Capitolo primo LA FORESTA, LA CAMPAGNA DELLA BASILICATA · In Basilicata l’età medievale ci ha...

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«Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura/ché la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rin- nova la paura!». L’inizio della famosa Divina Commedia, il più grande poema di tutti i tempi e simbolo stesso della conoscenza medievale dove il mondo terreno si confonde con le credenze magico-religiose, affronta già dall’inizio lo spessore e l’importanza della foresta in confronto al resto del paesaggio quale può essere la campagna. 9 Capitolo primo LA FORESTA, LA CAMPAGNA DELLA BASILICATA La stratificazione archeologica: ad ogni attività umana corrisponde un piano di calpestio ed un livello di uso diversi

Transcript of Capitolo primo LA FORESTA, LA CAMPAGNA DELLA BASILICATA · In Basilicata l’età medievale ci ha...

«Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selvaoscura/ché la diritta via era smarrita./ Ahi quanto a dir qual era ècosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rin-nova la paura!».

L’inizio della famosa Divina Commedia, il più grande poema ditutti i tempi e simbolo stesso della conoscenza medievale dove ilmondo terreno si confonde con le credenze magico-religiose,affronta già dall’inizio lo spessore e l’importanza della foresta inconfronto al resto del paesaggio quale può essere la campagna.

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Capitolo primoLA FORESTA, LA CAMPAGNA

DELLA BASILICATA

La stratificazionearcheologica: ad

ogni attività umanacorrisponde un piano

di calpestio ed unlivello di uso diversi

Per gli uomini di quel tempo le selve, i boschi e le foreste conti-nentali, erano luoghi di cui era difficile conoscere l’estensione e,una volta entrati, bisognava sottostare a leggi che erano assai diffi-cili da comprendere.

In Basilicata l’età medievale ci ha lasciato testimonianze dei pae-saggi nei quali l’elemento dominante è proprio il bosco, e di essone rimangono ancora poche e labili tracce. La foresta, nel medioe-vo, è “tutto ciò che sta fuori” (foras), cioè l’incolto e il selvaggio.

Alla fine dell’impero romano d’Occidente i 25 milioni di abi-tanti divengono durante l’impero carolingio circa 10 milioni, il checomporta la nascita o lo sviluppo di una serie di abitati di modestaestensione con a disposizione terre fertili -ma coltivate male- e diterre cosiddette “incolte” o, come si diceva all’epoca, “deserte”, cioèabbandonate in antico; ciò significava che gli antichi uomini

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La Basilicata rappre-sentata nell’estensio-ne delle sue incertesubregioni con i rela-tivi boschi e le areeumide evidenziate inverde

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Campomaggiore.Con l'abbandono

umano la Natura siriappropria del terri-

torio coprendo lestrutture antiche

medievali conoscevano, in qualche modo, il retaggio di un paesag-gio lontano e trasformato ad opera dell’uomo.

Ma come mai l’importanza del bosco nasce proprio nelMedioevo? Se si considera che a quel tempo, viste le scarse quan-tità di metallo disponibile, gli uomini ricavano dalle foreste illegname, utile per accendere fuochi e per costruire abitazioni, tettie palizzate, ponti e dighe, si comprende come sia stata essenziale lascelta degli alberi da poter utilizzare. Con la corteccia si conciava-no le pelli, il cuoio, e dalla resina si ricavava la colla o si ricopriva-no torce e ceri, mentre le foglie potevano essere utilizzate comemedicinali e tinture; e insieme alla legna bruciata potevano essereimpiegate per lavorare il vetro o per impastare le malte cementizienecessarie per le costruzioni.

Nell’età normanna iniziano ad apparire i termini di afforestare,forestare e i toponimi di silva, foresta, gualdus, che indicavano unterritorio riservato legato al particolarismo feudale ecclesiastico ecittadino proprio perché da esso proveniva una ricchezza incredibi-le; si pensi che l’interesse per i boschi si accentuò in Italia meridio-nale proprio con i successori di Ruggero II, che intesero la forestacome una risorsa finanziaria: fu così che tale diritto divenne pro-prio un sopruso.

Federico II, poi, completò l’opera di possesso del Demanio conil controllo diretto sul patrimonio boschivo, imponendo nelleCostituzioni Melfitane del 1231 che omnia nemora et pascua suntcuriae. Anche Carlo I non fece altro che proseguirne la politicalungo i territori dove allora si estendevano i boschi, di cui riman-gono residui presso il Subappennino Dauno (Troia, Lucera,Bovino, Guardiola, Salpi, Ascoli, Ordona), la Murgia barese(Minervino, Bitonto, Castel del Monte, Spinazzola, Canosa,Corato, Gravina, Cassano), e Lagopesole, Gualdo di Vitalba,Pietragalla, Casalaspro, Melfi e Palazzo San Gervasio.

In questi territori erano presenti i magistri forestarum dell’etàsveva, assistiti dai custodi delle singole foreste, i quali molte volterendevano un sopruso il diritto di controllo sul legnatico, sull’ab-beveraggio, sui vari usi civici.

Erano presenti lecci, querceti a fragno, ghianne, frassini, sughe-ri, faggi e, tra la flora spontanea, lentisco, rovo, cappero e mirto. Iboschi erano importanti per l’alimentazione umana e anche ani-male. A Difesa San Biagio presso Montescaglioso il bosco medievale(oggi scomparso) si impiantò su un insediamento classico conser-

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Timmari. Una ferulaindica che in quel

luogo, nel Medioevo,si estendeva un boscoche oggi è scompar-

so del tutto

vando le vestigia antiche e i caratteri della topografia naturale (sta-gni, depressioni, sistema viario), il che ci dice che l’archeologia delpaesaggio ha dimostrato chiaramente il cambiamento climatico neisecoli.

Una trasformazione del paesaggio avvenne certamente nel terri-torio lucano a ridosso dell’area tarantina, quando l’attività alluvio-nale dei fiumi in genere si accentuò nel tempo e il conseguente tra-sporto del materiale alluvionale fece avanzare la costa, danneggian-do sensibilmente l’economia delle fasce pianeggianti, che avevanoesercitato nell’antichità una forte attrazione sulle popolazioni gre-che. Probabilmente la situazione insediativa di quest’epoca, legataa risorse proprie del territorio, in epoca tardoantica non scompar-vero del tutto, anche se il paesaggio venne via via modificandosi,forse a causa dell’uso intensivo del territorio.

Le fonti scritte, come Orazio (Epist., II,227, ed Epod., I,28) chealludeva alla Selva Lusilla (tra Castelluccio Inferiore-Speriore eLaino), nelle vicinanze del Lao, e ad una regione frequens silvis;Calpurnio Siculo (Bucol. Eclog., VII,17) parlava di pecuaria silvaelucanae; Seneca (De Tranquill. Animi, II,11) accennò ai lucanos sal-tus. Da queste fonti risulta che almeno anche una parte dellaLucania, quella forse più interna, era caratterizzata da silvae.

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Lavello, San Barbato-Rendina. Il paesaggiodove un tempo vierano ricche foreste

La presenza di alcune risorse fondamentali per l’economia fore-stale non impedì la trasformazione che era in atto, cioè l’alleva-mento del bestiame, con rari saltus.

A questo proposito le fonti, sebbene non permettano una rico-struzione delle vicende, inducono a far pensare che nel territoriodell’area del Metapontino, per esempio, ridotto alla fine del III sec.a. C. ad ager publicus, vi fossero ancora attività artigianali per cuiera necessario l’uso del fuoco e, quindi, della legna, come dimo-strano gli scarichi sul bordo interno del fossato del castrum e sualcuni livelli superiori della plateia. La situazione archeologica èstata riscontrata a Metaponto, dove la guerra servile del I sec. a.C.pare avesse coinvolto direttamente il territorio, come dimostranodevastazioni e stragi, nonché le trasformazioni urbanistiche succes-sive riferibili ad epoca cesariana ed augustea.

Questa situazione è rilevata anche nel resto della Lucania, laquale sembra riprendersi in epoca tardoantica. Nel corso del IIIsec. vengono realizzati a Metaponto alcuni ambienti, come unimpianto termale, una fontana ed un porticato, che restano in fun-zione sino al V sec. Nell’area della stoà vengono costruiti alcuniedifici della seconda metà del III sec., mentre successivamentevenne impiantata una basilica cristiana con fonte battesimale, col-

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Matera, presso ilVallone della Loe.

Bosco residuale

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Forenza. In questo territorio sorgeva il bosco di Palazzo San Gervasio.

legabile con alcune strutture e tombe rinvenute in località S.Palagina. Numerose le monete rinvenute, alcune fuori contesto, daAureliano (270-275) a Giustino (518-527). Tale situazione sembradocumentata sino a tutto il VI sec. d.C. Dopo questo periodo sisvilupperà l’insediamento di Torre di Mare, per la cui costruzionevennero reimpiegati mate-riali più antichi.

Nella valle del fiumeMercure dal IV sec. a.C. laBasilicata aveva continuato asubire trasformazioni del pae-saggio in concomitanza con idiversi assetti insediativi. Inparticolare, sia nel periododella conquista romana chein quello primoimperiale lestrade consolari, quali l’Appia(Roma-Benevento-Venosa-Brindisi), a nord, e la Popilia(Capua-Reggio Calabria), a-vevano garantito un accessopiù diretto nelle due regioni,con il conseguente passaggiodel cristianesimo lungo le

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La collina del Castellodi Monticchio, aguardia di pascoli eforeste

Monticchio. Castello

zone costiere ed immediatamente limitrofe.Ciò non avvenne per le aree più interne, adesclusione di quelle che, ridotte ad ager publi-cus, furono soggette a disboscamenti conti-nui, creando nuovi agglomerati, ma favoren-do anche un processo di spopolamento. Ilfatto che molte aree risultarono così deserte,permise una veloce ed interna penetrazionedel popolo longobardo che, negli anni suc-cessivi al 568, diviso in veri gruppi preferìpercorrere i tratti viari più interni quali i trat-turi ed i percorsi secondari, trovando favore-voli e fertili insediamenti o, a volte, inseren-dosi e coabitando pacificamente con la popo-lazione indigena latina.

I dati archeologici confermano una tra-dizione “conservatrice” solo in alcune sepolture altomedievali pro-venienti da Venosa, ma i caratteri antropologici, ad eccezione diqualche raro caso, confermano che l’integrazione era già avanzata.La cultura materiale non dispone, per la Basilicata, di dati ancoraglobali, tuttavia è possibile considerare, con la giusta approssima-zione, che in questo periodo vi fu anche un’ulteriore intensificazio-

ne dell’influsso bizantino in ogni settore della vitaculturale.Invero, appare oggi chiaro che alcuni insediamentinon furono affatto abbandonati; semmai subironouna diversa occupazione del suolo che deve necessa-riamente essere ricercata sul terreno. Sappiamo, per-ciò, che Lucania Bizantina era formata da diversi ter-ritori, il Latinianon, il Lagonegro ed il Mercurion,quest’ultimo in parte in territorio calabrese.La presenza monastica spiega bene la dinamica delpopolamento, in quanto gli stessi monaci, operan-do disboscamenti e mettendo a coltura le terre,favorirono l’accentramento e la nascita di nuoveidentità territoriali che, nei documenti, assumeran-

no diversi aspetti, anche fisici, che sono definiti dalle fonti chòrion,kastron, locus o castellum, per indicare rispettivamente luoghi apertio fortificati, nei quali l’intero sistema economico e sociale bizanti-no trova lo sfruttamento del territorio.

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Pietrapertosa.Ingresso del castello

con blocchi medioliti-ci di arenaria

Pietrapertosa. L'ingresso al IIlivello della torre

Il Latiniano, la cui denominazione proviene dalla città scom-parsa di Latiniano, che si trova nei pressi dell’attuale Polla, com-prendeva la zona del Vulture e del Monte Rapàro ed era attraversatadall’Agri e dal Sinni, favorì l’accentramento nelle aree di Cersosimo,S. Chirico, Carbone, Oriolo, Pietrapertosa, Roccanova, ed altri. Il ter-ritorio del Lagonegro, già individuato dal patriarca Oreste nellaVita di S. Saba, si estendeva lungo la catena del Sirino, in una zonaricchissima di boschi: esso si sviluppò dunque lungo la via Popilia,favorendo la nascita di Lauria, Lagonegro e Rivello.

Collegato al Latiniano era il Mercurio, la subregione che gravitageograficamente intorno al fiume Lao e al bacino del Mercure; èinutile ripetere che ebbe un’importanza strategica se si pensa allasua posizione ai confini dell’impero bizantino e dei domini longo-bardi. Sbarrata a sud dalle pendici occidentali ed orientali del mas-siccio del Pollino, mentre a nord è delimitata dal Sarmento e adovest dal Sirino. I documenti che riguardano la nascita degli inse-diamenti, dovuta all’accentramento ed alle modifiche del paesaggio

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Dintorni di CracoVecchia. Sui calanchisorgeva un estesobosco di cui nonrimane traccia

si esplicano nelle emergenze architettoniche e nei contesti ambien-tali dove è possibile documentare l’attività umana agro-silvo-pasto-rale in età storica. Si è detto, infatti, che alcuni degli insediamentisui quali sorsero dei monasteri o degli agglomerati, furono abban-donati o seguirono altri destini sopravvivendo ancora oggi comeEpiscopia, Noepoli, Castelluccio Inferiore e Superiore, Rotonda, e inCalabria Mormanno, Aieta, Laino ed Orsomarso. Molti di questirivestirono una grande importanza dal punto di vista artistico edarcheologico, oltre che politico: Laino, per esempio, fu antica capi-tale del Gastaldato longobardo.

All’area del Mercurion è legato, oltre ad un eremitaggio famosocome quello di S. Saba e di S. Nilo di Rossano (910-1005), iltoponimo di Santa Maria di Mércuri, una chiesetta con sala adunica navata con tetto a capriate ed abside aggettante, orientata,non molto distante da Orsomarso, il cui monastero è ricordatonella Visita ai cenobi di Calabria ordinata il 12 maggio 1221 dalpontefice Onorio III al vescovo di Crotone Giovanni.

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Territorio diLagopesole, dove siaprivano le foreste

care agli Svevi e agliAngioini

Alle vicende della chiesa sono legate le tradizioni dei monacigreci appartenenti, che richiedevano l’eremitaggio inaccessibile, ilmonastero composto da un certo numero di abitazioni vicino l’e-dificio di culto, e la cosiddetta “dimora fuori mano”, cioè l’insiemedelle case rurali che permettevano almonaco di potersi allontanare in eremi-taggio per un periodo anche lungo. Lastessa regione è fra quelle che erano giàall’epoca soggette più frequentemente afrane, ma ciò dimostra, ancora unavolta, la necessità di “distruggere” iboschi per sostituirli con terrazzamenti:sono documentati piccoli giardini, peri,pioppi e campi piantati a grano ed orzo,e molte vigne, varietà che denotano untipo di agricoltura chiusa, ma che avevaun contatto con l’esterno che era anchefonte di profitti, cioè il vino. Nel XVIsecolo erano noti, nei palazzi principe-schi di Roma, i vini della Valle del Lao.

Ma non dimentichiamo che laBasilicata venne, per un certo periodo,“scelta” come regione perfetta per l’inse-diamento monasteriale, che avvenivacon la nascita dell’insediamento in zonesperdute e boscose, che pian piano veni-vano messe a coltura. Un esempio tipicoè quello del bosco di Gallipoli-Cognatoricordato nella vita di San Guglielmo da Vercelli. Il Santo, dopoaver fondato Montevergine, quando decise di ritirarsi nei luoghipiù inaccessibili, dimorò per qualche tempo al Laceno, poi conSan Giovanni (poi chiamato da Matera) si inoltrò nel centro dellaBasilicata, certamente in un bosco fittissimo ed abbandonato dasecoli, nel senso che non vi erano villaggi estesi ed abitati in piantastabile. Giunse al Mons Cuneatus (cioè con solchi vallivi; il toponi-mo di tipo “naturalistico” è tipico per quegli insediamenti abban-donati in antico o “deserti”) ed ebbe la possibilità di fondare unMonastero dedicato a S. Maria; i due Santi rimasero insieme peralcuni giorni, poi S. Giovanni proseguì verso Oriente sino a rag-giungere Matera, mentre S. Guglielmo, rimasto in quel luogo per

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Castello diMonticchio. Dopo unprobabile terremoto,il castello fu abban-donato e il bosco funuovo padrone del-l'insediamento, con-servando tutte lestrutture antiche

un periodo più lungo, inizialmente fu scambiato per una spia, poifu ferito gravemente alla testa. Con l’aiuto degli abitanti però eglifondò il Monastero della SS.ma Vergine Maria con annessa chiesa,di cui qualche traccia è visibile nella Cappella di S. Maria diCognato. Al di là della storia, è in questo senso che bisogna com-prendere l’importanza del bosco.

Del resto anche tutta l’area lucana gravitante intorno al Pollinoebbe il medesimo sviluppo, sebbene con esiti leggermente diversi.Presso Noepoli, l’antica Noia, vi era il monastero di S. Onofrio diCamposirti, nominato nel 1093 nella diakratesis (territorio) diNoepoli, quando Alessandro di Chiaromonte e suo fratello Riccardodonano il monastero, ormai ricco di vigneti, alla badia di S. Mariadi Cersosimo, la quale già dal 1088 è dipendente dall’Abbazia diCava dei Tirreni.

Un bosco è parte della società locale, ma è anche sede di cacciadella selvaggina, regolata e riservata spesso ai più potenti.

Sul bosco, inoltre, fioccavano i racconti, leggende e i poemi: èun luogo dei cattivi incontri, pieni di pericoli e di tristi presagi,dove i cavalieri della Tavola Rotonda con le relative storie fanno dapadroni. Il trovatore Bernard Marti aveva espresso un desiderio:

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Grumentum. La pre-senza di questo gran-

de insediamentoromano indica che

non tutti i luoghi oggiboscosi lo erano inantico; ciò significache insieme al pae-saggio in Basilicata

anche il clima si èmodificato nel tempo

«voglio diventare un eremita del bosco, affinché la mia donna misegua. Là voglio vivere e morire e trascuro perciò ogni altra cosa»,perché a differenza della caccia nobile alle fiere, la vita sui campiera dura.

E a proposito di caccia e boschi, si ricordi la famosa “cacciareale” avvenuta nell’839 da parte del longobardo Sicardo XVIII:egli, «in praedio labellaniensi», giunto lì con la moglie Adelchisa«ludi causa seu arte venationis», fu ammazzato nel suo accampa-mento. Come si vede, non sempre era dilettevole addentrarsi neiboschi.

Dai campi coltivati, però, provengono le derrate alimentariavviate sulle tavole di corti e abbazie, di case di ricchi e poveri cit-tadini. Durante tutta l’età medievale l’agricoltura rimarrà fra lemaggiori fonti di sostentamento, come del resto lo era dalla finedell’età tardoantica e sino alla rivoluzione industriale.

Chi scende dal paese degli Irpini o dei Dauni per arrivare aquello dei Calabri o Brettii (tale denominazione rimase sinoall’VIII sec.), percorre dunque una regione aspra e selvaggia.Talvolta i monti presentano carattere della zona alpina: vette aguz-ze come quelle del Sirino o delle Dolomiti Lucane; dall’altra lanatura della zona appenninica dalla cime tondeggianti e l’aspettodiviene più ospitale per l’uomo. In tale groviglio il Pollino insiemea tante altre montagne restò caposaldo fondamentale per lo stan-ziamento stabile: terre incolte e “pascoli boscosi”. In questa situa-

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Forenza. Una fonta-na immersa nel boscomanifesta la presen-za di sorgenti

zione, già delineata per l’età tardoantica, le invasioni barbaricheaccentuarono una tendenza presente nella tarda età imperiale, ecioè dei grandi proprietari terrieri che trasferivano la propria resi-denza nelle campagne portandosi dietro una parte delle categorieproduttive della città.

Non si è lontani dal periodo magnogreco se si immagina che lefattorie erano basse costruzioni con cortile e porticato, complete distalla e cantina, con una cucina ed una cisterna per raccogliere l’ac-qua piovana.

Furono certamente i monaci a possedere una notevole ricchezzafondiaria. Il fondo veniva assegnato con un contratto livellare, dalivellum o libellum, una tavoletta ove sono scritti i doveri del colti-vatore e del proprietario, cioè il monastero; il contratto, a tempoindeterminato e con il pagamento di un canone non esoso, obbli-gava a migliorare il terreno ricevuto in affidamento. Un’altra formadi concessione è l’enfiteusi romana della durata di 99 anni, checonsentiva sia al contadino che al proprietario la durata del fondoche coincideva anche con lo “sviluppo” agricolo del territorio (ameno di pestilenze, guerre, ecc.), e delle tecniche agricole.

Il fenomeno è stato ampiamente studiato in Italia centrale,come il caso dell’Abbazia di San Vincenzo al Volturno (nel

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Territorio fra Melfi eMonteverde, l'areaboscosa del Vulture

Molise), dove la presenza del monastero indusse gli abitanti a svi-lupparsi in luoghi accentrati e difesi (incastellamento).

Si conosce poco dell’attrezzatura agricola del tempo, ma in etàcarolingia vi erano già le scuri, la marra, l’ascia, il coltello a doppiomanico, falci, falcetti e badili ferrati e, dopo l’XI sec., il bue datraino viene sostituito dal cavallo, con l’aggiunta delle cinghieall’altezza del petto piuttosto che giugulare. Venne inoltre intro-dotto l’allevamento del bufalo, importato nella nostra penisola daiLongobardi e proveniente probabilmente dall’India; esso trovòsubito un habitat favorevole nei terreni acquitrinosi e paludosi cheaumentarono con lo spopolamento e la crisi dell’agricoltura tradi-zionale di stampo romano.

L’aumento della produzione, però, coincideva con la perditadella risorsa forestale. A partire dall’XI secolo infatti si lavoranosempre più le terre dapprima incolte e si prosciugano le paludi e,forse, in Basilicata solo di recente si è praticato il riposo dei campi.Zone paludose sono documentate in numerose zone. ACervarezza, casale a sud est di Palazzo San Gervasio appartenentealla Badia di Santa Maria di Banzi, poiché era sito in quadam vallemultiplici aeris corruptione infecta ita quod mares et femine ac specia-liter pueri oppressi aegritudinis moriantur, nel 1269 risulta giàabbandonato e ricostruito in un luogo più salubre.

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G. B. Pacichelli,Bernalda nel XVIII sec.

Per la ricostruzione del paesaggio antico ci è d’aiutoCastelmezzano la cui fortezza, almeno nei tratti murari visibili, èinteressata da conci di pietra, disposti su letti di posa quasi oriz-zontali, alternati ad uno strato di malta biancastra, senza alcunainzeppatura di laterizi, come per Pietrapertosa: sappiamo che lungogli affioramenti di roccia si trovano decine di fori, molti allineati etutti disposti ad una certa altezza. Qualcuno, troppo frettolosa-mente, interpreta queste tracce come relitti di una frequentazionedell’età del Ferro, il che non è da escludere vista la ricchezza dimateriale che continua ad affiorare nell’area del castello diPietrapertosa, ma la considerazione può essere un’altra. Lungo ilmuro di recinzione dell’impianto fortificato si notano alcuni fori,perfettamente circolari, dello spessore di 7-9 centimetri; essi fannoparte della costruzione, tramite pali, della medesima muratura. Sitratta di un tipo di pali provenienti da una specie particolare dialbero. Fin qui nulla di particolare, ma si pensi che stessi fori si tro-vano ricavati nella roccia e lungo i muri del castello diPietrapertosa, vale e a dire che è possibile pensare che quei luoghi,nel Medioevo ricchi di boschi, fossero ambienti adatti per ricavarvimateriale da costruzione.

La considerazione finale possibile rimanderebbe ad una questio-ne che un giorno verrà seriamente affrontata, cioè l’abbondanteuso del legno, nelle costruzioni, non solo per gli impalcati, ma

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La foresta, la campagna della Basilicata

I residui del boscomedievale ad

Agromonte

nelle costruzioni vere e proprie. Poiché, infatti, numerosi fori sonoallineati lungo le pareti rocciose dei castelli di Pietrapertosa eCastelmezzano, si può pensare ad un intero piano (ottenuto con scalee piccoli impalcati) superiore costruito in legno, altrimenti non sispiegano le ardite scalinate sospese ed irraggiungibili completamenterealizzate in rupe. Medesima situazione si riscontra in Pietrapertosa,dove i fori di palificazione ricavati nella roccia fungono da servizioalla struttura fortificata e non sono preesistenti, ma anzi posseggonolo stesso diametro di quelli di Castelmezzano. Due sono, dunque, le

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La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo

ipotesi suggestive da mettere a tavolino: se tali tecniche (quelle cioèdi ricavare una fondazione in costruito con il suo spiccato, e poi ilresto in legno compreso il tetto) non rimandino ad un retaggio piùantico, cioè al modo di costruire degli antichi dell’età del Ferro sinoall’età magnogreca, o se furono uomini delle stessa cultura a realizza-re i grandi castelli di Castelmezzano e Pietrapertosa. Comunque stia-no le cose, siamo di fronte ad una eccezionale testimonianza diquanto i boschi di questi luoghi furono intensamente sfruttati conuna continuità di sistemi e di tradizioni.

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La foresta, la campagna della Basilicata

Uggiano di Ferrandina. Il castello, con l'intero villaggio circostante,fu abbandonato per impoverimento delle sorgenti e per le numero-se frane addebitate erroneamente ad un terremoto

Una considerazione speciale ha l’idrografia della Basilicata inquesto periodo. Probabilmente nel Medioevo i fiumi dovetteroessere sfruttati in condizioni certamente migliori di oggi per lanavigazione o per il piccolo cabotaggio.

Data l’abbondanza delle precipitazioni atmosferiche favoritedalla presenza di enormi fossati, i fiumi ebbero una portata mag-giore ed un andamento meno irregolare dovuto ai minori dissestiambientali. Strabone affermava che l’Agri e il Sinni erano navigabi-li. Il Bradano nascendo dal Piano dell’Isca in agro di Lagopesole rice-ve la fiumarella di Acerenza, il Banzullo, il Basentello e sfocia presso

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La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo

Territorio fra Palazzo San Gervasio e Venosa

Torre di Mare a Metaponto dopo un percorso di quasi 168 km.Lungo questo tragitto vi erano certamente dei luoghi antropizzaticome Acerenza, Banzi e Forenza, oltre ad una stazione definitadagli itinerari Ad flumen Bradanum, forse un guado, ma vi eranoanche delle estese foreste come quelle di Forenza, Palazzo SanGervasio e Monteserico.

Il Basento (Casuentus) nasce dal Monte Arioso, passa tra Pignolae Vaglio sino a raggiungere il fosso delle Dolomiti Lucane nei pressidi Campomaggiore, ricevendo le acque della Tora a Barrata e delCamastra presso Albano. Il letto di questo grande fiume della

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La foresta, la campagna della Basilicata

Basilicata è stretto e i terreni diventano pianeggianti dal Gallitello,ma riprendono le pareti ripide dopo aver superato Brindisi diMontagna sino a Calciano. Certamente in questo “oscuro tratto chevanno ricercate le ragioni profonde dell’insediamento medievale,che si discosta da quello classico per caratteristiche che vanno al dilà della semplice salubrità o insalubrità dei luoghi. La presenzadelle foreste, assai intricate e perciò sconosciute, permetteva unadifesa più sicura delle città che venivano ripetutamente assalite.C’era chi, dalle foreste, si procurava il tasso, un albero delleTassacee (Taxus baccata) dalla chioma espansa e dalle foglie veleno-se: alcuni se ne servivano per pescare avvelenando il pesce, marischiavano i lavori forzati; o, ancora, i boschi delle Caldane nel1297 forniscono il legno necessario per i remi delle galee dei portiadriatici di Bari e Brindisi.

Nell’XI sec., tuttavia, anche i centri più sperduti vennero attac-cati dai Saraceni fuorisciti dalle file degli emirati arabi di Bari eTaranto e continuarono ad imperversare sino a confondersi deltutto con la popolazione indigena attraverso matrimoni misti.

Il mantello o la “cotica” boschiva, dunque, copriva gran partedella regione e il paesaggio presentava pertanto un aspetto più asproo, se vogliamo, più severo e, certamente, i monti e le pianure eranomeno instabili dal punto di vista geologico. Con questo delinearsi lepiogge erano più abbondanti e il regime delle acque era più costan-te, per cui era facile che certe sorgenti durassero più a lungo.

Ed essendo più ricchi di acqua, era possibile una piccola naviga-zione. A tale proposito in un privilegio Federico II concedeva alMonastero di S. Elia di Carbone di tenere sull’Agri «in Pollicorointer flumen Acri et tenimentum Scanzanae», un’imbarcazionedella capacità di dieci cavalli. Ancora nel 1281 il Monastero di SanMichele Arcangelo di Montescalioso concede a Guglielmo dellaMarra la metà dei proventi di una barca sul fiume Basento, insiemeai diritti del castello di Torre di Mare.

A proposito di Federico II, sappiamo che l’imperatore svevopassò intorno al 1221 lungo la costa ionica per dirigersi da Tarantoverso la Sicilia e sostò nell’estate del 1225 nella zona del Vulture.Nel primo passaggio egli aveva notato che tra la foce del Bradano edel Sinni alcuni uomini erano intenti a raccogliere tronchi di pinoche erano stati trasportati dalla corrente: da questi prodotti vi siricavava pece e catrame. Nel secondo viaggio egli nota quanto,accanto alle foreste, che già allora andavano in parte scomparendo,

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La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo

fosse presente una coltura cerealicola piuttosto intensa.Vi scopriamo così essere in Basilicata la masseria concessa in

enfiteusi (cioè a termine) o in colonia a piccoli o grandi feudatari oai cosiddetti massari, i quali possono subaffittare le terre concessegliper incrementarne la produzione e, quindi, anche il popolamento.

Ma vista la ricchezza delle terre, per l’imperatore era necessarioconservare per sé tale rendita: nascono così la massarie Curie regis,cioè quelle appartenenti direttamente all’imperatore e rette dadiversi conductores, ma sovrintese dai magistri massariarum. Questi,poi, per ogni duecento pecore dovevano provvedere al reclutamen-to di un pecoraio cui dovevano essere forniti vestiario, vitto e allog-gio, e dovevano essere garantiti cinque arieti per la monta ognicento pecore. Ogni cento vacche doveva essere reclutato un vacca-ro al quale dovevano essere forniti i trattamenti del pecoraio.

Nell’allevamento non potevano mancare i maiali, per i qualierano necessarie parecchie cure, ed anche i somari, ma vi era chiapprofittava del personale potere sui più deboli. Nel 1273 alcunisaumereri (cioè “conduttori di somari”) del Giustizierato diBasilicata furono accusati di aver sottratto nove asini ai vassalli diDrogone di San Fele e di essere entrati in diverse terre e pascolisenza permesso. Nel settembre del 1275 occorsero ben cento ani-

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La foresta, la campagna della Basilicata

Melfi. L'insediamentodei Francescani, con

il conseguente sfrutta-mento del territorio,

impose un nuovo dis-sesto idrogeologico

mali da soma per trasportare le suppellettili della Corte regia daMelfi a Napoli.

Numerose ribellioni sono presenti nei boschi lucani. Nel 1279Enrico, signore di Monticchio, trovandosi nel suo castello, incontròalcuni uomini della sua terra che “sguainata la spada” lo ferironogravemente ad una coscia giustificandosi perché il signore detenevatutte le rendite per sé senza condividerle. Così, il giovedì dopoPasqua questi proditores suonarono le campane ad armi inseguen-dolo a colpi di pietra gridando “mora, mora”, tanto che costrinseroCarlo I ad aprire un’inchiesta sulle ragioni di tali comportamenti.Non sappiamo più che cosa successe dopo quella inchiesta.

Dai Registri della Cancelleria Angioina sappiamo che nel 1278l’imperatore Carlo I d’Angiò ordinò di coltivare anche le anguillepresso Lagopesole. Esse furono prelevate, su ordine del Giustizieredi Basilicata, presso il villaggio di Salpi sulla costa di Foggia, efurono trasportate in barili prima sui carri sino a Venosa, poi suimuli sino al pantano del Castello di Lagopesole: ciò per garantirealla Corte cibo sempre fresco, ovviamente.

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La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo

Campomaggiore. Territorio disboscato in antico

Il cavallo, anche quello per allevamento, era destinato all’impe-ratore o alle milizie imperiali, per cui era molto curato durante lacrescita: mentre una vacca poteva valere intorno ai 20 tarì, il caval-lo valeva almeno 20-50 once. Il tarì era una moneta di originearaba, ma era coniata anche nel Regno normanno-svevo ed eraanche una misura di peso usata per l’oro. Il suo sottomultiplo era ilgrano (un ventesimo di tarì), i suoi multipli l’oncia (trenta tarì) ela libbra (trecentosessanta tarì). Nelle Costituzioni di Melfi ricorreil richiamo a varie misure di piccolo peso e le misure lineari comela canna (2,12 metri) e quella di distanza itineraria (il miglio, cioèquasi 1.450 metri). La corte distribuiva nel Regno le misure cam-pione valevoli per tutti gli usi e chi frodava queste misure era sog-getto a pene assai severe, quali la fustigazione, l’amputazione dellamano e perfino l’impiccagione.

I cavalli, dunque, erano destinati alle aratie, cioè ai campi dellaCorona tenuti dai magistri aratiarum che dovevano compilare iloro rapporti ai loro superiori, i marescalli (da cui proviene propriola parola “maresciallo”). Nel 1240 viene istituita da Federico II la

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La foresta, la campagna della Basilicata

marescallia di Capitanata, nella quale confluivano le aratie diPolicoro, Ginosa, Gravina e Palazzo San Gervasio.

Inutile dire che in questa forma altamente burocratica aumenta-rono le situazioni incresciose di liti; i superamenti dei confini edegli usi civici, il pascolo oltre i limiti consentiti e la richiesta ditasse troppo esose portava a degenerazioni e soprusi di cui si trovaeco in molti documenti: nel 1279 alcune foreste di Lagopesole furo-no dolosamente incendiate costringendo il sovrano Carlo Id’Angiò ad emanare gli Statuti di Lagopesole, dove si confermavache solo gli abitanti di un luogo potevano usufruire delle loro fore-ste, sorgenti e quant’altro, mentre gli altri dovevano pagare unafida, cioè una tassa vera e propria.

Non mancano, tuttavia, numerosi documenti che trattano dellosfruttamento delle foreste. In un documento del 1430 rogato aSaponara, per esempio, Il notaio Guglielmo Gallitello, fideiussoredella dote di Caterina di Periculo insieme a Iacobello de Gurreria edon Giorgio de Raynaldo, vende a Cosimo di Falvella, GoffredoFarsalia e Pietro Barone, una foresta situata presso la città in loca-lità Lu Traversito, buona per essere ancora sfruttata.

La farraginosa burocrazia e il non controllo diretto dell’ambien-te portarono poi al dissesto di intere aree della regione.

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La vita quotidiana in Basilicata nel Medioevo

Le trasformazioni delpaesaggio e i possi-bili studi combinatiin archeologia