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Legge 18 Novembre 1996, n. 586: contenuto e modifiche apportate Sommario: 1. L’iter della legge 18 novembre 1996, n. 586. - 1.1. Premessa. - 1.2. La relazione del Governo al disegno di legge. - 1.3. I lavori parlamentari. - 1.3.1. Alla Camera. - 1.3.2. Al Senato. - 1.3.3. Impegni al Governo da parte delle Camere. - 2. Gli elementi di novità della nuova disciplina. - 3. Il trasferimento degli atleti. - 3.1. Indennità di preparazione e promozione. - 3.2. Premio di addestramento e formazione tecnica. - 4. Peculiarità delle società sportive: struttura e scopo sportivo. - 4.1. Le società sportive prima della legge 18 novembre 1996, n. 586. - 4.2. La nuova disciplina sulle società sportive. - 4.2.1. Oggetto sociale e utili: la disciplina della legge 586/96. - 4.2.2. Nuovi scenari per le società sportive professionistiche. - 5. I controlli sulle società sportive. - 5.1. La disciplina prevista dalla legge 91/81. - 5.2. La liquidazione delle società sportive. - 5.3. Nuove forme di controlli per le società sportive professionistiche. - 6. Tabella riassuntiva. - 7. Conclusioni 1. L’iter della legge 18 novembre 1996, n. 586. 1.1. Premessa. Il decreto legge 20 settembre 1996, n. 485 (G.U. 21 settembre 1996, n. 222), sulla riforma delle società sportive professionistiche, è stato rapidamente convertito in legge soprattutto perché l’approvazione

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Legge 18 Novembre 1996, n. 586:

contenuto e modifiche apportate

Sommario: 1. L’iter della legge 18 novembre 1996, n. 586. - 1.1. Premessa. - 1.2. La relazione

del Governo al disegno di legge. - 1.3. I lavori parlamentari. - 1.3.1. Alla Camera. - 1.3.2. Al

Senato. - 1.3.3. Impegni al Governo da parte delle Camere. - 2. Gli elementi di novità della nuova

disciplina. - 3. Il trasferimento degli atleti. - 3.1. Indennità di preparazione e promozione. - 3.2.

Premio di addestramento e formazione tecnica. - 4. Peculiarità delle società sportive: struttura e

scopo sportivo. - 4.1. Le società sportive prima della legge 18 novembre 1996, n. 586. - 4.2. La

nuova disciplina sulle società sportive. - 4.2.1. Oggetto sociale e utili: la disciplina della legge

586/96. - 4.2.2. Nuovi scenari per le società sportive professionistiche. - 5. I controlli sulle società

sportive. - 5.1. La disciplina prevista dalla legge 91/81. - 5.2. La liquidazione delle società sportive.

- 5.3. Nuove forme di controlli per le società sportive professionistiche. - 6. Tabella riassuntiva. - 7.

Conclusioni

1. L’iter della legge 18 novembre 1996, n. 586.

1.1. Premessa.

Il decreto legge 20 settembre 1996, n. 485 (G.U. 21 settembre 1996, n. 222), sulla

riforma delle società sportive professionistiche, è stato rapidamente convertito in

legge soprattutto perché l’approvazione delle Camere è intervenuta tempestivamente,

nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione, in piena sintonia, con la pronuncia della

Consulta che ha richiamato all’osservanza dei limiti della decretazione d’urgenza

(Corte cost., 17-24 ottobre 1996, n. 360). In sede di conversione, è stato confermato

lo «scopo di lucro» alle società sportive professionistiche, anche se con qualche

modifica volta a salvaguardare la peculiarità di queste società da possibili

assimilazioni alle società di capitali tout court.

1.2. La relazione del Governo al disegno di legge(1).

1 Questo paragrafo riporta integralmente la relazione del Governo al disegno di legge d.l. 20 settembre 1996, n. 485, in Atti Camera dei deputati n. 2277, 21 settembre 1996.

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La sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 15 dicembre

1995(2) afferma l’illegittimità dell’attribuzione di compensi alle società sportive in

occasione del trasferimento di calciatori da una ad altra società.

La detta sentenza, produttiva di immediati effetti nel nostro ordinamento, non

consente, perciò, alle società sportive di percepire più, in occasione di contratti

stipulati da propri giocatori con altre società, qualunque somma.

Prendendo atto della modifica realizzatasi nel nostro ordinamento in conseguenza

della sentenza avanti citata, è stato predisposto il decreto-legge in commento che si

propone, in sostanza, di offrire risposta a due diversi problemi.

A) Il primo è quello di assicurare «un compenso» per l’addestramento e

formazione tecnica curata da società ed associazioni sportive di atleti che stipulino

poi il primo contratto con altre società. E ciò nel presupposto che la sentenza non

riguardi la detta fattispecie. Si riconosce, in particolare, alla società che ha curato

la preparazione dell’atleta la possibilità di conseguire un premio per l’espletamento

di attività (premio che dovrà essere corrisposto dalla società sportiva alle cui

dipendenze l’atleta è chiamato a svolgere la sua nuova attività). Si vincola

l’associazione beneficiaria a reinvestire il premio per il raggiungimento «di fini

sportivi». Si accorda inoltre un regime fiscale di favore per i negozi aventi ad

oggetto l’attribuzione del premio di addestramento e formazione tecnica

disponendosi che le dette somme sono esenti dall’imposta sul valore aggiunto ai

sensi dell’articolo 10 del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633.

B) Si tende poi a risolvere senza traumi per le società sportive la perdita che

si determina, tra le componenti attive del proprio bilancio, degli importi relativi ai

crediti che per premi le dette società presumevano di percepire con riferimento ai

giocatori alle proprie dipendenze nella eventualità del loro passaggio ad altre

società. Si prescrive, a tale proposito, che le dette società potranno continuare a

iscrivere nel proprio bilancio, tra le componenti attive, in apposito conto, l’importo

2 Corte di giustizia CEE, Lussemburgo 15 dicembre 1995, in Raccolta della giurisprudenza della Corte di giustizia, n. C-415/93, p. 4921-5082.

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massimo pari al valore dell’indennità relativa al detto premio maturata alla data del

30 giugno 1996; che le dette società che si avvalgono della detta facoltà debbono

procedere all’ammortamento del valore iscritto entro tre anni dalla data del 15

maggio 1996, soggiacendo ai controlli che saranno eseguiti da ciascuna

Federazione sportiva. La possibilità di ammortizzare gli effetti sui bilanci delle

società sportive professionistiche della già citata sentenza della Corte di giustizia

delle Comunità europee postula una contestuale urgente accentuazione della

trasparenza della gestione di dette società. È a tale esigenza che risponde l’articolo

4, che incide, in via di urgenza ed in attesa di una organica riforma della legge 23

marzo 1981, n. 91, (Norme in materia di rapporti tra società e sportivi

professionisti), sulla natura giuridica e sull’ordinamento delle società sportive

professionistiche. Il comma 1 apporta modifiche all’art. 10 della legge n. 91 del

1981. Si sopprime il secondo comma di tale articolo, consentendo in tale modo,

com’è naturale per tutte le società di capitali, il perseguimento del fine di lucro

anche da parte delle società sportive professionistiche e prevedendosi,

contestualmente, la obbligatorietà della nomina del collegio sindacale. Si è

giudicato poi opportuno, considerare, il tipo di attività delle società in questione,

favorire il cosiddetto azionariato popolare escludendo la natura di «sollecitazione

del pubblico risparmio» per il collocamento di azioni di importo unitario non

superiore a dieci milioni di lire. Sempre nell’obiettivo della più compiuta

trasparenza il comma 2, infine, prescrive una verifica della gestione amministrativa

delle società professionistiche prima dell’inizio dei campionati, onde impedire che

eventi patologici possano sopravvivere a campionato in corso, così alterando le

competizioni, mentre, con il comma 3, si consente anche alle Federazioni sportive

di agire ai sensi dell’articolo 2409 del c.c..

1.3. I lavori parlamentari.

1.3.1. Alla Camera (3).

3 Dai bollettini della Giunte e delle Commissioni dei giorni 2, 3, 16, 17 e 22 ottobre 1996

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Il disegno di legge è stato presentato alla VII commissione (Cultura) della Camera,

in sede referente il 21 settembre 1996.

Sin dall’inizio il dibattito è stato incentrato sulla necessità di valorizzare il settore

giovanile, che a seguito degli effetti della «sentenza Bosman» avrebbe potuto avere

contraccolpi disastrosi. Infatti, a seguito di alcuni emendamenti (4), è stato dichiarato

che «l’atto costitutivo deve prevedere che una quota parte degli utili, non inferiore al

10%, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-

sportiva».

Il disegno di legge presentato dal Governo (d.l. 485/96, art. 4 lett. b) si limitava a

sopprimere il disposto del comma 2, art. 10 legge n. 91/81 (riguardante il

reinvestimento nella società degli utili per il perseguimento di fini sportivi), con la

conseguente possibilità per le società sportive di estendere senza limiti il loro raggio

d’azione e la possibilità di acquistare partecipazioni in settori diversi da quello

sportivo. Al fine di circoscrivere l’attività delle società sportive è stata inserita, con

un emendamento (5), la dicitura in base alla quale «l’atto costitutivo deve prevedere

che la società possa svolgere esclusivamente attività sportive ed attività ad esse

connesse o strumentali».

L’art. 4, lett. c) del disegno di legge (6), prevedeva, inoltre, che il collocamento di

azioni e di altri valori mobiliari effettuato dalle società sportive professionistiche tra

persone fisiche o giuridiche per importi unitari non superiori a dieci milioni di lire,

non costituisce sollecitazione del pubblico risparmio, allo scopo di favorire il c.d.

«azionariato popolare» attraverso una deroga agli adempimenti previsti per il

collocamento di azioni e di altri valori mobiliari.

4 Emendamenti: 4.6 degli On. Aracu, Aprea, Cavanna Scirea, Follini; 4.2 degli On. Butti, Angeloni, Napoli.

5 Emendamento 4.1 On. Butti, Angeloni, Napoli. 6 Art. 4 lett. c), d.l. 485/96: «Ai fini di cui agli articoli 18 e seguenti del decreto legge 8 aprile

1974, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 giugno 1974, n. 216, e successive modificazioni ed integrazioni, non costituisce sollecitazione del pubblico risparmio il collocamento di azioni e di altri valori mobiliari effettuato dalle società sportive professionistiche tra persone fisiche o giuridiche per importi unitari non superiori a dieci milioni di lire».

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In ordine alla disposizione appena citata, è importante notare che nella seduta del

22 ottobre 1996, la VI commissione (Finanze) ha espresso parere favorevole ad

disegno di legge subordinando, però, il suo consenso all’abolizione della stessa lett.

c) del comma 1 dell’art. 4 (che prevede l’azionariato popolare), in quanto essa non

presterebbe idonee garanzie per la tutela dei risparmiatori e risulterebbe in contrasto

con la direttiva CEE 298/89 in materia di coordinamento delle condizioni di

redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l’offerta pubblica di

valori immobiliari.

I commi 2 e 3 dell’articolo 4 del disegno di legge (7), modificando profondamente

la normativa sui poteri di controllo spettanti alle Federazioni sportive nazionali,

stabilivano rispettivamente sia una norma che, al solo fine di garantire il regolare

svolgimento dei campionati sportivi, sottoponeva le società sportive a controlli sulla

gestione amministrativa, da parte delle Federazioni sportive nazionali, le quali ne

verificano l’equilibrio finanziario, sia il conferimento alle predette Federazioni del

diritto di procedere alla denuncia al Tribunale, in caso vi fosse il fondato sospetto di

gravi irregolarità, degli amministratori e dei sindaci delle società sportive.

Queste disposizioni hanno sollevato in sede di discussione, perplessità circa i

pericoli insiti nella previsione che, al fine di garantire il regolare svolgimento dei

campionati, annovera il diritto per le Federazioni sportive di procedere alla denuncia

al Tribunale in caso di gravi irregolarità, escludendo di fatto l’intervento immediato

da parte di organi, quali ad esempio la Commissione di vigilanza sulle società

calcistiche (CO.VI.SO.C), la cui attività di controllo è certamente più rapida ed

idonea rispetto ai tempi lunghi dell’autorità giudiziaria.

7 Art. 4 d.l. 485/96:comma 2: - L’art. 12 della legge 23 marzo 1981, n. 91, è sostituito dal seguente:«Art. 12 (Garanzia per il regolare svolgimento dei campionati sportivi).Al solo scopo di garantire il regolare svolgimento dei campionati sportivi, le società di cui

all’art. 10 sono sottoposte a controlli sulla gestione amministrativa, al fine di verificare l’equilibrio finanziario, da parte delle Federazioni sportive nazionali, per delega del CONI, secondo modalità e principi da questo approvati»;

comma 3: - L’articolo 13 della legge 23 marzo 1981, n. 91, è sostituito dal seguente:«Art. 13 ( Potere di denuncia al Tribunale).Le Federazioni sportive nazionali possono procedere, nei confronti delle società di cui all’art.

10, alla denuncia di cui all’articolo 2409 del codice civile».

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In virtù di ciò è stato presentato un emendamento (8) che ha consentito di sostituire

il comma 2 dell’art. 4 del d.l. 485/96, con il seguente: «al solo scopo di garantire il

regolare svolgimento dei campionati sportivi, le società di cui all’art. 10 sono

sottoposte, al fine di verificare l’equilibrio finanziario, ai controlli ed ai conseguenti

provvedimenti stabiliti dalle Federazioni sportive, per delega del CONI, secondo

modalità e principi da questo approvati».

In altri termini con la disposizione in esame si è riconosciuto alle Federazioni la

potestà non solo del controllo finanziario, ma anche di adottare i conseguenti

provvedimenti necessari (ad es. iscrizione o esclusione dal campionato, la revoca dei

finanziamenti, ecc.)

Vista l’urgenza richiesta dalla fattispecie, in aula (seduta del 4 novembre 1996)

l’esame del disegno di legge si è svolto su toni relativamente distesi, tanto che, il

disegno è stato approvato a larga maggioranza (9).

1.3.2. Al Senato ( 10).

Il dibattimento nella VII commissione (Istruzione pubblica, Beni culturali) del

Senato è stato relativamente celere, soprattutto per la consapevolezza mostrata dai

Senatori circa la peculiare importanza e urgenza del provvedimento in discussione,

volto a sanare una situazione realmente drammatica. Il Presidente della commissione (11), ha sottolineato che la eventuale crisi delle società sportive avrebbe avuto

ripercussioni gravissime, coinvolgendo migliaia di persone e compromettendo i

meccanismi di finanziamento dello sport.

8 Emendamento 4.4. On. Aracu, Aprea, Cavanna Scirea, Follini.9 Presenti............... 436 Votanti................. 261 Astenuti................175 Maggioranza........131 Hanno votato sì .............. 256 Hanno votato no ............. 510 ? Dai bollettini delle Giunte e delle Commissioni dei giorni 7 e 12 novembre e dal Resoconto

sommario del Senato della Repubblica, atto n. 1612 del 14 novembre 1996. 11 Sen. Ossicini. Seduta del 7 novembre

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1.3.3. Impegni al Governo da parte delle Camere.

Nello svolgimento del dibattito parlamentare sono state messe il luce alcune

lacune del provvedimento legislativo in fase di approvazione.

In sostanza le Camere hanno evidenziato i seguenti punti:

il decreto legge in esame non considera la particolare situazione in cui

vengono a trovarsi quelle società sportive che retrocedono dal settore

professionistico a quello dilettantistico;

la necessità che la suddetta fattispecie venga adeguatamente regolata

nell’ambito delle normative delle Federazioni sportive nazionali, a tutela delle

società sportive dilettantistiche;

l’esigenza di potenziare ed incentivare le attività sportive giovanili, che

rappresentano, tra l’altro, il «vivaio» cui le società professionistiche fanno

riferimento per la selezione degli atleti;

l’opportunità che le società sportive professionistiche siano messe in

condizione di dare il proprio contributo all’incentivazione dei «vivai giovanili»;

la disciplina da parte del d.l. 20 settembre 1996, n. 485 di solo alcuni

aspetti limitati della disciplina del professionismo sportivo;

considerato che il ciclismo professionistico è organizzato su piano

internazionale senza alcun vincolo di territorialità, è indispensabile armonizzare la

normativa italiana in materia societaria, fiscale e dei rapporti di lavoro con quella

degli altri paesi europei (12);

l’esigenza, quindi, di innovare in modo organico la norme che regolano

il professionismo sportivo, tenendo conto anche delle discipline sportive

individuali.

Le Camere a seguito di tale analisi hanno impegnato il Governo:

12 Le società ciclistiche professionistiche abbandonano le nostre Federazioni per affiliarsi a quelle straniere in virtù di una migliore situazione fiscale. Attualmente solo 3 o 4 sono affiliate in Italia.

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a) affinché nel rispetto del principio della autonomia dell’ordinamento

sportivo, adottasse nei tempi più brevi i necessari provvedimenti a sostegno

dell’associazionismo sportivo dilettantistico, restando demandata nel contempo

all’autonomia normativa delle Federazioni sportive nazionali la regolamentazione

delle situazioni relative alle società sportive che retrocedono dal settore

professionistico a quello dilettantistico (13);

b) ad intervenire presso gli organismi competenti al fine di sottolineare a

questi ultimi l’opportunità di tenere conto, nella determinazione del premio, della

situazione delle società minori ovvero di quelli iscritte ai campionati di serie C o

categoria ad essa equipollente e in quelli inferiori;

c) ad intervenire, sempre presso gli organismi competenti, al fine di invitare

questi ultimi a considerare la possibilità di adeguare il contributo annuale in favore

delle società di serie C, o categoria ad essa equipollente, o delle società

dilettantistiche alle rispettive e crescenti esigenze di bilancio;

d) ad adottare tutte le opportune iniziative, nell’ambito di una più generale

riforma della legge n. 91 del 1981, volte a favorire lo sviluppo dei «vivai», in

particolare prevedendo la deducibilità fiscale delle erogazioni liberali delle società

sportive professionistiche a favore delle scuole giovanili di addestramento e

formazione tecnico-sportiva, per un ammontare complessivamente non superiore

al 10% del reddito di impresa dichiarato;

13 La disciplina di queste società ed associazioni fra le quali rientrano circa settantamila associazioni sportive senza fini di lucro, non è stata fino ad oggi oggetto di specifica attenzione da parte del legislatore se non per dettare alcune norme generali del tutto indifferenti verso problemi ed esigenze vitali. Alle associazioni e società sportive “senza finalità di lucro” sono oggi riconosciute alcune agevolazioni fiscali, comunque non sufficienti ad evitare che queste organizzazioni volte alla pratica ed alla diffusione della attività sportiva si vedano pur sempre pressate dal nostro ben noto sistema tributario, pur essendo “NO PROFIT”. Un progetto di legge, presentato dal Ministro Veltroni (attualmente in Parlamento ne giacciono ben otto), prevede, che, ferma restando la distinzione fra organizzazioni “PROFIT e NO PROFIT”, queste ultime possano godere di una serie di effettive agevolazioni in considerazione del fatto che la loro attività viene riconosciuta ad “utilità sociale (è certamente tale l’attività di pratica, diffusione e promozione dello sport). Si prevede dunque la “applicazione del regime tributario delle organizzazioni non lucrative ad utilità sociale”. Chiaramente resta fermo l’obbligo di reinvestire i proventi attivi nell’attività sportiva, se si vuole ottenere il riconoscimento da parte del CONI, necessario per frurire delle agevolazioni previste. Così D. G. CASTAGNETTA, Dilettanti alla riscossa?, in “Ora”Legale del 31 gennaio 1998

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e) in sede di predisposizione delle modifiche alla normativa vigente sul

professionismo sportivo a tener conto delle particolari esigenze di quelle discipline

sportive individuali che operano esclusivamente in sede internazionale.

2. Gli elementi di novità della nuova disciplina.

Il d.l. 485/196 come convertito dalla legge 586/1996 ha inciso in modo rilevante

sulla disciplina dettata dalla l. 23 marzo 1981, n. 91.

Le principali modifiche possono essere così sintetizzate:

abolizione dell’indennità di preparazione e promozione già prevista

dall’articolo 6 della l. 91/81;

previsione di un premio di addestramento e formazione tecnica da

corrispondere, in caso di primo contratto, a favore della società o associazione ove

l’atleta abbia svolto l’attività dilettantistica o giovanile;

obbligo di reinvestimento del suddetto premio nel perseguimento di fini

sportivi;

esclusione del premio dalla determinazione del reddito (disposizione

introdotta in sede di conversione);

previsione della possibilità, per le società sportive, di iscrivere in

bilancio, tra le poste attive, in apposito conto, le indennità di preparazione e

promozione maturate sino al 30 giugno 1996;

necessità di procedere all’ammortamento, a ogni effetto, di tali somme

entro tre anni a partire dal 15 maggio 1996;

determinazione dell’oggetto della società sportiva (disposizione

introdotta in sede di conversione);

fissazione di un vincolo di destinazione per parte degli utili (disposizione

introdotta in sede di conversione);

obbligatorietà del collegio sindacale (disposizione rafforzata in sede di

conversione);

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soppressione del comma aggiunto all’art. 10 della l. 91/81 dall’art. 4,

lett. c), del d.l. 485/1996;

previsione, al fine del regolare svolgimento dei campionati, di controllo

da parte delle Federazioni sportive per delega del CONI al fine di verificare

l’equilibrio finanziario delle società (disposizione introdotta in sede di

conversione);

attribuzione del potere di denuncia ex articolo 2409 del c.c. alle

Federazioni sportive nazionali nei confronti delle società sportive.

3. Il trasferimento degli atleti.

3.1. Indennità di preparazione e promozione.

L’articolo 1 della legge 18 novembre 1996, n. 586 sostituisce l’art 6 della legge 23

marzo 1981, n.91 (Indennità di preparazione e promozione), il quale, in virtù della

libertà contrattuale dell’atleta al termine del rapporto di lavoro sportivo, prevedeva:

«le Federazioni sportive nazionali possono stabilire il versamento da parte della

società firmataria del nuovo contratto alla società sportiva titolare del precedente

contratto, di un’indennità di preparazione e di promozione dell’atleta professionista,

da determinare secondo coefficienti e parametri fissati dalla stessa Federazione in

relazione alla natura ed alle esigenze dei singoli sport».

Le indennità di preparazione e promozione costituivano il valore oggettivo del

cespite «atleta professionista» che, sommate tra di loro, formavano la voce «parco

giocatori», che normalmente rappresentava la componente più significativa del valore

dell’azienda sportiva.

L’indennità in questione era determinata dal parametro-base moltiplicato per il

coefficiente di cui ad una apposita tabella predisposta dalla Federazione secondo

criteri determinati in relazione alla natura e alla esigenze dei singoli sports. Il

parametro-base era rappresentato da tutti gli emolumenti globali lordi percepiti

mediamente dal calciatore nelle due ultime stagioni sportive (salvo il caso di contratto

annuale per il quale si faceva riferimento agli emolumenti percepiti nell’unico anno),

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e riferiti al compenso globale annuo ed all’ammontare dei premi corrisposti dalla

società e dalla Federazione, nonché alle eventuali quote di proventi percepiti per

attività promo-publicitarie svolte dalla società. Il tutto limitatamente agli emolumenti

risultanti dai contratti regolarmente depositati presso gli organi federali. Altro criterio

preso in considerazione era quello dell’età, oltre a quello se il passaggio del giocatore

avveniva fra società della stessa serie o tra società di serie diverse. L’età era

computata al momento in cui cessava il rapporto contrattuale con la società, e

secondo la categoria di appartenenza della società con la quale il calciatore aveva in

corso il contratto scaduto e di quella con la quale il calciatore aveva sottoscritto il

nuovo contratto.

L’importo delle indennità poteva essere ridotto, rispetto a quello determinato con i

criteri sopra indicati, solo con accordo scritto tra le due società interessate (14).

È opportuno precisare che i parametri come illustrati non rappresentavano

l’esclusivo ed unico riferimento per la definizione dell’indennità di preparazione;

infatti nella prassi si è riconosciuta una ampia autonomia alle Federazioni, nel senso

che, oltre ai criteri adoperati dalla Federcalcio (età del calciatore, emolumenti globali

lordi percepiti dalla società di appartenenza, categoria della società con la quale il

calciatore aveva in corso il precedete contratto nonché di quella di nuova

appartenenza)(15), si è resa possibile l’utilizzazione di altri parametri di

quantificazione ( durata del rapporto precedente, valore di ammortamento,

provenienza del vivaio, ruolo investito ecc.) (16).

L’art. 98, comma 2 delle Norme organizzative interne della FIGC (N.O.I.F.),

stabiliva che il diritto a percepire tale indennità non maturava in due ipotesi: nel caso

di declaratoria di risoluzione del contratto e nel caso di revoca dell’affiliazione.

14 In questi termini: A. FERRARI, Commento all’articolo 6 della legge 23 marzo 1981, n. 81, in Le nuove leggi civili commentate, 1982, p. 604; F. ROTUNDI, La legge 23 marzo 1981 n. 91 ed il professionismo sportivo: genesi, effettività e prospettive future. (parte seconda), in Riv. dir. sport, 1991, p. 43.

15 Cfr al riguardo l’art. 98 (Indennità di preparazione e promozione a favore della società titolare del precedente contratto professionistico) e l’art. 99 (Indennità di preparazione e promozione a favore della società presso la quale il calciatore ha svolto l’ultima attività non professionistica) delle norme organizzative interne (NOIF) della FIGC (Carte federali del 1990).

16 S. GRASSELLI, L’attività sportiva professionistica, in Dir. lav. 1982, p. 33

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La risoluzione del rapporto contrattuale è disciplinata dall’art. 117 delle Norme

organizzative interne alla Federazione che sopravvissuta alle modifiche di cui alla

legge 586/96, al comma 2, stabilisce che «essa può avvenire nei casi previsti dal

contratto tipo di cui all’accordo collettivo con l’Associazione di categoria nonché

dalle presenti norme». Un recente accordo collettivo tra la FIGC, la Lega Nazionale

Professionisti e l’Associazione Italiana Calciatori prevede, all’art. 17, che «la

morosità della società nel pagamento del rateo mensile degli emolumenti fissi, è

causa di risoluzione del contratto, qualora si protragga oltre il ventesimo giorno

successivo al termine previsto nel precedente art. 7», cioè alla fine di ogni mese.

L’indennità di preparazione e promozione era in stretta relazione con l’abolizione

del c.d. “vincolo sportivo”, previsto dall’art. 16 legge 91/81, tanto che si rese

necessario uno strumento alternativo che permettesse alle società di non subire

perdite in termini economici, in relazione a quanto investito nella preparazione e

promozione dell’atleta (17); andava, dunque, considerata «una sorta di contropartita

alle società conseguente al depauperamento obiettivamente derivante dalla suddetta

abolizione»(18). Infatti, le società di appartenenza contribuiscono economicamente alla

crescita tecnica ed atletica dei giocatori, il cui cessato utilizzo comporta per la società

titolare del precedente rapporto giuridico una diminuzione della potenzialità

agonistica, destinata, però, ad aumentare con la firma del nuovo contratto di lavoro (19).

Il pagamento di questa indennità da parte della società che stipulava il nuovo

contratto rimaneva svincolato dalla validità del contratto stipulato tra l’atleta libero

dal vincolo e la nuova società, e quindi non doveva costituire una condizione di

validità del contratto stipulato fra atleta e il nuovo club di appartenenza (20).

17 M. FRASCARELLI, Associazioni e società sportive, Milano, FAG, 1994, p.179 18 Così O. MAZZOTTA, Una legge per lo sport?, in Il Foro it., V, 1981, p.306; DURANTI D.

L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1983, I, p.721. 19 In tal senso F. BIANCHI D’URSO - G. VIDIRI, La nuova disciplina del lavoro sportivo, in

Riv. dir. sport., 1982, p.28. 20 F. ASCANI - C. MASERA, Il nuovissimo codice delle società sportive, Milano, FAG. p. 737.

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Secondo parte della dottrina(21) l’art. 6 legge n. 91/81 introduceva «un istituto

assolutamente estraneo alla disciplina del comune lavoro subordinato e fini[va] così

per rafforzare il convincimento sulla natura inusitata ovvero atipica del rapporto che

lega i giocatori alle società sportive, non riscontrandosi nella normativa statuale

analoghe forme indennitarie a beneficio del datore di lavoro».

L’indennità in questione poteva essere dovuta, nel caso di primo contratto

professionistico, alla società o alla associazione sportiva presso la quale l’atleta aveva

svolto la sua ultima attività dilettantistica (art. 6, comma 2, l. 91/81).

A favore della società o all’associazione sportiva che, in virtù di un tesseramento

dilettantistico o giovanile, aveva provveduto alla formazione iniziale ed

all’addestramento tecnico dell’atleta, era poi espressamente previsto il diritto di

prelazione nella stipula del primo contratto dell’atleta professionista, diritto

esercitabile anche in pendenza del precedente tesseramento, nei tempi e con le

modalità stabilite dalle diverse Federazioni sportive in relazione all’età degli atleti e

alle caratteristiche dei singoli (art. 6, comma 3, legge n. 91).

A tal proposito, era stato rilevato un «difetto di coordinamento» tra la disposizione

del comma 3, ora richiamata, e quella dell’art. 10, comma 1, legge 91/81, poiché,

mentre la prima conferiva il diritto di stipulare il primo contratto professionistico

anche alle associazioni sportive, la seconda stabiliva - rimanendo invariata nella

nuova legge - che potevano stipulare contratti con atleti professionisti soltanto società

costituite nella forma di S.p.A. o S.r.l.(22). Per risolvere questa apparente antinomia si

sosteneva che le associazioni sportive, che avevano proceduto al primo

addestramento dell’atleta, mentre avevano senz’altro diritto all’indennità di

preparazione, potevano invece esercitare il diritto di prelazione ex art. 6, comma 3,

legge n. 91, solo se si fossero costituite in forma di società per azioni o di società a

responsabilità limitata (23).

21 F. BIANCHI D’URSO - G. VIDIRI, La nuova disciplina, cit., p. 29. 22 V. FERRARI, Commento all’art. 6, cit., p. 58. 23 V. FERRARI, Commento all’art. 6, cit, p. 58.

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3.2. Premio di addestramento e formazione tecnica.

La nuova formulazione dell’art 6 legge 91/81 (art 1 legge 586/96), in conformità

con i principi enunciati dalla Corte di giustizia della Comunità europea («sentenza

Bosman»)(24), ha eliminato la previsione della corresponsione della c.d. “indennità di

preparazione e promozione” tra società sportive nel caso del trasferimento dell’atleta

professionista nei rapporti contrattuali conclusi tra società sportive di diversi Stati

comunitari, ma anche nei rapporti contrattuali tra società italiane (25). Oltre agli effetti 24 Al fine di agevolare la consultazione si rammenta sinteticamente che la Corte di Giustizia

della Comunità Europea con la sentenza 15 dicembre 1995, causa n. C-415/93, ha dichiarato illegittime, per contrasto con l’art. 48 del Trattato CEE (che garantisce la libera circolazione dei lavoratori nell’ambito dell’Unione europea), le disposizioni emanate dalle associazioni sportive in base alle quali un calciatore professionista cittadino di uno Stato membro può essere ingaggiato, alla scadenza del contratto, da una società di altro Stato membro solo previo pagamento di una indennità di trasferimento o formazione. Per una analisi dettagliata della vicenda si rinvia al Capitolo I di questo saggio.

25 Il Consiglio Federale (Corte Federale FIGC, pronuncia interpretativa 12 luglio 1996, in Riv. dir. sport., 1996, p. 789 s.) ha abrogato gli artt. 96-bis e 96-ter delle N.O.I.F., che prevedevano rispettivamente l’indennizzo per il tesseramento di calciatori già professionisti in favore di società associate alla Lega Nazionale Dilettanti e di calciatori già non professionisti in favore di società professionistiche, ed ha varato il nuovo testo degli artt. 97 e 98 del seguente tenore:

«97. (Premio di addestramento e di formazione tecnica). - Alla società presso la quale il calciatore ha svolto la sua ultima attività dilettantistica o giovanile, compete, da parte della società che stipula con lo stesso il primo contratto da “professionista”, un premio di addestramento e formazione tecnica.

98. Ai soli fini della previsione di cui all’art. 3 del d.l. 17 maggio 1995 n. 272 (rimasto immutato nel d.l. 485/96), il calcolo della indennità di preparazione e promozione da iscrivere eventualmente nel bilancio tra le componenti attive in apposito conto verrà effettuato in base ai criteri precedentemente vigenti secondo le modalità applicative contenute nel previgente testo dell’art 98 delle N.O.I.F. comprese anche quelle connesse alla ivi allegata tabella “A” ed assumendo in ordine alla categoria delle società l’ipotesi di trasferimento tra società della stessa categoria di appartenenza del tesseramento (A/A, B/B, C1/C2, C2/C2).

La suddetta norma è applicabile anche alle società che, nel triennio previsto dalla legge, entrino a far parte del Settore Dilettantistico».

Sempre secondo la Corte Federale, «ogni pretesa di corresponsione di tale indennità di preparazione e promozione non ha più fondamento giuridico.

Restano ovviamente salvi, secondo i principi generali della successione delle leggi nel tempo, i diritti maturati prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni nei casi di pronuncia passata in giudicato o di esaurimento del rapporto giuridico.

Nel caso di obbligazioni sorte precedentemente, che siano oggetto di contestazione giudiziaria pendente o di rimedio equivalente dinanzi agli Organi di Giustizia sportiva, trovano ugualmente applicazione le nuove norme.

Restano in ogni caso salvi i pagamenti dovuto a titolo di premio di addestramento e formazione tecnica in favore della Società od Associazione sportiva presso la quale l’atleta ha svolto la sua ultima attività dilettantistica o giovanile, nel caso di primo contratto da professionista, quale che sia la denominazione adottata per tale adempimento sulla base delle norme allora vigenti».

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strettamente tecnici la sentenza Bosman ha prodotto anche immediate ripercussioni

traumatiche sui bilanci dei clubs che, certi di una cospicua entrata economica alla

scadenza dei contratti dei propri calciatori, iscrivevano tra le poste attive dei bilanci

gli importi corrispondenti ai premi che pensavano di incassare in caso di cessione del

giocatore. Questo non può più verificarsi perché i clubs medesimi si vedono ora

privati del diritto a qualsiasi riconoscimento economico sempre che, è importante

sottolineare, il contratto sia giunto alla sua scadenza naturale. Il nuovo testo dell’art 6

legge 91/81, continua a prevedere, nel solo caso di primo contratto, la corresponsione

di un’indennità, da reinvestire nel perseguimento di fini sportivi, qualificata come

premio di “addestramento a formazione tecnica”, a favore della società o

associazione sportiva presso cui l’atleta ha svolto la sua ultima attività dilettantistica

o giovanile ed a carico della società che stipula con il calciatore il primo contratto da

professionista.

«Giova sottolineare che il premio non equivale ad indennità, che il presupposto è

l’addestramento e la formazione tecnica di un dilettante o giovane e mai la

promozione, il trasferimento o la semplice formazione e che le condizioni sono

costituite dalla prima nuova attività da professionista e dalla precedente attività

dilettantistica o giovanile, cioè né professionistica né semiprofessionistica. Non è più

concepibile un’indennità di preparazione e promozione per il trasferimento di un

calciatore professionista e non assume più alcuna rilevanza il trasferimento del

professionista o la retrocessione per qualsiasi causa della società di appartenenza ad

un Settore minore. Solo il passaggio dalla precedente attività dilettantistica o

giovanile verso la nuova prima attività professionistica è ritenuto compatibile con un

premio che, ripetesi, non è da confondere con una indennità. Restano ovviamente

salvi, secondo i principi generali della successione delle leggi nel tempo, i diritti

maturati prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni nei casi di pronuncia

passata in giudicato o di esaurimento del rapporto giuridico. Nel caso di obbligazioni

sorte precedentemente, che siano oggetto di contestazione giudiziaria pendente o di

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rimedio equivalente dinanzi agli Organi di Giustizia sportiva, trovano ugualmente

applicazione le nuove norme.

Restano in ogni caso salvi i pagamenti dovuti a titolo di premio e di addestramento

e formazione tecnica in favore della Società od Associazione sportiva presso la quale

l’atleta ha svolto la sua ultima attività dilettantistico-giovanile, nel caso di primo

contratto da professionista, quale che sia la denominazione adottata per tale

adempimento sulla base delle norme allora vigenti»(26).

Il legislatore ha anche mantenuto il diritto di tali associazioni o società a stipulare

il primo contratto professionistico con l’atleta da esercitare «in pendenza del

precedente tesseramento, nei tempi e con le modalità stabilite dalle diverse

Federazioni sportive nazionali in relazione all’età degli atleti ed alle caratteristiche

delle singole discipline sportive».

Al fine di evitare che la sentenza Bosman determini effetti negativi sui bilanci

delle società sportive (27), l’art 3 della legge 586/96 (28) prevede un regime fiscale più

favorevole, equiparando le somme versate quale premio di addestramento e

formazione tecnica alle operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto ai sensi

dell’art 10 del d.p.r. 26 ottobre 1972 n.633. Lo stesso art 3 prevede, inoltre, la

possibilità di iscrivere in bilancio, tra le poste attive, in apposito conto, un importo

massimo pari al valore delle “indennità di preparazione e promozione” maturate alla

data del 30 giugno 1996, in base ad una certificazione rilasciata dalla Federazione

26 Corte Federale FIGC, pronuncia interpretativa 12 luglio 1996, cit., p. 798

27 L’art 86, comma 9, delle norme organizzative interne della FIGC (N.O.I.F.) stabilisce che le società di cui all’art 10, comma 1, legge 91/81, per la formazione del bilancio con i relativi criteri di valutazione devono applicare le norme statali. Sulla base di questi punti si può affermare che esse devono redigere il loro bilancio di esercizio secondo le regole stabilite dagli art 2423 e s. del codice civile. Esse dovranno, cioè osservare i postulati generali della chiarezza e della rappresentazione veritiera e corretta indicati all’art 2423, osservare i principi di redazione del bilancio elencati all’art 2423 bis, adottare le forme tecniche di stato patrimoniale e di conto economico sviluppato negli art 2424 e 2425 c.c., applicare i criteri di valutazione di cui all’art 2426 c.c., ecc... Così S. DESIDERI, I bilanci delle società calcistiche, in Corriere trib., 1996,p.2089

28 Cosiddetto provvedimento «spalmaperdite», così soprannominato perché originariamente concepito per distribuire in tre esercizi di gestione le minusvalenze causate dalla «sentenza Bosman»

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sportiva competente, conforme alla normativa vigente. Tale valore deve costituire

oggetto di ammortamento entro tre anni a partire dal 15 maggio 1996, fermo restando

l’obbligo del controllo da parte di ciascuna Federazione sportiva ai sensi dell’art 12

(così come modificato dalla legge 586/96).

Questa operazione, così come determinata dalla nuova disciplina, «consente alla

società di evitare che il peso della sentenza Bosman si rifletta tutto su un solo

bilancio»(29). Rispetto alla precedente disciplina la legge 586/96 garantisce, in

sostanza, alla società che crea nuovi talenti, in occasione del primo contratto stipulato

con altra società, la possibilità di richiedere «un adeguato compenso per l’impiego

profuso per la formazione del nuovo atleta»(30). La legge in esame pone, però, un

preciso vincolo per la società beneficiaria del premio di addestramento e formazione

tecnica, e cioè l’obbligo di reinvestirlo per il raggiungimento di fini sportivi. Si può

osservare come gli effetti della sentenza Bosman abbiano determinato una

situazione simile a quella verificatasi a seguito dell’abolizione del c.d. “vincolo

sportivo” disposto con l’art 16 l.91/81. Come ho avuto modo di commentare nel

precedente paragrafo, a seguito di tale riforma si era realizzata per le società sportive

una riduzione di ricchezza, attesa l’impossibilità di iscrivere negli attivi di bilancio i

valori relativi ai diritti patrimoniali abrogati. Il legislatore, forse anche in

considerazione delle conseguenze patrimoniali sulle società sportive, aveva previsto

la possibilità della corresponsione di una “indennità di preparazione e di

promozione”, oggi cancellata, e la gradualità dell’abolizione del vincolo.

L’abolizione della suddetta indennità, operata dalla legge 586/96, poteva determinare

il venir meno di un’aspettativa patrimoniale, con eventuali conseguenze ai sensi

dell’art 2446 c.c. (riduzione del capitale sociale per perdite), se non fosse che la

stessa legge ha predisposto un piano di ammortamento in modo da consentire una

piena ma graduale attuazione degli effetti della riforma (31).

29 F. BAIGUERA, Premiati i club che “allevano” i giovani atleti, in Il Sole 24 Ore del 3 giugno 1996.

30 F. BAIGUERA, Premiati i club, cit.31 I. TRICOMI, Obbligatoria la costituzione del collegio sindacale, in IL Sole 24 Ore del 4

ottobre 1996.

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4. Peculiarità delle società sportive: struttura e scopo sportivo.

4.1. Le società sportive prima della legge 18 novembre 1996, n. 586.

La legge 23 marzo 1981, n. 91 («Norme in materia di rapporti tra società e

sportivi professionisti») non si limita a regolare i soli rapporti di lavoro tra le società

e gli sportivi professionisti ma spazia anche nell’ambito dell’ordinamento delle

società sportive, statuendo al primo comma dell’art. 10 che «possono stipulare

contratti con atleti professionisti solo società sportive costituite nella forma di

società per azioni o di società a responsabilità limitata».

La ratio di tale previsione si ricollega evidentemente «all’ambito di operatività

della legge che riguarda tutti i settori sportivi professionistici e non soltanto il settore

del calcio, nel quale la dimensione economica del fenomeno poteva anche giustificare

l’adozione imperativa della struttura più complessa propria della società azionaria»(32).

Lo stesso art. 10, testo previgente, al comma 2, disponeva che gli utili potevano

essere interamente reinvestiti nella società per il perseguimento esclusivo dell’attività

sportiva, impedendo quindi la distribuzione degli utili ai soci.

Infatti, mentre i tipi di società disciplinati dal codice civile hanno come scopo la

soddisfazione degli interessi economici dei soci, le società sportive, invece, dovevano

avere come finalità esclusiva la promozione e il potenziamento dello sport (33).

Non era invece precluso alle società sportive di realizzare utili (c.d. lucro

oggettivo), cioè di gestire lo sport con modalità che consentivano la produzione di

profitti (34).

La disposizione in esame poneva le società sportive nella peculiare condizione di

essere simultaneamente regolate dalle norme del diritto comune e da quelle del diritto

speciale. Infatti è stato osservato che la caratteristica delle società sportive era quella

32 P. VERRUCOLI, Le società e le associazioni sportive alla luce della legge di riforma (L. 23 marzo 1981, n. 91), in Riv. dir. comm. 1982, p. 149.

33 G. MILLOZZA, Ancora sulle società sportive, in Dir. fall. 1983 p. 38434 G. VOLPE, Il modello giuridico della società sportiva, in Riv. dir. sport 1986, p. 303.

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di porsi come soggetti in due ordinamenti: l’ordinamento generale dello Stato nel

quale operavano e l’ordinamento sportivo (35).

La questione dello “scopo di lucro” delle società sportive, costituite in società per

azioni, contenuto nella legge 91/81, ritenuta essenzialmente una legge per il calcio (36), traeva la sua origine nella nota riforma delle società calcistiche attuata dalla FIGC

con la delibera del 16 settembre 1966, riguardante il nuovo Statuto tipo delle società

calcistiche (37). Lo stesso, nelle regole introdotte, stabilisce:

a) l’obbligo di adottare la forma di società per azioni (38);

b) l’impossibilità di ripartire gli utili tra i soci (art. 22, secondo comma);

c) in caso di scioglimento della società, l’obbligo di devolvere le somme

residue ad un fondo di assistenza del CONI-FIGC, dopo la definizione dei rapporti

con i terzi e la restituzione ai soci del capitale versato (art. 23, secondo comma);

d) in caso di scioglimento del rapporto limitato al singolo socio, l’obbligo

di restituire allo stesso il solo valore nominale delle azioni possedute (art. 5 e 6) (39).

All’epoca, tale deliberazione suscitò notevoli e svariati problemi (40). Si ritenne che

la FIGC avesse agito non già nella propria qualità di organo dotato di competenza

normativa all’interno dell’ordinamento giuridico del gioco calcio, bensì come organo

del CONI e quindi con rilevanza esterna nell’ordinamento giuridico statale.35 M.T. CIRENEI, Società sportive, in Novissimo Digesto, UTET, 1987, VII, p. 389 36 A. LENER, Una legge per lo sport? in Il Foro it., 1981, V, p. 298.37 Con tale delibera la FIGC disponeva lo scioglimento degli organi ordinari di tutte le società

affiliate e inquadrate nella Lega Nazionale Professionisti e nominava in loro vece dei commissari straordinari con il compito di provvedere alla liquidazione delle stesse e alla loro contestuale ricostruzione in società per azioni.

38 Fino alla legge n. 91 del 1981, l’art 7 del Reg. Settore Professionisti prevedeva che le società inquadrate nel settore dovessero essere costituite nella forma di S.p.A. e che lo statuto e le modifiche dovessero essere approvate dalla Lega Nazionale Professionisti. L’art. 4 del settore Semiprofessionisti, invece, si limitava a prevedere che le società appartenenti alla Lega fossero costituite in una delle forme ammesse dalla Lega stessa

39 La decisione si inquadrava in un programma di risanamento finanziario del settore calcistico deliberato fin dal 29 ottobre 1965.

40 In relazione a tale delibera la Corte di Cassazione aveva affermato che la FIGC ha poteri dispositivi, cui sono tenuti ad uniformarsi gli enti aderenti, solo in materia disciplinare e tecnica, nonché in materia di regolarità contabile amministrativa, ma non ha invece il potere di interferire nella autorganizzazione e nella struttura associativa di detti enti perché si viene così a ledere un diritto soggettivo dei soci tutelabile davanti al giudice ordinario. In tali sensi cfr. Cass., sez. un., 19 giugno 1968, n. 2028, in Il Foro it., 1968, I, p. 2790; id. 7 marzo 1977, n. 925, ivi, 1977, I, p. 1441; id. sez. un., 5 gennaio 1981, n. 12, in Giur. it., 1981, I, 1, p. 335.

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La deliberazione si inseriva, infatti, nel quadro di una politica di «risanamento

finanziario» del settore calcistico professionistico e mirava, in sostanza, a creare

strutture giuridiche ben definite, in grado di assicurare una più oculata

amministrazione attraverso le nuove forme societarie, nonché la possibilità di

controllo da parte delle autorità sportive competenti (41).

Inoltre, l’assunzione della predetta forma societaria si poneva come condizione

necessaria per l’erogazione del mutuo sportivo, nonché per la concessione di

agevolazioni tributarie.

È utile sottolineare che la forma giuridica della società per azioni era imposta

esclusivamente dalla normativa federale e quindi con effetti meramente interni

all’ordinamento sportivo. Il motivo per cui, nonostante ciò, le società sportive

assumevano la forma di S.p.A. è facilmente intuibile. Una società calcistica

inquadrata nel Settore Professionisti che avesse rifiutato l’adozione della forma di

società per azioni, così come prevista dalla delibera del Consiglio Federale, non

ottenendo l’affiliazione, non poteva partecipare ai campionati di categoria. «Si

configurava perciò una causa di scioglimento per impossibilità di conseguimento

dell’oggetto sociale, quando naturalmente la società risultasse costituita con tale

obiettivo»(42).

La ratio della delibera della FIGC stava nella evidente consapevolezza che

l’attività delle società calcistiche professionistiche aveva ormai raggiunto movimenti

41 A. TOZZI, Le società sportive (natura giuridica e problematiche) (parte prima), in Riv. dir. sport. 1989, p. 185; G. VIDIRI, Le società sportive : natura e disciplina, in Giur. it. 1987, p. 51; P. VERRUCOLI, Le società e le associazioni sportive, cit., p. 139; C. FOIS, Commento all’art. 10 della legge 23 marzo 1981, n. 91, in Le nuove leggi civili commentate, 1982, p. 615.

42 M.T. CIRENEI, Società sportive, cit., p. 398.

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economici tali che solo un metodo di gestione imprenditoriale era in grado di

salvaguardare (43) (44).

Questa mutazione subita dalle società sportive fu recepita con tempismo dalla

giurisprudenza la quale si mostrò concorde circa la natura imprenditoriale delle

società calcistiche professionistiche.

Un esempio di ciò è dato dalla posizione che assunse la Corte di Cassazione nel

definire la motivazione alla sentenza che decise sulla domanda di risarcimento del

danno legato al celebre «caso Meroni» (45): la Corte (46) afferma che, dopo la delibera

del 1966, una volta assunta la forma di S.p.A., «la società calcistica sia da annoverare

tra le imprese soggette a registrazione (art. 2195 e 2200 c.c. in relazione all’art. 2082)

e che sia da qualificare come imprenditoriale l’attività economica organizzata che

essa istituzionalmente esercita col promuovere e organizzare manifestazioni

agonistiche che si traducono, nei confronti del pubblico cui sono destinate,

nell’allestimento, produzione e offerta di spettacoli sportivi. Se così è, non può

mancare in siffatta impresa, l’azienda, che dell’impresa è l’assetto strumentale (art.

2555 c.c.) consistendo essa nel complesso dei beni (cose corporali, beni immateriali,

rapporti giuridici attivi e passivi, rapporti di lavoro con il personale dipendente)

organizzati dall’imprenditore e da lui unitariamente destinati alla realizzazione della 43 Dal punto di vista giuridico è imprenditore chi svolge un’attività creativa di ricchezza con

«metodo economico»: l’impresa sussiste laddove l’attività venga esercitata in modo tale da essere astrattamente idonea a realizzare, nel lungo periodo, almeno la tendenziale copertura dei costi con i ricavi traendo da sé stessa i mezzi di sopravvivenza. Questa «economicità» deve essere obiettiva e cioè risultare da indici esteriori conoscibili dai terzi e con riferimento non ai singoli atti d’impresa, ma all’attività nel suo complesso. L’intento di raggiungere il profitto, che è l’eccedenza dei ricavi sui costi, degrada così, al pari, di ogni altra soggettiva previsione o aspettativa dell’agente, a semplice motivo giuridicamente irrilevante. Così, Cass., 14 luglio 1965, n. 1508, in Il Foro it., 1965, I, p. 1668.

44 Le società sportive furono costituite in origine per consentire ai soci la pratica atletica, tuttavia la connotazione campanilistica che ad ogni manifestazione veniva data dai tifosi spinse le stessa società ad organizzare un serivizio da offrire al pubblico a pagamento.

Questa forma di finanziamento ebbe all’inizio una funzione di sostegno dell’attività istituzionale dei sodalizi sportivi ma successivamente l’obiettivo primario alla partecipazione ai campionati sportivi gli fece assumere un ruolo primario. La conseguenza di tale trasformismo fu che le società sportive divennero in breve tempo delle vere organizzazioni complesse con un movimento di operazioni finanziarie di non poco conto. Così M.T. CIRENEI, Società sportive, cit., p. 394.

45 Gigi Meroni era un giocatore del Torino calcio che perì in un incidente stradale46 Cass., sez. un., 26 gennaio 1971, n. 174, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 107.

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finalità produttiva che egli si promette. E nulla impedisce che anche all’azienda

dell’impresa sportiva possa riferirsi il concetto di avviamento».

La giurisprudenza di merito andò anche oltre, dichiarando il fallimento di società

sportive, sulla scorta dell’esistenza della sola impresa, indipendentemente dalla veste

giuridica stessa (47).

A questo si aggiunse la difficoltà iniziale delle società sportive in ordine alla

omologazione degli atti costitutivi, ad opera dell’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art.

2330 c.c., poiché taluni giudici le ritenevano contrastanti con il disposto dell’art. 2247

codice civile che imponeva alle società il perseguimento dello scopo lucrativo.

A tal proposito, la Corte d’Appello di Trento (48) riformando la pronuncia di primo

grado(49), reputò di poter negare la violazione dell’art. 2247 in base ad una nozione di

scopo di lucrativo non coincidente con lo scopo lucrativo-distributivo (50). La

posizione che la Corte assunse può emergere da una sua pronuncia: «la ripartizione

degli utili deve riscontrarsi sussistente tutte le volte in cui gli associati si assicurino

un vantaggio in rapporto ai conferimenti, alle prestazioni e all’opera data [.....] si che

l’utile possa individuarsi non soltanto in un immediato vantaggio di natura

strettamente economica, ma nel soddisfacimento di interessi para-economici senza

con ciò snaturare il concetto del contratto societario»(51). Le due pronunce ora citate,

riflettono sinteticamente, ma esaurientemente, gli opposti termini del dibattito

dottrinale che si svolse dagli anni ’50 agli anni ’70, fra due diverse nozioni di «scopo

di lucro»: l’una «eminentemente soggettiva, secondo la quale il socio partecipa alla

47 Corte Appello di Firenze, 17 maggio 1974, in Riv. dir sport, 1974, p. 257; Trib. Venezia, 24 marzo 1983, in Il Fallimento, 1985, p. 196; Trib. Savona, 18 gennaio 1982, in Il Foro it., 1982, I, p. 832; Trib. Treviso, 10 marzo 1981, in Il Fallimento, 1982, p. 146; in senso contrario Trib. Salerno, 20 aprile 1977, in Giur. merito, 1977, I, 1015

48 Corte App. Trento, 18 maggio, 1970, in Riv. dir sport, 1970, p. 6949 Trib. Rovereto, 5 marzo 1970, in Il Foro it., 1970, I, p. 3164, il quale rifiuto l’omologazione

dell’atto costitutivo della S.p.A. «Unione sportiva Rovereto» dicendo che si ha scopo di lucro soltanto quando l’attività economica esercitata in comune produca utili direttamente a favore dei soci e non a fini sportivi.

50 Secondo S. LANDOLFI, Le società sportive e la problematica dell’adattamento, in Riv. dir. sport. 1986, p. 428, questa decisione costituiva una forzatura palese dell’art. 2247.

51 Contra Trib. Salerno, 14 aprile 1977, in Giur. merito, 1977, p. 105, ha così ritenuto che l’associazione sportiva non può essere considerata imprenditore commerciale perché ad essa manca sia la professionalità abituale dell’esercizio di un’attività economica, sia il fine di lucro.

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società allo scopo di lucrare i dividendi e le utilità patrimoniali conglobate nella quota

finale di liquidazione, l’altra, di tipo “oggettivo”, secondo cui lo scopo di lucro è

obiettivo finalistico della società quale soggetto economico, e soltanto indirettamente

si rifrange in capo ai soci, non necessariamente sotto forma di acquisizione di

individuali vantaggi patrimoniali»(52).

Nell’ipotesi di mancanza o di completa esclusione della clausola lucrativa, alcune

pronunce della Suprema Corte ritennero nullo il contratto per vizio della clausola,

salva la possibilità, attraverso il meccanismo di conversione del negozio, di pervenire

alla sua qualificazione come negozio associativo di altro tipo (53).

La particolare disciplina sulle società sportive fece sorgere dubbi sulla reale natura

giuridica delle stesse costituite in forma di società di capitali.

Per quanto riguarda la presenza negli statuti della clausola in forza della quale gli

utili non venivano distribuiti ai soci parte della dottrina commercialistica riteneva lo

scopo di lucro presupposto di qualificazione del contratto societario ed assegnava a

tale presupposto un contenuto esclusivamente economico, richiedendo che i soci

venissero mossi da ben definite finalità di incremento patrimoniale. Altra parte della

dottrina, invece, condivideva la teoria del lucro indiretto, sostenendo che una

devoluzione degli utili ad uno scopo ulteriore proprio dei soci importava, in

definitiva, devoluzione ai soci, sicchè anche la mancata distribuzione degli incrementi

patrimoniali ed il loro impiego a finalità diverse, purché comune ai soci,

concretizzavano una destinazione sostanzialmente conforme alla previsione dell’art.

2247 c.c.(54).

I sostenitori della prima tesi consideravano le società sportive solo formalmente

società di capitali, mentre sostanzialmente erano delle associazioni; gli altri

giungevano a conclusioni opposte (55).

52 P. VERRUCOLI, Le società e le associazioni, cit., p. 141-14253 Cass., 14 ottobre 1958, n. 3251, in Il Foro it. 1958, I, p. 1617; id. 6 agosto 1979, n. 2558, in

Giust. civ., 1980, I, 2256 s..54 G. VIDIRI, Le società sportive tra normativa speciale e disciplina codicistica, in Le Società,

1991, p. 751.55 M. FRASCARELLI, Associazioni, cit., p. 151.

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A giustificazione della peculiare natura delle società sportive, si fece notare (56)

che nonostante le società di capitali fossero disciplinate dal codice civile, nel corso

del tempo una serie di leggi speciali avevano introdotto delle società con una

regolamentazione in parte differente da quella codicistica in quanto perseguivano

scopi non economici o scopi economici di tipo diverso dalla divisione degli utili tra i

soci. La stessa dottrina osservò che la specialità di queste società poteva riguardare:

a) il momento soggettivo: la società poteva essere costituita solo da

determinati soggetti designati alla legge;

b) il momento oggettivo: la società doveva avere un particolare oggetto

sociale per essere sottoposta alla disciplina introdotta dalla legge speciale;

c) tutti e due: la società doveva avere un determinato oggetto sociale e

poteva essere costituita solo da determinati soggetti.

La Corte di Cassazione (57), in una sua sentenza, ebbe a definire la causa del

contratto di società come complessa. Infatti, essa era composta di due elementi

finalistici:

1) il perseguimento di utili ( cd. lucro oggettivo);

2) la ripartizione degli utili tra i soci ( cd. lucro soggettivo).

Da questo assunto si evince che affinché ci sia impresa è sufficiente il c.d. lucro

oggettivo, cioè l’organizzazione societaria deve essere in grado di produrre utili.

Perché ci sia società è necessaria, invece, anche la presenza del lucro soggettivo e

cioè la divisione degli utili tra i soci. Nei punti descritti risiede la giustificazione delle

peculiarità e della atipicità dello scopo-fine che era stato assegnato alle società

sportive. In altre parole, «la deviazione causale rispetto ai confini codicistici si spiega

proprio o per la particolarità dell’oggetto sociale oppure (o anche) per la

partecipazione alla società di soggetti, pubblici o privati, qualificati rispetto a quelle

indistinte “persone” cui si rivolge la disciplina del codice civile nel fissare l’ambito

causale generale per l’uso dei tipi societari»(58).

56 G. MARASA’, Società sportive e società di diritto speciale, in Riv. dir sport. 1984, p. 4 s. 57 Cass., 14 ottobre 1958, cit.

58 G. MARASA’, Società sportive, cit., p. 8

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La disarmonia creata dal legislatore realizzatasi con l’anomala figura della società

sportiva, si rivelò anche nelle decisioni dei giudici.

Così, se una parte della giurisprudenza affermava che nella società sportiva si

ravvisava un’organizzazione professionalmente e obiettivamente dedita al guadagno

e, perciò, assoggettabile al fallimento in quanto imprenditore commerciale (59), altra

parte esprimeva un giudizio totalmente negativo: «la società sportiva nella forma

della società a responsabilità limitata o della società per azioni costituisce una

degenerazione funzionale nei confronti della figura tipica della società delineata

nell’art. 2247 c.c., in quanto manca la finalità lucrativa»(60).

D’altra parte c’era chi osservava che, costringendo la gestione di tali società negli

innaturali confini della «non lucratività» si disincentivava l’economicità della

gestione, col rischio che i sodalizi sportivi finissero per essere gestiti non più al fine

di conseguire risultati economici, ma alla stregua del gioco spettacolo che essa

forniva (61).

Nell’ambito di questo contesto è opportuno inserire una considerazione sempre

attuale. Infatti, lo sport professionistico «per la sua enorme diffusione è

abbisognevole di notevoli mezzi economici, di una efficiente organizzazione e di una

amministrazione a carattere manageriale, sicché sembra ingenuo ed utopistico

ritenere che i soci dei sodalizi sportivi, ed in particolare quelli che rivestono incarichi

di preminenza e responsabilità negli organi direttivi ed amministrativi, siano indotti a

limitare i propri impegni professionali ed a rischiare ingenti capitali sulla base della

sola visione “ideale e romantica” dell’attività sportiva»(62).

59 Cfr Cass., sez. un., 26 gennaio 1971, n. 174, cit.; Trib. Livorno 27 giugno 1973, in Dir fall. 1973, II, 688; Corte d’Appello di Firenze 17 maggio 1974, cit.; in particolare il Tribunale Venezia 4 giugno 1984, in Fallimento, 1985, II, p. 196, ha statuito che le società sportive contemplate dalla legge n. 91 del 1981, al pari di tutte le altre società di capitali, non possono sottrarsi al fallimento, qualora vengano a trovarsi in stato di insolvenza, in quanto l’esclusione legale dello scopo di lucro non costituirebbe un elemento significativo per negare il carattere imprenditoriale dell’ente.

60 Trib. Napoli 6 maggio 1982, in Dir. fall, 1982, II, p. 1651; Trib. L’Aquila, 11 maggio 1985, in Le Società, 1985, 1311.

61 S. LANDOLFI, Sport e insolvenza, in Riv. dir. sport. 1987, p. 257 62 G. VIDIRI, Le società sportive, cit., p. 51

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Ci fu chi, con toni ancora più aspri considerò «davvero farisaico il tentativo di

avallare un’immagine del finanziatore dell’attività, cioè dell’azionista delle società

sportive, a quella di un mecenate interessato solo ai successi della propria squadra e

del tutto alieno da (biechi!) interessi economici»(63).

La non distribuibilità dei dividendi faceva correre il serio rischio che le imprese

sportive fossero gestite non già dall’homo oeconomicus, ossia da chi predispone

risorse economiche per conseguire rusultati altrettanto economici, ma dall’homo

ludens ossia da chi immagina l’impresa sportiva come un fenomeno accessorio dello

stesso «gioco-spetttacolo» che essa fornisce (64).

Di contrario avviso fu un’altra autrice (65), la quale pose l’attenzione sulla «realtà

sottostante allo sport professionistico nella sua complessità e peculiarità, tenendo

presente da un lato l’intreccio di rapporti economici interno all’ordinamento sportivo,

e dall’altro le molteplici vie attraverso le quali gli interessi economici connessi con

questa forma di sport trovavano il loro soddisfacimento senza passare per la diretta

remunerazione del capitale investito nella società».

Infatti, si sottolineò che nel previgente contesto economico-sociale, l’utile ex art.

2247 c.c., poteva individuarsi non soltanto in un immediato vantaggio economico, ma

nel «soddisfacimento di interessi paraeconomici senza con ciò snaturare il concetto di

contratto societario»(66).

La mancanza dello scopo di lucro era, a ragione, considerata anacronistica anche

dalla realtà ove le gestioni delle società sportive a livello professionistico esigevano

l’impiego di enormi capitali con la conseguente necessità di compensare gli esborsi

attraverso gli utili provenienti dalle cd. «sponsorizzazioni» e con i vantaggi che, dalla

notorietà legata all’agonismo sportivo, indirettamente derivavano alle attività

imprenditoriali di chi presiedeva i vari sodalizi sportivi. Per non parlare, ovviamente,

degli incassi provenienti dalla organizzazione dello spettacolo sportivo da sempre 63 G. MARASA’, Società sportive, cit., p. 18; in tal senso anche G. MILLOZZA, Le società

sportive, in Le Società, 1984, p. 141 64 S. LANDOLFI, Sport e insolvenza, cit., p. 257-25865 G. VOLPE PUTZOLU, Oggetto «sociale» ed esercizio dell’impresa nelle società sportive, in

Riv. dir. civ., 1985, p. 33466 M. CUPIDO, Elementi di atipicità delle società sportive, in Le Società, 1990, p. 913

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calamita di folle enormi e ineguagliabili da nessun altra forma di spettacolo(67). A tutto

questo faceva seguito negli anni, la nascita di gestioni a carattere manageriali basate,

come qualsiasi altra impresa, su rigorosi principi economici e imprenditoriali.

Non si vedeva per quale ragione un simile ente dovesse sfuggire alle norme

previste per tutte le altre S.p.A. o S.r.l., visto le cifre da capogiro che le stesse società

investivano per acquistare un solo giocatore (68).

Inoltre, la mancanza dello scopo di lucro aveva, come abbiamo visto, effetti diretti

sugli azionisti delle società sportive di capitali, i quali non potevano ottenere una

remunerazione periodica al loro investimento e nemmeno guadagni in sede di

liquidazione della quota (69).

Infatti, le azioni di queste società non incorporavano i normali diritti patrimoniali

inerenti alla partecipazione alla S.p.A., ossia non davano diritto ad una parte

proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione (70) ;

pertanto l’unico modo in cui gli azionisti potevano conseguire un guadagno era quello

della cessione della propria quota di partecipazione sociale, lucrandone la plusvalenza

rispetto al valore nominale (71).

Infatti, la regola della “non lucratività” nulla toglieva al regime della libera

trasferibilità della quota azionaria (fatta salva, naturalmente, la contraria previsione

statutaria per la S.r.l. ex art. 2479) ed all’applicabilità alla stessa delle comuni regole

del mercato. Sicché, se il socio vendeva la sua azione e ne traeva un lucro questo

poteva essere legittimamente incamerato dallo stesso (72).

67 Così G. MILLOZZA, Le società sportive, cit., p. 13868 G. MILLOZZA, Ancora sulle società, cit., p. 389 69 Non era, quindi, applicabile l’art. 2350 c.c. che stabilisce il principio secondo cui le azioni

danno diritto ad una parte proporzionale degli utili netti e del patrimonio netto risultante dalla liquidazione.

70 L’art. 13 della legge 91/81 - vecchio testo - stabiliva che compiuta la liquidazione, ai soci non poteva essere rimborsato se non il valore nominale delle singole azioni spettando l’eventuale eccedenza al CONI

71 G. LAURINI, Curiosando tra gli enti «non profit»: dalle società sportive ai partiti politici, in Giur comm. 1993, p. 874; S. LANDOLFI, La nuova società sportiva, in Le Società, 1985, p. 16.

72 S. LANDOLFI, La nuova società sportiva, cit., p. 16.

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Si può quindi essere d’accordo con chi ha affermato che le azioni delle società

sportive rappresentavano una forma di impiego del capitale non certamente adatto

alla soddisfazione di interessi patrimoniali dei soci (73).

Al socio che recedeva, era ovviamente rimborsabile solo il valore nominale delle

azioni «vertendosi in questa un’ipotesi di liquidazione anticipata e parziale alla quale

non può applicarsi la regola generale sancita dall’art. 13 della legge n. 91 (per

contenuto art. 13 v. supra nota 226)» (74).

Insomma, non si vedeva perché il riconoscimento chiaro e sereno del diritto

dell’azionista sportivo a veder remunerata la propria partecipazione alla relativa

attività economica dovesse essere considerato necessariamente confliggente con una

moderna realistica concezione della corretta attività sportiva professionistica (75).

Da quanto sinora detto appare chiaro che la struttura della società di capitali, così

come è delineato nel nostro codice civile, mal si prestava ad essere utilizzata per la

gestione di fini ideali, quali quelli sportivi. Il fine lucrativo, impronta infatti tutta la

disciplina societaria. Ciò è dimostrato dalla posizione centrale del capitale sociale,

dallo scarso rilievo della persona del socio rispetto alla entità della sua partecipazione

e del legame indissolubile fra status di socio e partecipazione al capitale (76).

D’altra parte una posizione contraria era ben espressa in un commento di Fois: «le

dimensioni assunte dall’attività calcistica se, da un lato, tolgono a questa parte delle

caratteristiche sportive originarie, dall’altro, servono a configurarla come un’attività

industriale e commerciale che smuove interessi economici di enorme rilevanza, ai

quali possono far fronte meglio di ogni altro delle società organizzate secondo la

disciplina di quella per azioni prevista dal nostro ordinamento»(77).

4.2. La nuova disciplina sulla società sportive

73 G. MARASA’, Società sportive ,cit., p.12 74 S. LANDOLFI, La nuova società, cit., p. 17. 75 C. MACRI’, Problemi della nuova disciplina dello sport professionistico, in Riv. dir civ.,

1981, p. 496-497. 76 In questi termini A. TOZZI, Le società sportive (natura giuridica e problematiche) (parte

seconda), in Riv. dir. sport, 1989, p. 318-31977 C. FOIS, Commento all’art. 10, cit. p. 617

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4.2.1. Oggetto sociale e utili: la disciplina della legge 586/96

La legge 18 novembre 1996, n. 586 (in G.U. 20 novembre 1996, n. 272, che ha

convertito in legge, con modificazioni , il d.l. 20 settembre 1996, n. 485, in G.U. 21

settembre 1996, n. 222) abrogando e ribaltando il disposto dell’art 10, comma 2, della

legge 91/81, ha consentito la riespansione della disciplina generale dettata dal codice

civile in tema di società riguardo agli utili. Infatti, l’art. 2247 prevede, tra gli elementi

che caratterizzano il contratto di società, proprio la divisione degli utili, e come le

modalità di divisione degli stessi siano specificamente disciplinate nei diversi tipi di

società (articoli 2350, 2430 e 2433 c.c. per le spa e articolo 2492 del c.c. in ordine

alla S.r.l.)(78).

Viene così sancita per le società sportive professionistiche la possibilità di uno

scopo lucrativo «soggettivo», inteso come il diritto dei soci a vedersi riconosciuta una

percentuale degli utili in proporzione alle quote o azioni da loro possedute

Le novità apportate dalla legge 586/96 «riguardano formalmente il contenuto

dell’atto costitutivo, ma, di fatto, evidenziano l’esigenza di dare visibilità alla

diversità sostanziale della società sportiva rispetto alla società di capitali, da cui

mutua la struttura; tale diversità, infatti, permane, tenuto conto dell’oggetto

dell’attività sociale, anche in presenza dello scopo di lucro»(79). Così la legge 586/96

(art. 4, comma 1, lett. b) sostituendo il comma 2 art 10 legge 91/81, ha stabilito

quanto segue: «l’atto costitutivo deve prevedere che la società possa svolgere

esclusivamente attività sportive ed attività ad esse connesse o strumentali».

78Il Sen. Bergonzi nella seduta del 14 novembre ebbe a sottolineare che il decreto legge sanciva inoltre il principio secondo cui le società professionistiche possono operare a fini di lucro, riconoscendo così una situazione di fatto che deve però essere in futuro contrastata per evitare che lo sport continui ad essere dominato da logiche ad esso estranee. Sarà necessario in particolare prevedere controlli sui bilanci delle società sportive professionistiche per moralizzare vasti settori del mondo sportivo e del calcio in particolare. Analogamente il Sen. Pettinato nella stessa seduta affermò che il d.l. n. 485, faceva cadere il muro di ipocrisia con il quale si escludevano formalmente finalità di lucro da parte delle società sportive, ammettendo però nei fatti inammissibili pratiche illecite.

79 I. TRICOMI, Più visibile la diversità dalle società di capitali, in Il Sole 24 Ore, 29 novembre 1996.

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La disposizione in esame, a differenza della precedente (art. 10, comma due, l.

91/81), fa riferimento allo svolgimento di attività sportive e non più al

perseguimento esclusivo dell’attività sportiva.

La conseguenza di tale impostazione sarà, a mio avviso, che l’atto costitutivo

dovrà indicare tutte le attività sportive che la società intenderà svolgere.

Da ciò deriva che le società sportive dovranno indicare, pena l’indeterminatezza

dell’oggetto sociale e conseguente rifiuto di omologazione, una per una tutte le

attività sportive che intenderanno svolgere, e non, una mera indicazione tout court.

Le nuove disposizioni consentono alle nuove società sportive, senza alcuna

limitazione, di svolgere discipline diverse da quelle per cui sono nate.

L’intento del legislatore di limitare il “raggio di azione” delle società sportive a

settori diversi da quelli sportivi, potrà avere nel tempo conseguenze disastrose. Potrà

accadere ad esempio che una società sportiva, pur rispettando i limiti indicati dall’art.

2361 c.c., acquisti quote azionarie di una o più società sportive, partecipanti al

proprio o a campionati diversi, con conseguente minaccia dell’equilibrio sportivo dei

campionati (80).

Certo, le società potrebbero porre un freno a tale ingerenza inserendo nell’atto

costitutivo particolari clausole di gradimento (81).

Ma sono disposte a rinunciare a questi introiti le attuali società sportive?

Quello che comunque risulta evidente nella disposizione in esame, è la difficoltà

di dare una precisa qualificazione alla espressione “attività connesse o strumentali”

a quelle sportive.

Potrebbero rientrare in questa voce, attività come la produzione di attrezzature

sportive, di bevande, di indumenti, ecc..

80 L’orientamento al libero acquisto di quote azionarie di altre società sportive è stato, a mio avviso, implicitamente autorizzato dal legislatore quando, in sede di conversione in legge del d.l. 485/96, non è stato approvato l’emendamento 4.1. (degli on. Butti, Angeloni, Napoli) il quale recitava: «L’atto costitutivo deve prevedere che la società possa svolgere esclusivamente attività sportive ed attività ad esse connesse o strumentali. La società può assumere partecipazioni esclusivamente in società che svolgono attività sportive, purché non nel settore professionistico della medesima Federazione, ovvero ad esse connesse o strumentali»

81 V. articolo 10, comma sesto, legge 91/81 (nuovo testo); inoltre, vedi Capitolo II, pagina 78.

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Probabilmente l’obiettivo che il legislatore si è prefisso è quello di instaurare

anche in Italia una politica di merchandising (cioè la vendita di maglie, cappellini,

agende e quant’altro) che già in altri Paesi europei consente alle società sportive di

acquisire considerevoli capitali (82).

La perplessità appena manifestata troverà, probabilmente, la sede più appropriata

nelle pronunce dei tribunali allorquando si dovrà procedere all’omologazione dell’atto

costitutivo di una società sportiva professionistica che menzionerà le c.d. “attività

connesse o strumentali a quelle sportive”.

E’ stato aggiunto, dalla l. 586/96, dopo il comma 2, art 10 l. 91/81, un nuovo

comma che prevede che una quota degli utili, non inferiore al 10%, sia destinata a

scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva. La norma, così,

individua espressamente e direttamente l’oggetto sociale delle società.

La legge 91/81, allorchè disponeva all’art 10, comma 2: «gli utili devono essere

interamente reinvestiti nella società per il perseguimento esclusivo dell’attività

sportiva», delimitava in maniera rigorosa l’oggetto della società «vietando

implicitamente lo svolgimento di attività estranee all’esercizio dello sport»(83).

Dunque, «il legislatore, proprio per l’intervenuta previsione dello scopo di lucro, ha

avvertito l’esigenza di delimitare in modo preciso l’oggetto delle società sportive, le

quali, va ricordato, proprio in ragione dello svolgimento di attività sportiva,

interagiscono con le Federazioni sportive e con il CONI»(84).

In ordine alla destinazione degli utili il legislatore ha posto un solo vincolo (non

inferiore al 10% a scuole giovanili o di addestramento e formazione tecnico-sportiva),

«intendendo così evitare che la realizzazione dello scopo di lucro si riverberi

negativamente sullo sviluppo delle risorse sportive, professionali e strutturali».

Ed infatti, se è vero che alla stregua di tale disposizione le società sportive

professionistiche sono tenute ad evolvere il 10% degli utili conseguiti a fini

determinati, non è men vero che la rimanente parte va distribuita ai singoli soci.

82 In Inghilterra la politica di merchandising del Manchester United realizza introiti per 11 miliardi a stagione.

83 G. VOLPE PUTZOLU, Oggetto «sociale», cit., p.339 84 I. TRICOMI, Più visibile la diversità, cit.

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Seguendo alla lettera la disposizione in esame, potrebbe verificarsi il caso di una

società sportiva che contempli nell’atto costitutivo una devoluzione totale (100%) dei

propri utili a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico sportiva, con la

conseguente violazione del disposto indicato dagli articoli 2247 c.c. e 2350 c.c in

tema di distribuzione degli utili, ma ancor più grave, di quello indicato nell’art. 2265

c.c. (divieto di patto leonino).

Inoltre la generica dizione “scuole giovanili di addestramento e formazione

tecnico-sportiva”, comporta per le società la possibilità di investire non solo nei vivai

“interni” ma anche in quelli di altre società.

4.2.2. Nuovi scenari per le società sportive professionistiche.

La legge 586/96 eliminando l’obbligo di reinvestimento degli utili per le società

sportive professionistiche, ha soddisfatto le esigenze, più volte reclamate, del mondo

del calcio

Conseguenza della possibilità che dallo sport si possano ricavare utili diretti è

l’ipotesi di quotazione in Borsa delle società sportive.

Il fine di lucro ha permesso, in sostanza, alle società sportive di accumulare utili

da dividere in chiusura di bilanci tra gli azionisti, e di equiparare i clubs calcistici a

qualsiasi altra società di capitali, rendendoli quindi oggetto di interesse da parte di chi

è in cerca di investimenti

Sulla base di questa considerazione la Commissione nazionale per la società e la

Borsa (Consob) - con funzione di controllo sulle società quotate alla Borsa italiana e

sull’accesso alla quotazione - ha dato il via libera definitivo alla quotazione delle

società calcistiche.

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L’orientamento della Commissione di controllo, basato sul regolamento n. 4088

dell’89 (85) e pubblicato su «Consob informa» (bollettino settimanale della Consob)

come risposta a uno specifico quesito, è stato il seguente:

«Le peculiarità caratteristiche dell’attività delle società di calcio, in linea di

principio, non costituiscono ostacolo alla quotazione dei relativi titoli.

In particolare, il regolamento in materia di ammissione alla quotazione consente

di derogare al requisito della redditività quando si tratti di società o enti in cui siano

intervenuti, nel periodo considerato, fatti gestionali che abbiano mutato in modo

stabile e rilevante l’andamento economico e la situazione finanziaria di tali soggetti.

Su tale base, perciò, non è indispensabile che i bilanci degli ultimi tre esercizi

delle società di calcio presentino tutti risultati economici in utile, sia a livello di

gestione ordinaria che di gestione complessiva, sempre che i relativi assetti

organizzativi e patrimoniali siano tali da assicurare stabili ricavi nel tempo, capaci

di attenuare l’aleatorietà delle entrate legate ai risultati sportivi.

Nel caso specifico delle società di calcio, però, non è consentito includere nel

computo del patrimonio netto, rilevante ai fini dell’ammissione di titoli alla

quotazione in Borsa, gli utili eventualmente risultanti da situazioni contabili

interinali».

La Consob, inoltre, ha approvato nuove norme che, cancellando l’“ostacolo” del

profitto triennale (ignoto a gran parte dei clubs) e il patrimonio minimo di dieci

miliardi, prevedono:

- il deposito di tre bilanci (o la loro “ricostruzione”), di cui l’ultimo certificato da

una società di revisione. Anche se, attenzione, nelle precisazioni della Consob, dette

in precedenza, c’è quello che impone, nel calcolo del patrimonio netto, di non

includere gli utili netti del bilancio interinale certificato. In altre parole, «non sono

valide le situazioni di bilancio temporanee, per esempio dopo la campagna

85 Tale regolamento consente «di derogare al requisito di redditività quando si tratti di società o enti in cui siano intervenuti, nel periodo considerato, fatti gestionali che abbiano mutato in modo stabile e rilevante l’andamento economico e la situazione finanziaria di tali soggetti».

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abbonamenti o trasferimenti: considerate soltanto situazioni consolidate che

riguardano tutto l’arco dell’anno»(86);

- la prevedibile capitalizzazione della società, che deve essere pari ad almeno dieci

miliardi, in sostituzione del riferimento al patrimonio. Anche in questo caso, è però

possibile l’ammissione a Piazza Affari per le società con capitalizzazione inferiore

«qualora la Borsa ritenga che i titoli possano attrarre un mercato sufficiente di

investitori, sia istituzionali sia risparmiatori-tifosi»(87). Per la Consob, dunque, una

società potrà essere considerata sana anche se per acquistare un campione blasonato

va in “rosso”;

- un flottante di almeno il 25 per cento.

Quello che non scomparirà, però, è il presupposto della capacità della società

ammessa al listino di generare utili, «come dovrà testimoniare l’intermediario

finanziario che, in base al nuovo regolamento, sarà sponsor delle matricola di

Borsa»(88).

Le nuove norme, infatti, prevedono «la nuova figura del “tutor”: un garante che

segue l’ammissione della società calcistica in Borsa credendo nelle sue possibilità e

intervenendo se la società si rivela un fiasco»(89).

In sostanza, anche se la società non è in utile basta poter dimostrare prospettive di

redditività, cioè aver compiuto investimenti, ricapitalizzazioni o ristrutturazioni in

modo tale da dare ampie garanzie sull’andamento economico e sulla situazione

finanziaria (90).

Tuttavia c’è da notare che le società di calcio, se quotate in Borsa, saranno

soggette, come tutte le altre imprese, alle norme sull’insider trading.

86 A. CAPONE, Borsa italiana come quella di Londra. Non occorrono più i tre bilanci in utile, in La Gazzetta dello sport del 10 dicembre 1997, p. 15.

87 M. SALVETTI, Caccia al gol in Piazza Affari, in Tutto sport del 10 dicembre 1997, p. 11.88 P. BOTTELLI, La Borsa apre le porte al calcio, in Il Sole 24 Ore del 10 dicembre 1997, p.

29.89 M. SALVETTI, Caccia al gol, cit., p. 11.90 M. SALVETTI, Caccia al gol, cit.

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A tal proposito la Consob si è dimostrata favorevole a sviluppare una prassi di

vigilanza che presenti elementi di novità rispetto a quella oramai acquisita per le altre

società quotate.

Da tutto questo emerge che oltre ad una gestione molto più trasparente della vita

societaria non saranno più possibili “soffiate” dei dirigenti su acquisti e cessioni dei

giocatori facendo previsioni sul titolo e sfruttando così le oscillazioni del listino.

Tuttavia con il “calcio mercato” che dura tutto l’anno il rischio di insider trading è

continuo.

Insomma, il debutto del football a Piazza Affari richiederà un vero e proprio salto

di qualità per gran parte dei clubs. Gli effetti saranno: aumento delle risorse e dei

controlli.

Infatti, la caduta del vincolo dei tre bilanci in utile è funzionale soprattutto ai clubs

di Serie A che vedono nella Borsa un’occasione per reperire risorse finanziarie,

rafforzare il patrimonio e sviluppare l’attività calcistica come una vera impresa

economica.

All’estero, infatti, «gloriosi clubs calcistici hanno già raccolto i risparmi di

migliaia azionisti, fedeli non solo ai colori del cuore, ma anche al motto secondo il

quale “business is business”»(91). I tifosi potranno diventare azionisti, proprietari di

una parte, sia pur piccola, delle loro beneamate. Si potrà quindi investire sulle società

sportive (in futuro ci saranno anche i team di Formula Uno) come se fossero normali

aziende produttrici di beni e servizi. Secondo un recentissimo studio della Mckinsey

& Company per la Lega calcio, il calcio italiano ha perduto complessivamente ben

1000 miliardi negli ultimi quattro anni. La stessa relazione ha evidenziato come in

Italia esistano più clubs professionistici (128) del resto d’Europa (92 in Inghilterra,

36 in Germania), quanto il fisco sia più opprimente in Italia che in Francia o Spagna,

e come stadi costosi, prezzi dei biglietti troppo elevati, uno scarso merchandising (per

via dei falsi), ma soprattutto dipendenza quasi assoluta da un «proprietario-mecenate»

ovvero da un «presidente-padrone», impediscano un aumento dei ricavi. (92)

91 S. DONARINI, Ora il calcio può entrare in Borsa, in Espansione di gennaio 1996, p.109.

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Per riequilibrare la struttura dei ricavi occorrerà per il futuro potenziare il

merchandising (come magliette e gadget della squadra), maggiori introiti dai diritti

televisivi, in particolare dalle pay per view (attualmente in forte crescita), gestione

diretta degli stadi e della ristorazione.

Finora, infatti, le società di calcio italiane conoscevano un solo tipo di voce attiva,

quella relativa ai biglietti venduti per le partite ed agli abbonamenti.

In Inghilterra, paese i cui clubs sono regolarmente quotati in Borsa, a spingere i

titoli dei “soccer team” sono soprattutto i ricavi provenienti dalla cessione dei diritti

TV, commercializzazione del marchio e gestione diretta degli stadi.

Una politica economica di questo tipo ha portato, tanto per rendere un’idea, il

titolo del Manchester United, una delle società di calcio inglesi maggiormente

blasonate, a triplicare in un anno e mezzo il proprio valore.

Le società calcistiche italiane possono trovare risorse importanti dal mercato, ma

dovranno, al tempo stesso dare maggiori garanzie e soprattutto dovranno condurre la

gestione in maniera manageriale e trasparente perché i controlli saranno più severi (93).

Cambierà anche il rapporto con i tifosi-azionisti: il pubblico da stadio che investirà

sulla sua squadra pretenderà un atteggiamento diverso, più cura e attenzione da parte

della società.

In altre parole al tifoso-azionista, non dovrà essere garantito soltanto un posto a

sedere nell’assemblea dei soci, ma anche la remuneratività del titolo.

Ma non bisogna dimenticare anche gli investitori istituzionali, ai quali non

interesseranno i risultati sul campo ma l’indice Mibtel.

Tuttavia le insidie sono dietro l’angolo.

A decidere della salute e della redditività delle aziende calcio, infatti, non saranno

solo i normali parametri economici finanziari, ma variabili indipendenti come ad

92 S. DONARINI, Ora il calcio, cit., p.109; M LIGUORI, Pallone in Borsa, in Investimenti di maggio 1997, p.36.

93 «È un vantaggio per le società e una garanzia anche per la Federcalcio, per chi deve fare i controlli, per la trasparenza e la correttezza amministrativa». Così Luciano Nizzola (presidente della FIGC) su La Stampa del 10 dicembre 1997, p. 17.

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esempio un goal mancato, l’infortunio di un bomber, un rigore concesso,

l’eliminazione da una coppa o il cambio di allenatore.

Sarà dunque importante, per un più solido assetto patrimoniale non concentrarsi

solo ed esclusivamente allo sfruttamento dei diritti per le prestazioni sportive dei

giocatori che oggi costituisce oltre l’ottanta per cento dell’attivo societario.

Dunque, il tifo si potrà fare a Piazza Affari e le azioni da seguire non saranno solo

quelle dei giocatori ma quelle finanziarie.

5. I controlli sulle società sportive.

5.1. La disciplina prevista dalla legge 91/81.

L’art 12 della legge n.91 del 1981- ora modificato dalla legge 586/96 - disponeva

che le società sportive professionistiche, costituite in forma di S.p.A. o S.r.l.,

venissero «sottoposte all’approvazione ed ai controlli sulla gestione da parte delle

Federazioni sportive cui sono affiliate, per delega e secondo modalità approvate dal

CONI». Disponeva, inoltre: «tutte le deliberazioni di tali società, concernenti

esposizioni finanziarie, acquisto o vendita di beni immobili, atti di straordinaria

amministrazione (94), sono soggetti all’approvazione delle Federazioni sportive

nazionali cui sono affiliate.

In caso di mancata approvazione era ammesso il ricorso alla giunta esecutiva del

CONI».

L’articolo successivo (art 13, comma 1), disponeva, a sua volta, che la

Federazione sportiva, per gravi irregolarità di gestione, potesse chiedere al Tribunale,

con motivato ricorso, la messa in liquidazione della società e la nomina di un

liquidatore.

94 Sono da considerare casi eccedenti l’ordinaria amministrazione, tutti gli atti idonei ad incidere, modificandole, sulle strutture economico-organizzative dell’impresa: così l’apertura o chiusura di sedi o stabilimenti, il rinnovo degli impianti, l’assunzione di collegamenti con altre imprese attraverso l’acquisto di consistenti partecipazioni azionarie ecc . Così D. VITTORIA, Le società sportive fra controlli federali e controlli giudiziari, in Contr. e impr. 1985, p.808.

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Un controllo sulle società sportive, soprattutto di natura tecnica e disciplinare, e in

più, anche contabile-finanziaria, era previsto già nella legge istitutiva del CONI, 16

febbraio 1942, n. 426, ed affidato, appunto alle Federazioni sportive nazionali (95).

Appena prima dell’entrata in vigore della legge n. 91, le sezioni unite della

Cassazione (96) avevano precisato che il controllo da parte delle Federazioni, in base a

quanto emergeva in particolare dagli art 2, 3 e 10 della legge n. 426, si riferiva

esclusivamente al coordinamento, alla vigilanza ed alla disciplina dell’attività

sportiva, mentre restava esclusa l’ingerenza nella loro organizzazione e strutturazione

e, in particolare, la facoltà di annullare i provvedimenti di nomina di amministratori o

di nominare commissari in loro sostituzione; sicché, in casi simili, si configurava la

lesione del diritto soggettivo della società sportiva affiliata alla propria autonomia

organizzativa e gestionale, tutelabile dinanzi al giudice ordinario.

Questo regime di controlli portò alla conclusione che il legislatore avesse

sottoposto le società sportive ad un sistema di controlli tali, da considerarle gli enti

più controllati del nostro ordinamento giuridico (97). La rigorosa scelta legislativa fu

unanimemente giustificata con l’esigenza di imporre alle società che agivano nel

95 Gli statuti della FIGC e delle società affiliate alla Lega professionisti (art. 19 Reg. del Settore Professionisti e art. 5 dello Statuto-tipo delle società del settore), attribuivano Lega la facoltà di prendere ogni iniziativa per attuare il controllo contabile-amministratico delle società affiliate, compresa la nomina di un commissario straordinario in caso di necessità. L’art. 19 dello statuto-tipo prevede inoltre che le deliberazioni degli amministratori che facciano sorgere un debito a carico della società, così come quelle relative al rilascio di garanzia sui beni sociali o alla emissione di cambiali, debbono essere approvate dagli organi federali.

96 Cass., sez. un. , 5 gennaio 1981, n. 12, in Giur. it. 1981, I, 1, p. 335. In precedenza la stessa Corte di Cassazione (Cass. 19 giugno 1968, n.2028, in Il Foro it., 1968, I, p. 2790) aveva preso posizione su una delibera di scioglimento adottata dalla FIGC nei confronti dei sodalizi appartenenti alla Lega nazionale delle squadre di serie A e B, di nomina di commissari straordinari con pieni poteri consiliari e assembleari, allo scopo di addivenire al risanamento finanziario delle associazioni sportive mediante la loro trasformazione in società di capitali. La delibera richiamava una disposizione statutaria che concedeva al Consiglio federale la facoltà di decidere in merito ad ogni questione che interessasse l’attività tecnico-sportiva della Federazione e lo sviluppo del gioco del calcio. La Suprema Corte ebbe ad escludere che i poteri riconosciuti dalla l. 426/42 (art 10), andassero al di là della «materia disciplinare, tecnica e finanziaria, nell’intento di assicurare alle singole associazioni sportive, pur nell’autonomia a ciascuna di esse garantita dai rispettivi statuti, quel collegamento necessario per assicurare all’organizzazione calcistica nazionale l’ordinato svolgimento della sua attività».

97 G. VOLPE PUTZOLU, Le società sportive, in Trattato delle Società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO - G.B. PORTALE, Torino, 1992, p.341.

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settore professionistico il rispetto dei criteri di economicità e di correttezza contabile

al fine di moralizzare il mondo dello sport ma, soprattutto, consentire la corretta

utilizzazione delle sovvenzioni e dei finanziamenti pubblici erogati dallo Stato. In

altre parole, la funzione di un così penetrante sistema di controlli era volta ad

impedire che le società sorte per il rafforzamento e lo sviluppo dell’agonismo

professionistico potessero in seguito vedere snaturata la loro funzione per servire

invece, attraverso forme di gestione poco limpide, intenti lucrativi dei soci (98).

Particolari problemi poneva l’interpretazione del 2° comma dell’art 12 legge

91/81, relativo all’approvazione delle singole deliberazioni da parte della

Federazione. Il controllo esercitato dalle Federazioni sportive non era un controllo di

mera legittimità ma entrava pesantemente nel merito della gestione sociale e ciò

assumeva una rilevante importanza poiché mirava a garantire che la gestione, in

conformità della struttura dell’ente, fosse sempre improntata a criteri di economicità,

nell’interesse, come si è già rilevato, dell’ordinamento sportivo, ma anche a tutela del

credito, perché i meccanismi di tutela del credito propri delle società di capitali non

erano sufficienti allo scopo quando, come nel caso di specie, l’obiettivo prioritario

dell’attività sociale non era la riproduzione della ricchezza(99).

Infatti, questi controlli federali, di merito e preventivi, avevano lo scopo di

prevenire l’insolvenza delle società sportive, ma finivano col vanificare

quell’autonomia societaria ribadita dal codice. In tal modo risultava alterato il ruolo

dei singoli organi societari nell’ambito della gestione della società ed, in particolare,

veniva di fatto vanificato il compito di quelli fra questi preposti alla tutela della

regolarità degli atti compiuti dagli Amministratori (100).

Viceversa si sostenne (101) che, l’attività di controllo pubblico delle Federazioni

sportive nazionali, sotto l’aspetto del suo esercizio, era disposta in termini di pura

legalità; solo raramente, nei casi previsti, essa assumeva anche il merito della scelta

98 G. VIDIRI, Le società sportive, cit., p. 58 99 G. VOLPE PUTZOLU, Le società sportive, cit., p. 341.100 A. TOZZI, Le società sportive, cit., p. 315 101 G. CHIAIA NOYA, I controlli sulle società sportive, in Riv. dir. sport, 1989, p. 453 -454

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concreta. Vista invece sotto l’aspetto della sua funzione, essa era volta alla verifica di

compatibilità e coerenza delle scelte effettuate rispetto agli interessi di più ampia

portata facenti capo agli organi controllanti. In breve, il controllo, dal punto di vista

funzionale, era il momento di verifica dei riflessi che l’attività delle società sportive

svolgeva a livello sovraistituzionale, sia sotto l’aspetto formale (valorizzazione e

rispetto dei reciproci ambiti di autonomia), sia sotto l’aspetto sostanziale (raccordo e

riscontro degli interessi governati e ripartiti tra soggetto controllante e soggetto

controllato).

Per quanto detto, ed in ragione alla natura privata delle società sportive, l’ambito

di operatività dei controlli amministrativi era segnato dall’interesse pubblico acchè il

fenomeno sportivo e le società controllate traessero dai controlli ragioni di equilibrio

e di sviluppo: non già quella di sindacare la liceità e trasparenza delle scelte aziendali

a fini di tutela di interessi privati.

Ne deriva che i controlli ex art 12 non apportavano al privato un diritto soggettivo

alla loro regolare effettuazione, in quanto, come premesso, da un lato, sottendevano

un rapporto pubblicistico al quale comunque i terzi rimanevano estranei; dall’altro si

ponevano fini di interesse generale, rispetto al quale la posizione dei terzi era di

interesse legittimo.

Altra parte della dottrina (102) riteneva che tale approvazione integrasse il

procedimento di formazione della delibera o condizionasse la sua efficacia; ma ciò,

ancora una volta, esclusivamente sul piano dell’ordinamento sportivo nel senso, che

la società che attuava una delibera non approvata poteva essere imputata di cattiva

gestione con la conseguenza della revoca dell’affiliazione e dello scioglimento.

La legge in parola consentiva alla Federazione una certa discrezionalità di

valutazione di fronte alle gravi irregolarità riscontrate nella gestione della società

sportiva controllata. Come testimoniava la dizione usata dall’art 13 della l. 91/81, si

prevedeva che in caso di gravi irregolarità, «la Federazione sportiva nazionale

può[poteva] richiedere al Tribunale con motivato ricorso, la messa in liquidazione

della società [.....]». Tuttavia la discrezionalità di valutazione si trasformava in 102 C. MACRI’, Problemi della nuova disciplina, cit., p. 500-501

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obbligo solo qualora i creditori di una società sportiva avessero chiesto al Tribunale

l’accertamento dello stato di insolvenza (103).

Ad ogni modo l’avere il legislatore richiesto l’approvazione non solo per gli atti di

assunzione debitoria ma anche per quelli di accrescimento patrimoniale (acquisto di

beni immobili) finiva «per rendere notevolmente estesi e penetranti i controlli e per

ridurre in aree non agevolmente delimitabili, e comunque del tutto marginali,

l’autonomia e la libertà gestionale delle società sportive»(104).

Di particolare importanza era il rapporto tra la disposizione sancita dall’art 13

legge 91/81 e quella dell’art 2409 c.c., ove la prima riguardava la liquidazione delle

società mentre la seconda era dedicata alla «denuncia al Tribunale» (105).

Sia l’art 13 che l’art 2409 descrivevano fattispecie per le quali la denuncia al

Tribunale di un fatto, cui la legge dava rilevanza, assumeva un ruolo fondamentale.

Per sancire una differenza tra le due norme si può dire, dunque, che «mentre nell’art

2409 c.c. viene messo in risalto il potere riconosciuto ai denuncianti, nell’art 13 si

pone in evidenza il fine cui l’esercizio del potere tendeva»(106).

In dottrina, a tal proposito, si manifestarono divergenti opinioni tra chi riteneva

che il controllo ex art 12, l. n. 91/81, escludesse l’intervento previsto dall’art 2409

103 D. VITTORIA: A proposito del caso Milan: a chi spettano e quali sono i controlli sulle società sportive, in Corriere giuridico, 1986 p. 327.

104 G. VIDIRI, Le società sportive, cit., p. 60.105 Il problema dell’applicabilità dell’art. 2409 alle società sportive era stato affrontato

precedentemente all’entrata in vigore della l. 91/81, con riferimento alla vicenda della S.p.A. Calcio Venezia: nell’occasione si erano pronunciati sia il Tribunale (decreto 20 luglio 1970) che la Corte di Appello di Venezia ( decreto 26 gennaio 1971 in Le Corti di Brescia , Venezia e Trieste, 1972, p. 50) e lo avevano risolto in senso affermativo, e cioè nel senso dell’applicabilità dell’art. 2409 c.c. alle società sportive

106 V. SALAFIA, Il controllo giudiziario sulle società di capitali cd. sportive, in Riv. dir. sport., 1985, p. 559.

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c.c. (107) e chi invece considerava il controllo di merito previsto dalla legge speciale

compatibile con il controllo giudiziario ex art 2409 c.c.(108).

A favore della prima tesi si sostenne (109) che, come nel nostro caso, i controlli

sull’attività in genere della società ex art 12, comma 2, l. 91/81, erano affidati alla

Federazione, per ciascun settore dello sport professionistico, perché si reputava

l’autorità federale dotata di una particolare attitudine, di cui era sfornita l’autorità

giudiziaria, a combinare le ragioni dell’ideale sportivo con le ragioni dell’impresa.

Sempre a sostegno dell’inapplicabilità dell’art. 2409 c.c. a tale tipo di società e

pertanto della cumulabilità con il procedimento previsto dall’art. 13, si riteneva che

l’applicazione dell’art. 2409 c.c alle società sportive, dava luogo ad uno

stravolgimento dello stesso sia nei presupposti, dal momento che era attivato, di fatto

da chi (la Federazione), aveva ampie facoltà di controllare l’operato di coloro che

gestivano la società (110), sia nelle finalità, poiché il controllo giudiziario previsto

dall’art. 2409 c.c. era volto a tamponare «una temporanea patologia nella conduzione

amministrativa dell’ente».

D’altra parte il procedimento di liquidazione previsto dal più volte menzionato art.

13, vecchio testo, veniva utilizzato «nel quadro di una tattica di temporeggiamento

come strumento indiretto e atipico di salvataggio»(111) delle compagini societarie.

A sostegno dell’applicabilità dell’art. 2409 si sottolineò, invece, che i controlli

federali erano ordinariamente autorizzativi e solo in due specifiche ipotesi, revoca

107 R. DABORMIDA, Il controllo giudiziario negli enti di diritto speciale o soggetti a controlli di tipo pubblico: in particolare dell’applicabilità dell’art 2409 c.c. alle società sportive , in Giur. comm., 1988, p. 479 s.; D. VITTORIA. I controlli sulle società sportive: le Federazioni non li esercitano ma li chiedono al Tribunale, in Il Foro it. , 1986, I, p. 1083; ID., Le società sportive, cit., p. 813 s.; ID., Società sportive e controllo giudiziale ex art 2409 c.c.: la Federazione sta a guardare?, in Il Foro it., 1985, I, p. 3188-3189; ID., A proposito del caso Milan, cit., p. 326.

108 A. TRILLO’, Applicabilità del controllo giuridico ex art 2409 c.c. alle società sportive, in Riv. dir. comm., 1987, p. 521; G. VIDIRI, Le società sportive, cit., p. 61-62; C. MACRI’, Problemi, cit., p.501; C. FOIS, Commento alll’art. 10, cit., p. 647; G. MARASA’, Le società senza scopo di lucro, Milano, Giuffrè, 1984, p.502; M.T. CIRENEI, Società sportive, cit., p.403-404; V. SALAFIA. Il controllo, cit., p. 681 s.; G. CHINÈ, Società sportive, denuncia di grave irregolarità ed erronea valutazione in bilancio dei diritti alle prestazioni degli atleti pofessionisti, in Riv. dir. sport., 1994, p. 708.

109 D. VITTORIA, I controlli sulle società sportiva, cit., p. 1803. 110 D. VITTORIA, A proposito del caso Milan, cit., p. 328 .111 D. VITTORIA, A proposito del caso Milan, cit., p. 328.

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dell’affiliazione alla Federazione e richiesta di scioglimento, di tipo repressivo; che

inoltre i controlli federali erano innominati ed atipici rispetto alla specialità di

contenuto di quello previsto ex art 2409 c.c.(112).

In altri termini, la messa in liquidazione ex art. 13 e la revoca dell’affiliazione da

parte delle Federazioni ex art. 10, comma 6, comportavano come conseguenza

l’inibizione dello svolgimento della relativa attività sportiva (113).

A voler trovare una linea comune tra le due disposizioni, si può sostenere che le

gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri degli amministratori e dei sindaci (art

2409 c.c.) che la dottrina e giurisprudenza sinteticamente qualificavano come gravi

irregolarità amministrative, corrispondevano alle irregolarità di gestione di cui

trattava l’art 13 legge 91/81 (114).

Tutti i controlli di natura contabile-amministrativa cui si riferiva l’art. 12 della più

volte richiamata legge n. 91, nonché la disposizione di carattere sanzionatorio

stabilita dal successivo art 13 (facoltà di chiedere la messa in liquidazione della

società da parte della Federazione), erano inapplicabili in quanto inconciliabili con le

norme dettate dal codice civile per il funzionamento delle società di capitali le quali,

nel rispetto del principio della più rigorosa autonomia, miravano ad impedire ogni

interferenza nella gestione della società. Pertanto, tutti i controlli, le approvazioni, le

autorizzazioni e le sanzioni, imposti dagli statuti delle singole Federazioni, avrebbero

dovuto ricoprire un rilievo esclusivamente interno all’ordinamento sportivo e solo per

le attività e le questioni di carattere tecnico-sportivo, dovendosi negare alle

Federazioni stesse ogni possibilità di ingerenza nella gestione contabile-

amministrativa della società soggetta, esclusivamente sotto questo aspetto, alla

disciplina ed ai controlli stabiliti dal codice civile per le società di capitali (115).

Dall’inutilizzabilità della procedura ex art 2409 c.c., poteva risultare

«estremamente affievolita la tutela dei soci dei sodalizi sportivi», i cui diritti

rischiavano di essere compromessi da omissioni o carenze nell’esercizio dei poteri di

112 G. B. MACRI’, Società sportive: revoca della liquidazione , in Le Società, 1992, p. 1690 113 D. FICO, Il controllo giudiziario sulle società sportive, in Le Società, 1997, p. 101.114 V. SALAFIA , Il controllo giudiziario, cit., p. 560-561.115 G. MILLOZZA, Le società sportive, cit., p. 140-141

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controllo delle Federazioni, e la stessa sorte potevano subire i terzi che avevano

instaurato rapporti con tali sodalizi a seguito del mancato funzionamento dei

meccanismi di tutela del credito propri delle società di capitali. Si finiva, in tal modo,

per disincentivare la partecipazione alle società sportive e per rendere problematico il

ricorso al credito ed alle fonti di finanziamento indispensabile per la diffusione ed il

potenziamento dell’agonismo sportivo (116).

Il procedimento previsto dalla norma in questione operava nella direzione di

tutelare e garantire gli interessi dei soci di minoranza e dei creditori della società di

capitali, mirando alla sanatoria di irregolarità all’interno dell’assetto sociale (117).

Di qui si rileva ampiamente che i controlli ex art 12 non avevano natura esclusiva

e, pertanto, non potevano in alcun modo escludere quelli codicistici (118).

Non sussistevano ragioni fondate per una così profonda diversificazione del

controllo giudiziario che, essendo diretto sostanzialmente al raddrizzamento delle

gestioni societarie, non doveva essere limitato nelle società sportive all’assunzione di

un provvedimento particolare, come quello della messa in liquidazione (119).

In questi ultimi anni numerosi casi giudiziari sono nati sul tema dei controlli delle

società calcistiche, essendo evidentemente «venuto il nodo al pettine della regolarità

contabile e finanziaria della gestione, una volta acquisita e generalizzata la

costituzione in forma di società di capitali»(120).

La prima decisione che ha affrontato compiutamente la questione del rapporto e

del coordinamento fra l’art 13 della l. 91 e l’art 2409 cod. civ. è dovuta al Tribunale

di Genova (121).116 G.VIDIRI, Le società sportive, cit., p. 49; ID., Ancora sull’applicabilità dell’art. 2409 c.c.

alle società sportive, in Il Foro it. 1987, I, p.1605.117 Così G. VIDIRI, Ancora sull’applicabilità, cit., p. 1604.118 M. FRASCRELLI, Associazioni, cit., p. 156. 119 V. SALAFIA , Il controllo giudiziario, cit., p. 560-561.120 V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Milano, Giuffrè, 1995

p.84.121 Trib. Genova, 22 aprile 1985, in Il Foro it., 1986, I, p. 1081. In precedenza aveva dato corso

alla richiesta di revoca degli amministratori e dei sindaci, sollecitata dal p. m. a norma dell’art 2409, affermando che costituiscono gravi irregolarità anche le mancate prescritte autorizzazioni ed approvazioni degli organi federali in ordine agli atti di straordinaria amministrazione delle società ai sensi dell’ art 12 della l. n. 91, Tribunale Taranto, 4 dicembre 1984, in Il Foro it., 1985, I, p. 3187. Nello stesso senso anche Trib. Napoli, 20 maggio 1986, ivi, 1987, I, p.1604.

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In particolare, secondo i giudici genovesi, non solo entrambi i rimedi erano

esperibili e, in certo senso, intercambiabili, sicché il giudice poteva disporre

provvedimenti diversi e più rispondenti alle esigenze del miglior assetto

dell’organismo societario (come ad esempio la nomina di un amministratore

giudiziario) rispetto alla domanda di messa in liquidazione, ma, addirittura, l’art. 13

avrebbe esteso la legittimazione della Federazione a richiedere i provvedimenti in

base alla norma comune che la prevedeva solo a favore dei soci e del p. m..

Il Tribunale di Udine (122) e successivamente quello di Frosinone (123) sostennero la

tesi della legittimazione della Federazione a richiedere i provvedimenti di cui

all’articolo 2409 c.c. Essi ritenevano che per giustificare tale iniziativa, bastasse il

sospetto di gravi irregolarità, non occorrendo il compiuto accertamento della loro

sussistenza da parte degli organi federali. Il Tribunale di Frosinone pervenne alla

medesima conclusione in ordine alla facoltà di scelta del giudice del rimedio più

opportuno, nonostante la richiesta di messa in liquidazione, sottolineando che

l’esigenza di controlli più rigorosi e tempestivi imposti alle società sportive

professionistiche, rispetto a quelle di diritto comune, derivava proprio dall’esclusione

dello scopo di lucro di tali società e, quindi dalla necessità di tutela delle finalità

sportive perseguite. Queste ultime corrispondevano alla realizzazione di un interesse

pubblico sottratto alla disponibilità dei soci. Dall’orientamento espresso dalle

decisioni sin qui esaminate si discostava altra parte della giurisprudenza (124) la quale

teneva separate le azioni in questione e negava l’estensione della legittimazione ex art

2409 c. c. a favore della Federazione. Veniva negato altresì (125), che le gravi

irregolarità di gestione cui si riferiva l’art. 13 l. 91/81 fossero interamente

riconducibili a quelle di cui all’art 2409 c.c.. Secondo Trib. Catania (126), il rimedio

122 Trib. Udine, 14 luglio 1990, in Il Foro it., 1991, I, p. 1945123 Trib. Frosinone, 21 giugno 1990, in Riv. dir. sport. 1991, p.355 124 Corte App. Campobasso, 12 maggio 1990, in Le società, 1990, p. 1113; Trib. Catania, 18

maggio 1991, in Il Foro it., 1992, I, p. 2515 125 Secondo Corte App. Campobasso, 12 maggio 1990, ult. cit., il procedimento ex art 2409 c.c.

«mira al riassetto contabile-amministrativo», quello ex art 13, l. 91, tende invece esclusivamente alla «demolizione della società» attraverso la sua liquidazione.

126 Citato nella nota 282

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dell’art 13, che consentiva alla Federazione di promuovere lo scioglimento della

società, aveva precipuamente una finalità di carattere sanzionatorio nell’ambito

dell’ordinamento sportivo. Con una disposizione estensiva, si pronunciava il TAR del

Lazio (127) secondo il quale i poteri di controllo sugli atti gestionali delle società

spettavano anche alle Leghe (nella specie, la Lega nazionale professionisti della

FIGC) in quanto organi della Federazione, la quale, quindi, legittimamente si

avvaleva dei risultati dell’opera di accertamento di tali organi per l’adozione dei

provvedimenti inerenti.

Da ultimo, va menzionata la decisione del Tribunale di Napoli (128) il quale oltre a

ribadire l’estensione alle società sportive della procedura del controllo giudiziario ex

art 2409 c.c., considerava «la violazione della disciplina sulla corretta formazione del

bilancio di esercizio, dettato con norme imperative finalizzate alla tutela degli

interessi dei soci e dei terzi, una grave irregolarità ai sensi e per gli effetti di cui

all’art 2409 c.c.». Nella specie, il giudicante, accertava che gli amministratori non

avevano correttamente riportato in bilancio debiti contestati della società di importo

rilevante.

A scanso di equivoci è stato giustamente messo in evidenza che la fattispecie

posta alla base dell’istituto di cui all’art 2409 c.c. non coincideva con quella della

disciplina speciale in esame. Difatti, le irregolarità menzionate nell’art 13, non

necessariamente dovevano riguardare l’adempimento dei doveri degli amministratori

e dei sindaci, così come prevedeva l’art 2409 c.c., ma potevano essere relativi anche

a fatti addebitabili all’assemblea dei soci (si pensi ad una delibera con cui si

disponeva degli utili in violazione dell’art 10, comma 2, l. n. 91/81, ovvero alla

nomina alle cariche sociali di soggetti radiati, o temporaneamente sospesi,

dall’ordinamento sportivo) e in cui si concretizzassero, oltre che atti di gestione in

senso stretto, anche atti di vera e propria iniziativa (quali modifica dell’oggetto

sociale o della forma giuridica in cui veniva esercitata l’attività). Le due norme (art

13 l. 91/81 e 2409 c.c.), non potevano essere assimilabili anche in merito agli

127 TAR Lazio, sez.III, 12 dicembre 1987, n. 2126, in Il Foro it. 1989, III, p.40128 Trib. Napoli, 10 giugno 1994, in Riv. dir. sport. 1994, p. 704.

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interessi tutelati, in quanto il primo, a differenza del secondo, non era certo posto a

tutela né dei soci di minoranza né dei creditori non sportivi (che non fossero cioè

soggetti all’ordinamento sportivo: Federazioni, società affiliate, tesserati).

Ulteriori differenze potevano riscontrarsi nelle finalità perseguite.

L’art. 13 legge 91/81, a differenza del 2409 c.c., non svolgeva una funzione di

ripristino di una situazione di regolarità gestionale: con l’art. 13 si attuava l’estinzione

dell’ente stesso, non già una semplice eliminazione di anomalie gestionali (129).

Si è in presenza, in effetti, di un sistema di “controlli concorrenti” aventi diversa

ratio e distinto ambito applicativo essendo richiesto a base dell’art. 2409 il «fondato

sospetto» di gravi irregolarità, mentre l’art. 13 legge n. 91 nel richiedere un «motivato

ricorso» faceva presumere che le irregolarità erano state già accertate (130).

Tuttavia le accuse in passato avanzate alle Federazioni sportive, di non aver

percepito il delicato compito di controllore delle società sportive ad esse affiliate (131),

hanno indotto gli stessi organismi sportivi a rielaborare il sistema di vigilanza sulla

gestione economico-finanziaria delle società di calcio professionistiche. Si è, così,

proceduto a costituire nel 1987 un nuovo organismo: la CO.VI.SO.C. (Commissione

per la vigilanza ed il controllo delle società calcistiche professionistiche) la cui

composizione ed i cui compiti sono indicati negli art 78 e seguenti, delle norme

organizzative interne della FIGC delle nuove Carte Federali. Tra i vari poteri

riconosciuti a tale organismo (quali l’esame dei bilanci di esercizio e delle situazioni

contabili infrannuali) va ricordato anche quello di formulare al Presidente della FIGC,

con efficacia vincolante, la proposta di rivolgere al Tribunale la richiesta di cui all’art

13, legge 91/81 (art 82, comma 2, e 82, Norme organizzative interne FIGC).

5.2. La liquidazione delle società sportive professionistiche.

129 Così P.M. SANFILIPPO, Sullo statuto speciale della liquidazione di società sportive, in Riv. delle società, 1995, p. 102, 103, 110, 113.

130 R. FRASCAROLI, Voce Sport (dir. pubbl. e priv.), in Enciclopedia del diritto, Giuffrè, Milano, XLIII, 1988, p. 523.

131 Cfr D. VITTORIA, Società sportive e controllo giudiziario ex art 2409 c.c., cit., p. 3188-3189; ID., I controlli sulle società sportive, cit., p. 1081.

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A conclusione di questo percorso è necessario fare qualche considerazione sulla

più volte citata disciplina dell’art. 13 legge 91/81.

Si trattava di un ulteriore caso di scioglimento della società, oltre a quelli

contemplati dall’art 2448 c.c.. Prima della norma indicata dall’art. 13 legge 91/81 -

vecchio testo - le società sportive erano disciplinate dalle norme di diritto comune per

ciò che riguardava la loro modificazione o estinzione. La Corte di Cassazione (132)

ebbe ad affermare che alle singole Federazioni spettavano «poteri di direzione e

controllo, in materia disciplinare e tecnica, nonché contabile e amministrativa, ma

non anche il potere di interferire sulla struttura associativa degli enti medesimi né di

imporre coattivamente scelte che incidevano sui diritti degli associati».

Nel nostro sistema giuridico l’irregolarità di gestione provoca un intervento

esterno tanto profondo solo nel caso di società soggette ad un intenso controllo

pubblico il cui momento finale può essere costituito dalla liquidazione coatta

amministrativa (133).

La disposizione in esame (art 13 legge 91/81) conferiva agli organi, cui era

attribuita l’attività di controllo, la facoltà di iniziare il procedimento che restava poi

completamente nell’ambito dell’autorità giudiziaria (134). Ciò ha fatto sorgere dubbi

sulla possibilità di accostare la liquidazione ex art 13 alla liquidazione coatta

amministrativa in quanto quest’ultima era del tutto devoluta all’autorità

amministrativa a differenza della prima che, come si è visto, restava di natura

giudiziaria. Ulteriori differenze sussistono anche per quanto concerne i presupposti: la

liquidazione ex art 13 si configurava come causa di scioglimento della società

sportiva in presenza di “gravi irregolarità di gestione”, mentre la liquidazione coatta

amministrativa si instaurava solo dopo l’accertamento dello stato di insolvenza(135).

Secondo parte della dottrina (136) la disposizione dell’art 13 legge 91/81, ribadiva

132 Cass., 7 marzo 1977, n. 925, cit.133 M. FRASCARELLI, Associazioni, cit., p.157134 M.T. CIRENEI, Società sportive, cit., p.402 135 M . FRASCARELLI, Associazioni, cit., p.157136 D. VITTORIA, Le società sportive tra controlli federali, cit., p.814-815

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implicitamente un potere esclusivo di controllo in capo alle Federazioni sportive,

durante tutta la vita delle società.

Le “gravi irregolarità”, menzionate nell’art 13 legge 91/81, non erano solo le

inadempienze ai propri doveri degli amministratore e dei sindaci, ma le scorrettezze

nel comportamento della stessa assemblea per inosservanza delle disposizioni

dell’art 12 della legge n. 91 (137).

Secondo la giurisprudenza, la FIGC, per gravi irregolarità di gestione, poteva

richiedere al Tribunale, con motivato ricorso, la messa in liquidazione delle società

allorquando la società, violando i principi della struttura organizzativa delle società

per azioni, metteva in pericolo, con l’interesse dei soci e dei terzi creditori, anche le

finalità prettamente sportive della società e dell’ordinamento speciale di cui faceva

parte (138).

Parte della dottrina sottolineava che la dizione utilizzata nell’art 13 legge 91,

secondo cui la Federazione può ma non deve richiedere la liquidazione al Tribunale,

evidenziava l’ampia discrezionalità delle Federazioni sportive che poteva spingersi

anche in una valutazione di opportunità circa la messa in liquidazione quando il

provvedimento rischiava di alterare pericolosamente la fisionomia del campionato in

corso(139). Anche nella fase di attivazione della procedura prevista dall’art 13 della

legge n. 91 era ammissibile l’esercizio temporaneo all’attività sportiva, limitatamente

alla disputa delle partite del campionato, con le risorse disponibili, al fine di non

disperdere il patrimonio calciatori, come stabiliva parte della giurisprudenza (140).

Certo era che l’accettazione da parte del Tribunale del ricorso presentato dalla

Federazione, per la messa in liquidazione della società sportiva, rappresentava «un

vero e proprio salto nel buio per gli organi cui era affidata la procedura». La legge

91/81 infatti si limitava a prevedere la liquidazione, senza affatto disciplinarla, «sia

pure attraverso un laconico rinvio a norme già vigenti nel nostro ordinamento»(141).

137 D. VITTORIA, Le società sportive tra controlli federali, cit. p.814-815. 138 Trib. Catania, 18 maggio 1991, cit.139 D. VITTORIA, Le società tra controlli federali, cit. p.814-815. 140 Trib. Catania, 21 maggio 1992, in Il Foro it., 1992, I, p. 2514 141 D. VITTORIA, A proposito del caso Milan, cit., p. 329.

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5.3. Nuove forme di controlli per le società sportive professionistiche

La legge 586/96 configura un sistema di controlli sull’attività delle società

sportive, esercitati sia dall’autorità giudiziaria, conformemente con quanto previsto

per le società di capitali in genere, sia dall’autorità sportiva, dotata di «persuasivi e

penetranti poteri di monitoraggio e di indirizzo sulle società sportive»(142).

La nuova legge, modificando l’art 13 legge 91/81, ha espressamente riconosciuto

alle Federazioni sportive nazionali la legittimazione a ricorrere all’autorità

giudiziaria, ai sensi dell’art 2409 c.c. qualora vi sia il fondato sospetto di gravi

irregolarità nell’adempimento dei doveri da parte degli amministratori e dei sindaci.

Tale disposizione pone la parola “fine” sull’annosa questione della cumulabilità o

dell’alternatività fra controlli esercitati dalle Federazioni e controllo giudiziale di cui

all’art 2409 c.c. .

La modifica introdotta dalla legge 586/96 limita il potere delle Federazioni

sportive nazionali esclusivamente ad un potere di denuncia ex art 2409.

Parte della dottrina ritiene il procedimento ex art. 2409 c.c. «più appropriato e, allo

stesso tempo, meno rigido di quello previsto dall’art. 13, l. n. 91, testo previgente. Il

procedimento previsto dal codice civile, infatti, “mira al riassetto contabile

amministrativo” della compagine societaria e, solo in presenza di irregolarità

gestionali di particolare gravità, prevede quale estrema conseguenza lo scioglimento

e, dunque, la liquidazione della società [.....].

Il procedimento previsto dall’art. 13, l. n. 91/81, vecchio testo, invece, tendeva

esclusivamente alla “demolizione della società” attraverso la sua liquidazione, senza

prevedere sanzioni più lievi in presenza di irregolarità non gravi, o comunque, di

gravità non tale da generare lo scioglimento della compagine societaria»(143). «La

decisione di scioglimento e di liquidazione della società è ora provvedimento che

rientra tra le competenze dell’assemblea dei soci, e non più, in deroga alla disciplina

142 G. MANGIONE, Nuove norme in materia di società sportive professionistiche, in Riv. delle Società, 1996, p. 1383.

143 D. FICO. Controlli giudiziari, cit., p. 104.

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codicistica ed in ragione della indisponibilità degli interessi in gioco, risultato

dell’attivazione della Federazione sportiva nazionale»(144).

La stessa legge, ha determinato «un rafforzamento della disciplina ordinaria, la

dove si è resa obbligatoria, anche per le S.r.l., la costituzione del collegio sindacale,

indipendentemente dal verificarsi delle peculiari circostanze indicate dall’art 2488 (145) del codice civile, tra cui vanno annoverate l’entità del capitale sociale e la

previsione nell’atto costitutivo» (146).

Le società sportive professionistiche, in base a quanto previsto dal nuovo art 12

legge 91/81, sono sottoposte ad una verifica dell’equilibrio finanziario (ad es.

pagamento degli stipendi ai giocatori, ecc.), da parte delle Federazioni sportive

nazionali per delega del CONI, al fine di evitare che eventi patologici possano

incidere sul regolare svolgimento dei campionati sportivi. Viene quindi eliminato il

potere di vigilanza “generale” sull’attività sociale, per il quale le società sportive

erano «sottoposte all’approvazione ed ai controlli sulla gestione da parte delle

Federazioni», secondo modalità approvate dal CONI (art 12, comma 1, l. n. 91,

vecchio testo). Decade, inoltre, la previsione dell’assoggettamento di «tutte le

deliberazioni delle società concernenti esposizioni finanziarie, acquisto o vendita i

beni immobili, o, comunque, tutti gli atti di straordinaria amministrazione

all’approvazione da parte delle Federazioni sportive nazionali cui sono affiliate»

(art. 12, comma 2, l. n. 91, testo previgente).

«In virtù di tale innovazione, pertanto, le società sportive sono sottoposte ad un

duplice ordine di controlli derivanti dalla confluenza della normativa specialistica con

la disposizione del codice civile relativa alla gestione delle società di capitali»

Infatti, «oltre che ad un controllo contabile interno effettuato dal collegio sindacale

(ed, eventualmente, ad un controllo dello stesso genere, di natura esterna, effettuato 144 G. MANGIONE, Nuove norme in materia di società, cit., p.1388.145 Secondo tale articolo, il collegio sindacale è obbligatorio nel caso in cui il capitale sociale

non sia inferiore a duecento milioni, qualora sia stabilito nell’atto costitutivo oppure nell’ipotesi in cui si superi, per due esercizi consecutivi, due dei tre limiti indicati dall’art. 2435 bis, comma 1, c.c..

146 I. TRICOMI, Obbligatoria la costituzione del collegio sindacale, in IL Sole 24 Ore di aprile 1996.

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dalla società di revisione) ed a quello giudiziale ex art. 2409 c.c., le società sportive

sono, infatti, soggette al controllo da parte delle relative Federazioni, per delega del

CONI (art. 4, comma 2, d.l. n. 485/96) ed al controllo da parte della

CO.VI.SO.C.»(147).

Tuttavia l’analisi delle disposizioni sopra richiamate non può non esentarci da

alcune valutazioni pratiche.

L’abrogazione dell’art. 13 legge 91/81, ad opera della nuova disciplina, ha come

conseguenza diretta che d’ora in poi, ai soci, una volta compiuta la liquidazione della

società, spetterà non più il valore nominale delle singole azioni, ma una percentuale

di quel residuo attivo che prima spettava al CONI.

Perplessità ulteriori desta l’espressione “equilibrio finanziario” (nuovo art. 12

legge 91/81) (148). Infatti, a mio parere, non si riesce a comprendere se il controllo da

parte della Federazione, e la conseguente ammissione al campionato, dovrà verificare

sin dall’inizio del campionato la presenza di una situazione patrimoniale in attivo

oppure se questo equilibrio è possibile raggiungerlo durante o subito dopo la fine del

campionato stesso. Quel che comunque è dato auspicarsi è che il controllo da parte

della Federazione sia talmente preciso e lungimirante da evitare incresciosi incidenti

147 D. FICO, Il controllo giudiziario, cit., p. 104.148 La sentenza Bosman sull’abolizione degli indennizzi in scadenza di contratto ha messo

fuorigioco anche i tradizionali indici utilizzati dalla Covisoc, la commissione di vigilanza istituita presso la FIGC, per analizzare lo stato di salute del football professionistico. Innanzitutto il rapporto tra mezzi propri e patrimonio netto giocatori, ormai “svuotato” del suo significato originario a causa dell’azzeramento della voce contabile nello stato patrimoniale al termine del contratto con il singolo giocatore.

Sale alla ribalta, dunque, il tradizionale rapporto tra ricavi e indebitamento, che però potrebbe cambiare formula. Finora, infatti, le due voci analizzate sono sfasate tra loro: la verifica della sussistenza del parametro - generale 3 a 1, ma in passato è stato spesso ammorbidito per evitare di tagliare fuori troppe società dall’iscrizione al campionato successivo - è effettuata sulla base dei ricavi risultanti dall’ultimo bilancio approvato e dall’indebitamento emergente da situazioni debitori trimestrali.

Ma i controlli si concentreranno anche sull’«equilibrio finanziario» delle società, come previsto dal decreto 485/96, allo scopo «di garantire il regolare svolgimento dei campionati». In pratica, sotto la lente - al posto degli aspetti economici e civilistici - finiranno i budget finanziari con i relativi scostamenti. Nel mirino finiranno anche il versamento entro i termini degli stipendi ai giocatori, incluso il capitolo delle ritenute Irpef e dei contributi previdenziali, e la correttezza dei rapporti intrattenuti con la “stanza di compensazione” rappresentata dalla Lega calcio. Così P. BOTTELLI, Torna alla ribalta il test debiti - ricavi, in Il Sole 24 Ore del 23 dicembre 1996.

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di percorso del campionato sportivo, quali ad esempio la messa in liquidazione della

società in corso di campionato.

Anche la procedura dei controlli così delineati dalla nuova disciplina non è, a mio

avviso, esente da problemi pratici.

Infatti, qualora una Federazione sportiva si dovesse prendere l’onere di non far

partecipare ad un campionato una società che abbia commesso gravi irregolarità e

venisse poi smentita dalla decisione del Tribunale, presso il quale era stata attivata la

procedura ex art 2409, oltre a determinare un danno sociale (si pensi, ad esempio, ai

tifosi di quella società nonché all’immagine della stessa) andrà sicuramente incontro

a richieste risarcitorie da parte della società medesima.

Viceversa potremmo ipotizzare il caso inverso e cioè, la ammessa partecipazione

al campionato di una società che nel proseguimento del campionato subisce una

procedura di liquidazione (149).

Entrambi i problemi non sono di facile soluzione. Una soluzione all’ultimo quesito

potrebbe essere quella di considerare nulli (cioè come mai giocati) tutti gli incontri

sostenuti da quella squadra. Anche però a voler accogliere una soluzione di questo

tipo si potrebbero verificare situazioni complessa. Mi riferisco alle ipotesi, in cui una

squadra perda, proprio in occasione di un incontro nullo, il suo miglior atleta per

infortunio o provvedimento disciplinare, rimanendo così penalizzata per uno o più

incontri successivi, ovvero dei danni economici subiti dalle società a seguito delle

spese sostenute per le trasferte o per una eventuale squalifica del campo.

149 A tal proposito il Tribunale di Catania, 21 maggio 1992, cit., ebbe a sottolineare che in caso di messa in liquidazione di una società calcistica per gravi irregolarità di gestione, i liquidatori possono essere autorizzati dal Tribunale a continuare l’esercizio temporaneo dell’impresa calcistica al fine di far completare alla squadra il campionato intrapreso, non ricadendo tale attività nel divieto di “nuove operazioni” di cui all’art. 2279 c.c. richiamato dall’art. 2452 c.c. (nella specie, il liquidatori di una società calcistica, partecipante al campionato di serie C, sono stati autorizzati a continuare nella gestione societaria ed a portare a termine il campionato con l’effettuazione delle due ultime gare), e potendo altresì configurarsi la ricorrenza di un danno grave e irreparabile per la società nell’interruzione dell’attività.

Analogamente il Tribunale può autorizzare la continuazione dell’esercizio dell’attività sportiva di una società calcistica, di cui viene dichiarato il fallimento, quando l’interruzione di detta attività determina un grave ed irreparabile pregiudizio al patrimonio giocatori ed altera la regolarità del campionato in corso, cui la società stessa partecipa. Trib. Verona, 23 febbraio 1991, in Il Foro it., 1992, I, p. 558.

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La ratio della modifica legislativa relativa alla attribuzione alle Federazioni del

potere di agire ex art. 2409 c.c., può ravvisarsi a mio modesto parere, nell’intento del

legislatore a muoversi su una consolidata linea di rigidità dei controlli nei confronti

delle società sportive, oltre che nella necessità di evitare che l’attivazione della

procedura ex art. 2409 c.c. fosse esclusivamente di competenza dei soggetti indicati

nello stesso articolo. Infatti, avrebbe potuto verificarsi l’ipotesi che una dissennata

attività gestionale, condotta ad esempio per assecondare meri desideri agonistici dei

soci-azionisti, sarebbe divenuta insanabile stante l’inattività di vigilanza da parte dei

singoli soci.

6. Tabella riassuntiva.

Le società sportivePrima della conversione Dopo la conversione

Struttura S.p.A. o S.r.l. S.p.A. o S.r.l. che svolga esclusivamente

attività sportive ed attività ad esse connessa

o strumentali

Utili Obbligo di reinvestire nella società per il

perseguimento esclusivo dell’attività

sportiva.

Ferma la soppressione dell’obbligo

di reinvestire si prevede una destinazione, non inferiore al 10%, degli utili a scuole giovanili

di addestramento e formazione tecnica

Nella S.p.A. possono essere distribuiti ai soci,

ai sensi degli articoli 2350, 2430 e 2433 del

codice civile. Nella S.r.l. possono essere

ripartiti ai soci ai sensi dell’articolo 2492 del

codice civile

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Ammortamento indennità di

preparazione e promozione

Da compiere entro il 15 maggio 1996

Da compiere entro tre anni a decorrere dalla data del 15 maggio

Premio di addestramento e

formazione tecnica

Ne è prevista la corresponsione in caso

di primo contratto a favore delle società o associazione sportiva presso cui l’atleta ha svolto la sua ultima

attività dilettantistica o giovanile

Il premio non concorre alla determinazione del

reddito

Collegio sindacale Da indicare nell’atto costitutivo della S.p.A. ai sensi degli articoli

2328 e 2397 del codice civile. Da nominare

nella S.r.l. in presenza delle condizioni di cui all’articolo 2488 del

codice civile

Da nominare sempre nella S.p.A. e nella S.r.l. senza deroghe

Ricorso all’Autorità Giudiziaria della

Federazione nazionale sportiva

Richiesta di messa in liquidazione per gravi irregolarità di gestione

Richiesta di provvedimenti ex art.

2409 del codice civile a fronte di fondato sospetto di gravi

irregolarità nell’adempimento dei doveri da parte degli amministratori e dei

sindaci.