Card. J.M. Bergoglio (2001) - La Figura Del Vescovo Nel Nuovo Millennio. Relatio Post Disceptatione...
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La figura del vescovo nel nuovo millennio. Relatio post disceptationem
Tipo di contributo: Documento - Parte / Inserto
Autore: Card. J.M. Bergoglio alla X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi
Titolo: La figura del vescovo nel nuovo millennio. Relatio post disceptationem
Tema: Santa Sede
Area: AMERICA LATINA, AMERICHE
Nazione: Argentina
Riferimento: Regno-doc. n.21, 2001, p.671
Sinodo dei Vescovi
X Assemblea generale ordinaria
Il vescovo
servitore della
comunione
Delineare il profilo dell immagine del vescovo di cui la Chiesa ha bisogno per compiere la sua
missione all inizio di questo millennio : l affermazione del card. Bergoglio sintetizza la direzione
principale in cui la X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, riunita in Vaticano dal
30 settembre al 27 ottobre scorsi sul tema Il vescovo: servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la
speranza del mondo , ha inteso il proprio mandato, per quanto emerge dalla documentazione
disponibile e qui riprodotta. È stata infatti la prima assemblea ordinaria post-giubilare, ereditando
in questo senso sia il dibattito delle assemblee sinodali continentali (1994-1999), sia le linee
programmatiche della Novo millennio ineunte e del relativo VI Concistoro straordinario dello
scorso maggio (cf. Regno-doc. 3,2001,73ss e 11,2001,335; Regno-att. 12,2001,361ss).
Pubblichiamo: l Omelia di Giovanni Paolo II alla messa d apertura; alcuni interventi dei padri
sinodali (Morissette, Gregory, Kolvenbach, Onaiyekan, Rubiano, Danneels, Keeler, Grab, Brunner,
Sodano, Husar, Gregorio III), raggruppati intorno ai due nodi tematici della spiritualità di
comunione e degli strumenti della collegialità; la Relatio post disceptationem del relatore aggiunto
card. J.M. Bergoglio e il Messaggio approvato in conclusione dall assemblea. Cf. ampiamente Regno-
att. 20,2001,649ss.
Originali: stampa da sito Internet: www.vatican.va. Per la serie degli interventi: stampe da supporto
magnetico in nostro possesso; nostre traduzioni dall inglese (Onaiyekan, Gregory, Keeler), francese
(Gregorio III, Danneels, Morissette), tedesco (Brunner), spagnolo (Rubiano).
Omelia di
Giovanni Paolo II
Il vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo . Su questo tema si
svolgeranno i lavori della X Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che stiamo ora
aprendo nel nome del Signore. Essa fa seguito alla serie di assemblee speciali di carattere
continentale, svoltesi in preparazione del grande giubileo dell anno 2000, assemblee tutte
accomunate dalla prospettiva dell evangelizzazione, come testimoniano le esortazioni apostoliche
post-sinodali sinora pubblicate. In questa medesima prospettiva si colloca l attuale, che si pone pure
in continuità con le precedenti assemblee ordinarie, dedicate alle diverse vocazioni nel popolo di
Dio: i laici, nel 1987; i sacerdoti, nel 1990; la vita consacrata, nel 1994. La trattazione
sui vescovicompleta così il quadro di un ecclesiologia di comunione e di missione, che sempre
dobbiamo avere dinanzi agli occhi.
Con grande gioia vi accolgo, carissimi e venerati fratelli nell episcopato, convenuti da ogni parte del
mondo. Il vostro ritrovarvi e lavorare insieme, sotto la guida del successore di Pietro, manifesta che
tutti i vescovi sono partecipi, in gerarchica comunione, della sollecitudine della Chiesa universale
(Christus Dominus, n. 5; EV1/581). Estendo il mio cordiale saluto agli altri membri dell assemblea e
a quanti nei prossimi giorni coopereranno al suo efficace svolgimento. In modo particolare,
ringrazio il segretario generale del Sinodo, il card. Jan Pieter Schotte, insieme con i suoi
collaboratori, che hanno attivamente preparato la presente riunione sinodale.
2. Nella notte di Natale del 1999, inaugurando il grande giubileo, dopo aver aperto la Porta
santa, l ho attraversata tenendo tra le mani il libro dei Vangeli. Era un gesto altamente simbolico. In
esso possiamo vedere in qualche modo racchiuso tutto il contenuto del Sinodo che oggi apriamo e
che avrà come tema: Il vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo .
Il vescovo è minister, servitore . La Chiesa è al servizio del Vangelo. Ancilla Evangelii : così
potrebbe definirsi, riecheggiando le parole pronunciate dalla Vergine all annuncio
dell Angelo. Ecce ancilla Domini , disse Maria; Ecce ancilla Evangelii , continua a dire oggi la
Chiesa.
Propter spem mundi . La speranza del mondo sta in Cristo. In lui le attese dell umanità trovano
reale e solido fondamento. La speranza di ogni essere umano promana dalla croce, segno di vittoria
dell amore sull odio, del perdono sulla vendetta, della verità sulla menzogna, della solidarietà
sull egoismo. A noi il compito di comunicare quest annuncio salvifico agli uomini e alle donne del
nostro tempo.
3. Beati i poveri in spirito , abbiamo cantato nel ritornello del Salmo responsoriale.
La beatitudine evangelica della povertà, che nell odierna domenica la parola di Dio ripropone,
costituisce un messaggio prezioso per l assemblea sinodale che stiamo iniziando. La povertà è,
infatti, un tratto essenziale della persona di Gesù e del suo ministero di salvezza e rappresenta uno
dei requisiti indispensabili perché l annuncio evangelico trovi ascolto e accoglienza presso l umanità
di oggi.
Alla luce della prima lettura, tratta dal profeta Amos, e ancor più della celebre parabola del ricco
epulone e del povero Lazzaro, raccontata dall evangelista Luca, noi, venerati fratelli, siamo
stimolati a esaminarci circa il nostro atteggiamento verso i beni terreni e circa l uso che se ne fa.
Siamo invitati a verificare a che punto nella Chiesa sia la conversione personale e comunitaria ad una
effettiva povertà evangelica. Tornano alla memoria le parole del concilio Vaticano II: Come Cristo
ha compiuto la sua opera di redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è
chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza (Lumen
gentium, n. 8; EV 1/306).
4. È la via della povertà che ci permetterà di trasmettere ai nostri contemporanei i frutti della
salvezza . Come vescovi siamo chiamati, pertanto, a essere poveri al servizio del Vangelo. Essere
servitori della parola rivelata, che all occorrenza levano la loro voce in difesa degli ultimi,
denunciando i soprusi di quelli che Amos chiama gli spensierati e i buontemponi . Essere profeti
che evidenziano con coraggio i peccati sociali legati al consumismo, all edonismo, a un economia
che produce un inaccettabile divario tra lusso e miseria, tra pochi epuloni e innumerevoli
Lazzaro condannati alla miseria. In ogni epoca, la Chiesa si è fatta solidale con questi ultimi, e ha
avuto pastori santi, che si sono schierati, come apostoli intrepidi della carità, dalla parte dei poveri.
Ma perché la voce dei pastori sia credibile, è necessario che diano essi stessi prova di una condotta
distaccata da interessi privati e sollecita verso i più deboli. Occorre che siano di esempio per la
comunità loro affidata, insegnando e sostenendo quell insieme di principi di solidarietà e di giustizia
sociale che formano la dottrina sociale della Chiesa.
5. Tu, uomo di Dio (1Tm 6,11): con questo titolo san Paolo qualifica Timoteo nella seconda
lettura, poc anzi proclamata. È una pagina in cui l apostolo traccia un programma di vita
perennemente valido per il vescovo. Il pastore deve essere uomo di Dio ; la sua esistenza e il suo
ministero stanno interamente sotto la signoria divina e traggono dal sovraeminente mistero di Dio
luce e vigore.
Continua san Paolo: Tu, uomo di Dio, ... tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla
pazienza, alla mitezza (6,11). Quanta saggezza in quel tendi ! L ordinazione episcopale non
infonde la perfezione delle virtù: il vescovo è chiamato a proseguire il suo cammino di santificazione
con maggiore intensità, per giungere alla statura di Cristo, uomo perfetto.
Aggiunge l apostolo: Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna...
(6,12). Protesi verso il regno di Dio, affrontiamo, cari fratelli, la quotidiana nostra fatica per la fede,
non cercando altra ricompensa se non quella che Dio ci darà alla fine. Siamo chiamati a rendere
questa bella professione di fede davanti a molti testimoni (6,12). Lo splendore della fede si fa così
testimonianza: riflesso della gloria di Cristo nelle parole e nei gesti di ogni suo fedele ministro.
Conclude san Paolo: Ti scongiuro di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento,
fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo (6,14). Il comandamento ! In questa
parola c è tutto Cristo: il suo Vangelo, il suo testamento d amore, il dono del suo Spirito che compie
la legge. Gli apostoli hanno ricevuto da lui questa eredità e l hanno a noi affidata, perché sia
conservata e trasmessa intatta sino alla fine dei tempi.
6. Carissimi fratelli nell episcopato! Cristo oggi ripete a noi: Duc in altum - Prendi il largo! (Lc 5,4).
Alla luce di questo suo invito, noi possiamo rileggere il triplice munus affidatoci nella Chiesa: munus
docendi, sanctificandi et regendi (cf. Lumen gentium, nn. 25-27; Christus Dominus, nn. 12-
16; EV 1/344ss; 1/596ss).
Duc in docendo! Annunzia la parola - diremmo con l apostolo -, insisti in ogni occasione,
opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina
(2Tm 4,2).
Duc in sanctificando! Le reti che siamo chiamati a gettare tra gli uomini sono anzitutto i
sacramenti, di cui siamo i principali dispensatori, regolatori, custodi e promotori (cf. Christus
Dominus, n. 15; EV 1/605). Essi formano una sorta di rete salvifica, che libera dal male e conduce
alla pienezza della vita.
Duc in regendo! Come pastori e veri padri, coadiuvati dai sacerdoti e dagli altri collaboratori,
abbiamo il compito di radunare la famiglia dei fedeli e fomentare in essa la carità e la comunione
fraterna (cf. Christus Dominus, n. 16;EV 1/608ss).
Per quanto si tratti d una missione ardua e faticosa, nessuno si perda d animo. Con Pietro e con i
primi discepoli anche noi rinnoviamo fiduciosi la nostra sincera professione di fede: Signore, sulla
tua parola getterò le reti (Lc 5,5)! Sulla tua Parola, o Cristo, vogliamo servire il tuo Vangelo per la
speranza del mondo!
E anche sulla tua materna assistenza noi confidiamo, o Vergine Maria. Tu, che hai guidato i primi
passi della comunità cristiana, sii anche per noi sostegno e incoraggiamento. Intercedi per noi,
Maria, che con le parole del servo di Dio Paolo VI invochiamo ausilio dei vescovi e Madre dei
pastori . Amen!
30 settembre 2001.
Giovanni Paolo II
Morissette: fede,
visione, compassione
1. Il primo capitolo dell Instrumentum laboris descrive il mondo al quale i vescovi sono mandati ad
annunciare il Vangelo (n. 15), evidenziando le zone d ombra e di luce che esso presenta.1 La società
canadese non sfugge alla descrizione di queste grandi tendenze planetarie.2
2. In questo nuovo contesto,3 occorre un evoluzione dell esercizio del ministero episcopale se si
vuole che il vescovo entri in comunione con gli uomini e si ponga oggi al servizio del Vangelo di
Gesù Cristo per la speranza del mondo.4 Come può il vescovo essere testimone della speranza nella
sua Chiesa locale? Le risposte date da varie associazioni di fedeli e di vescovi del Canada alla
consultazione pre-sinodale permettono di evidenziare alcuni tratti della figura del vescovo che
possono farne un testimone della speranza nell odierna società canadese.
3. Anzitutto, il vescovo è testimone della speranza se è un uomo di fede. La sua fede gli ripete che il
mondo attuale è il mondo di Dio, che Dio non ha abbandonato questo mondo. Essa gli ricorda
continuamente la promessa di Cristo: Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo
(Mt 28,20). Così, tenendo in mano lo scudo della fede (Ef 6,16), il vescovo può guidare la sua
Chiesa in mezzo alle prove del tempo presente. Egli può anche intuire e quasi
sognare .5 Nonostante le difficoltà, l incertezza del futuro, la sua fede nella presenza amorosa di Dio
in mezzo al suo popolo alimenta in lui una speranza che si comunica a tutta la sua Chiesa locale.
Lungi dall essere un ingenuo ottimismo, la sua speranza affonda le radici nel mistero della Pasqua e
nella sua certezza che Cristo ha vinto la morte.6
4. Dal vescovo ci si aspetta che sia un uomo di visione. Per esserlo, egli ricorre alla tradizione come a
un tesoro di saggezza, ma si assicura che il Vangelo venga espresso nelle strutture della cultura
attuale, senza banalizzare la forza del messaggio e senza ripetere formule del passato diventate
incomprensibili per i nostri contemporanei.7 Al tempo stesso, egli si sforza di leggere i segni dei
tempi,8 per cogliere in profondità le grandi questioni che agitano la nostra società e discernere i
germi di vita che il mondo attuale contiene. Collegato a questi due poli, il vescovo conserva la sua
Chiesa nella speranza, aiutandola a vedere la pertinenza del messaggio evangelico per il mondo
attuale e guidandola verso un annuncio significativo della buona novella.
5. Il vescovo alimenta la speranza della Chiesa locale quando incrementa la comunione, quando,
sull esempio degli apostoli, spinge a fare Chiesa.9 Perciò, spetta a lui discernere i carismi e i talenti,
organizzare i ministeri per il servizio del popolo di Dio, affinché tutto si compia in armonia.10 Spetta
a lui anche tenere insieme le diverse tendenze esistenti nella Chiesa, gestire i conflitti emergenti in
modo che non dividano irrimediabilmente le comunità, ma le facciano crescere. Dal vescovo ci si
aspetta che favorisca la pace e l unità, promuovendo al tempo stesso le espressioni di una legittima
diversità.
6. Un altro tratto del vescovo che suscita la speranza è la promozione della dignità umana. Il nostro
mondo soffre a causa di varie fratture: fra i paesi del Nord e quelli del Sud, fra i popoli colonizzatori
e i popoli autoctoni, fra i ricchi e i poveri, fra le generazioni, fra gli uomini e le donne,11 ecc.
Tutte queste fratture fanno sì che le persone siano dominate, sfruttate, emarginate e scoraggiate. Il
vescovo è testimone della speranza quando porta il messaggio del Vangelo non in forma a-
temporale, ma nel cuore stesso di queste sfide sociali,12 quando permette agli uomini e alle donne di
stare in piedi.
7. Infine, la compassione.13 Il vescovo è testimone della speranza quando riflette la compassione, la
bontà di Cristo per i sofferenti,14 per i senza tetto, i senza voce, gli esclusi... Il papa Paolo VI diceva
che l uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri .15 Il vescovo che collega
il gesto alla parola, che si preoccupa della coerenza fra ciò che si dice e ciò che si fa, condivide la sua
speranza con il suo popolo e diventa uno di quei testimoni che possono contribuire a rinnovare il
volto della terra.
8. Nella società canadese, questi tratti del volto del vescovo sono in grado di farne un testimone della
speranza. Essi riflettono al tempo stesso le attese del popolo cristiano. Ma dalla consultazione pre-
sinodale risulta anche che i fedeli vedono il vescovo più come un amministratore, un personaggio
distante e inaccessibile, o come colui che ritrasmette un pensiero venuto dal di fuori.
Dobbiamo quindi interrogarci, a livello locale e universale, sulle ragioni di queste percezioni. Le
nostre strutture, le nostre procedure e i nostri comportamenti ereditati dal passato devono essere
riformati,16 se favoriscono un immagine del vescovo più come custode dell istituzione e detentore
della verità che come testimone della speranza per il mondo attuale e instancabile ricercatore della
presenza di Cristo nostra verità. Sarebbe certamente proficuo esaminare più in profondità le
indicazioni dell Instrumentum laboris, il quale propone al vescovo di favorire incontri che possano
coinvolgere uomini e donne cercatori della verità (n. 138; Regno-doc.11,2001,369) o di moltiplicare
i forum in cui i laici intervengono, secondo il carisma proprio della secolarità laicale... (n.
93; Regno-doc. 11,2001,362).
In breve, si tratta di rivedere la figura del vescovo (n. 120; Regno-doc. 11,2001,366) in modo che
appaia più chiaramente la natura del ministero episcopale. Questa ricerca potrebbe utilmente
accompagnare la riflessione avviata da Giovanni Paolo II, il quale ha coraggiosamente invitato a un
esame dell esercizio della funzione petrina nella Chiesa. L annuncio del Vangelo sarebbe meglio
assicurato se le modalità dell esercizio del ministero dei vescovi, in comunione con Pietro, e le
modalità procedurali a livello locale e universale lasciassero trasparire l immagine del buon pastore
(n. 35) e del servo che lava i piedi dei suoi discepoli (n. 78).
5 ottobre 2001.
X Pierre Morissette,
vescovo di Baie-Comeau, Canada
1 Cf. Instrumentum laboris, nn. 15-31; Regno-doc. 11,2001,349-352.
2 Come la maggior parte delle società occidentali, anche la società canadese è fortemente
caratterizzata da alcuni fenomeni che sconvolgono radicalmente la cultura. I mezzi di
comunicazione sociale e le nuove tecnologie dell informazione sono onnipresenti e stanno
cambiando rapidamente il rapporto con il sapere e con la verità. Allo stesso modo, il pluralismo
regna sovrano e si insinua nel cuore stesso del cattolicesimo, dove la diversità delle opinioni fra i
credenti è a volte notevole. In questa società, si assiste anche a una nuova valorizzazione del
soggetto, per cui la verità non sembra più derivare unicamente dalla tradizione, ma viene
considerata il frutto di un esplorazione e di una scoperta personali. Inoltre, il nostro paese è segnato
dalla cultura democratica che incoraggia la discussione su tutte le questioni importanti e rende i
cittadini sempre meno sensibili agli argomenti di autorità. Frutto dello sviluppo delle scienze e delle
tecnologie, questa cultura valorizza quasi unicamente ciò che è verificabile ed esige che si renda
sempre conto delle proprie scelte. Infine, si constata un autonomia sempre maggiore nei riguardi
della dimensione religiosa e delle Chiese, il che pone delle serie domande sui luoghi dell annuncio
del Vangelo. Cf. Assemblea dei vescovi del Québec, Annoncer l Évangile dans la culture actuelle au
Québec, Fides, Montréal 1999, c. I, 15-51.
3 Per definire questo nuovo contesto l Instrumentum laboris usa l espressione aetas nova (n.
6; Regno-doc.11,2001,346). Cf. anche i nn. 129 e 132. Nella sua enciclica Ut unum sint (n. 95),
Giovanni Paolo II faceva allusione a una situazione nuova , che doveva richiedere un nuovo tipo di
esercizio del primato. Analogamente, si può pensare che questa situazione nuova richieda un nuovo
modo di esercizio della collegialità.
4 Instrumentum laboris, n. 12; Regno-doc. 11,2001,349.
5 Instrumentum laboris, n. 14; Regno-doc. 11,2001,349.
6 Cf. Instrumentum laboris, n. 144; Regno-doc. 11,2001,370.
7 Cf. Instrumentum laboris, n. 132, dove si invita ad annunciare il Vangelo con nuovi
linguaggi; Regno-doc.11,2001,368. Cf. anche Ecclesia in America, nn. 66ss e il discorso di Giovanni
Paolo II a Santo Domingo (1992).
8 Lumen gentium, n. 4 e Instrumentum laboris, n. 144; EV 1/287 e Regno-doc. 11,2001,370.
9 Cf. Instrumentum laboris, n. 51, in particolare par. 1 e n. 119, dove si fa appello alle
rappresentazioni del vescovo come pastore in mezzo al suo gregge e come padre della fede
piuttosto che a una visione monarchica o autoritaria . Cf. Regno-doc. 11,2001,355.366
10 Cf. Instrumentum laboris, nn. 86-89 e 91-94; Regno-doc. 11,2001,361ss.
11 Sulla frattura fra gli uomini e le donne nella Chiesa è interessante prendere visione della lettera
dell Unione mondiale delle organizzazioni cattoliche femminili ai vescovi del sinodo. Essa contiene
cinque richieste:
1) che donne qualificate possano accedere a funzioni di presa di decisioni e di leadership nella
Chiesa, a livello di conferenze episcopali, consigli diocesani e parrocchiali;
2) che le donne possano avere i mezzi e l opportunità di acquisire una formazione e l esperienza
necessaria per occupare posti di leadership nella Chiesa;
3) che sia valorizzata nella formazione dispensata nei seminari e al clero in genere l importanza della
collaborazione con le donne per il bene della Chiesa;
4) che nella Chiesa si giunga a un maggiore equilibrio fra gli uomini e le donne nei posti di
responsabilità e di presa delle decisioni a tutti i livelli, per favorire una maggiore credibilità nella
società attuale;
5) che nella Chiesa s instauri un dialogo più strutturato con le donne, così come avviene con gli altri
gruppi religiosi o laici.
12 Cf. Instrumentum laboris, nn. 139-142; Regno-doc. 11,2001,369s.
13 Cf. Instrumentum laboris, n. 118; Regno-doc. 11,2001,366.
14 Instrumentum laboris, n. 138; Regno-doc. 11,2001,369.
15 Evangelii nuntiandi, n. 41; EV 5/1634.
16 Cf. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 44; Regno-doc. 3,2001,82. Cf. anche, riguardo ai
sinodi dei vescovi, le osservazioni del card. Danneels in occasione dell ultimo concistoro e del card.
Cormac Murphy O Connor; Regno-doc. 11,2001,340.342.
Gregory: comunicazione
e annuncio
Per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola . Sin dai tempi
passati, la liturgia della Chiesa ha celebrato con queste parole del Salmo 19 il successo della missione
degli apostoli che portano la buona novella al mondo intero. In realtà, si potrebbe ritenere che la
testimonianza apostolica non abbia affatto raggiunto i confini del mondo. Ci sono ancora popoli,
anche quelli già da tempo evangelizzati, che necessitano di rinfocolare la fiamma della verità
evangelica e altri che non hanno mai ricevuto la prima evangelizzazione. Oggi, tuttavia, nello
svolgere la sua missione apostolica, la Chiesa può contare sulla tecnologia delle comunicazioni
sociali per portare avanti l opera che il tempo, l ardire missionario e la testimonianza del martirio
hanno finora compiuto.
La nostra generazione è stata protagonista di un aumento senza precedenti delle possibilità offerte
dalle comunicazioni sociali. La seconda rivoluzione industriale dei nostri tempi è rappresentata
proprio dalle comunicazioni. Questa rivoluzione ci offre mezzi del tutto nuovi per comunicare,
evangelizzare e catechizzare. Come affermava il salmista, il messaggio di fede e speranza in Gesù
Cristo oggi può essere proclamato con grande efficacia fino ai confini della terra per mezzo delle
meraviglie dei moderni sistemi di comunicazione. Noi vescovi abbiamo la grave responsabilità di
utilizzare in modo efficace le potenzialità offerte dagli attuali mezzi di comunicazione nella nostra
missione di insegnare e proclamare il Cristo crocifisso e risorto dai morti.
I moderni mezzi di comunicazione offrono da un lato grandi vantaggi, ma rappresentano dall altro
gravi pericoli. Il santo padre ha fatto un uso straordinariamente positivo ed efficace delle
comunicazioni sociali, definendole di recente presenza amica (Messaggio per la 33° Giornata
mondiale delle comunicazioni sociali, 16.5.1999). Tuttavia la società contemporanea sperimenta
ancora una crisi di valori , e il mondo delle comunicazioni ha avuto un ruolo non trascurabile nel
generare e nel far dilagare di questo problema. I vescovi devono accettare e utilizzare sia le
potenzialità positive offerte dai mezzi di comunicazione, sia la responsabilità di mostrarsi critici nei
confronti dei falsi valori di cui spesso quegli stessi mezzi sono veicolo a livello globale.
La proliferazione di immagini che denigrano la persona umana, il forte aumento della violenza
come occasione di spettacolo, la diffusione di un consumismo incontrollato, insieme ad altre
oscenità che oggi entrano nelle case della gente di tutto il mondo sono conseguenza dei moderni
sistemi di comunicazione. La cosa più triste è l impatto che queste immagini così volgari hanno sui
giovani. I bambini di tutto il mondo vengono gravemente danneggiati dalle scene di violenza,
depravazione umana e lussuria che sono troppo spesso trasmesse dai mass media.
Come vescovo di una nazione incommensurabilmente responsabile di questa influenza gratuita e
malsana sui giovani, riconosco che abbiamo fatto ben poco per portare e mantenere l impero delle
comunicazioni nel nostro paese a un più elevato standard etico e morale. Tuttavia il mondo delle
comunicazioni rappresenta un arma a doppio taglio. Oltre a essere utilizzato per diffondere
informazioni volgari e immorali, può divenire veicolo per la promozione della verità evangelica e la
trasmissione di immagini e messaggi di fede e speranza, di cui il mondo ha un disperato bisogno.
I vescovi devono raggiungere una maggiore familiarità con l uso positivo dei media nel ministero di
evangelizzazione, pur mantenendo uno sguardo attento sulla potenzialità di tali mezzi di diffondere
messaggi immorali. Infatti, dopo la pubblicazione del decreto conciliare Inter mirifica nel 1963,
dell istruzione pastoraleCommunio et progressio nel 1971 e, più recentemente, dell istruzione
pastorale Aetatis novae nel 1992, la tecnologia delle comunicazioni sociali ha compiuto progressi tali
da aprire scenari inconcepibili al tempo dell emanazione di quei documenti. Le possibilità offerte
dal cyber-spazio e da Internet rendono le comunicazioni immediate e in grado di raggiungere ogni
luogo. Il tempo da dedicare a una riflessione profonda e attenta, necessario a un pastore prudente
prima di affermare qualcosa, è stato fortemente ridotto dalla tecnologia.
Noi vescovi dobbiamo essere preparati a usare questa nuova tecnologia e a far fronte alle
conseguenze del suo utilizzo negativo come parte della nostra responsabilità pastorale nei confronti
della Chiesa locale e della Chiesa universale. Il fatto di non conoscere o di non saper fare uso delle
tecnologie che influenzano il mondo intero è ormai una scusa inaccettabile per i pastori del terzo
millennio. La Chiesa ha sempre avuto il compito di usare i mezzi più efficaci per proclamare il
Vangelo di Gesù Cristo e noi, pastori del terzo millennio non possiamo esimerci da quest obbligo.
I vescovi che servono la Chiesa in questo nuovo contesto devono essere pronti a far fronte alla realtà
dei tempi. Dobbiamo riconoscere i principi giornalistici oggi in vigore e dobbiamo imparare a usarli
in modo efficace. Gli approcci utilizzati da alcuni giornalisti richiedono da parte nostra un attenta
conoscenza delle forze che controllano la diffusione dell informazione. Conflitti, controversie e
dissensi sono spesso fattori che governano la priorità delle notizie. Per questo noi vescovi dobbiamo
essere attenti nel nostro compito di insegnare, criticare e commentare su questioni che, a un primo
sguardo, possono sembrare semplici e ordinarie.
Noi vescovi dovremmo essere consapevoli che le nostre oneste opinioni e domande, talvolta
espresse in riferimento agli uffici della Santa Sede, vengono spesso sfruttate in modo distorto dai
mezzi pubblici di informazione. Allo stesso modo, le osservazioni e i suggerimenti anche più
delicatamente espressi da parte della Santa Sede riguardo a particolari situazioni pastorali in una
Chiesa locale, rappresentano regolarmente per i mass media l opportunità di pubblicare resoconti
falsi o esagerati di divisioni profonde, disaccordi e malcontento fra cattolici. I fedeli restano spesso
confusi e scandalizzati davanti a servizi giornalistici che parlano di grandi e irreconciliabili divisioni
tra la Santa Sede e le Chiese locali. In sintesi, tutti noi dobbiamo comprendere che i media non
sempre utilizzeranno le opinioni, osservazioni o raccomandazioni con la stessa sincerità o per quegli
stessi scopi per cui sono state espresse. Vedere le proprie intenzioni riportate come inefficaci,
fuorviate o malevole è una forma di sofferenza moderna che ogni pastore deve accettare (Il vescovo,
servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo, n. 55). Ciononostante, non possiamo
esimerci dalla nostra responsabilità di avvalerci dei media in modo positivo, entusiasta e creativo nei
nostri sforzi per proclamare il Vangelo fino agli ultimi confini della terra.
4 ottobre 2001.
X Wilton D. Gregory,
vescovo di Belleville, USA
Kolvenbach: spiritualità
del dialogo
Desidero esporre alcune considerazioni sul dialogo interreligioso di cui tratta l Instrumentum
laboris nel capitolo 5 ai numeri 135-136. Sotto la guida dei vescovi già impegnati in questo campo
molti membri della vita consacrata si dedicano alla missione della Chiesa di intraprendere e
proseguire il dialogo interreligioso, convinti di trovare l unica, vera religione nella fede insegnata
loro dalla Chiesa cattolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicare la buona
novella a tutti i popoli, di qualsiasi religione. In questa missione, difficile e delicata, dove uno impara
a procedere solo attraverso prove ed errori, la vita consacrata aspetta e apprezza la guida e il
sostegno dei vescovi.
In questa sua missione di dialogo, sarà di grande aiuto per la vita consacrata che il vescovo
promuova nella sua diocesi la consapevolezza del significato e della pratica di questo dialogo. Infatti,
quasi quarant anni dopo il Concilio, molti cattolici ancora non comprendono bene ciò che la Chiesa
si propone nella missione e in una spiritualità di dialogo. Alcuni pensano che non si deve fare altro
se non predicare sui tetti; mentre altri non si sentono preparati per una discussione teologica con
uomini e donne di altre religioni.
Il dialogo non è compito soltanto di esperti e professionisti. Dialogo vuol dire condividere la propria
vita a tutti i livelli con persone di altre religioni. Proprio a questo mira l insegnamento della Chiesa
quando delinea i ben noti quattro livelli di dialogo:
condivisione della vita a livello di essere con altri in un cammino comune,
condivisione a livello di lavoro con altri nel dialogo di azione e di solidarietà per il bene
comune,
condivisione con altri di idee e convinzioni, studiando e discutendo insieme questioni, anche
teologiche,
condivisione con altri dell esperienza di Dio, in quanto possibile, nel dialogo sugli impegni
religiosi e spirituali.
A ciascuno di questi livelli, come ha detto il papa Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio (n. 57),
il dialogo è dovere e responsabilità di ogni cristiano e di ogni comunità cristiana. Come espressione
del comandamento nuovo, questo dialogo chiede un approccio integrale e non può rimanere a
livello di parole gentili, di un linguaggio ambiguo o di riunioni che, più che veri incontri, sono
avvenimenti per i media.
L Instrumentum laboris insiste sulla responsabilità del vescovo di insegnare con parole e con
l esempio che cosa significhi in realtà il dialogo. Attraverso lettere pastorali e dichiarazioni
pubbliche che tengano sempre conto del dialogo interreligioso, il vescovo insegna ai fedeli della sua
diocesi il significato e la pratica del dialogo, le sue motivazioni, le sue possibilità e le sue condizioni.
Il vescovo insegna con la disponibilità a incontrare persone di altre religioni e a discutere con loro;
con il desiderio di fare dichiarazioni comuni su questioni importanti; con il proposito di lavorare
insieme per la pace e la riconciliazione, sempre pronto - secondo lo spirito del Signore - a fare il
primo passo. Il vescovo insegna anche istituendo nella diocesi un efficiente commissione per il
dialogo, con atti significativi di augurio nelle festività delle altre religioni e ricevendo volentieri le
loro visite, in occasione di celebrazioni cristiane e, infine, assicurando una preparazione adeguata in
modo che membri di diverse religioni possano vivere insieme in seminari, facoltà e case di
formazione di vita consacrata. Il santo padre ha ormai aperto in questo modo tante porte che finora
erano chiuse da secoli.
Modello del dialogo resta sempre il modo di agire del Signore. Il suo dialogo con la samaritana e la
scoperta della fede da parte di un militare romano sono solo due esempi del Verbo di Dio
che propone, non impone, la buona novella. La dimensione kenotica del Signore prende uno speciale
significato per una spiritualità del dialogo. Senza perdere la propria identità, il Signore ha assunto
per amore forma e somiglianza umane. Il papa Giovanni Paolo II indica l inno kenotico della lettera
ai Filippesi come caratteristica essenziale della spiritualità missionaria(Redemptoris missio, n. 88)
della quale il dialogo interreligioso è una dimensione.
Il vescovo è chiamato a insegnare questo amore, umile e spesso umiliante, che nutre il dialogo,
ripetendo - particolarmente in circostanze di violenza e polarizzazione - la verità del Vangelo,
annunziando che il Signore ama tutti senza eccezione, che non si può mai ricorrere alla violenza nel
nome di un Cristo che ama, e che è proprio il sincero amore per gli altri nello Spirito ciò che deve
caratterizzare i cristiani nel prendere parte a un dialogo che testimonia l amore cristiano.
5 ottobre 2001.
P. Peter-Hans Kolvenbach si,
preposito generale della Compagnia di Gesù
Onaiyekan: fattore
di armonia tra le fedi
Parlo a nome della Conferenza dei vescovi della Nigeria. Vorrei richiamare l attenzione di questo
augusto auditorio sulle sfide del dialogo e della collaborazione con le persone di fede islamica. Mi
baserò sull esperienza dei vescovi nigeriani. I riferimenti al dialogo interreligioso nell Instrumentum
laboris (nn. 30, 129 e 135) sono infatti scarsi e nell intero documento l islam non viene mai citato!
I vescovi africani riuniti in Sinodo con il papa nel 1994 affermarono che in Africa l islam è un
partner difficile ma necessario per il dialogo. Ritengo che ciò sia valido anche per la Chiesa
universale. Gli ultimi clamorosi eventi hanno potentemente e tragicamente messo in evidenza
l importanza dell islam nel mondo di oggi. Mentre siamo qui riuniti, ci giunge notizia che i libri
sull islam e sul mondo arabo stanno andando a ruba nelle librerie d Europa e d America. L islam è
oggi in prima linea nell attenzione mondiale.
A livello di Chiesa universale, al mondo islamico è stata rivolta una notevole attenzione. Il santo
padre ha costituito in questo ambito una guida estremamente efficace, specie durante le sue visite
pastorali in molte parti del mondo. Il Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, guidato ormai
da diversi anni dal nostro stimatissimo conterraneo card. Arinze, ha compiuto opere meravigliose
nella promozione del dialogo islamo-cristiano. Tuttavia, tutte queste iniziative ad alto livello devono
essere completate, equilibrate e confermate da un adeguata azione a livello locale.
Credo che solo pochissimi vescovi in questa sala siano in grado di affermare che non esiste alcuna
presenza islamica nella loro giurisdizione: è solo una questione quantitativa.
a) Per molti di voi, soprattutto nei paesi occidentali tradizionalmente cristiani, l islam è la religione
di una minoranza, composta per lo più da immigrati poveri e rifugiati. Fate bene ad accoglierli,
alloggiarli e aiutarli, anche nella loro pratica religiosa, secondo i nostri principi cristiani e la nostra
responsabilità episcopale e pastorale. Ma tutto ciò dovrebbe essere realizzato in modo da non far
mai sorgere in loro dubbi circa il nostro impegno nei confronti della fede cristiana, né dovrebbe
impedirci di cogliere qualsiasi opportunità per invitarli a incontrare il Signore Gesù.
b) Molti di noi vengono da nazioni a maggioranza musulmana dal punto di vista sia religioso sia
politico, dove la nostra fede viene, nel migliore dei casi, a malapena tollerata e, più spesso,
perseguitata o addirittura proibita. Questa assemblea deve rendere omaggio al coraggio e alla fedeltà
dei nostri fratelli che quotidianamente soffrono per la loro fede in Cristo. E non dobbiamo mai
cessare di offrire il nostro fermo sostegno nella loro quotidiana battaglia.
Abbiamo visto, nei giorni scorsi, come le potenze mondiali siano in grado di stringere una
formidabile alleanza militare e diplomatica contro il terrorismo mondiale. Alcuni padri sinodali
hanno già avvertito che tutti questi sforzi non porteranno a nulla se non esistono un impegno e una
volontà politica altrettanto forti per affrontare le cause sociali ed economiche del terrorismo. È
chiaramente necessario un ordine mondiale nuovo e veramente giusto se si vuole mantenere
qualche speranza per il mondo nel nuovo millennio. La buona notizia è che ciò è possibile e fattibile.
Ma dobbiamo andare al di là dell economia.
Nonostante le ferme smentite e le attenuazioni imposte dalla diplomazia politica dei nostri giorni,
dobbiamo ammettere che in realtà esiste, per quanto aberrante e deviata, una dimensione religiosa
nella piaga del terrorismo. Quelle stesse nazioni che hanno fatto dell intolleranza religiosa e del
fanatismo la base della loro politica di stato, rappresentano naturalmente terreni fertili per lo
sviluppo di quella forma di terrorismo che ha colpito il mondo l 11 settembre. E ciò vale non solo
per i talebani dell Afghanistan, ma anche per molte altre nazioni che continuano a godere di
rispettabilità politica nella cosiddetta comunità internazionale . Qualunque nazione che nega ad
alcuni suoi cittadini i diritti umani fondamentali di libertà religiosa e uguaglianza di fronte alla legge
è colpevole di terrorismo di stato. Il Sudan è uno di questi paesi. Avrà questo sinodo il coraggio di
proclamare quella verità che il resto del mondo ha paura di ammettere? Per quanto ancora il mondo
continuerà a permettere ad alcuni regimi di continuare nelle evidenti violazioni dei diritti umani in
ambito religioso?
A questo proposito vorremmo condividere con voi la nostra esperienza in Nigeria, che rappresenta
una situazione privilegiata di dialogo islamo-cristiano e di collaborazione, sulla base
dell uguaglianza e del rispetto reciproco.
Il nostro paese è orgoglioso di essere la più grande nazione islamo-cristiana nel mondo. La nostra
popolazione di circa 120 milioni di persone si divide esattamente a metà tra cristiani e musulmani.
In nessun altro paese del mondo ci sono tanti cristiani e tanti musulmani che vivono insieme
all interno degli stessi confini nazionali. La maggior parte del tempo, viviamo effettivamente in pace
e armonia gli uni con gli altri. Affrontiamo insieme la sfida di costruire una nazione libera, giusta e
prospera. Spesso succede anche che alcuni membri della stessa famiglia appartengano a fedi diverse.
La nostra costituzione garantisce la libertà di religione, compresa la libertà di diffondere e cambiare
la propria religione. Proibisce esplicitamente l adozione di una qualunque religione come religione
di stato, ma lascia aperti alcuni spazi in cui politica e religione si incontrano e a volte si scontrano.
La Chiesa in Nigeria, sotto la guida dei vescovi e in collaborazione ecumenica con altre istituzioni
cristiane, è in prima linea nell impegno di promuovere la collaborazione in vista del bene comune
della nostra nazione. Un istituzione importante per il dialogo islamo-cristiano è il Consiglio
interreligioso nigeriano (NIREC), che riunisce regolarmente i più alti rappresentanti delle due fedi,
con il pieno ed entusiastico incoraggiamento del governo.
Ci sono tuttavia occasioni in cui, di tanto in tanto, emergono frizioni e conflitti, a volte violenti e
sanguinosi. È solo in tali occasioni che i mezzi di comunicazione di tutto il mondo, con la loro
predilezione per le notizie negative, mostrano interesse per il nostro paese. Queste difficoltà sorgono
per due ragioni principali:
a) Le manifestazioni e le attività di fanatici, a volte di entrambe le parti, che provocano crisi e
conflitti che in seguito coinvolgono tutti.
b) La manipolazione dei politici che utilizzano i sentimenti religiosi come una comoda maschera
per coprire e un arma per combattere le rivalità socio-economiche, sfruttando così la religione per
scopi egoistici. Uno di questi casi è il tentativo di imporre la sharia come legge di stato.
La nostra risposta a tutte queste sfide consiste nel:
a) Rafforzare la fede dei nostri cristiani, in modo che siano fermi testimoni della loro fede, pur
mantenendo il rispetto per gli altri.
b) Restare aperti al dialogo e alla collaborazione con la vasta maggioranza dei nostri connazionali
musulmani che desiderano vivere in pace con tutti.
c) In vista del bene comune, contrastare e condannare l ingiustizia, anche e soprattutto quando si
ricorre a un uso blasfemo del nome di Dio.
Dobbiamo accettare il fatto che l islam è il vero grande rivale religioso del cristianesimo a livello
mondiale. Dobbiamo cercare di trovare e insistere su regole di gioco giuste e pacifiche, in modo che
la rivalità non degeneri in conflitto. Questo sinodo, che riunisce vescovi di ogni parte del mondo in
un periodo come questo, dovrebbe spingere ciascuno di noi non solo a essere gentile come una
colomba, ma anche astuto come un serpente. In Nigeria nutriamo la speranza che, nonostante tutto,
possiamo ancora fare della nostra nazione un modello di comunità islamo-cristiana giusta e pacifica
che il mondo possa emulare. Insha-Allahu, Deo volente. Amen. Dixi.
9 ottobre 2001.
X John O. Onaiyekan,
arcivescovo di Abuja, Nigeria
Rubiano: nei conflitti
testimone della speranza
Il vescovo della diocesi di San José del Guaviare, Colombia, zona su cui maggiormente incombe il
duplice flagello della guerriglia e del narcotraffico, mi scrive: Il nostro ministero nel Guaviare è così
difficile che a volte ci sembra impraticabile . Seguono alcune ragioni: Il narcotraffico ha corrotto le
autorità . È andata crescendo nella popolazione la cultura della coca . Il clero, le religiose e gli
operatori pastorali soffrono l indicibile e hanno paura . E conclude: Evangelizzare in queste
circostanze richiede una vocazione da martiri, perché se denunciamo ci uccidono... Se
evangelizziamo senza prendere posizioni nette, non ci credono .1
Questa situazione di guerra, violenza e sequestri si ripete indiscriminatamente in tutto il territorio
nazionale; non c è alcun vescovo che non l abbia sperimentata e che non abbia vissuto la solidarietà
dei suoi fratelli vescovi.
Tutto questo non ci deve sconcertare, perché la Chiesa, solidale con il genere umano e con la sua
storia ,2 in tutte le epoche, sin dalla sua nascita, si è trovata in situazioni di conflitto, generalmente a
causa di persecuzioni o di guerre. Oggi in Colombia non c è una vera e propria persecuzione contro
la Chiesa, ma la violenza, dopo più di 50 anni di conflitto, è diventata uno stato permanente che
ha dato vita a una cultura bellica3 e a un grave deterioramento nel modo di vivere la fede.
Sorge così la domanda pastorale: perché il Vangelo non è penetrato fin nel profondo di una società
che si definisce cristiana? Nel VI Sinodo arcidiocesano, conclusosi nel 1998,4 la Chiesa particolare di
Bogotà, dopo un ampia consultazione, ha riconosciuto che il Vangelo non sembra essere ciò che
conforma la Chiesa, non è il Vangelo che ispira sufficientemente i modelli organizzativi, né i modi
di parlare o di essere presenti .5 Inoltre, la Chiesa, popolo di Dio, appare come annacquata... e il
cristianesimo non sembra essere incarnato nel mondo .6
Gli artefici della società pluralista, in particolare i politici e gli economisti, che si considerano in
maggioranza cattolici, non sono riusciti a sanare il grave conflitto strutturale su cui il santo padre
Giovanni Paolo II aveva richiamato la nostra attenzione nel discorso inaugurale di Puebla: alla
ricchezza crescente dei pochi corrisponde parallelamente la miseria crescente delle masse .7 Questa
inerzia consolida una situazione di ingiustizia, terreno fertile per legittimare l azione dei violenti.
Nelle realtà di conflitto, il vescovo è segno di speranza e testimone del Vangelo; come uomo di
preghiera, ancorato alla parola di Dio, accompagna il suo popolo. Segno e testimonianza offerti con
tale coraggio da dare alla Chiesa la credibilità necessaria per intervenire nei processi di pace ed
essere promotrice di dialogo e riconciliazione.8 I violenti hanno tentato di mettere a tacere la voce e
l azione della Chiesa, che non vacilla nel compiere la sua missione.
Il vescovo che si trova in una situazione di conflitto incoraggia tutti coloro che si sentono senza
speranza per via della violenza e della mancanza di libertà e va oltre il modello tradizionale
dell episcopato per diventare un compagno di viaggio che, come pastore, guida, offre parole
credibili da ascoltare... il vescovo deve apparire agli occhi degli uomini, credenti o non credenti,
come un essere profondamente umano e vicino, che sa vivere la compassione secondo lo stile
evangelico .9
Il vescovo, per il vincolo sacramentale che lo lega ai suoi presbiteri e ai suoi diaconi, li accompagna
come vero padre e amico autentico e li sostiene particolarmente nelle difficoltà, affinché si
mantengano forti e vivano il loro impegno sacerdotale nell annuncio del Vangelo e, seguendo
l esempio di Gesù Cristo, il buon pastore, invitino alla conversione e gettino ponti per la
riconciliazione.
Il vescovo, come pastore attento, sostiene e accompagna le persone consacrate, i ministri laici, i
catechisti e gli altri operatori pastorali che svolgono la loro attività apostolica nella Chiesa
particolare, affinché rendano testimonianza di Gesù Cristo e siano segno di speranza.10
I sacerdoti che si trovano in grave minaccia di vita si aspettano l appoggio e la consolazione del loro
vescovo, affinché restino saldi nell esercizio del loro ministero e siano protetti in situazioni estreme.
In molti casi, il vescovo deve prendere misure eccezionali, come allontanarli dalla diocesi e, a volte,
dal paese.
I massacri e le distruzioni di popolazioni indifese si sono moltiplicati e hanno dato vita a un esodo
di massa. Dinanzi a queste tragedie, il vescovo, segno di speranza con la sua vicinanza alle persone
e alle famiglie colpite , alza la voce contro i responsabili di tali crimini.
Il vescovo, che ripone la sua fiducia nel Signore, deve assumersi un impegno fermo e sereno nei
confronti di tante vittime della violenza che sono costrette a lasciare le loro case. Con la sua
ordinazione, il vescovo promette di vegliare sui migranti, impegno che ha una risonanza particolare
dinanzi al dramma di numerosi profughi.11
Il vescovo, come testimone della speranza, deve proclamare la verità, denunciare gli attentati contro
la dignità della persona umana, con coraggio e chiarezza, difendere la vita e promuovere i diritti
umani, con audacia e prudenza, tenendo presente che egli è il primo evangelizzatore e il primo
catechista del popolo che gli è stato affidato.
Il vescovo, testimone della speranza, deve saper usare le armi, non quelle del mercenario, ma quelle
del buon pastore, descritte dall apostolo Paolo nella sua Lettera agli Efesini: in primo luogo la verità,
che si riveste sempre della corazza della giustizia, tenendo in mano lo scudo della fede e la spada
dello Spirito, la parola di Dio.13
Il vescovo, nel conflitto, è ministro per eccellenza della riconciliazione e del perdono;14 come
testimone della speranza deve insistere sulla forza dell amore cristiano, capace di perdonare il
nemico e quanti ci perseguitano.15 Invita alla conversione, per cancellare dal cuore i sentimenti di
odio e vendetta.
Camminiamo con speranza e senza paura (16), perché seguiamo il Signore per vincere il male con la
forza del bene. La situazione difficile che ci è toccato vivere diventa occasione per dimostrare la
docilità allo Spirito Santo e per trasformarci in costruttori di pace e strumenti della misericordia e
dell amore di Dio.
1° ottobre 2001.
Pedro card. Rubiano Sáenz,
arcivescovo di Bogotá, Colombia
1 Lettera di mons. Belarmino Correa Yespes, vescovo di San José de Guaviare, 30.7.2001.
2 Gaudium et spes, n. 1 ; EV 1/1319.
3 Il cosiddetto Bogotazo del 9 aprile 1948 viene considerato la data d inizio della guerra in
Colombia; quel giorno fu assassinato il leader popolare Jorge Eliécer Gaitán e in tutto il paese ci
furono atti di barbarie. A Bogotà, per esempio, furono incendiati il palazzo arcivescovile, la
nunziatura, vari conventi di clausura, ecc. A partire da questo momento, la cosiddetta violenza
politica si evolvette in una lotta tra i sostenitori dei due partiti politici: liberale e conservatore; negli
anni cinquanta questa situazione aprì la strada a una graduale diffusione dell ideologia marxista
nelle sue diverse linee : filo-sovietica, filo-castrista, filo-maoista, e così via. Le FARC (Forze armate
rivoluzionarie della Colombia), ad esempio, sono attive da oltre 40 anni; l ELN (Esercito di
liberazione nazionale) ha più di 30 anni. Il tramonto del marxismo e il declino della cosiddetta
teologia della liberazione legata a questa ideologia hanno adombrato l aspetto politico; ma, nello
stesso tempo, è emerso un fattore nuovo: è cresciuto il narcotraffico (cocaina e ora anche eroina),
con la sua sequela di corruzione e internazionalizzazione, che acquista sempre più potere grazie
anche all alleanza, per lo meno strategica, tra narcotrafficanti e guerriglieri. Si diffonde l industria
dei sequestri a scopo di estorsione, aumenta il terrorismo, si organizza la reazione paramilitare e,
accanto all emigrazione politica e all esilio politico, si sviluppa il fenomeno dei profughi interni.
4 Il VI Sinodo dell arcidiocesi di Bogotà fu convocato il 17.11.1989 dal mio predecessore card. Mario
Revollo Bravo, che avviò i lavori di preparazione e consultazione; quando fui incaricato della cura
pastorale dell arcidiocesi l 11.2.1995, decisi di portare avanti il processo sinodale, che si concluse il
9.7.1998. LeDichiarazioni sinodali furono poste in atto il 4.8.1999 con la pubblicazione del Piano
globale di pastorale.
5 Lo reconocido en la escucha, dichiarazioni sinodali, p. 19s.
6 Lo reconocido en la escucha, 20.
7 Giovanni Paolo II, Discorso alla III Conferenza generale dell episcopato latinoamericano, Puebla,
28.1.1979, III, n. 4; Regno-doc. 5,1979,102.
8 Come presidente della Conferenza episcopale colombiana, ho creato la Commissione per la
conciliazione nazionale, attualmente presieduta da mons. Alberto Giraldo Jaramillo, arcivescovo di
Medellín e presidente della Conferenza, il quale è stato nominato dal governo nazionale come
consulente permanente nel processo di pace. Numerose sono le testimonianze di vescovi che hanno
partecipato attivamente ai processi di pace e/o hanno intrapreso azioni concrete e precise a favore
della pace. Di solito si ricorre alla Chiesa come intermediaria, garante o promotrice della pace. Molti
vescovi si sono esposti recandosi in visita in luoghi controllati dai guerriglieri o dai paramilitari.
Abbiamo avuto l appoggio del nunzio apostolico e del CELAM.
9 Mons. Héctor Salah Zuleta, vescovo di Girardota Riflessione su El obispo, su presencia y
compromiso en la situación de conflicto en Colombia.
10 Lumen gentium, n. 28; EV 1/354ss.
11 Cf. Interrogatorio precedente al Rito di consacrazione nell ordinazione episcopale.
12 Cf. Christus Dominus, n. 13; EV 1/599s; e III Conferenza generale dell episcopato latinoamericano
(Puebla 1979), Documento finale, n. 687.
13 Ef 6,10-20.
14 Cf. 2Cor 5,17-20.
15 Cf. Mt 5,43-48.
16 Cf. Mt 8,25-26; Mt 14,29-31; Mt 17,7; Mt 10,31; Mt 14,27; Mt 28,5; Lc 2,10.
Danneels: in relazione
con Dio e con la Chiesa
Il vescovo, come ogni uomo, è chiamato alla felicità. Egli la trova nel servizio di Dio e della Chiesa e
quindi nella fede. Ma per questa felicità occorrono anche delle condizioni umane. Infatti, il vescovo
si trova nel punto di incontro di una rete di relazioni che lo collegano a Dio, alla Chiesa e a se stesso.
1. A suo agio nella relazione con Dio. Questa relazione è sottoposta a dure prove. Oggi, il vescovo
lotta continuamente con il tempo e con la sua agenda per riuscire a conservare una finestra aperta
su Dio nella preghiera. Egli comprende benissimo il lamento di san Gregorio Magno, il quale,
diventato papa, ricordava con nostalgia i giorni felici trascorsi nel monastero del Monte Celio.
Diceva: Dov è finito il tempo in cui non ero tenuto a tutte queste parole vane e inutili e vivevo felice
una vita di contemplazione? (cf. Hom. in Ez. 1,11.4ss). Anche le parole di san Bernardo agli
studenti di Parigi si addicono molto bene ai vescovi dei nostri giorni: Signori, abbiate pietà delle
vostre anime! .
2. A suo agio nella relazione con la Chiesa, con Pietro e i suoi collaboratori a Roma? In un tempo in
cui le certezze morali e religiose cadono e si spengono come stelle cadenti in una notte settembrina
abbiamo assolutamente bisogno di un papa forte. Ma anche di un episcopato mondiale forte. Non
abbiamo nulla da guadagnare a esaltare l uno a scapito dell altro. Abbiamo bisogno di entrambi: un
Pietro forte fra gli undici anch essi forti. Perché voler danzare su un piede solo in un tempo in cui
siamo bersagliati da ogni parte dai colpi di scalpello di un ambiente secolarizzato? Per restare in
equilibrio occorrono entrambi i piedi.
3. È certamente giusto che le conferenze episcopali dispongano di un margine di manovra
perlomeno nel campo delle decisioni pastorali. In questo campo la sussidiarietà è legittima e
necessaria. Ma si avvii una buona volta uno studio teologico e canonico serio per determinare la
natura esatta di questa sussidiarietà e delimitarne le applicazioni concrete sul terreno. Il restare
indefinitamente come ora, a livello di rivendicazioni in abstracto, non fa che dividere l episcopato e i
fedeli in due schieramenti - i favorevoli e i contrari - che si lasciano guidare più dall emotività che da
validi principi teologici e filosofici.
4. La Curia romana non è certo perfetta. Ma anche i vescovi devono fare il loro bravo esame di
coscienza, quando si sentono a disagio di fronte a certe direttive. Quando sorge un problema hanno
il coraggio di venire a incontrare i responsabili qui a Roma per chiarire le cose faccia a faccia e a viva
voce, come Pietro e Paolo, o si limitano a mugugnare e mormorare, come gli israeliti contro Mosè e
Aronne? E quante volte invitano i responsabili dei dicasteri romani ad andare da loro per fare una
salutare esperienza sul campo?
5. Anche il sinodo non è perfetto. L ho detto anche in altre occasioni. Non per criticare chicchessia,
ma per un principio di sana filosofia, secondo cui omne ens est perfectibile. Anche il sinodo
dovrebbe evolvere lentamente, progressivamente, prudentemente, ma decisamente. Un regolamento
può evolvere e cambiare: solo i morti si conservano nelle celle frigorifere.
Evolvere quindi, ma come? Non sarà facile tracciare e segnalare l iter. Occorrerà certamente affidare
questo compito al Consiglio della Segreteria da eleggere o anche a una commissione ad hoc. Un
sinodo in due tempi è difficile da organizzare, richiede lunghe assenze dei vescovi dalle loro diocesi
ed è, inoltre, costoso. Occorrerà assolutamente garantire la libertà di parola dei padri sinodali, di
tutti, sempre e su tutto, senza pressioni esterne. Gli interventi delle prime due settimane delineano
una mappa mondiale dei problemi, una mappa istruttiva e interessante, ma faticosa e prolissa. Non
si potrebbero distribuire a tutti i padri, il primo giorno del sinodo, questi testi scritti affinché
possano leggerli privatamente? Così si potrebbe passare direttamente alla discussione dei temi
principali, aiutandosi con un indice - analogo al questionario della seconda versione
dei Lineamenta - redatto dal relatore e dalla presidenza. Questo renderebbe la discussione molto più
mirata e to the point.
6. Un altro strumento collegiale potrebbe essere la celebrazione di sinodi speciali o straordinari in
una data intermedia fra due sinodi ordinari, ma con un numero ristretto di partecipanti, una durata
molto più breve e la trattazione di uno o due temi. E perché non utilizzare i mezzi moderni (Internet
e posta elettronica) che permettono di consultare molto rapidamente tutti i vescovi sparsi nel
mondo su un determinato tema? Perché continuare ad avventurarsi nel traffico con le stampelle
quando esistono i treni ad alta velocità?
7. Ma soprattutto non bisogna dimenticare che la collegialità è anzitutto una realtà sacramentale,
teologica e mistica, una realtà di fede. Essa non è solo il risultato della strategia o dell inventiva
umana e organizzativa. La collegialità ci è donata come grazia dall alto, prima di essere un prodotto
dei nostri talenti dal basso. Non ne siamo né gli architetti né gli impresari, ma solo solo i beneficiari
e i garanti. Questo può rasserenarci.
8. Un problema difficile e delicato per un vescovo è la trasmissione al suo popolo dei messaggi e
delle dichiarazioni del magistero centrale nella Chiesa, soprattutto là dove regna sovrana una
spiccata allergia verso ogni intervento d autorità. Certo il vescovo deve essere dottore, testimone e
apostolo. Non è il semplice moderatore di una concertazione che potrebbe limitarsi a ratificare le
conclusioni della concertazione locale o a cercare il massimo comun denominatore delle opinioni
espresse. D altronde, tutti sanno che, in realtà, questo massimo comun denominatore è spesso
molto scarno e piccolo. Comunque accanto a un ars determinandi et definiendi esercitata da Roma
esiste un ars persuadendi et communicandi che incombe soprattutto ai vescoviin sedibus suis.
Sarebbe troppo chiedere ai dicasteri che, prima di uscire dalle segrete stanze delle congregazioni, i
documenti ricevano a valle qualche iniezione di vaccino contro il microbo dello scetticismo e
dell anti-autoritarismo moderni ampiamente diffuso qua e là nel mondo, evidentemente senza
nuocere al valore nutrizionale dei testi o, se necessario, al loro tasso di antibiotico che pure devono
contenere? È difficile, si dirà certamente in alto loco. Si, è difficile, e noi vescovi lo sappiamo già da
molto tempo, per cui ormai è noto a tutti. Ciò vale soprattutto per i vescovi residenti in regioni nelle
quali si verificano periodicamente vere e proprie eruzioni vulcaniche mediatiche e sulle quali
ristagna giorno e notte un pennacchio di fumo sensazionalistico e scandalistico su quei Vesuvi o
quegli Etna che sono i mezzi di comunicazione sociale.
9. Infine, il vescovo deve sentirsi a suo agio con se stesso. Un certo modo di parlare del vescovo lo
schiaccia con il peso del super-io o lo scoraggia. Il vescovo deve essere tutto e contemporaneamente.
Ho annotato a partire da ciò che ho sentito in questi giorni una cinquantina di titoli, oltre a quelli
onorifici già criticati: il vescovo è dottore, santificatore, pastore, sposo, padre, fratello e amico,
grande liturgo, primo evangelista, primo catechista, primo in ecumenismo, in dialogo interreligioso
e culturale, protettore dei poveri, promotore della giustizia e della pace, e tralascio il resto. Non è
troppo per un solo uomo? Inoltre, egli deve affrontare veri e propri paradossi. Per esempio, il
vescovo è il buon pastore, il che suppone che egli preceda il gregge per guidarlo e lo segua per
prendere in spalla i ritardatari. È un carisma di bilocazione ambulante che sfiora il miracolo.
Continuamente, nel balletto del suo ministero, il vescovo è costretto a fare la spaccata , una prova
temibile per ogni ballerino e per ogni ballerina.
10. Per fortuna c è la scolastica a venirgli in aiuto e a salvarlo con il suo concetto di analogia. Solo
Cristo è tutto questo, noi lo siamo solo per analogia. Da quando Cristo ha fatto questa grande
spaccata scavalcando la distanza fra Dio e l uomo, abbiamo tutte le ragioni del mondo per non
scoraggiarci. Quindi è lui il segreto della nostra felicità. Gloria a lui nei secoli!
8 ottobre 2001.
Godfried card. Danneels,
arcivescovo di Malines-Bruxelles, Belgio
Keeler: conferenze e
servizio alla comunione
Vorrei parlare del ruolo delle conferenze episcopali nel servizio alla comunione nella Chiesa, con
particolare riferimento al n. 71 dell Instrumentum laboris. Le mie riflessioni riflettono anche il
pensiero di molti nostri vescovi negli Stati Uniti, che ci è stato espresso in precedenza nel corso di
quest anno.
Nella sua enciclica Ut unum sint del maggio 1995, il santo padre, a proposito del dialogo ecumenico,
osservava che abbiamo un compito nuovo da assolvere: come recepire i risultati sino a ora
raggiunti (...) Si tratta infatti di questioni che spesso riguardano la fede ed esse esigono l universale
consenso, che si estende dai vescovi ai fedeli laici, i quali hanno tutti ricevuto l unzione dello Spirito
Santo. È lo stesso Spirito che assiste il magistero e suscita il sensus fidei . E prosegue: Perché esso
dia esito favorevole, è necessario che i suoi risultati siano opportunamente divulgati da persone
competenti . Quindi conclude: L intero processo è seguito e aiutato dai vescovi e dalla Santa Sede.
L autorità docente ha la responsabilità di esprimere il giudizio definitivo (Ut unum sint, nn. 80-
81; EV 14/2838ss).
Riflettendo su queste parole alla luce dei miei ventidue anni di esperienza episcopale, di cui sette
come membro e tre come presidente di una conferenza episcopale piuttosto grande, desidero fare
alcune osservazioni:
1. Queste parole del santo padre, pur se riferite al dialogo ecumenico, hanno un significato più
ampio per i vescovi e le conferenze episcopali che si sforzano di esercitare il loro compito di maestri
e guide nel trasmettere la grande, vivente e perenne tradizione della Chiesa in ambiti e circostanze
sempre nuovi.
2. Le conferenze episcopali nazionali e regionali sono indispensabili nello svolgimento di questo
compito, in quanto sono al servizio della comunione tra i vescovi delle Chiese particolari e della
Chiesa universale. Permettetemi di darvi alcuni esempi tratti dalla mia esperienza personale:
a) Nell ambito della catechesi e del materiale catechetico, l introduzione e l adattamento
del Catechismo della Chiesa cattolica sarebbero stati impossibili nel nostro paese senza l opera della
conferenza episcopale. Prima e dopo la pubblicazione del Catechismo, sono stati dati alle stampe
molti testi per bambini, con diversi tipi di approccio. In troppi casi i punti chiave della nostra
dottrina cattolica venivano minimizzati o presentati in maniera incompleta. Per l insegnamento
della fede era importante che questi testi riflettessero le grandi verità espresse nel Catechismo in
modo chiaro e completo. Nessuna diocesi o arcidiocesi avrebbe potuto riuscire con le sue sole forze
a mettere insieme tutte le persone che avessero le qualifiche necessarie. Ma la Conferenza episcopale
ha potuto farlo e ha incaricato un certo numero di vescovi, dotati di competenza teologica e di
dedizione personale, di valutare i testi. Nel loro lavoro di revisione dei testi, i vescovi hanno
individuato e corretto dieci principali lacune, tra cui:
Un attenzione insufficiente alla Trinità e alla struttura trinitaria della fede e della dottrina
cattoliche.
Una presenza adombrata della centralità di Cristo nella storia della salvezza e un enfasi
insufficiente sulla divinità di Cristo.
Un esposizione confusa circa il contesto ecclesiale della fede cattolica e degli insegnamenti
magisteriali.
Un riconoscimento insufficiente degli effetti salvifici della grazia.
I loro sforzi hanno goduto della collaborazione e della gratitudine degli editori di testi catechetici
per bambini. Nella comunione della Conferenza episcopale, i nostri vescovi hanno svolto e
continuano a svolgere un ruolo dottrinale essenziale.
b) Nell ambito ecumenico e interreligioso il nostro paese gode di opportunità particolari e di sfide
irripetibili. Vi è un estesa gamma di presenze ecumeniche e interreligiose, forse la più estesa nel
mondo. Abbiamo tra noi rappresentanti di quasi tutte le tradizioni ecclesiali cristiane e delle
religioni non cristiane. Soddisfiamo in modo particolare le riflessioni espresse nel Direttorio
ecumenico del 1993, secondo cui è spesso a livello regionale e nazionale che è possibile svolgere un
lavoro particolarmente efficace (cf. nn. 28-34, inter alia). Possiamo fornire due esempi:
Il dialogo a livello nazionale tra cattolici e luterani, co-promosso dalla nostra Conferenza
episcopale, ha offerto contributi significativi a livello mondiale alla Dichiarazione sulla
giustificazione per fede firmata nel 1999 da rappresentanti della Santa Sede e dalla Federazione
luterana mondiale.
Nonostante le difficoltà tra cattolici e ortodossi a livello internazionale, la Consulta teologica
nazionale cattolico-ortodossa (??) e la Commissione dei vescovi cattolici e ortodossi degli Stati Uniti
si incontrano regolarmente. Da tali incontri scaturiscono documenti di natura dottrinale e pratica,
che sono ben accolti dalla nostra Conferenza episcopale e offrono aiuto e sostegno ai nostri sforzi
internazionali per il dialogo. Il coordinamento nazionale dei tanti dialoghi in corso, che
coinvolgono un numero considerevole di nostri vescovi, è necessario e fruttuoso.
c) La liturgia è espressione vivente della fede e della vita della comunità cattolica. Per suo tramite il
ruolo dottrinale della Chiesa viene costantemente esercitato, anche se in modo meno diretto.
Tuttavia, traduzioni e decisioni relative all adempimento della costituzione conciliare sulla liturgia e
dei successivi documenti emanati da Roma sarebbero impossibili senza la collaborazione dei vescovi
di una determinata area attraverso le loro rispettive conferenze episcopali. La conferenza rimane la
principale autorità dottrinale per la legittimità del linguaggio e l approvazione degli adattamenti
culturali. La guida dei vescovi riveste un ruolo importante nello svolgimento di questa funzione.
In anni recenti, la nostra conferenza episcopale, con la partecipazione unanime di tutti i vescovi, si è
ispirata alle istruzioni della Santa Sede e all esperienza pratica successiva al concilio Vaticano II per
redigere una serie di utilissime direttive pastorali per la progettazione e la costruzione di nuove
chiese e l adattamento di quelle già esistenti. Questo documento riconosce inoltre il giusto ruolo del
vescovo diocesano nell applicazione della costituzione Sacrosanctum concilium sulla sacra liturgia.
d) In passato la Conferenza ha pubblicato documenti significativi sui temi della giustizia sociale e
della pace. Si trattava non solo di applicazioni dei documenti della Chiesa universale, ma anche di
contributi specifici e originali alla dottrina sociale cattolica. Il documento intitolato La sfida della
pace (1983), che affronta la questione delle armi nucleari dal punto di vista dell insegnamento
cattolico tradizionale sulla guerra giusta, viene studiato nelle nostre accademie militari, oltre che a
livello ecumenico e internazionale. Ci sono stati molti altri documenti a favore della comunione, tra
cui Catholic Social Teaching and the U.S. Economy [La dottrina sociale cattolica e l economia
americana], Verso la pace in Medio Oriente (cf. Regno-doc. 7,1990,208) e, più di recente, Our Hearts
Were Burning Within Us [I nostri cuori ardevano], che applica gli insegnamenti della Santa Sede alle
nostre esigenze di formazione degli adulti.
Tutte queste attività implicano una dimensione dottrinale del ministero dei vescovi uniti in
comunione nella Conferenza episcopale.
Inoltre, ogni volta che la Santa Sede ha ampiamente consultato le conferenze episcopali prima di
emanare un documento, i vescovi hanno potuto capire più a fondo la dottrina da insegnare e, una
volta promulgata, l hanno quindi più efficacemente sostenuta. Ciò si è dimostrato particolarmente
vero nel caso del Catechismo della Chiesa cattolica e del Direttorio ecumenico.
Avanzo, quindi, l ipotesi di includere tra le propositiones da presentare al santo padre la richiesta
che, proseguendo le riflessioni iniziate con la Apostolos suos (1998), venga studiato più a fondo il
ruolo delle conferenze episcopali a sostegno della comunione della Chiesa, studio che sia in grado
inoltre di approfondire la nostra comprensione del compito specifico delle conferenze di insegnare
la fede cattolica al popolo di Dio nell epoca attuale.
2 ottobre 2001.
William Henry card. Keeler,
arcivescovo di Baltimora, USA
Grab: collegialità,
sinodo, conferenze
Santo padre, carissimi e venerati confratelli,
sono stato invitato a questo sinodo come presidente del Consiglio delle conferenze episcopali
d Europa (CCEE) e quindi desidero condividere con voi alcune riflessioni che nascono da questa
esperienza di comunione europea , a nome anche degli altri membri della Presidenza.
Dall osservatorio del CCEE cogliamo che alcune domande diventano sempre più urgenti per la
Chiesa e i suoi vescovi: come trasformare le crisi che viviamo a livello epocale in un occasione per
una nuova riscoperta e un nuovo annuncio del Dio di Gesù Cristo come unica speranza a cui
l umanità può affidarsi? Come realizzare quell evangelizzazione di nuova qualità di cui da anni
sentiamo l esigenza? Come procedere nel cammino ecumenico di riconciliazione tra i cristiani,
indispensabile per una testimonianza credibile del Vangelo al mondo? Quali le vie per un dialogo
interreligioso che sia contributo per la convivenza pacifica fra i popoli e spazio di testimonianza del
Cristo?
Lo Spirito Santo, per rispondere a queste domande, sembra richiedere a noi vescovi un salto di
qualità in particolare nel vivere la collegialità e la spiritualità di comunione.
Questa idea percorre tutto l Instrumentum laboris e in particolare il c. III. Al n. 63 è scritto: La forza
della Chiesa è la comunione, la sua debolezza è la divisione e la contrapposizione (Regno-
doc. 11,2001,357).
Ho la speranza che questo sinodo ci aiuti a una nuova comprensione e a un approfondimento di
quei rapporti che sono costitutivi del ministero episcopale: vescovo - Chiesa universale (romano
pontefice - curia vaticana - sinodo dei vescovi) - conferenze episcopali - organismi episcopali
continentali.
Ecco alcune osservazioni al riguardo.
l. Non si tratta tanto di ridefinire gli ambiti o i limiti di ciascun servizio o organismo - esistono
autorevoli documenti magisteriali al riguardo -, né tanto meno di insinuare qualche
contrapposizione fra essi, quanto di approfondire ogni compito fino al punto che esso risulti
espressione di quell unica comunione trinitaria che il Figlio a portato sulla terra e che la Chiesa è
chiamata a esprimere.
2. Se approfondiamo il ministero del vescovo di una Chiesa particolare, scopriamo che è costitutivo
a esso il servizio dell universalità della Chiesa. Questo approfondimento, che fa riscoprire la
cattolicità di ogni vescovo e Chiesa particolare, apre grandi prospettive in un epoca di
mondializzazione o globalizzazione.
3. Se abbiamo uno sguardo profondo nel comprendere il servizio all unità della Chiesa che è tipico
del romano pontefice e dei suoi diretti collaboratori, cogliamo che esso non elimina le peculiarità
locali, ma anzi le realizza. L unità infatti non elimina le differenze, ma sorge proprio attraverso esse.
Sappiamo che questo è decisivo anche per la questione ecumenica.
4. Mi sembra che sia anche giunto il tempo di un approfondimento dell esperienza del sinodo che è
ancora relativamente giovane. I presidenti delle conferenze episcopali europee durante la plenaria
del CCEE del 1999, ad Atene, hanno riflettuto su questo. C è stato un consenso nel sostenere che il
sinodo in questi decenni è stato una straordinaria esperienza di collegialità tra i vescovi. Insieme
sono emersi alcuni interrogativi circa il metodo e il procedimento del sinodo che possono essere
utili per continuare la riflessione.
La prima questione che emerge riguardo l attuale processo del sinodo è quella della
mancanza di tempo. Manca il tempo per una stesura veramente sinodale dei testi finali
(messaggio, propositiones...). Probabilmente sarebbe utile dividere il sinodo in due o più sessioni,
separate tra loro da una pausa consistente. Solo avendo più tempo per la riflessione e per la
rielaborazione degli elementi emersi si potrebbe procedere con maggiore unitarietà, veramente
guidati dal tema di fondo e da una visione teologica.
La seconda questione, legata alla prima, sta nel rapporto tra il compito degli organi
competenti del sinodo (persone e commissioni) e il processo sinodale stesso. Conosciamo la
preziosità del lavoro dei relatori e delle commissioni incaricate di redigere i testi finali, ma esso
rischia di personalizzare troppo e in qualche modo di sostituire i lavori sinodali. Forse si può
ripensare l andamento del sinodo in modo che sia le relazioni sia i testi finali siano più espressione
del processo sinodale stesso.
5. Da più parti si sente anche l esigenza di rendere sempre più le conferenze episcopali dei luoghi di
realizzazione della comunione, prima che strumenti organizzativi. In realtà gli abitanti dei nostri
paesi percepiscono subito se una conferenza episcopale lavora nella comunione e testimonia la
comunione. Le divisioni tra i vescovi all interno di una conferenza generano molto danno. Sarebbe
da auspicare che certe tensioni che si possono generare tra i vescovi siano gestite all interno della
conferenza e non attraverso i mass media. È chiaro che non sto pensando a quel giusto dibattito e
confronto di idee che c è nelle conferenze che è ricchezza e non problema.
6. Infine voglio sottolineare il ruolo degli organismi che riuniscono le conferenze episcopali a livello
continentale o regionale (Instrumentum laboris, n. 72). Essi non hanno autorità dottrinale e
giuridica, ma hanno autorevolezza come organismi di collegialità che permettono alle conferenze
episcopali di affrontare insieme quelle sfide che hanno dimensioni continentali: l incontro del
Vangelo con la cultura, il contributo delle Chiese nel dar forma alla società, le problematiche etiche
(dalla bioetica, alla pace, all ecologia), il cammino ecumenico...
Concludendo vorrei dire che la comunione è spazio di fiducia e speranza anche per noi vescovi. Essa
ci libera dall isolamento, dalla tentazione di un potere di tipo mondano, dalla ricerca del successo; ci
permette l esperienza di essere Chiesa; porta con noi e per noi il peso della responsabilità. Si tratta
però di comprendere la comunione nella sua profondità: come la sacra Scrittura attesta, essa è la
realtà dove si rende presente lo Spirito del Signore risorto. È il risorto vivente fra noi l unico
maestro, l evangelizzatore, l artefice dell unità dei cristiani e della famiglia umana ed è lui che il
mondo attende come speranza.
2 ottobre 2001.
X Amédée Grab osb,
vescovo di Coira, Svizzera,
presidente del CCEE
Brunner:
effettiva collegialità
1. L insegnamento del concilio sui vescovi non è stato finora elaborato dal punto di vista della
teologia sacramentale. L ufficio episcopale viene visto (da noi) soprattutto nella sua funzione di
potestà giurisdizionale e molto meno nella sua dimensione sacramentale. Perciò, occorre chiedersi
come si possa approfondire e realizzare nella vita concreta della Chiesa la visione sacramental-
teologica del vescovo quale primo predicatore, primo liturgo e prima guida della Chiesa locale che è
stata delineata dal concilio.
2. Mi limito a un aspetto essenziale di questo approfondimento e di questa realizzazione: l effettiva
collegialità di tutti i vescovi con il santo padre nella triplice funzione dell insegnare, del santificare e
del guidare la Chiesa universale e le singole Chiese locali, ovvero, la relazione fra i vescovi e le
conferenze episcopali, da un lato, e il santo padre e la sua curia, dall altro.
3. In base alla volontà del concilio, espressa nei testi conciliari sui vescovi e sulla Chiesa, il sinodo
dei vescovi deve essere lo strumento per eccellenza di questa effettiva collegialità.
4. Nell Instrumentum laboris n. 69 si sottolinea che ciò si realizzerebbe, oltre che nell istituzione del
sinodo dei vescovi, anche nella collaborazione fra i vescovi delle Chiese locali sparsi nel mondo e i
dicasteri romani. Bisogna comunque riconoscere che il senso e lo scopo di queste norme non è stato
ancora veramente realizzato.
5. Inoltre, ci chiediamo ancora una volta e con grande preoccupazione quale valore e importanza
abbiano nella curia romana le urgenti questioni pastorali, come, ad esempio, la mancanza di
sacerdoti che riscontriamo attualmente da noi. Di fronte alle catastrofiche conseguenze della
mancanza di sacerdoti non può più bastare la risposta che Roma ha dato finora a questo problema.
Oltre a questo grave problema, vi sono da noi e in altre parti della Chiesa universale altre urgenze
pastorali riguardo alle quali le attuali risposte sono insufficienti.
6. Dobbiamo quindi cercare forme efficaci che consentano, o diano, risposte valide a livello delle
singole Chiese locali a queste necessità, che sono diverse da Chiesa locale a Chiesa locale.
Con una tale ricerca non rispondiamo forse anche all invito del santo padre nell enciclica Ut unum
sint, n. 96, di aiutarlo a trovare nuove forme per l esercizio dell ufficio petrino? Naturalmente,
questo invito è rivolto anzitutto all ambito ecumenico. Ma come possiamo discutere con le altre
Chiese e comunità ecclesiali una questione ecumenica così fondamentale se prima non abbiamo
realizzato, o non realizziamo contemporaneamente, un tale processo nella nostra Chiesa?
7. Se si vuole che dalla riflessione scaturiscano valide soluzioni, che riconoscano e rispettino la
varietà nell unità, occorre anzitutto assicurare queste condizioni:
1) Nella Chiesa abbiamo bisogno di un organo collegiale efficiente . Alcune proposte in merito
sono già state avanzate da vari confratelli nell episcopato. Una proposta potrebbe essere la seguente.
Il sinodo dovrebbe:
essere dotato di una chiara struttura;
essere composto da rappresentanti delle Chiese locali, scelti da queste ultime per un tempo
determinato;
incontrarsi regolarmente (una o due volte all anno) con il santo padre in riunioni di lavoro,
nelle quali discutere, in una o più letture, le principali esigenze della Chiesa;
essere composto in modo tale che i suoi membri possano realmente rappresentare le varie
Chiese locali, con le loro specifiche necessità pastorali. Perciò, i temi dovrebbero essere proposti
anche da questi membri ed essere poi liberamente discussi al sinodo.
2) Nella Chiesa abbiamo bisogno di strutture di sussidiarietà.
Centralmente, a livello della Chiesa universale, deve essere regolamentato solo ciò che è necessario
per l unità della Chiesa. Così possiamo esprimere il principio della sussidiarietà per la Chiesa. Pio XI
lo ha esplicitamente formulato come principio etico sociale già nella sua enciclica Quadragesimo
anno del 1931. Il papa Pio XII ne ha espressamente confermata la validità anche per la Chiesa: Il
principio di sussidiarietà vale anche per la vita della Chiesa e senza pregiudizio della sua struttura
gerarchica .
3) Nella Chiesa abbiamo bisogno di una salvaguardia delle competenze e di fiducia nella
responsabilità dei vescovi locali.
Le competenze vanno lasciate al livello che può realizzarle al meglio. Inoltre, le relazioni fra i vari
livelli della responsabilità pastorale devono essere caratterizzate dalla fiducia.
Prendo ad esempio le competenze nelle questioni liturgiche e nella preparazione e pubblicazione dei
testi liturgici nelle lingue nazionali o la collaborazione dei laici al ministero sacerdotale.
Una centralizzazione di questi e di altri ambiti contraddice l insegnamento sull autentica potestà dei
pastori delle Chiese locali. Essa non mira all unità della Chiesa, ma all uniformità. E questa va
rigettata, perché non è in grado di rispondere alle urgenti necessità pastorali delle Chiese locali.
4) Nella Chiesa abbiamo bisogno di una curia che riconosca le esigenze pastorali delle Chiese locali
e sostenga le risposte che vi vengono date. Appena nominato vescovo sono stato ricevuto a fraterno
colloquio dall allora prefetto della Congregazione per i vescovi, sua eccellenza il card. Bernardin
Gantin. Il cardinale mi congedò con queste incoraggianti parole: Noi siamo sempre qui, pronti ad
aiutarla . In linea con quest espressione, la curia romana deve sempre più sostenere e promuovere le
iniziative pastorali delle Chiese locali e non nutrire sospetti nei loro riguardi o ostacolarle.
Infatti, solo così può assolvere il suo vero compito, che consiste nell essere al servizio della direzione
della Chiesa universale, la quale è affidata al collegio dei vescovi con il papa e sotto la sua autorità.
2 ottobre 2001.
X Norbert Brunner,
vescovo di Sion, Svizzera
Sodano: il sinodo
dell unità
Nel cenacolo, gli apostoli erano soltanto dodici, eppure, nonostante che possedessero temperamenti
diversi, provenissero da ambienti differenti e avessero stili propri di esercitare l unico apostolato,
erano uniti nell orazione e nella comune sollecitudine per la diffusione del regno di Dio.
In quest aula sinodale noi, oggi, siamo più di 200 e, nella Chiesa intera, il collegio episcopale è
composto da oltre 4.500 presuli, fra vescovi residenziali, titolari ed emeriti.
Tutti, poi, proveniamo da esperienze diverse ed è quindi logico che possediamo sensibilità
differenti.
In tale situazione, è essenziale che il collegio dei vescovi mantenga un unità vitale e operativa,
attraverso vincoli affettivi ed effettivi di profonda collaborazione con il vescovo di Roma e con tutti i
confratelli.
Non sarà, pertanto, fuori luogo tornare a riflettere che, con l ordinazione episcopale, tutti noi siamo
stati annoverati nell unico coetus episcopalis, il quale succede al collegio degli apostoli. Il fatto che,
poi, ciascuno sia destinato a un ufficio o a un altro è certamente di secondaria importanza.
Poco tempo addietro, è stato giustamente osservato che prima della Chiesa particolare esiste la
Chiesa universale, e ciò sia ontologicamente che temporalmente.
Per analogia, possiamo dunque dire che ognuno di noi, attraverso l ordinazione episcopale, è stato
prima di tutto inserito nel collegio dei vescovi e ha, quindi, il dovere di sentirsi membro di questo
corpo, dovunque egli sia chiamato a lavorare. Parimenti, si è vescovi fino alla morte, quale che sia il
servizio ecclesiale richiestoci.
Questo sinodo è davvero una bella immagine del grande mosaico episcopale , la cui unità è
mirabilmente composta da tanti tasselli diversi.
Qui, infatti, vi sono i rappresentanti di 11 Chiese cattoliche orientali (6 patriarchi, 2 arcivescovi
maggiori e 3 metropoliti). Qui sono presenti i delegati delle 112 conferenze episcopali esistenti oggi
nel mondo, oltre che vescovi eletti direttamente dal santo padre. Qui sono pure radunati 25 presuli
che, nei rispettivi dicasteri della curia romana, collaborano con il sommo pontefice nella sua
sollecitudine per la Chiesa universale.
Personalmente, faccio parte di quest ultimo gruppo di vescovi e sono lieto di rilevare il grande
spirito collegiale che regna in quest aula.
A tutti i confratelli nell episcopato vorrei dire che i 25 vescovi, che sono i responsabili dei rispettivi
dicasteri della curia romana, sono costantemente impegnati a fomentare tale spirito di fraterna
collaborazione con tutti i vescovi del mondo intero, nel solco delle direttive che il santo padre ci ha
donato nella nota costituzione apostolica sulla curia romana, del 28 giugno 1988 e dal titolo molto
significativo: Pastor bonus.
La diversa provenienza dei capi dicastero facilita, poi, la comprensione delle realtà pastorali esistenti
nei vari paesi della terra. Di noi, infatti, 6 provengono dall Italia e 6 dall area di lingua spagnola; 3
sono dell area anglofona e 3 di quella germanica. Vi è poi un capo dicastero per ciascuna delle
seguenti aree: francese, portoghese, polacca, araba, africana, giapponese e vietnamita.
Il papa ha poi chiamato un patriarca a guidare la Congregazione per le Chiese orientali. Tutti
insieme ci sforziamo di dare il nostro contributo, per servire al meglio il sommo pontefice e, quindi
la Chiesa universale.
Ai confratelli che lavorano nelle diocesi mi sia permesso di chiedere di non esigere cose impossibili
da noi, che lavoriamo in Curia. Tutti siamo limitati. Le contrapposizioni non servono a nulla: Alter
alterius onera portate! ci dice l Apostolo.
Sia questo lo spirito del nostro comune lavoro, animato dallo stesso fuoco di carità che Cristo ha
infuso nei nostri cuori.
Vorrei, infine, assicurarvi che tale è anche lo spirito con cui lavorano i vescovi inviati dal papa come
suoi nunzi e delegati apostolici nelle varie nazioni. Oggi essi sono più di cento, ed alcuni di essi
servono in situazioni molto difficili.
E qui vorrei rendere omaggio al compianto nunzio apostolico in Papua-Nuova Guinea,
l arcivescovo Hans Schwemmer, della diocesi di Regensburg, in Germania, morto in servizio nei
giorni scorsi, come a tutti coloro che, con grande sacrificio, stanno operando nei luoghi più disagiati
e più lontani.
Sono sicuro che, anche da parte dei presuli locali, si faciliterà il duro lavoro dei rappresentanti
pontifici, ispirato dall unico fine che tutti ci unisce: l ideale della diffusione del regno di Dio.
All inizio del terzo millennio cristiano, il collegio episcopale apparirà così, dinanzi al mondo, come
appariva il collegio degli apostoli nel cenacolo, e darà vivida testimonianza di essere veramente cor
unum et anima una .
In conclusione, sia questo il Sinodo dell unità.
11 ottobre 2001.
Angelo card. Sodano,
segretario di stato
Husar: la sinodalità,
come in Oriente
Vorrei cominciare con un osservazione che nelle mie intenzioni non riveste alcun carattere
polemico: nell Instrumentum laboris non ho trovato riferimenti specifici alla tradizione orientale.
Probabilmente è colpa di noi vescovi delle Chiese orientali che non svolgiamo la nostra missione di
informazione puntuale e profonda nei confronti dei confratelli vescovi latini. Ritengo, pertanto,
opportuno soddisfare a questa mancanza, anche se costretto dal limite del tempo a presentare solo
linee generali e qualche rapido cenno. Procedo, così, per punti.
1. Il vescovo nella tradizione orientale viene scelto fra i membri degli ordini monastici, in quanto il
monachesimo è considerato una specie di centro della Chiesa in quanto in esso si evidenzia in
modo privilegiato l azione dello Spirito Santo. Già questo fatto suggerisce la fisionomia del vescovo.
Da lui non ci si attende un buon amministratore o un buon giurista - sebbene alcuni monaci sembra
abbiano capacità singolari in questi settori - ma ci si attende che egli sia in maniera del tutto
privilegiata una guida spirituale. Potremmo quasi definirlo l uomo dello Spirito Santo in mezzo al
popolo cui viene inviato. Ma parimenti è tale nel contesto più generale della Chiesa alla quale
appartiene.
2. La sacra Scrittura riferisce alcune parole del Signore Gesù che sono attinenti in modo speciale alla
nostra natura episcopale.
a) Il primo riferimento è: tu es Petrus , che insieme agli altri testi petrini a noi ben noti, si riferisce al
suo ministero e a quello dei suoi successori. Siamo di fronte all indicazione chiara e inequivocabile
della necessità della comunione con la sede di Pietro per attingere e garantire la piena unità della
Chiesa.
b) Il secondo testo di riferimento è: Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in
mezzo a loro (Mt 18,20). È la promessa dalla quale consegue non solo che il Signore è con loro, ma
che quei due o tre riuniti camminano con Cristo. Il termine greco che esprime tutto questo è sin-
odos , cioè quello che comunemente conosciamo appunto con il termine sinodo. Ne consegue che
l interpretazione autentica non è quella giuridico-canonica di diritti o di poteri da esercitare
collegialmente, bensì quella evangelica che potrei esprimere con l espressione: ricerca continua di
che cosa vuole il Signore da noi proprio come corpo episcopale. Non è importante allora il nome
della struttura che ci riunisce (assemblea, conferenza, comitato, ecc.) quanto lo scopo per cui ci
riuniamo: essere insieme per cercare la volontà del Signore. Il testo evangelico, rapportato alla
nostra realtà, sembra esigere inequivocabilmente la sinodalità per fare la volontà di Gesù, nostro
salvatore. Conseguentemente la celebrazione sinodale non è un atto di natura giuridica o un atto
meramente accademico, bensì è un atto squisitamente e propriamente di religione e di adorazione.
3. Nell interpretazione corrente dei testi, anche conciliari, che si riferiscono al vescovo, solitamente
si configura la loro natura nel loro rapporto con Dio, con il papa e con i fedeli. Pur essendo
essenziale quel triplice rapporto, mi sembra che venga del tutto trascurato quello non meno
essenziale con il collegio dei confratelli nell episcopato. Eppure - tanto per fare un esempio - come
una persona umana si identifica e cresce come persona umana nel confronto e nel rapporto
dialogico con le altre persone umane, così io vescovo nel confronto stabile e ordinario con i
confratelli maturo la mia identità episcopale e la esprimo. L essere insieme in qualsiasi forma è il
nostro modo di identificarci in quanto vescovi.
4. Da notare ancora che la sinodalità si radica nella comune tradizione primitiva della Chiesa sia
dell Oriente che nell Occidente prima delle divisioni storiche. Faccio un esempio: nell ordinazione
episcopale nel rito latino è richiesta normalmente la compartecipazione di almeno tre vescovi e
nell ordo orientale c è il significativo rito dell abbraccio con il quale il neo eletto vescovo viene
accolto quale fratello da tutti gli altri vescovi riuniti intorno al capo gerarchico.
5. C è, ancora, una preoccupazione che ci accomuna, quella ecumenica, soprattutto se rivolta alle
Chiese di tradizione apostolica o ortodosse. Se non riusciamo a esprimere con tutta evidenza in tutte
le riunioni episcopali a diversificati livelli il carattere religioso del nostro stare insieme e la
sinodalità che ci identifica e caratterizza, rischiamo di continuare in un dialogo superficiale e alla fin
fine deludente e sterile, soprattutto se siamo convinti che unitatis redintegratio è, in questo caso, sic
et simpliciter, communionis redintegratio. E su questo, pur senza attardarmi, amerei che ci fosse una
profonda riflessione in tutti noi e una sincera revisione di cuore e di mente nello Spirito Santo.
6. Ancora, in spirito di sincera e aperta fraternità e senza alcun timore reverenziale, vorrei far un
riferimento alla liturgia. Certamente tutti voi avete assistito almeno una volta a una divina liturgia
pontificale in rito bizantino e sicuramente avete rilevato il ruolo centrale e il relativo riconoscimento
che viene riservato al vescovo in quantosacerdos magnus, liturgo nel senso più proprio e autentico
del termine. Se da una parte c è il rischio di una sovrabbondanza rituale nella liturgia bizantina,
dall altra non posso non rilevare il rischio di un certo appiattimento e omologazione dei ruoli nella
liturgia latina. Per cui mi permetto di consigliare un equilibrato modo di celebrazione liturgica che
riconosca ed esprima adeguatamente il munus e la figura episcopale.
7. Infine, c è un altro punto cui desidero accennare ancora. Tutti noi siamo giustamente preoccupati
del fenomeno della complessità sociale, della multiculturalità e multietnicità. È un fenomeno che in
gran parte delle Chiese locali latine si è presentato solo recentemente (al massimo da una
cinquantina d anni) o anche più recentemente. Le Chiese orientali sono da secoli in una situazione
di complessità e di minorità . La loro esperienza, pongo un interrogativo, non potrebbe essere
utilizzata dai confratelli latini quale modello di soluzioni possibili?
6 ottobre 2001.
Lubomyr card. Husar,
arcivescovo maggiore di Lviv degli ucraini
Gregorio III:
l ecclesiologia orientale
I rapporti con la Santa Sede romana (nota relativa ai nn. 69, 70, 71, 75). Non è corretto includere il
sinodo patriarcale sotto il titolo Le conferenze episcopali (cf. n. 72). Si tratta di un organismo
assolutamente distinto. Il sinodo patriarcale è l istanza suprema della Chiesa orientale. Può
legiferare, eleggere i vescovi e i patriarchi, dirimere le vertenze. Propongo l introduzione di un
nuovo titolo e di un paragrafo specifico e dettagliato al riguardo.
Nel n. 75 si parla dell onore particolare reso al patriarca. Vorrei notare che si sminuisce il ruolo
tradizionale del patriarca quando si parla, nei documenti ecclesiastici, d onore e privilegi dei
patriarchi.
Infatti, non si tratta d onore, di privilegi, di concessioni. Il patriarcato (l istituzione patriarcale) è
un entità specifica unica dell ecclesiologia orientale, è una categoria particolare, che non va
classificata sotto questo o quel titolo.
Inoltre, l espressione onori e privilegi deriva dal can. 28 del concilio di Calcedonia e si riferisce
anzitutto agli onori e privilegi della sede di Costantinopoli paragonati con quelli della prima
Roma.
Per contro, i diritti (e non gli onori e i privilegi) delle sedi patriarcali, soprattutto di Alessandria e di
Antiochia, erano già ben definiti e riconosciuti prima del concilio di Calcedonia.
Sono diritti acquisiti, e successivamente ratificati dal can. 28 del concilio di Calcedonia e dagli usi e
tradizioni.
Perciò, questi diritti non possono essere in alcun modo privilegi od onori, e tanto meno possono
derivare da Roma o essere accordati da Roma. Una concezione del genere può solo danneggiare
gravemente ogni possibile intesa con l ortodossia.
Con tutto il rispetto dovuto al ministero petrino, il ministero patriarcale ne è l equivalente, servatis
servandis, nell ecclesiologia orientale.
Finché questo non viene avvertito, compreso e tenuto presente nell ecclesiologia occidentale e
romana, non sarà possibile alcun progresso nel dialogo ecumenico e nel riavvicinamento fra la
Chiesa romana e l ortodossia.
Noi lo chiediamo anche per la nostra Chiesa patriarcale greca-melchita-cattolica e per tutte le nostre
Chiese orientali cattoliche.
Si è atteso troppo ad applicare i decreti del concilio Vaticano II, e le direttive e le dichiarazioni delle
encicliche e delle lettere dei papi, e soprattutto del santo padre Giovanni Paolo II.
Un ulteriore attesa toglierebbe ogni credibilità alla buona volontà della Chiesa di Roma in materia di
dialogo ecumenico.
Avviene esattamente il contrario: il Codice dei canoni delle Chiese orientali ha ratificato usanze
assolutamente contrarie alla tradizione e all ecclesiologia orientali!
L annuncio del Vangelo (cf. n. 6, p. 4 e n. 134, p. 112). È importante sensibilizzare i fedeli di tutte le
Chiese sull annuncio del Vangelo e invitarli anche a sentirsi responsabili dell evangelizzazione. Lo
vediamo presso i nostri fratelli musulmani, gli ebrei praticanti, i copti ortodossi, i greci ortodossi e
anche i protestanti.
In questo campo i laici cattolici sono i meno sensibili, i meno consapevoli della loro responsabilità.
Solo quando i fedeli laici battezzati si sentono responsabili nei riguardi del Vangelo, della fede, della
Chiesa... si potrà veramente realizzare la nuova evangelizzazione tanto auspicata dal santo padre
Giovanni Paolo II.
Il vescovo orante... e maestro di preghiera (cf. n. 47, pp. 39-40). Vorrei attirare l attenzione
sull importanza della preghiera liturgica. In Occidente, e progressivamente anche in Oriente fra i
cattolici orientali (ma non fra gli ortodossi), si tende a concentrare e limitare le celebrazioni
liturgiche alla divina liturgia. Solo raramente si celebra la liturgia delle ore: vespri, mattutino, ore
minori.
Insisto sulla necessità di far scoprire ai nostri fedeli le ricchezze dell ufficio divino delle ore.
Propongo quanto segue:
1. Celebrare quotidianamente nelle nostre chiese parrocchiali almeno una parte dell ufficio:
mattutino, vespri, compieta.
2. Aprire le nostre chiese parrocchiali in determinati momenti della giornata per la preghiera
liturgica, la meditazione.
3. Pregare con coloro che lavorano in monasteri, presbitèri, episcopi, locali delle attività
parrocchiali. Creare un atmosfera di preghiera. Si diventa troppo burocrati...
4. Favorire gli incontri, i colloqui, gli scambi di natura spirituale, teologica, mistica. Aiuta a scoprire
l altro: i vescovi fra di loro, il vescovo con i suoi sacerdoti, i sacerdoti fra di loro e le religiose fra di
loro.
Spesso le persone si incontrano in modo superficiale, come persone che sbrigano affari, ma non
come persone spirituali.
Tutte queste iniziative favoriscono la spiritualità di comunione (n. 51).
Il cammino spirituale del vescovo: l esempio dei vescovi santi (cf. n. 58). Vorrei sottolineare una
particolarità interessante del ciclo liturgico settimanale delle Chiese di tradizione bizantina: per
tutto l anno, il giovedì è dedicato alla memoria dei santi apostoli e a quella di san Nicola di Mira
come modello del vescovo santo.
Gli apostoli, san Nicola e i dottori della Chiesa vengono commemorati nella proscomedia della
divina liturgia bizantina. E vengono commemorati anche alla fine delle preghiere delle ore. I vescovi
santi sono raffigurati in ogni iconostasi o nell abside delle chiese.
La Chiesa icona della Trinità (cf. n. 61, p. 52). L innografia di rito greco o bizantino contiene
moltissimi inni dedicati alla santa Trinità: nelle odi, nei canoni del mattutino, nei canoni cosiddetti
triadici, nella preghiera di mezzanotte.
Questi inni sono un esposizione integrale della teologia e della spiritualità trinitarie. Spesso,
contengono riferimenti anche alla Chiesa e soprattutto alla sua unità.
2 ottobre 2001.
Gregorio III,
patriarca greco-melkita cattolico di Antiochia
e di tutto l Oriente
J.M.Bergoglio: Relatio post
disceptationem
Introduzione
Con lo sguardo fisso su Cristo
1. Presentando questa relazione, dopo gli interventi nell aula sinodale, ringraziamo vivamente il
santo padre, che con la sua presenza e il suo ascolto ci ha animati ad accomunare le nostre
inquietudini. Convocandoci a questa assemblea sinodale, ci ha invitati a varcare insieme la soglia
della speranza . Presentandoci il tema sul quale incentrare le nostre riflessioni, ci ha chiesto di
fissare il nostro sguardo sul Vangelo di Cristo. Più ancora, sul Cristo-Vangelo, nel quale tutte le
promesse di Dio sono giunte all ultimo e definitivo compimento. Proprio perché in lui si sono
realizzate tutte le promesse, ci è dato il dono della gloria futura e ci è concesso di essere, insieme a
tutti i fedeli cristiani delle nostre Chiese, uomini di speranza che parlano con speranza. Molte volte
nel corso dei nostri lavori sinodali è stato messo in evidenza che tutti i vescovi, uniti a tutta la
Chiesa, riconoscono nel vescovo di Roma, successore di Pietro, il principio e il fondamento visibile
dell unità nella fede e della comunione. Questa unità della Chiesa è certamente una ricca sorgente di
fiducia e speranza per il futuro della missione dei cristiani nel mondo, poiché è garanzia della
continuità della verità del Vangelo e, attraverso di esso, della speranza del mondo. Con emozione e
gratitudine è stata ricordata, in particolare, l opera del papa e della Santa Sede, che intervenendo con
urgenza ed efficacia in molte situazioni, istituzionali e personali, hanno offerto conforto e speranza.
La Relatio post disceptationem
nel processo sinodale
2. Desidero ringraziare l eminentissimo segretario generale, i fratelli e le sorelle della Segreteria
generale del Sinodo dei vescovi e gli esperti che hanno aiutato noi, relatori e segretario speciale del
Sinodo, a raccogliere tutti gli interventi e a sintetizzarli in questa relazione. Il fine della relazione è
quello di segnalare i punti principali che dovranno essere approfonditi per giungere infine al
desiderato consenso sinodale. Per questa ragione, ci siamo preoccupati in modo particolare di
raccogliere le idee che sono emerse e di richiamare al contempo l attenzione su alcuni argomenti,
che hanno al centro il tema di questo Sinodo: Il vescovo: servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la
speranza del mondo .
Siamo consapevoli che la celebrazione del Sinodo, al di là di qualsiasi organizzazione necessaria,
significa sempre un atto spirituale di religione e devozione.
3. Siamo anche consapevoli che il processo sinodale è stato accompagnato dalla celebrazione e dalla
preghiera, che hanno costituito il clima spirituale della nostra congregazione o cammino comune
(sunodos). Infine, siamo certi che i padri sinodali, nonostante la brevità e concisione di
questa Relatio post disceptationem (Relazione dopo la discussione), potranno scoprirvi un riflesso
del loro contributo e delle loro proposte. Nel desiderio di entrare in sintonia con le speranze e le
inquietudini presenti nel cuore di tutti i vescovi che hanno fatto sentire la propria voce, la Relatio
post disceptationem vuole servire la dinamica sinodale, identificando i punti di convergenza per
concentrare su di essi l attenzione e la preghiera, al fine di proporli a una riflessione più profonda
nei circoli minori.
4. Con voi sono cristiano e per voi sono vescovo :1 sono parole di s. Agostino, ripetute durante le
congregazioni generali, che ci fanno capire che il vescovo è uomo di Chiesa, è parte della Chiesa; la
veraSponsa Christi, la Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans .2 La Chiesa, il popolo
santo, che nella sua totalità in credendo falli nequit .3 Questa Chiesa, che si mostra al mondo nei
suoi aspetti visibili di martyria,leitourgia, diakonia. Per questo, il vescovo, uomo di Chiesa, è
chiamato a essere uomo con sensus ecclesiae.
5. Diverse volte abbiamo ascoltato espressioni che sono autentiche immagini viventi del vescovo e
del suo ministero episcopale. Riportano spontaneamente alla memoria le parole della costituzione
sulla Chiesa Lumen gentium, che in un contesto che illustra il mistero della Chiesa, affermano che la
sua natura si descrive e riconosce attraverso una varietà di immagini, tratte dalle sacre Scritture e
dalla tradizione ecclesiale.4 Anche noi, ora, intendiamo concentrare la nostra attenzione sulla figura
del vescovo, sul suo mistero e ministero e desideriamo ribadire ed evocare alcune delle immagini
ricordate nell aula sinodale. Si tratta delle immagini del pastore, del pescatore, del guardiano
sollecito, del padre, del fratello, dell amico, del portatore di conforto, del servitore, del maestro,
dell uomo forte, del sacramentum bonitatis, ecc. Tutte queste immagini mostrano il vescovo come
uomo di fede e uomo di discernimento, uomo di speranza e uomo di lotta, uomo di mitezza e uomo
di comunione. Sono immagini che indicano che entrare nella successione apostolica significa
entrare in lotta (agon) per il Vangelo.
Schema della Relatio post disceptationem
6. In questo particolare momento della nostra storia, come non hanno mancato di osservare diversi
fratelli in questa aula sinodale, si vedono minacciate la pace e l unità della convivenza umana. Il
vescovo, servitore di Gesù Cristo per la speranza del mondo, di fronte a tale realtà si sente chiamato
a essere uomo di pace, di riconciliazione e di comunione. Le ragioni che giustificano tale chiamata si
riducono sostanzialmente a due e s incontrano entrambe nell Instrumentum laboris. Si tratta
soprattutto di riconoscere che il concetto di comunione è, con le parole tratte dalla
lettera Communionis notio, in corde autocognitionis Ecclesiae, quatenus ipsa est Mysterium unionis
personalis uniuscuiusque hominis cum divina Trinitate et cum ceteris hominibus .5 La comunione
corrisponde all essere della Chiesa. Tale comunione si incontra nella parola di Dio e nei sacramenti.
Soprattutto nel battesimo, che è il fondamento della comunione nella Chiesa, e nell eucaristia, che è
sorgente e culmine di tutta la vita cristiana. Edifica l intima comunione dei fedeli nel corpo di Cristo
che è la Chiesa. Come afferma l Instrumentum laboris, il ministero episcopale si inquadra in questa
ecclesiologia di comunione e di missione che genera un agire in comunione, una spiritualità e uno
stile di comunione .6 Al tempo stesso occorre rimanere in sintonia con il tema di questa Assemblea
generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, che parla della figura del vescovo nell ottica del servizio
del Vangelo per la speranza del mondo. Pertanto, come si legge nell Instrumentum laboris, nel
nostro tempo l unità è un segno di speranza sia che si tratti dei popoli, sia che si parli dell agire
umano per un mondo riconciliato. Ma l unità è anche segno e testimonianza credibile
dell autenticità del Vangelo (...). Tale prospettiva è un segno di speranza per il mondo in mezzo a
dissoluzioni dell unità, contrapposizioni, conflitti. La forza della Chiesa è la comunione, la sua
debolezza è la divisione e la contrapposizione .7
7. Quest ultima espressione, in particolare, non è sfuggita ai padri sinodali, che l hanno
ripetutamente citata nei loro interventi. Per questo, seguendo tale ispirazione, questa Relatio post
disceptationem, in continuità con il tema del Sinodo e l Instrumentum laboris, intende raccogliere i
contributi offerti dai ricchi interventi ascoltati, suddividendo l esposizione secondo il seguente
schema:
I. Il vescovo in comunione con il Signore ; II. Il vescovo al servizio della comunione nella Chiesa
universale ; III. Il vescovo al servizio della comunione nella Chiesa particolare ; IV. Il vescovo al
servizio della comunione nel mondo .
I. Il vescovo
in comunione con il Signore
Uomo di preghiera
8. I padri sinodali hanno accolto con grande apertura dei cuori il tema della vita spirituale del
vescovo. In questo sentimento abbiamo riconosciuto alcune espressioni sulle quali vale la pena di
soffermare il pensiero. Come affermato poco fa, la forza della Chiesa è la comunione, la sua
debolezza è la divisione. Il vescovo con questa forza cerca di essere disponibile per Dio, consapevole
di essere chiamato a essere un uomo santo e diligente. Solo il vescovo che è in comunione con Dio
può essere al servizio della speranza. Solo quando sarà penetrato nella nuvola impenetrabile ma
luminosa del mistero trinitario, Padre, Figlio e Spirito Santo, il vescovo può ricevere in modo più
evidente i segni del suo essere, nella Chiesa, padre, fratello e amico. Il vescovo è chiamato a entrare
nel suo mistero per poter esercitare il suo ministero e il suo carisma: da qui il suo senso del martirio.
La figura del vescovo orante è emersa diverse volte, presentandolo come testimone della preghiera e
della santità, testimone del tempo salvifico, tempo di grazia. Nella celebrazione dell eucaristia, nella
preghiera, nella riflessione e nel silenzio, egli adora e intercede per il suo popolo. Sentendosi
peccatore, si avvicina con frequenza al sacramento della riconciliazione; consapevole delle
meraviglie compiute dal Signore nella storia, celebra le lodi quotidiane nella liturgia delle ore.
Chiamato ad essere santo
9. Come è stato detto nei molti interventi fatti sul tema, la santità del vescovo è postulata da ragioni
proprie, che vanno oltre la vocazione alla santità nella Chiesa, di cui ha trattato l intero capitolo V
della costituzione dogmaticaLumen gentium. Il contesto più chiaro e immediato, nel quale
dev essere inserito il tema della santità del vescovo, è offerto dalla sacramentalità dell episcopato. In
virtù di questa sacramentalità l ordinazione episcopale non è un semplice atto giuridico, mediante il
quale è conferita a un presbitero una più ampia giurisdizione, ma un azione di Cristo che, donando
lo Spirito del sommo sacerdozio, santifica l ordinando nel momento in cui riceve il sacramento e
che di per sé esige per lui stesso tutti quegli aiuti di grazia di cui ha bisogno per l adempimento della
sua missione e dei suoi compiti. La conseguenza è che ogni vescovo si santifica proprio nel e con
l esercizio del suo ministero.
10. Poiché, poi, nel triplex munus conferito al vescovo mediante l ordinazione sacramentale è
incluso quello della santificazione, è stato pure sottolineato che il suo esercizio non può essere
limitato all amministrazione dei sacramenti, ma deve includere ogni azione e ogni comportamento
del vescovo, sicché anche mediante la sua vita egli guida i fedeli verso la santità. Ogni vescovo
dev essere per loro il modello di una vita santa e il primo maestro e testimone di quella pedagogia
della santità di cui ha scritto Giovanni Paolo II nella lettera apostolicaNovo millennio
ineunte.8 D altra parte ogni vescovo, considerando non solo l intera storia della Chiesa, ma anche
quella della propria diocesi, si trova come avvolto da una moltitudine di testimoni che segnano il
suo cammino. La vita santa del vescovo, in ultima analisi, è una testimonianza (martyrion) che,
offerta a Cristo, ricerca con umiltà una mistica identificazione con il buon Pastore, che dona la vita
per le sue pecorelle (cf. Gv 15,13) e induce a un volere fare proprie le parole di Gesù: pro eis ego
sanctifico me ipsum (Gv 17,19). La vita di un vescovo in ogni tempo e situazione si svolge sotto lo
sguardo del Signore che abbraccia la croce, sicché la sua santità si esprime in due passioni: la
passione per il Vangelo di Gesù Cristo e l amore per il suo popolo che ha bisogno della salvezza.
Sono passioni che si manifestano nella bontà e nella mitezza delle beatitudini. Passioni che si
radicano nella coscienza del suo nulla, del suo essere un peccatore che ha ricevuto il dono della
grazia di essere eletto per l immensa bontà del Padre.
La formazione permanente
11. Strettamente congiunto con il tema della santità e della vita spirituale del vescovo è risuonato, in
molti interventi dei padri sinodali, quello della sua formazione permanente. Se ne hanno bisogno
tutti i membri della Chiesa, come appare dalle esortazioni apostoliche Christifideles laici, Pastores
dabo vobis e Vita consecrata, a maggior ragione ne hanno bisogno i vescovi. Fra le ragioni indicate
c è anche il compito missionario del vescovo, incaricato di gettare come un ponte (pontifex) tra il
Vangelo e il mondo. Pur in presenza di valide esperienze già promosse in questo settore con
l iniziativa di organismi della Santa Sede (Congregazione per i vescovi, Congregazione per
l evangelizzazione dei popoli...) si avverte il bisogno di precisare ulteriormente il senso di questa
formazione (perché non sia lasciata soltanto all iniziativa del singolo vescovo, ma sia incoraggiata da
proposte anche istituzionali di vario genere) e i suoi obiettivi specifici, in rapporto, cioè, al ministero
episcopale. Come maestro della fede, ad esempio, il vescovo ha bisogno di una formazione
permanente negli ambiti della teologia dogmatica, morale, pastorale e spirituale.
Povero per il Regno
12. Uno degli aspetti più segnalati dai padri sinodali riguardo alla santità del vescovo è la sua
povertà. Uomo di cuore povero, è immagine di Cristo povero, imita Cristo povero, essendo povero
con un discernimento profondo. La sua semplicità e austerità di vita gli conferiscono una completa
libertà in Dio. Il santo padre ci invitava a fare un esame di coscienza circa il nostro atteggiamento
verso i beni terreni e circa l uso che se ne fa (...), a verificare fino a che punto nella Chiesa sia la
conversione personale e comunitaria a un effettiva povertà evangelica (...), a essere poveri al servizio
del Vangelo .9 Con queste ultime espressioni Giovanni Paolo II ci ricorda che si tratta di perseguire
quel radicalismo evangelico per il quale beato è chi si fa povero in vista del Regno, per mettersi nella
sequela di Gesù-povero, per vivere nella comunione con i fratelli secondo il modello
dell apostolica vivendi forma, testimoniata nel libro degli Atti degli apostoli.10
II. Il vescovo al servizio
della comunione
nella Chiesa universale
Sollecitudine di tutte le Chiese
13. Più volte è stato affermato che cum Petro et sub Petro la vocazione del vescovo ha una
dimensione universale che trascende i confini della Chiesa particolare. L apertura del suo ministero
verso tutta la Chiesa viene indicata come sua principale condizione di membro del collegio
episcopale. Ogni vescovo, infatti, in quanto membro del collegio episcopale e legittimo successore
degli apostoli è tenuto per istituzione e precetto di Cristo, ad avere per tutta la Chiesa una
sollecitudine che, sebbene non esercitata con atto di giurisdizione, tuttavia, contribuisce
sommamente al bene della Chiesa universale (...). Del resto è una verità che, reggendo bene la
propria Chiesa come porzione della Chiesa universale (i vescovi) contribuiscono efficacemente al
bene di tutto il corpo mistico, che è pure un corpus ecclesiarum .11 Tra le Chiese particolari e la
Chiesa universale, infatti, come insegna il concilio Vaticano II, esiste un rapporto di mutua
interiorità.12 Tale unità è radicata non solo nell eucaristia ma anche nell episcopato, perché, per
volontà di Cristo, sono realtà essenzialmente vincolate tra di loro. Il vescovo, pertanto, è al servizio
della Chiesa universale nella verità e nella carità. Docile allo Spirito Santo che crea l unità e la
diversità edificando la Chiesa, il vescovo deve farsi carico di questo pluralismo armonioso: lo stesso
Spirito Santo è l armonia. Pertanto, il vescovo realizza la sua vocazione all unità privilegiandola su
ogni conflitto. La consapevolezza di questa comunione con la Chiesa universale, come è stato
sottolineato, impegna ogni vescovo nella sollicitudo omnium Ecclesiarum e lo porta a un attività di
sollecitudine e solidarietà con tutte loro, iniziata sin dalla prima tradizione apostolica, come ci
ricorda la colletta per i poveri di Gerusalemme.
L apertura missionaria del vescovo
14. I vescovi, in quanto membri del collegio episcopale, sono stati consacrati non soltanto per una
diocesi, ma per la salvezza di tutti gli uomini.13 Questa dottrina insegnata dal concilio Vaticano II è
stata citata per ricordare che ogni vescovo deve essere ben consapevole della natura missionaria del
proprio ministero pastorale. Tutta l attività pastorale nella propria diocesi è informata di spirito
missionario, preoccupata di suscitare, promuovere e dirigere le opere di evangelizzazione, in modo
da incoraggiare e conservare sempre vivo l ardore missionario dei fedeli, nella fiducia che si tradurrà
in risposte alla vocazione missionaria. È importante sostenere l opera missionaria anche attraverso
la cooperazione economica. Non meno importante, però, come è stato affermato, è incoraggiare la
dimensione missionaria nella propria Chiesa particolare, promovendo, a seconda delle diverse
situazioni, valori fondamentali come il riconoscimento del prossimo, il rispetto della diversità
culturale e una sana interazione fra le culture diverse. Il carattere sempre più multiculturale delle
nostre città e delle nostre società, d altra parte, soprattutto come conseguenza delle migrazioni
internazionali, stabilisce nuove e inedite situazioni missionarie e costituisce una particolare sfida
missionaria. Dagli interventi sinodali sono pure emerse alcune questioni relative ai rapporti tra i
vescovi diocesani e le congregazioni religiose missionarie, sulle quali si domanda una più
approfondita riflessione, così come appare riconosciuto il grande contributo di esperienza che una
Chiesa particolare può ricevere dalle stesse congregazioni di vita consacrata nell assicurare che
rimanga viva la dimensione missionaria.
Il principio della comunione
15. Sulla stessa linea della comunione con la Chiesa universale è stata giustamente indicata la
necessità che il vescovo accresca e alimenti la comunione, in primo luogo con il vicario di Cristo, e
con i suoi stretti collaboratori che formano la curia romana. A essa hanno fatto riferimento alcuni
interventi di padri sinodali. È stato evidenziato che attualmente i capi dicastero della curia
provengono da diverse diocesi sparse per tutto il mondo. Tale realtà è, nel suo genere,
un espressione della cattolicità della Chiesa e della comunione ecclesiale. Cogliamo quest occasione
anche per ringraziare i capi dicastero e i loro collaboratori, che nel servizio della Santa Sede operano
in favore di tutte le Chiese particolari. Allo stesso modo, la dimensione fraterna della comunione è
un esigenza dei sinodi patriarcali e in particolare delle conferenze episcopali. In queste realtà ha una
concreta applicazione l affectus collegialis che è l anima della collaborazione tra i vescovi in campo
regionale, nazionale e internazionale .14 Questa chiamata alla comunione fraterna tra i vescovi
trascende la mera convivenza, poiché si tratta di una dimensione sacramentale del ministero
episcopale. È stato pure suggerito che un aiuto all attività delle conferenze episcopali potrebbe
venire dal rinnovato esercizio delle funzioni dei metropoliti nell ambito delle rispettive provincie
ecclesiastiche.
16. Diverse volte in aula si è menzionato il principio di sussidiarietà . Ci si è inoltre interrogati
sullo studio, raccomandato dal Sinodo straordinario del 1985, per verificare il grado in cui tale
principio potrebbe essere applicato nella Chiesa.15 Il modo in cui è stata espressa la questione nel
Sinodo, dimostra che non si tratta di un problema risolto. Infatti, Pio XII, Paolo VI e, per ultimo,
Giovanni Paolo II,16 con riferimento alla particolare struttura gerarchica della Chiesa, che essa ha
per volontà di Cristo, hanno escluso un applicazione del principio di sussidiarietà alla Chiesa nel
modo in cui tale principio viene inteso e applicato nella sociologia. È evidente che, poiché il vescovo
residente possiede, nella sua diocesi, tutta la potestà ordinaria, propria e immediata, necessaria per
l esercizio del suo ministero pastorale, deve esistere anche un ambito proprio di esercizio autonomo,
riconosciuto e tutelato dalla legislazione universale.17 D altra parte, l autorità del vescovo diocesano
coesiste con l autorità suprema del papa, anch essa episcopale, ordinaria e immediata su tutte le
chiese e su tutti i pastori e i fedeli.18 Il rapporto tra i due poteri non si risolve automaticamente
appellandosi al principio di sussidiarietà, bensì al principio della communio, di cui si è più volte
parlato nell aula sinodale.
17. È stato segnalato diverse volte che il modo concreto in cui il vescovo deve offrire un servizio per
promuovere la comunione nelle Chiesa universale è quello di adempiere alla sua vocazione di
promotore del dialogo ecumenico. Lo scandalo della divisione si oppone alla speranza. La questione
ecumenica rappresenta una delle grandi sfide dell inizio del nuovo millennio e un momento centrale
dell attività pastorale del vescovo. Si può fare molto già da ora, mentre camminiamo verso la piena
comunione intorno alla mensa del Signore. Occorre esercitare, innanzitutto, l ecumenismo nella vita
quotidiana; con atteggiamenti di carità, accoglienza e collaborazione; a cui va aggiunto
l accoglimento dei risultati validi del dialogo ecumenico. Non bisogna perdere di vista la formazione
ecumenica non solo dei laici e dei sacerdoti, ma, in primo luogo, dei nostri vescovi. Soprattutto
dobbiamo essere uniti nelle preghiere per l unità, come fecero gli apostoli attorno a Maria perché si
realizzi una nuova Pentecoste. Inoltre, la vita interna della Chiesa cattolica dovrà essere
testimonianza trasparente dell unità nella diversità delle tradizioni spirituali, liturgiche e
disciplinari. Con particolare interesse l attenzione dei padri sinodali si è rivolta alle Chiese orientali,
non solo nella volontà di rispettarne le istituzioni ma anche, e soprattutto, nel desiderio di arrivare
alla piena comunione ecclesiale. Dagli interventi dei padri sinodali delle Chiese orientali cattoliche è
stato messo in rilievo con toni gravi il nuovo, ma già consistente fenomeno delle emigrazioni dei
loro fedeli. Questa emergenza porta con sé il bisogno di organizzare una pastorale propria e adatta a
questi fedeli in situazione di diaspora.
Il Sinodo dei vescovi
18. Per quanto riguarda il Sinodo dei vescovi, possiamo dire che esiste un consenso generale sulla
validità di questa istituzione come strumento della collegialità episcopale e come espressione della
comunione dei vescovi con il sommo pontefice. D altra parte i suggerimenti di alcuni oratori
sull eventuale necessità di una revisione della metodologia sinodale dovranno essere affrontati forse
in un altro ambito e con un adeguata preparazione, poiché una discussione approfondita su questo
tema sembrerebbe superare i limiti specifici di questo Sinodo. Alcuni interventi hanno proposto la
realizzazione di riunioni del santo padre con i presidenti delle conferenze episcopali per trattare
problemi pastorali comuni. Va ricordato che le assemblee generali straordinarie, previste nell Ordo
Synodi, costituiscono già un espressione sinodale di questo tipo di incontri. Pertanto si potrebbe
riflettere sull eventuale possibilità, in futuro, di convocare tali assemblee con maggiore frequenza, al
fine di trattare temi ben definiti e di informare il santo padre su situazioni pastorali che sorgono nel
mondo.
III. Il vescovo al servizio
della comunione
nella Chiesa particolare
Maestro di preghiera
19. Il vescovo, essendo parte del popolo di Dio, rappresenta inoltre una presenza sacramentale in
mezzo al suo popolo che guida con cuore paterno. È un uomo disponibile per il suo popolo, conosce
le sue pecorelle e la vicinanza con il suo popolo gli ispira atteggiamenti di comprensione e
compassione, prega con il suo popolo e come il suo popolo, insegna a pregare e guida la preghiera
dei fedeli. In questo egli si presenterà come vero liturgo curando la dignità della celebrazione e la
fedeltà ai riti della Chiesa, anche vigilando perché non vi siano abusi. In questo senso è stata
sottolineata l importanza della pietà popolare in cui si esprime un profondo umanesimo e un
cristianesimo solido, e implica alcuni profondi valori: Essa manifesta una sete di Dio che solo i
semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all eroismo,
quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la
paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente
osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco,
apertura agli altri, devozione .19
Maestro della fede
20. I paragrafi dell Instrumentum laboris dedicati al ministero episcopale al servizio del
Vangelo,20 sono stati i più citati negli interventi dei padri sinodali. Il rito dell imposizione del libro
dei Vangeli, compiuto per tutti noi durante la celebrazione dell ordinazione episcopale, significa
tanto la nostra personale sottomissione all Evangelo, quanto l esercizio di un ministero da svolgere
sempre, anche usque ad effusionem sanguinis, sub Verbo Dei. Si tratta di essere annunziatori miti e
coraggiosi del Vangelo . Il medesimo gesto ci ricorda pure che noi stessi siamo affidati al Signore e
alla parola della sua grazia (At 20,32), come leggiamo nel significativo racconto di addio a Mileto
dell apostolo san Paolo. Per questa ragione ogni vescovo ha il dovere di dare grande spazio, nella sua
vita spirituale, alla preghiera, alla meditazione e alla lectio divina.
21. Il munus docendi del vescovo è stato indicato come prioritario e come il munus che eccelle fra i
doveri principali del vescovo.21 Egli è un testimone pubblico della fede. Il vescovo esercita la sua
funzione magisteriale, come è stato anche qui sottolineato, all interno del corpo episcopale e in
comunione gerarchica con il capo del collegio e con gli altri membri. Di più. L esercizio di
questo munus è stato enunciato secondo i suoi molteplici e diversi aspetti. Il vescovo è colui che
custodisce con amore la parola di Dio e la difende con coraggio, che proclama e testimonia la Parola
che salva. È stato anche affermato che il vescovo è il primo catechista nella sua Chiesa particolare e
che, di conseguenza, ha pure il dovere di procurarsi dei validi collaboratori, promovendo e curando
la formazione dottrinale dei suoi seminaristi e sacerdoti, dei catechisti, come pure dei religiosi e
religiose e dei fedeli laici. Non è da trascurare neppure, come avverte l Instrumentum laboris,22 il
compito di dare ai teologi l incoraggiamento e il sostegno che li aiutino a condurre il loro lavoro
nella fedeltà alla tradizione e nell attenzione alle emergenze della storia . A ciò è connesso l altro
dovere del vescovo di promuovere la costituzione, di curare la qualificazione e anche di esercitare la
giusta e opportuna vigilanza nei riguardi di eventuali centri di studio, accademici e non, esistenti nel
territorio della diocesi, come le facoltà teologiche, le università e le scuole cattoliche.
22. Con particolare vigore è stato sottolineato che il vescovo è abilitato dalla grazia dell ordine sacro
a esprimere un giudizio autentico in materia di fede e di morale. I vescovi, per ripetere qui una
espressione del concilio Vaticano II, sono i dottori autentici, cioè rivestiti dell autorità di Cristo,
che predicano al popolo loro affidato la fede da credere e da applicare nella vita morale .23 Si tratta,
in definitiva, di riconoscere la consonanza della dottrina con la fede battesimale, ut non evacuetur
crux Christi (1Cor 1,17). Questo compito della predicazione vitale e della fedele custodia
del depositum fidei è radicato, come giustamente è stato messo in evidenza, nella grazia
sacramentale che ha inserito il vescovo nella successione apostolica e gli ha consegnato il grave
compito di conservare la Chiesa nella sua nota di apostolicità. Il vescovo, perciò, è chiamato a
custodire e a promuovere la traditio, ossia la comunicazione dell unico Vangelo e dell unica fede
lungo la serie delle generazioni sino alla fine dei tempi, con fedeltà integra e pura alle origini
apostoliche, ma pure con il coraggio di trarre da questo stesso Vangelo e da questa stessa fede la luce
e la forza per rispondere alle nuove domande che oggi emergono nella storia e che riguardano pure
le questioni sociali, economiche, politiche, scientifico-tecnologiche, specialmente nell ambito della
bioetica.
Amante dei poveri
23. La sua fedeltà al Vangelo e il suo amore per lo spirito di povertà lo portano a una particolare
predilezione per i poveri, che sono il nucleo centrale della buona novella di Gesù, a camminare con
loro. Non dimentica che nel giorno della sua consacrazione episcopale è stato interrogato sulla sua
intenzione di guidare i poveri. Sta imparando a guardare alla gente come la guardava Gesù. È padre
e fratello dei poveri della sua diocesi. La sua contemplatività e la sua carità pastorale lo portano a
scoprire i nuovi volti che oggi, nella vita moderna, hanno assunto la vedova, l orfano e lo straniero
della Scrittura. Il vescovo sa che Gesù è stato la compassione di Dio per i poveri e tramite lui entra
nella vita dei poveri.
Il vescovo e il suo presbiterio
24. Un altro dei temi che sono emersi chiaramente negli interventi sinodali è l attenzione
privilegiata che il vescovo deve rivolgere ai sacerdoti del suo presbiterio e ai diaconi, suoi immediati
collaboratori e partecipi ministeriali del sacerdozio che egli possiede in pienezza. Essi chiedono al
vescovo una testimonianza di bontà. Nel dialogo ravvicinato li comprende, li incoraggia e li difende
da ogni tendenza alla mediocrità. È padre e fratello dei sacerdoti della sua diocesi. I sacerdoti hanno
bisogno di tenerezza e dedizione da parte del vescovo. Il consiglio presbiteriale, i decani e gli
arcipreti esprimono questa dimensione di comunione con tutto il loro presbiterio.
Pastorale vocazionale
25. È anche stata confermata l idea che il seminario, la sollecitudine paterna e la cura dei suoi
seminaristi devono occupare un luogo privilegiato nel cuore del vescovo. Nella vita di una diocesi il
seminario è un bene prezioso, da circondare con affetto, attenzione e cura e da sostenere soprattutto
con la preghiera. Le vocazioni hanno bisogno di silenziosi intercessori presso il padrone della
messe . Soltanto la preghiera rende davvero sensibili al grave problema delle vocazioni al sacerdozio
e soltanto la preghiera permette che la voce del Signore, che chiama, sia udita. Analoga premura si
deve avere per le vocazioni alla vita di speciale consacrazione e alla vita missionaria, come il papa ha
nuovamente ricordato nella Novo millennio ineunte.24 Tutto ciò, è stato anche detto negli interventi
dei padri sinodali, da realizzare nel contesto di una pastorale vocazionale ampia e capillare, che
coinvolga le parrocchie, i centri educativi e le famiglie, promovendo una riflessione approfondita sui
valori essenziali della vita e sulla vita stessa come vocazione. Anche in quest opera il vescovo è
servitore del Vangelo per la speranza, poiché si tratta di aiutare l uomo a scoprire nella propria
storia la presenza buona e paterna di Dio, che è il Padre a cui ci si può totalmente affidare.
Il vescovo e i consacrati
26. L esortazione post-sinodale Vita consecrata ha sottolineato l importanza che assume la vita
consacrata nel ministero episcopale. Precedentemente, il documento Mutuae relationes ha indicato
cammini o modi di integrare i consacrati nella vita ecclesiale diocesana. La vita consacrata
arricchisce le nostre Chiese particolari, rendendo ancora più evidenti in esse i doni della santità e
della cattolicità. Attraverso molte loro opere e la loro presenza nei luoghi in cui istituzionalmente ci
si prende cura dell uomo, quali sono le scuole e gli altri luoghi educativi, gli ospedali, ecc. i
consacrati manifestano e realizzano la presenza della Chiesa nel mondo della salute, della
educazione e della crescita integrale della persona. Senza dubbio, nel dibattito sinodale è stata
indicata la necessità della cura che il vescovo deve avere nei confronti di questo dono dello Spirito
alla vita della Chiesa, non tanto in ciò che significa l attività apostolica e funzionale, quanto
soprattutto nel fatto della stessa consacrazione di un battezzato o di una battezzata, che abbellisce e
fa crescere la Chiesa. Essa si sente particolarmente riconosciuta e apprezzata dall opera della vita
consacrata, dalla sua testimonianza e dal suo lavoro, spesso oneroso e nascosto. Inoltre risulta chiaro
da vari interventi sinodali che il vescovo dovrebbe avere il cuore sempre aperto a tutte le forme di
vita consacrata, accogliendole e integrandole nella vita della Chiesa diocesana, e facendole
partecipare ai progetti pastorali diocesani. In modo speciale deve accostarsi a quegli istituti
diocesani che attraversano dei momenti di crisi per diversi motivi e prendersi cura di essi con
paterna bontà e sollecitudine.
Il vescovo e i laici
27. La consapevolezza che i laici costituiscono la maggioranza del popolo di Dio, e che in essi si
evidenzia la forza missionaria del battesimo, deve spingere il vescovo a un atteggiamento di stimolo
e di vicinanza paterna, come autentico servizio alla Chiesa gerarchica. I laici confidano in questo
aiuto. I laici hanno bisogno di sostegno e di aiuto per non cadere nell inerzia e di essere formati
secondo le potenzialità di ciascuno. Il fedele laico attinge il suo dovere all apostolato dal sacramento
stesso del battesimo e della confermazione, sacramenti che, insieme con l eucaristia, sono i
sacramenti dell iniziazione cristiana e che, specialmente nell apostolato dei laici, evidenziano e
sviluppano il loro dinamismo missionario. Questo apostolato, tuttavia, dev essere sempre esercitato
nella comunione con il vescovo. Non va persa di vista l importanza dell apostolato laico associato.
Anche i movimenti arricchiscono la Chiesa e hanno bisogno del servizio di discernimento dei
carismi, proprio del vescovo. In modo particolare è stata ricordata in aula la sollecitudine che il
vescovo deve avere per la famiglia, Chiesa domestica , e per i giovani, che hanno bisogno di
certezze che raggiungano il cuore, testimoni di vita e di grande bontà.
La parrocchia
28. Un occasione privilegiata di incontro del vescovo con i suoi fedeli è la visita pastorale alle
parrocchie. La parrocchia oggi continua ad essere un nucleo fondamentale nella vita quotidiana
della diocesi. Perciò la vicinanza del vescovo e l incontro con il parroco, con i laici delle diverse
istituzioni e con tutto il popolo fedele di Dio, restituisce vita e fervore alla vita diocesana intorno alla
figura del suo pastore. Perché il vescovo possa esercitare tale funzione, è stata giustamente segnalata
la necessità della sua permanenza nella diocesi.
La curia diocesana
29. A motivo del suo impegno pastorale, è assai importante per il vescovo l elezione dei suoi più
stretti collaboratori e una buona organizzazione della sua curia diocesana, che è un organismo di
servizio per la comunione ecclesiale e perciò non dovrebbe essere considerata come uno strumento
di tipo semplicemente amministrativo, ma fondamentalmente come una calda espressione della
carità pastorale, con cui il vescovo divide la sua vita comunitaria con i suoi stretti collaboratori. È
stata inoltre ricordata l importanza dei tribunali ecclesiastici.
Piano diocesano di pastorale
30. In quanto espressione della comunione diocesana, è stata anche sottolineata l importanza del
piano diocesano di pastorale che accomuni la preghiera e gli sforzi della Chiesa locale intorno a
mete e obiettivi determinati. In tal modo non solo si moltiplicano le potenzialità, ma si evitano
anche eventuali pastorali parallele. Uno dei requisiti essenziali per cui il vescovo possa elaborare un
buon piano di pastorale, è ascoltare innanzitutto le inquietudini e le necessità del popolo di Dio, ed
eventualmente pensare alla possibilità di istituire dei sinodi diocesani, come luoghi in cui vivere
un esperienza di comunione.
Inculturazione
31. Esercitando il suo servizio di magister fidei e doctor veritatis il vescovo contribuisce pure, per la
sua parte, a quel processo di inculturazione, richiamato anch esso negli interventi dei padri sinodali.
È stata ripetuta l espressione del santo padre secondo cui una fede che non diventa cultura è una
fede non pienamente accolta, non interamente pensata e non fedelmente vissuta .25 Questo
processo, lo sappiamo bene, non consiste in un semplice adattamento esteriore, ma, come fu detto
nel Sinodo del 1985 e ripreso da Giovanni Paolo II,26 significa un intima trasformazione degli
autentici valori culturali mediante la loro integrazione nel cristianesimo, e il radicamento del
cristianesimo nelle diverse culture . Il vescovo, in ogni caso, dovrà sempre avere ben presenti i due
principi fondamentali che guidano questo processo di inculturazione e che sono la compatibilità
con il Vangelo e la comunione con la Chiesa universale.27
La pastorale della cultura
32. L inculturazione del Vangelo è, d altra parte, collegata a una pastorale della cultura che tiene in
conto sia la cultura moderna e post-moderna, sia le culture autoctone e i nuovi movimenti culturali,
di tutto ciò, insomma, che costituisce gli antichi e nuovi areopaghi per l evangelizzazione. È, infatti,
evidente ed è stato pure affermato in quest aula, che una pastorale della cultura è decisiva per
l attuazione di quella nuova evangelizzazione su cui tanto spesso insiste Giovanni Paolo II e che
appare tanto necessaria per gettare semi di speranza capaci di fare germogliare la civiltà dell amore.
D altra parte tanti generosi e sinceri sforzi di inculturazione del Vangelo, profusi da tanti missionari,
sacerdoti, religiosi e laici, avvertono il bisogno di un orientamento e accompagnamento fiduciosi e
fraterni dal vescovo, dalle conferenze episcopali e dalla Santa Sede.
Il vescovo e i mezzi
di comunicazione sociale
33. Nell ambito dell annuncio del Vangelo e dell inculturazione un ruolo speciale rivestono i mezzi
di comunicazione sociale, soprattutto nella nostra epoca che vede svilupparsi enormi potenzialità
tecnologiche. Come è stato rilevato, il mondo delle comunicazioni è ambivalente. Noi, però,
abbiamo la possibilità di usare questo strumenti per promuovere la verità del Vangelo e diffondere
quei messaggi di speranza e di fede di cui il mondo continua ad avere enorme bisogno. È stata
segnalata l importanza di sviluppare nelle nostre diocesi un piano pastorale delle comunicazioni,
incoraggiando la creatività e la competenza soprattutto dei nostri fedeli laici. Non basta, infatti,
garantire l ortodossia di un messaggio, ma occorre anche preoccuparsi che esso sia ascoltato e
accolto. Ciò comporta pure assegnare alla formazione nella comunicazione gli spazi necessari nei
nostri seminari, nelle case religiose e nei programmi di formazione permanente dei sacerdoti, dei
religiosi e dei fedeli laici. Nel contesto di un Sinodo che considera la missione del vescovo nella
prospettiva dell annuncio del Vangelo per la speranza del mondo è molto importante che noi non
facciamo fallimento come messaggeri e come comunicatori.
IV. Il vescovo al servizio
della comunione nel mondo
Missionarietà
34. La Chiesa è il piccolo gregge che continuamente esce da se stesso per la missione; e il vescovo,
uomo di Chiesa, esce anche da se stesso per annunciare Gesù Cristo al mondo. È un viandante e si
esprime con gesti che parlano. Non deve lasciarsi bloccare da una Chiesa talvolta paralizzata dalle
proprie tensioni interne. Incarna la vicinanza della Chiesa agli uomini del nostro tempo, nel
radicalismo della testimonianza a Gesù Cristo. Alcuni interventi hanno fatto riferimento al ruolo
profetico del vescovo, all esigente parresia. Uscendo da se stesso per annunciare Gesù Cristo, il
vescovo si fa carico della sua missione così come in tempi di conflitto fa il pontefice, ponte verso la
pace. Il suo ruolo profetico annuncia inoltre la rivelazione di Gesù Cristo in un tempo come il
nostro, segnato da una crisi di valori, in cui i valori sono assenti o si difendono antivalori e dove,
all interno della Chiesa stessa, esistono processi di autosecolarizzazione e ambivalenza. Con
passione di pastore che esce a cercare la pecorella smarrita e che non è del suo gregge, il vescovo
smaschera le false antropologie, riscatta i valori schiacciati dai processi ideologici e sa discernere la
verità autentica: che il Verbo è venuto nella carne (1Gv 4,2), evitando che la presunzione umana la
spogli e la trasformi in una visione cosmica gnostica o neopelagiana della realtà.
Il vescovo operatore di giustizia e pace
35. Nell ambito di questa missionarietà, i padri sinodali hanno indicato il vescovo come un profeta
di giustizia. Oggi la guerra dei potenti contro i deboli ha aperto una frattura tra ricchi e poveri. I
poveri sono legioni. Di fronte a un sistema economico ingiusto, con dissonanze strutturali molto
forti, la situazione degli emarginati si fa ogni volta peggiore. Oggi c è fame. I poveri, i giovani, i
rifugiati, sono le vittime di questa nuova civiltà . Anche la donna in molti luoghi è sminuita e
oggetto della civiltà edonista. Il vescovo deve incessantemente predicare la dottrina sociale che
deriva dal Vangelo e che la Chiesa ha reso manifesta dal periodo dei primi padri. Dottrina sociale in
grado di suscitare speranza perché i nostri fratelli nella filiazione divina e noi stessi dobbiamo tener
conto del fatto che se non c è speranza per i poveri, non ve ne sarà neppure per i ricchi.
Il vescovo promotore del dialogo
36. Si è fatto notare in diverse occasioni che anche il vescovo aiuta con il suo ministero la
comunione fra gli uomini rispettando il loro credo, le loro tradizioni e avvicinando, quale artefice
del dialogo, posizioni di confronto o semplicemente opposte. Al riguardo, è stato sottolineato il
ruolo fondamentale che il vescovo deve occupare nella promozione del dialogo interreligioso.
Alcuni padri hanno segnalato la necessità di insistere nelle relazioni con l islam.
Il vescovo annunciatore di speranza
37. La missionarietà del vescovo al mondo diffonde la speranza. Si dice che il mondo di oggi è uno
scenario di disperazione, perché in verità una cultura immanentista emargina qualunque autentica
speranza. Gli emarginati, delusi dei loro capi, si rivolgono a Dio; confidano nei loro pastori e
ripongono la loro speranza nella Chiesa. Qui si vede il coraggio apostolico del vescovo, vero liturgo
di speranza, che riceve tanto quanto spera; perché senza speranza tutta l azione pastorale del
vescovo sarebbe sterile. Il vescovo dinanzi al mondo deve annunciare Dio in Cristo, un Dio dal volto
umano, un Dio con noi , perché la certezza della sua fede crea speranza negli altri.
Conclusione
38. Con voi sono cristiano, per voi sono vescovo . Vogliamo concludere questa relazione con le
parole di s. Agostino. Occorre ora che i padri riflettano sui punti precedentemente segnalati e su
altri ancora per poter delineare il profilo dell immagine del vescovo di cui la Chiesa ha bisogno per
compiere la sua missione all inizio di questo terzo millennio: uomo di Dio in cammino col suo
popolo, uomo di comunione e missionarietà, uomo di speranza servitore del Vangelo per la
speranza del mondo. Sappiamo che tutto il mondo anela a questa speranza che non delude (Rm
5,5), perciò il vescovo non può che essere predicatore di speranza che nasce dalla croce di
Cristo: ave crux spes unica.
39. La croce è mistero di morte e di vita. Dalla croce è venuto a noi il dono della vita. Il vescovo che
annuncia il Vangelo come speranza per il mondo è colui che annuncia la vittoria della vita sulla
morte e nella luce del Risorto ripete il credo vitam aeternam: è l articolo col quale si conclude il
simbolo della fede. Alcuni interventi dei padri sinodali hanno chiesto d interrogarci se, nella nostra
predicazione, posti come siamo in contesti culturali pervasi dai valori della terra e del tempo
presente, noi diamo il posto giusto all annuncio dei novissimi e della vita eterna, come oggetto
specifico della speranza cristiana. La Chiesa nella quale noi siamo posti come vescovi è la Chiesa
pellegrina sulla terra. Durante la nostra assemblea sinodale, noi stiamo parlando del nostro
ministero in questa fase della storia della salvezza, interrogandoci su come essere credibili e validi
ministri del Vangelo per la speranza del mondo. Quando, al termine dei lavori sinodali, saremo
tornati nelle nostre Chiese particolari, celebreremo con tutta la Chiesa i meriti e la gloria di tutti i
santi. In quell assemblea, la santa Madre di Dio, quoadusque advenerit dies Domini, tamquam
signum certae spei et solatii peregrinanti Populo Dei praelucet .28 Maria è la testimone più alta della
speranza cristiana, è la Mater spei. Sotto la sua protezione materna chiediamo di insegnarci a
percorrere questo cammino di speranza per il servizio; questo cammino che ci apre alla gioia
dell annuncio, all incontro con Gesù Cristo, Figlio di Dio vivo.*
12 ottobre 2001.
Jorge Mario card. Bergoglio,
relatore generale aggiunto
1 Sermo 340, 1.
2 Vaticano II, cost. dogm. Dei Verbum sulla divina Rivelazione, n. 1; EV 1/872.
3 Vaticano II, cost. dogm. Lumen gentium sulla Chiesa, n. 12; EV 1/316.
4 Cf. Lumen gentium, n. 6; EV 1/291ss.
5 Congregazione per la dottrina della fede , lettera Communionis notio, 28.5.1992, n. 3,
in AAS 85(1993), 839;EV 13/1776.
6 Instrumentum laboris, n. 64; Regno-doc. 11,2001,357.
7 Instrumentum laboris, n. 63; Regno-doc. 11,2001,357.
8 Cf. Giovanni Paolo II, lett. ap. Novo millennio ineunte, n. 30; Regno-doc. 3,2001,80.
9 Giovanni Paolo II, Omelia in occasione della messa di apertura delle X Assemblea generale
ordinaria del Sinodo dei vescovi, 30.9.2001, nn. 3-4; in questo numero a p. 000.
10 At 4,32: Multitudinis autem credentium erat cor unum et anima una; nec quisquam eorum,
quatuae possidebat, aliquid suum esse dicebat; sed erant illis omnia communia .
11 Lumen gentium, n. 23; EV 1/339.
12 Cf. Lumen gentium, n. 23; EV 1/339; Giovanni Paolo II, Discorso alla curia romana, 20.12.1990, n.
9, in AAS83(1991), 745-747; Regno-doc. 3,1991,67.
13 Cf. Vaticano II, decr. Ad gentes sull attività missionaria della Chiesa, n. 38; EV 1/1220.
14 Sinodo dei vescovi, Assemblea generale straordinaria (1985), relazione finale, II, C 4; EV 9/1803.
15 Ecclesia sub Verbo Dei, II, C 8c; EV 9/1809.
16 Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla curia romana, 28.6.1986, in AAS 79(1987), 198.
17 Cf. Christus Dominus, n. 8; EV 1/586; CIC can. 381; CCEO can. 178.
18 Cf. Vaticano I, cost. dogm. Pastor aeternus, n. 3: DH 3060 e 3064.
19 Paolo VI, es. ap. Evangelii nuntiandi, 8.12.1975, n. 48; EV 5/1644.
20 Cf. Instrumentum laboris, nn. 100-110; Regno-doc. 11,2001,363s.
21 Cf. Lumen gentium, n. 25; EV 1/344.
22 Istrumentum laboris, n. 106; Regno-doc. 11,2001,364.
23 Lumen gentium, n. 25; EV 1/344.
24 Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 46; Regno-doc. 11,2001,82.
25 Giovanni Paolo II, Lettera al Pontificio consiglio della cultura, 20.5.1982; Regno-doc. 13,1982,386.
26 Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 7.12.1990, n. 52, in AAS 83(1991), 299; EV 12/651.
27 Cf. Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, n. 54; EV 12/655.
28 Lumen gentium, n. 68; EV 1/444.
In appendice alla Relatio post disceptationem, segue una serie di dieci Questioni per i circoli
minori , qui omessa (ndr).
Messaggio
del sinodo
I. Introduzione
1. Riuniti a Roma nel nome di Cristo Signore, dal 30 settembre al 27 ottobre 2001, noi patriarchi e
vescovi cattolici di tutto il mondo siamo stati invitati dal papa Giovanni Paolo II a valutare il nostro
ministero nella Chiesa alla luce del concilio Vaticano II (1962-1965). Quasi come gli apostoli,
radunati dopo la risurrezione nel cenacolo insieme a Maria, madre di Gesù, siamo stati concordi
nella preghiera , invocando lo Spirito del Padre perché c illuminasse riguardo al nostro ministero di
servitori di Gesù Cristo per la speranza del mondo (cf. At 1,14).
2. Insieme al successore di Pietro, che ha annunciato la buona novella a tutti gli uomini e ha
percorso infaticabile la terra intera come pellegrino di pace - la cui presenza costante ai nostri lavori
è stata una preziosa fonte d incoraggiamento - ci siamo messi all ascolto della parola di Dio e
all ascolto gli uni degli altri. In questo modo abbiamo potuto ascoltare la voce delle Chiese
particolari e dei popoli, facendo esperienza di una fraternità universale che vorremmo comunicarvi
attraverso questo messaggio.
3. Abbiamo dovuto deplorare l assenza di carissimi fratelli nel Signore che non hanno potuto venire
a Roma. Abbiamo anche ascoltato con profonda emozione la testimonianza di molti vescovi che,
negli ultimi decenni, hanno sofferto la prigione e l esilio per la causa di Cristo. Altri sono morti per
la loro fedeltà al Vangelo. Le loro sofferenze, come quelle delle loro Chiese locali, lungi dallo
spegnere la luce della speranza, l hanno resa ancor più viva di fronte al mondo intero.
4. Dei superiori generali delle congregazioni religiose hanno partecipato attivamente a questo
sinodo. Abbiamo anche avuto la grande gioia di accogliere delegati fraterni di altre Chiese cristiane,
oltre a uditori, religiosi e laici, uomini e donne, come anche esperti e interpreti. Ringraziamo tutti di
vero cuore, senza dimenticare i componenti della Segreteria del Sinodo.
II. Gesù Cristo nostra speranza
5. Lo Spirito Santo, offrendoci il dono di aprirci insieme alle realtà attuali della vita della Chiesa e
del mondo, ha glorificato nei nostri cuori il Cristo risorto, prendendo del suo e annunziandolo a noi
(cf. Gv 16,14). Infatti, è stato alla luce della pasqua di Cristo, della sua passione, morte e risurrezione
che abbiamo potuto rileggere a un tempo le tragedie e le meraviglie di cui oggi siamo testimoni. Per
esprimerci con le parole di san Paolo, ci siamo trovati davanti al mistero dell iniquità e al mistero
della pietà (cf. 2Ts 2,7 e 1Tm 3,16).
6. Mentre dal punto di vista umano la potenza del male sembra spesso avere il sopravvento, agli
occhi della fede la tenera misericordia di Dio prevale infinitamente: Laddove è abbondato il
peccato, ha sovrabbondato la grazia (Rm 5,20). Abbiamo sperimentato la forza e la verità di questo
insegnamento dell Apostolo anche nello sguardo che abbiamo rivolto al presente. Poiché nella
speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti ciò che uno
già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo
con perseveranza (Rm 8, 24-25).
7. Il rifiuto iniziale di obbedire a Dio, che sta alla radice del peccato come è inteso dalla Scrittura, fu
la sorgente della divisione tra l uomo e il suo creatore, l uomo e la donna, l uomo e la terra, l uomo e
suo fratello. Nasce così la domanda che non cessa di interrogare le nostre coscienze: Dov è (...) tuo
fratello? Che hai fatto? (Gen 4,9-10). Ma non bisogna mai dimenticare che il racconto della colpa è
subito seguito da una promessa di salvezza, che precede la storia dell uccisione di Abele l innocente,
figura di Gesù. Il Vangelo, lieta notizia rivolta a tutta l umanità, è proclamato sin dall aurora della
storia dell umanità stessa (cf. Gen 3,15).
8. Ancora oggi questo Vangelo viene proclamato in tutta la terra. Non possiamo quindi lasciarci
intimidire dalle diverse forme di negazione del Dio vivente che cercano, più o meno scopertamente,
di minare la speranza cristiana a farne una parodia o a deriderla. Lo confessiamo nella gioia dello
Spirito: Cristo è veramente risorto . Nella sua umanità glorificata, ha aperto l orizzonte della vita
eterna a tutti gli uomini che si convertono.
L orrore del terrorismo
9. La nostra assemblea, in comunione con il santo padre, ha espresso la sua più viva sofferenza per le
vittime degli attentati dell 11 settembre e per le loro famiglie. Preghiamo per loro e per tutte le
vittime del terrorismo nel mondo. Condanniamo in maniera assoluta il terrorismo, che nulla può
giustificare.
Situazioni di violenza
10. D altronde, non abbiamo potuto non ascoltare, nel corso del sinodo, l eco di tanti altri drammi
collettivi. È anche urgente tenere presenti le strutture di peccato di cui ha parlato papa Giovanni
Paolo II, se vogliamo tracciare nuove vie per il mondo. Secondo osservatori competenti
dell economia mondiale, l 80% della popolazione del pianeta vive con il 20% delle sue risorse e un
miliardo e duecento milioni di persone sono costrette a vivere con meno di un dollaro al giorno.
S impone un cambiamento di ordine morale: la dottrina sociale della Chiesa assume oggi
un importanza che non può essere esagerata. Noi vescovi c impegniamo a farla conoscere meglio
nelle nostre Chiese particolari.
11. Alcuni mali endemici, troppo a lungo sottovalutati, possono portare alla disperazione intere
popolazioni. Come tacere di fronte al dramma persistente della fame e della povertà estrema, in
un epoca in cui l umanità ha a disposizione come non mai gli strumenti per un equa condivisione?
Non possiamo non esprimere la nostra solidarietà con la massa dei rifugiati e degli immigrati che, a
causa di guerre, in conseguenza di oppressione politica o di discriminazione economica, sono
costretti ad abbandonare la propria terra, alla ricerca di un lavoro e nella speranza della pace. I
disastri causati dalla malaria, l aumento dell AIDS, l analfabetismo, la mancanza di futuro per tanti
bambini e giovani abbandonati su una strada, lo sfruttamento delle donne, la pornografia,
l intolleranza e lo sfruttamento inaccettabile della religione per scopi violenti, il traffico di droga e il
commercio di armi... Il catalogo non è completo! E tuttavia, pur in mezzo a tutte queste difficoltà,
gli umili rialzano la testa. Il Signore li guarda e li sostiene: Per l oppressione dei miseri e il gemito
dei poveri io sorgerò, dice il Signore (Sal 12,6).
12. Ciò che, forse, sconvolge maggiormente il nostro cuore di pastori è il disprezzo della vita dal suo
concepimento al suo termine, e la disgregazione della famiglia. Il no della Chiesa all aborto e
all eutanasia è un sìalla vita, un sì alla bontà originaria della creazione, un sì che può raggiungere
ogni essere umano nel santuario della sua coscienza, un sì alla famiglia, prima cellula di speranza
nella quale Dio si compiace sino a chiamarla a diventare Chiesa domestica .
Artefici di una civiltà dell amore
13. Ringraziamo di tutto cuore i sacerdoti, i religiosi e le religiose come anche tutti i missionari:
spinti dalla speranza che proviene da Dio e che si è rivelata in Gesù di Nazaret, s impegnano a
servizio dei deboli e dei malati e proclamano il Vangelo della vita. Ammiriamo la generosità di tanti
uomini e donne che si sacrificano per le cause umanitarie, come la tenacia degli animatori delle
istituzioni internazionali; il coraggio di quei giornalisti che, non senza rischi, svolgono un opera di
verità al servizio dell opinione pubblica; l attività degli uomini di scienza, dei medici e dei
paramedici, l audacia di alcuni imprenditori nel creare lavoro in zone difficili; la dedizione dei
genitori, degli educatori e degli insegnanti, come anche la creatività degli artisti e di tanti altri
operatori di pace che cercano di salvare vite, ricostruire la famiglia, promuovere la dignità della
donna, far crescere i bambini e preservare o arricchire il patrimonio culturale dell umanità. In tutti
loro, lo crediamo, lavora invisibilmente la grazia (Gaudium et spes, n. 22; EV 1/1389).
III. Il vescovo servitore
del Vangelo della speranza
Una chiamata alla santità
14. Il concilio Vaticano II ha fatto risuonare una chiamata universale alla santità. Per i vescovi, essa
si realizza nell esercizio stesso del loro ministero apostolico, con l umiltà e la forza del buon
pastore. Una forma molto attuale di santità, di cui il mondo ha bisogno, è l apertura a tutti che è
tratto distintivo del vescovo, nella pazienza e nel coraggio di rendere ragione della speranza (1Pt
3,15). Per dialogare nella verità con le persone che non condividono la stessa fede, occorre che la
comunione sia semplice e sincera anzitutto nella Chiesa, in modo che tutti, qualunque sia il loro
compito in seno a essa, conservino l unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace (Ef 4,3).
Lottare contro la povertà con un cuore di povero
15. Esiste una povertà alienante, e occorre lottare per liberare coloro che la subiscono; ma può
esistere una povertà che libera le energie per l amore e il servizio, ed è questa povertà evangelica che
noi vogliamo mettere in pratica. Poveri di fronte al Padre, come Gesù nella sua preghiera, nei suoi
gesti e nelle sue parole. Poveri con Maria, facendo memoria delle meraviglie di Dio. Poveri davanti
agli uomini, attraverso uno stile di vita che attiri verso la persona del Signore Gesù. Il vescovo è il
padre e il fratello dei poveri; non deve esitare, quando è necessario, a farsi voce di quanti sono senza
voce perché i loro diritti vengano riconosciuti e rispettati. In particolare, deve fare in modo che i
poveri si sentano, in ogni comunità cristiana, come a casa loro (Novo millennio ineunte, n.
50; Regno-doc. 3,2001,83). È così che, rivolti insieme al nostro mondo in un grande slancio
missionario, potremo annunciare la gioia degli umili e di quanti hanno il cuore puro, la forza del
perdono, la speranza che quanti hanno fame e sete di giustizia saranno infine saziati da Dio.
Comunione e collegialità
16. Il termine comunione (koinonia) appartiene alla tradizione cristiana indivisa d Oriente e
d Occidente. Esso riceve tutta la sua forza dalla fede in Dio Padre, Figlio e Spirito. Il mistero delle
relazioni d unità e d amore all interno della santa Trinità è all origine della comunione nella Chiesa.
Al servizio della comunione, la collegialità si riferisce al collegio degli apostoli e dei loro
successori, i vescovi, strettamente uniti tra di loro e con il papa, successore di Pietro. Insieme,
sempre e dovunque, essi insegnano con un carisma certo di verità (s. Ireneo,Adversus haereses IV,
26, 2) l identica fede e la proclamano ai popoli della terra (cf. Dei Verbum, n. 8). Comunione e
collegialità, vissute in pienezza, contribuiscono anche all equilibrio umano e spirituale del vescovo;
favoriscono il gioioso irradiarsi della speranza delle comunità cristiane e il loro entusiasmo
missionario.
Un combattimento spirituale
17. Il concilio Vaticano II, questa grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo
ventesimo , resta come una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre (Novo
millennio ineunte, n. 57; Regno-doc. 3,2001,85). Solo rimanendo fedeli ai suoi insegnamenti sulla
Chiesa, sacramento di unità, potremo servire il Vangelo di Cristo, su tutta la faccia della terra, per la
speranza del mondo. L amore per l unità non va confuso con l indifferenza alle correnti contrarie a
quella verità che brilla sul Volto di Cristo: Ecce homo (Gv 19,5). Un tale amore guiderà il pastore -
quale sentinella e profeta - a mettere in guardia il suo popolo dalle distorsioni che minacciano la
purezza della speranza cristiana. Lo guiderà a opporsi a ogni slogan o atteggiamento che, rendendo
vana la Croce di Cristo (1Cor 1,17), miri al tempo stesso a nascondere l autentico volto dell uomo e
la sua sublime vocazione di creatura chiamata a condividere la vita divina.
Andate dunque... (Mt 28,19)
18. Presiedendo quotidianamente l eucaristia per il suo popolo, il vescovo si unisce al Cristo
crocifisso e risorto, rinnovando in se stesso il gesto di Gesù: Dare la propria carne per la vita del
mondo (Gv 6,51). Nel corso di questo sinodo, ci siamo rinfrancati in questo ministero che consiste
nell annunciare a tutti il disegno di salvezza di Dio, nel celebrare la sua misericordia partecipandola
attraverso i sacramenti della vita nuova, nell insegnare la sua legge d amore testimoniando la sua
presenza tutti i giorni, sino alla fine del mondo (Mt 28,20). Andate dunque... : questo invio
missionario è rivolto a tutti i battezzati, sacerdoti, diaconi, consacrati, laici. Attraverso di loro,
raggiunge tutta la creazione (Mc 16,15).
Tessitori di unità
Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione (Novo millennio ineunte, n. 43; Regno-
doc. 3,200182) attraverso l accoglienza di tutti, la lectio divina, la liturgia, la diaconia e la
testimonianza: questa è la sfida spirituale e pedagogica che condurrà il vescovo a nutrire la fede di
alcuni, risvegliare quella di altri, annunciarla a tutti con sicurezza. Sosterrà incessantemente il
fervore delle parrocchie e le spronerà, con i sacerdoti che le guidano, nello slancio missionario.
Movimenti, piccole comunità, servizi di formazione o di carità che costituiscono il tessuto della vita
cristiana, godranno della sua vigilanza e attenzione. Come un tessitore di unità, il vescovo, con i
sacerdoti e i diaconi, saprà discernere e sostenere tutti i carismi nella loro meravigliosa diversità. Li
farà convergere verso l unica missione della Chiesa: testimoniare, in mezzo al mondo, la beata
speranza che è in Gesù Cristo, nostro unico salvatore.
Padre, che tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch essi in noi una
cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17,21). Questa preghiera è insieme
imperativo che ci obbliga e forza che ci sostiene . Con il papa Giovanni Paolo II, esprimiamo la
nostra speranza che riprenda pienamente quello scambio di doni che ha arricchito la Chiesa del
primo millennio (Novo millennio ineunte, n. 48; Regno-doc.3,2001,83). L impegno irrevocabile del
concilio Vaticano II per la piena comunione tra i cristiani, chiama il vescovo a dedicarsi con amore
al dialogo ecumenico e a formare i fedeli alla sua giusta comprensione. Siamo convinti che lo Spirito
Santo in questo inizio del terzo millennio opera nel cuore di tutti i fedeli di Cristo in vista di tale
unità, grande segno di speranza per il mondo.
Ministri del mistero
21. Il sinodo sente il dovere di esprimere il grazie caloroso dei vescovi a tutti i sacerdoti, loro
principali collaboratori nella missione apostolica. Servire il Vangelo della speranza significa
suscitare un rinnovamento del fervore perché la chiamata di Dio a lavorare nella sua vigna sia
ascoltata. Grazie alla fiducia e all amicizia cordiale con i suoi sacerdoti, il vescovo rafforzerà la stima
per il loro ministero, spesso non riconosciuto in una società tentata dalle idolatrie dell avere, del
piacere e del potere. Ministero apostolico e mistero della speranza sono indissociabili. Dare priorità
a questa chiamata e alla preghiera per chiedere pastori secondo il cuore di Dio non significa
sottovalutare le altre vocazioni: al contrario, rende possibile la loro crescita e la loro fecondità. I
diaconi permanenti, che ricordano a tutti i membri della Chiesa che sono chiamati a imitare il
Cristo servo, accolgano ugualmente l espressione del nostro sostegno e del nostro incoraggiamento.
La vita consacrata
22. La nostra riconoscenza va, inoltre, a tutte le persone consacrate, dedite alla contemplazione e
all apostolato. Testimoni privilegiati della speranza nel Regno che viene, la loro presenza e la loro
attività permettono spesso al nostro ministero apostolico di raggiungere le persone che si trovano ai
confini più lontani delle nostre diocesi, là dove, senza di essi, Cristo non sarebbe conosciuto.
Attraverso la loro fedeltà allo spirito dei fondatori e la radicalità delle loro scelte, essi sono, in
rapporto al Vangelo, ciò che una partitura cantata è nei confronti dei una partitura scritta (s.
Francesco di Sales, Lettera CCXXIX, 6.10.1604: Oeuvres XII, Annecy, Dom Henry Benedict Mackey
osb, 1892-1932, s. 299-325).
La missione dei laici
23. I laici ritrovano nel nostro tempo il ruolo che spetta loro nell animazione delle comunità
cristiane, nella catechesi, nella vita liturgica, nella formazione teologica e nel servizio della carità.
Ringraziamo e vivamente incoraggiamo i catechisti, le donne e gli uomini che, secondo le loro
diverse capacità, consacrano tante energie a questo lavoro, in comunione con i sacerdoti e i diaconi.
Sentiamo il dovere di rendere grazie, in modo particolare, per la testimonianza di amore di tutti
coloro che offrono la loro malattia o le loro sofferenze, insieme a Gesù e a Maria ai piedi della
Croce, per la salvezza del mondo.
24. I vescovi, da parte loro, desiderano promuovere la vocazione originaria dei laici, che consiste nel
testimoniare il Vangelo al mondo. Attraverso il loro impegno familiare, sociale, culturale, politico e
il loro inserimento nel cuore delle realtà che il papa Giovanni Paolo II ha definito i moderni
areopaghi , in particolare nell universo dei media e per la salvaguardia della creazione (Redemptoris
missio, n. 37), continuano a colmare il fossato che separa la fede dalla cultura. Si riuniscano in un
apostolato organizzato per essere in prima linea della necessaria lotta per la giustizia e la solidarietà,
che ridonano speranza al mondo.
Teologia e inculturazione
25. Coscienti della magnifica diversità che rappresentiamo in questo sinodo, noi vescovi abbiamo
ripreso il tema maggiore dell inculturazione. Il nostro desiderio è di riconoscere i semi del Verbo
nella saggezza, nelle creazioni artistiche e religiose, nelle ricchezze spirituali dei popoli nel corso
della loro storia. L evoluzione delle scienze e delle tecniche, la rivoluzione dell informazione a livello
mondiale, tutto c impone di correre nuovamente l avventura della fede, con l energia, l audacia e la
lucidità che furono proprie dei padri della Chiesa, dei teologi, dei santi e dei pastori in tempi di
turbamento e di cambiamento come quelli che noi conosciamo.
26. L intera vita delle nostre comunità è segnata da questo lento lavoro di maturazione e di dialogo.
Ma per far risuonare la pura fede delle origini in modo fedele alla Tradizione con un linguaggio
nuovo e comprensibile, abbiamo bisogno della collaborazione di teologi esperti. Nutriti dal sentire
cum Ecclesia che ha ispirato i loro grandi predecessori, anch essi ci aiuteranno ad essere servitori del
Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo proseguendo con letizia, prudenza e lealtà il
dialogo interreligioso nello spirito dell incontro di Assisi nel 1986.
IV. Conclusione
Volgiamo il nostro sguardo verso di voi, fratelli e sorelle nell umanità, che cercate una terra di
giustizia, d amore, di verità e di pace. Possa questo messaggio sostenervi nel cammino.
Ai responsabili della politica e dell economia
27. I padri del concilio Vaticano II, nel loro messaggio ai governanti, avevano osato dire: Nella
vostra città terrena e temporale, Dio costruisce la città eterna . Proprio per questo, ben coscienti dei
nostri limiti e del nostro ruolo di vescovi, senza alcuna pretesa di avere un potere politico, osiamo, a
nostra volta, indirizzarci ai responsabili del mondo politico ed economico. Il bene comune delle
persone e dei popoli sia il motivo della vostra attività. Non è estraneo alle vostre responsabilità
accordarvi, il più largamente possibile, per fare opera di giustizia e di pace. Vi chiediamo di
rivolgere la vostra attenzione a quelle zone del mondo che non fanno notizia nei giornali o nelle
televisioni, in cui i fratelli in umanità muoiono sia per causa della fame, sia per la mancanza di
medicinali. Il perdurare di gravi disparità tra i popoli minaccia la pace. Come il papa vi ha
espressamente domandato, sciogliete il peso del debito estero dei paesi in via di sviluppo. Difendete
sempre i diritti dell uomo, soprattutto quello della libertà religiosa. Con rispetto e fiducia, vi
preghiamo di ricordare che il potere non ha altro senso che il servizio di quella parte di umanità
affidata alla persona che assume questo incarico, senza dimenticare il bene generale.
Ai giovani
28. Voi, giovani, siete le sentinelle del mattino . Il papa Giovanni Paolo II vi ha dato questo nome.
Cosa vi chiede il Signore della storia al fine di costruire una civiltà dell amore? Voi possedete un
senso penetrante delle esigenze dell onestà e della trasparenza; non volete lasciarvi arruolare nelle
campagne per la divisione etnica, né lasciarvi vincere dalla cancrena della corruzione. Come
essere insieme discepoli di Gesù e attualizzare il suo messaggio proclamato sul monte delle
beatitudini? Questo messaggio non rende evanescenti i dieci comandamenti inscritti sulle tavole di
carne dei vostri cuori; anzi, dà loro nuova vita, uno splendore che irradia, ed è capace di far volgere i
cuori alla Verità che libera. È un messaggio che dice a ciascuno di voi: Ama Dio con tutto il cuore,
con tutta l anima, con tutta la forza e con tutto lo spirito, e il tuo prossimo come te stesso (Lc 10,
27). Siate uniti ai vostri vescovi e ai vostri sacerdoti, testimoni pubblici della Verità, Gesù Cristo
nostro Signore.
29. Appello per Gerusalemme.
Ci rivolgiamo infine a te, Gerusalemme,
città nella quale Dio si è manifestato nella storia:
preghiamo per la tua felicità!
Possano tutti i figli di Abramo incontrarsi di nuovo presso di te
nel rispetto dei loro rispettivi diritti.
Possa tu restare, per tutti i popoli della terra,
un simbolo inesauribile di speranza e di pace.
30. Spes nostra, salve!
Maria santissima, madre di Cristo, tu sei la Madre della Chiesa,
la Madre dei viventi. Tu sei la Madre della speranza.
Noi sappiamo che tu ci accompagni sempre sul cammino della storia.
Intercedi per tutti i popoli della terra perché possano trovare,
nella giustizia, il perdono e la pace,
la forza di amarsi come membri di un unica famiglia!