Cappadoci

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1 Questione trinitaria: da Nicea (325) a Costantinopoli (381). 1. Sviluppi dottrinali nei secoli III e IV Tra la fine del III secolo e l‟inizio del IV, la dottrina del Logos appare dominante in Egitto e ben rappresentata in area siropalestinese e in Asia Minore. La posizione di Origene è ben nota. In funzione anti-monarchiana/modalista, lo scrittore alessandrino caratterizza Padre Figlio (Logos) e Spirito Santo come tre ipostasi (hypostaseis), cioè tre entità divine individuali sussistenti, disposte in ordine verticale, cioè digradante, di perfezione: il Logos è subordinato al Padre, lo Spirito Santo al Logos. L‟unità di Dio che Origene considera in relazione soltanto al Padre e al Figlio, si realizza su base dinamica: il Padre e il Figlio sono due quanto all‟ipostasi ma una cosa sola (Gv 10,30) quanto all‟armonia, alla volontà 1 . Intorno al 320 il presbitero alessandrino Ario, antico discepolo di Luciano di Antiochia, comincia a diffondere una sua interpretazione della dottrina delle tre ipostasi di stampo fortemente subordinazionista: il Logos Figlio di Dio non solo è altro rispetto a Dio Padre quanto all‟ipostasi, come recitava la formula delle tre ipostasi, ma è anche estraneo, rispetto a lui, per natura e sostanza: creato direttamente da lui prima dei tempi per presiedere alla creazione, interviene, per volere del Padre, per creare tutti gli esseri che costituiscono l‟universo mondo. Questo radicale subordinazionismo, che accosta il Figlio di Dio più alla creazione che a Dio Padre, è considerato inaccettabile da Alessandro, il vescovo di Alessandria, e Ario viene condannato e costretto ad allontanarsi dalla città. Ma trova appoggi fuori dell‟Egitto, e di fronte al dilatarsi del contrasto, Costantino convoca a Nicea, in Asia Minore, un concilio (325), il primo ecumenico perché vi convengono vescovi da tutto lOriente, tra centocinquanta e duecento; pochissimi, per altro, vengono dallOccidente. La presenza dellimperatore dà al concilio il massimo di ufficialità, e le sue decisioni assumono autorità di legge. Gli esponenti della dottrina del Logos sono la maggioranza, ma divisi tra i radicali, che sono dalla parte di Ario, e i moderati, che appoggiano Alessandro. Quest‟ultimo pertanto, per poter prevalere, fa fronte comune con i monarchiani presenti, tra cui emerge Eustazio di Antiochia e Marcello di Ancira. Ario è condannato, deposto ed esiliato nell Illirico insieme con pochissimi che gli sono fedeli fino allultimo, mentre i suoi sostenitori più influenti, Eusebio di Nicomedia ed Eusebio di Cesarea si uniformano alla volontà di 1 Origene, Contr. Cels. 8,12.

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Patristica

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Questione trinitaria:

da Nicea (325) a Costantinopoli (381).

1. Sviluppi dottrinali nei secoli III e IV

Tra la fine del III secolo e l‟inizio del IV, la dottrina del Logos appare dominante

in Egitto e ben rappresentata in area siropalestinese e in Asia Minore. La posizione di

Origene è ben nota. In funzione anti-monarchiana/modalista, lo scrittore alessandrino

caratterizza Padre Figlio (Logos) e Spirito Santo come tre ipostasi (hypostaseis), cioè tre

entità divine individuali sussistenti, disposte in ordine verticale, cioè digradante, di

perfezione: il Logos è subordinato al Padre, lo Spirito Santo al Logos. L‟unità di Dio

che Origene considera in relazione soltanto al Padre e al Figlio, si realizza su base

dinamica: il Padre e il Figlio sono due quanto all‟ipostasi ma una cosa sola (Gv 10,30)

quanto all‟armonia, alla volontà1.

Intorno al 320 il presbitero alessandrino Ario, antico discepolo di Luciano di

Antiochia, comincia a diffondere una sua interpretazione della dottrina delle tre ipostasi

di stampo fortemente subordinazionista: il Logos Figlio di Dio non solo è altro rispetto

a Dio Padre quanto all‟ipostasi, come recitava la formula delle tre ipostasi, ma è anche

estraneo, rispetto a lui, per natura e sostanza: creato direttamente da lui prima dei tempi

per presiedere alla creazione, interviene, per volere del Padre, per creare tutti gli esseri

che costituiscono l‟universo mondo. Questo radicale subordinazionismo, che accosta il

Figlio di Dio più alla creazione che a Dio Padre, è considerato inaccettabile da

Alessandro, il vescovo di Alessandria, e Ario viene condannato e costretto ad

allontanarsi dalla città. Ma trova appoggi fuori dell‟Egitto, e di fronte al dilatarsi del

contrasto, Costantino convoca a Nicea, in Asia Minore, un concilio (325), il primo

ecumenico perché vi convengono vescovi da tutto l‟Oriente, tra centocinquanta e

duecento; pochissimi, per altro, vengono dall‟Occidente. La presenza dell‟imperatore dà

al concilio il massimo di ufficialità, e le sue decisioni assumono autorità di legge. Gli

esponenti della dottrina del Logos sono la maggioranza, ma divisi tra i radicali, che sono

dalla parte di Ario, e i moderati, che appoggiano Alessandro. Quest‟ultimo pertanto, per

poter prevalere, fa fronte comune con i monarchiani presenti, tra cui emerge Eustazio di

Antiochia e Marcello di Ancira. Ario è condannato, deposto ed esiliato nell‟Illirico

insieme con pochissimi che gli sono fedeli fino all‟ultimo, mentre i suoi sostenitori più

influenti, Eusebio di Nicomedia ed Eusebio di Cesarea si uniformano alla volontà di

1 Origene, Contr. Cels. 8,12.

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Costantino, che per sanzionare la sconfitta di Ario impone la sottoscrizione di una for-

mula di fede, il simbolo, o credo, di Nicea. Nella stesura di questo testo i monarchiani,

decisivi ai fini dell‟esito del concilio, fanno valere la loro forza e impongono sia la

formulazione che il Figlio è homoousios (della stessa sostanza, consostanziale) col Pa-

dre, sia l‟identificazione di ousia con ipostasi. Ousia (essenza, sostanza) è termine di

significato ambiguo, perché può indicare sia una entità individuale (prima ousia) alla

pari di ipostasi – per esempio un singolo cavallo - sia un intero genere di individui

(seconda ousia) - per esempio, tutto il genere dei cavalli -. Lo stesso Dionigi di

Alessandria intende il termine homoousios in questo senso generico, ma nel simbolo

niceno l‟uguaglianza ousia/ipostasi impone di dare a homoousios significato

individuale: il Figlio partecipa della stessa ousia, cioè della stessa ipostasi, del Padre.

È una formulazione inaccettabile da parte degli assertori delle tre ipostasi trinitarie:

essi sono costretti a sottoscrivere la formula di fede perché questa è la volontà di

Costantino, ma le attribuiscono significato monarchiano. Perciò molti di loro sono

convinti che il prezzo che si è dovuto pagare per ottenere la condanna di Ario sia stato

troppo alto.

Costantino constata subito, forse anche per pressione di alcuni suoi familiari, che

il concilio si è spinto troppo oltre in senso antiariano, e alcune intemperanze di

vescovi, che si sono dimostrati particolarmente ostili nei confronti di Ario ed Eustazio,

lo confermano in questa convinzione. Si mostra pertanto favorevole a un rieqilibrio

della situazione politico-religiosa, che comporta una reazione in senso antiniceno. La

reazione, iniziata subito dopo la chiusura del concilio, si svolge, tra il 326 il 360, in tre

distinte fasi, tutte e tre determinate da mutamenti nella situazione politica, a conferma

del significato decisivo che la volontà del principe ha ormai assunto anche quanto a

decisioni di carattere dottrinale.

Nella prima fase, che si prolunga fino alla morte di Costantino (337), l'imperatore

non permette che si riapra il contenzioso dottrinale, ma non si oppone a che gli

esponenti antiniceni, capeggiati dai due Eusebio, estromettano, mediante una serie di

concili locali e sotto varie accuse, i principali avversari di Ario: insieme con molti altri

vengono deposti ed esiliati Eustazio di Antiochia (326), Atanasio di Alessandria

(335), che nel 327 è succeduto ad Alessandro, Marcello di Ancira (336). Quest‟ultimo

è condannato in quanto monarchiano radicale, contro gli altri vengono avanzate accuse

di carattere disciplinare. Ario stesso, a seguito della presentazione di una generica

formula di fede, è riammesso nella comunione ecclesiale (335), ma muore subito dopo.

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La morte di Costantino (337) dà inizio alla seconda fase della reazione antinicena.

Infatti, a conclusione di una serie di fatti sanguinosi che portano allo sterminio di quasi

tutti i familiari di Costantino, i due figli superstiti, Costante e Costanzo, si dividono tra

loro l‟Impero, che pure rimane giuridicamente e amministrativamente unitario: Co-

stanzo assume il governo dell‟Oriente, Costante dell‟Occidente. Questa nuova siste-

mazione politica consente ad Atanasio, Marcello e altri esuli - che, tornati dall‟esilio

alla morte di Costantino, sono stati nuovamente scacciati dalle loro sedi - di rifugiarsi in

Occidente, dato che l‟orientamento del vescovo di Roma, capace di condizionare

l‟atteggiamento di tutto l‟Occidente, è loro favorevole. In effetti, come abbiamo già

rilevato, la posizione dottrinale della Chiesa di Roma è ostile alla dottrina delle ipostasi,

ormai dominante in Oriente; dato quest‟orientamento di massima, non è difficile a

Marcello e ad Atanasio convincere il vescovo di Roma, Giulio, che i loro avversari sono

antiniceni in quanto ariani.

L‟assimilazione degli antiniceni ai veri e propri ariani appare piuttosto forzata,

dato che gran parte dei vescovi antiniceni è anche antiariana, e la visione distorta della

situazione orientale, di cui Marcello e Atanasio convincono papa Giulio, pesa in modo

decisivo su tutto il prosieguo degli eventi. Un concilio di vescovi occidentali, tenuto a

Roma (341), assolve Marcello e Atanasio dalle condanne inflitte loro in Oriente; ma i

vescovi orientali, riuniti ad Antiochia (341), respingono l‟accusa, mossa contro di loro,

di essere ariani, rifiutano di accettare l‟assoluzione di Marcello e Atanasio, e

propongono una formula di fede (seconda formula di Antiochia) irreprensibilmente

ortodossa, che condanna le principali proposizioni ariane, ma tace sull‟homoousios e

propone nuovamente una dottrina, di stampo origeniano, impostata sulla distinzione di

tre ipostasi trinitarie, unificate in un solo Dio dalla comune volontà e operazione.

Dato questo dissidio, per iniziativa dell‟imperatore Costante, si convoca un nuovo

concilio ecumenico (343) a Serdica (odierna Sofia, in Bulgaria), vicino al confine con

la parte orientale dell'Impero. Dato che gli occidentali considerano riabilitati Marcello e

Atanasio e li vogliono presenti ai lavori, mentre gli orientali sono contrari, non si trova

accordo per una riunione congiunta dei vescovi occidentali e orientali: questi ultimi si

allontanano subito, si fermano a Filippopoli, nella parte orientale, riaffermano la validità

della recente professione di fede antiochena, un po‟ ridotta di dimensioni, e condannano

i capiparte dell‟episcopato occidentale; dal canto loro gli occidentali si riuniscono a

Serdica da soli, condannano i capiparte orientali e pubblicano una lunga formula, in cui

professano la loro fede in una sola ousia e ipostasi del Padre e del Figlio. Per la prima

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volta, nel corso della storia, le cristianità d‟Oriente e d‟Occidente sono ufficialmente

divise l‟una dall‟altra dalla solenne condanna conciliare. Alcune aperture successive

degli orientali presso Giulio e Costante non sortiscono alcun risultato positivo. Co-

munque Costanzo nel 346, alla morte di Gregorio il Cappadoce (il vescovo filoariano

che è stato istallato con la forza ad Alessandria nel 339), autorizza Atanasio a rientrare

in sede. È un‟iniziativa del tutto personale, perché la condanna che il concilio di Tiro ha

inflitto ad Atanasio nel 335 non viene revocata: perciò la sua situazione permane

incerta. Tuttavia egli può rientrare ad Alessandria.

La terza fase ha inizio nel 350 quando, soppresso Costante da un pronunciamento

militare e sconfitto l‟usurpatore Magnenzio, Costanzo riunisce tutto l‟Impero nelle sue

mani, e subito pensa ad unificarlo anche sotto l‟aspetto religioso sulla base di una

formula compromissoria che escluda, da una parte il nicenismo, dall‟altra l‟arianesimo

radicale. In un primo momento egli solleva di nuovo la questione di Atanasio: lo fa

espellere da Alessandria e sostituire dall‟ariano Giorgio e nei concili di Arles (353),

Milano (355) e Béziers (356) costringe a sottoscriverne la condanna l‟episcopato

occidentale, riluttante ma non disposto a eroismi; pochi, che rifiutano, sono deposti ed

esiliati (Eusebio di Vercelli, Lucifero di Cagliari, Ilario di Poitiers); anche il vescovo di

Roma, Liberio, esiliato in Tracia, finisce per sottoscrivere. In un secondo momento,

tramite i vescovi filoariani Valente di Mursa (Osijek, Croazia) e Ursacio di Singidunum

(Belgrado), passa all‟aspetto dottrinale della questione, ma la formula che viene pub-

blicata a Sirmio (Szerém, Serbia) nel 357, pur non formalmente ariana, è di tono

talmente subordinazionista da sollevare opposizione in Oriente e Occidente.

In Oriente Basilio di Ancira e Giorgio di Laodicea presentano una nuova

formula compromissoria sul concetto di homoios kat’ousian (homoiousios, simile

secondo la sostanza, donde il nome di omeousiani con cui vengono designati i suoi

sostenitori), che sembra escludere insieme l‟arianesimo e il nicenismo. In un convulso

susseguirsi di veri e propri colpi di scena si giunge, per volere di Costanzo, a un nuovo

concilio ecumenico, diviso in due sedi, gli occidentali a Rimini, gli orientali a Seleucia,

detta l‟Aspra, in Isauria (Asia Minore). I concili si svolgono a Rimini, tra l‟estate e la

fine del 359, e a Seleucia, in autunno: le maggioranze, nicena a Rimini e omeousiana a

Seleucia, sono costrette, per diretta azione di Cosanzo, a sottoscrivere una formula di

fede, sanzionata dall‟immediatamente successivo concilio di Costantinopoli (360), che

definisce Cristo Figlio di Dio homoíos, simile al Padre secondo le Scritture. La formula

è sufficientemente generica per poter essere interpretata in ogni senso, ma di fatto è

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recepita come di tendenza filoariana. Perciò, quando di lì a poco (362) Costanzo muore

e l‟Impero passa nelle mani del cugino Giuliano - che, pagano qual è, si disinteressa

della questione - le parti sconfitte tornano ad alzare la testa.

In Occidente il quadro politico-religioso si semplifica, almeno in parte. Siamo

infatti in presenza di una cospicua maggioranza nicena e di una consistente minoranza

ariana, forte soprattutto nell‟Illirico e in Pannonia, sì che la politica di neutralità,

inaugurata dall‟imperatore Valentiniano favorisce di fatto i niceni. Sotto la guida prima

di Ilario di Poitiers ed Eusebio di Vercelli, successivamente di Ambrogio di Milano e

di Damaso di Roma, gradualmente essi si impongono sulle posizioni ariane, che verso il

380 sono ridotte a poche città dell‟llirico.

In Oriente, invece, il panorama dottrinale appare più variegato: niceni,

omeousiani, sostenitori dell‟homoios sottoscritto a Rimini e Costantiopoli (omei), ariani

radicali. Nel concilio d’Alessandria del 362 Atanasio rilancia l‟homoousios niceno, che

Melezio di Antiochia, già di simpatie omee, accetta interpretandolo come homoios

kat'ousian, mentre gli ariani radicali, sotto la guida di Eunomio, prendono le distanze

dagli omei. Inoltre, estesosi il dibattito dottrinale anche allo Spirito Santo, la diversità di

opinioni fraziona ancora di più il quadro dottrinale. Di fronte a questa confusa

situazione l‟imperatore Valente, cui il fratello Valentiniano ha affidato la parte orientale

dell‟impero, consigliato dal vescovo di Costantinopoli, Eudossio, un omeo di evidenti

simpatie ariane, riprende la politica centrista di Costanzo, ma con modesto successo.

Soltanto nel 370, quando Basilio diventa vescovo di Cesarea di Cappadocia, la

crisi si avvia a soluzione anche in Oriente. Infatti Basilio svolge una capillare azione

politica tesa a riunire in un fronte unitario gli antiariani di ascendenza omeousiana e

omea sulla base di una formula dottrinale, anch‟essa compromissoria, ma di forte

spessore dottrinale: Padre Figlio e Spirito Santo sono tre quanto all‟ipostasi (persona)

ma un solo Dio quanto alla ousia (sostanza, essenza, natura). Eliminato ogni residuo

subordinazionista, le tre ipostasi sono collocate su un perfetto piano di uguaglianza

quanto a sostanza potenza dignità. Questa formulazione, poiché interpreta l’homoousios

niceno dando a ousia significato non individuale ma generico e perciò distinguendo

l‟ousia unica di Dio dalle tre ipostasi individuali (neonicenismo), era molto lontana dal

nicenismo tradizionale, fondato sull‟assimilazione di ousia a ipostasi, per cui afferma

una sola ousia e una sola ipostasi della Trinità (veteronicenismo): la formula basiliana

dunque emargina, oltre agli ariani radicali, in senso opposto anche i niceni tradizio-

nalisti.

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Basilio muore nel 379, prima di veder coronata la sua opera, ma, succeduto

Teodosio a Valente, ucciso dai Goti nella battaglia di Adrianopoli, il concilio di Co-

stantinopoli del 381, da lui voluto e approvato, sanziona il successo dell‟azione politica

e dottrinale di Basilio: viene infatti riconfermata la validità del simbolo niceno del 325,

che professa il Figlio homoousios col Padre, integrato da una parte finale riguardante lo

Spirito Santo, e l‟homoousios è interpretato in base alla formula «una ousia, tre

ipostasi». Questa formulazione s‟impone anche in Occidente (una natura divina in tre

persone), dove il concilio di Aquileia (381) liquida le ultime reliquie dell‟arianesimo

nell‟Illirico. Resta in piedi un contenzioso di carattere politico, alimentato soprattutto

dallo scisma di Antiochia, e l‟arianesimo, che il goto cristiano Wulfila diffonde tra i

Goti e altre popolazioni barbariche, tra non molto ritornerà vitale in Occidente, ma l‟a-

spetto dottrinale della vicenda non sarà più modificato, e il dogma trinitario è

definitivamente sanzionato dalla formula basiliana.

2. L’elaborazione dottrinale di Basilio e degli altri Cappadoci

Nel 362, Atanasio, appena rientrato dal suo terzo esilio, convoca ad Alessandria

un sinodo importante, al quale prendono parte circa 20 vescovi, in maggioranza

egiziani. Le decisioni adottate dal concilio ci sono note grazie al Tomus ad Antiochenos,

una lettera sinodale, indirizzata dai padri sinodali ad Eusebio, Lucifero, Asterio,

Cimazio e Anatolio. Il testo autorizza l‟utilizzo in ambito trinitario di formule differenti:

una ipostasi o tre ipostasi. Il termine “ipostasi” è qui inteso sia nel senso di

sostanza/ousia sia come sinonimo di realtà sostanziale individuale. Nel primo caso si

può parlare di una sola ipostasi in Dio; nel secondo, invece, di tre ipostasi. E, in tale

accezione, il termine consustanziale sarebbe compatibile sia con l‟affermazione di una

sola ipostasi, sia con quella di tre ipostasi in Dio.

Atanasio, da parte sua, rimane fedele alla definizione di una sola ipostasi. Basilio

di Cesarea e gli altri Cappadoci operano invece una distinzione tra ipostasi e ousia, che

consente di giungere alla formulazione: una ousia e tre ipostasi (non prima del 375).

2.1. L’evoluzione dottrinale di Basilio

Basilio manifesta inizialmente una doppia reticenza, sia verso il consustanziale sia

verso la formula delle tre ipostasi. In effetti, nella lettera 361, databile al 359 o al 360-

362, manifesta forti perplessità circa l‟uso del termine consustanziale, al quale egli,

sulla base dell‟espressione «lumen de lumine» contenuta nel simbolo niceno, preferisce

la formula «simile secondo la sostanza ()», rivelando così la sua

appartenenza allo schieramento omeusiano. Egli avverte l‟insufficienza

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dell‟affermazione dell‟unità sostanziale, sospetta di sabellianismo, e sente l‟esigenza di

contemperarla con quella del «totalmente simile secondo la sostanza»2.

Nel Contro Eunomio, la sua prima opera dottrinale composta nel 363-364, egli

utilizza il termine «consustanziale» solo 5 volte e, di queste, solo una in ambito

trinitario. Nella lettera 52, scritta dopo il 370, egli si mostra ancora prudente, ma più

favorevole nei confronti del termine distintivo di Nicea. Ciò significa che nel frattempo

egli si è progressivamente convinto della necessità di difendere la natura divina del

Figlio e, pur invitando a usare con cautela il termine consustanziale, lo approva e ne

giustifica l‟utilizzo in campo teologico, onde evitare il pericolo del triteismo o del

modalismo. A tal proposito, egli mostra di aver maturato la convinzione che la retta fede

poggia sua due capisaldi indisgiungibili: il consustanziale e la dottrina delle tre ipostasi.

Per evitare da un lato il pericolo del sabellianismo, dall‟altro quella

dell‟anomeismo, il vescovo di Cesarea si fa interprete di una posizione che include le

due formule e propone una una nuova sintesi: «tre ipostasi consustanziali nell’unità

della divinità». In Oriente, il termine “ipostasi” non viene subito recepito come

sinonimo di “persona” (), perché per i greci „persona‟ fa riferimento alla

rappresentazione scenica o letteraria, e, quindi, alla maschera del personaggio teatrale.

Per i latini, invece, lo stesso termine è molto più pregnante, avendo assunto significato

giuridico, per cui comprendono le tre ipostasi come sinonimo di tre sussistenze.

Basilio, nella lettera 70, composta all‟inizio dell‟episcopato, nell‟estate del 371, si

mostra pienamente convinto della necessità di difendere la formulazione delle tre

ipostasi per equilibrare il consustanziale, dal momento che gli occidentali, e papa

Damaso in particolare, hanno inteso il termine ipostasi come sinonimo di sub-stantia e

non di sub-sistentia. In risposta a questa posizione unilaterale, egli ribadisce con

fermezza la necessità di confessare la dottrina delle tre ipostasi accanto alla

affermazione dell‟unità di sostanza in Dio3. Ma egli è altresì convinto che confessare le

tre ipostasi non sia sufficiente per arginare la deriva sabellianista, per cui nella lettera

214, databile al 376, egli intuisce la soluzione del problema, stabilendo che il rapporto

che sussiste tra sostanza e ipostasi è il medesimo che intercorre tra comune e

particolare. Ipostasi definisce ciò che è proprio della paternità, della filiazione e della

santificazione. Da questo punto di vista, le ipostasi del Padre e del Figlio sono

interpretate come «relazioni». Egli postula così il concetto delle tre persone sussistenti.

2 Lett. 9,3 (Yves Courtonne, Saint Basile, Lettres, t. I-III, Paris 1957,1961,1966; d‟ora in poi, Courtonne, I,39).

3 Cf. Lett. 210, 3-5 (Courtonne, II,192-196).

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In tal modo, egli giunge a identificare l‟identità di sostanza con il consustanziale,

e a sottolineare, al tempo stesso, la distinzione delle persone.

Nella lettera sinodale redatta da Amfilochio d’Iconio, dopo il sinodo tenuto in

questa città nell‟autunno del 377, si precisa che la retta fede si basa sia sulla dottrina

delle tre ipostasi sia sull‟affermazione dell‟unità di natura divina. In tale documento, per

la prima volta vengono espressamente equiparati i termini “ipostasi” e “persona”.

Infine, nella lettera 236, scritta nel 376, il Presule spiega all‟amico Amfilochio

che la differenza che intercorre tra sostanza/ousia e ipostasi è la stessa che sussiste tra il

comune e il particolare. Da ciò deriva che c‟è una sola sostanza nella divinità, ma tre

ipostasi che indicano le proprietà di ciascuna persona: paternità, filiazione e

santificazione. Unità e distinzione delle persone, aventi ciascuna delle proprietà

particolari, sono ormai chiaramente definite.

2.2. La formula di Basilio: «mia ousia - treis hypostaseis

()».

Basilio propone, dunque, una netta distinzione fra e . La sua

formula mia ousia - treis hypostaseis) si imporrà in

Oriente come soddisfacente soluzione del problema trinitario e sarà recepita al concilio

di Costantinopoli (381).

Il Vescovo cappadoce distingue in ambito trinitario fra una ousia divina, che è

comune al Padre e al Figlio, e le note individuanti che diversificano il Padre e il Figlio

in maniera da essere ciascuna una persona. Basilio afferma: «Ousia sta in rapporto a

hypostasis come il comune al particolare». La Lettera 38, che riflette la dottrina trinitaria dei

Cappadoci (sia di Gregorio di Nissa sia di Basilio), contiene i termini della questione.

In questo testo, interpretando il pensiero di Basilio, il Nisseno approfondisce in

senso filosofico il significato dei termini: spiega in senso aristotelico il come

genere e l' (o ) come individuo o segno individuante ().

Quando si dice «uomo» si indica ciò che è comune; quando si dice «un certo uomo» si

fa riferimento a un individuo particolare con i suoi tratti distintivi sia dal punto di vista

fisico sia dal punto di vista del carattere; si designa cioè quella specifica persona, unica

e irripetibile4. Si vanno così precisando i concetti basilari:

Ousia (esprime l‟elemento comune (), il sostrato

(), l'essenza e l'unità sostanziale in Dio; rappresenta quindi l'essere

4 Cf. Gregorio di Naz., Ep. 38,3

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sostanziale che il Figlio e lo Spirito Santo possiedono in comune con il Padre, indicando

ciò che v'è di comune tra loro: divinità, natura, sostanza.

Hypostasis () indica invece nella Trinità ciò ch‟è proprio, individuale,

specifico, quindi l‟esistenza distinta del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, la loro

particolare maniera di esistere, e corrisponde al concetto latino di persona.

Nella Trinità c‟è quindi un‟ousia (=sostanza, natura divina) articolata in tre

ipostasi distinte (=persone).

Più articolata è la riflessione di Gregorio Nazianzeno, il quale, nella sua

formulazione trinitaria, cerca di conciliare la posizione occidentale dell‟essenza una con

quella orientale delle tre ipostasi/persone:

«Quando io dico: Dio, venite inondati dal bagliore di una sola luce e di tre luci: tre

per ciò che concerne i caratteri propri () oppure le ipostasi - se così si vogliono

chiamare -, o le persone () (non disputiamo sui termini, visto che le sillabe ci

conducono al medesimo pensiero); una sola luce, per quel che si riferisce alla sostanza o

alla divinità. Infatti vi è qui divisione indivisa, per così dire, e congiunzione senza

separazione. Una è la divinità nei Tre (), e i Tre sono Uno

(): essi nei quali è la divinità, o, per esprimermi più chiaramente, essi che sono

la divinità»5.

Così concepita, la formula: una essenza divina in tre ipostasi, equidistante sia dal

divisionismo degli ariani (tre ipostasi e tre ousie della divinità digradanti ed eterogenee

tra loro) sia dall‟unitarismo dei monarchiani (una sola sostanza e una sola ipostasi della

Trinità)6, finirà per imporsi in Oriente come formula ortodossa.

2.2. Le proprietà delle singole persone divine. La formulazione dottrinale di Gregorio Nazianzeno e del Nisseno.

I Cappadoci hanno approfondito la dottrina delle tre ipostasi sotto il profilo della

Trinità immanente, e non semplicemente economica, intendendo con questo termine le

manifestazioni delle tre esistenze/persone divine nell‟opera creatrice, salvatrice e

santificatrice.

La riflessione è, iniziata da Basilio è portata avanti da Gregorio di Nazianzo e da

Gregorio di Nissa.

5 Gregorio di Nazianzo, Disc. 39, 11 (SC 358,170-173).

6 La formula risente dell‟influsso stoico e ricalca la terminologia trinitaria di Apollinare di Laodicea.

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Nell‟opera Contro Eunomio, Basilio afferma chiaramente che «il generato e

l‟ingenerato» non sono sostanze, ma «sono proprietà distintive

() considerate nella sostanza che guidano verso la nozione

chiara e distinta del Padre e del Figlio»1. Quindi, chiarisce che cosa intende per

proprietà:

«Le proprietà infatti, come se fossero caratteristiche e forme considerate nella

sostanza, distinguono ciò che è comune grazie alle caratteristiche particolari, ma non

scindono l‟uguaglianza di natura della sostanza. Ad esempio, è comune la divinità, ma sono

proprietà la paternità e la filiazione»7.

Per proprietà si dovrebbe intendere la bontà, la giustizia, la santità; ma l‟autore

include anche la paternità e la filiazione, identificando di fatto il termine con il concetto

di relazione. Ne consegue che le ipostasi divine si distinguono unicamente per le loro

proprietà relative.

In continuità col pensiero di Basilio, il Nazianzeno individua il distintivo ()

delle tre persone divine nella innascibilità () nella generazione () e

nella processione / invio/emissione8.

«Non essere generato (), essere generato () e

procedere (), caratterizzano il Padre, il Figlio e Colui che viene chiamato lo

Spirito santo, in modo da salvare la distinzione delle tre ipostasi nell'unica natura e maestà

della divinità. Il Figlio non è il Padre, poiché non vi è che un unico Padre, ma è ciò che è il

Padre. Lo Spirito santo, pur procedendo da Dio, non è il Figlio, poiché non vi è che un

unico Figlio, ma è ciò che è il Figlio. I Tre sono uno () per quanto concerne la divinità e

l'uno è tre () in personalità (). Evitiamo così l'unità di Sabellio e la

triplicità dell'odiosa eresia attuale» (l‟arianesimo)9.

L‟innascibilità è una caratteristica di per sé negativa, distinta dalla paternità, che è,

invece, positiva. E tuttavia questa nozione non manca di affascinare, poiché esprime la

concretezza ipostatica di Colui cui spetta il primato nell‟ambito della Trinità e che

appare, pertanto, come il principio senza principio, la fonte di tutto ciò che esiste,

comprese le due ipostasi divine che sono Dio da Dio, l‟una per generazione e l‟altra per

processione.

7 Cf. C. Eunom. 2,28 (CSh 305,118; trad. di D. Ciarlo, Eunomio, Apologia. Basilio di Cesarea. Contro

Eunomio [Collana di testi patristici, 192], Città Nuova, Roma 2007,288.

8 Gregorio di Nazianzo, Disc. 25,16 (SCh 284,198): «La proprietà di essere ingenerato (agennesía) è propria al

Padre: quella di essere generato (génnesis), al Figlio; quella di essere inviato (ékpemphsis), allo Spirito

Santo». Il termine processione, intraducibile quando è applicato al soggetto (próodos), è fondamentale nell

suo impianto dottrinale: «Come [comprendere] il non-generato (tò agénneton), il generato (tò gennetòn) e

colui che procede (tò proïón), una natura, tre proprietà (persone), unico Dio (che é) al di sopra di tutti,

(agisce) per mezzo di tutti ed (é) in tutti» (Disc. 26,19: SCh 284,270).

9 Greg. Naz.. Disc. 31 (Disc. teol. V), 9 (SCh 250,292).

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11

In tale prospettiva, lo stesso Gregorio di Nazianzo, prendendo posizione nei

confronti dei diversi schieramenti dottrinali (omoousiani, omeusiani e filoariani), allora

presenti all‟interno della Chiesa, chiarisce la dottrina della tripersonalità del Dio unico

(Padre Figlio e Spirito Santo), attestata dalla fede e dalla prassi battesimale10, e precisa

infatti che i Tre (), pur essendo distinti quanto alle ipostasi (

), sono uno (= una cosa sola) per natura.

«E, in effetti, essi sono uno () non quanto all‟ipostasi (), ma

quanto alla divinità ()»11.

Conseguentemente nelle relazioni trinitarie unità e distinzione si armonizzano.

«L‟Unità è adorata nella Trinità () e la Trinità è ricapitolata

nell‟Unità ()»12.

Caratteri distintivi delle tre Persone divine sono considerati rispettivamente: la

non generazione (, la generazione (e la processione

().

Infatti, «il Padre è padre, e senza inizio (): infatti non proviene da alcuno

(). Il Figlio è Figlio, e non è privo di inizio (): infatti,

proviene dal Padre (). Se, però, tu intendi l‟origine come temporale

(), allora Egli è privo di inizio (), perché è Lui che ha

creato il tempo e non è sottomesso al tempo. Lo Spirito Santo è veramente () lo

Spirito che proviene () dal Padre, ma non come il Figlio: infatti, non proviene per

generazione (), ma per processione (), se mi è consentito introdurre

termini nuovi per esigenze di chiarezza. Il Padre non cessa di essere ingenerato

() per il fatto che ha generato (), né il Figlio cessa di

essere generato (), perché deriva dall‟ingenerato () –

come potrebbe, infatti? -, e lo Spirito Santo non si trasforma nel Padre o nel Figlio, per il

solo fatto che procede () e per il fatto che è Dio (), anche se questi empi

non lo accettano»13.

Conseguentemente, l‟uso delle preposizioni, applicate dalla Scrittura alle tre

Persone divine, risulta intercambiabile, per cui il diverso rapporto di origine del Figlio e

dello Spirito Santo non compromette l‟unità divina e l‟identità delle singole Persone,

che si caratterizzano per le loro proprietà individuali (): il Padre è senza

inizio (); il Figlio, che ha origine da Lui () per generazione

10 Gregorio riprende il metodo, seguito da Basilio nel trattato De Spiritu Sancto.

11 Or. 6,22 (SCh 405,174-177).

12 Ibid.

13 Or. 39,12 (SCh 358,172s).

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12

(), non è privo di inizio (); e lo Spirito Santo deriva dal Padre per

processione ().

Quindi, Gregorio di Nazianzo, superando le reticenze di Basilio, definisce Dio e

homoousios anche lo Spirito Santo. Nell‟ambito delle relazioni divine lo Spirito è in

psizione mediana () tra l‟ingenerato e il generato e, in quanto intermediario, è

partecipe dei due, cioé del Padre e del Figlio; collocato a mezzo fra i due, non è

dissimile da loro, anzi è, come loro, consustanziale. Si giunge così ad una formulazione

sufficientemente chiara del mistero trinitario: uguaglianza e unità di Dio in tre persone.

Con tale formulazione dottrinale i Cappadoci hanno gettato le basi del mistero

trinitario: tre persone - una sola essenza, recuperando e armonizzando la tradizione

origeniana delle tre ipostasi e la tendenza unitaria di Atanasio. La loro interpretazione

riconosce esplicitamente la tensione unità-trinità di Dio propria della fede battesimale.

2.3. Le relazioni di origene: il modo di ricevere l’ousia tramite la generazione (Figlio) e la processione (Spirito Santo).

Occorre inoltre precisare che, secondo i Cappadoci, le ipostasi (esistenze

triadiche), corrispondenti alla paternità, alla filiazione e alla santificazione, si

caratterizzano come distinti modi di esistere (). Il Nazianzeno

afferma in proposito:

«Il nome di Padre non definisce la sostanza, o sapientissimi, né l‟attività, ma una

relazione (), cioé il modo in cui il Padre è in rapporto con il Figlio o il Figlio con il

Padre»14.

Il nome „Padre‟, dunque, non indica la sostanza (ousia) e neppure l‟azione

(), ma la relazione (), che si stabilisce tra le persone divine15. Si

formula così un concetto per certi versi assimilabile alle relazioni sussistenti (vedi, S.

Tommaso), concepite però in maniera dinamica. Analogamente il Figlio e lo Spirito

santo si distinguono per la loro relazione di origine, cioé per il loro modo di ricevere

l‟: il Figlio nasce dal Padre senza mediazione alcuna attraverso la generazione;

invece lo Spirito Santo procede dal Padre per la mediazione del Figlio. Ma queste

esistenze triadiche sono un solo Dio, perché partecipi della stessa essenza/natura divina.

«Come infatti il Figlio è secondo al Padre per ordine, poiché viene da lui, e per

dignità, perché è principio e causa del fatto che quegli gli è Padre e perché tramite il Figlio

si accede e ci si accosta a Dio Padre (cf. Ef 2,18), ma non è secondo per natura, perché in

entrambi una sola è la divinità, è così evidentemente anche per lo Spirito Santo: se sottostà

14 Gregorio di Naz., Disc. 29,16 (SCh 250,210).

15 Storicamente la dottrina delle relazioni è stata introdotta per la prima volta da Gregorio Nazianzeno.

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al Figlio per ordine [148] e dignità – per acconsentire anche su questo – non sarà più

verosimilmente di una natura estranea»16.

Nel Discorso 31, dedicato allo Spirito Santo, il Nazianzeno precisa il concetto di

processione (=invio, emissione, spirazione).

«Tu mi chiedi: cos'è dunque la processione ()? Dimmi tu cos'è

l‟innascibilità () del Padre, e io ti spiegherò, in termini di natura, cos‟è la

generazione del Figlio e la processione dello Spirito Santo. Così entrambi usciremo di

senno, volendo curiosare nei misteri di Dio»17.

Infine, il Nisseno precisa che lo Spirito Santo procede dal Padre «attraverso il

Figlio - ». Conseguentemente, la terza persona deriva principalmente al

Padre come dalla sua «causa», ma attraverso la mediazione del Figlio, col quale rimane

in costante relazione.

L‟articolazione trinitaria, che include la distinzione delle persone, suppone, in

ogni caso, l‟esistenza di un principio primordiale, da cui le singole ipostasi traggono

origene:

Il Padre ingenerato è l‟ipostasi primordiale, l‟unica , la fonte di tutto, colui

che possiede «principalmente» la divinità.

«C‟è infatti una potenza () che sussiste senza generazione () e

senza principio (), che è causa della causa di tutti quanti gli esseri. Infatti dal Padre

viene il Figlio, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, e con il quale sempre viene

concepito come inseparabilmente associato (

da:ideare,essere pensato insieme) lo Spirito Santo»; quindi,

aggiunge: «E Dio poi, che è al di sopra di tutti, è il solo ad avere un tratto distintivo per così

dire straordinario della propria ipostasi, essere Padre e sussitere () senza

provenire da nessuna causa ()…»18.

Emerge qui il personalismo teologico dei Padri greci, che considerano il Padre

come l‟ primordiale, il centro unificatore del mistero trinitario19.

Il Figlio e lo Spirito Santo invece partecipano della natura divina in modo

«derivato», attraverso la generazione e la processione, in quanto traggono origine dal

principio primo della divinità: il Padre. «Per questo l‟Oriente si è [sempre] opposto alla

16 Basilio, C. Enom. 3,1 (SCh 305,146-149; trad. Ciarlo,305).

17 Gregorio Naz., Disc. 31,8 (SCh 250,290). Il testo sottolinea la portata del termine che assume

qui significato tecnico, parallelo a (generazione) per il Figlio.

18 Basilio, Ep. 38,4 (Forlin Patrucco I,182-185).

19 Cf. E. Bailleux, Le personalisme trinitarie des Pères grecs, in «Mélanges de science religieuse» 1 (1970) 3-

25.

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formula Filioque, che pareva infirmare la monarchia del Padre»20. Conseguentemente

tutto ciò che il Figlio opera, lo fa in quanto lo riceve dal Padre.

La preoccupazione di affermare l‟unità divina (monade) è condivisa anche da

Gregorio Nazianzeno:

«Si salvaguardi dunque, come dissi, un solo Dio e si faccia risalire il Figlio e lo

Spirito santo a una sola causa prima () senza fonderli insieme né confonderli,

conformemente a quello che io chiamerei l'unità e l'identità di movimento e di volontà della

divinità, e l‟identità dell'essenza. Si salvaguardino inoltre le tre ipostasi, senza scorgervi né

fusione né separazione né confusione, in modo da evitare che tutto venga distrutto da coloro

che esaltano l'unità più di quanto sia conveniente. Si salvaguardino inoltre le proprietà

individuali (): quelle del Padre, condiderato e definito (al tempo stesso) senza

principio e principio (principio, in quanto causa, sorgente e luce eterna); quelle del Figlio,

che non è assolutamente senza principio, ma è invece principio di tutte le cose...

Il Padre è dunque senza principio (): il suo essere non dipende da alcuna

cosa né all'esterno né al suo interno. Ma, amettendo che il Padre sia la sua causa, il Figlio

non è senza principio, poiché, in quanto causa, il Padre è principio () del Figlio. E se

d'altro canto tu intenti il principio come qualcosa che dipende dal tempo, allora anch'egli (il

Figlio) è senza principio, poiché il Signore del tempo non ha inizio dal tempo»21.

Le relazioni di origine delle tre persone divine rispecchiano chiaramente un ordine

gerarchico: al vertice si colloca il Padre, causa e origine di tutto, arché anche del Figlio.

2.4. Synousia e mutue relazioni in ambito trinitario

Gli stessi Padri cappadoci definiscono quindi, non senza esitazione, le mutue

relazioni tra le persone divine: la loro inter-relazione e cooperazione all’opera della

salvezza.

Già Atanasio aveva sottolineato l‟unità della Trinità, affermando il perfetto

accordo delle persone divine in ordine alle operazioni salvifiche e, quindi, l‟unità

dell‟energia divina.

«[…] la Trinità è santa e perfetta, riconosciuta Dio nel Padre, nel Figlio e nello

Spirito Santo. Essa non è mescolata con nulla di estraneo o di estrinseco; non consta di

Creatore e realtà prodotta, ma tutta intera crea e produce. È identica in se stessa, indivisibile

nella natura, unica nella sua operazione. Il Padre infatti opera ogni cosa per mezzo del

Verbo nello Spirito santo, e così è mantenuta l‟unità della Santa Trinità»22.

20 V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente. La visione di Dio, Bologna 1985, p. 53.

21 Gregorio Naz., Disc. 20,7 (SC 270,70-73).

22 Atanasio, Ep. Serap. 1,28,2 (PG 26,596 A; trad. it., Atanasio, Lettere a Serapione. Lo Spirito Santo, a cura di

E. Cattaneo [Collana di testi patristici, 55], Città Nuova, Roma 1986,94).

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Lo stesso concetto è ripreso e approfondito da Gregorio Nazianzeno con

l‟immagine dei tre soli uguali che diffondono una sola luce («dalla luce che è il Padre

comprendendo la luce che è il Figlio nella luce dello Spirito Santo»)23 e con l‟immagine dell’«unico

Dio che nei suoi tre splendori fa muovere il mondo»24.

Possiamo dire che il Padre il Figlio e lo Spirito Santo condividono la synousia,

cioé l’essere comune, la stessa natura/essenza divina. I Padri cappadoci cercano in tal

modo di spiegare, anche se in maniera non ancora del tutto soddisfacente, l‟unità e

l‟uguaglianza divina all‟interno della Trinità.

Da ultimo, in conformità con la tradizione origeniana e atanasiana, gli stessi Padri

sono concordi nell‟attribuire le funzioni ad extra, ossia l’opera creatrice, salvatrice e

santificatrice, a tutte e tre le persone divine; in tal modo riconoscono che un‟unico

volere e un‟unica (attività - operazione) guidano le persone divine. A questo

proposito, le distinzioni sono minime: Basilio distingue una causa originaria (Padre),

una causa creatrice (Figlio) e una causa perfezionatrice (Spirito santo); analogamente il

Nazianzeno qualifica le tre persone divine rispettivamente come causa () di tutto

(il Padre), artefice e creatore (: il Figlio), e perfezionatore (: lo

Spirito santo); infine, Gregorio di Nissa spiega che ogni iniziativa divina parte dal

Padre, è progettata per mezzo del Figlio e si compie nello Spirito Santo. Ne consegue

che il Padre compie l‟opera creatrice attraverso la mediazione del Figlio e quella

santificatrice per mezzo dello Spirito Santo. Per la stessa ragione, al Verbo divino va

attribuita la nostra adozione a figli; allo Spirito Paraclito la nostra divinizzazione. Ma

questa specificità non impedisce che la grazia proceda dal Padre per mezzo del Figlio

nello Spirito Santo.

Per concludere, possiamo riassumere la formulazione trinitaria dei Cappadoci con

le parole del Nazianzeno:

«Per noi ortodossi c'è un solo Dio e una sola divinità e quelli che derivano dall'Uno

ritornano a Lui, anche se noi crediamo nei Tre»25.

Dall‟impostazione trinitaria dei Padri cappadoci emerge un dato certo: «Nella

tradizione della Chiesa d‟Oriente non vi è posto per una teologia e, ancor meno, per una

mistica dell‟essenza divina. Per la spiritualità orientale il fine ultimo, la beatitudine del

Regno celeste non è la visione dell'essenza, ma soprattutto la partecipazione alla vita

23 Gregorio di Nazianzo, Disc. 31,3 (SCh 250,278-280; trad. it. di Moreschini, I cinque discorsi... p., 162).

24 Gregorio di Naz., Carmen I.I.III, vv. 41ss (PG 37,411).

25 Gregorio di Naz., Disc. 22,14 (SCh 270,302).

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divina della Santa Trinità»26. Pertanto, partendo dalla rivelazione del Dio-Trinità,

l‟interesse principale dei Padri orientali, da Basilio a S. Giovanni Damasceno, sarà volto

principalmente a ricercare le vie dell‟incontro e della comunione col Dio vivente nella

sua luce increata.

26 Lossky, La teologia mistica, 59.