Carissimi, -...

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Carissimi, annotate sulla vostra agenda la data dal 3 al 7 settembre p.v., per- ché proprio in quella data celebreremo il XXXV Convegno Nazionale. A partire da Verona e in riferimento al XII capitolo del Compendio della DSC ci soffermeremo e confronteremo sulle tematiche relative alla “formazione”. Appena pronto il programma, che in collaborazio- ne con alcuni di voi stiamo approntando, ve lo comunicherò. Il problema della vita e della (dolce)morte sono gli argomenti di ri- flessione che trovate nel “dossier” di questo numero. Riprendere in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica aiuterebbe a evitare di ar- rampicarsi sui vetri nel tentativo di rispondere alle osservazioni, che ci provengono da più parti, le più svariate, e, anche, dal cosiddetto “nostro mondo cattolico”. Una lettura attenta delle “news”, oltre alla conoscenza del nuovo Presidente nazionale, il Dr. Sergio Marini, ci da la possibilità di ap- procciarci alla vitalità dei Movimenti Giovani, Donne e Pensionati, per coglierne tutta la ricchezza di iniziative e possibili spazi di nostra presenza. Nostra presenza che gli interventi dei Responsabili di questi Movimenti, oltre a quella del Direttore del Patronato Epaca, il Dr. Leo Fiorito, nel corso dell’Ultima Consulta hanno esplicitamente sostenu- to. Vedi in proposito il verbale redatto con accuratezza da Mons. Pao- lo Bonetti. La quaresima 2007 è all’insegna del “Quaranta giorni per speri- mentare la follia dell’amore di Dio.” E’ la proposta che fa Benedetto XVI nel Messaggio che ha scritto quest’anno in occasione della Quare- sima. Secondo quanto spiega il messaggio, che trovate integralmente nell’Editoriale, questa follia d’amore ha la sua espressione culminante nel Cristo crocifisso, Figlio di Dio. Per questo, il tema scelto è “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). “Nella Croce si manifesta l’eros di Dio per noi”, spiega il Pontefice, riprendendo un tema centrale della sua prima enciclica, la “Deus cari- tas est”. In “Bacheca”poi trovate le indicazioni per accedere ai sussidi pre- disposti dalla Caritas Italiana e l’Ufficio CEI per la pastorale della fa- miglia e che sono reperibili presso gli Uffici Caritas delle vostre Dio- cesi. Buona lettura di questo “foglio” e buon itinerario quaresimale. Con affetto P. Renato

Transcript of Carissimi, -...

Carissimi, annotate sulla vostra agenda la data dal 3 al 7 settembre p.v., per-ché proprio in quella data celebreremo il XXXV Convegno Nazionale. A partire da Verona e in riferimento al XII capitolo del Compendio della DSC ci soffermeremo e confronteremo sulle tematiche relative alla “formazione”. Appena pronto il programma, che in collaborazio-ne con alcuni di voi stiamo approntando, ve lo comunicherò. Il problema della vita e della (dolce)morte sono gli argomenti di ri-flessione che trovate nel “dossier” di questo numero. Riprendere in mano il Catechismo della Chiesa Cattolica aiuterebbe a evitare di ar-rampicarsi sui vetri nel tentativo di rispondere alle osservazioni, che ci provengono da più parti, le più svariate, e, anche, dal cosiddetto “nostro mondo cattolico”. Una lettura attenta delle “news”, oltre alla conoscenza del nuovo Presidente nazionale, il Dr. Sergio Marini, ci da la possibilità di ap-procciarci alla vitalità dei Movimenti Giovani, Donne e Pensionati, per coglierne tutta la ricchezza di iniziative e possibili spazi di nostra presenza. Nostra presenza che gli interventi dei Responsabili di questi Movimenti, oltre a quella del Direttore del Patronato Epaca, il Dr. Leo Fiorito, nel corso dell’Ultima Consulta hanno esplicitamente sostenu-to. Vedi in proposito il verbale redatto con accuratezza da Mons. Pao-lo Bonetti. La quaresima 2007 è all’insegna del “Quaranta giorni per speri-mentare la follia dell’amore di Dio.” E’ la proposta che fa Benedetto XVI nel Messaggio che ha scritto quest’anno in occasione della Quare-sima. Secondo quanto spiega il messaggio, che trovate integralmente nell’Editoriale, questa follia d’amore ha la sua espressione culminante nel Cristo crocifisso, Figlio di Dio. Per questo, il tema scelto è “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). “Nella Croce si manifesta l’eros di Dio per noi”, spiega il Pontefice, riprendendo un tema centrale della sua prima enciclica, la “Deus cari-tas est”. In “Bacheca”poi trovate le indicazioni per accedere ai sussidi pre-disposti dalla Caritas Italiana e l’Ufficio CEI per la pastorale della fa-miglia e che sono reperibili presso gli Uffici Caritas delle vostre Dio-cesi. Buona lettura di questo “foglio” e buon itinerario quaresimale. Con affetto P. Renato

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IN QUESTO NUMERO

EDITORIALE

NEWS ∗ Sergio Marini è il nuovo Presidente della Coldiretti - ∗ Roma 9 febbraio 2007 ∗ Federpensionati Coldiretti: La Federpensionati organizza

con le associazioni regionali gli incontri sulle politiche so-ciali in ogni regione

∗ DonneImpresa Coldiretti: DonneImpresa a Bruxelles ∗ GiovaniImpresa Coldiretti: Energia per il futuro dell’agri-

coltura e dell’economia italiana ∗ Viaggio studio Consiglieri Ecclesiastici Regionali ∗ Nuovi Consiglieri Ecclesiastici

DOSSIER EUTANASIA ∗ Sacra Congregazione per la Dottrina della fede - Dichiarazione sull’eutanasia ∗ Con la scusa dell’accanimento terapeutico Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ∗ Quando sospendere la terapia è un atto eutanasico? Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ∗ Dalla Prolusione del Card. Ruini al Consiglio Permanente

della CEI ∗ Io, Welby e la morte - Card. Carlo Maria Martini ∗ Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

BACHECA ∗ “Rilettura” delle Lettere dal lago di Como di Romano Guardini - a cura di Don Gabriele Gerini Consigliere Ecclesiastico Interprovinciale di Firenze-Prato ∗ Sussidi Quaresima ‘07 ".. come io vi ho amato" (Gv 13,34) ∗ Sussidi Quaresima ‘07 ".. come io vi ho amato" (Gv 13,34) Opuscolo per le famiglie

APPENDICE ∗ Verbale Consulta Consiglieri Ecclesiastici Regionali Roma 10/11 gennaio 2007 a cura di Mons. Paolo Bonetti - Consigliere Ecclesiastico Regionale Friuli Venezia Giulia

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EDITORIALE

“Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37)

Cari fratelli e sorelle! “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). E’ questo il tema biblico che quest’anno guida la nostra riflessio-ne quaresimale. La Quaresima è tempo propizio per imparare a sostare con Maria e Giovanni, il discepolo prediletto, accanto a Colui che sulla Croce consuma per l’intera umanità il sacrificio della sua vita (cfr Gv 19,25). Con più viva partecipazione volgia-mo pertanto il nostro sguardo, in questo tempo di penitenza e di preghiera, a Cristo crocifisso che, morendo sul Calvario, ci ha rivelato pienamente l’amore di Dio. Sul tema dell’amore mi sono soffermato nell’Enciclica Deus caritas est, mettendo in rilievo le sue due forme fondamentali: l’agape e l’eros. L’amore di Dio: agape ed eros Il termine agape, molte volte presente nel Nuovo Testamento, indica l’amore oblativo di chi ricerca esclusivamente il bene del-l’altro; la parola eros denota invece l’amore di chi desidera pos-sedere ciò che gli manca ed anela all’unione con l’amato. L’amo-re di cui Dio ci circonda è senz’altro agape. In effetti, può l’uo-mo dare a Dio qualcosa di buono che Egli già non possegga? Tut-to ciò che l’umana creatura è ed ha è dono divino: è dunque la creatura ad aver bisogno di Dio in tutto. Ma l’amore di Dio è an-che eros. Nell’Antico Testamento il Creatore dell’universo mo-stra verso il popolo che si è scelto una predilezione che trascende ogni umana motivazione. Il profeta Osea esprime questa passione divina con immagini audaci come quella dell’amore di un uomo per una donna adultera (cfr 3,1-3); Ezechiele, per parte sua, par-lando del rapporto di Dio con il popolo di Israele, non teme di utilizzare un linguaggio ardente e appassionato (cfr 16,1-22). Questi testi biblici indicano che l’eros fa parte del cuore stesso di Dio: l’Onnipotente attende il “sì” delle sue creature come un gio-

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vane sposo quello della sua sposa. Purtroppo fin dalle sue origini l’umanità, sedotta dalle menzogne del Maligno, si è chiusa all’a-more di Dio, nell’illusione di una impossibile autosufficienza (cfr Gn 3,1-7). Ripiegandosi su se stesso, Adamo si è allontanato da quella fonte della vita che è Dio stesso, ed è diventato il primo di “quelli che per timore della morte erano tenuti in schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,15). Dio, però, non si è dato per vinto, anzi il “no” dell’uomo è stato come la spinta decisiva che l’ha indotto a manifestare il suo amore in tutta la sua forza redentrice. La Croce rivela la pienezza dell’amore di Dio E’ nel mistero della Croce che si rivela appieno la potenza incon-tenibile della misericordia del Padre celeste. Per riconquistare l’amore della sua creatura, Egli ha accettato di pagare un prezzo altissimo: il sangue del suo Unigenito Figlio. La morte, che per il primo Adamo era segno estremo di solitudine e di impotenza, si è così trasformata nel supremo atto d’amore e di libertà del nuovo Adamo. Ben si può allora affermare, con san Massimo il Confes-sore, che Cristo “morì, se così si può dire, divinamente, poiché morì liberamente” (Ambigua, 91, 1956). Nella Croce si manifesta l’eros di Dio per noi. Eros è infatti - come si esprime lo Pseudo Dionigi - quella forza “che non permette all’amante di rimanere in se stesso, ma lo spinge a unirsi all’amato” (De divinis nomini-bus, IV, 13: PG 3, 712). Quale più “folle eros” (N. Cabasilas, Vita in Cristo, 648) di quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti? “Colui che hanno trafitto” Cari fratelli e sorelle, guardiamo a Cristo trafitto in Croce! E’ Lui la rivelazione più sconvolgente dell’amore di Dio, un amore in cui eros e agape, lungi dal contrapporsi, si illuminano a vicenda. Sulla Croce è Dio stesso che mendica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi. L’apostolo Tommaso riconobbe Gesù come “Signore e Dio” quando mise la mano nel-la ferita del suo costato. Non sorprende che, tra i santi, molti ab-biano trovato nel Cuore di Gesù l’espressione più commovente di

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questo mistero di amore. Si potrebbe addirittura dire che la rive-lazione dell’eros di Dio verso l’uomo è, in realtà, l’espressione suprema della sua agape. In verità, solo l’amore in cui si unisco-no il dono gratuito di sé e il desiderio appassionato di reciprocità infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici più pesanti. Ge-sù ha detto: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). La risposta che il Signore ardentemente desidera da noi è innanzitutto che noi accogliamo il suo amore e ci lascia-mo attrarre da Lui. Accettare il suo amore, però, non basta. Oc-corre corrispondere a tale amore ed impegnarsi poi a comunicarlo agli altri: Cristo “mi attira a sé” per unirsi a me, perché impari ad amare i fratelli con il suo stesso amore. Sangue ed acqua “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”. Guardiamo con fiducia al costato trafitto di Gesù, da cui sgorgarono “sangue e acqua” (Gv 19,34)! I Padri della Chiesa hanno considerato que-sti elementi come simboli dei sacramenti del Battesimo e dell’-Eucaristia. Con l’acqua del Battesimo, grazie all’azione dello Spirito Santo, si dischiude a noi l’intimità dell’amore trinitario. Nel cammino quaresimale, memori del nostro Battesimo, siamo esortati ad uscire da noi stessi per aprirci, in un confidente abban-dono, all’abbraccio misericordioso del Padre (cfr S. Giovanni Crisostomo, Catechesi, 3,14 ss.). Il sangue, simbolo dell’amore del Buon Pastore, fluisce in noi specialmente nel mistero eucari-stico: “L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù… veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione” (Enc. Deus caritas est, 13). Viviamo allora la Quaresima come un tempo ‘eucaristico’, nel quale, accogliendo l’amore di Gesù, impariamo a diffonderlo attorno a noi con ogni gesto e parola. Contemplare “Colui che hanno trafitto” ci spingerà in tal modo ad aprire il cuore agli altri riconoscendo le ferite inferte alla dignità dell’es-sere umano; ci spingerà, in particolare, a combattere ogni forma di disprezzo della vita e di sfruttamento della persona e ad alle-viare i drammi della solitudine e dell’abbandono di tante persone. La Quaresima sia per ogni cristiano una rinnovata esperienza del-

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l’amore di Dio donatoci in Cristo, amore che ogni giorno dobbia-mo a nostra volta “ridonare” al prossimo, soprattutto a chi più soffre ed è nel bisogno. Solo così potremo partecipare pienamen-te alla gioia della Pasqua. Maria, la Madre del Bell’Amore, ci guidi in questo itinerario quaresimale, cammino di autentica con-versione all’amore di Cristo. A voi, cari fratelli e sorelle, auguro un proficuo itinerario quaresimale, mentre con affetto a tutti invio una speciale Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 21 novembre 2006

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∗ Sergio Marini è il nuovo Presidente della Coldiretti - Roma 9 febbraio 2007

∗ Federpensionati Coldiretti: La Federpensionati organiz-za con le associazioni regionali gli incontri sulle politiche sociali in ogni regione

∗ DonneImpresa Coldiretti: DonneImpresa a Bruxelles ∗ GiovaniImpresa Coldiretti: Energia per il futuro dell’agri-

coltura e dell’economia italiana ∗ Viaggio studio Consiglieri Ecclesiastici Regionali ∗ Nuovi Consiglieri Ecclesiastici

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SERGIO MARINI E’ IL NUOVO PRESIDENTE DELLA COLDIRETTI - Roma 9 febbraio 2007

Sergio Marini, 42 anni, è il nuovo leader della Coldiretti che con oltre mezzo milione di imprese associate è la maggiore organizzazione agricola in Italia e in Europa. Lo ha eletto l’As-semblea di oltre trecento delegati giunti a Roma dalle campagne di tutte le regioni italiane con il 99 per cento dei consensi. Laureato in agraria con il massimo dei voti, Marini conduce u-n’impresa florovivaistica in serra, con piante ornamentali e seminativi in Umbria. Coniugato, due figli di 15 e 10 anni, ha assunto il primo incarico

in Coldiretti nel 1984 come Delegato provinciale del movimento giovanile di Terni. Dal 1997 è presidente di Coldiretti Umbria e dal 2001 Vicepresidente Nazionale. Il quinto presidente della sto-ria della Coldiretti avrà il compito di guidare una forza sociale che rappresenta le imprese agricole radicata sul territorio con 19 Federazioni regionali, 96 Federazioni provinciali e interprovin-ciali, oltre 724 uffici di zona e circa 6.000 sezioni periferiche che sono il riferimento della maggioranza assoluta delle imprese agri-cole italiane. “Valorizzare l’agricoltura come risorsa economica, sociale e ambientale per garantire alle imprese agricole opportu-nità di sviluppo e reddito in un quadro di piena integrazione del-l’agricoltura con gli interessi economici e sociali del Paese” è l’obiettivo dichiarato da Sergio Marini che, al momento dell’ele-zione, ha sottolineato che si tratta di “un impegno determinante per la competitività del Made in Italy, che trova nell’agroalimen-tare un punto di forza, e per la sicurezza alimentare e ambientale dei cittadini consumatori anche di fronte alle recenti emergenze climatiche e sanitarie”.

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LA FEDERPENSIONATI ORGANIZZA CON LE ASSOCIAZIONI REGIONALI

gli incontri sulle politiche sociali in ogni regione

Riprendono gli incontri sulle politiche sociali che la Federpen-sionati organizza in ogni regione, insieme alla Federazione re-gionale ai Consigli Direttivi Pensionati, di Donne Impresa e di Giovani Impresa, al fine di far conoscere, sul territorio, i Piani socio-assistenziali a vantaggio della terza età, ma che inte-ressano tutta la famiglia. “L’attuazione del piano socio-sanitario regionale in ambito locale”, ha come comune denominatore quel-la “società di persone” che è la caratteristica principale di una forza sociale qual’è la Coldiretti. Le Politiche sociali, con la leg-ge 328 del 2000, sono diventate un'opportunità di equità distri-butiva, che attraverso servizi e prestazioni modificano situa-zioni di svantaggio per categorie di cittadini più deboli. Infatti questa legge ha introdotto come principio fondante, ma soprattutto come finalità principale, la costruzione di un sistema integrato di servizi, indicando il Piano Sociale di zona quale strumento finalizzato a soddisfare i bisogni delle persone anziane, disabili e delle problematiche che investono la famiglia. La sua attuazione deve attuarsi attraverso lo strumento della con-certazione, con tutte le forze sociali presenti sul territorio, mentre la realizzazione deve vedere impegnati gli Organi preposti, se-condo il principio della sussidiarietà, in un sistema orizzonta-le e verticale, con la partecipazione di tutte le risorse e le forze sociali presenti sul territorio. Queste devono fare in mo-do che i Comuni si riapproprino dei loro specifici compiti, in materia di servizi sociali e sanitari, limitando e riducendo le componenti burocratiche. Si ritiene che le politiche sociali deb-bano essere investite, in maniera maggiore, più per il bene co-mune che per quello individuale, evidenziando le difficoltà che vivono gli anziani e i pensionati delle aree rurali e la neces-sità di predisporre ed attuare la realizzazione di una rete dei servizi locali.

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Si sono già svolti due incontri con la collaborazione delle federa-zioni regionali della Coldiretti Molise e Piemonte. Nelle due occasioni di incontro c’è stata la partecipazione di molti rappresentanti delle istituzioni, tra gli altri l’assessore alla sanità Mario Valpreda e l’assessore alle Politiche Sociali Angela Migliasso in Piemonte e in Molise del Presidente della Giunta regionale Michele Iorio. Inoltre partecipano il Presidente e il Di-rettore regionale Coldiretti, il presidente Natale Carlotto e il Se-gretario Danilo Elia della Federpensionati e i segretari provinciali delle Associazioni Pensionati. In primo luogo, si è ribadita l'e-sigenza che, nell'attuale situazione economica, vengano indi-viduati specifiche politiche per la famiglia e in particolare per quelle con componenti disabili. Queste politiche socio-sanitarie, a vantaggio della categoria, de-vono caratterizzarsi di interventi ed azioni dirette a privilegiare la qualità della vita e il benessere della famiglia, instaurando servizi sostitutivi nonché aiuti per superare lo stato di disa-gio economico del nucleo familiare che assiste i propri con-giunti. Bisogna istituire servizi per favorire la permanenza degli anziani nelle comunità di appartenenza, tenendo presente che essi svolgono una funzione sociale all'interno delle famiglie e, in particolare per i coltivatori del territorio (è più conveniente economicamente, tenere, gli anziani in famiglia che ospedaliz-zarli). Bisognerebbe avviare protocolli d'intesa con Enti istitu-zionali territoriali al fine di razionalizzare i servizi, erogare assi-stenza, utilizzando risorse che provengono dall'integrazione dei vari piani programmatici territoriali. Rispettando la tradizione che si rinnova ad ogni incontro è stato ascoltato con grande inte-resse il momento di riflessione e di aggregazione del Consigliere Ecclesiastico nazionale Padre Renato Gaglianone. “Quando soli-darietà chiama, Coldiretti risponde” Non si può ignorare l’impor-tanza della tematica socio-assistenziale e qui si vuol elogiare quanto fatto dalla Federpensionati sino ad oggi, perchè è riuscita a creare una rete che non si occupa solo di previdenza ma, anche di sociale in senso più ampio.

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DONNE IMPRESA A BRUXELLES

Venerdì 26 gennaio si è svolto a Bruxel-les un workshop del Copa-Cogeca “Lotta contro l’obesità nella UE. Un partenariato di iniziativa agricola a livello locale”. La presidente Annette Toft ha dichiarato “Aprire la strada a favore di comunità locali più sane attraverso attività sul pia-no locale fornisce una risposta coesiva al

preoccupante aumento delle malattie croniche e al diffondersi dell’obesità, che oggi reclamano un prezzo elevato alla società europea. Gli agricoltori europei sono pronti a contribuire a racco-gliere questa sfida”. Il workshop è stato organizzato nel quadro generale della piatta-forma d’azione europea sulla dieta, l’attività fisica e la salute lan-ciata dal Commissario europeo, Markos Kyprianou, responsabile per la salute e la tutela dei consumatori, dopo che le cifre aveva-no dimostrato un aumento esponenziale dell’obesità in tutta l’U-nione europea, soprattutto tra i bambini e gli adolescenti. Al con-vegno erano presenti i rappresentanti delle istituzioni europee, dei governi nazionali, delle ONG e del settore privato per indivi-duare ed analizzare le lacune in termini di partenariati, attività e gruppi bersaglio e migliorare la cooperazione tra di loro per ga-rantire una dieta sana. Nel 2005 l'International Obesity Taskforce (IOFT) ha previsto che nella UE l'incremento di scolari in sovrappeso sarebbe stato di circa 400.000 unità. A fronte di tale fenomeno le organizzazio-ni membri di tutti i paese della UE hanno incrementato iniziative a livello locale sull’alimentazione, come ad esempio la distribu-zione di pasti sani nelle scuole, le fattorie didattiche, i mercati alimentari locali e il materiale didattico per i giovani. Il progetto Educazione alla Campagna Amica, nato nel 1999-2000 si inserisce a pieno titolo nell'ambito di queste politiche.

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Di fronte ad una platea particolarmente interessata e ricettiva, Alessandra Tazza, Responsabile Nazionale del progetto, ne ha illustrato ampiamente le motivazioni, le finalità, gli obiettivi e i temi. I giovanissimi, veri protagonisti nonché fruitori di tale progetto, devono divenire consumatori consapevoli. La terra, i piatti tipici, gli animali, il lavoro agricolo, rischiano di essere per loro solo realtà virtuali. L'educazione e i comportamenti alimentari corretti devono passa-re attraverso la conoscenza e l'esperienza diretta, la scoperta ed il gioco. Nell'ambito del progetto i temi affrontati e sviluppati nel corso di questi anni sono stati L'Educazione Alimentare, l'Educa-zione al Territorio e l'Educazione alla Sostenibilità. L'obesità gio-vanile, i disturbi alimentari, quali anoressia e bulimia, problemi con cui si devono confrontare le famiglie e la società, saranno il tema della programmazione 2007/2008. E’ opportuno sottolineare che determinante per la buona riuscita del progetto, è stata e sarà la metodologia utilizzata. L'iter del-l'"imparare facendo" non si avvale della mera nozionistica, ma privilegia i comportamenti, le esperienze sensoriali ed emotive. Questo approccio metodologico ha suscitato reazioni decisamen-te positive nei partecipanti al seminario che ne hanno apprezzato l'innovatività nonché la riproducibilità in altre realtà. Il progetto ha senza dubbio prodotto risultati significativi in quanto ha coinvolto nel corso degli anni 2000-2006 circa 400.000 allievi delle scuole del 1° e 2° ciclo. Non bisogna sentirsi appagati dai successi finora riportati, ma attraverso il contributo fattivo di genitori, scuole, comunità loca-li, governi,dettaglianti, grossisti e istituti di ricerca, far sì che lo slogan "Dimmi come mangi e ti dirò come cresci" diventi final-mente una realtà di vita.

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GIOVANI IMPRESA: ENERGIA PER IL FUTURO DELL’AGRICOLTURA E DELL’ECONOMIA ITALIANA

Le imprese agricole giovani rappresentano la componente più dinamica dell’agricoltura italiana e stanno dimostrando di essere in grado di contribuire in maniera importante allo sviluppo dell’-economia del nostro Paese in un nuovo contesto in cui perdono importanza i vecchi modelli industriali del ventesimo secolo, per lasciare spazio ad una nuova concezione dello sviluppo che or-mai in molti definiscono “post industriale”. La strategia del Movimento Giovanile Coldiretti si esprime gior-no dopo giorno in azioni concrete che valorizzano le idee di molti giovani che oggi, in Italia, credono nell’agricoltura e in suo ruolo rinnovato all’interno della società. Il nostro obiettivo è quello di rimuovere sempre più gli ostacoli ancora presenti e fare in modo che ogni giovane possa trasformare il proprio sogno imprendito-riale in realtà, nel rispetto delle esigenze dei cittadini consumatori che chiedono garanzie in termini di sicurezza alimentare, am-bientale e qualità dei prodotti. Il 2006, appena terminato, ci ha visti protagonisti di eventi im-portanti che si inseriscono nella “logica del fare” che ci appartie-ne. Da ultimo, in ordine di tempo, la premiazione della prima edi-zione dell’Oscar Green. Più di trecento giovani imprese prove-nienti da ogni Regione si sono messe alla prova in un concorso che ha voluto dimostrare a tutta la società italiana la voglia di fa-re impresa in agricoltura. Dal recupero di animali in via di estin-zione al coinvolgimento di disabili in azienda, dall’innovazione di prodotto al recupero delle tipicità, dalla riscoperta delle pro-prietà medicinali delle piante all’uso non alimentare delle coltiva-zioni, fino alla trasformazione e vendita aziendale dei prodot-ti, sono solo alcune delle attività che vedono impegnati i vincito-ri dell’ “OSCAR GREEN”. Non si è trattato di una “sagra delle eccellenze”, ma della concretizzazione di modelli di impresa pos-sibili, realizzabili, competitivi sul mercato, che sanno generare ricchezza non solo per sé ma anche e soprattutto per l’economia

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del nostro Paese. Sempre nel 2006 è giunta a conclusione un’esperienza formativa di altissimo livello che il Movimento Giovanile Coldiretti ha pro-mosso con grande successo: il “Vivaio dei Talenti”, un percorso formativo della durata di due anni che si è avvalso delle più mo-derne tecnologie informatiche e dei migliori docenti universitari e consulenti aziendali per diffondere nelle campagne la cultura d’impresa con la realizzazione di veri e propri “work project”. L’aspetto più interessante è la concretezza dei risultati: sono 30 i progetti d’impresa innovativi già in parte avviati sul territorio, che riguardano la vendita diretta di prodotti da parte delle impre-se agricole e danno il senso di come i giovani imprenditori agri-coli siano pronti a dare il loro contributo al rilancio della compe-titività del sistema Italia. Ma i risultati raggiunti, anche se ragguardevoli, non ci distolgono dal cammino che abbiamo di fronte. Un cammino che, durante l’Assemblea nazionale del Movimento Giovanile dello scorso 6 dicembre, è emerso con chiarezza e che può essere sintetizzato nello slogan: “Giovani Impresa - Energia per il Futuro”. Se da un lato ciò richiama un ambito innovativo e interessante per le imprese agricole, come quello delle agro-energie e delle opportu-nità di reddito che ne derivano, dall’altro abbiamo un’ambizione più grande. Vogliamo essere vera energia per l’agricoltura e per l’economia italiana, mettendo al centro della nostra strategia e della nostra azione l’impresa agricola multifunzionale, che ri-sponde ad un modello di sviluppo competitivo e sostenibile al tempo stesso e vogliamo sviluppare tutti gli strumenti per render-la sempre più in grado di stare sul mercato con regole certe e tra-sparenti, a partire dall’indicazione obbligatoria dell’origine in etichetta, che Coldiretti difende e che oggi è voluta anche da tutte le organizzazioni agricole giovanili in Europa, come sottoscritto nel corso di un seminario del Consiglio Europeo dei Giovani A-gricoltori che si è svolto ad Orvieto nel mese di aprile scorso. Per il 2007 il Movimento Giovanile Coldiretti vuole impegnarsi con forza sul territorio, che riteniamo il vero valore aggiunto del-

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la nostra economia. Un valore aggiunto non delocalizzabile come avviene invece per gli altri fattori della produzione. Le nostre parole d’ordine per il nuovo anno appena iniziato, i nostri “buoni propositi” sono chia-ri: operatività, progettualità e territorialità, per tirare fuori i sogni dal cassetto dei giovani imprenditori agricoli e trasformarli in realtà, per dare un contributo al rilancio della competitività del sistema Italia e per dimostrare di essere “Energia per il Futuro” dell’agricoltura e del nostro Paese. ——————————————————————————- ∗ Il viaggio studio dei Consiglieri Ecclesiastici Regionali si

svolgerà a Piacenza nella settimana dal 26 al 29 giugno 2007.

NUOVI CONSIGLIERI ECCLESIASTICI Ciaburri Don Gaetano Consigliere Ecclesiastico Diocesano Via Fabio Massimo 82030 FAICCHIO (Bn) Mazzoleni Don Paolo Consigliere Ecclesiastico Provinciale Isernia 86073 COLLI AL VOLTURNO (Is)

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EUTANASIA ∗ Sacra Congregazione per la Dottrina della fede — Dichiarazione sull’eutanasia ∗ Con la scusa dell’accanimento terapeutico Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ∗ Quando sospendere la terapia è un atto eutanasico? Dott.ssa Claudia Navarini - Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ∗ Dalla Prolusione del Card. Ruini al Consiglio Permanen-

te della CEI ∗ Io, Welby e la morte - Card. Carlo Maria Martini ∗ Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

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SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

DICHIARAZIONE SULL'EUTANASIA

Introduzione I diritti e i valori inerenti alla persona umana occupano un posto importante nella problematica contemporanea. Al riguardo, il Concilio Ecumenico Vaticano II ha solennemente riaffermato l’eccellente dignità della persona umana e in modo particolare il suo diritto alla vita. Ha perciò denunciato i crimini contro la vita “come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario” (Gaudium et Spes, 27). La Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, che di recen-te ha richiamato la dottrina cattolica circa l’aborto procurato, (Declaratio de abortu procurato, die 18 nov. 1974: AAS 66 [1974] 730-747.) ritiene ora opportuno proporre l’insegnamento della Chiesa sul problema dell’eutanasia. In effetti, per quanto restino sempre validi i principii affermati in questo campo dai recenti Pontefici, (Pio XII, Allocutio ad Dele-gatos Unionis Internationalis Sodalitatum mulierum catholica-rum, die 11 sept. 1947: AAS 39 [1947] 483; Allocutio ad membra Unionis Catholicae Italicae inter obstetrices, die 29 oct. 1951: AAS 43 [1951] 835-854; Allocutio ad membra Consilii Interna-tionalis inquisitionis de medicina exercenda inter milites, die 19 oct. 1953: AAS 45 [1953] 744-754; Allocutio ad participantes XI Congressum Societatis Italicae de anaesthesiologia, die 24 febr. 1957: AAS 49 [1957] 146; cf. etiam Allocutio circa queestionem de “reanimatione”, die 24 nov. 1957: AAS 49 [1957] 1027-1033; Paolo VI, Allocutio ad membra Consilii Specialis Nationum Uni-tarum versantis in quaestione “Apartheid”, die 22 maii 1974: AAS 66 [1974] 346; Giovanni Paolo II, Allocutio ad Episcopos Statuum Foederatorum Americae Septentrionalis, die 5 oct 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 2 [1979] 629ss) i progressi della medicina hanno messo in luce negli anni più recenti nuovi aspetti del problema dell’eutanasia, che richiedono ulteriori pre-

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cisazioni sul piano etico. Nella società odierna, nella quale non di rado sono posti in causa gli stessi valori fondamentali della vita umana, la modificazione della cultura influisce sul modo di considerare la sofferenza e la morte; la medicina ha accresciuto la sua capacità di guarire e di prolungare la vita in determinate condizioni, che talvolta solleva-no alcuni problemi di carattere morale. Di conseguenza, gli uo-mini che vivono in un tale clima si interrogano con angoscia sul significato dell’estrema vecchiaia e della morte, chiedendosi con-seguentemente se abbiano il diritto di procurare a se stessi o ai loro simili la “morte dolce”, che abbrevierebbe il dolore e sareb-be, ai loro occhi, più conforme alla dignità umana. Diverse Conferenze Episcopali hanno posto, in merito, dei quesiti a questa S. Congregazione per la Dottrina della Fede, la quale, dopo aver chiesto il parere di competenti sui vari aspetti dell’eu-tanasia, intende con questa Dichiarazione rispondere alle richie-ste dei Vescovi per aiutarli ad orientare rettamente i fedeli e per offrire loro elementi di riflessione da far presenti alle Autorità civili a proposito di questo gravissimo problema. La materia proposta in questo Documento riguarda, innanzi tutto, coloro che ripongono la loro fede e la loro speranza in Cristo, il quale, mediante la sua vita, la sua morte e la sua risurrezione, ha dato un nuovo significato all’esistenza e soprattutto alla morte del cristiano, secondo le parole di San Paolo: “Sia che viviamo, viviamo per il Signore; sia che moriamo, moriamo per il Signore. Quindi, sia che viviamo, sia che moriamo siamo del Signo-re” (Rm 14,8; cf. Fil 1,20). Quanto a coloro che professano altre religioni, molti ammetteran-no con noi che la fede in un Dio creatore, provvido e padrone della vita - se la condividono - attribuisce una dignità eminente a ogni persona umana e ne garantisce il rispetto. Si spera, ad ogni modo, che questa Dichiarazione incontri il con-senso di tanti uomini di buona volontà, che, al di là delle diffe-renze filosofiche o ideologiche, hanno tuttavia una viva coscien-za dei diritti della persona umana. Tali diritti, d’altronde, sono

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stati spesso proclamati nel corso degli ultimi anni da dichiarazio-ni di Congressi Internazionali; (Attendatur peculiari modo ad Ad-monitionem 779 [1976] de iuribus aegrotorum et morientium, quae acceptata fuit a Coetu Deputatorum Consilii Europae, in XXVII sessione ordinaria. cf. SIPECA, n. 1, mense martio 1977, pp. 14-15.) è poiché si tratta qui dei diritti fondamentali di ogni persona umana, è evidente che non si può ricorrere ad argomenti desunti dal pluralismo politico o dalla libertà religiosa, per negar-ne il valore universale. I. Valore della vita umana La vita umana è il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la con-dizione necessaria di ogni attività umana e di ogni convivenza sociale. Se la maggior parte degli uomini ritiene che la vita abbia un carattere sacro e che nessuno ne possa disporre a piacimento, i credenti vedono in essa anche un dono dell’amore di Dio, che sono chiamati a conservare e a far fruttificare. Da quest’ultima considerazione derivano alcune conseguenze: 1. Nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all’amore di Dio per lui, senza violare un diritto fonda-mentale, inammissibile e inalienabile, senza commettere, perciò, un crimine di estrema gravità. (Hic omnino praetermittuntur qua-estiones de poena mortis et de bello, quae postulant ut aliae fiant peculiares considerationes, quae huius Declarationis argomento extraneae sunt.) 2. Ogni uomo ha il dovere di conformare la sua vita al disegno di Dio. Essa gli è affidata come un bene che deve portare i suoi frut-ti già qui in terra, ma trova la sua piena perfezione soltanto nella vita eterna. 3. La morte volontaria ossia il suicidio è, pertanto, inaccettabile al pari dell’omicidio: un simile atto costituisce, infatti, da parte dell’uomo, il rifiuto della sovranità di Dio e del suo disegno di amore. Il suicidio, inoltre, è spesso anche rifiuto dell’amore verso se stessi, negazione della naturale aspirazione alla vita, rinuncia di fronte ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso le varie comunità e verso la società intera, benché talvolta inter-

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vengano- come si sa- dei fattori psicologici che possono attenua-re o, addirittura, togliere la responsabilità. Si dovrà, tuttavia, tenere ben distinto dal suicidio quel sacrificio con il quale per una causa superiore - quali la gloria di Dio, la salvezza delle anime, o il servizio dei fratelli - si offre o si pone in pericolo la propria vita (cf. Gv 15,14). II. L’eutanasia Per trattare in maniera adeguata il problema dell’eutanasia, con-viene, innanzi tutto, precisare il vocabolario. Etimologicamente la parola eutanasia significava, nell’antichità, una morte dolce senza sofferenze atroci. Oggi non ci si riferisce più al significato originario del termine, ma piuttosto all’inter-vento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell’agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematu-ramente la vita. Inoltre, il termine viene usato, in senso più stret-to, con il significato di “procurare la morte per pietà”, allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare a bam-bini anormali, ai malati mentali o agli incurabili il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla società. È quindi necessario dire chiaramente in quale senso venga preso il termine in questo Documento. Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore. L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzio-ni e dei metodi usati. Ora, è necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessu-no può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incura-bile o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabili-tà, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessu-na autorità può legittimamente imporlo né permetterlo. Si tratta, infatti, di una violazione della legge divina, di una offesa alla di-gnità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un at-

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tentato contro l’umanità. Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopporta-bile, ragioni di ordine affettivo o diversi altri motivi inducano qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o procurarla ad altri. Benché in casi del genere la responsabilità personale possa esser diminuita o perfino non sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza - forse pure in buona fede - non modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile. Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese come espressione di una vera volontà di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre ri-chieste angosciate di aiuto e di affetto. Oltre le cure mediche, ciò di cui l’ammalato ha bisogno, è l’amore, il calore umano e so-prannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti colo-ro che gli sono vicini, genitori e figli, medici e infermieri. III. Il cristiano di fronte alla sofferenza e all’uso di analgesici La morte non avviene sempre in condizioni drammatiche, al ter-mine di sofferenze insopportabili. Né si deve sempre pensare uni-camente ai casi estremi. Numerose testimonianze concordi lascia-no pensare che la natura stessa ha provveduto a rendere più leg-geri al momento della morte quei distacchi, che sarebbero terri-bilmente dolorosi per un uomo in piena salute. Perciò una malat-tia prolungata, una vecchiaia avanzata, una situazione di solitudi-ne e di abbandono, possono stabilire delle condizioni psicologi-che tali da facilitare l’accettazione della morte. Tuttavia, si deve riconoscere che la morte, preceduta o accompa-gnata spesso da sofferenze atroci e prolungate, rimane un avveni-mento, che naturalmente angoscia il cuore dell’uomo. Il dolore fisico è certamente un elemento inevitabile della condi-zione umana; sul piano biologico, costituisce un avvertimento la cui utilità è incontestabile; ma poiché tocca la vita psicologica dell’uomo, spesso supera la sua utilità biologica e pertanto può assumere una dimensione tale da suscitare il desiderio di elimi-narlo a qualunque costo. Secondo la dottrina cristiana, però, il dolore, soprattutto quello

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degli ultimi momenti di vita, assume un significato particolare nel piano salvifico di Dio; è infatti una partecipazione alla Pas-sione di Cristo ed è unione al sacrificio redentore, che Egli ha offerto in ossequio alla volontà del Padre. Non deve dunque me-ravigliare se alcuni cristiani desiderano moderare l’uso degli a-nalgesici, per accettare volontariamente almeno una parte delle loro sofferenze e associarsi così in maniera cosciente alle soffe-renze di Cristo crocifisso (cf. Mt 27,34). Non sarebbe, tuttavia, prudente imporre come norma generale un determinato compor-tamento eroico. Al contrario, la prudenza umana e cristiana sug-gerisce per la maggior parte degli ammalati l’uso dei medicinali che siano atti a lenire o a sopprimere il dolore, anche se ne possa-no derivare come effetti secondari torpore o minore lucidità. Quanto a coloro che non sono in grado di esprimersi, si potrà ra-gionevolmente presumere che desiderino prendere tali calmanti e somministrarli loro secondo i consigli del medico. Ma l’uso intensivo di analgesici non è esente da difficoltà, poiché il fenomeno dell’assuefazione di solito obbliga ad aumentare le dosi per mantenerne l’efficacia. Conviene ricordare una dichiara-zione di Pio XII, la quale conserva ancora tutta la sua validità. Ad un gruppo di medici che gli avevano posto la seguente domanda: “La soppressione del dolore e della coscienza per mezzo dei nar-cotici... è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al paziente (anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la vita)?”, il Papa rispose: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedi-sce l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: Sì” (Pio XII, Allocutio, die 24 febr. 1957: AAS 49 [1957] 147). In questo caso, infatti, è chiaro che la morte non è voluta o ricercata in alcun mo-do, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si in-tende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone. Gli analgesici che producono negli ammalati la perdita della co-scienza, meritano invece una particolare considerazione. È molto importante, infatti, che gli uomini non solo possano soddisfare ai

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loro doveri morali e alle loro obbligazioni familiari, ma anche e soprattutto che possano prepararsi con piena coscienza all’incon-tro con il Cristo. Perciò Pio XII ammonisce che “non è lecito pri-vare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo” (Pio XII, Allocutio, die 24 febr. 1957: AAS 49 [1957] 145; cf. Pio XII, Allocutio, die 9 sept. 1958: AAS 50 [1958] 694). IV. L’uso proporzionato dei mezzi terapeutici È molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana e la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo. Di fatto, alcuni parlano di “diritto alla morte”, espressione che non desi-gna il diritto di procurarsi o farsi procurare la morte come si vuo-le, ma il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e cristiana. Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici talvolta può sollevare dei problemi. In molti casi la complessità delle situazioni può essere tale da far sorgere dei dubbi sul modo di applicare i principi della morale. Prendere delle decisioni spetterà in ultima analisi alla coscienza del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo, op-pure anche dei medici, alla luce degli obblighi morali e dei diver-si aspetti del caso. Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che han-no in cura gli ammalati devono prestare la loro opera con ogni diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno necessari o utili. Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? Finora i moralisti rispondevano che non si è mai obbli-gati all’uso dei mezzi “straordinari”. Oggi però tale risposta, sempre valida in linea di principio, può forse sembrare meno chiara, sia per l’imprecisione del termine che per i rapidi progres-si della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzi “proporzionati” e “sproporzionati”. In ogni caso, si potranno va-lutare bene i mezzi mettendo a confronto il tipo di terapia, il gra-do di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare,

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tenuto conto delle condizioni dell’ammalato e delle sue forze fisi-che e morali. Per facilitare l’applicazione di questi principi generali si possono aggiungere le seguenti precisazioni: - In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità per il bene dell’umanità. - È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto deside-rio dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medi-ci veramente competenti; costoro potranno senza dubbio giudica-re meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di perso-nale è sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche mes-se in opera impongono al paziente sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre. - È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può, quindi, imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia non è ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio: significa piuttosto o semplice accetta-zione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività. - Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento preca-rio e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure norma-li dovute all’ammalato in simili casi. Perciò il medico non ha mo-tivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad una persona in pericolo.

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Conclusione Le norme contenute nella presente Dichiarazione sono ispirate dal profondo desiderio di servire l’uomo secondo il disegno del Creatore. Se da una parte la vita è un dono di Dio, dall’altra la morte è ineluttabile; è necessario, quindi, che noi, senza preveni-re in alcun modo l’ora della morte, sappiamo accettarla con piena coscienza della nostra responsabilità e con tutta dignità. È vero, infatti, che la morte pone fine alla nostra esistenza terrena, ma allo stesso tempo apre la via alla vita immortale. Perciò tutti gli uomini devono prepararsi a questo evento alla luce dei valori u-mani, e i cristiani ancor più alla luce della loro fede. Coloro che si dedicano alla cura della salute pubblica non trala-scino niente per mettere al servizio degli ammalati e dei moribon-di tutta la loro competenza; ma si ricordino anche di prestare loro il conforto ancor più necessario di una bontà immensa e di una carità ardente. Un tale servizio prestato agli uomini è anche un servizio prestato al Signore stesso, il quale ha detto: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Roma, dalla sede della Sacra Congregazione per la Dottrina del-la Fede, il 5 maggio 1980

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CON LA SCUSA DELL’ACCANIMENTO TERAPEUTICO Dott.ssa Claudia Navarini *

“Nel 1978 ci fu il caso Quinlan, che verteva sul distacco del re-spiratore e aprì la strada al cosiddetto 'diritto di morire'. Il concet-to di autonomia del paziente non può essere usato per dare una vernice di rispettabilità al dovere di morire”. Queste parole sono state pronunciate dal giornalista americano Wesley J. Smith, intervistato sulla morte di Piergiorgio Welby, come riportato dal “Foglio” in un articolo di Giulio Meotti (G. Meotti, Quando sentite parlare di qualità e di dignità della vita, allontanatevi, “Il Foglio”, 23/12/2006). Smith, che aveva testi-moniato nel caso Terry Schiavo a favore del mantenimento in vita della donna, osserva come la dottrina della “qualità della vi-ta” stia diventando una sorta di “nuova religione”, improntata ad uno stravolgimento del concetto stesso di umanità (il transuma-nesimo) e viziata da un profondo pregiudizio ideologico: in virtù di una fraintesa nozione di uguaglianza, infatti, per la quale si dovrebbe offrire a ciascuno il diritto di scegliere i tempie e i modi della propria morte, si giustifica l’ingiusta discriminazione fra persone e “non persone”, cioè fra vite degne e vite “non degne di essere vissute”. Secondo tale prospettiva, afferma Smith, “non persone sarebbero gli embrioni e i feti, alcuni bioeticisti dicono anche alcuni nuovi nati, Terri Schiavo e Ronald Reagan durante le fasi finali dell'Al-zheimer. Il vero problema è una visione asfissiante di ciò che ci rende umani e può portarci nell'abisso, un mondo puramente ma-terialistico e darwinistico dove il forse diventa il giusto”. Così, nell’attuale dibattito sulla fine della vita, un caso clinico e umano specifico diviene lo strumento attraverso cui attivare una campagna pervasiva e sottile a favore dell’eutanasia, una campa-gna a cui non giovano i commenti della stampa straniera, talora a causa di una comprensione non piena della situazione, talora per la mentalità già fortemente influenzata dal fronte pro-eutanasico nei rispettivi paesi. La morte di Piergiorgio Welby ha addolorato tutti, e ha accre-

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sciuto enormemente i dubbi e le domande sul ruolo del medico, sull’autonomia del paziente, sui suoi diritti, sui suoi doveri. Il fatto è tanto più doloroso in quanto proprio mentre si decideva la fine di Welby, il mondo medico – e con lui quello culturale e po-litico – stava compiendo interessanti tentativi per rivedere l’im-postazione con cui il “caso” era stato costruito, presentato, com-mentato. In particolare, si stava cercando di dare un parere medi-co, ragionato e autorevole, che cercasse finalmente di tenere in considerazione tutti i fattori in gioco, e non soltanto quelli messi in evidenza da una certa propaganda. Ne stava emergendo un quadro interessante, che destava sospetti sull’adeguatezza dell’assistenza medico-sanitaria e psicologico-relazionale ricevuta da Piergiorgio Welby, e che poneva l’atten-zione sul ruolo del medico nelle inquietanti richieste di eutanasia, rompendo così la lunga catena di discorsi basati pressoché esclu-sivamente sull’autodeterminazione – assoluta – del paziente, e rimettendo al centro l’inevitabile responsabilità del medico e la natura dell’atto medico nella questione dell’eutanasia. Tre sembrano essere i punti su cui fermare l’attenzione per co-gliere la problematicità del dibattito nel dopo-Welby. Il primo punto è la libertà di rifiutare la terapia. Molti hanno affermato che il caso Welby non riguardava affatto l’eutanasia, ma sempli-cemente il sacrosanto diritto dei pazienti di rifiutare un trattamen-to sanitario, pretendendone la sospensione quando ritenuto “troppo gravoso”. Tale diritto va inteso tuttavia correttamente: è vero che non è lecito imporre un trattamento sanitario ad un pa-ziente, esclusi i casi specificati per legge, ma non è parimenti le-cito sospendere un trattamento sanitario già iniziato, efficace – cioè non sproporzionato in relazione agli obiettivi specifici per cui è stato intrapreso – e la cui interruzione equivale a procurare la morte. Un medico, infatti, non può agire in modo da provocare direttamente la morte, sia pure come mezzo per ottenere uno sco-po buono, come eliminare il dolore. Dunque, è assolutamente fondamentale valutare il significato del-la richiesta di sospensione del trattamento da parte del paziente.

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Se è effettivamente la richiesta di interruzione di un trattamento non più tollerato in quanto non (più) proporzionato alle condizio-ni del malato, si tratterà di rifiuto dell’accanimento terapeutico, che doverosamente ogni medico sosterrà. Se si tratta invece di una richiesta di morte per mezzo della sospensione di un tratta-mento dovuto – a volte nemmeno di una terapia, come nel caso dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali – allora il medico semplicemente non potrà eseguire la richiesta, perché ciò coin-volgerebbe il suo intervento in un atto occisivo e non curativo, e dunque nell’esecuzione di un atto non medico di grave portata per il paziente e in generale per il significato dell’assistenza sani-taria. Anche il rifiuto previo di una terapia da parte di un paziente po-trebbe invero indicare una volontà suicidaria, e tuttavia la situa-zione è alquanto differente, dal momento che – in questo caso – non si tratta di intervenire per assecondare la volontà suicidaria del paziente, ma dell’impossibilità di intervenire in suo favore, pur avendone l’intenzione e avendo cercato con forza di persua-derlo in tal senso (C. Navarini, Quando sospendere la terapia è un atto eutanasico?, ZENIT, 29 ottobre 2006). Che è quanto dire: mentre il paziente capace di intendere e di vo-lere – di cui una valutazione specifica abbia dimostrato la totale lucidità – ha sempre la possibilità di rifiutare preventivamente un trattamento sanitario, anche se ciò gli procurasse un danno e al limite anche se ciò avvenisse per esplicita volontà di morire, lo stesso paziente non ha il diritto di chiedere ad un medico di dargli la morte, né in modo attivo (somministrazione di un farmaco le-tale) né in modo passivo (sospensione di un trattamento necessa-rio alla vita). Azione e omissione, in altre parole, sono entrambi modi con cui si può infliggere direttamente e intenzionalmente la morte di una persona, diversamente da quanto avviene quando, ad esempio con la somministrazione di analgesici o con il rifiuto di un trattamento sproporzionato, si causa indirettamente l’antici-pazione della morte. In tali casi, infatti, la morte non è ricercata come mezzo né come fine, ma è conseguenza non voluta – anche

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se talora prevedibile – di un atto teso alla cura del paziente. Si arriva così al secondo decisivo punto di attenzione: l’uso di-storto dell’accanimento terapeutico. Gran parte delle discussioni dell’ora presente, in Italia, riguardano proprio questo tema. Ci si chiede affannosamente se la morte di Piergiorgio Welby sia av-venuta per legittimo rifiuto dell’accanimento terapeutico o per eutanasia passiva (qualcuno ipotizza perfino che possa essere sta-ta attiva). In questo senso, non sono poche le voci che, a livello nazionale e internazionale e anche in ambito cattolico, affermano che il caso sia del tutto a-problematico dal punto di vista etico, e che sia stato enfatizzato dai mezzi di comunicazione, scatenando il dibattito sull’eutanasia a partire da un evento che con l’eutana-sia non ha in sé nulla a che vedere. Eppure non si può non notare che Welby è stato un uomo politi-co, oltre ad un uomo sofferente e malato, e che ripetutamente si è espresso a favore dell’eutanasia, al punto da saldare strettamente la sua richiesta di morire all’eutanasia, e non al rifiuto dell’acca-nimento terapeutico. In effetti, il fondamentale elemento discri-minante per distinguere l’accanimento terapeutico dalle cure do-vute è, come già ricordato, la valutazione medica dell’inefficacia di una terapia o di un trattamento sanitario in relazione agli o-biettivi specifici per cui viene intrapreso, in un paziente che si trova nell’imminenza della morte. Non è quindi mai un giudizio sul valore di una vita – o sulla “qualità di vita” – né la valutazio-ne soggettiva di un paziente che “non vuole più vivere a determi-nate condizioni” (C. Navarini, Né accanimento né eutanasia, Ze-nit. Servizio giornaliero,10 dicembre 2006, http://www.zenit.org/italian/visualizza.php?sid=10043). Al limite, il medico potrà te-nere conto della volontà del paziente rispetto al trattamento in questione, per valutare meglio una situazione di accanimento te-rapeutico. È noto, infatti, che l’avversione alla terapia da parte di un paziente ne può diminuire o addirittura vanificare i benefici. Esaminando le dichiarazioni effettuate per anni da Welby, e in particolare la famosa lettera al presidente della repubblica, non pare che il paziente avesse avanzato obiezioni specifiche su una

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terapia o su un trattamento, ad esempio sul respiratore il cui di-stacco gli ha procurato la morte, ma che avesse chiesto la morte tout court, e che la sospensione della terapia fosse precisamente un mezzo per ottenere la morte. Dunque, nel caso Welby, posto che il respiratore non costituiva una forma di accanimento tera-peutico (come indicato dal Consiglio Superiore di Sanità il gior-no prima della morte), il distacco del dispositivo poteva avere unicamente la valenza di eutanasia, e dunque di abuso da parte del medico che ha eseguito l’azione. Ma c’è di più. L’ipotesi che il caso Welby rientri nell’accanimen-to terapeutico sta producendo un altro pernicioso doppio tranello in cui troppi - particolarmente tra quanti paiono disposti a battersi contro l’eutanasia - rischiano di cadere: quello di invocare una regolamentazione che impedisca per legge tale pratica, difenden-do i pazienti dall’invadenza dei medici e della medicina, e più in generale di spostare il dibattito dalla natura antiumana, irragione-vole dell’eutanasia e dalla ancora diffusa ostilità dell’opinione pubblica ad essa, alla questione dell’accanimento terapeutico, come se i due problemi fossero quantitativamente e qualitativa-mente sullo stesso piano. Occorrerà tornare su questo punto cru-ciale. Spostando astutamente l’attenzione dalla soppressione/suicidio dei malati all’allarme sull’accanimento, si produce l’in-debolimento dell’opposizione all’eutanasia sulla base del timore di favorire crudeli “accanimenti terapeutici”. Il tutto accompa-gnato da un martellamento mediatico su casi pietosi e dalla pro-gressiva confusione su cosa effettivamente costituisca “accanimento terapeutico”. In attesa di ottenere l’abbassamento della soglia di resistenza del-l’opinione pubblica e degli attori istituzionali e culturali, si insi-sterà nel chiedere non l’eutanasia – parola ancora sospetta – ma la “cessazione dell’accanimento terapeutico”. E così, cedendo sulla pretesa “necessità” di “una qualche regolamentazione” del-l’accanimento, si regala ai fautori dell’eutanasia dapprima la vo-luta confusione sull’accanimento stesso e poi, fatalmente, una legge sull’eutanasia, magari preparata giuridicamente dai testa-

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menti biologici e i loro immancabili “paletti severissimi”, ovvero quei limiti che, presentati come garanzie, indicano solo quale sa-rà il primo passo della successiva mossa propagandistica e legi-slativa. L’approccio legalistico sull’accanimento terapeutico - oltre al suo ruolo nella strategia eutanasica - contribuisce a scavare fra medi-co a paziente un solco profondo, che ha oramai pressoché distrut-to l’alleanza terapeutica e il rapporto fiduciario su cui si fonda ab origine la stessa medicina. Sarebbe invece opportuno ridimensio-nare la questione dell’accanimento terapeutico, precisando che tale accanimento – quello vero – non rappresenta il “grande peri-colo” dell’assistenza sanitaria, non è così frequentemente pratica-to come si vuol far credere, rappresenta un errore che i medici sanno evitare e, dunque, non vi è alcun bisogno di una legge che difenda in tale senso i pazienti. Quale legge, infatti, può tutelare i pazienti da un errore medico? Da una parte, l’errore colpevole è come tale già vietato dalla leg-ge e dalla deontologia; dall’altra, non si potrà mai impedire del tutto che, nell’esercizio della sua professione, un medico sbagli la sua valutazione e le scelte terapeutiche che, come è ovvio, sono sempre effettuate in situazioni specifiche, sfuggendo alle genera-lizzazioni e all’astrattezza della norma. In definitiva, quel che serve per denunciare i casi di vero accanimento terapeutico esiste già, mentre la formula magica della perfezione diagnostica, tera-peutica e assistenziale non esisterà mai. Occorre piuttosto ristabilire la fiducia del paziente per il medico, a partire dalla banale ma indubitabile constatazione che la stra-grande maggioranza di questi pratica la medicina con onestà e coscienza, ricercando in ogni situazione il bene del paziente e portando avanti con fedeltà la sua missione di servire la vita de-ne, ovvero l’inutilità e anzi la dannosità di un riconoscimento le-gale ai cosiddetti “testamenti di vita”, che vincolerebbe l’azione del medico anche contro la sua professionalità, trasformandolo in un mero esecutore della volontà del paziente e che bloccherebbe la libertà del malato in uno scenario ipotetico di impossibile de-

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bole e malata. Ecco perché è necessario evidenziare l’ultimo punto di attenzio-ne, ovvero l’inutilità e anzi la dannosità di un riconoscimento le-gale ai cosiddetti “testamenti di vita”, che vincolerebbe l’azione del medico anche contro la sua professionalità, trasformandolo in un mero esecutore della volontà del paziente e che bloccherebbe la libertà del malato in uno scenario ipotetico di impossibile de-terminazione in una situazione anticipata (M.L. Di Pietro, Tra testamenti di vita e direttive anticipate: considerazioni bioetiche, AA.VV., Né accanimento né eutanasia, I Quaderni di Scienza e Vita, 1, dicembre 2006, pp. 79-87). * Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ROMA, domenica, 14 gennaio 2007 (ZENIT.org)

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QUANDO SOSPENDERE LA TERAPIA E’ UN ATTO EUTANASICO?

Dott.ssa Claudia Navarini *

Gentile Professoressa, sono una studentessa liceale e avrei due domande da rivolgerle. Una riguarda i casi di stato vegetativo, come Eluana Englaro, la ragazza che si trova in questo stato da 14 anni: perché non è ac-canimento terapeutico mantenerla in vita, se in altri tempi o in altri luoghi, dove la rianimazione non è all’avanguardia – sareb-be già morta naturalmente? La seconda: se è lecito rifiutare qualsiasi terapia (ho visto proprio un suo articolo, tempo fa, in cui difendeva la libertà di rifiutare l’amputazione a una gamba da parte di una donna siciliana, che per questo è morta!), allora perché non si può rifiutare lecitamente anche il sostegno vitale, ad esempio il respiratore o l’alimentazione artificiale? Grazie mille per l’attenzione. Mara C. Livorno

Cara Mara, le sue domande vanno proprio al cuore dei continui dibattiti sul tema dell’eutanasia, e toccano i punti certamente più sensibili, quelli davvero cruciali. E forse anche i più ardui da comprendere, dal momento che coinvolgono questioni molto profonde, come il senso della libertà umana e la dignità dell’uomo. Cercherò di ri-sponderle in modo sintetico. Innanzitutto occorre precisare che Eluana Englaro, analogamente a quanto era accaduto per Terri Schiavo, non ha alcun bisogno di “rianimazione”. Respira auto-nomamente, non soffre, non è in condizioni terminali, cioè nel-l’imminenza della morte. Questo è perfettamente normale per i pazienti in stato vegetativo, che si trovano in una condizione cli-nica particolare, senza apparenza di consapevolezza di sé e dell’-ambiente circostante eppure in grado di mantenere attive le loro funzioni vitali – dal ritmo sonno/veglia alla termoregolazione, dalla presenza di riflessi nervosi alla conservazione del sistema cardiocircolatorio – grazie all’integrità, almeno parziale, del tron-

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co encefalico. Il paziente in stato vegetativo presenta lesioni alla corteccia cerebrale, che quando è del tutto compromessa lo pone in una situazione definita di morte corticale. Ma si tratta sempre di un essere umano vivo, di una persona, di un paziente da curare come ogni altro (cfr. G.L. Gigli, Lo stato vegetativo “permanente”: oggettività clinica, problemi etici e risposte di cura, “Medicina e Morale”, 2002/2, pp. 207-228). Fra le cure di cui ha bisogno, vi sono l’alimentazione e l’idrata-zione artificiale, dato che non può alimentarsi da solo. Chi ritiene che tali mezzi di sostegno vitale – di tipo non rianimativo, come già detto – vadano sospesi, adduce solitamente tre ragioni: a) bi-sogna “porre un limite” alle sofferenza di queste persone, b) non possono stare anni e anni in una condizione così “indegna”, c) bisogna rispettare la loro volontà, sapendo o presumendo che non vorrebbero essere tenute in vita in quello stato. Per quanto riguarda il “porre fine alle sofferenze”, bisogna riba-dire che la condizione di stato vegetativo non è dolorosa, e che comunque - laddove un paziente provi invece dolore intenso, in fase terminale o in altra situazione – la medicina palliativa è di grande aiuto, offrendo la possibilità di controllare e alleviare ogni dolore fisico in modo soddisfacente. Al contrario, la debilitazione cui va incontro il paziente privato di acqua e cibo è estremamente gravosa, e la morte che gli si conferisce non è affatto dolce. Nel “protocollo di uscita” di Terri Schiavo, quello che descriveva tutte le fasi dell’agonia fino alla morte per disidratazione, era pre-vista la somministrazione di un’ingente quantità di farmaci, allo scopo di contenere la sintomatologia dolorosa nel caso – mai del tutto escluso – che la paziente potesse percepire le sofferenze fi-siche. Dunque, per far morire Terri Schiavo sono state necessarie forti dosi di analgesici ordinari e di oppiacei, a dimostrare che la procedura scelta, cioè la sospensione dell’alimentazione e dell’i-dratazione artificiale, non solo uccideva una paziente che non stava manifestando alcun dolore, ma lo faceva nel modo più cru-dele. Alimentazione e idratazione artificiali, in realtà, non posso-no essere considerate forme di accanimento terapeutico, non rap-

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presentano in alcun modo terapie gravose che prolungano inutil-mente l’agonia, ma cure normali che mantengono la vita contri-buendo piuttosto a dare, per quanto possibile, sollievo e benesse-re. Anche quando lo scopo dell’azione eutanasia fosse l’elimina-zione “alla radice” della sofferenza, tuttavia, tale atto non può essere moralmente giustificato, dal momento che utilizza un mez-zo intrinsecamente cattivo – uccidere un innocente – per ottenere un fine eventualmente buono, come l’eliminazione del dolore. Come ebbe a dire efficacemente il papa Giovanni Paolo II nell’-enciclica Evangelium Vitae, “l’eutanasia deve dirsi una falsa pie-tà, anzi una preoccupante “perversione” di essa: la era “compassione”, infatti, rende solidale col dolore altrui, non sop-prime colui del quale non si può sopportare la sofferenza”. Sembra allora assai più onesto sostenere la seconda ragione, quella veramente sottesa al problema dell’eutanasia non consen-suale, cioè la convinzione che, a certe condizioni, la vita umana “non sia più degna di essere vissuta”. Occorre essere tuttavia ben consapevoli che tale affermazione ci riporta irrimediabilmente indietro nel tempo, e precisamente al tempo in cui il programma per l’eutanasia nazional-socialista eliminava, con le stesse identi-che motivazioni, cittadini tedeschi unicamente perché disabili, deformi o terminali. Se accettiamo l’idea che alcune vite umane non sono più degne e in quanto tali vanno eliminate, affermiamo implicitamente il principio eugenetico secondo cui i più forti, i sani, gli efficienti devono dominare e prevalere su chi non lo è. A questo punto, nessun malato e in generale nessun debole potrà mai essere sicuro di vedere tutelato il suo diritto fondamentale alla vita e all’inviolabilità, e ogni garanzia di giustizia verrebbe meno. Anzi, avremmo la certezza dell’ingiustizia sociale, e con essa la fine del diritto e della civiltà. L’ordine sociale non può che fondarsi sul riconoscimento della indisponibilità della vita umana, e dunque del suo valore, indipendentemente da ogni valu-tazione relativa qualità, manifestazioni, caratteristiche soggettive. Resta l’ultimo punto, quello della volontà suicidaria del paziente, in questo caso anticipata o presunta. La presunzione della volontà

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su una materia così importante, già intuitivamente, dovrebbe ri-sultare inaccettabile. Come si può interpretare in senso suicidario affermazioni pronunciate molto tempo prima, in situazioni com-pletamente diverse, magari in un momento di difficoltà, di scon-forto o di paura? Ciascuno dovrebbe interpretare le altrui richie-ste di morte, ipotetiche o attuali, innanzitutto come richieste di aiuto, presumendo semmai che in condizioni di tranquillità, di controllo adeguato del dolore e di premurosa assistenza ogni per-sona voglia continuare a vivere. È soprattutto per questa ragione, fra l’altro, che l’eventuale con-tenuto eutanasico dei cosiddetti “testamenti di vita” va sempre considerato inapplicabile. È sempre inapplicabile in quanto sem-pre inattuale. La realizzazione di una richiesta anticipata di mori-re, poiché nasce in uno scenario unicamente immaginato, va e-quiparata di fatto all’eutanasia di un non consenziente, anche solo per ragioni prudenziali. La richiesta di morire effettuata da un paziente cosciente, d’altra parte, carica il medico e tutta la società di una responsabilità assolutamente sproporzionata, ovvero quel-la di uccidere un innocente. Il fatto che tale atto inesorabilmente omicida avvenga “d’accordo con la vittima” non ne toglie la gra-vità morale. Che la richiesta da parte dal malato vi sia stata oppu-re no – e che sia stata davvero consapevole, libera, costante, ben interpretata oppure no – resta il fatto drammatico e ignobile che un medico – ma potrebbe in fondo essere chiunque – uccide vo-lontariamente una persona, invece di curarla il meglio possibile. In questo modo si esce completamente dai confini della medici-na, dal ruolo professionale del medico, ma anche da quello di chiunque altro commetta un simile gesto – il ruolo di madre o di padre, di figlio, di amico, di tutore – e si diventa qualche cosa di totalmente diverso: giustizieri, esecutori, omicidi? I termini pos-sono variare; in ogni caso, ci si conferisce un potere sulla vita altrui che nessun uomo può pretendere di avere, nemmeno se la vittima è consenziente. E qui si esplica anche l’ultima questione, ovvero la differenza etica fra il rifiuto della terapia da parte del paziente e la richiesta eutanasica.

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Nel primo caso il limite invalicabile all’azione del medico, pur sinceramente convinto che una determinata terapia sia nel miglior interesse del malato, è la libertà attuale del soggetto, che non può essere costretto ad effettuare un trattamento sanitario. Si dovran-no compiere tutti i tentativi per persuaderlo, si potrà procedere nel caso si verifichi un’urgenza ed egli non sia cosciente (nel dubbio che abbia cambiato idea si propende infatti per la vita) ma non gli si potrà imporre la procedura. Il medico non può farlo. Il paziente che rifiuta, d’altra parte, potrebbe farlo anche per ra-gioni buone, che nulla hanno a che vedere con la volontà di mori-re. Potrebbe infatti vedere un bene più grande da realizzare, che risulta incompatibile con il trattamento proposto. In questo caso, sceglierebbe quel bene rinunciando – pur senza volerlo diretta-mente – al bene della vita, o della salute. Diverso è il caso in cui sia l’azione libera del medico a produrre concretamente la morte. Se allo scopo di morire un paziente vuole interrompere, con l’-aiuto di un medico, un trattamento dovuto, cioè non sproporzio-nato, e quindi doveroso per mantenere la vita, tale medico – o chi per lui – viene chiamato ad essere complice di un gesto suicida. E anche questo il medico non può farlo. Verrebbe altrimenti meno la sua integrità morale e si sancirebbe la rottura nell’alleanza terapeutica fra medico e paziente, che in un simile contesto non ha più senso alcuno. Non è un caso che dove l’eutanasia è divenuta legge, il rapporto fiduciario fra medi-co e paziente abbia subito un colpo durissimo, e la diffidenza re-ciproca per converso cresca a dismisura. Il semplice fatto che l’-eutanasia chiami sistematicamente e premeditatamente in causa, a partire da una volontà apparentemente suicidarla, un’altra vo-lontà “esecutiva” di supporto dà tutta la misura dell’aberrazione in cui può cadere uno stato di diritto quando è andato perduto il senso autentico della pietà e il sincero ardore per il bene comune. * Docente Facoltà di Bioetica Ateneo Pontificio Regina Apostolorum ROMA, domenica, 29 ottobre 2006 (ZENIT.org)

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DALLA PROLUSIONE DEL CARD. RUINI AL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI

Un’altra questione assai delicata sotto il profilo umano ed etico, di cui il Parlamento ha iniziato l’esame, è quella delle “dichiarazioni anticipate di trattamento”. Un punto essenziale, sul quale sembra esservi un ampio consenso, è il rifiuto dell’eutana-sia, quali che siano i motivi e i mezzi, le azioni o le omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla. Al tempo stesso è legitti-mo rifiutare l’accanimento terapeutico, cioè il ricorso a procedure mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi. La ri-nuncia all’accanimento terapeutico non può giungere però al pun-to di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare quell’“abbandono terapeutico” che priva il paziente del necessario sostegno vitale attraverso l’alimentazione e l’idra-tazione, come si è espresso nel 2003 il Comitato Nazionale per la Bioetica. La volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso un suo fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari, non possono pertanto avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato stesso. Va inoltre salvaguardato il rapporto, perso-nale e in concreto sommamente importante, tra il medico, il pa-ziente e i suoi familiari, come anche il rispetto della coscienza del medico chiamato a dare applicazione alla volontà del malato, e più in generale della deontologia medica. In questa materia tanto delicata appare dunque una norma di saggezza non pretendere che tutto possa essere previsto e regolato per legge. Sono altret-tanto importanti e doverose le terapie che attenuano la sofferenza e una vicinanza affettuosa e costante ai pazienti e alle loro fami-glie. Una vicenda umana dolorosa, che ha coinvolto a lungo la nostra gente, è stata quella di Piergiorgio Welby. Essa mi ha chiamato in causa anche personalmente, quando è giunta la richiesta del funerale religioso dopo la sua morte. La sofferta decisione di non

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concederlo nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine, ha perse-verato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre ter-mine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe stata infatti per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio. Nel prendere una tale decisione non è mancata la consa-pevolezza di arrecare purtroppo dolore e turbamento ai familiari e a tante altre persone, anche credenti, mosse da sentimenti di umana pietà e solidarietà verso chi soffre, sebbene forse meno consapevoli del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la persona del malato può disporre. Soprattutto ci ha confortato la fiducia che il Dio ricco di misericordia non solo è l’unico a cono-scere fino in fondo il cuore di ogni uomo, ma è anche Colui che in questo cuore agisce direttamente e dal di dentro, e può cam-biarlo e convertirlo anche nell’istante della morte.

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IO,WELBY E LA MORTE Card. Carlo Maria Martini

Con la festa dell’Epifania 2007 sono entrato nel ventisettesimo anno di episcopato e sto per entrare, a Dio piacendo, anche nell’-ottantesimo anno di età. Pur essendo vissuto in un periodo storico tanto travagliato (si pensi alla seconda guerra mondiale, al Conci-lio e postconcilio, al terrorismo eccetera), non posso non guarda-re con gratitudine a tutti questi anni e quanti mi hanno aiutato a vivere con sufficiente serenità e fiducia. Tra di essi debbo anno-verare anche i medici e gli infermieri di cui, soprattutto a partire da un certo tempo, ho avuto bisogno per reggere alla fatica quoti-diana e per prevenire malanni debilitanti. Di questi medici e in-fermieri ho sempre apprezzato la dedizione, la competenza e lo spirito di sacrificio. Mi rendo conto però, con qualche vergogna e imbarazzo, che non a tutti è stata concessa la stessa prontezza e completezza nelle cure. Mentre si parla giustamente di evitare ogni forma di “accanimento terapeutico”, mi pare che in Italia siamo ancora non di rado al contrario, cioè a una sorta di “negligenza terapeutica” e di “troppo lunga attesa terapeutica”. Si tratta in particolare di quei casi in cui le persone devono attende-re troppo a lungo prima di avere un esame che pure sarebbe ne-cessario o abbastanza urgente, oppure di altri casi in cui le perso-ne non vengono accolte negli ospedali per mancanza di posto o vengono comunque trascurate. E’ un aspetto specifico di quella che viene talvolta definita come “malasanità” e che segnala una discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari che per legge de-vono essere a disposizione di tutti allo stesso modo. Poiché, come ho detto sopra, infermieri e medici fanno spesso il loro dovere con grande dedizione e cortesia, si tratta perciò pro-babilmente di problemi di struttura e di sistemi organizzativi. Sa-rebbe quindi importante trovare assetti anche istituzionali, svin-colati dalle sole dinamiche del mercato, che spingono la sanità a privilegiare gli interventi medici più remunerativi e non quelli più necessari per i pazienti, che consentano di accelerare le azioni terapeutiche come pure l’esecuzione degli esami necessari.

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Tutto questo ci aiuta ad orientarci rispetto a recenti casi di crona-ca che hanno attirato la nostra attenzione sulla crescente difficol-tà che accompagna le decisioni da prendere al termine di una ma-lattia grave. Il recente caso di P.G. Welby, che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie di sostegno respiratorio, co-stituite negli ultimi nove anni da una tracheotomia e da un venti-latore automatico, senza alcuna possibilità di miglioramento, ha avuto una particolare risonanza. Questo in particolare per l’evi-dente intenzione di alcune parti politiche di esercitare una pres-sione in vista di una legge a favore dell’eutanasia. Ma situazioni simili saranno sempre più frequenti e la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione anche pastorale. La crescente capacità terapeutica della medicina consente di pro-trarre la vita pura in condizioni un tempo impensabili. Senz’altro il progresso medico è assai positivo. Ma nello stesso tempo le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla per-sona. E’ di grandissima importanza in questo contesto distinguere tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico, due ter-mini spesso confusi. La prima si riferisce a un gesto che intende abbreviare la vita, causando positivamente la morte; la seconda consiste nella “rinuncia … all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positi-vo” (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 471). Evi-tando l’accanimento terapeutico “non si vuole …procurare la morte: si accetta di non poterla impedire” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2.278) assumendo così limiti propri della condizione umana mortale. Il punto delicato è che per stabilire se un intervento medico è ap-propriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato, ma oc-corre un attento discernimento che consideri le condizioni con-crete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. In parti-colare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto

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a lui compete – anche dal punto di vista giuridico, salvo eccezio-ni ben definite – di valutare se le cure che gli vengono proposte in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzio-nate. Del resto questo non deve equivalere a lasciare il malato in condizione di isolamento nelle sue valutazioni e nelle sue deci-sioni, secondo una concezione del principio di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta. Anzi è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina. Forse sarebbe più corretto parlare non di “sospensione dei trattamenti” (e ancor me-no di “staccare la spina”), ma di limitazione dei trattamenti. Ri-sulterebbe così più chiaro che l’assistenza deve continuare, com-misurandosi alle affettive esigenze della persona, assicurando per esempio la sedazione del dolore e le cure infermieristiche. Pro-prio in questa linea si muove la medicina palliativa, che riveste quindi una grande importanza. Dal punto di vista giuridico, rimane aperta l’esigenza di elaborare una normativa che, da una parte, consenta di riconoscere la possi-bilità del rifiuto (informato) delle cure – in quanto ritenute spro-porzionate dal paziente -, dall’altra protegga il medico da even-tuali accuse (come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio), senza che questo implichi in alcun modo la legalizzazione dell’-eutanasia. Un’impresa difficile, ma non impossibile: mi dicono che ad esempio la recente legge francese in questa materia sembri aver trovato un equilibrio se non perfetto, almeno capace di rea-lizzare un sufficiente consenso in una società pluralista. L’insistenza sull’accanimento da evitare e su temi affini (che hanno un alto impatto emotivo perché riguardano la grande que-stione di come vivere in modo umano la morte) non deve però lasciare nell’ombra il primo problema che ho voluto sottolineare, anche in riferimento alla mia personale esperienza. E’ soltanto guardando più in alto e più oltre che è possibile valutare l’insie-me della nostra esistenza e di giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni, bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna.

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DAL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA L’EUTANASIA 1930 2276 Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto possibile normale. 2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmen-te inaccettabile. Così un’azione oppure un’omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere. 193 1503 2278 L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’“ accanimento terapeuti-co ”. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non po-terla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. 2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’-ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono es-sere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è sol-tanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative co-stituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.

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∗ “Rilettura” delle Lettere dal lago di Como di Romano Guardini a cura di Don Gabriele Gerini Consigliere Ecclesiastico Interprovinciale di Firenze-Prato ∗ Sussidi Quaresima 2007 "... come io vi ho amato" (Gv 13,34) ∗ Sussidi Quaresima 2007 "... come io vi ho amato" (Gv 13,34) Opuscolo per le famiglie

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“RILETTURA” delle LETTERE DAL LAGO DI COMO di Romano Guardini

a cura di Don Gabriele Gerini Consigliere Ecclesiastico Interprovinciale di Firenze-Prato

Romano Guardini è certamente uno dei più grandi teologi e filo-sofi del '900. In anni ormai lontani ho letto per la prima volta le sue Lettere dal lago di Como. Pagine preziose scritte tra il 1923 e il 1925. Ne rimasi felicemente colpito. Le ho rilette tempo fa. Conservano anche oggi la loro importanza ed il loro valore. Qual è il messaggio di Guardini nelle sue Lettere? Guardini era molto preoccupato dell'invadenza della tecnica mo-derna (e non era certo contro la modernità) che sta va minacciando anche i bellissimi paesaggi del comasco. Veniva ad essere spez-zato il rapporto tra "natura" e "cultura", tra natura e opera umana. Il motoscafo o la motocicletta con la loro presenza e i loro rumori decretano già la fine del mondo antico. "Si è portati a pensare - scrive Guardini - che la vita, in questi paesi, quasi ancora in con-tatto diretto con la sua fonte, passi direttamente nel tempo, nel lavoro, nella gioia, nella malattia, nella morte. E' più vita, se vuoi prendere la parola nel suo semplice e palpitante significato." Guardini coglie in questa terra comasca il mistero della natura che si rivela nel suo significato più profondo e religioso. Leggia-mo pagine bellissime, come quando si ferma ad osservare la bar-ca a vela, cogliendo la profonda armonia fra natura e cultura. Scrive nella "Lettera seconda": "Prendi una barca a vela. Sul lago di Como ne navigano ancora, grosse, capaci di portare pesanti carichi. Ma le masse del legno e della tela si armonizzano così perfettamente con la forza del vento, da sembrar deventare legge-re. Ogni qualvolta osservavo una di tali barche spiegare le vele al vento, il mio cuore si illuminava di gioia, di quella gioia che ci invade quando qualcosa che ben distintamente era nel nostro inti-mo, ci sta di fronte nella sua forma perfetta. Non conosco l'opi-nione degli storici al riguardo, ma mi parve cosa credibile ciò che qualcuno mi disse, e cioè che le barche erano già così all'epoca romana. La forma attuale sarebbe dunque un'eredità risalente a

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tempi antichissimi. Riesci a sentire quale meravigliosa manifesta-zione di cultura stia nel fatto che l'uomo, in virtù di un legno ri-curvo e debitamente connesso e di una tela tesa, possa signoreg-giare sull'acqua e sul vento? Fin nelle profonde fibre del mio es-sere è penetrata la sensazione di questa conquista: io mi trovavo dunque alla presenza di un originario frutto dell'ingegno umano. E' ben saturo d'intelligenza questo movimento tanto perfettamen-te compiuto, nel quale l'uomo domina le forze della natura! [...] Ma tu senti, vero?, come pur tuttavia questa barca a vela resti vi-cina alla natura. Le sue linee e l'equilibrio delle proporzioni si accordano perfettamente con la spinta delle onde e del vento così come con il complesso vivente dell'uomo. E chi è al governo del-la barca a vela rimane in strettissima unione con la forza delle onde e con le raffiche del vento. Egli lotta corpo a corpo contro la loro violenza. I suoi occhi, le sue mani e tutto il suo corpo so-no tesi nello sforzo. Vera cultura, superamento della natura, cer-tamente, ma tuttavia indiscutibilmente ancora vicini alla natura. L'uomo, in tutto questo, rimane ancora vivente, è un corpo per-meato di spirito e d'anima. Per la forza di questo spirito egli si impone incontestabilmente alla natura, ma, quanto a lui stesso, resta "naturale"." Si rimane colpiti dal fatto che queste pagine sono state scritte ne-gli anni '20. Guardini è consapevole che sta avvenendo una svolta epocale e non delle semplici innovazioni tecnologiche (che devo-no essere a servizio dell'uomo). Si sta spezzando e frantumando la perfetta armonia tra uomo-cultura-natura. Invito gli amici consiglieri eccl. ad una lettura/rilettura di queste importanti pagine di Guardini.

31 gennaio 2007

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SUSSIDI QUARESIMA 2007 "... come io vi ho amato" (Gv 13,34)

In continuità con il tempo di Avvento/Natale, nel quale ci si è soffermati sull'ascolto delle situazioni umane e sulla capacità di stupirsi, come i pastori all'annuncio della nascita di Gesù, gli uf-fici Cei propongono di riflettere e pregare sul comandamento dell'amore. Un amore che si misura su un modello che appare irraggiungibile; ma, con la consapevolezza di essere amati gra-tuitamente e teneramente, siamo invitati a ricambiare. Per questo Caritas Italiana e Ufficio famiglia della Cei propongo-no l'immagine dell'abbraccio come esperienza umana dalla qua-le attingere per saper amare, gratuitamente, fraternamente tutti, a cominciare da chi fa più fatica. Opuscolo per le famiglie (copertina, introduzione e prima setti-mana - pdf 316 kb) Un itinerario per vivere la Quaresima/Pasqua in famiglia ci con-duce, giorno per giorno, ad ascoltare l'esperienza di persone che hanno fatto del servizio la caratteristica della loro vita, anche quando questo ha significato vivere o essere testimoni di grandi prove e dolori. Altri testimoni ci offrono la loro preghiera e an-che questa volta c'è l'invito a partecipare scrivendo, su un apposi-to spazio, una preghiera da condividere in famiglia e rendere così più personale il cammino. Questa volta è particolarmente alta la percentuale di giovani che hanno voluto partecipare alla stesura di questo opuscolo… le esperienze e le speranze che ci conse-gnano saranno un aiuto a "ringiovanire", ad aiutarci a credere in un futuro diverso, da costruire insieme. In copertina, l'abbraccio tra Gesù ed una bimba si trasforma in un vento che spinge le fo-glie a portare lontano l'annuncio di Dio che ci ama e ci vuole li-beri. In un inserto centrale, ci sono le istruzioni per costruire il cubo della preghiera (pdf kb 287), un piccolo strumento per pregare tutti i giorni insieme, coinvolgendo anche i più piccoli.

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Album per i bambini (copertina e prima domenica - pdf 213 kb) Un sentiero si snoda durante tutto l'album; i bambini sono invitati a percorrerlo a partire da una frase di S.Teresa di Gesù Bambino: “La paura mi fa indietreggiare, con l'amore non soltanto vado avanti, ma volo”. Settimana dopo settimana, i bambini prendono coscienza dei vari aspetti dell'amore, con brevi frasi cui posso-no aggiungere proprie emozioni ed impressioni. È l'amore che fa volare: questa la conclusione nel giorno di Pasqua. Adatto a bam-bini in età di scuola elementare. Poster (pdf kb 230) Da un campo profughi in Croazia, abitato per la maggior parte da Serbi e Rom in attesa di poter tornare nelle proprie case, un uomo gioca con un bambino, in uno di quei gesti che i bimbi tanto ama-no. È un altro modo di abbracciare, un modo fisico, festoso, di dimostrare amore. Ci piace immaginare anche così l'amore di Dio Padre. Salvadanaio (jpg kb 111) Il salvadanaio è un piccolo strumento - molto utilizzato in tante parrocchie - per chi intende accompagnare il cammino quaresi-male con un gesto concreto di solidarietà. Per questo vuole "rendere visibile" l'impegno nelle famiglie, nelle classi di cate-chismo, nei gruppi. Sul salvadanaio è riprodotto il disegno della copertina dell'opuscolo. Scheda per l'animazione pastorale Una semplice rassegna di proposte per valorizzare l'utilizzo dei sussidi come strumenti di animazione nelle parrocchie. Tutti i sussidi sono studiati per essere accessibili anche a chi è meno abituato al linguaggio liturgico, per proporre un cammino a chi si riaffaccia alla fede o desidera iniziare una riflessione su se stesso e su Dio. La loro semplicità consiste nel fatto che sono composti da persone "qualunque", che vivono una quotidianità fatta di mille fatiche.

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SUSSIDI QUARESIMA 2007 "... come io vi ho amato" (Gv 13,34)

Opuscolo per le famiglie

È un itinerario per vivere il tempo di Quaresima e le principali feste pasquali meditando sulla forza della Parola di Dio quando si esprime nell'amore al prossimo. Alla Parola di Dio dalla liturgia del giorno, fanno eco testimonianze, riflessioni e preghiere di fa-miglie e persone che hanno fatto del servizio uno stile di vita.

Si potrebbe…

sensibilizzare • offrirlo o donarlo ai genitori dei bimbi del catechismo af-finché possano partecipare, con un linguaggio più "adulto", a quanto viene proposto ai figli • la forma grafica innovativa e il linguaggio semplice lo rendono proponibile a persone meno "vicine", ma curiose verso il messaggio evangelico (es: persone che si mettono a disposizione delle attività parrocchiali pur non aderendo ai cammini proposti dalle varie iniziative) • nella domenica precedente alla prima di Quaresima, pre-sentarlo pubblicamente, regalandolo o invogliando i parroc-chiani a ritirarlo con una libera offerta • recuperare gli elementi grafici del libretto scaricandoli da internet

coinvolgere • chiedere alle associazioni e ai movimenti della parrocchia di valutare l'opportunità di inserire nel proprio programma un confronto a partire da brani ed esperienze dell'itinerario • "spezzettare" il sussidio, stampandolo e consegnandolo domenica per domenica a tutti • utilizzarne i brani più significativi per veglie e altri mo-menti di incontro tra adulti e giovani

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animare • organizzare incontri per valorizzare i servizi presenti in parrocchia, invitando le persone a partecipare con il proprio contributo volontario • i gesti descritti nel libretto possono essere riproposti alla riflessione di tutti per un impegno comune • avviare una riflessione sul rapporto tra annuncio e testi-monianza, invitando a portare la propria testimonianza anche da parte di chi vive un servizio quotidiano (famiglie con per-sone disabili, esperienze di "buon vicinato", servizio agli an-ziani, giovani che si impegnano in campi di lavoro, ecc.)

Album per i bambini È un "cammino verso la Pasqua"; i bambini sono invitati attraver-so un sentiero che si snoda pagina per pagina a raccontare le pro-prie esperienze, i propri sentimenti, fino al giorno in cui "l'amore ci fa volare".

Si potrebbe…

coinvolgere • proporne l'utilizzo agli educatori parrocchiali e ai catechi-sti, badando che si coordinino tra loro se si rivolgono agli stessi bambini • invitare i genitori di bambini più piccoli a utilizzarlo in casa, trasformando questa attività in un momento di gioco e impegno comune

animare • le esperienze raccontate dai bambini possono essere valo-

rizzate con cartelloni che si arricchiscono domenica per domenica, fino alla Pasqua, dove si può riprodurre il dise-gno finale lasciando che i bambini esprimano la loro gioia

• i bambini possono scrivere la frase di Santa Teresina pub-blicata sulla copertina e offrirla a inizio Quaresima a tutti, alla fine della celebrazione eucaristica: "La paura mi fa

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indietreggiare, con l'amore non soltanto vado avanti, ma volo"

Poster I protagonisti – un uomo e un bambino – stanno giocando come spesso i papà giocano con i propri figli. Per il bambino il brivido di paura viene superato dalla sicurezza delle braccia forti che lo… "strapazzano". È un modo diverso di intendere l'abbraccio che rivela la paternità di Dio: … come io vi ho amato, la frase del vangelo di Giovanni viene interpretata in modo gioioso. La scena si svolge in un campo profughi a Sisak, in Croazia, dove ancora vivono serbi e rom in attesa di una sistemazione; un campo in cui molti volontari della Caritas di Genova si avvicendano per ani-mare bambini e anziani.

Si potrebbe…

sensibilizzare

• esporlo fuori e dentro la chiesa: sulle porte, in fondo, nel-l'abituale bacheca… • esporlo in ogni luogo comunitario… dove la comunità e i suoi vari gruppi si riuniscono abitualmente • regalare un poster ad ogni famiglia, ad ogni gruppo fami-liare, invitando a commentarlo insieme • a inizio Quaresima, illustrare l'immagine e il tema durante la Messa • offrirlo durante l'offertorio del Mercoledì delle Ceneri o della Prima Domenica di Quaresima come testimonianza del-la volontà di iniziare un cammino comune

coinvolgere

• invitare i gruppi giovanili e i gruppi di catechismo a com-mentarlo insieme: cosa ci vuole raccontare questa immagine? Cosa sappiamo delle popolazioni coinvolte nelle guerre in Croazia, Bosnia, Serbia, Kosovo? Possiamo approfittare del

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soggetto del poster per capire meglio la situazione, soprattut-to se la Caritas diocesana ha ancora collegamenti con le Chie-se di quei paesi

animare • concordare sul territorio punti di affissione del manifesto, chiedendo di coinvolgersi a persone che condividano questo slogan; lo spazio bianco può servire per aggiungere e perso-nalizzare il messaggio

Salvadanaio Dove si propongono raccolte, è uno strumento utile per educare ad un coinvolgimento che si esprima attraverso un contributo an-che piccolo, ma quotidiano, favorendo l'idea di una condivisione non occasionale. L'immagine è la stessa dell'opuscolo per fami-glie

Si potrebbe…

coinvolgere • rispetto ai bambini, promuovere un impegno finalizzato alla condivisione e alla solidarietà (pulizia collettiva della sa-la del catechismo con micro "retribuzione" finale, in famiglia gettare la spazzatura o fare le pulizie con piccole ricompense, ecc.) • distribuirli alle famiglie, perché i bambini possano vedere concretamente il frutto del loro impegno • in parrocchia, nei gruppi di catechismo, costruirne uno ingrandito per seguire meglio l'impegno dei bambini

sensibilizzare • le offerte potrebbero essere aggiornate periodicamente su di un grafico che spieghi l'andamento della situazione con accanto la descrizione del progetto che si intende sostenere.

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∗ Verbale Consulta Consiglieri Ecclesiastici Regionali Roma 10/11 gennaio 2007

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VERBALE CONSULTA CONSIGLIERI ECCLESIASTICI REGIONALI

10 -11 Gennaio 2007 Verbale n. 5 Ordine del giorno: DSC – Ruolo degli accompagnatori. Intervento Movimenti e Patronato Epaca. Dopo Verona. Incontri regionali. Ipotesi di lavoro. Viaggio studio. XXXV Convegno Nazionale dei Consiglieri Ecclesiastici. Varie ed eventuali. Sono presenti: De Palma don Giovanni (Basilicata), Megna don Giuseppe (Calabria), Toscano padre Emilio (Campania), Gallera-ni don Carlo (Emilia Romagna ), Bonetti mons. Paolo (Friuli Ve-nezia Giulia), Carlotti don Paolo(Lazio), Arrigoni don Italo (Liguria), Branchesi don Giuseppe (Marche), Frigato don Sabino (Piemonte), Macculi don Nicola (Puglia), Di Natale don Salvato-re (Sicilia), Gerini don Gabriele (Toscana), Tiacci don Giovanni(Umbria), De Berti don Aleardo (Veneto). Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale Gaglianone padre Renato, con la preghiera a Maria, apre la Consulta con un cordiale benve-nuto ai partecipanti, illustrando ai presenti la progressione dell’-ordine del giorno ed il programma dei lavori. Presenta il nuovo Consigliere Ecclesiastico Regionale del Lazio don Paolo Carlotti.

Incontro con la Federpensionati Mercoledì pomeriggio dieci gennaio il Consigliere Ecclesiastico Nazionale dà la parola al sen. Carlotto Natale Presidente Feder-pensionati della Confederazione Nazionale Coldiretti. Il relatore ricorda l’itinerario storico della sua formazione maturato all’in-terno dei Comitati Civici Rurali dove ha conosciuto Gedda e il mondo agricolo che incominciava a rappresentare. Significative sono state per lui le relazioni con Monsignor Pietro Pavan e Pao-

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lo Bonomi. Da questi primi passi ne è seguito l’impegno alla Ca-mera dei Deputati e al Senato. La Federpensionati rappresenta un mondo che ha al centro il valore della persona, sempre al centro nella storia della Coldiretti. Anche per il futuro, ammonisce, la competenza del servizio va coniugata con la chiarezza dei valori che hanno fatto grande questa Organizzazione. Tecnologia e rela-zionalità devono concorrere insieme a promuovere, prima, le per-sone, i valori e poi l’efficienza delle imprese. Anche Coldiretti non sfugge al rischio di essere solo una organizzazione di servizi e non un associazione di persone. Il Sen. Carlotto sottolinea poi il ruolo del Consigliere Regionale che deve essere presente nei mo-menti significativi della vita della Coldiretti sul territorio e non soltanto una volta all’anno per la celebrazione della Giornata del Ringraziamento, perché in gioco ci sono aspetti importanti della dottrina sociale della Chiesa come il tema della salute, l’anziani-tà, la disabilità, la famiglia. Su questi spunti intervengono i Consiglieri Ecclesiastici del Mo-lise, del Piemonte, della Lombardia, del Veneto che rilevano la nuova fase storica dell’ agricoltura in Italia con culture sempre più diversificate, con una imprenditoria aperta al mercato globa-le, con costi d’investimento sempre maggiori, con una burocrazia soffocante. Risponde il relatore suggerendo il valore della solida-rietà come anima della categoria, perché non prevalga l’indivi-dualismo a isolare l’imprenditore agricolo. L’efficienza dell’im-presa, la qualità e quantità dei prodotti, la ricerca del reddito non devono esasperare i problemi del settore, dimenticando il bene comune che apre ai bisogni di una società sempre più in sofferen-za. Ora che l’imprenditore agricolo ha acquisito pari dignità con le altre figure del mondo economico, non può non offrire il pro-prio originale contributo alla vita sociale del territorio. Interven-gono i Consiglieri Ecclesiastici dell’Emilia Romagna, del Veneto e del Piemonte per mettere l’accento sul valore dei nuovi mezzi della comunicazione, sulla Coldiretti perché da grande associa-zione di rappresentanza non dimentichi di essere anche sindacato che promuove la socialità.

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DSC – Ruolo degli accompagnatori Il Consigliere Ecclesiastico Regionale del Piemonte don Sabino Frigato illustra il ruolo dei Consiglieri Ecclesiastici con l’aiuto del Power Point. Ruolo di aiuto a riflettere sui valori etici presen-ti già nelle strategie della Coldiretti che ha intuito da anni la re-sponsabilità sociale dell’Organizzazione: campagna amica, patto con i consumatori, tracciabilità, qualità dei prodotti, attenzione al territorio; il legame della vita delle Federazioni con gli eventi ec-clesiali, la creazione di momenti di riflessione sui temi della dot-trina sociale della Chiesa inerenti la responsabilità nell’impresa e sua finalità, i cambiamenti nel mondo rurale, novità e sfide, ge-stione unica o aperta dell’impresa, superamento della divisione tra economia e società, vocazione dell’imprenditore. Il relatore conclude ridicendo la grande importanza del Consigliere Eccle-siastico che accompagna la riflessione sui cambiamenti epocali nell’agricoltura ma anche perché ripresenta la dottrina sociale della Chiesa che valorizza l’impresa come luogo di relazione per far crescere i rapporti umani nella crescita della persona che in agricoltura trova una funzione sociale e solidale. Il valore del be-ne comune, della cittadinanza, della responsabilità sono percorsi di approfondimento mai sufficienti. Intervengono i Consiglieri Ecclesiastici della Calabria, delle Marche, della Sicilia, del Friuli, della Puglia, che espongono la difficoltà di programmare per i dirigenti e per i funzionari uno o due momenti all’anno sui quali convergere per una riflessione sulla dottrina sociale della Chiesa. Bisognerebbe passare dalla disponibilità alla fattibilità. Sono e-mersi dagli interventi alcune osservazioni che riguardano la ne-cessità di riprendere il rapporto con la base che sono i soci, su quale sostegno e prospettiva dare alle piccole imprese agricole, come accompagnare i funzionari nel loro faticoso impegno quoti diano, quale apporto offrire alla impresa agricola che si misura sempre più con la globalizzazione in difetto di regole certe. Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta il segretario della Federpensionati dott. Danilo Elia che richiama i pilastri della Organizzazione: pilastro economico, dei servizi e dell’area socia-

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le. La Coldiretti non può non puntare sul terzo pilastro: l’econo-mia divide, i servizi sono neutri, la società lega e crea socializza-zione. Il relatore paventa il pericolo della concorrenza privata nei servizi. Ecco perché è importante che i giovani acquisiscano an-che i valori che stanno alla base della Coldiretti sorgente di una appartenenza che non è solo scambio di servizi. Lavoro, reddito, impegno nella società civile, il valore delle relazioni umane non possono non tener conto della domanda di socializzazione pre-sente sul territorio. Fare il bilancio non è l’unico ed esclusivo o-biettivo dell’impresa. Intervengono i Consiglieri Ecclesiastici del Lazio, della Toscana, dell’Umbria che confermano l’importanza della formazione e degli aspetti etici dell’economia, per mantene-re e promuovere l’ispirazione della Coldiretti alla dottrina sociale della Chiesa. Non tutto è politica ma anche qualità della persona. Formazione permanente e condivisa. C’è tanto da fare per il Con-sigliere Ecclesiastico in questi percorsi formativi ma si riconosce anche lo scarso tempo a disposizione. Potrebbe essere interessan-te incontrarsi e confrontarsi con altri Consiglieri Ecclesiastici del-le altre Associazioni sociali di ispirazione cristiana. Brevemente riassunte alcune ipotesi di lavoro: 1) sostenere tutte le iniziative formative che possono incrementare le relazioni fra i collaborato-ri, i dirigenti e i funzionari delle Federazioni; 2) di notevole inte-resse l’esperienza del Piemonte che già da anni realizza una gior-nata di ritiro annuale a tema per dirigenti e dipendenti; 3) vanno colte le occasioni offerte dai Movimenti nelle loro iniziative for-mative; collaborare con la Pastorale del lavoro. Dopo Verona Il Consigliere Ecclesiastico della Puglia, don Nicola Macculi illu-stra l’intervento di Franco Giulio Brambilla, docente di Cristolo-gia e Antropologia teologica e preside della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano che ha svolto il 17 ottobre 20-06 a Verona. La sua relazione teologico pastorale ha aperto lo sguardo sugli spazi, i tempi e i modi per testimoniare la speranza dentro una società ripiegata su se stessa e sull’immediato. Il cat-

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tolicesimo italiano ha sempre saputo esprimere testimoni autenti-ci nella cultura, nell’economia, nella scienza, nell’operosità so-ciale per dare un anima sociale al tessuto civile del paese. Anche la dottrina sociale della Chiesa può essere un aiuto agli uomini e alle donne di oggi per essere rigenerati dentro la vita concreta delle persone perché riscoprano il valore della comunione e della fecondità delle azioni concrete solidali.

Incontro con il dott. Franco Pasquali Giovedì mattina undici gennaio dopo la celebrazione della S. Messa Padre Renato espone al Segretario Nazionale dott. Franco Pasquali le iniziative formative realizzate nelle Regioni. Il dott. Pasquali introduce il suo intervento sullo stile Coldiretti impe-gnata ad interpretare le esigenze della imprenditoria agricola del tempo presente, coniugando tradizione e rinnovamento nei suoi percorsi e nei suoi impegni. Continuità frutto di scelte meditate perché Coldiretti sia forza sociale e non corporativa con proposte di sviluppo credibile, portatrice di un futuro convincente. Al cen-tro il valore della persona, anima della crescita economica; dell’-ambiente e del clima, nuova frontiera dello sviluppo; l’inclusione di cittadini di altre nazioni, nuova opportunità di una integrazione senza confini; il tema demografico con l’allungamento della vita portatrice di nuove dinamiche; i segnali nuovi offerti dalle ener-gie alternative, l’emergenza acqua, l’OGM; l’Europa che apre a nuovi confronti con i popoli dell’Est e con i popoli del bacino Mediterraneo. Prospettive nuove da cogliere da attori attivi con risposte originali, con stili di vita e di produzione inediti. I cam-biamenti nel mondo agricolo sono sotto gli occhi di tutti: le im-prese agricole non più omogenee, ma multifunzionali che si di-versificano sempre di più; non solo prodotto ma anche territorio, modello di sviluppo non solo estensivo ma intensivo, compatibi-le, nuovo dialogo fra Nord e Sud. Su questi scenari è importante l’apporto della Dottrina Sociale della Chiesa a sostegno del nuo-vo modello di sviluppo aperto ad una agricoltura rigenerata, per aiutare gli agricoltori ad inserirsi in nuovi colloqui e rapporti con

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il mondo ambientalista, con la sanità, con la scuola, con le Am-ministrazioni comunali. Su questi nuovi frontiere la Coldiretti pone al centro la formazione con iniziative di approfondimento anche etico, per riscrivere il servizio e per adeguare le risorse del-l’Organizzazione. Preparare le persone, rinnovare il rapporto con il socio, qualità e non quantità dei servizi alcuni aspetti della nuo-va stagione di Coldiretti. Numerosi gli interventi da parte dei Consiglieri Ecclesiastici del Veneto, dell’Emilia Romagna, del-l’Umbria, del Friuli, del Piemonte: come sostenere le aziende a-gricole più deboli, come interagire con le multinazionali, come leggere la riduzione del numero delle imprese, come trasmettere il patrimonio storico-etico di Coldiretti alle nuove generazioni, come far crescere su questi nuovi scenari i soci, come preparare i funzionari dell’Organizzazione, vera sfida per il futuro dell’Asso-ciazione, come mettere a disposizione dei giovani la Dottrina So-ciale della Chiesa. Riprende il dott. Pasquali con un invito alla fiducia, al coraggio di offrire alle aziende agricole le nuove op-portunità accompagnandole ad investire nelle nuove situazioni; rimettere in gioco il territorio fonte di filiere corte in dialogo con le multinazionali, valorizzare i Segretari di zona come sentinelle sul territorio ad intercettare le domande di relazionalità per un nuovo stare insieme in agricoltura dei soci, essere protagonisti nel racconto sociale su iniziative concrete solidali sul territorio che danno visibilità, dignità e rinnovata appartenenza alla Coldi-retti e presenza attiva nella comunità locale.

Incontro con DonneImpresa Coldiretti Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta la dott. Alessan-dra Tazza di Donne Impresa. Una occasione propizia per cono-scere l’impegno delle donne della Coldiretti, in agricoltura e nel mondo rurale. L’imprenditoria femminile, dice la relatrice, è ani-ma del territorio, presenza giovane, dinamica che sa introdurre la fantasia nel fare impresa, impegnata a cogliere il cambiamento. Donne Impresa offre il suo sostegno sia sul versante dell’investi-mento sui nuovi filoni di fare impresa, sia accompagnando i per-

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corsi di formazione e di attenzione alle nuove frontiere nel socia-le sul territorio In particolare il profilo degli incentivi, il rapporto con le Istituzioni, l’accesso al credito, trasformazione dei prodot-ti, filiere corte, vendita diretta ma anche fattorie didattiche, agria-silo con orari flessibili, accoglienza dei disabili, del mondo della prostituzione, delle carceri, delle terapie oncologiche. Sviluppo sostenibile e responsabilità sociale si intrecciano sullo sfondo di una imprenditoria femminile capace di mettersi in rete e che si affaccia non solo sul mondo mediterraneo per un suo riconosci-mento internazionale. Numerosi gli interventi dei Consiglieri Ec-clesiastici del Piemonte, del Friuli, della Calabria sulla colloca-zione dell’imprenditoria femminile sul territorio nazionale, sul rapporto con l’impresa-famiglia, sulla identità della figura del-l’imprenditrice, sul riconoscimento del lavoro femminile, sulle mutazioni sociali, sul lavoro femminile, sulla presenza di impre-se femminili di immigrate, sul ruolo del Consigliere Ecclesiasti-co.

Incontro con il Patronato Epaca Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta il dott. Fiorito Leo. Il relatore espone i nuovi percorsi legati ai mutati bisogni che richiedono non solo assistenza ma anche progetti in risposta alle domande della modernità. Un Ente chiamato ad intercettare le necessità all’interno delle nuove mutazioni sociali. E’ cambiata la famiglia, l’impresa, la società. Anche il Patronato non è solo a servizio dell’agricoltura ma a tutti i cittadini per dare soluzione sia ai problemi tradizionali legati alla previdenza, alle malattie professionali ma anche ai nuovi temi legati alla consulenza sani-taria, al diritto di famiglia, al mercato del lavoro, all’immigrazio-ne, alla previdenza complementare. Il dott. Leo conferma che il Patronato Epaca vuole essere protagonista delle politiche sociali sui provvedimenti, sulla gestione dei servizi ma anche portatore di valori con risposte non univoche in rapporto ai bisogni emer-genti, all’ambito geografico e al metodo. Si rivolge in modo par-ticolare alle imprese, in quanto persone che nelle aree rurali vivo-

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no direttamente le mutazioni, ad attivarsi per dare risposte nel-l’interesse delle aziende e dei bisogni del territorio. Reddito e solidarietà possono coniugarsi ai fini della socializzazione delle comunità locali. Le idee possono diventare progetti condivisi da articolarsi in attività socio-assistenziali e di promozione: sportelli sociali, cascine solidali, aeroterapia ed altre iniziative che posso-no essere frutto della creatività d’impresa.

Incontro con GiovaniImpresa Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale presenta il dott. Andrea Fugaro. Il Segretario di GiovaniImpresa commenta brevemente i percorsi formativi rivolti ai giovani imprenditori. Mettere al cen-tro la formazione è un atto di grande responsabilità verso il futuro delle persone, dell’Organizzazione e dell’impresa. Il riferimento ai valori è la strada sicura per aiutare i giovani imprenditori a ca-pire il cambiamento e poi a guidarlo, preparandoli ad offrire il proprio contributo propositivo e coinvolgimento coerente. Non basta esserci in agricoltura ma anche rapportarsi con i bisogni del territorio, non basta appartenere ad una grande Organizzazione ma anche esserne protagonisti con ragioni forti e convinzioni condivise.

Viaggio di studio Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale comunica la disponibilità della Coldiretti di Piacenza ad ospitare il viaggio studi dei Consi-glieri Ecclesiastici Regionali. La Consulta accoglie l’invito e sol-lecita il Consigliere Nazionale ad attivarsi per l’organizzazione di detto viaggio da effettuarsi nella settimana dal 25 al 30 giugno 2007 XXXV Convegno Nazionale dei Consiglieri Ecclesiastici Il Consigliere Ecclesiastico Nazionale ricorda che quest’anno si tiene il tradizionale Convegno nazionale. Dopo approfondita di-scussione sulle possibili date e sui temi da affrontare, si conviene di celebrare l’evento nei giorni 04-07 settembre e affrontare il

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tema della Formazione. Il Consigliere della Toscana Don Gabrie-la Gerini è incaricato di predisporre una ipotesi di lavoro su cui alcuni Consigliere si confronteranno per mettere a punto l’artico-lazione del Convegno stesso. Con la recita della preghiera dell’Angelus, alle ore 13.15 si con-clude la Consulta dei Consiglieri Ecclesiastici Regionali con il ringraziamento di padre Renato e con un arrivederci a giugno.

Il segretario Don Paolo Bonetti

Consigliere Ecclesiastico Regionale del Friuli Venezia Giulia

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