possessioni ch'egli ebbe in Valpidriaca

della pieve di Sant'Andrea nella villa di Flagnano dagli stessi canonici, per gli atti del

suddetto notaio fatti nella casa della chiesa di San Biagio di Monte Catone.” Memorie

della Chiesa Cattedrale d’Imola…, a cura di Andrea Ferri, Imola 2005.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

79

Questo particolare si nota bene dove è stata posta una feritoia per arma da

fuoco nella muratura in cui mattoni, sassi, lastre di pietra sono montati in

un muro estremamente eterogeneo. Col tempo si sono aggregati altri corpi

di fabbrica, ed un balchio coperto ha unito la torre ad un altro edificio.

Ultimamente vi sono stati altri ‘ingressi’ edilizi, tal che la fisionomia del

luogo è decisamente cambiata rispetto ad alcuni decenni or sono,

assumendo le sembianze di un'agglomerazione che ha ridotto la

percettibilità della torre, relegandola ad un ruolo di minor evidenza nel

paesaggio.”61

61

Valli di Zena, Idice e Sillaro…, cit.

Torre Pedriaga,

particolare di una feritoia

per arma da fuoco nella

muratura in cui mattoni,

sassi, lastre di pietra

sono montati in un muro

estremamente

eterogeneo. Valli di Zena,

Idice e Sillaro…, cit.

In una foto di Valter Mita il

piccolo borgo di Pedriaga

come appariva nel 1967.

La FIAT Topolino in primo

piano apparteneva al sig.

Stefano Dalmonte che, non

avendo la patente, spostava

l’auto a spinte nel piazzale

del borgo! Valter Mita.

Alla scoperta della mia

vallata…, Imola 2009.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

80

L’ambiente naturale, a cura di Antonio Zambrini.

“E' questo uno de' poco fertili Territori del Bolognese, abbondante soltanto in

terreni sodivi, balze e dirupi... Sono le arti del tutto sbandite da questo territorio, il

cui terreno è Creta ed Argilla frastagliata da sottili strati di sabbia, od arena

giallastra, mischiata di ghiaia fluviatile, con molti rottami fra mezzo di gusci di

Telline, e di Pettiniti, e valve di Terebratule…” (Calindri S., Dizionario…, cit.).

Il territorio dell’antica Pieve di S. Andrea corrisponde approssimativamente

ad un triangolo che ha per vertici Monte del Re, Croara e Ponticelli,

compreso quindi interamente nella zona dei calanchi. Il substrato geologico

è costituito da “Argille Azzurre” plio-pleistoceniche depositatesi tra i cinque

ed i due milioni di anni fa in un mare profondo che ha caratterizzato, in

maniera inequivocabile, il paesaggio. Le descrizioni dei geografi dell’inizio

del ‘900 parlano di un luogo spoglio, sterile e ferito dalle frane con dei

caratteristici ventagli di strette vallecole separate da creste affilate. La mano

dell’uomo, la forza delle macchine e la chimica nell’agricoltura hanno

trasformato il territorio enfatizzando una particolare dicotomia: i versanti

settentrionali, le dorsali più larghe delle colline e parte dei fondovalle sono

stati trasformati in terreni agricoli, mentre i ripidissimi versanti esposti a

mezzogiorno hanno conservato il “rovinoso” aspetto del passato.

v

Conchiglie fossili trovate nella zona di Pieve S. Andrea. Foto Mariani Stefano.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

81

Dove erano gli stentati “ronchi” dissodati con la zappa troviamo ora le

geometrie dell’agricoltura moderna, a stretto contatto con i precipizi, rimasti

assolutamente selvaggi. Le piccole conchiglie fossili, ritrovabili un po’

ovunque, ricordano l’origine marina di questi terreni. Raccolti nei rii, i

grossi ciottoli sbozzati con cui venivano costruite un tempo le case

provengono invece dalle argille scagliose delle alte vallate. Un’eccezione

sono i blocchi di alabastro gessoso, corroso dalle piogge e sicuramente di

riutilizzo, che vediamo nel muro del terrapieno antistante l’attuale ingresso

della pieve. Questa pietra, scavata a Gesso fino all’Ottocento, era utilizzata

per ornamenti e strutture importanti. Un fenomeno tipico dei terreni argillosi

è costituito dai “bollitori” di fango, originati dal metano del sottosuolo che

viene alla superficie trascinando l’acqua delle falde con un caratteristico

ribollire. Di fronte al Casetto di Campo in Fondo troviamo un bollitore62

circondato dalla vegetazione che emette pochissimo gas e grandi quantità di

argilla che finiscono nel rio di Ponticelli su cui si affaccia.

62

Il bollitore del Casetto di Campo in Fondo ha le seguenti coordinate: 44° 19’ 41,7” N -

11° 35’ 58,1” E. Il bollitore di Banzolino ha le seguenti coordinate: 44° 18’ 35,24” N - 11°

34’ 53,70” E.

Colata di argilla che dal

“bollitore” confluisce

nel rio di Ponticelli.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

82

Testimonianze locali parlano di momenti di grande attività, ma negli ultimi

tempi questa è molto ridotta. E' raggiungibile da Ponticelli risalendo la

strada che conduce a Pieve di S. Andrea fino al ponte sul rio di Ponticelli,

dopo l’incrocio con via Bianone, sul lato sinistro del torrentello, una decina

di metri a valle della strada. Un altro bollitore, poco attivo, è nei campi di

Banzolino sotto Ronco, in direzione del Rio Casale. Nelle argille scoperte,

battute dal sole e salate per i sali inglobati dal fondo del mare, soltanto

poche piante riescono a vegetare senza difficoltà. Si tratta di erbe resistenti

all’aridità e al sale, affini per molti versi a quelle dei litorali marini.

La cilestrina artemisia cretacea è particolarmente adatta a queste condizioni

severe. Piante caratteristiche di questi ambienti sono anche l’inula viscosa,

che colora di giallo il panorama al finire dell’estate, la sulla (Hedysarum

coronarium) che forma densi tappeti di fiori rossi, la farfara (Tussilago

farfara), color giallo-oro, è una delle prime a sbocciare sulle colate di fango

umido, l’odoroso aster (Aster linosyris) invece chiude la serie delle fioriture.

Frequenti in zona sono anche la ginestra odorosa (Spartium junceum) e le

tamerici (Tamarix gallica e T. africana) la cui diffusione venne favorita nel

passato per consolidare le aree più franose.

Alla sommità delle colline troviamo frequentemente dei “cappellacci”

sabbiosi giallastri, ben evidenti e distinti dalle argille sottostanti per via

delle pareti letteralmente verticali.

La cilestrina artemisia cretacea, caratteristica pianta di questo territorio. Foto

Zambrini Antonio.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

83

Questo suolo, a differenza di quello argilloso puro, assorbe l’acqua delle

precipitazioni e lo cede alla vegetazione che può così svilupparsi con

relativa facilità. Se per qualche decennio non interviene la mano dell’uomo

si formano dei boschetti di quercioli (la roverella, Quercus pubescens)

molto simili a quelli delle zone più asciutte delle colline a valle o a monte.

Tuttavia l’interrogativo se nel passato più remoto i calanchi fossero coperti

di veri boschi sembra destinato a restare senza risposta. La sopravvivenza

sporadica di macchie boschive e la netta ripresa della vegetazione dove sono

cessati il taglio ed il pascolo possono far pensare ad un antichissimo

disboscamento e ad una successiva impossibilità della foresta di riprendersi

per la continua manomissione a cui veniva sottoposta. Per contro è

inequivocabile che l’argilla sia il terreno meno favorevole per il bosco,

indipendentemente dall’intervento umano.

Il termine inglese con cui si definiscono i terreni calanchivi è “bad lands”

(terre cattive) e questa è stata la naturale considerazione che una società

contadina ha sempre avuto al riguardo. É ancora retaggio di poche persone il

rispetto di questo ambiente comunque particolare e a tratti suggestivo,

generalmente maltrattato da un’edilizia insignificante e squallide baracche,

considerato solo da sfruttare secondo le convenienze del momento.

Cambiare questa mentalità è l’auspicio di chi ama un territorio che si invita

a conoscere attraverso le passeggiate di seguito suggerite.

Tre percorsi pedonali o per mountain bike con notevoli dislivelli partono da

Pieve S. Andrea verso i Ponti di Croara, la chiesina di Valsellustra,

Casalfiumanese e permettono una buona comprensione dell’ambiente

circostante.

Fiagnano (a sinistra) e Pieve S. Andrea (a destra) in una foto invernale. Foto Zambrini

Antonio.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

84

Ai Ponti di Croara.

Da Pieve di S. Andrea si va in direzione sud e, oltrepassata l’ex colonia

estiva delle suore, su una pista a fondo naturale si prende a salire verso il

caratteristico pino, ben visibile da lontano, fino all’incrocio con via

Murazze. Procedendo a destra su via Ronco spiccano i precipizi sulla valle

Sellustra con un “cappellaccio” giallastro in primo piano. Si discende fino

all’ex-cimitero di Croara e dopo la casa di Forteronco si arriva con dei

saliscendi all'asfaltata via Casette, nel punto dove questa passa dalla

Valsellustra alla valle del Rio di Casale (nei pressi delle vecchie scuole). Si

prosegue sulla via asfaltata a sinistra per meno di cento metri, fino a seguire

i segni del sentiero Luca Ghini, a destra tra la vegetazione. Con un paio di

tornanti si arriva al margine superiore dei Ponti di Croara m 375, con un

vasto panorama che si apre sugli ampi spazi della valle del Rio Mescola e

dell’alta Valsellustra.

Discesa alla chiesa in Valsellustra.

Dal percorso precedente, dove inizia la salita verso il pino, prendere a destra

oltrepassando la sorgente delle Accarisie fino ad arrivare, sempre in discesa,

al torrente Sellustra. Superando il torrente su una passerella si arriva

esattamente alla chiesetta di S. Maria Assunta. Questo è un tratto del lungo

“Sentiero di S. Antonio” che collega Padova a Montepaolo di Dovadola

(Forlì-Cesena).

Un’immagine invernale dei Ponti di Croara, punto di arrivo della prima passeggiata

suggerita. Foto Zambrini Antonio.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

85

Anello verso Casalfiumanese.

Dal bivio dopo il pino di cui si è detto nei percorsi precedenti, prendere via

Murazze (vedi sopra). Dopo avere oltrepassato un bacino irriguo e un nuovo

edificio, sulla destra si aprono alla nostra vista gli spettacolari calanchi della

Cavezzana. Percorrendo l’orlo dei precipizi sulla destra, punto di inizio del

Rio Salso, si arriva in via Pineta. Si percorre un breve tratto fino all’inizio di

Gli spettacolari calanchi che precipitano su Cavezzana e sui Due Rii, con forme di

erosione molto ripide e spuntoni argillosi isolati a mo' di dente. Efflorescenze

biancastre di sali incrostano le argille scoperte.

Una bella immagine d’insieme dei calanchi di Cavezzana. Foto Zambrini Antonio.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

86

una marcata discesa, per seguire in falsopiano le indicazioni “azienda

agricola Monte di Sopra” e “n. 13-16”.

Dopo un gruppo molto bello di pini (resti di quella che fu la Pineta

Masolini), evitando un ultimo edificio, si arriva in vista di Casalfiumanese.

Con le balze del Rivone sempre sulla destra si attraversa Monte di Sotto

(sormontato da un vecchio traliccio) per arrivare infine in via Ulivi.

Si discende e subito a destra si prende una stradina tra i pini, che sembra

condurre ad una villa, fino all’orlo della collina e a un filare di cipressi.

Girando dalla pineta decisamente a sinistra, da un cancelletto si scende a via

della Libertà e da questa a piazza Cavalli, al centro del paese. Per il ritorno

si può utilizzare il sentiero Luca Ghini. Dopo la chiesa evitare però di salire

verso i Ponti di Croara e utilizzare via Ronco (vedi sopra) per ritornare al

punto di partenza.

In questa pagina due

suggestive immagini

del Rivone di Casale

che si incontra in uno

dei percorsi proposti.

Foto Zambrini

Antonio.

Rivone lungo.

Foto Zambrini

Antonio.

87

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

88

GLOSSARIO E ABBREVIAZIONI

ARCIERA (cfr. anche feritoia): apertura praticata per permettere il lancio di

frecce in posizione protetta.

BIM: Biblioteca Comunale di Imola.

BREVE: documento pontificio meno solenne della bolla, per particolarità sia

esterne (pergamena bianca sottile; scrittura corrente delle varie epoche; sigillo

cereo con impronta dell’anello piscatorio, sostituito, dal 1842, da analogo bollo a

inchiostro) sia interne (intitolazione col solo nome del pontefice regnante; data

alla maniera moderna, con l’anno cioè dal 1° gennaio, ecc.).

CURTIS: intesa come sede padronale e come centro amministrativo di una

proprietà non necessariamente unitaria e compatta. Fortificata in forma di

castrum, si qualifica tangibilmente come luogo deputato all'esercizio di un più

saldo e preciso potere non solo economico e non limitato appunto alle sole

proprietà del signore (cfr. anche massae). Altre volte l'adozione del termine curtis,

associato spesso all'indicazione di un castrum, pare invece riflettere la presenza di

una giurisdizione signorile, seppur mai esplicitamente definita, su un territorio

circostante il castello.

FERITOIA: apertura verticale, svasata all’interno e stretta all’esterno, per

effettuare il lancio di proiettili vari offrendo la massima sicurezza per il lanciatore.

In tempi successivi la feritoia divenne orizzontale con svasatura esterna per

facilitare il brandeggio delle armi.

FUCILIERA: apertura praticata nelle cortine, torrioni, ecc. costituita da un foro

circolare prolungato in alto da una fessura verticale per la mira.

FUMANTE: in età medioevale, il contribuente tenuto a pagare l’imposta sia che

fosse capo famiglia sia che vivesse da solo, anche senza essere provvisto di beni.

Fumare: abitare stabilmente in un luogo.

IGM: Istituto Geografico Militare di Firenze (cfr. bibliografia).

MASSAE: il termine, tipico dell'area ravennate e più generalmente delle aree su

cui perdurò il controllo romano-bizantino, serve generalmente ad indicare un

aggregato di più fondi, organizzati in un'unica entità fondiaria, che spesso

acquisisce il nome del fundus più importante. In alcuni casi il termine massae si

confonde con curtis, indicando in diverse occasioni la stessa entità fondiaria, ed è

chiaro che la curtis, come la massa, costituisce un insieme di più fondi.

MSS: manoscritti.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

89

OPPIDO: luogo abitato circondato da mura.

PIEVINO: “abitante della pieve”… neologismo creato per l’occasione, con un po’

di Beppe Fenoglio nel pensiero.

PLEBE: dal latino plebs, popolo.

PODESTERIA (letter. Potesteria): la carica, l’ufficio del potestà, ovvero il periodo

di tempo di durata dell’incarico.

SASI: Sezione Archivio di Stato di Imola.

VILLA: nella zona dell’imolese durante l’alto medioevo il termine villa indica

sostanzialmente un piccolo ambito territoriale urbanizzato, secondo un uso che

diverrà corrente nei secoli successivi.

Una pietra rettangolare collocata alla base del lato nord del torrione circolare,

probabilmente di spoglio, particolare. Il borgo presenta nei muri dei vecchi edifici

e dei terrapieni molte tipologie di pietre, più o meno sbozzate, raccolte nei rii e nei

calanchi circostanti: calcari marnosi, serpentini, ftanite, diaspri, gessi, ecc. Sono

particolarmente interessanti i conci biancastri di calcare oolitico della torre. Alla

lente di ingrandimento si notano le minuscole sub sfere che formano questa pietra.

Blocchi di questa roccia si rinvenivano, sporadicamente, nel Rio Mescola, sotto

Croara. Foto Zambrini Antonio.

ELENCO DEI NOMI E DEI LUOGHI CITATI. Nell’indice non sono riportati i nomi di alcune

località come Pieve S. Andrea, Pedriaghe, Imola,

Casalfiumanese, o degli autori delle fotografie -incluso il Tamburini- e i nomi o località indicati

nella bibliografia. L’elenco dei pievani, riportati

solo in casi particolari , è inserito nella nota n. 49.

Nomi

Accarisi vedi Carisi/o. Albrizziane 10.

Alessandro III 9, 51.

Alessandro VI 26. Alexander 53.

Alidosi 25, 26, 27, 29, 78.

Andreino 51. Appiolo 65.

Bacchuis 39.

Bafile 52, 54. Baldisserri 7, 8.

Bandi 48.

Barbiano 25 Benedetto XV 13.

Bennone 7.

Bentini 68. Bersani 41.

Bertoldo 9.

Bettuzzi 34, 35, 36, 37, 43, 56, 57, 66, 73. Bianconi 73.

Borgia 26.

Brusa 70.

Caorle 52.

Carducci 25.

Carisi 14, 17, 22, 23, 84. Carlo III 27.

Carlo VIII 27.

Carnesecchi 25. Carrara 36, 56.

Cavina 53, 55.

Cesarini 37, 73. Chiaramonti 44.

Ciuffa 51.

Clementina 70. Colleoni 27.

Coronelli 9.

Corradossi 58, 62. Cossa 25.

Crevenni 73.

CRIC 68. Cristiani 35, 37, 58, 64, 66, 71.

Dalmonte 22, 7.

Dal Monte 47, 64, 65, 73. Dal Re 57, 58, 66, 70, 71, 72.

Dal Verme 51. Dardani 39, 40, 58, 69, 70.

Della Volpe 57, 65.

Donattini 73. Enrico 9.

Eugenio III 7, 8, 51.

Eugenio IV 26.

Fabri 49. Farolfi 32.

Federico II 9.

Federico III 27. Ferraris 55.

Ferruzzi 39, 69.

Fiesco 25. Folgore 52, 53, 54, 55, 56.

Franchini 67.

Galanti 52, 56. Gamberoni 45.

Gerardo 7, 9.

Ghini 84, 86. Giovanni XXIII 25, 27.

Giovanni dalle Bande Nere 28.

Giulio II 26. Goering 54.

Gordini 46.

Grado 52, 53, 54, 55. Guerrini 23, 42.

Innocenzo III 9.

Landi 67. Lanzilotti 8.

Manzoni 48.

Marchesi 48. Marchesini 47.

Marelli 48.

Margotti 57. Martelli 35.

Marzocchi 47, 48, 73.

Marzocchi Toschi 32, 62.

Masi 73.

Massanesi 8.

Melo 24. Mengoli 73.

Mestri 73.

Mondini 67. Morigi 53, 54.

Nanni 45, 46, 62, 66, 73.

Nembo 52, 53, 55. Onorio II 7, 8.

Oradini 8.

Orsini 33, 57. Orsolini 26, 44.

Ossani 46.

Ottone IV 9. Paleotti 49, 50, 51.

Panno 55.

Passatore (Pelloni) 46. Pelagio I 10.

Ravaglia 47, 48.

Riario 26. Ronchi 73.

Rossi 48. Sabattani 46, 47, 58, 68, 70, 71, 73.

Sabbioni 47, 73.

Salieri 73. Sandolone (Renzi) 46, 47.

San Marco 52, 53.

Santandrea 36, 40.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

91

Santarelli 16, 33, 34, 35, 37, 40, 41, 45, 58, 64, 69. Saracino 54, 55, 56.

Sforza 26.

Sisto IV 26, 27. Sorgato 55.

Spanocchia 48.

Stufa 25. Tagariello 74.

Turrini 73.

Umiliati 42. Verdiana 77.

Vettori 25.

Visconti 26. Zuffi 40.

Luoghi

Abello 43.

Accarisi (o carisi) vedi indice dei nomi.

Albignano 40. Alboro 8, 9, 15.

Allignano 47.

Bagura 40. Banzolino 81, 82.

Bastia 44.

Bello 14. Bianone 82.

Bignano 46.

Bignanone 40. Bignarello 40.

Bobbio 11.

Cabianca 40.

Caburaccia 43.

Ca’ del Vento 53.

Calderaro 43. Campeggio 43.

Campo del Ceresolo 40.

Casale 84. Casette 84.

Casetto di Campo 81.

Casino 41. Casola Valsenio 46, 50.

Cassano 43.

Cassino 54. Castel del Rio 50.

Castel S. Pietro Terme 8, 15, 66.

Cavezzana 85. Cellina 40.

Cervia 7.

Codrignano 10. Codronco 10, 44.

Croara 14, 16, 42, 43, 44, 47, 53, 80, 84, 89.

C. Valpidrio 54. Dozza 14, 16, 48, 57, 58, 62.

Ferendola 47. Fiagnano 14, 44, 69, 72. Cfr. anche Flagnano.

Fiamignano vedi Le Vallette.

Flagnano 8, 15, 16, 78. Cfr. anche Fiagnano. Fontana 43.

Fontanelice 50.

Forteronco 84.

Gallisterna 44. Gesso 15, 43, 81.

Le Vallette (Fiamignano) 37, 40.

Linaro 41, 46. Linea Gotica 32, 52.

Macerata 43, 44.

Masolini 86. Merendola 40, 41.

Mezzocolle 15, 16, 41, 44, 47, 62.

Molinella 27. Monte Bello 54.

Montecatone 13, 15, 16, 41, 42, 46, 55, 56, 77.

Monte del Re 80. Monte Meldola 41, 42.

Montepaolo 84.

Monterenzio 43. Morazze 40.

Murazze 46, 84, 85.

Norcia 44. Orvieto 44.

Pazzolo 40.

Pediano 41, 46. Pietra Santa 40.

Pieve di Gesso 10.

Pineta 85. Poggio 8.

Poggiolo 9, 15, 40, 41.

Pogiolo 14, 17. Ponte Santo 57.

Ponticelli 13, 22, 23, 46, 53, 80, 81, 82.

Ponti di Croara 83, 84, 86.

Raggio 40.

Ravignano 40.

Rifiano 40. Rimini 11.

Rio Casale 82.

Riola 46. Rio Mescola 84, 89.

Rio Salso 85.

Rivone 86. Ronco 53, 82, 86.

Santerno 11, 16, 26, 41, 42, 78.

Sassatello 43. Sellustra 62, 78, 84.

Senio 11.

Sillaro 8, 11, 15. Solame 40.

Tobruk 66.

Tombino 40. Torano 9.

Torrisella 40.

Tossignano 43, 50. Ulivi 86.

Vaison 10. Valpidriaca 77, 78.

Valsalva 10.

Valsellustra 14, 15, 62, 71, 74, 83, 84. Vigne del Piano 40.

Carlo D’Onofrio I mille anni di Pieve Sant’Andrea

92

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I morti della provincia di Bologna nella guerra MCMXV-MCMXVIII, a cura dell’Ufficio

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Mostra postuma del c.te prof. Tommaso Della Volpe, Imola 1978.

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Il patrimonio culturale della provincia di Bologna. Gli edifici di culto del territorio della

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Regini Renata. Urbanistica toponomastica storica di Imola, Imola 1962.

Repertorio dei castelli, rocche e torri, a cura di Ferruccio Montevecchi. Estratto da “Rocche

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Il restauro: intelligenza e progetto. Dalla ricostruzione ad oggi. Il decennio 1978-1988 a

cura di Anna Stanzani, repertorio a cura di Anna Selleri, Bologna 1990.

Rocche e castelli di Romagna, a cura di Domenico Berardi. 3° vol. Bologna 1972.

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Santarelli Crispino. Tre inventari: anni 1869, 1875 e 1902; fanno parte dell’archivio residuo

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Saracino Ugo. Memorie della guerra di liberazione, Bolzano 2011. Dattiloscritto originale

presso l’autore, copia nella documentazione agli atti della presente opera, inedito.

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di vita e storia imolesi”, 1 (1983).

Per la riproduzione di documenti, disegni, fotografie, ecc. si ringraziano l’Archivio

di Stato di Bologna (aut. n. 917 del 9 febbraio 2010); la Cineteca comunale di

Bologna (aut. AF 016/10 del 25 febbraio 2010); la Biblioteca Comunale di Imola;

il dott. Maurizio Flutti; la sig.ra Elide Cesarini; la sig.ra Domenica Crevenni;le

famiglie Cristiani e Poli; la famiglia Marchesi; il dott. Ugo Saracino; la diocesi di

Imola; il museo parrocchiale di Dozza; il Ministero per i Beni e le Attività

Culturali, autorizzazione del MiBAC, Archivio fotografico della Soprintendenza,

BSAE Bologna (aut. n. GFS 57118 del 13 gennaio 2011).

Con la sponsorizzazione degli abitanti e amici della Pieve di Sant’Andrea,

riconoscibili nel ritratto di gruppo alla fine del capitolo sul borgo in epoca

contemporanea: (da sinistra) Cristina Lelli, Idima Brusa, Oriano Cicognani,

Massimiliano Venturi, Alessandro Petrillo, Anna Rita Urso, Nicola Contillo, (nel

gruppo, in secondo piano) Federico Monterumisi (con il figlio Filippo sulle

spalle), Leonello Mosconi, Lorenzo Falzoni, Pio Cervati (con il figlio Luca in

braccio), Carlo D’Onofrio, don Francesco Nanni, Ronni Fiorentini, don

Francesco Corradossi, Giuliano Marzocchi, Francesca Marzocchi, (in primo

piano) Michela Cappelli, Federica Balducci, Laura Conti, Rosa D’Agostino, Liana

Farolfi, Valeria Marzocchi, Stella Toschi, don Massimo Martelli, Nicola

Monterumisi, Gaetano Mosconi Vighi, Lorenzo Cervati, Mattia Monterumisi, Gian

Guido Mosconi Vighi, (a destra) Loris Biagi, don Giuseppe Tagariello, Bianca

Dalmonte.