Cario Gozzi - L'Amore Delle Tre Melarance

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  • 8/13/2019 Cario Gozzi - L'Amore Delle Tre Melarance

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    Letteratura italiana Einaudi

    Lamore

    delle tre melarance

    di Carlo Gozzi

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    Letteratura italiana Einaudi

    Edizione di riferimento:inFiabe teatrali, Garzanti, Milano 1994

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    Io me nandr colla barchetta mia 1

    Prefazione 2Prologo 3

    Atto primo 6

    Atto secondo 13

    Atto terzo 22

    Sommario

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    1Letteratura italiana Einaudi

    Analisi riflessiva della fiaba

    lamore delle tre melarance

    rappresentazione divisa in tre atti

    Io me nandr colla barchetta mia,quanto lacqua comporta un picciol legno;e ci, chio penso colla fantasia,di piacere ad ognuno il mio disegno:convien, che varie cose al mondo sia,come son vari volti, e vario ingegno;e piace alluno il bianco, allaltro il perso,o diverse materie in prosa, e in verso.

    Ben so, che spesso, come gi Morgante,lasciato ho forse troppo andar la mazza,ma, dove sia poi giudice bastante,materia c da camera, e da piazza:

    ed avvien, che chi usa con giganteconvien, che se ne appicchi qualche sprazza,sicchio ho fatto un altro battaglioa mosca cieca, o talvolta a sonaglio.

    l. pulci,Morgante, Canto 27.

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    prefazione

    Lamore delle tre melarance, favola fanciullesca, da meresa scenica, e colla quale cominciai a dare assistenza al-la comica truppa Sacchi, non fu, che una caricata paro-dia buffonesca sullopere de signori Chiari e Goldoni,che correvano in quel tempo, chella comparve.

    Altro che cercai con questa, sennonch di scoprire, seil genio del pubblico potesse essere suscettibile dun talgenere favoloso puerilmente in sul teatro.

    Si vedr dallanalisi riflessiva, e puntuale, che la rap-presentazione fu tanto ardita, chella si accostava alla te-merit. Il vero non si deve tacere.

    Non si vide mai una rappresentazione teatrale ignudaaffatto di parti serie, e interamente caricata di buffone-sco in tutti i personaggi, come questo scenico abbozzo.

    Ella fu posta in iscena ai 25 di gennaio lanno 1761dalla truppa Sacchi nel teatro di S. Samuele in Venezia,con quel prologo, che si vedr in fronte allanalisi.

    I due partiti collerici de due poeti fecero ogni sforzoper procurare la sua caduta. I l cortese pubblico la so-stenne sul teatro per sette repliche in quel carnovale,chera per terminare.

    Si negli anni susseguenti alla sua prima comparsasempre replicata, ma spogliata delle caricate censure adue accennati poeti, perchera mancata la circostanza, eil proposito.

    Dallanalisi si rilever ci, chellera nel suo nascere.

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    PROLOGO

    un ragazzo nunzio alluditorio.

    I vostri servitor comici vecchisono confusi, e pieni di vergogna,e stan qui dentro, ed han bassi gli orecchi,e i visi mesti pi, che non bisogna,perchhanno udito molti a dir: siam secchi;costor pascon ludienza di menzognacon le commedie, che puzzan di muffa:questo uno sgarbo, una burla, una truffa.Io vi giuro per tutti gli elementi,che per riacquistare il vostro amore,si lascierebbon cavar glocchi, e i denti,e mhan spedito a dirvelo di core:ma state chete, care buone genti,per un momento lasciate il furore,tanto chio dica due parole; e poi

    fate di me ci, che volete voi.Pi non sappiamo omai, come si possail pubblico appagare in sulle scene.Un anno par, che lode abbia riscossaci, che nellaltro poi non va pi bene.La ruota del buon gusto cosa mossada una certaura, che intesa non viene,solo sappiam, che, dov maggior folla,si beve meglio, e il ventre si satolla.Oggi per tanti intrecci, e tante cose,e per tanti caratteri, e successi,devono le commedie esser succose,e daccidenti inaspettati, e spessi,che noi siam con le menti paurose,e ci guardiam lun laltro, e stiam perplessi:ma, perch pur necessit il mangiare,

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    vi torniam colle vecchie a tormentare.Non so, uditor, chi la cagione sia,che lappagarvi a noi renda impossibile,a noi, che pur con tanta cortesiafummo trattati un d, sembra incredibile.Che sia di ci cagion la poesia?Basta, nel mondo tutto corruttibile,e dogni cosa abbiamo pazienza;ma lodio vostro troppa penitenza.

    Tutto vogliamo far dal canto nostro;anche poeti diventar possiamo,per acquistar di nuovo lamor vostro;e gi poeti divenuti siamo.Baratterem le brache in tanto inchiostro,per tanta carta il mantel dar vogliamo,e se talento non abbiamo in dono,basta, che piaccia a voi, perch sia buono.Vogliamo in scena por commedie nuove,cose grandi, e non mai rappresentate.Non mi chiedete quando, come, o dove

    abbiam le cose nuove ritrovate;che dopo un seren lungo, quando piove,novella pioggia a quella pur chiamate;ma benchella vi sembri pioggia nuova,fu sempre piova lacqua, e lacqua piova.Non van tutte le cose allinfinito.Quello, ch capo un d, ritorna coda.Qualche antico ritratto avr un vestito,choggi vediam ritornato alla moda.Lamor, lopinione, e lappetitofanno per bello, e buon tutto si goda,e noi possiam giurar, che poco, o assaiqueste commedie non vedeste mai.Degli argomenti abbiamo per le mani,da far i vecchi diventar bambini.I pazienti genitori umani

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    condurran certo i loro fantolini.Non verranno i talenti sovrumani,e pazienza avrem, che gi i quattrininon odoriam per sentir, se han fragranza,o sappian di dottrina, o dignoranza.Dinaspettati casi vederetein questa sera unabbondanza grande,maraviglie, che udite aver potete,ma non vedute dalle nostre bande.E bestie, e porte, ed uccelli udireteparlare in versi, e meritar ghirlande,e forse i versi saran martelliani,acci battiate volentier le mani.I vostri servi stan per uscir fuore,e vorrei dirvi prima largomento;ma mi vergogno, e tremo, ed ho timorecon urla, e fischi mi cacciate drento.Delle tre melaranceegli lamore.Che sar mai? L ho detto, e non mi pento.Fate conto, mie vite, mie colonne,

    dessere al foco colle vostre nonne.

    troppo chiara la satiretta di questo prologo controa poeti, che opprimevano la truppa comica allimprov-viso del Sacchi, chio scelsi a sostenere, e troppo chiara la proposizione dintrodur sulla scena la serie delle miefavole dargomento puerile, per dispensarmi dal far deriflessi partitamente sui vari sensi sparsi nel prologo me-desimo.

    Nella scelta di questo primo argomento, ch trattodalla pi vile tra le fole, che si narrano a ragazzi, e nellabassezza de dialoghi, e della condotta, e de caratteri,palesemente con artifizio avviliti, pretesi di porre scher-zevolmente in ridicolo I l campiell o, Le massere, Le baruf-fe chiozzott e, e molte altre plebee, e trivialissime operedel signor Goldoni.

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    ATTO PRIMO

    Silvio, re di Coppe, monarca dun regno immagina-rio, i di cui vestiti imitavano appunto quelli dei re dellecarte da gioco, lagnavasi con Pantalone della disgraziadellunico suo figliuolo Tartaglia, principe ereditario,caduto da dieci anni in una malattia incurabile. I medicilavevano giudicata un insuperabile effetto ipocondria-co, e lavevano gi abbandonato. Piangeva forte. Panta-lone, facendo una satira ai medici, suggeriva secreti mi-rabili di alcuni ciarlatani, chesistevano in quel tempo. I lre protestava, che tutto inutilmente si era provato. Pan-talone, fantasticando sullorigine della malattia, chiede-va al re in secreto, per non esser udito dalle guardie, checircondavano il monarca, se la Maest Sua avesse acqui-stato nella sua giovinezza qualche male, che comunicatoal sangue del principe ereditario, lo riducesse a quellamiseria, e se il mercurio potesse giovare. I l re con tuttala seriet protestava dessere stato sempre tutto regina.

    Pantalone aggiungeva, che forse il principe occultavaper rossore qualche infermit contagiosa guadagnata. Ilre serio lo assicurava con maest, che per i suoi paterniesami doveva assicurarsi, chella non era cos: che lin-fermit del figliuolo non era, che un mortale effetto ipo-condriaco: che i medici avevano pronosticato, che, seglinon ridesse, sarebbe in breve sotterra: che il solo riderepoteva esser in lui un segno evidente di guarigione. Cosaimpossibile. Aggiungeva, che il vedersi gi decrepito,collunico figliuolo moribondo, e con la nipote princi-pessa Clarice, necessaria erede del suo regno, giovanebizzarra, strana, crudele, lo affliggeva. Compiangeva isudditi, piangeva dirottamente, dimenticando tutta lamaest. Pantalone lo consolava; rifletteva, che, sera di-pendente la guarigione del principe Tartaglia dal suo ri-dere, non si dovea tener la corte in mestizia. Si bandisse-

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    ro feste, giuochi, maschere, e spettacoli. Si lasciasse li-bert a Truffaldino, persona benemerita nel far ridere, ericetta vera contro gli effetti ipocondriaci, di trattare colprincipe. Aveva scoperto nel principe qualche inclina-zione alla confidenza di Truffaldino. Averebbe potutosuccedere, che il principe ridesse, e guarisse. I l re si per-suadeva, disponeva di dar gli ordini opportuni. Usciva:

    Leandro, cavallo di Coppe, primo ministro. Questopersonaggio era pur vestito, com la figura sua nellecarte da giuoco. Pantalone accennava a parte il suo so-spetto di tradimento sopra Leandro. E re ordinava aLeandro feste, giuochi, e baccanali. Diceva, che qualun-que persona giugnesse a far ridere il principe, avrebbeun gran premio. Leandro dissuadeva il re da tale risolu-zione, giudicando tutto di maggior danno allinfermo.Pantalone insisteva nel suo consiglio. Il re riconfermavagli ordini, e partiva. Pantalone esultava. Diceva a partedi scoprire in L eandro del desiderio per la morte delprincipe. Seguiva il re. Leandro rimaneva ottuso; espri-meva di vedere alcune opposizioni alla sua brama, ma

    che non conosceva lorigine. Usciva:la principessa Clarice, nipote del re. Non s mai ve-duta sulla scena una principessa di carattere strano, biz-zarro, e risoluto, come Clarice. Ringrazio il signor Chia-ri, che mha dati vari specchi nelle sue opere per far unaparodia caricata di caratteri. Costei, in accordo conLeandro di sposarlo, ed elevarlo al trono, se restava ere-de del regno colla morte di Tartaglia, suo cugino, sgri-dava Leandro per la flemma, che doveva avere atten-dendo, che morisse il cugino per una malattia coslenta, com quella dellipocondria. Leandro si giustifi-cava colla cautela, dicendo, che la fata Morgana, suaprotettrice, gli aveva dati alcuni brevi in versi martellia-ni da far prendere in parecchie panatelle a Tartaglia,che dovevano farlo morire lentamente per gli effettiipocondriaci. Ci si diceva per censurare le opere del

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    signor Chiari e del signor Goldoni, che stancavanoscritte in versi martelliani colla monotonia della rima.La fata Morgana era nimica del re di Coppe per averperduti molti de suoi tesori sul ritratto di quel re. Eraamica del cavallo di Coppe per aver fatto qualche ricu-pera sulla sua figura. Abitava in un lago, vicino allacitt. Smeraldina mora, chera la servetta in questa sce-nica parodia caricata, era il mezzo tra Leandro, e Mor-gana. Clarice andava in furore sentendo il modo tardo,che susava nella morte di Tartaglia. Leandro aggiunge-va dubbi sullinutilit de brevi in versi martelliani. Ve-deva introdotto in corte, spedito, non sapeva da chi, uncerto Truffaldino, persona faceta; se Tartaglia rideva,guariva dal male. Clarice smaniava; aveva veduto quel

    Truffaldino, non era possibile il trattenere le risa al solovederlo. Che i brevi in versi martelliani di caratterigrossi sarebbero inutili. Da tali discorsi rilever il letto-re la difesa delle commedie improvvise colle mascherecontro gli effetti ipocondriaci, in confronto delle scrittein versi da poeti dallora malinconiche. Leandro aveva

    spedito Brighella, suo messo, a Smeraldina mora per sa-per ci, che volesse inferire larcano della comparsa diquel Truffaldino, e a chieder soccorsi. Usciva:

    Brighella; riferiva con secretezza, che Truffaldino eraspedito alla corte da certo Celio mago, nimico di Mor-gana, e amante del re di Coppe, per ragioni simili alleaccennate di sopra. Che Truffaldino era una ricettacontro gli effetti ipocondriaci cagionati dai brevi in ver-si martelliani, giunto alla corte per preservare il re, il fi-gliuolo, e tutti que popoli dal morbo contagioso degliaccennati brevi.

    Si noti, che nella nimicizia della fata Morgana, e diCelio mago erano figurate arditamente, e allegoricamen-te le battaglie teatrali, che correvano allora tra i signoridue poeti Goldoni, e Chiari, e che nelle due persone pu-re della fata, e del mago, erano figurati in caricatura i

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    due poeti medesimi. La fata Morgana era in caricatura ilsignor Chiari; Celio in caricatura il signor Goldoni.

    La notizia recata da Brighella dellarcano sul Truf-faldino, metteva della gran confusione in Clarice, e inLeandro. Si consigliavano vari modi di morte occulta,per far perir Truffaldino. Clarice suggeriva arsenico, oarchibugiate. Leandro brevi in versi martelliani nellapanatella, o vero oppio. Clarice, che martelliani, e op-pio erano due cose simili; che Truffaldino gli sembravaduno stomaco assai forte, per digerire tali ingredienti.Brighella aggiungeva, che Morgana, sapendo gli spetta-coli ordinati per divertire il principe, e per farlo ridere,aveva promesso di comparire, e di opporre alle sue risasalubri una maladizione, che lavrebbe mandato allamorte. Clarice entrava per dar luogo allapparecchiodegli spettacoli ordinati. Leandro, e Brighella entrava-no per ordinarli.

    Aprivasi la scena alla camera del principe ipocondria-co. Questo faceto principe Tartaglia era in un vestiario ilpi comico da malato. Sedeva sopra una gran sedia da

    poltrire. Aveva a canto un tavolino, a cui sappoggiava,carico di ampolle, di unguenti, di tazze da sputare, edaltri arredi convenienti al suo stato. Si lagnava con vo-ce debile del suo infelice caso. Narrava le medicaturesofferte inutilmente. Dichiarava gli strani effetti dellasua malattia incurabile, e siccomegli aveva il solo argo-mento della scena, questo valente personaggio non po-teva vestirlo con maggior fertilit. I l suo discorso buffo-nesco, e naturale cagionava un continuo scoppio di risauniversali nelluditorio. Usciva quindi il facetissimo

    Truffaldino per far ridere linfermo. La scena allim-provviso, che facevano questi due eccellenti comicisullargomento, non poteva riuscire, che allegrissima. Ilprincipe guardava di buon occhio Truffaldino; ma perquante prove facesse non poteva ridere. Voleva discor-rere del suo male, voleva opinione da Truffaldino. Truf-

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    faldino faceva dissertazioni fisiche satiriche, e imbroglia-te, le pi graziose, che sudissero. Truffaldino fiutava ilfiato al principe, sentiva odore di ripienezza di versimartelliani indigesti. I l principe tossiva, voleva sputare.

    Truffaldino porgeva la tazza; raccolto lo sputo, lo esami-nava; trovava delle rime fracide, e puzzolenti. Tal scenadurava un terzo dora con le risa continuate degli ascol-tatori. Udivansi degli strumenti, che davano segno deglispettacoli allegri, i quali si facevano nel gran cortile dellareggia. Truffaldino doveva condur il principe sopra unverone a vederli. I l principe protestava, che ci era im-possibile. Facevano un contrasto ridicolo. Truffaldinocollerico gettava per una finestra ampolle, tazze, e tuttoci, che serviva alla malattia di Tartaglia, che strillava, epiangeva, come un rimbambito. Finalmente Truffaldinoportava a forza sulle spalle a goder gli spettacoli quelprincipe, che urlava, come se gli si staccassero le viscere.

    Aprivasi la scena al gran cortile della reggia. Leandroaccennava di aver eseguiti gli ordini per gli spettacoli;che il popolo mesto, bramoso di ridere, si era tutto ma-

    scherato; che sarebbe venuto in quel cortile alle feste;chegli aveva avuta la precauzione di far mascheraremolte persone in modo lugubre per accrescere la malin-conia nel principe spettatore; chera tempo di far aprireil cortile per dar adito al popolo di entrare. Usciva:

    Morgana, trasformata in vecchiarella con caricatura.Leandro si maravigliava, che a porte chiuse fossentratoquelloggetto. Morgana si palesava, e diceva esser ivigiunta in quella figura per isterminare il principe, comevedr; che dovesse incominciar le feste. Leandro la rin-graziava, la chiamava regina dellipocondria. Morgana siritirava. Si spalancavano le porte del cortile.

    Comparivano sopra un verone di facciata il re, il prin-cipe ipocondriaco, impellicciato, Clarice, Pantalone, leguardie, indi Leandro. Gli spettacoli, e le feste non era-no, che que medesimi, che si narrano a ragazzi raccon-

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    tando loro la fola delle tre melarance. Entrava il popolo.Si faceva una giostra a cavallo; caposquadra Truffaldino,che ordinava de faceti movimenti a cavalieri giostranti.Ad ogni movimento si volgeva al verone, chiedendo allaMaest Sua, se il principe rideva. I l principe piangeva,lagnandosi, che laria lo molestava, che il romore glin-tronava la testa; pregava la Maest paterna a farlo porrea letto bel caldo.

    A due fontane, luna, che zampillava olio, laltra vino,concorreva il popolo a provedersi: si facevano de contra-sti trivialissimi, e plebei. Nulla faceva ridere il principe.

    Usciva Morgana da vecchiarella con un vaso per pro-vedersi dellolio alla fontana. Truffaldino faceva vari in-sulti a quella vecchiarella; ella cadeva a gambe alzate.

    Tutte queste trivialit, che rappresentavano la favola tri-viale, divertivano luditorio colla loro novit, quanto leMassere, i Campielli, leBaruffe chiozzott e, e tutte loperetriviali del signor Goldoni.

    Allo scorcio del cadere della vecchiarella il principedava in uno scoppio di risa sonore, e lunghe. Guariva da

    tutti i suoi mali ad un tratto. Truffaldino vinceva il pre-mio, e al ridere di quel faceto principe luditorio solleva-to dalloppressione, cagionata in lui dalle infermit diquellinfelice, rideva sgangheratamente.

    Tutta la corte era allegra del caso, Leandro, e Clariceerano mesti.

    Morgana, levandosi da terra rabbiosa, rimproveravaenfatica il principe e gli scagliava la seguente terribilemaladizione ammaliata chiaresca:

    Apri lorecchio, o barbaro; passi la voce al core;n muro, o monte fermino il suon del mio furore.Come spezzante fulmine si ficca nel terreno,cos questi miei detti ti si ficchino in seno.Come burchio al remurchio tirato dal cordone,te conduca pel naso questa mia imprecazione.

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    Imprecazione orribile! Solo in udirla mori,come nel mar quadrupede, pesce in sui prati, e i fiori.Latro Plutone io supplico, e Pindaro volante,delle tre melarance che tu divenga amante.Minacce, prieghi e lagrime sien vane larve, e ciance,corri allorrendo acquisto delle tre melarance.

    Morgana spariva. I l principe entrava in un robustoentusiasmo per lamore delle tre melarance. Veniva con-dotto via con grandissima confusione della corte.

    Quali inezie! Qual mortificazione per i due poeti! Ilprimo atto della favola terminava a questo passo conuna universal picchiata di mani.

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    ATTO SECONDO

    In una stanza del principe, Pantalone disperato, efuori di s narrava lo stato furioso del principe per lim-precazione avuta. Non era possibile il placarlo. Volevadal padre un paio di scarpe di ferro per poter tanto cam-minare per il mondo, che ritrovasse le fatali melarance,cagione del suo amore. Pantalone aveva ordine di chie-dere al re codeste scarpe, sotto pena della disgrazia delprincipe. Il caso era gravissimo. Largomento era oppor-tuno per un teatro. Satireggiava scherzando sugli argo-menti, che correvano allora. Entrava per correre al re.Uscivano:

    il principe invasato, e Truffaldino. Il principe era im-paziente per la tardanza delle scarpe di ferro. Truffaldi-no faceva delle ridicole richieste. Tartaglia dichiarava divoler andare allacquisto delle tre melarance, le quali,per quanto gli narrava sua nonna, erano lunge duemilamiglia, in potere di Creonta, gigantessa maga. Chiedeva

    le sue armature, ordinava a Truffaldino di armarsi, chelo voleva per suo scudiere. Seguiva una scena buffone-sca tra questi due personaggi sempre facetissimi. Si ar-mavano con le corazze, e gli elmi, e gran spade lunghecon somma caricatura.

    Uscivano il re, Pantalone, le guardie. Una guardiaaveva sopra un bacile un paio di scarpe di ferro.

    Questa scena si faceva tra i quattro personaggi conuna gravit sul caso, che la faceva doppiamente ridicola.Con una tragica, e drammatica maest il padre cercavadi dissuadere il figliuolo dalla perigliosa impresa. Prega-va, minacciava, cadeva nel patetico. I l principe invasatoinsisteva. Sarebbe precipitato di nuovo nellipocondria,se non era lasciato andare. Si riduceva a brutali minaccecontro al padre. I l re stupiva addolorato. Rifletteva, cheil poco rispetto del figliuolo nasceva dallesempio delle

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    nuove commedie. Sera veduto in una commedia del si-gnor Chiari un figliuolo sguainar la spada per ammazzaril proprio padre. Di esempi consimili abbondavano lecommedie dallora, censurate da questa inetta favola.

    Il principe non si chetava. Truffaldino gli calzava lescarpe di ferro. Terminava la scena con un quartetto inversi drammatici di piagnistei, di addii, di sospiri. I lprincipe e Truffaldino partivano. I l re cadeva sopra unasedia in deliquio. Pantalone chiamava aceto in soccorso.

    Accorrevano Clarice, Leandro, e Brighella; rimprove-ravano Pantalone del rumore, che faceva. Pantalone,che si trattava dun re in deliquio, dun principe andatoa perire allacquisto scabroso delle melarance. Brighellarispondeva, che que casi erano freddure, come comme-die nuove, che mettevano rivoluzione senza proposito. Ilre rinvenuto faceva una tragica esagerazione. Piangeva,come morto, il figliuolo. Dava ordini, che tutta la cortesi vestisse a lutto, partiva per chiudersi nel suo gabinet-to, e per terminare i suoi giorni sotto il peso dellafflizio-ne. Pantalone, protestando di unire i suoi co pianti del

    re, di mescolare in un solo fazzoletto le reciproche lagri-me, di dare a nuovi poeti un argomento dinterminabiliepisodi in versi martelliani, seguiva il monarca.

    Clarice, Leandro, e Brighella allegri lodavano Mor-gana. La bizzarra Clarice voleva patti di comando nelregno, prima delevar al trono Leandro. In tempo diguerra voleva esser alla testa delle armate. Anche vinta,co suoi vezzi avrebbe fatto innamorare il capitano ni-mico. Innamorato, e fidato da lei con lusinghe, al suoavvicinarsi gli avrebbe piantato un coltello nella pan-cia. Questa era una censura scherzevole allAtt i ladelsignor Chiari. Clarice voleva la facolt di dispensar lecariche della corte al caso. Brighella chiedeva per i suoimeriti di aver la carica di sopraintendente ai regi spet-tacoli. Seguiva un contrasto in terzo sulla scelta de di-vertimenti teatrali. Clarice voleva rappresentazioni tra-

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    giche, con dei personaggi, che si gettassero dalle fine-stre, dalle torri, senza rompersi il collo, e simili acci-denti mirabili: idest opere del signor Chiari. Leandrovoleva commedie di caratteri: idest opere del signorGoldoni. Brighella proponeva la commedia improvvisacolle maschere, opportuna a divertire un popolo coninnocenza. Clarice, e Leandro collerici, che non vole-vano goffe buffonate, fracidumi indecenti in un secoloilluminato; e partivano. Brighella faceva un patetico di-scorso, commiserando la truppa comica del Sacchi sen-za nominarla, ma facile da intendersi. Compiangevauna truppa onorata, e benemerita, oppressa, e ridotta aperder lamore di quel pubblico da lei adorato, e di cuiera stata il divertimento per tanto tempo. Entrava conapplauso di quel pubblico, che aveva ottimamente in-teso il vero senso del suo discorso.

    Si apriva la scena a un diserto. Si vedeva Celio mago,protettore del principe Tartaglia, fare dei circoli. Obbli-gava il diavolo Farfarello, a comparire. Usciva Farfarel-lo, e parlava in versi martelliani con voce terribile per

    questo modo:Ol, chi qua mi chiama dal centro orrido, ed atro?

    Sei tu mago da vero, o mago da teatro?Se da teatro sei, non mestieri il dirti,che sono unanticaglia diavoli, maghi, e spirti.

    I due poeti serano espressi, che volevano sopprimerenelle commedie le maschere, i maghi, e i diavoli. Celiorispondeva in prosa, chera mago da vero. Farfarellosoggiungeva:

    Or ben, sia chi tu voglia; se da teatro sei,in versi martelliani almen parlar mi dei.

    Celio minacciava il diavolo, voleva parlare in prosa asuo senno. Chiedeva, se quel Truffaldino, da lui spedito

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    con arte alla corte del re di Coppe, avesse fatto alcun ef-fetto; se Tartaglia fosse stato obbligato a ridere, e fosseguarito dagli effetti ipocondriaci. I l diavolo rispondeva:

    Rise, guar; ma dopo Morgana, tua nimica,con unimprecazione rovesci la fatica.Furioso, anelante, infiammato le guance

    va in cerca per amore delle tre melarance;con Truffaldin sen viene. Morgana un diavol tetroha mandato con quelli, perch soffi lor dietro.Gi mille miglia han fatto, e presto qui sarannonel castel di Creonta, a morir con affanno.

    Il diavolo spariva. Celio esclamava contro la nimicaMorgana. Spiegava il gran periglio di Tartaglia, e di

    Truffaldino inviati al castello di Creonta, poco lunge daquel luogo, e in cui si custodivano le tre fatali melarance.Si ritirava per apparecchiar le cose necessarie a salvardue persone meritevoli, e utilissime alla societ.

    Celio mago, che rappresentava in questa inezia il si-gnor Goldoni, non doveva proteggere Tartaglia, e Truf-

    faldino. Ecco un errore ben degno di censura, se meri-tasse censura una diavoleria, come fu questo scenicoabbozzo. I signori Chiari, e Goldoni erano nimici inquel tempo nellarte loro poetica. Volli, che Morgana, eCelio mi servissero a por in vista, in modo caricato, il ge-nio avverso di quei due talenti, n mi curai di raddop-piare personaggi, per salvarmi da una critica in unosmoderato capriccio.

    Uscivano Tartaglia, e Truffaldino armati, come sdetto, e uscivano con un corso velocissimo. Avevano undiavolo con un mantice, che, soffiando lor dietro, li face-va precipitosamente correre. I l divolo cessava di soffia-re, e spariva. I due viaggiatori cadevano a terra per lim-peto, con cui correvano, alla sospensione del vento.

    Ho infinito obbligo al signor Chiari delleffetto effica-cissimo, che faceva questa diabolica parodia.

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    Nelle sue rappresentazioni, tratte dallEneide, egli fa-ceva fare a suoi troiani nel giro duna scenica azione deviaggi grandissimi, senza il mio diavolo con mantice.

    Questo scrittore, che pedantescamente insultava tuttigli altri nelle irregolarit, donava a se stesso de privilegiparticolari. Io vidi nel suoEzeli no, ti ranno di Padova, inuna scena soggiogato Ezelino, e spedito un capitanoallimpresa di Trevigi, soggetta allarmi del tiranno.Nellatto medesimo della stessa rappresentazione, nellascena susseguente, ritornava il capitano trionfante. Ave-va fatte pi di trenta miglia, aveva preso Trevigi, fattimorire gli oppressori; e in una fiorita narrazion, che fa-ceva, giustificava lazione impossibile colla gagliardiadun suo bravissimo cavallo.

    Tartaglia, e Truffaldino dovevano fare duemila migliaper giugnere al castello di Creonta. I l mio diavolo colmantice giustifica il viaggio meglio del cavallo del signorabate Chiari.

    Questi due personaggi sempre facetissimi si levavanoda terra sbalorditi del caso, e maravigliati del vento avu-

    to dietro. Facevano una descrizione spropositata geo-grafica di paesi, monti, fiumi, e mari passati. Tartagliasul vento cessato traeva la conseguenza, che le tre mela-rance erano vicine. Truffaldino era affannato, aveva fa-me, chiedeva al principe, se avesse portato seco provi-gione di danaro, o cambiali. Tartaglia sprezzava tuttequeste basse, e inutili richieste; vedeva un castello sopraun monte poco lontano. Lo credeva il castello di Creon-ta, custode delle melarance; si avviava; Truffaldino lo se-guiva sperando di trovar cibo.

    Celio mago usciva, spaventava i due personaggi, pro-curava invano di dissuader il principe dallimpresa peri-colosa. Descriveva i perigli insuperabili; erano que, chesi narrano a bambini con questa fola; ma Celio li descri-veva con gli occhi spalancati, con voce terribile, e comese fossero stati gran cose. I perigli consistevano in un

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    portone di ferro, coperto di ruggine per il tempo, in uncane affamato, in una corda dun pozzo, mezza fracidaper lumido, in una fornaia, che per non avere scope,spazzava il forno colle proprie poppe. I l principe, nullaintimorito di quei terribili oggetti, voleva andar nel ca-stello. Celio, vedendolo risoluto, consegnava sugna magi-ca da ugnere il catenaccio al portone; del pane da gettareal cane affamato; un mazzo di spazzole da consegnare al-la fornaia, che spazzava il forno colle poppe. Ricordava,che stendessero la corda al sole, e la traessero dallumido.Soggiugneva, che, se per una sorte felice arrivassero a ra-pire le tre custodite melarance, fuggissero tosto dal ca-stello, e si ricordassero di non aprir nessuna di quellemelarance, se non fossero vicini a qualche fonte. Promet-teva, che, se fuggissero illesi dal pericolo col ratto esegui-to, avrebbe spedito il solito diavolo col mantice, che, sof-fiando loro dietro, gli spignesse in pochi momenti al loropaese. Li raccomandava al cielo, e partiva. Tartaglia, e

    Truffaldino colle cose consegnate savviavano al castello.Qui si calava una tenda, che rappresentava la reggia

    del re di Coppe. Qualirregolarit! Qual censura malimpiegata! Seguivano due picciole scene. Una tra Sme-raldina mora, e Brighella, allegri per la perdita di Tarta-glia; laltra con la fata Morgana, che arrabbiata, ordina-va a Brighella di avvertir Clarice, e Leandro, che Celioaiutava Tartaglia allimpresa. Ci le aveva detto Draghi-nazzo, demonio. Comandava a Smeraldina di seguirla si-no al suo lago, dove sarebbero capitati Tartaglia, e Truf-faldino, se uscivano salvi dalle mani di Creonta, e doveavrebbe ordita unaltra insidia. Si separavano confusi.

    Aprivasi la scena al cortile del castello di Creonta.Ebbi occasione di conoscere, allapritura di questa

    scena con degli oggetti affatto ridicoli, la gran forza, cheha l mirabile sullumanit.

    Un portone fatto a cancello di ferro nel fondo, un caneaffamato, che ululava, e passeggiava, un pozzo con uno vi-

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    luppo di corda appresso, una fornaia, che spazzava il for-no con due lunghissime poppe, tenevano tutto il teatro inun silenzio, e in unattenzione nulla minor di quella,chebbero le migliori scene dellopera de nostri due poeti.

    Vedevansi fuor del cancello il principe Tartaglia, eTruffaldino affaticarsi a ugnere il catenaccio del cancel-lo medesimo colla sugna magica, e vedevasi il cancellospalancarsi. Gran maraviglia! Entravano. I l cane, latran-do, gli assaliva. Gli gettavano il pane; si chetava. Granportento! Mentre Truffaldino, pieno di spaventi, sten-deva la corda al sole, e donava le spazzole alla fornaia, ilprincipe entrava nel castello, indi usciva allegro con tregrandissime melarance rapite.

    I gravi accidenti non terminavano cos. Si oscurava ilsole, si sentiva il tremuoto, sudivano gran tuoni. Il prin-cipe consegnava le melarance a Truffaldino, che trema-va forte; sapparecchiavano alla fuga. Usciva dal castellouna voce orrenda, che, puntualissima col testo della fa-vola fanciullesca, gridava per questo modo; ed era dellastessa Creonta:

    O fornaia, fornaia, non patire il mio scorno.Piglia color pe piedi, e gettali nel forno.

    La fornaia, esatta custode del testo della favola, ri-spondeva:

    Io no; che son tanti anni, e tanti mesi, e tanti,che le mie bianche poppe logoro in doglia, e pianti.

    Tu, crudele, una scopa giammai non mi donasti:questi un mazzo ne diedero: vadano in pace; e basti.

    Creonta gridava col testo:

    O corda, o corda, impiccali.

    E la corda col testo rispondeva:

    Barbara, ti ricordatanti anni, e tanti mesi, che abbandonata, e lorda

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    mi lasciasti nellumido in un crudele obblio.Questi al sol mi distesero: vadano in pace: addio.

    Creonta, sempre costante al testo, urlava:

    Cane, guardia fedele, sbrana que sciagurati.Il cane, diligente custode del testo, rispondeva:

    Come possio, Creonta, sbranar gli sventurati?Tanti anni, e tanti mesi ti servii senza pane.Questi mi satollarono. Le tue grida son vane.

    Creonta col testo gridava:

    Ferreo porton, ti chiudi; stritola i ladri infami.

    Il portone col testo rispondeva:

    Crudel Creonta, indarno il mio soccorso chiami.Tanti anni, e tanti mesi ruggine, ed in cordogliotu mi lasciasti: munsero; ingrato esser non voglio.

    Era un bel vedere Tartaglia, e Truffaldino, maravi-gliati dellabbondanza dei poeti. Stupivano di udir ra-

    gionar in versi martelliani sino le fornaie, le corde, i cani,i portoni. Ringraziavano quegli oggetti della loro piet.

    Luditorio era contentissimo di quella mirabile novitpuerile, ed io confesso, che rideva di me medesimo, sen-tendo lanimo a forza umiliato a godere di quelle imma-gini fanciullesche, che mi rimettevano nel tempo dellamia infanzia.

    Usciva la gigantessa Creonta altissima, e in andrian.Tartaglia, e Truffaldino allorribile comparsa fuggivano.

    Creonta, con un disperato gestire, diceva questi di-sperati versi martelliani, non lasciando dinvocar Pinda-ro, di cui l signor Chiari si vantava confratello:

    Ahi ministri infedeli, corda, cane, portone,scelerata fornaia, traditrici persone!O melarance dolci! Ahi chi mi vha rapite?

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    Melarance mie care, anime mie, mie vite.Oim crepo di rabbia. Tutto mi sento in senoil caos, gli elementi, il sol, larcobaleno.Pi non deggio sussistere. O Giove fulminante,tuona dal ciel, minfrangi dalla zucca alle piante.Chi mi d aiuto, diavoli, chi dal mondo minvola?Ecco un amico fulmine, che marde e mi consola.

    Nessuna parodia caricata potr spiegar i sentimenti, elo stile del signor Chiari meglio di questultimo verso.

    Cadeva un fulmine, che inceneriva la gigantessa.

    A questo passo terminava latto secondo, favorito dimaggior applauso del primo dal pubblico.

    La mia audacia cominciava a non esser pi colpevole.

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    ATTO TERZO

    Si apriva la scena al luogo, dovera il lago di abitazio-ne della fata Morgana. Si vedeva un albero grande; sottoa quello un sasso grande, in forma di sedile. Erano puresparsi per quella campagna vari macigni.

    Smeraldina, il di cui linguaggio era di turca italianiz-zata, stava sulla riva del lago per attendere gli ordini del-la fata. Simpazientava, chiamava.

    Usciva la fata dal lago. Narrava dessere stata allinfer-no, e di aver saputo, che Tartaglia, e Truffaldino, aiutatida Celio, venivano, spinti dal mantice dun diavolo, vit-toriosi delle tre melarance. Smeraldina rimproverava lasua ignoranza nella magia; era arrabbiata. Morgana, chenon si stancasse. Per un accidente, ordinato da lei, Truf-faldino sarebbe arrivato in quel luogo disgiunto dal prin-cipe. Una fame, e una sete magica lo molesterebbero.Avendo seco le tre melarance, succederebbero grandi ac-cidenti. Consegnava due spilloni indiavolati a Smeraldi-

    na mora. Diceva, che sotto allalbero avrebbe veduta unabella ragazza sedere sopral sasso. Questa sarebbe la spo-sa scelta da Tartaglia. Proccurasse con arte di ficcare unodegli spilloni nel capo a quella ragazza. Sarebbe diventa-ta una colomba. Sedesse sul sasso in iscambio di quellaragazza. Tartaglia avrebbe sposata lei; diverrebbe regina.La notte, dormendo col marito, piantasse nel capo aquello laltro spillone; sarebbe diventato un animale; ecos restava libero il trono a Leandro, e Clarice. La moratrovava delle difficolt in questa impresa, spezialmentequella desser conosciuta in corte. Larte magica di Mor-gana spianava tutte le impossibilit, come si deve crede-re. Conduceva via la mora per meglio istruirla, e perchvedeva giugnere Truffaldino spinto dal vento infernale.

    Usciva Truffaldino correndo col diavolo, che lo soffia-va, e colle tre melarance in una bisaccia. Il diavolo spari-

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  • 8/13/2019 Cario Gozzi - L'Amore Delle Tre Melarance

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    va. Truffaldino narrava esser caduto il principe poco di-scosto per limpeto del correre; che lo avrebbe aspettato.Sedeva. Una fame, e una sete prodigiosa lassalivano. De-stinava di mangiarsi una delle tre melarance. Aveva derimorsi, faceva una scena tragica. Finalmente molestato,e accecato dalla prodigiosa fame, risolveva di fare il gransacrifizio. Rifletteva di poter rimettere il danno con duesoldi! Tagliava una melarancia. Qual miracolo! Uscivada quella una giovinetta vestita di bianco, la quale, fedelseguace del testo della favola, diceva tosto:

    Dammi da bere, ahi lassa! Presto moro, idol mio,moro di sete, ahi misera! Presto, crudele. Oh Dio!.

    Cadeva in terra presa da un languor mortale. Truffal-dino non si ricordava gli ordini di Celio, di non doveraprire le melarance, che appresso una fonte. Balordoper istinto, e per il caso mirabile disperato non vedeva illago vicino; gli veniva in mente solo il ripiego di tagliareunaltra delle melarance, e di soccorrere la moribondaper la sete col succo di quella. Faceva tosto lanimalesca

    azione di tagliare unaltra melarancia, ed ecco unaltrabella ragazza col suo testo in bocca per tal modo:

    Oim, muoio di sete. Deh dammi ber, tiranno.Crepo di sete, oh Dio! Chio svengo per laffanno.

    Cadeva, come laltra. Truffaldino esprimeva le smaniesue grandissime. Era fuori di s, disperato. Una dellefanciulle seguiva con voce flebile:

    Crudel destin! Di sete morr? Muoio, son morta.

    Spirava. L altra aggiungeva:

    Moro, barbare stelle: oim, chi mi conforta!.

    Spirava. Truffaldino piangeva, parlava loro con tene-rezza. Stabiliva di tagliar la terza melarancia per aiutarle.Era per tagliarla, quando usciva:

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    Tartaglia furioso, che lo minacciava. Truffaldino spa-ventato fuggiva abbandonando la melarancia.

    Gli stupori, i riflessi, che faceva questo grottescoprincipe sui gusci delle melarance tagliate, e sopra adue cadaveri delle giovinette, non sono dicibili.

    Le maschere facete della commedia allimprovviso inuna circostanza simile a questa fanno delle scene dispropositi tanto graziosi, di scorci, e di lazzi tanto piace-voli, che n sono esprimibili dallinchiostro, n supera-bili da poeti.

    Dopo un lungo, e ridicolo soliloquio, Tartaglia vede-va passar due villani, ordinava lonorata sepoltura diquelle due giovinette. I villani le portavano via.

    Il principe si volgeva alla terza melarancia. Ella era,con sua sorpresa, portentosamente cresciuta, quantouna grandissima zucca.

    Vedeva il lago vicino, dunque per i ricordi di Celio, illuogo era opportuno per aprirla; lapriva col suo spado-ne, ed usciva da quella una grande, e bella fanciulla, ve-stita di teletta bianca, la quale, adempiendo al testo del

    grave argomento, esclamava:

    Chi mi trae dal mio centro! Oh Dio! Muoio di sete.Presto datemi bere, o invan mi piangerete. (cadeva

    in terra)

    Il principe intendeva la ragione dellordine di Celio.Era imbrogliato per non aver nulla da raccoglier dellac-qua. I l caso non ammetteva riguardi di politezza. Si trae-va una delle scarpe di ferro, correva al lago, lo empievadacqua, e chiedendo perdono dellimpropriet del bic-chiere, dava ristoro alla giovinetta, che robusta si rizzavaringraziandolo del soccorso.

    Ella narrava desser figliuola di Concul, re degli Anti-podi, e dessere stata condannata con due sue sorelledalla crudel Creonta, per incantesimo, nel guscio duna

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    melarancia, per ragioni tanto verisimili, quantera verisi-mile il caso. Seguiva una scena facetamente amorosa. Ilprincipe giurava di sposarla. La citt era vicina. La prin-cipessa non aveva decenti vestiti. I l principe lobbligavaad aspettarlo assisa sopral sasso allombra dellalbero.Sarebbe venuto con ricco vestiario, e con tutta la corte alevarla. Ci concluso, si staccavano con de sospiri.

    Smeraldina mora, attonita per quanto aveva veduto,usciva. Vedeva lombra della bella giovine nellacqua dellago. Non era pericolo, chella non eseguisse diligente-mente quanto si narra nella favola di cotesta mora. Nonparlava pi turco italianizzato. Morgana le aveva fatto en-trar nella lingua un diavolo toscano. Sfidava tutti i poetinel ragionare correttamente. Scopriva la giovine princi-pessa, il di cui nome era Ninetta. La lusingava, si esibivaad acconciarle il capo, se le avvicinava, la tradiva. Le pian-tava nel capo uno dei due spilloni portentosi. Ninetta di-ventava una colomba, volava per laere. Smeraldina sede-va nel suo posto attendendo la corte; si preparava atradire Tartaglia collaltro spillone, quella notte.

    A tutto il mirabile misto col ridicolo, e le puerilit diqueste scene, gli uditori informati sino dai loro primi an-ni dalle balie, e dalle nonne loro degli accidenti di que-sta fola, erano immersi profondamente nella materia, eimpegnati strettamente cogli animi nellardita novit divederli esattamente rappresentati sopra un teatro.

    Al suono duna marcia giugneva il re di Coppe, ilprincipe, Leandro, Clarice, Pantalone, Brighella, e tuttala corte, per levare solennemente la principessa sposa.La nuova figura della mora trovata, e non conosciutaper le stregherie di Morgana, faceva arrabbiare il princi-pe. La mora giurava, esser lei la principessa, ivi lasciata.Il principe non mancava di far ridere colle sue dispera-zioni. Leandro, Clarice, e Brighella erano allegri. Vede-vano, da dove veniva larcano. Il re di Coppe entrava ingravit, obbligava il figliuolo a mantenere la principesca

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    parola, e a sposare la mora. Minacciava. I l principe conbuffoneschi scorci acconsentiva, tutto mestizia. Si suo-navano gli strumenti. I l drappello passava alla corte percelebrare le nozze.

    Truffaldino non era venuto colla corte. Aveva ottenu-to il perdono dal principe dei suoi errori. Aveva avuto lacarica di cuoco regio. Era rimasto nella cucina per appa-recchiare il banchetto nuziale.

    La scena, che seguiva dopo la partenza della corte, la pi ardita di questa scherzevole parodia. I due partitidelli signori Chiari, e Goldoni, cherano nel teatro, e chesavvidero del tratto mordace, fecero ogni prova perporre in un tumulto di sdegno luditorio, ma tutti glisforzi furono vani. Ho detto, che, nella persona di Celiomago, io aveva figurato il signor Goldoni, in quella diMorgana il signor Chiari. Il primo aveva fatto un tempolavvocato nel foro veneto. La sua maniera di scriveresentiva dello stile delle scritture, che si accostumano da-gli avvocati in quel rispettabile foro. Il signor Chiari sivantava duno stile pindarico, e sublime; ma, sia detto

    con sopportazione, non ci fu nessun gonfio, e irragione-vole scrittore seicentista, che superasse i suoi smoderatitrascorsi.

    Celio, e Morgana avversi, e furiosi incontrandosi for-mavano la scena, chio trascriver interamente col dialo-go medesimo, e come segu.

    Si rifletta, che, se le parodie non danno nella caricatu-ra, non hanno giammai lintento, che si desidera, e susiindulgenza ad un capriccio, che nacque da un animopuramente allegro, e scherzevole, ma amicissimo nelles-senziale de signori Chiari, e Goldoni.

    celio (uscendo impetuoso, a Morgana) Scelleratissimamaga, ho gi saputo ogni tuo inganno; ma Plutonemassister. Strega infame, strega maladetta.

    morgana Che parlare il tuo, mago ciarlatano? Non

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    mi pungere; perchio ti dar una rabbuffata in versimartelliani, che ti far morire sbavigliando.

    celio A me, strega temeraria? Ti render pane per fo-caccia. Ti sfido in versi martelliani. A te:

    Sar sempre tenuto un vano tentativo,subdolo, insussistente, dogni giustizia privo,le tali quali incaute, maligne, rovinosestregherie di Morgana collaltre, annesse cose;e sar ad evidenza ogni mal operatotagliato, carcerato, cassato, evacuato.

    morgana Oh cattivi! A me, mago dappoco:Prima i bei raggi doro di Febo risplendentediverran piombo vile, e il levante ponente:prima lopaca luna le argentee corna belle,e leterico impero cambier colle stelle:i mormoranti fiumi col loro natio cristallopoggeran nelle nuvole sul pegaseo cavallo;ma sprezzar non potrai, vil servo di Plutone,

    del mio spalmato legno le vele, ed il timone.celio Oh fata, gonfia, come una vesciva! Aspettami:Seguir assoluzione in capo di converso,come fia dichiarito nel primo capoverso.Ninetta principessa in colomba cambiatasia, per quanto in me consta, presto repristinata;ed in secondo capo, capo di conseguenza,Clarice, e l tuo Leandro cadranno in indigenza,e Smeraldina mora, indebita figura,per il ben giusto effetto a tergo avr larsura.

    morgana Oh goffo, goffo verseggiatore! Ascoltami;voglio atterrirti:

    Con le volanti penne Icaro insuperbitopoggia al ciel, scende ai flutti garrulo, incauto, ardito.Sopra Pelio Ossa posero, Olimpo sopra ad Ossatemerari gli Enceladi per dare al ciel la scossa.

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    Precipitano glIcari nel salso umor spumante,e gli Enceladi in cenere manda il folgor tonante.Salga Clarice al trono per tuo dolor protervo,si tramuti Tartaglia, qual Ateone, in cervo.

    celio (a parte) (Costei mi vuol sopraffare con poetichesuperchierie. Se crede di cacciarmi nel sacco, singanna):

    Nulla lascier correre senza risposta, e prestoapplico a tue mendacie un valido protesto.

    morgana

    Dei monarchi di Coppe fia libero il paese. (partiva)celio (le gridava dietro)

    Ed io ti riprotesto, salvis, e nelle spese. (entrava)Aprivasi la scena alla cucina regia. Non si vide maiuna regia cucina pi miserabile di questa.

    Il resto della rappresentazione non era, che, il restodella fola minutamente rappresentata, in cui erano giinteressatissimi gli animi degli spettatori.

    La parodia non girava, che sulle bassezze, e trivialit

    dalcune opere, e sullavvilimento di alcuni caratteri deidue poeti. Uneccessiva mendicit, impropriet, e bas-sezza formavano la parodia.

    Si vedeva Truffaldino affaccendato a infilzare un ar-rosto. Narrava disperato, che, non essendovi in quellacucina girarrosto, girando egli lo spiedo, era comparsauna colomba sopra un finestrino; chera corso tra lui, ela colomba questo dialogo. Le parole sono del testo. Lacolomba gli aveva detto: Bon d, cogo de cusina. Eglile aveva risposto: Bon d, bianca colombina. La co-lomba aveva soggiunto: Prego el cielo, che ti te possiindormenzar: che el rosto se possa brusar; perch lamora, brutto muso, no ghe ne possa magnar. Un pro-digioso sonno lo aveva assalito; sera addormentato;larrosto si era incenerito. Questo accidente era natodue volte. Due arrosti si erano abbruciati. Frettoloso

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    metteva il terzo arrosto al fuoco. Si vedeva comparire lacolomba, il dialogo si replicava. Il sonno portentoso as-saliva Truffaldino. Questo grazioso personaggio facevatutti gli sforzi per non dormire; i suoi lazzi erano face-tissimi. Saddormentava. Le fiamme incenerivano il ter-zo arrosto.

    Si chieda alluditorio, il perch di questa scena piaces-se estremamente.

    Giungeva Pantalone gridando. Destava Truffaldino.Diceva, che l re era in collera, perch si erano mangiatila minestra, lalesso, e il fegato, e larrosto non compari-va. Viva il coraggio dun poeta. Questo era un sorpassarnella bassezza le baruffe per le zucche baruche delleChiozzotte del signor Goldoni. Truffaldino narrava il ca-so della colomba. Pantalone non credeva tal maraviglia.Compariva la colomba, replicava le parole portentose.

    Truffaldino era per cadere dal sonno. Questi due perso-naggi davano la caccia alla colomba, che svolazzava perla cucina.

    Tal caccia interessava molto luditorio. Si prendeva la

    colomba, si metteva sopra una tavola, si accarezzava. Sele sentiva un picciolo gruppetto nel capo; era lo spillonemagico. Truffaldino lo strappava. Ecco la colomba tra-sformata nella principessa Ninetta.

    Gli stupori erano grandissimi. Compariva la Maestdel re di Coppe, il quale con monarchesca gravit, e col-lo scettro alla mano minacciava Truffaldino per la tar-danza dellarrosto, e per la vergogna, che sofferiva unsuo pari coi convitati. Gran superiorit dun autore!Giugneva il principe Tartaglia, riconosceva la sua Ninet-ta. Era folle per lallegrezza. Ninetta con brevit narravai suoi casi; il re rimaneva attonito. Vedeva comparire lamora, e l resto della corte in traccia della Maest Suanella cucina. Il re con sussiego sommo ordinava a dueprincipi di ritirarsi nella spazzacucina. Destinava il foco-lare per suo trono, siedeva sul focolare con sostegno rea-

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    Carlo Gozzi - L amore delle tre melarance

    le. Giugneva la mora, e la corte tutta. I l re, fedel custodedella favola, metteva il caso nei termini, chiedeva qualcastigo meritassero i delinquenti a quel caso. Ognunsbalordito diceva il suo parere. Il re nelle furie condan-nava Smeraldina mora alle fiamme. Compariva Celio.Dichiarava le colpe occulte di Clarice, Leandro, e Bri-ghella. Erano condannati in una relegazione crudele. Sichiamavano i due principi sposi dalla spazzacucina. Tut-to era allegrezza.

    Celio esortava Truffaldino a tener lunge i versi mar-telliani diabolici dalle regie pignatte, e a far ridere i suoisovrani. Non lasciava di terminare la favola col consuetofinale, che sa a memoria ogni ragazzo: di nozze, di rapein composta, di sorci pelati, e gatti scorticati ecc. e, sic-come i signori gazzettieri di quel tempo facevano elogisterminati sui loro fogli ad ogni opera nuova, che venivarappresentata del signor Goldoni, non si ommetteva unacalda raccomandazione alluditorio, perchegli volessefarsi intercessore coi signori gazzettieri in vantaggio del-la buona fama di questa fanfaluca misteriosa.

    Non fu mia colpa. I l cortese pubblico volle replicaremolte sere alla fila questa parodia fantastica. Il concorsofu grande. La truppa del Sacchi cominci a respiraredalloppressione. Si troveranno in seguito le conseguen-ze grandi derivate da cos frivolo principio, nella paro-dia del quale chi conosce lI talia, e non sar entusiastageniale della delicatezza francese, non former giudiziocol confronto delle parodie di quella nazione.

    30Letteratura italiana Einaudi