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1 Capitolo 8 Stomaco e duodeno R. Dionigi, F. Mosca, L. Dominioni, G. Dionigi Embriologia Lo stomaco si sviluppa dalla porzione caudale dell´intestino anteriore embrionale (Fig. 8.1). Esso è inizialmente costituito da una dilatazione fusiforme dell´intestino anteriore, le cui pareti sono destinate ad accrescersi in maniera diseguale; ciò porta alla formazione della grande curvatura dorsalmente e della piccola curvatura ventralmente. La cavità gastrica neoformata, unita inizialmente alla parete dorsale ed a quella ventrale tramite pieghe peritoneali (mesogastri), subisce quindi una duplice rotazione. Una prima rotazione, di circa 90° attorno all´asse longitudinale, ha la conseguenza di portare la piccola curva a destra e la grande curva a sinistra; a livello del cardias ciò determina il decorso anteriore del nervo vago sinistro e la disposizione posteriore del vago destro. Una seconda rotazione, attorno all´asse antero-posteriore, determina invece lo spostamento della regione pilorica verso l´alto e a destra. Dalla porzione caudale dell´intestino anteriore si sviluppa anche il duodeno, sotto forma di breve ansa a convessità anteriore che fa seguito alla cavità gastrica primitiva. In seguito alla rotazione dello stomaco e dell´intestino medio, la seconda porzione del duodeno si accolla alla parete addominale posteriore e il meso dorsale del duodeno si fonde con il peritoneo parietale posteriore, cosicché II, III e IV porzione del duodeno rimangono in posizione retroperitoneale . Fig. 8.1. Sviluppo dello stomaco, del duodeno e dell´intestino nell´embrione di 5 settimane. (1) Membrana pleuro-parietale; (2) esofago; (3) stomaco; (4) milza; (5) mesogastrio posteriore; (6) pancreas dorsale; (7) mesoduodeno; (8) duodeno; (9) pancreas ventrale; (10) arteria mesenterica superiore; (11) mesentere dell´intestino medio; (12) allantoide; (13) cloaca; (14) cordone ombelicale; (15) dotto allantoideo; (16) dotto vitellino; (17) fegato; (18) mesogastrio anteriore

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Capitolo 8

Stomaco e duodeno

R. Dionigi, F. Mosca, L. Dominioni, G. Dionigi

Embriologia

Lo stomaco si sviluppa dalla porzione caudale dell´intestino anteriore embrionale (Fig. 8.1). Esso è inizialmente costituito da una dilatazione fusiforme dell´intestino anteriore, le cui pareti sono destinate ad accrescersi in maniera diseguale; ciò porta alla formazione della grande curvatura dorsalmente e della piccola curvatura ventralmente. La cavità gastrica neoformata, unita inizialmente alla parete dorsale ed a quella ventrale tramite pieghe peritoneali (mesogastri), subisce quindi una duplice rotazione. Una prima rotazione, di circa 90° attorno all´asse longitudinale, ha la conseguenza di portare la piccola curva a destra e la grande curva a sinistra; a livello del cardias ciò determina il decorso anteriore del nervo vago sinistro e la disposizione posteriore del vago destro. Una seconda rotazione, attorno all´asse antero-posteriore, determina invece lo spostamento della regione pilorica verso l´alto e a destra. Dalla porzione caudale dell´intestino anteriore si sviluppa anche il duodeno, sotto forma di breve ansa a convessità anteriore che fa seguito alla cavità gastrica primitiva. In seguito alla rotazione dello stomaco e dell´intestino medio, la seconda porzione del duodeno si accolla alla parete addominale posteriore e il meso dorsale del duodeno si fonde con il peritoneo parietale posteriore, cosicché II, III e IV porzione del duodeno rimangono in posizione retroperitoneale.

Fig. 8.1. Sviluppo dello stomaco, del duodeno e dell´intestino nell´embrione di 5 settimane. (1) Membrana pleuro-parietale; (2) esofago; (3) stomaco; (4) milza; (5) mesogastrio posteriore; (6) pancreas dorsale; (7) mesoduodeno; (8) duodeno; (9) pancreas ventrale; (10) arteria mesenterica superiore; (11) mesentere dell´intestino medio; (12) allantoide; (13) cloaca; (14) cordone ombelicale; (15) dotto allantoideo; (16) dotto vitellino; (17) fegato; (18) mesogastrio anteriore

 

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 Lo stomaco, lungo circa 25 cm (Fig. 8.2) viene suddiviso anatomicamente nelle seguenti parti:  

• il fondo, disposto superiormente e a sinistra della giunzione esofago‐gastrica;  • il cardias, corrispondente alla giunzione esofago‐gastrica;  • il corpo, che rappresenta la porzione maggiore dello stomaco, interposto tra il fondo e l´antro;  • l´antro, porzione distale dello stomaco, che si estende dall´angulus della piccola curvatura sino al 

piloro;  • il piloro, che rappresenta il confine tra lo stomaco e il duodeno.  

 

Fig. 8.2. Anatomia dello stomaco e del duodeno. 

Il  rivestimento peritoneale dello stomaco si continua dalla piccola curvatura verso  il  fegato a costituire  il legamento gastro‐epatico e dalla grande curvatura al colon a costituire  il  legamento gastro‐colico; questi due  legamenti,  unitamente  alla  parete  posteriore  dello  stomaco,  costituiscono  la  parte  principale  della parete anteriore della retrocavità degli epiploon.  

 La parete gastrica (Fig. 8.3) è costituita da quattro strati fondamentali:  

• il rivestimento sieroso peritoneale;  • lo strato muscolare, che presenta tre strati concentrici di fibre (dall´esterno verso l´interno: 

oblique, longitudinali e circolari);  • la sottomucosa;  • la muscularis mucosae;  • la mucosa.  

 

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Fig.  8.3.  Rappresentazione  schematica  della  struttura  della  parete  dello  stomaco.  Nel  dettaglio  sono illustrati gli elementi costitutivi delle ghiandole del fondo gastrico (oxintiche) (da Gallone et al.: Manuale di fisiopatologia chirurgica. Masson, Milano, 1986, mod.). 

La mucosa gastrica viene suddivisa in tre aree istologicamente distinte:  

• la regione cardiale, che presenta le ghiandole cardiali a prevalente secrezione mucosa;  • la regione del corpo‐fondo, o regione delle ghiandole oxintiche, che presenta ghiandole composte 

da cellule mucipare, cellule principali e cellule parietali (oxintiche); queste secernono rispettivamente muco, pepsinogeno I e II e HCl. Le cellule parietali producono anche il fattore intrinseco (Fig. 8.3). Il confine tra la regione del corpo e quella antrale è abbastanza netto, poiché la zona di transizione è rappresentata solo da 1‐2 cm di mucosa;  

• l´antro, che presenta le ghiandole piloriche, a prevalente secrezione mucosa, le cellule G che producono gastrina e le cellule principali che producono pepsinogeno II. Nella mucosa gastrica sono presenti anche le cellule enterochromaffin‐like (ECL). Le cellule ECL sono presenti anche in altri tratti del tubo digerente, nell´apparato respiratorio e genito‐urinario; da queste cellule possono originare i tumori carcinoidi.  

  Il duodeno, lungo circa 30 cm, fissato alla parete posteriore dell´addome per i 3/4 distali, è mantenuto in 

sede dal legamento epato‐duodenale, dal peritoneo, dagli intimi rapporti con la testa del pancreas e dal legamento di Treitz. Viene suddiviso anatomicamente in 4 porzioni.  

 

• La I porzione (bulbo), situata anteriormente e a destra del corpo della I vertebra lombare, si estende dal piloro alla flessura, o ginocchio, superiore. In corrispondenza della I porzione il duodeno è rivestito anche posteriormente dal peritoneo del legamento epato‐duodenale, che congiuntamente al legamento epato‐gastrico costituisce il piccolo omento; gode quindi di una certa mobilità.  

• La II porzione (discendente) decorre verticalmente alla destra della II e III vertebra lombare e della testa del pancreas fino alla flessura inferiore. La radice del mesocolon trasverso la incrocia orizzontalmente, dividendola in una porzione sopramesocolica ed in una sottomesocolica. Lungo il margine mediale della porzione discendente, a circa 10 cm dal piloro, la mucosa duodenale presenta una piega longitudinale, terminante in basso con un rilievo denominato papilla duodenale 

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maggiore, in corrispondenza della quale si aprono il dotto coledoco e il dotto di Wirsung, separatamente o fusi insieme a formare l´ampolla di Vater. La papilla duodenale minore, in corrispondenza della quale sbocca il dotto pancreatico accessorio, è localizzata circa 2‐3 cm al di sopra della papilla maggiore.  

• La III porzione (orizzontale), situata anteriormente al corpo della III o IV vertebra lombare, è incrociata posteriormente dalla vena cava e dall´aorta addominale, ed anteriormente dai vasi mesenterici.  

• La  IV porzione  (ascendente),  continua direttamente  la parte orizzontale,  risalendo verso  l´alto e verso sinistra fino alla flessura duodeno‐digiunale ed è tenuta in situ dal legamento di Treitz.  

 La  parete  del  duodeno  è  costituita  da  5  strati  concentrici.  A  partire  dall´esterno  verso  l´interno  si distinguono: 

 

• la tonaca sierosa, rappresentata dal peritoneo viscerale;  • la  tonaca muscolare,  costituita  da  due  strati  concentrici  di  fibrocellule muscolari  lisce  (lo  strato 

esterno a decorso longitudinale e quello interno a decorso circolare);  • la  tonaca  sottomucosa, composta prevalentemente da  fibre elastiche,  tra  le quali  si  localizzano  i 

follicoli  linfatici profondi e gli adenomeri delle ghiandole duodenali di Brunner,  secernenti muco debolmente alcalino e pepsinogeno II. Queste ghiandole, particolarmente rappresentate nella parte superiore del duodeno, diminuiscono progressivamente di numero e dimensioni fino a scomparire in corrispondenza della flessura duodeno‐digiunale;  

• la muscularis mucosae;  • la tonaca mucosa, costituita dall´epitelio e dalla lamina propria.  

 La superficie della mucosa duodenale è  liscia nella  I porzione; nelle altre porzioni presenta pliche circolari permanenti,  costituite  da  sollevamenti  della  sottomucosa,  denominate  valvole  o  pliche  conniventi;  la mucosa presenta inoltre i villi, il cui stroma connettivale è costituito da sollevamenti della lamina propria, la quale accoglie anche noduli linfatici isolati o raggruppati a placche.  

L´epitelio  duodenale  è  composto  da  una  popolazione  cellulare  eterogenea:  gli  enterociti  rappresentano l´elemento  cellulare  prevalente;  tra  di  essi  si  localizzano  cellule mucipare  caliciformi,  linfociti,  cellule  a ciuffo  (tuft  cells)  con  funzione  recettoriale,  cellule  di  Paneth  producenti  lisozima  e  cellule  del  sistema endocrino diffuso.  

Vascolarizzazione  Lo stomaco presenta una ricca rete vascolare arteriosa;  le arterie originano dai rami del  tronco celiaco e afferendo allo stomaco presentano vasi che decorrono lungo la piccola e la grande curvatura gastrica. I vasi arteriosi principali sono: 

 

• l´arteria  gastrica  sinistra  (coronaria  stomacica),  che  nasce  direttamente  dal  tronco  celiaco  e decorre lungo la porzione superiore della piccola curvatura;  

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• l´arteria gastrica destra  (arteria pilorica),  che origina o dall´arteria epatica  comune o dall´arteria gastro‐duodenale e che decorre verso sinistra lungo la piccola curvatura, fino ad anastomizzarsi con l´arteria gastrica sinistra;  

• l´arteria gastro‐epiploica destra,  ramo dell´arteria gastroduodenale,  che decorre  lungo  la grande curvatura;  

• l´arteria gastro‐epiploica sinistra, ramo dell´arteria splenica, che decorre lungo la grande curvatura a livello del corpo gastrico, e si anastomizza con l´arteria gastro‐epiploica destra;  

• le arterie gastriche brevi, rami dell´arteria splenica, che irrorano il corpo‐fondo (Fig. 8.4).  

  Le arterie che  irrorano  lo stomaco sono riccamente anastomizzate fra  loro e con  l´arteria splenica, con 

l´arteria epatica e con l´arteria mesenterica superiore, attraverso le arterie gastro‐duodenale e pancreatico‐duodenale. Questa  rete  anastomotica  arteriosa  contribuisce  a  spiegare  la  gravità  dell´emorragia  che  si verifica  nell´ulcera  peptica  sanguinante  e  nella  gastrite  emorragica.  È  assai  difficile  che  si  verifichi un´ischemia arteriosa  totale dello  stomaco, anche dopo  legatura di  rami principali quali  l´arteria gastrica sinistra  e  le  arterie  gastriche  brevi;  ciò  rende  possibile  eseguire  interventi  di  tubulizzazione  e  di trasposizione a distanza dello  stomaco dopo esofagectomia  (per es. per  confezionare un´anastomosi  tra esofago cervicale e fondo gastrico).  

 

 

Fig. 8.4. Irrorazione arteriosa e innervazione vagale dello stomaco e del duodeno. 

Le vene gastriche sono satelliti delle rispettive arterie e comprendono:  

• la vena gastrica sinistra (coronarica stomacica), che drena nella vena porta, o più raramente nella vena splenica;  

• la  vena gastrica destra  (pilorica),  che è afferente diretta della  vena porta o più  raramente della vena mesenterica superiore;  

• la vena gastro‐epiploica destra che drena nella vena porta;  

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• la vena gastro‐epiploica sinistra, che drena nella vena splenica;  • le vene gastriche brevi, che drenano nella vena gastro‐epiploica sinistra o direttamente nella vena 

splenica.  

In  corso  di  ipertensione  portale  le  vene  del  fondo  gastrico  costituiscono  un  importante  crocevia anastomotico tra  il sistema venoso portale e quello sistemico, mediante anastomosi tra  le vene esofagee inferiori  (afferenti  alla  vena  cava)  e  la  vena  gastrica  sinistra,  le  vene  gastriche  brevi  e  la  vena  splenica (afferenti alla vena porta).  L´irrorazione  arteriosa  del  duodeno  è  costituita  dalle  arterie  pancreatico‐duodenali,  superiore  (ramo dell´arteria gastroduodenale) e inferiore (ramo dell´arteria mesenterica superiore), anastomizzate tra loro a formare l´arcata pancreatico duodenale.  

Le vene duodenali sono satelliti delle rispettive arterie e drenano nella vena mesenterica superiore e nella vena porta.  

Drenaggio linfatico  Le vie  linfatiche di drenaggio dello stomaco sono di notevole  interesse chirurgico, soprattutto  in relazione alla  metastatizzazione  linfonodale  del  cancro  gastrico  ed  alla  estensione  della  linfoadenectomia  nella terapia chirurgica di tale neoplasia.  

Secondo la classificazione della Japanese Research Society for Gastric Cancer, attualmente la più seguita, si distinguono tre livelli di stazioni linfonodali di drenaggio gastrico (Tab. 8.1; Fig. 8.5): I livello, a ridosso dello stomaco, lungo la piccola e la grande curvatura e attorno al cardias e al piloro; II livello, satelliti delle arterie gastrica  sinistra,  epatica,  splenica  e  del  tronco  celiaco;  III  livello,  a  distanza  dallo  stomaco  (paraortiche, diaframmatiche, ecc.).  

I  linfatici  del  duodeno  drenano  nelle  linfoghiandole  che  drenano  anche  il  pancreas  e  sono  descritti  in dettaglio nel Capitolo 14, Pancreas.  

 

  Fig. 8.5. Vie linfatiche di drenaggio dello stomaco. (1) Linfonodi pericardiali; (2) linfonodi della piccola curva; (3)  linfonodi della  grande  curva;  (4)  linfonodi pilorici;  (5)  linfonodi dell´arteria  gastrica  sin.;  (6)  linfonodi dell´arteria epatica; (7)  linfonodi del tronco celiaco; (8)  linfonodi dell´ilo splenico; (9)  linfonodi dell´arteria splenica. Queste stazioni linfonodali rappresentano il drenaggio linfatico di I e II livello (vedi Tab. 8.1). 

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Tab. 8.1. Stazioni linfonodali gastriche.

I livello   II livello  III livello 

Pericardiali  destre  e sinistre Lungo  la  piccola  curvatura Lungo  la  grande  curvatura Soprapiloriche Sottopiloriche 

Arteria gastrica sinistraArteria  epaticaTronco  celiacoIlo  splenicoArteria splenica  

Legamento epato‐duodenale Retropancreatiche Radice  del  mesentere Arteria  colica  media Paraaortiche Periesofagee  inferiori Diaframmatiche 

Innervazione  Lo  stomaco  e  il  duodeno  sono  innervati  dal  sistema  nervoso  simpatico  e  parasimpatico.  L´innervazione simpatica gastrica origina prevalentemente dal ganglio celiaco.  

L´innervazione parasimpatica è fornita dal nervo vago (Fig. 8.4). I nervi vaghi sono costituiti da due tronchi che originano dal plesso vagale esofageo a livello dell´esofago distale e sono ampiamente  interconnessi. Il tronco  vagale  anteriore  origina  prevalentemente  dal  vago  sinistro,  il  tronco  posteriore  origina  dal  vago destro. Dal nervo vago sinistro (anteriore) origina  il ramo epatico, cranialmente rispetto al cardias;  il vago anteriore si continua quindi lungo la piccola curvatura, decorrendo nel piccolo omento, ad una distanza di circa 1 cm dallo stomaco (nervo di Latarjet) ed invia rami a raggiera lungo la piccola curvatura, terminando a livello antrale, dove si sfiocca a zampa d´oca. Il nervo vago posteriore presenta un ramo celiaco e un ramo principale posteriore (nervo di Latarjet posteriore). 

 

  Il sistema parasimpatico,  tramite  i nervi vaghi, esercita un  importante controllo dell´attività motoria e secretoria  dello  stomaco  e  del  duodeno;  la  stimolazione  vagale  eccita  la  secrezione  acido‐peptica,  la motilità  gastrica  e  l´increzione  di  gastrina.  Il  sistema  simpatico  (nervi  splancnici)  svolge una  funzione antagonista al parasimpatico e di  regolazione dell´attività vasomotoria gastrica;  i nervi simpatici provenienti dal plesso celiaco decorrono come satelliti delle arterie afferenti allo stomaco.  

L´innervazione del duodeno è costituita da fibre originanti dal plesso celiaco, che decorrono satelliti dalle arterie pancreatico‐duodenali,  superiore e  inferiore.  Le  fibre nervose afferenti  che propagano  lo  stimolo dolorifico a partenza gastrica e duodenale decorrono nei nervi splancnici.  

La proiezione del dolore gastrico è a livello epigastrico e dell´ipocondrio di sinistra per la porzione del fondo e del corpo; la proiezione del dolore per la porzione antropilorica dello stomaco e per il bulbo duodenale è in epigastrio‐ipocondrio destro.  

Fisiologia

 

Lo stomaco svolge numerose ed importanti funzioni:  

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• funge da reservoir per gli alimenti provenienti dall´esofago, consentendo di ingerire quantità anche copiose di cibo;  

• determina il rimescolamento e la progressione verso il duodeno del bolo alimentare, commisto al succo gastrico;  

• inizia la digestione delle proteine e dei carboidrati, tramite i pepsinogeni I e II e l´HCl secreto;  • ha funzione di assorbimento di alcune sostanze;  • svolge attività di secrezione endocrina.  

Nel duodeno si riversano  le secrezioni bilio‐pancreatiche e si realizzano  le condizioni di ambiente alcalino ad elevata concentrazione di enzimi  idonee alla digestione di proteine, grassi e carboidrati.  Il duodeno ha pure funzioni di assorbimento e di secrezione endocrina.  

 Dal punto di vista chirurgico gli aspetti importanti della fisiologia dello stomaco e del duodeno sono:  

• la secrezione acido‐peptica gastrica;  • la secrezione ormonale;  • la motilità;  • la digestione.  

Secrezione acido­peptica gastrica  La mucosa gastrica  secerne quotidianamente una quantità variabile  tra 500 e 3000 ml di  succo gastrico. 

Esso  è  costituito  da muco,  acqua,  elettroliti  (tra  cui  prevalgono  H+  e  Cl−),  pepsinogeni  I  e  II  e  fattore intrinseco; il succo gastrico contribuisce in modo determinante a due importanti funzioni: la barriera acida gastrica e la digestione.  

L´attività secretoria dello stomaco è regolata da meccanismi di stimolazione e di inibizione.  

Il muco  viene  secreto  dalle  cellule mucose  superficiali  antrali  e  fundiche,  dalle  ghiandole  della  regione pilorica e dalle cellule mucose del colletto delle ghiandole di tutto lo stomaco.  

L´HCl viene secreto dalle cellule parietali delle ghiandole del corpo gastrico, sotto controllo nervoso (nervo vago) e ormonale (gastrina). La stimolazione del nervo vago determina produzione di HCl direttamente da parte  delle  cellule  oxintiche  delle  ghiandole  fundiche;  inoltre  essa  induce  le  cellule G  antrali  a  liberare gastrina, che a sua volta stimola le cellule oxintiche a produrre HCl.  

L´importanza  dell´integrità  dell´innervazione  vagale  dello  stomaco  nel  controllare  la  secrezione  acida  è documentata dalla netta  riduzione  (> 70%) dopo vagotomia della produzione di HCl  in  risposta al  test di stimolazione con pentagastrina  (farmaco gastrinosimile dotato di scarsi effetti collaterali, somministrabile sottocute) e al test con istamina.  

L´istamina  esercita  un  potente  effetto  stimolante  sulla  secrezione  acida, mediato  da  H2‐recettori  delle cellule  acido‐secernenti.  Vi  sono  inoltre  altri  fattori  che  possono  stimolare  l´attività  secretoria  acida gastrica; tra questi ricordiamo l´ipoglicemia e la somministrazione di insulina (mediata dall´ipoglicemia che ne consegue), l´alcool e la caffeina; questi ultimi agiscono direttamente sulla mucosa.  

La secrezione acida viene inibita dal Gastric Inhibitory Peptide (GIP) e da altri ormoni prodotti dalla mucosa duodenale  e  intestinale.  La  quantità  globale  di  HCl  secreto  in  condizioni  di  stimolazione massimale  è proporzionale al numero delle cellule parietali presenti nello stomaco; ciò spiega l´effetto di riduzione netta della secrezione di HCl che si ottiene con la gastroresezione. 

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 La stimolazione della secrezione acida gastrica avviene in tre fasi distinte: cefalica, gastrica e intestinale, combinate fra loro.  

 

Nella  fase  cefalica  le  fibre  vagali  eccitate  da  stimolazioni  visive,  olfattive  o  ideative  stimolano  le  cellule parietali,  le  cellule principali e  le  cellule antrali a  secernere  rispettivamente HCl, pepsinogeni e gastrina. Questa fase è responsabile di circa il 10% della secrezione di HCl.  

La  fase  gastrica  è  costituita  dalla  secrezione  di HCl  determinata  dall´ingresso  del  bolo  alimentare  nello stomaco; è probabilmente mediata dalla liberazione di gastrina, che a sua volta stimola la secrezione acida da parte delle cellule parietali.  

La  fase  intestinale  della  secrezione  di  HCl  è  attribuibile  alla  gastrina  intestinale,  ma  è  notevolmente inferiore come importanza rispetto alla fase cefalica e gastrica. 

 

 L´inibizione della secrezione acida comprende anch´essa tre fasi: una fase cerebrale in cui la stimolazione vagale cerebrale, visiva od olfattiva diminuisce; una fase antrale in cui la diminuzione del pH nell´antro determina inibizione della liberazione di gastrina; una fase intestinale, in cui la distensione dell´intestino tenue determinata dagli alimenti evoca un riflesso inibitorio.  

 

I grassi,  i  carboidrati e  l´acidità nel duodeno  inibiscono  la  secrezione acida e di pepsinogeni oltre  che  la motilità gastrica, tramite la secrezione di GIP e CCK.  

La valutazione della secrezione acida gastrica (vedi oltre) si esegue mediante aspirazione del succo gastrico a digiuno  in condizioni basali  (BAO, Basal Acid Output) e dopo stimolazione  (MAO, Maximal Acid Output; PAO, Peak Acid Output;); è un  test  importante per  la diagnosi della  sindrome di Zollinger‐Ellison e degli ipergastrinismi.  

Secrezione ormonale  Nello  stomaco  e  nel  duodeno  vengono  secreti  numerosi  ormoni,  con molteplici  effetti  sulla  secrezione gastrica,  biliare  e  pancreatica,  sulla motilità  gastro‐intestinale,  sul metabolismo  e  sull´increzione  di  altri ormoni. 

 

• La gastrina, ormone di cui si conoscono diverse forme molecolari, da 14 a 68 aminoacidi, è secreta dalla mucosa antrale, dalla mucosa duodenale, e in piccolissime quantità dalla mucosa dell´intestino tenue. La gastrina esercita una stimolazione potente dell´attività di secrezione di HCl da parte delle cellule oxintiche e determina anche aumento della motilità dell´antro.  

Si  possono  eseguire  prove  di  stimolazione  dell´increzione  gastrinica  mediante  pasto  standard, mediante  ipoglicemia  indotta  con  insulina o mediante  somministrazione di  calcio. Vi  sono anche test di inibizione dell´increzione gastrinica, mediante somministrazione di secretina o di glucagone.  

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La  determinazione  della  concentrazione  plasmatica  di  gastrina  a  digiuno  (v.n.:  <  200  pg/ml)  è importante per la valutazione delle sindromi da ipergastrinemia. 

 

• La secretina, liberata dalle cellule endocrine situate nel duodeno e nella prima parte dell´intestino tenue in risposta al passaggio di chimo acido e acidi grassi liberi nel duodeno, induce la secrezione di succo pancreatico acquoso e ricco di bicarbonati, diminuisce la secrezione acida gastrica e potenzia l´azione della colecistochinina‐pancreozimina (CCK‐PZ).  

• La CCK‐PZ, secreta dalla mucosa del duodeno e della prima parte del tenue in risposta alla presenza di acidi grassi, peptidi, calcio e idrogenioni nel lume duodenale, inibisce lo svuotamento gastrico; induce contrazione della cistifellea e secrezione di succo pancreatico ricco di enzimi digestivi; incrementa l´azione della secretina sulla secrezione di succo pancreatico alcalinico e induce secrezione di glucagone.  

• Il GIP è secreto dalla mucosa del duodeno e del digiuno in risposta alla presenza di glucosio e grassi nel lume duodenale. Esso induce la secrezione di insulina agendo da stimolatore sulle cellule β del tubo digerente; inoltre riduce la motilità e l´attività secretoria dello stomaco.  

• Il VIP viene prodotto da cellule endocrine dello stomaco, del duodeno e del primo tratto del tenue in risposta a stimoli non noti.  

Esso stimola la secrezione intestinale di elettroliti ed acqua, inibisce la secrezione acida e la motilità dello stomaco e induce vasodilatazione periferica. 

 

• La motilina è un polipeptide estraibile dalla mucosa duodenale che stimola la muscolatura liscia intestinale. 

• La bombesina, secreta dallo stomaco e in minor parte dal duodeno e dal rimanente tubo digerente, induce un aumento della increzione gastrinica e della motilità dell´intestino tenue e delle vie biliari.  

• La somatostatina, isolata originariamente dall´ipotalamo ma identificata successivamente anche a livello del pancreas, della mucosa dello stomaco, del duodeno e dell´intestino, inibisce l´attività del pancreas esocrino, la secrezione e la motilità dello stomaco, l´increzione di secretina, GIP, VIP e motilina.  

• La sostanza P è reperibile nelle cellule nervose e in cellule endocrine della mucosa del tubo digerente, anche se non è stata tuttora riscontrata in circolo. Essa indurrebbe un aumento della motilità intestinale.  

• L´enteroglucagone è secreto dalla mucosa gastrica e dal rimanente tubo digerente in risposta alla presenza di peptidi ed aminoacidi nel lume; per tale ragione il glucagone è dosabile nel plasma anche dopo pancreasectomia totale.  

Motilità  Le varie parti dello stomaco hanno compiti diversi. 

 

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 Il fondo e il corpo gastrico hanno funzione di réservoir e contribuiscono attivamente alla progressione del bolo alimentare mediante contrazioni toniche prolungate.  

 

All´ingresso del bolo alimentare nello  stomaco avviene un  rilasciamento della parete gastrica, cosicché  il volume  endoluminale  può  aumentare  notevolmente,  senza  che  si  verifichi  un  aumento  cospicuo  della pressione intragastrica.  

È stato  localizzato un pace‐maker della motilità gastrica a  livello del corpo dello stomaco,  lungo  la grande curvatura.  Il  pace‐maker  genera  potenziali  con  una  frequenza  di  circa  3  cicli/min  che  progrediscono  sia circonferenzialmente sia distalmente ed aumentano sia  in ampiezza sia  in velocità avvicinandosi al piloro. Questi  potenziali  scatenano  contrazioni  peristaltiche  nella  parte  distale  del  corpo  e  dell´antro  e determinano  il  rimescolamento  e  la  frammentazione  degli  alimenti  solidi  fintanto  che  questi  vengono ridotti a particelle di pochi mm di grandezza.  

Lo sfintere pilorico si apre periodicamente per consentire il passaggio dei liquidi e di piccoli boli semisolidi. Subito dopo  il passaggio di tali boli,  il piloro si chiude e  impedisce  il reflusso dal duodeno. Con ogni onda peristaltica avviene il passaggio in duodeno di circa 5 ml di chimo.  

La  facilità  e  la  rapidità  di  svuotamento  dello  stomaco  sono  direttamente  proporzionali  alla  fluidità  del chimo. 

 

 L´antro, il piloro e la prima porzione duodenale funzionano in modo coordinato, cosicché la loro contrazione successiva determina la progressione del bolo alimentare. Il rigurgito dal duodeno viene in larga parte impedito dal fatto che le contrazioni del piloro sono un poco più prolungate di quelle del duodeno.  

 

I  recettori  duodenali  diminuiscono  la  velocità  dello  svuotamento  gastrico  mediante  controllo  neuro‐ormonale, rallentando la motilità dello stomaco. Lo svuotamento gastrico è regolato da molti fattori, quali il tono  vagale,  la  distensione  del  duodeno,  l´osmolarità  e  l´acidità  del  chimo  che  giunge  in  duodeno,  il contenuto proteico e lipidico del chimo, il grado di continenza dello sfintere pilorico.  

La velocità di svuotamento gastrico dipende in larga parte dalla natura del cibo ingerito. Una composizione del cibo ricca di carboidrati determina un rapido svuotamento gastrico, mentre più lento è lo svuotamento in caso di alimentazione ricca di proteine e ancora più rallentato è lo svuotamento in caso di ingestione di grassi.  

L´ingresso  del  chimo  in  duodeno  determina  il  riflesso  enterogastrico,  caratterizzato  da  una  diminuzione della motilità gastrica; tale riflesso ha una componente meccanica, da distensione della parete duodenale, e una componente ormonale determinata dalla secrezione di GIP. Vi sono inoltre altri fattori che regolano lo svuotamento dello stomaco:  

• i liquidi vengono svuotati più rapidamente (circa 15 min);  • i solidi digeribili più lentamente (1/2 ora‐2 ore dipendentemente dalla composizione);  • i cibi non digeribili (per es. fibre) solo dopo molte ore.  

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Hanno effetto  frenante  lo svuotamento gastrico  i grassi che, giunti a contatto del duodeno, determinano inibizione vagale e stimolazione della increzione degli ormoni inibenti la motilità gastrica (CCK e secretina).  La  vagotomia  tronculare  e  la  vagotomia  selettiva  gastrica  (vedi  oltre)  determinano  rallentamento  dello svuotamento dei solidi dallo stomaco per diminuzione della peristalsi gastrica e per diminuito rilasciamento dello sfintere pilorico. L´attività elettrica e motoria del duodeno è coordinata con quella dell´antro gastrico e del piloro.  

La  coordinazione  antro‐duodenale  consiste nell´insorgenza di brevi  salve di 1‐3  contrazioni duodenali  in corrispondenza di una contrazione antrale. Il meccanismo di coordinazione è controllato da un pace‐maker gastrico,  mentre  le  contrazioni  duodenali  all´interno  di  ogni  sequenza  dipendono  da  un  pace‐maker duodenale.  

L´interruzione dell´innervazione estrinseca di stomaco e duodeno (vagotomia) non comporta alterazioni del meccanismo di coordinazione;  fondamentale per  il mantenimento di questa coordinazione appare  invece l´integrità della regione pilorica.  

La coordinazione antro‐duodenale serve a regolare  lo svuotamento gastrico,  limitando  il volume evacuato dallo stomaco, e a impedire il reflusso gastro‐duodenale.  

Digestione  Nello stomaco si esplica una fase importante della digestione, ad opera del succo gastrico contenente HCl ed enzimi quali i pepsinogeni, la gelatinasi e la lipasi gastrica. 

 

• I pepsinogeni, secreti come proenzimi inattivi, nell´ambiente acidogastrico si trasformano in pepsine; queste ultime determinano la scissione dei legami peptidici delle proteine, dando luogo alla formazione di peptidi di basso peso molecolare (peptoni). L´azione proteolitica delle pepsine è assai importante ma non essenziale, in quanto può essere vicariata da quella degli enzimi proteolitici secreti dal pancreas e dagli enterociti.  

• La gelatinasi determina la liquefazione della gelatina.  

• La lipasi gastrica ha attività lipolitica di modesta entità; la digestione dei lipidi inizia invece in modo massivo nel duodeno, ad opera della lipasi pancreatica, il più importante enzima lipolitico.  

La digestione degli  zuccheri  si  interrompe  temporaneamente a  livello gastrico, poiché  il pH acido non è 

ottimale per  l´attività della ptialina  (α‐amilasi) secreta con  la saliva;  la digestione degli zuccheri continua nell´ambiente duodenale ed intestinale, ad un pH più elevato, ad opera dell´amilasi pancreatica.  

 L´HCl secreto dallo stomaco è importante ai fini digestivi non solo perché determina il pH acido essenziale per l´attivazione del pepsinogeno in pepsina, ma anche perché riduce il ferro trivalente (ione ferrico) in ferro bivalente (ione ferroso), così che questo può essere assorbito in modo molto più efficiente, nella forma ridotta, da parte della mucosa duodenale e digiunale.  

 

La  produzione  di  secrezioni  a  livello  del  duodeno  è  volumetricamente  scarsa,  essendo  limitata  quasi esclusivamente al secreto delle ghiandole di Brunner. Questo, che non supera i 5 ml/ora durante i pasti, è 

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rappresentato  da  un  liquido  viscoso  debolmente  alcalino  che  contiene  enzimi  digestivi  (enterochinasi, glucoamilasi, aminopeptidasi)  in grado di  indurre  l´attivazione del tripsinogeno prodotto dal pancreas e  la scissione  di  polisaccaridi  e  polipeptidi.  La  produzione  del  succo  duodenale  è  regolata  con meccanismo ormonale:  la  gastrina,  la  secretina  e  la  CCK‐PZ  sono  in  grado  infatti  di  stimolare  la  secrezione  delle ghiandole di Brunner.  

Il  succo  secreto dal duodeno  comunque  svolge una  funzione digestiva piuttosto modesta;  la  sua  azione principale è quella di proteggere  la mucosa duodenale dall´acidità del chimo e di preparare un ambiente idoneo all´azione degli enzimi digestivi.  

A livello della seconda porzione confluiscono nel duodeno il succo pancreatico e la bile. I costituenti alcalini del succo pancreatico neutralizzano l´acidità gastrica, mentre gli enzimi digestivi in esso contenuti (amilasi, tripsina,  lipasi,  carbossipeptidasi,  elastasi,  fosfolipasi,  ribonucleasi, desossiribonucleasi,  ecc.) provvedono alla scissione idrolitica dei glucidi, dei peptidi, dei lipidi e di altre macromolecole organiche.  

Anche  la bile, alcalina, contribuisce alla neutralizzazione dell´acidità gastrica. I sali biliari esercitano azione emulsionante  sui  lipidi,  favorendone  la  digestione  enzimatica  (attivando  la  lipasi  intestinale)  e l´assorbimento a livello del tenue.  

Altre funzioni  A  livello  gastrico  avviene  l´assorbimento diretto di  alcune  sostanze quali  l´acqua,  l´alcool etilico e  alcuni farmaci. 

Nel duodeno si compie l´assorbimento di monosaccaridi, di numerosi farmaci e del ferro.  

Oltre alle funzioni sopra descritte, lo stomaco ha quella di controllo della crescita dei batteri presenti negli alimenti; questi vengono infatti per la maggior parte uccisi dall´acidità del succo gastrico.  

La flora microbica gastrica (inferiore a 1000 batteri/ml di succo gastrico) è costituita dalle specie più acido resistenti, cioè Gram+  (streptococchi),  lactobacilli, anaerobi quali  il peptostreptococco e  il Fusobacterium, ed  alcuni miceti.  L´aumento  del  pH  gastrico,  quale  si  verifica  in  corso  di  ipoacloridria,  gastrite  atrofica, terapia  con  farmaci  anti‐H2‐recettori  e  dopo  gastroresezione,  determina  un  aumento  della  microflora gastrica; questo  fenomeno può  talora avere  implicazioni cliniche  importanti, poiché può  condurre ad un aumento delle  infezioni  (gastro‐intestinali e a distanza) e può determinare  la  formazione di nitrosamine cancerogene. 

 

 Le cellule parietali della mucosa gastrica secernono il fattore intrinseco, necessario per l´assorbimento della vitamina B12 che avviene prevalentemente nell´ileo terminale. La secrezione di fattore intrinseco è correlata a quella di acido cloridrico; nella ipocloridria infatti vi è anche diminuzione della secrezione di fattore intrinseco, che tuttavia è sufficiente per impedire l´insorgenza di anemia perniciosa.  

Esami di laboratorio e strumentali

 

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Il  ricorso  ad  esami  di  laboratorio  e  ad  indagini  strumentali  è  indispensabile  per  accertare  la  diagnosi, formulare la prognosi e guidare la condotta terapeutica delle malattie dello stomaco e del duodeno. 

 

 Le metodiche più importanti per lo studio delle malattie gastro‐duodenali sono:  

• l´endoscopia digestiva, con le metodiche ad essa associate (biopsia endoscopica, cromoendoscopia, endoscopia operativa, ecografia endoscopica);  

• l´esame radiologico del primo tratto del tubo digerente con pasto radiopaco;  • la valutazione dell´attività secretoria gastrica;  • il dosaggio della gastrinemia.  

• La ricerca del sangue occulto nelle feci è un esame aspecifico ma utile in fase diagnostica iniziale; la positività del test è indice di stillicidio ematico nel tubo digerente. Lo stomaco e il duodeno sono tra le sedi più frequenti di sanguinamento.  

• L´ecografia e la TC dell´addome sono da considerarsi quasi sempre accertamenti di seconda istanza, utili per definire la natura di neoformazioni che determinano compressione estrinseca a carico dello stomaco e del duodeno e per valutare l´eventuale coinvolgimento di altri organi addominali da parte di una patologia primitiva gastro‐duodenale (per es. metastasi epatiche di neoplasia gastrica).  

• L´arteriografia selettiva del tronco celiaco e dell´arteria mesenterica superiore può essere talora utilizzata per identificare la sede del sanguinamento nel caso di emorragia digestiva in atto; è un esame radiologico impiegato raramente, che è stato sostituito nella maggior parte dei casi dall´esame endoscopico.  

Quest´ultimo richiede tempi di esecuzione più brevi e una tecnica più semplice; in condizioni di emergenza può essere eseguito anche in sala operatoria.  

Esame endoscopico  L´endoscopio a  fibre ottiche permette di esaminare  il primo  tratto del  tubo digerente  in modo semplice, non  rischioso  e  rapido,  effettuando  una  esofago‐gastro‐duodenoscopia  (EGDS).  L´endoscopia  raggiunge livelli di sensibilità e specificità diagnostica assai prossimi al 100% per quanto concerne  la maggior parte delle  patologie  gastro‐duodenali;  essa  consente  infatti  la  visione  diretta  della mucosa  e  delle  eventuali lesioni  presenti  e  l´esecuzione  di  prelievi  bioptici.  L´endoscopia  rappresenta  attualmente  la  metodica diagnostica d´elezione per lo studio delle affezioni organiche dello stomaco e del duodeno.  

La  durata media  dell´esame  è  di  pochi minuti  e  l´unica  controindicazione  è  la  presunta  o  documentata perforazione  del  tratto  in  esame.  L´endoscopia  consente  di  individuare  alcune  lesioni  mucose  gastro‐duodenali non  identificabili radiologicamente, quali  le aree di gastrite,  le erosioni mucose e  l´early gastric cancer.  

La cromoendoscopia consiste nell´irrigazione della mucosa con sostanze coloranti, quali il liquido di Lugol, il blu di metilene o  il blu di toluidina,  in corso di esame endoscopico; ciò consente di  individuare condizioni precancerose (per es. metaplasia intestinale), altrimenti poco visibili alla normale osservazione.  

La cromoendoscopia è utile: nel follow‐up delle gastriti atrofiche e della gastropatia ipertrofica, condizione a  rischio per  lo  sviluppo di neoplasie; nella  ricerca di aree di  trasformazione neoplastica nel  contesto di 

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neoformazioni benigne; nella diagnosi precoce dell´early gastric  cancer e dei  tumori gastrici a diffusione superficiale. 

 L´esame endoscopico è unanimemente considerato la metodica di elezione per:  

• la diagnosi dell´ulcera peptica gastro‐duodenale;  • la diagnosi delle neoplasie gastriche, duodenali e della papilla di Vater;  • la valutazione delle condizioni del moncone gastrico nei gastroresecati;  • la verifica della guarigione delle ulcere dopo terapia medica;  • il monitoraggio delle lesioni gastro‐duodenali a rischio.  

 Tutte le lesioni proliferative e le ulcere gastriche identificate all´endoscopia o all´esame radiologico, anche se  con  apparenti  caratteri  di  benignità,  richiedono  l´esecuzione  di  biopsie  seriate  ed  eventualmente  la raccolta, sotto guida endoscopica, di uno o più campioni citologici tramite brushing (spazzolamento).  L´esame endoscopico è  in grado di  chiarire  rapidamente e  con  certezza nel 70‐80% dei  casi  la  sede e  la natura di un sanguinamento del primo tratto del tubo digerente; l´endoscopia inoltre può essere ripetuta, se  necessario,  durante  la  preparazione  del  paziente  all´intervento  chirurgico,  o  addirittura  nel  corso dell´intervento  stesso.  Ulteriori  indicazioni  all´esame  endoscopico  sono  rappresentate  dal  sospetto  di occlusione a livello gastro‐duodenale (ipertrofia pilorica, stenosi pilorica cicatriziale o neoplastica, neoplasia o compressione estrinseca del duodeno, neoplasia gastrica antrale, bezoar, ecc.), dall´ingestione di corpi estranei, dalla valutazione delle varici esofagee e del fondo gastrico in pazienti con ipertensione portale.  

Al vantaggio in campo diagnostico, l´endoscopia unisce le potenzialità terapeutiche (endoscopia operativa) (Fig. 8.6):  scleroterapia e  legatura delle varici esofagee e del  fondo gastrico,  rimozione di corpi estranei, polipectomia endoscopica, dilatazione in sede di stenosi, diatermocoagulazione di lesioni sanguinanti.  

La recente introduzione dell´ecografia endoscopica ha fornito l´opportunità di studiare con un unico esame le parete dei visceri cavi e gli organi contigui; nello stomaco e nel duodeno tale metodica risulta utile per la valutazione  delle  neoplasie  infiltranti  a  sviluppo  sottomucoso,  per  la misurazione  della  profondità  delle ulcere e per l´individuazione della diffusione neoplastica ai linfonodi loco‐regionali.  

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Fig. 8.6. Campi di applicazione della gastro‐duodenoscopia. 

Esame radiologico con mezzo di contrasto radiopaco   La valutazione radiologica dello stomaco e del duodeno con mezzo di contrasto è utile per evidenziare le 

lesioni che ne modificano la morfologia, il disegno plicale, la motilità e il tempo di svuotamento.  

 

Di regola il mezzo di contrasto impiegato è una sospensione di bario; più raramente, quando vi è il rischio di fuoriuscita del contrasto dal tubo digerente (fistola, deiscenza anastomosi, ecc.), viene utilizzato un mezzo di contrasto idrosolubile (Gastrografin).  

Alterazioni  superficiali  o  di  piccole  dimensioni  possono  non  risultare  visibili  anche  con  il  ricorso  alla metodica del doppio contrasto radiologico e gassoso: è il caso delle piccole erosioni mucose conseguenti a gastrite acuta erosiva, delle  lesioni proliferative di piccole dimensioni e  limitate alla mucosa come  l´early gastric cancer, e delle lesioni precancerose come la gastrite atrofica o la metaplasia intestinale.  

Le  gastriti  superficiali  e  la  gastrite  atrofica  spesso  si  evidenziano  radiologicamente  solo  tramite  segni indiretti ed aspecifici: iperperistaltismo e alterazioni dello svuotamento dello stomaco. Alcune gastriti, quali la gastropatia ipertrofica e la malattia di Ménétrier, si distinguono per la presenza di pliche mucose giganti, di  aspetto  cerebriforme,  in  grado  di  simulare  veri  e  propri  difetti  di  riempimento.  Nell´atrofia  gastrica invece la mucosa appare liscia e priva di pliche.  

Le duodeniti  si  accompagnano  talvolta  alla presenza di pliche mucose  duodenali  ispessite  ed  a  decorso tortuoso, ma spesso l´unico segno radiologico è una discinesia del bulbo associata a spasmo del piloro.  

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Per quanto concerne  le patologie funzionali dello stomaco e del duodeno,  l´esame radiologico è utile per evidenziare  la  continenza dello  sfintere  cardiale,  il  funzionamento dello  sfintere pilorico e  le modalità di svuotamento dello stomaco. L´esame radiologico rende possibile  individuare  l´80‐90% delle ulcere gastro‐duodenali riscontrabili in endoscopia (Figg. 8.7, 8.8). 

 

Fig.  8.7.  Esame  dello  stomaco‐duodeno  con  pasto  opaco  baritato.  Ulcera  duodenale  evidente  come immagine di "plus", con pliche convergenti a raggiera della mucosa circostante; deformazione del bulbo. 

 

 Il riscontro di un´ulcera gastrica con caratteri radiologici di benignità non può tuttavia essere sufficiente per porre diagnosi di ulcera peptica benigna; si deve sempre eseguire una gastroscopia con prelievi bioptici dei margini dell´ulcera, per escluderne la natura maligna. Se l´esame radiologico con mezzo di contrasto dello stomaco e del duodeno è negativo ma permane il sospetto clinico di ulcera peptica, è necessario eseguire la gastro‐duodenoscopia.  

 

L´esame  radiologico diretto  (cioè  senza mezzo di  contrasto) dell´addome è utile a dimostrare  l´avvenuta perforazione dello stomaco o del duodeno (Fig. 8.9). La perforazione del cavo peritoneale determina infatti la  comparsa  di  falde  di  gas  libero,  in  sede  antideclive,  prevalentemente  sotto  il  diaframma;  se  la perforazione riguarda la porzione retroperitoneale del duodeno, si riscontrerà enfisema retroperitoneale.  

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L´esame con contrasto può mettere  in evidenza  la  formazione di  fistole gastro‐coliche o duodeno‐biliari; queste possono essere conseguenti all´approfondirsi di ulcere peptiche, o a perforazione e  fistolizzazione della colecisti in duodeno. 

 

 L´esame radiologico presenta una buona sensibilità per l´identificazione delle neoplasie benigne e maligne dello stomaco (Fig. 8.10); queste si evidenziano come difetti di riempimento, talvolta ulcerati, oppure come aree di rigidità della parete, con perdita del disegno mucoso e arresto della peristalsi. Tale sensibilità si riduce però con il diminuire delle dimensioni della neoplasia, così che raramente è possibile ottenere con l´esame radiologico la diagnosi precoce dei tumori gastrici.  

 

I tumori della I e II porzione del duodeno (rari) sono talora evidenziabili con l´esame radiologico con mezzo di contrasto; quelli situati nella III e IV porzione, invece, in conseguenza dell´elevata velocità di deflusso del contrasto, sono meglio evidenziabili con l´endoscopia.  

 

Fig. 8.8. Quadro endoscopico di ulcera peptica duodenale. Si osservi: in primo piano l´orifizio pilorico; sullo sfondo il cratere ulceroso (frecce ) con il fondo coperto di fibrina e con alone periferico di iperemia mucosa. 

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Fig.  8.9.  Radiografia  diretta  che  evidenzia  la  presenza  di  gas  libero  sottodiaframmatico  in  seguito  a perforazione di ulcera gastrica. 

 

  

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Fig. 8.10. Neoplasia gastrica ulcerata. Il mezzo di contrasto evidenzia un´immagine di plus in minus a livello della piccola curva gastrica. 

L´esame radiologico è utile infine per diagnosticare le anomalie morfologiche dello stomaco e del duodeno, le  compressioni  estrinseche  e  alcune  patologie  rare;  rientrano  in  questo  gruppo  i  diverticoli  gastrici  e duodenali, il pancreas anulare e la compressione vascolare del duodeno.  

Valutazione della secrezione acida gastrica  Si definisce secrezione acida basale (BAO, Basal Acid Output) la quantità in mEq di acido cloridrico secreto in un´ora, al mattino, dal paziente a digiuno da almeno 8‐10 ore. In soggetti adulti e sani, il valore del BAO è compreso tra 1 e 5 mEq/ora. La produzione acida massimale (MAO, Maximal Acid Output) è rappresentata dalla quantità di acido cloridrico secreta nell´ora seguente  la somministrazione parenterale di un farmaco secretagogo  (normalmente  si  impiega  la  pentagastrina,  un  polipeptide  gastrinosimile  la  cui  azione  si esaurisce entro un´ora dalla somministrazione e che risulta privo di effetti collaterali).  In soggetti adulti e sani il valore del MAO risulta mediamente di 30 mEq/ora negli uomini e 20 mEq/ora nelle donne.  

La maggior parte dei pazienti affetti da ulcera peptica duodenale presentano valori di BAO, e soprattutto di MAO,  superiori  alla  norma.  Nei  pazienti  affetti  da  ulcera  gastrica  invece  tali  valori  risultano  normali  o leggermente inferiori alla norma.  

La misurazione della secrezione acida gastrica non rappresenta però un indice di certezza per la diagnosi di ulcera e non è un esame indispensabile in tutti i pazienti con lesioni peptiche sospette o già documentate.  

L´acloridria,  condizione  caratterizzata  da  un  pH  gastrico  >  6  dopo  stimolazione  pentagastrinica,  è incompatibile  con  la  diagnosi  di  ulcera  peptica  dello  stomaco;  eventuali  ulcere  riscontrate  in  caso  di acloridria sono da ritenersi di natura neoplastica.  

La valutazione di BAO e MAO è  importante per  la diagnosi della sindrome di Zollinger‐Ellison, unitamente alla determinazione della gastrinemia.  

Il riscontro di ipergastrinemia associato a BAO > 15mEq/ora e ad un rapporto BAO/MAO > 0,6 rappresenta un elemento di certezza per differenziare  la sindrome di Zollinger‐Ellison da altre condizioni caratterizzate dalla presenza di ipergastrinemia e gastrite ipertrofica.  

Dosaggio della gastrinemia  I valori normali della gastrinemia, valutabili con metodo  radioimmunologico, sono compresi  tra 50 e 200 pg/ml. Tali valori possono però triplicarsi dopo un pasto proteico. Nei pazienti portatori di ulcera gastrica si osservano valori piuttosto elevati di gastrinemia, in conseguenza della relativa ipoacidità del succo gastrico. Nell´ulcera duodenale invece, la gastrinemia a digiuno è solitamente bassa, in rapporto agli elevati valori di acidità basale, mentre la secrezione gastrinica postprandiale appare accentuata e soprattutto più protratta nel tempo. Le condizioni che comportano una distensione dello stomaco, come la stenosi pilorica, possono essere causa di  ipergastrinemia, causando  la  liberazione di gastrina  in conseguenza dello stiramento della parete gastrica. 

 

 Un valore di gastrinemia a digiuno > 500 pg/ml, accompagnato ad un rapporto BAO/MAO > 0,4, deve far sospettare la sindrome di Zollinger‐Ellison; tale diagnosi è da ritenersi certa se i valori di gastrinemia sono > 1000 pg/ml a digiuno, con un rapporto BAO/MAO > 0,6.  

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È utile eseguire  la determinazione della gastrinemia, soprattutto nel sospetto di gastrinoma, nei seguenti casi:  

• riscontro di ulcere peptiche multiple  in sede atipica, specialmente se distali alla seconda porzione duodenale;  

• recidiva di ulcera peptica, soprattutto dopo intervento chirurgico;  • BAO > 15 mEq/ora e rapporto BAO/MAO > 0,4;  • riscontro  di  iperparatiroidismo  o  di  altra  neoplasia  endocrina,  alla  ricerca  di  una  possibile 

associazione con il gastrinoma nella sindrome MEN 1.  

Ipergastrinemia si riscontra anche nella rara sindrome pseudo‐Zollinger‐Ellison, caratterizzata da  iperplasia delle cellule G antrali cui consegue  ipergastrinemia,  ipercloridria e formazione di ulcere gastro‐duodenali. La  diagnosi  differenziale  con  il  gastrinoma  può  essere  posta mediante  il  test  con  secretina:  l´infusione endovenosa di secretina è in grado di indurre entro 15 minuti un aumento del 100‐300% della gastrinemia solo  in presenza di gastrinoma;  in tutti gli altri casi  la secretina ha azione  inibente sul rilascio di gastrina. Anche  l´ipercalcemia,  indotta tramite  infusione endovenosa di calcio, causa un aumento della gastrinemia solo in presenza di gastrinoma.  

Lesioni rare

 

Stenosi ipertrofica del piloro  La stenosi ipertrofica del piloro (Fig. 8.11) può presentarsi nel lattante e, molto più raramente, nell´adulto. 

 

• L´ipertrofia pilorica nel lattante è la più comune patologia di interesse chirurgico delle prime settimane di vita e costituisce un´indicazione alla chirurgia d´urgenza.  

È più  frequente nei neonati maschi,  con un  rapporto maschi/femmine di 8:1.  L´eziopatogenesi è quasi sicuramente legata ad un fattore ereditario. La sintomatologia esordisce solitamente nella II o III  settimana di vita, dopo un periodo di  totale benessere, ma può essere già presente nei primi giorni dopo  la nascita, o può comparire più tardivamente.  Il bambino presenta episodi di vomito, mai biliare, sempre più frequenti ed abbondanti; ciò arriva a manifestarsi sistematicamente dopo ogni poppata. L´impossibilità di nutrirsi comporta un rapido decadimento delle condizioni generali. L´esame  obiettivo  dell´addome  permette  di  palpare,  solitamente  al  disotto  dell´arcata  costale destra,  la  presenza  di  una  tumefazione  olivare,  di  consistenza  dura,  che  corrisponde  al  piloro ipertrofico. La stenosi è determinata da ipertrofia dello strato circolare della muscolatura del piloro, che costituisce un manicotto spesso 5‐6 mm ostruente concentricamente il piloro.  

La  presenza  di  un  certo  intervallo  di  tempo  tra  la  nascita  e  la  comparsa  dei  sintomi  ha  fatto supporre  ad  alcuni  autori  che  l´ipertrofia  sia  conseguenza di uno  spasmo dello  sfintere pilorico, oppure di una sua discalasia (scarso rilasciamento), con  incoordinazione funzionale tra  l´antro e  il piloro.  La  diagnosi  è  solitamente  clinica,  ma  può  essere  confermata,  prima  dell´intervento chirurgico, dall´esame ecografico, dall´esame radiologico e dall´endoscopia. 

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Fig. 8.11. Stenosi ipertrofica del piloro. 

 La terapia è chirurgica e consiste nella piloromiotomia extramucosa.   

• La stenosi ipertrofica del piloro nell´adulto è una malattia rara, di cui si distinguono due varietà: la forma ipertrofica pura, di origine costituzionale, che potrebbe rappresentare una manifestazione tardiva dell´ipertrofia congenita; la forma scleroinfiammatoria, più frequente, di probabile origine flogistica. In entrambi i casi il canale pilorico presenta pareti ispessite per ipertrofia e iperplasia della tonaca muscolare. Nella forma scleroinfiammatoria, oltre all´ipertrofia muscolare si riscontra anche la presenza di fibrocellule connettivali, di linfociti e plasmacellule. Il quadro clinico dipende dallo stadio di evoluzione della malattia. I fenomeni di stenosi sono preceduti solitamente da disturbi cronici della digestione, rappresentati da distensione addominale e senso di peso epigastrico postprandiale, eruttazione e frequenti episodi di pirosi e rigurgito. Quando si instaura la stenosi compaiono dolore epigastrico e vomito alimentare. L´esame radiologico con pasto baritato eseguito in questo stadio evidenzia tipicamente l´allungamento e la stenosi del canale pilorico, con gastrectasia. La diagnosi differenziale va posta nei confronti del carcinoma antrale infiltrante il piloro e della linite plastica antropilorica, mediante prelievi bioptici in corso di EGDS.  

 La terapia è chirurgica e consiste nella resezione antropilorica o nella gastro‐enteroanastomosi.   

Volvolo gastrico  Il volvolo gastrico è una malattia rara; può essere acuto o cronico. Lo stomaco può ruotare attorno al suo asse  longitudinale  (volvolo organo‐assiale) o  attorno  ad una  linea  che  va  dal punto medio della  piccola curvatura a quello della grande curvatura (volvolo mesentero‐assiale). Il primo tipo di volvolo è più comune e si associa talora all´ernia  iatale paraesofagea. Nel secondo caso è spesso  l´eventratio dell´emidiaframma di  sinistra  che,  permettendo  la  risalita  del  colon,  può  determinare  un  basculamento  dello  stomaco  in seguito alla trazione esercitata sul legamento gastro‐colico. 

 

 Il volvolo acuto causa la comparsa improvvisa di dolore molto intenso localizzato ai quadranti addominali superiori e associato ad una caratteristica triade sintomatologica (triade di Brochardt): rigurgito salivare 

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seguito da conati improduttivi, distensione epigastrica e impossibilità di posizionare un sondino naso‐gastrico oltre il cardias.  

 

L´esame radiologico dell´addome senza mezzo di contrasto evidenzia la distensione dello stomaco; il pasto baritato dimostra  l´arresto del passaggio del mezzo di contrasto  in corrispondenza del volvolo.  Il volvolo acuto  dello  stomaco  può  regredire  spontaneamente,  ma  può  anche  comportare  lo  strangolamento gastrico, che richiede l´intervento chirurgico d´urgenza. La mortalità in quest´ultimo caso è elevata.  

Il volvolo cronico è di riscontro poco frequente e può rimanere asintomatico; la maggior parte dei pazienti riferisce tuttavia dolore addominale intermittente, di tipo crampiforme, solitamente postprandiale.  

 I casi di volvolo gastrico associato a ernia paraesofagea o a eventratio vanno trattati chirurgicamente, con gastropessi e correzione della patologia di base.   

Rottura traumatica dello stomaco e del duodeno  La rottura dello stomaco o del duodeno può verificarsi  in seguito a traumi addominali aperti o chiusi. Nei traumi penetranti, vi può essere lesione diretta indotta dall´agente vulnerante; nel caso di traumi chiusi, il meccanismo  responsabile  della  lesione  gastrica  è  l´improvviso  aumento  della  pressione  intraddominale indotto dall´agente contusivo, che comporta lacerazione dello stomaco (trauma da scoppio).  

La  rottura  dello  stomaco  può  verificarsi  anche  in  seguito  alla  ingestione  di  una  grande  quantità  di bicarbonato  a  scopo digestivo dopo un pasto  copioso;  la  formazione di un notevole  volume di  anidride carbonica  a  contatto  con  l´acido  cloridrico  determina  un´enorme  sovradistensione  dello  stomaco  che, associata  a  conati  di  vomito  può  portare,  per  l´improvviso  aumento  della  pressione  intragastrica,  alla lacerazione della parete.  

Nella  rottura  del  duodeno  il meccanismo  della  lesione  è  solitamente  la  compressione  contro  il  piano muscolo‐vertebrale (trauma da schiacciamento). Le lesioni dello stomaco e del duodeno si associano quasi sempre a lesioni di altri organi addominali: più frequentemente coinvolti sono il fegato, il pancreas e i grossi vasi.  I  traumi gastro‐duodenali da  strappamento  sono assai  rari.  La possibilità di una  lesione  traumatica dello stomaco va considerata anche in caso di trauma a carico della parte inferiore del torace, soprattutto se di tipo penetrante.  

La sintomatologia della rottura dello stomaco è costituita da dolore addominale esacerbato dai movimenti, con viva dolorabilità alla palpazione.  

Le manovre  semeiologiche  tradizionali e  la  radiografia diretta  rivelano  la presenza di pneumoperitoneo. Frequentemente si associano anemizzazione, ematemesi e melena o enterorragia.  

Compaiono  i  segni  di  irritazione  peritoneale,  per  la  presenza  di  peritonite  chimica,  che  rapidamente  si trasforma  in  peritonite  batterica.  I  parametri  vitali  possono  risultare  notevolmente  compromessi.  Nei traumi aperti vi può essere la protrusione di visceri attraverso la breccia nella parete. La diagnosi di rottura del  duodeno  viene  posta  in  genere  al  momento  della  laparotomia  esplorativa;  nella  rottura retroperitoneale  del  duodeno,  i  sintomi  specifici  possono  comparire  anche  a  distanza  di  24‐36  ore;  la diagnosi può essere posta con  l´esame radiologico diretto,  in seguito al reperto di aria nel retroperitoneo che può occasionalmente mettere  in  evidenza  il profilo dei  reni.  Lo  spandimento di mezzo di  contrasto 

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iodato idrosolubile (Gastrografin) nel retroperitoneo dopo la somministrazione per os conferma la presenza della lesione.  

Talvolta  la diagnosi di rottura retroperitoneale del duodeno è difficoltosa anche alla  laparotomia, e viene posta  in  base  al  reperto  di  raccolta  di  succo  gastrico  e  biliare  e  di  enfisema  nel  retroperitoneo  e  nel mesocolon trasverso. Se la rottura del duodeno è intraperitoneale si ha la comparsa di pneumoperitoneo, nonché di peritonite, conseguente allo spandimento di secreto biliare e pancreatico.  

 La terapia delle rotture gastro‐duodenali è chirurgica d´urgenza ed è gravata da un´alta percentuale di complicanze e di mortalità, anche per la frequente presenza di altre lesioni viscerali associate.   

Prolasso mucoso dello stomaco  È una patologia rara, che si accompagna solitamente alla presenza di piccole ulcere del bulbo duodenale. La sintomatologia  dolorosa  è  simile  a  quella  dell´ulcera  peptica  e  si  associa  frequentemente  ad  episodi  di vomito.  L´esame  radiologico  con  pasto  baritato  mostra  solitamente  il  prolasso  delle  pliche  mucose dell´antro gastrico nel  lume del bulbo duodenale.  Il  riscontro è  tuttavia occasionale e spesso avviene nel corso di esami eseguiti per documentare la presenza di ulcera peptica.  

La  scoperta  di  prolasso mucoso  non  deve  tuttavia  far  trascurare  l´ipotesi  della  possibile  coesistenza  di lesioni ulcerose.  

 Il trattamento è conservativo; solo in casi eccezionali si rende necessario eseguire l´antrectomia.   

Diverticoli gastrici  I  diverticoli  dello  stomaco  sono  rari  e  generalmente  asintomatici;  la  diagnosi  avviene  casualmente. Generalmente  si  tratta di diverticoli da pulsione,  la  cui parete è  costituita da mucosa e  sottomucosa. La localizzazione più frequente è lungo la piccola curvatura, a breve distanza dal cardias. I diverticoli localizzati in  regione prepilorica sono più  facilmente sintomatici per  la compressione o  la dislocazione che possono indurre sull´antro o sul canale pilorico, oppure per la comparsa di sanguinamento o infiammazione.  

 Nella maggior parte dei casi non si rende necessario alcun trattamento.   

Diverticoli duodenali  Dopo  il colon,  il duodeno è  il  tratto del  tubo digerente più  frequentemente  interessato dalla presenza di diverticoli (Fig. 8.12); questi si riscontrano nel 5‐10% degli esami radiologici ed endoscopici del primo tratto del  tubo digerente. Si  tratta prevalentemente di diverticoli da pulsione,  la cui parete è costituita solo da mucosa e sottomucosa. Il riscontro è raro in pazienti di età < 40 anni; sono leggermente più frequenti nelle donne.  Il 90% dei diverticoli duodenali è  localizzato all´altezza della seconda o  terza porzione duodenale, lungo la parete mediale. Nella maggior parte dei casi si tratta di diverticoli solitari, posti a distanza di 2‐5 cm dall´ampolla di Vater; le dimensioni variano da pochi millimetri a qualche centimetro. I rarissimi diverticoli intraluminali, cosiddetti "a manica a vento", sono da considerarsi un´anomalia morfologica della porzione discendente del duodeno e possono associarsi a sbocchi anomali delle vie biliari e pancreatiche. Solo  l´1% dei  diverticoli  duodenali  induce  la  comparsa  di  sintomi  clinici.  Alcuni  pazienti  riferiscono  solo  dolore addominale  postprandiale  e  disturbi  dispeptici,  oppure  dolore  del  tipo  a  colica.  Poiché  i  diverticoli coesistono  spesso  con  altre  patologie  gastro‐duodenali,  la  genesi  dei  disturbi  raramente  può  essere attribuita con certezza; pertanto il riscontro di un diverticolo duodenale agli esami strumentali non deve far sospendere la ricerca di altre patologie del tubo digerente. 

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Fig. 8.12. Diverticolo duodenale. 

Le  complicanze  più  frequenti  dei  diverticoli  duodenali  sono  la  diverticolite,  il  sanguinamento,  la perforazione del diverticolo, l´ostruzione della via biliare principale da compressione e la pancreatite acuta. La  diverticolite  si manifesta  con  la  comparsa  di  dolore  addominale  acuto,  febbre  e  leucocitosi.  Spesso possono  associarsi  emorragia  o  perforazione.  Talvolta  si  riscontra  la  formazione  di  calcoli  diverticolari (enteroliti),  composti da  salidi acidi biliari,  in  conseguenza della  stasi biliare nel diverticolo. Gli enteroliti possono  passare  nel  lume  intestinale  e  causare  ileo  biliare.  L´emorragia  dal  diverticolo  consegue  ad erosione della mucosa e può essere di notevole gravità se è  legata alla perforazione del diverticolo  in un grosso vaso del retroperitoneo. La perforazione del diverticolo è la complicanza più temibile, perché causa la  formazione di ascessi  retroperitoneali gravati da un´altissima mortalità.  La perforazione, oltre  che nel retroperitoneo, può avvenire  in un viscere contiguo, con formazione di fistola (duodeno‐colica, duodeno‐colecistica).  Raramente  il  diverticolo  può  determinare  la  comparsa  di  occlusione  intestinale  alta,  in conseguenza  di  una  compressione  del  lume  duodenale.  I  diverticoli  dell´area  perivateriana  possono comprimere o dislocare  la papilla di Vater e  la testa dal pancreas, determinando stasi biliare e favorendo l´insorgenza di litiasi biliare, di colangite e di pancreatite acuta.  

 Il ricorso all´intervento chirurgico si rende solitamente necessario solo in presenza di sintomi gravi e persistenti, oppure per la comparsa di complicanze. Un beneficio sintomatologico può talvolta essere fornito dalla dilatazione endoscopica del colletto del diverticolo, per facilitarne lo svuotamento.   

Bezoari  I  bezoari  sono  corpi  estranei  che  si  formano  direttamente  nello  stomaco  in  seguito  alla  concrezione  di materiali  vari.  I  tricobezoari  sono  costituiti  da  peli  o  capelli  che  il  paziente  inghiotte  per  infantilismo  o squilibrio mentale.  I  fitobezoari  invece  sono  costituiti da  fibre vegetali  che  si accumulano nello  stomaco dopo ingestione di grandi quantità di verdure o frutti particolarmente ricchi di cellulosa: cachi, carrube, fichi d´india,  arance,  sedano,  ecc.  La masticazione  insufficiente  per  un´errata  abitudine  alimentare  o  per  la mancanza  dei  denti  può  costituire  un  fattore  predisponente.  La  formazione  di  fitobezoari  è  inoltre  più frequente  nei  pazienti  gastroresecati,  probabilmente  in  conseguenza  della  ridotta  produzione  di  acido cloridrico e pepsina, e per  il venire meno dell´azione propulsiva dell´antro gastrico. La maggior parte dei 

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bezoari  staziona  nello  stomaco,  dove  può  persistere  per  periodi  di  tempo  anche  molto  lunghi.  La sintomatologia  compare  quando  il  bezoar  migra  a  livello  intestinale,  causando  occlusione,  oppure raggiunge dimensioni o  consistenza  tali da obliterare  il  lume gastrico o da comprimere  la mucosa  fino a causarne  l´ulcerazione  e  il  sanguinamento.  La  diagnosi  viene  posta  con  l´esame  radiologico  o  con l´endoscopia.  

 Per la maggior parte i bezoari possono essere frammentati e rimossi per via endoscopica. Solo le situazioni complicate dalla presenza di erosioni sanguinanti, occlusione o perforazione richiedono l´intervento chirurgico.   

Ostruzione duodenale da compressione vascolare  Una causa rara di occlusione duodenale è rappresentata dalla compressione del duodeno tra l´aorta e i vasi mesenterici  superiori  che,  decorrendo  nella  radice  del  mesentere,  passano  anteriormente  alla  terza porzione  duodenale  (Fig.  8.13). Nei  soggetti  normali,  il  tessuto  adiposo  del  retroperitoneo  permette  di mantenere  una  certa  distanza  tra  l´aorta,  che  decorre  posteriormente  al  duodeno,  e  i  vasi mesenterici superiori.  I  pazienti  affetti  da  questa  patologia  riferiscono  perdita  di  peso  recente,  a  volte  cospicua.  La riduzione  del  grasso  retroperitoneale  e  la  conseguente  riduzione  dell´angolo  aorto‐mesenterico  non spiegano  da  sole  la  comparsa  di  compressione  vascolare  del  duodeno;  è  necessario  che  alla  riduzione dell´angolo aorto‐mesenterico si accompagni o  la presenza di un  legamento di Treitz molto corto e rigido che fissa il duodeno, oppure un decorso anomalo dell´arteria mesenterica superiore.  

Dal punto di vista  clinico  si distinguono una varietà acuta ed una  cronica di  compressione vascolare del duodeno. 

 

Fig. 8.13. Sindrome da compressione dell´arteria mesenterica superiore. 

• La forma acuta, che spesso insorge in pazienti senza precedenti sintomatologici gastro‐intestinali, si instaura di solito dopo traumi gravi, ustioni, interventi chirurgici, applicazione di corsetti gessati, trazioni ortopediche sulla colonna, ecc.; il paziente è stato costretto a mantenere la posizione 

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supina per lunghi periodi di tempo e spesso è andato incontro ad una cospicua perdita di peso. L´esordio è caratterizzato da anoressia, senso di distensione addominale postprandiale, dolori crampiformi in regione epigastrica, cui fa seguito vomito biliare.  

• La forma cronica, più frequente, può conseguire ad una grande varietà di cause, come l´immobilizzazione prolungata, una visceroptosi per perdita del tono della muscolatura addominale, una lordosi dorsale molto marcata, gravi malattie sistemiche, oppure può essere primitiva. Il paziente si presenta astenico, magro, e con una sintomatologia presente da lungo tempo o addirittura dall´infanzia: dispepsia, dolori epigastrici, nausea ed episodi di vomito biliare. Per prevenire il vomito il paziente limita l´introduzione di cibo.  

 In entrambe le forme cliniche la sintomatologia può attenuarsi con l´assunzione della posizione prona o del decubito  laterale sinistro. L´esame obiettivo dei pazienti  fornisce scarsi elementi per  la diagnosi. L´esame radiologico  diretto  dell´addome  può  dimostrare  la  presenza  di  distensione  gassosa  dello  stomaco  e  del duodeno  (segno della doppia bolla). L´esame radiologico con pasto baritato evidenzia  la dilatazione delle prime due porzioni duodenali, prossimalmente ad una regione di compressione estrinseca nel punto in cui l´arteria  mesenterica  superiore  impronta  la  terza  porzione  del  duodeno;  il  reperto  scompare  con l´assunzione del decubito prono o laterale sinistro, che consente un rapido passaggio del bario. La certezza diagnostica si ottiene con l´aortografia associata ad esame radiologico duodenale con bario.  

 Il trattamento mira inizialmente ad indurre un incremento ponderale, finalizzato ad aumentare il grasso retroperitoneale; dopo i pasti è importante l´assunzione del decubito prono o laterale sinistro in previsione della comparsa di sintomi. Se il trattamento conservativo si rivela inefficace, si può prendere in considerazione l´intervento chirurgico, consistente nella mobilizzazione del duodeno retroperitoneale e sezione del legamento di Treitz, o nella duodeno‐digiunostomia bypassante l´ostruzione.   

Pancreas anulare  È una malformazione rara (descritta più dettagliatamente nel Cap. 14, Pancreas) consistente nella presenza di  un  anello  di  tessuto  pancreatico  che  circonda  totalmente  la  porzione  discendente  del  duodeno  (Fig. 8.14).  La  presenza  di  pancreas  anulare  si  riscontra  più  frequentemente  nei  feti  nati  dopo  gravidanze complicate da polidramnios o portatori di altre malformazioni dell´apparato digerente come  l´atresia o  la stenosi  del  duodeno,  le  fistole  tracheo‐esofagee,  la malrotazione  del  colon.  Con  una  certa  frequenza  il pancreas  anulare  si  riscontra  anche  nella  sindrome  di  Down.  Benché  in  molti  pazienti  la  presenza  di pancreas  anulare  sia  totalmente  asintomatica,  la malformazione  si  rende  di  solito  evidente  nella  prima infanzia,  per  la  comparsa  di  ripetuti  episodi  di  vomito  postprandiale.  Se  la  compressione  si  esercita distalmente rispetto alla papilla di Vater, il vomito è tipicamente biliare.  

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Fig. 8.14. Pancreas anulare. 

L´inizio della sintomatologia può verificarsi anche in età adulta; l´esordio dipende, oltre che dall´entità della compressione, anche dalla presenza di atresia o stenosi del duodeno. La presenza di pancreas anulare può comportare la comparsa di ulcera peptica gastrica o duodenale, probabilmente in conseguenza della stasi di contenuto gastrico a livello dell´antro, di pancreatite acuta o cronica a sede nel tessuto pancreatico anulare e, raramente, di stasi biliare per compressione sulla via biliare principale.  

L´esame  radiologico mostra  la presenza di distensione  gassosa dello  stomaco e del duodeno prossimale (segno della doppia bolla) e la quasi totale assenza di aria nell´intestino tenue.  

 Nei casi contrassegnati da episodi recidivanti di subocclusione, si rende necessario spesso un intervento chirurgico per bypassare la regione stenotica. L´asportazione del tessuto pancreatico anulare viene considerata pericolosa, per l´elevato rischio di pancreatite del moncone o di fistole pancreatiche.   

Ulcera peptica

 

L´ulcera peptica è una malattia di notevole rilevanza sociale. Dai dati attualmente disponibili risulta che nei paesi occidentali il 2% della popolazione presenta un´ulcera attiva, mentre il 6‐15% ha presentato nel corso della vita manifestazioni cliniche compatibili con la presenza di ulcera gastrica o duodenale. Gli uomini sono colpiti più  frequentemente delle donne, con un  rapporto di 3:1. La  localizzazione duodenale è quella più frequente,  tranne  che  nelle  casistiche  giapponesi,  in  cui  prevale  l´ulcera  gastrica.  Il  5‐15%  dei  pazienti presenta contemporaneamente ulcera gastrica e duodenale. Negli uomini la comparsa dell´ulcera peptica è rara prima dei 20 anni, ma  la sua  incidenza cresce nel corso delle decadi successive fino a raggiungere un plateau  in  corrispondenza  dei  50  anni.  L´insorgenza  dell´ulcera  nelle  donne  è  poco  frequente  in  età premenopausale;  ciò  suggerisce  un  possibile  ruolo  protettivo  esercitato  da  fattori  ormonali.  L´incidenza dell´ulcera peptica, particolarmente di quella duodenale, è andata riducendosi nell´ultimo quarto di secolo, probabilmente in relazione alla ridotta prevalenza di fattori eziologici psicosociali e dietetici.  

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L´ulcera peptica è una lesione focale che interessa la mucosa dell´apparato digerente esposta all´azione del secreto acidopeptico. La  localizzazione più  frequente dell´ulcera è a  livello gastrico e duodenale, ma essa può comparire anche a livello esofageo (in caso di reflusso acido o alcalino), a livello digiunale (dopo gastro‐enteroanastomosi  e nella  sindrome di  Zollinger‐Ellison),  e  talora  anche nel diverticolo di Meckel, per  la presenza di mucosa gastrica ectopica.  

La  secrezione  gastrica  di  HCl  e  pepsina  svolge  un  ruolo  fondamentale  nella  patogenesi  dell´ulcera;  è dimostrato infatti che l´ulcera peptica non insorge in caso di acloridria. 

 

 La mucosa gastro‐duodenale in condizioni normali è assai resistente all´azione del secreto acido‐peptico; l´insorgenza dell´ulcera nello stomaco e nel duodeno viene quindi considerata la risultante di uno squilibrio tra i fattori aggressivi per la mucosa (HCl e pepsina, sostanze gastrolesive, batteri, ecc.) e quelli difensivi (secrezione di muco e bicarbonato, flusso ematico intramucoso, turnover cellulare) che concorrono alla costituzione della cosiddetta "barriera mucosa".  

 

La mucosa degli altri tratti dell´apparato digerente risulta invece particolarmente vulnerabile alle secrezioni gastriche;  il  reflusso  acido  nel  terzo  inferiore  dell´esofago  nei  soggetti  con  incontinenza  cardiale,  e  il passaggio di chimo acido nelle anse digiunali in seguito a gastro‐enteroanastomosi possono infatti indurre l´insorgenza  di  ulcere  peptiche.  Tuttavia,  in  considerazione  della  bassa  incidenza  di  queste  due  ultime forme, con il termine di ulcera peptica si indica comunemente la patologia ulcerosa gastro‐duodenale, che rappresenta il 98% dell´intera patologia ulcerosa. Dal punto di vista istologico l´ulcera peptica è una lesione della  mucosa‐sottomucosa,  quasi  sempre  solitaria,  che  si  può  approfondire  nella  parete  gastrica  o duodenale oltre la muscularis mucosae, raggiungendo e spesso superando la tonaca muscolare (Fig. 8.15). Ciò distingue  le ulcere dalle  semplici  erosioni mucose,  caratterizzate da  rapida  e  completa  restitutio  ad integrum  perché  limitate  all´epitelio.  In  alcuni  casi  però  l´erosione mucosa,  più  che  un´entità  distinta, rappresenta un semplice stadio  iniziale della comparsa dell´ulcera. L´eziopatogenesi,  il quadro clinico e  la strategia  terapeutica dell´ulcera gastrica sono per molti aspetti diversi da quelli dell´ulcera duodenale;  le due patologie vengono perciò illustrate separatamente.  

 

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Fig.  8.15.  Preparato  istologico  di  ulcera  gastrica  antrale.  Si  osservino:  (a)  strato  di  fibrina  che  ricopre  il cratere  ulceroso;  (b)  tessuto  infiammatorio  di  granulazione;  (c)  tonaca  muscolare;  (d)  ghiandole iperplastiche (iperplasia rigenerativa). 

Ulcera gastrica  

• Epidemiologia: la massima incidenza dell´ulcera gastrica si verifica in pazienti maschi di età compresa tra i 50 e i 60 anni. Il rapporto maschi/femmine è di 3:1. L´età media risulta di circa 10 anni superiore a quella dei pazienti affetti da ulcera duodenale. L´ulcera gastrica compare con maggior frequenza nelle classi sociali più basse, ma non è chiaro se ciò sia legato a particolari fattori alimentari e psico‐sociali o a comportamenti a rischio; tra questi vanno ricordati il fumo, l´assunzione di caffè, gli stress emotivi, l´impiego di farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS).  

• Eziopatogenesi: l´eziologia dell´ulcera gastrica non è completamente nota, tuttavia sono stati identificati numerosi fattori patogenetici tra i quali i più importanti sono l´infezione da Helicobacter pylori e i FANS (Fig. 8.16).  

  I pazienti portatori di ulcera gastrica presentano in genere una produzione di acidità gastrica normale o 

lievemente inferiore alla norma; per questo motivo l´ipotesi patogenetica più accreditata è quella di una diminuzione della resistenza della barriera mucosa gastrica all´azione aggressiva del secreto acido‐peptico.  

 

La mucosa gastrica normale è  ricoperta da muco,  secreto dalle  cellule mucose  superficiali e del  colletto delle  ghiandole  gastriche,  che  contiene  discrete  quantità  di  glicoproteine,  peptidoglicani  e  bicarbonato. L´azione protettiva del muco, ricco di bicarbonati, si esplica mantenendo a livello della mucosa un valore di pH  più  elevato  rispetto  a  quello  del  secreto  gastrico;  si  costituisce  così  una  barriera  che  impedisce  la retrodiffusione degli  ioni  idrogeno  secreti nel  lume.  La  componente  glicoproteica del muco  contribuisce inoltre a neutralizzare le pepsine, prevenendone l´azione digestiva sulla mucosa. 

Il  rapido  turnover  delle  cellule  epiteliali  dello  stomaco  garantisce  la  rapida  riparazione  delle  eventuali lesioni  dovute  all´azione  aggressiva  del  succo  gastrico.  Tutti  i  fattori  che  si  ritengono  implicati  nella patogenesi dell´ulcera gastrica  sono  in grado di  ridurre  l´efficacia dei  suddetti meccanismi di difesa della mucosa.  

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Fig. 8.16. Potenziali fattori eziologici dell´ulcera gastrica. 

Nello  stomaco dei pazienti  affetti da  ulcera  gastrica  sono  costantemente  riscontrabili  alterazioni di  tipo gastritico. Studi accurati hanno dimostrato che la comparsa della gastrite precede quella dell´ulcera e che le mucose coinvolte dal processo gastritico presentano una ridotta capacità di secrezione di bicarbonato nel muco; il conseguente aumento locale della retrodiffusione degli idrogenioni potrebbe spiegare l´insorgenza dell´ulcera.  Secondo  alcuni  autori  la  scarsa  acidità  riscontrata  nei  pazienti  con  ulcera  gastrica  sarebbe conseguenza proprio dell´eccessiva retrodiffusione degli ioni idrogeno.  La  gastrite  cronica  antrale  è  forse  la  condizione  gastritica  le  cui  correlazioni  con  l´insorgenza dell´ulcera gastrica  sono  state meglio  approfondite.  Essa  consegue  spesso  alla  presenza  di  H.  pylori  e  di  reflusso duodeno‐gastrico, in seguito al quale elevate quantità di acidi biliari e lisolecitina giungono a contatto con la mucosa gastrica.  

La nota capacità degli acidi organici deboli, tra cui gli acidi biliari, di ridurre  la secrezione di bicarbonato a livello  gastrico  depone  per  il  possibile  ruolo  patogenetico  del  reflusso  duodeno‐gastrico  nell´insorgenza dell´ulcera. Nei pazienti con ulcera gastrica che presentano iposecrezione acida, i livelli di gastrina nel siero sono  spesso  aumentati.  Ciò  potrebbe  conseguire  alla  ridotta  acidità  gastrica,  oppure  ad  un  rilascio  di gastrina  indotto  in  via  riflessa  dalla  distensione  gastrica,  condizione  di  frequente  riscontro  in  questi pazienti. In ogni caso l´azione della gastrina non sembra influenzare l´insorgenza dell´ulcera incrementando la produzione acida, bensì  inibendo  il  tono dello sfintere pilorico e quindi  favorendo  il reflusso duodeno‐gastrico.  

Nel  50‐65%  dei  pazienti  portatori  di  ulcera  gastrica  vi  è  la  presenza  dell´Helicobacter  pylori,  un  battere Gram‐ che si localizza al di sotto del film mucoso, a diretto contatto con l´epitelio. L´H. pylori è in grado di indurre una reazione infiammatoria locale con attivazione del complemento e lesione delle cellule epiteliali. L´infezione da H. pylori rappresenta il principale fattore causale dell´ulcera.  

Numerosi fattori iatrogeni e dietetico‐comportamentali possono facilitare l´insorgenza dell´ulcera gastrica. I farmaci  antinfiammatori  non  steroidei  (FANS)  riducono  la  concentrazione  di  bicarbonato  nel muco  ed inibiscono  la  sintesi  delle  prostaglandine,  alcune  delle  quali  esercitano  azione  protettiva  sulla mucosa 

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gastrica. Anche il cortisone esercita azione gastrolesiva, probabilmente alterando l´entità del flusso ematico mucoso. L´alcool, ingerito in quantità elevata, riduce il contenuto di bicarbonati nel muco, ma non esistono prove sicure di aumentata incidenza di ulcera gastrica negli alcolisti.  

Le  amine  simpatico‐mimetiche  e  le  metilxantine,  in  particolare  la  caffeina,  possono  incrementare drasticamente  la  produzione  acida  gastrica, mentre  le  cere  contenute  nel  caffè  posso  interferire  con  le capacità  di  difesa  della mucosa  gastrica. Anche  gli  acidi  grassi  della  dieta  sono  in  grado  di  diminuire  la resistenza della mucosa all´aggressione acida, probabilmente deprimendo la secrezione di bicarbonato nel muco. 

Il fumo di sigaretta rallenta lo svuotamento dello stomaco e incrementa il reflusso duodeno‐gastrico, oltre a ridurre  la  secrezione  di  bicarbonato.  Numerose  osservazioni  hanno  evidenziato  una  predisposizione genetica per lo sviluppo dell´ulcera gastrica: una maggiore incidenza della malattia si riscontra nei soggetti di  gruppo  sanguigno  0,  nei  portatori  di  aplotipo HLA‐B5  e  nei  soggetti  che  non  secernono  antigeni  del sistema AB0 nei liquidi organici (non secretori).  

Anche  i  fattori  di  tipo  psico‐sociale  sembrano  giocare  un  ruolo  significativo  nella  comparsa  di  ulcera gastrica:  individui  con  personalità  fragile  e  dipendente,  o  esposti  a  situazioni  di  elevata  conflittualità  o competizione, sviluppano l´ulcera gastrica con frequenza più elevata. È possibile che la comparsa dell´ulcera consegua anche ad un aumentato rilascio di mediatori adrenergici, ACTH e ormoni glicocorticoidi, oppure ad una esasperata stimolazione vagale. È anche possibile che l´aumento di frequenza dell´ulcera peptica sia il risultato di abitudini alimentari e di vita a rischio, quali l´abuso di fumo e caffè, e i disordini dietetici. 

 

• Anatomia patologica: la maggior parte delle ulcere gastriche benigne insorge entro 6 cm dal piloro; l´85% di esse è localizzato lungo la piccola curvatura, mentre il restante 15% si distribuisce sulla parete anteriore e posteriore e lungo la grande curvatura.  Molto frequente è la presenza concomitante di gastrite antrale (con l´eccezione delle ulcere indotte dai FANS), che può estendersi talvolta all´intero stomaco. L´aspetto macroscopico dell´ulcera gastrica benigna è quello di una lesione escavata, rotonda od ovalare, di diametro solitamente inferiore a 2 cm, che insorge su mucosa ed ematosa ed iperemica a causa del processo gastritico.  I margini del cratere sono perpendicolari alla base, talvolta lievemente sottominati, ma non rilevati rispetto alla mucosa circostante. Il fondo dell´ulcera appare di solito liscio e deterso per digestione dell´essudato; talvolta si evidenzia un vivace tessuto di granulazione, nel contesto del quale si possono individuare vasi trombosati o segni di sanguinamento in corso.  La profondità dell´ulcera è variabile; può superare appena la muscularis mucosae oppure può arrivare alla sierosa ed anche superarla, causando una perforazione libera in cavità peritoneale o approfondendosi entro organi contigui (per es. fegato, pancreas). Nelle ulcere di vecchia data la reazione connettivale perilesionale tende a causare infiltrazione e indurimento dei margini e del fondo (ulcera callosa), con retrazione della mucosa circostante, così da far assumere alle pliche mucose gastriche una disposizione raggiata attorno al cratere dell´ulcera. 

  L´ispessimento e la nodularità dei margini si osservano raramente nell´ulcera peptica; simili reperti 

devono far sorgere il sospetto che si tratti di un´ulcera neoplastica maligna. Peraltro, all´ispezione endoscopica non esistono segni distintivi che consentano di discriminare con precisione tra ulcera benigna e ulcera neoplastica.  

 

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• Sintomatologia e diagnosi: alcuni pazienti con ulcera gastrica sono asintomatici. Quando la presenza dell´ulcera gastrica diviene clinicamente evidente, il sintomo d´esordio è comunemente rappresentato da dolore epigastrico, di intensità variabile, insorgente tipicamente entro i primi 30 minuti dopo il pasto (dolore postprandiale precoce).  Nelle ulcere localizzate lungo la piccola curvatura gli antiacidi forniscono un pronto sollievo al dolore, mentre il cibo, dopo un benessere temporaneo, può addirittura indurne la recrudescenza.  La possibile coesistenza di spasmo funzionale del piloro può causare episodi di distensione gastrica, con nausea e vomito di contenuto gastrico. La comparsa di stenosi cicatriziale del piloro si manifesta invece con ripetuti e frequentissimi episodi di vomito alimentare. La comparsa di dolore epigastrico improvviso, seguito da segni e sintomi di addome acuto, deve far sospettare la possibile perforazione dell´ulcera. Il 40% degli affetti da ulcera gastrica riferisce un calo ponderale di entità variabile, legato all´anoressia ed all´avversione per il cibo indotta dai disturbi.  Si può manifestare anemia sideropenica, di grado variabile, legata allo stillicidio ematico cronico. Alla periodicità dei sintomi dolorosi nell´arco della giornata si può aggiungere una periodicità stagionale, con caratteristiche recrudescenze nel periodo primaverile e autunnale.  Un aggravamento della sintomatologia può presentarsi anche in conseguenza di brusche modificazioni delle abitudini alimentari o lavorative, o dopo periodi di stress psico‐fisico o emotivo.  La presenza di dolore non periodico o di brusche modificazioni della sintomatologia devono far supporre l´insorgenza di complicanze o la natura non peptica (neoplastica) dell´ulcera.  L´esame obiettivo dell´addome, in assenza di complicanze, permette di rilevare, anche se incostantemente, dolorabilità alla palpazione in epigastrio ed ipocondrio sinistro, talvolta accompagnata da iperestesia cutanea.  La diagnosi differenziale va posta con numerose patologie di frequente riscontro: ernia iatale, gastrite, duodenite, ulcera duodenale, colecistite cronica litiasica, disturbi funzionali del tratto digerente superiore; particolarmente importante è la diagnosi differenziale con il cancro dello stomaco.  La conferma della presenza di ulcera è endoscopica e radiologica. 

  L´esame endoscopico va considerato l´approccio diagnostico di prima scelta; la visualizzazione diretta 

dell´ulcera permette infatti di valutarne le dimensioni e le caratteristiche morfologiche salienti, nonché di eseguire prelievi bioptici dei margini e della mucosa circostante.  Su tali biopsie si può eseguire, oltre all´esame istologico, anche la ricerca dell´Helicobacter pylori (sul preparato istologico oppure mediante coltura della biopsia). L´esame endoscopico è inoltre l´esame d´elezione per valutare l´avvenuta guarigione dell´ulcera o la comparsa di recidive.  

 

All´esame  radiologico  con  pasto  baritato  il  segno  diretto  della  presenza  di  ulcera  gastrica  è  la  nicchia ulcerosa,  visibile  come  immagine  di  plus  (se  vista  lateralmente)  o  di  cratere  (in  visione  frontale),  dai contorni  regolari  e  non  rilevati,  che  si  proiettano  all´esterno  del  profilo  ideale  dello  stomaco.  Segni radiologici indiretti della presenza dell´ulcera sono la convergenza radiata o a coccarda delle pliche mucose verso la sede della lesione, in caso di ulcere croniche, e la diminuzione del tempo di svuotamento gastrico. Un  ritardato passaggio del mezzo di contrasto può conseguire alla presenza di spasmo pilorico.  In questi casi la natura funzionale dello spasmo è segnalata dalla sua pronta risoluzione dopo somministrazione di un farmaco  antispastico;  se  la  stenosi  pilorica  non  recede,  bisogna  supporre  un  esito  cicatriziale  o  una infiltrazione neoplastica del piloro.  

I segni radiologici che depongono per una sospetta malignità dell´ulcera sono:  

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o la sede diversa dalla piccola curvatura;  o il diametro > 2 cm;  o i contorni irregolari e rilevati;  o la proiezione della nicchia ulcerosa all´interno del profilo ideale dello stomaco.  

Il riscontro anche di uno solo di questi caratteri rende obbligatorio il ricorso alla biopsia endoscopica.  Data però la possibile natura maligna anche di ulcere dall´aspetto radiologico benigno, è sempre necessario far  seguire  all´individuazione  radiologica  di  un´ulcera  l´esame  endoscopico  con  prelievi  bioptici multipli. Raramente  si  rende necessario  lo  studio della  secrezione acida;  vi  si  fa  ricorso nei  casi  in  cui  si  sospetti l´acloridria, o la sindrome di Zollinger‐Ellison.  

L´esordio sintomatologico dell´ulcera gastrica può essere legato all´insorgenza di complicanze ab initio; tra queste il sanguinamento e la perforazione rappresentano le evenienze più frequenti.  

Ulcera duodenale  

• Epidemiologia: l´ulcera duodenale è 4‐10 volte più frequente dell´ulcera gastrica. Può comparire a qualunque età, ma il picco di massima incidenza si riscontra nella III e IV decade di vita. È più frequente nel sesso maschile, con un rapporto maschi/femmine di 2:1. Secondo alcune stime il 10% della popolazione svilupperebbe un´ulcera duodenale nel corso della vita. Diversamente dall´ulcera gastrica, l´ulcera duodenale non presenta differenze di incidenza legate alla condizione socio‐economica.  

• Eziopatogenesi: anche per l´ulcera duodenale l´eziologia non è completamente nota. I fattori eziologici ipotizzati sono illustrati nella Figura 8.17. In circa 2/3 dei soggetti affetti da ulcera duodenale i valori di BAO e MAO risultano circa doppi di quelli dei soggetti normali.  

  Si ritiene che il fattore patogenetico principale dell´ulcera duodenale sia rappresentato 

dall´ipersecrezione acida. Questa sembra dipendere sostanzialmente da tre ordini di fattori:  

• aumento numerico delle cellule acido‐secernenti della mucosa gastrica;  • aumento della risposta gastrica agli stimoli secretori;  • alterata capacità di inibizione del rilascio di gastrina.  

 L´aumento del numero delle cellule parietali e principali delle ghiandole gastriche riscontrato nei pazienti con ulcera duodenale può raggiungere il 100%; esso potrebbe essere attribuibile a fattori genetici, oppure potrebbe  rappresentare  una  condizione  di  iperplasia  della  mucosa  gastrica  conseguente  all´elevata stimolazione gastrinica. Poiché  l´iperplasia coinvolge sia  le cellule parietali sia quelle principali,  l´aumento dell´acidità gastrica  si  correla  in maniera  lineare  con  la produzione di pepsinogeno.  I pazienti con ulcera duodenale  presentano  una  risposta  più  spiccata  dei  soggetti  sani  e  dei  portatori  di  ulcera  gastrica  alla stimolazione  con pentagastrina;  ciò può  essere  indice di un´aumentata  capacità di  risposta delle  cellule parietali alla gastrina. In questi soggetti  la gastrinemia a digiuno è paragonabile a quella dei soggetti sani, mentre gli aumenti postprandiali risultano più marcati e più protratti nel tempo. 

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Fig. 8.17. Potenziali fattori eziologici dell´ulcera duodenale. 

Anche  una  stimolazione  vagale  particolarmente  intensa  potrebbe  svolgere  un  ruolo  significativo nell´induzione di una ipersecrezione acida. Molti pazienti con ulcera duodenale presentano alterazioni dello svuotamento  gastrico.  In  questi  casi,  se  il  passaggio  di  chimo  acido  in  duodeno  avviene  troppo rapidamente,  la  capacità  tamponante  locale può  venire  superata e  la mucosa duodenale  risulta esposta eccessivamente all´acido. Ciò è aggravato dal fatto che nei pazienti con ulcera duodenale  la secrezione di bicarbonato  nel muco duodenale  e nelle  secrezioni pancreatiche  risulta notevolmente  ridotta.  I  farmaci simpatico‐mimetici, la caffeina e le altre xantine contenute negli alimenti possono facilitare l´insorgenza di lesioni ulcerose del duodeno, per la loro capacità di incrementare la produzione acida gastrica. Nell´induzione  di  ulcere  duodenali  possono  giocare  un  ruolo  importante  i  FANS  e  i  cortisonici,  con meccanismo non ancora perfettamente conosciuto. Il fumo di sigaretta si associa non solo ad una maggiore incidenza di ulcera duodenale, ma anche ad una  ridotta  risposta alla  terapia, ad un maggiore numero di recidive a distanza e ad una mortalità più elevata in caso di complicanze. Non esiste invece evidenza di un rapporto tra il consumo di alcool e la comparsa di ulcera duodenale.  

L´importanza  dei  fattori  psico‐sociali  è  controversa;  sembra  comunque  che  le  personalità  conflittuali  e ansiose  siano  maggiormente  esposte  al  rischio  di  ulcera  anche  a  livello  duodenale.  Il  ruolo  della predisposizione familiare appare particolarmente importante nella comparsa di ulcera duodenale. Questa si manifesta  con  frequenza  tripla  nei  parenti  di  primo  grado  di  soggetti  ulcerosi  rispetto  alla  popolazione generale.  Come  nel  caso  dell´ulcera  gastrica,  particolarmente  esposti  risultano  i  soggetti  di  gruppo sanguigno 0,  i "non secretori" di antigeni del sistema AB0 nei liquidi organici e i portatori di aplotipo HLA‐B5;  significativo  per  il  rischio  di  ulcera  duodenale  è  anche  l´aplotipo HLA‐B22.  È  stato  dimostrato  che  i pazienti con ulcera duodenale presentano  livelli elevati di pepsinogeno  I  (PGI) nel siero. Poiché si è visto che  tali valori elevati vengono ereditati  con  carattere autosomico dominante,  la determinazione del PGI potrebbe in futuro rappresentare un marker genetico di predisposizione allo sviluppo di ulcera duodenale.  

Gastrite  e  duodenite  da  Helicobacter  pylori  si  riscontrano  in  oltre  l´85%  dei  soggetti  affetti  da  ulcera duodenale.  Le  alterazioni  flogistiche  indotte  dall´H.  pylori  potrebbero  rendere  la mucosa duodenale  più 

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sensibile  all´insulto  acido,  e  quindi  predisporrebbero  all´insorgenza  dell´ulcera.  Alcuni  autori  hanno identificato  nei  pazienti  con  ulcera  duodenale  la  presenza  di  anticorpi  anti‐IgA  secretorie;  ciò  potrebbe correlarsi ad una maggiore suscettibilità della mucosa all´azione di agenti esogeni dietetici o batterici, con maggiore possibilità di insorgenza del danno peptico. 

 

• Anatomia patologica: il 95% delle ulcere duodenali si localizza nel bulbo duodenale, entro 3 cm dal piloro. La parete anteriore del bulbo è la sede più frequentemente interessata; seguono in ordine di frequenza la parete posteriore e i margini superiori e inferiore del bulbo. Il diametro medio delle ulcere duodenali è di circa 1 cm, ma è possibile riscontrare ulcere giganti del diametro di oltre 3 cm, che possono occupare praticamente la maggior parte del bulbo. Talora vi può essere una duplice localizzazione di ulcere nel duodeno, disposte in posizione affrontata (kissing ulcers). I caratteri morfologici delle ulcere duodenali sono simili a quelli dell´ulcera gastrica. Le complicanze dell´ulcera duodenale sono l´emorragia, la perforazione e la stenosi; la possibilità di cancerizzazione sembrerebbe esclusa.  

Data  la  sottigliezza  della  parete  duodenale,  le  ulcere  della  parete  anteriore  del  bulbo  sono  talvolta identificabili già a livello ispettivo della sierosa come aree di ispessimento e retrazione della parete, di forma stellata. Esse possono andare incontro a perforazione con una certa facilità.  Le ulcere della parete posteriore del bulbo tendono invece a penetrare nella testa del pancreas, e possono portare allo sviluppo di reazioni sclero‐infiammatorie del parenchima pancreatico, di fistole duodenobilari o di pancreatite acuta. 

 

 Le complicanze emorragiche dell´ulcera duodenale possono essere fatali, perché l´approfondirsi dell´ulcera può comportare l´erosione di rami arteriosi importanti, quali l´arteria pancreatico‐duodenale superiore e l´arteria gastroepiploica destra.  

 

Le ulcere peptiche postbulbari, piuttosto rare, si localizzano preferibilmente a livello della seconda porzione duodenale, in sede sopravateriana, di solito lungo la parete mediale del duodeno.  

La scoperta di ulcere duodenali postbulbari, soprattutto se in regione sottovateriana, deve indirizzare verso il sospetto di sindrome di Zollinger‐Ellison o di una neoformazione maligna ulcerata. 

 

• Sintomatologia e diagnosi: benché alcuni pazienti con ulcera duodenale attiva siano asintomatici, solitamente la presenza dell´ulcera è caratterizzata da dolore epigastrico, talvolta riferito come senso di fastidio o di fame, ma più spesso definito come sordo, costrittivo. In alcuni casi il dolore si localizza a destra della linea mediana, e può irradiarsi alla spalla destra o alla regione dorso‐lombare.  

Quest´ultima  irradiazione è  spesso  segno dell´approfondirsi dell´ulcera nella  testa del pancreas.  Il dolore compare tipicamente da 1 ora e mezza a 3 ore dopo il pasto (postprandiale tardivo), e in più della metà dei casi è causa di risveglio notturno del paziente. L´assunzione di cibo e antiacidi comporta  la risoluzione del dolore in breve tempo. Episodi di nausea e vomito possono essere indotti da modificazioni funzionali quali 

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spasmo  riflesso  del  piloro,  atonia  gastrica  riflessa,  discinesie  del  bulbo,  oppure  possono  conseguire  alla presenza  di  stenosi  cicatriziale  del  piloro  e  del  bulbo  duodenale.  Indipendentemente  dalla  presenza  di stenosi organica, i pazienti che presentano frequenti episodi di vomito rispondono meno bene alla terapia medica ed anche a quella chirurgica.  La sintomatologia tende ad essere episodica e ricorrente.  

Tipica è la recrudescenza stagionale in primavera e autunno. Periodi sintomatici della durata di alcuni giorni o settimane si alternano a remissioni che possono durare parecchi mesi o anni.  

L´esame  obiettivo  dell´addome,  in  assenza  di  complicanze,  può  essere  negativo,  oppure  può  rivelare  la comparsa di dolore alla palpazione  lungo  la  linea xifo‐ombelicale e nel triangolo pancreatico‐coledocico di Chauffard‐Rivet.  I  pazienti  con  ulcera  del  canale  pilorico,  o  portatori  contemporaneamente  di  ulcera gastrica  e  duodenale,  presentano  solitamente  una  sintomatologia  prevalentemente  riferibile  a  quella dell´ulcera duodenale.  

La diagnosi differenziale va posta con la gastro‐duodenite, la colecistite cronica litiasica, le coliche biliari, le patologie pancreatiche e, raramente, con le epatiti.  

La conferma della presenza di ulcera duodenale viene fornita dall´esame endoscopico (Fig. 8.8) o da quello radiologico (Fig. 8.7).  

All´esame radiologico con pasto baritato l´ulcera duodenale appare come un´immagine di cratere, verso la quale convergono pliche mucose tortuose ed ispessite (Fig. 8.7). I segni radiologici indiretti sono lo spasmo anulare  del  bulbo  duodenale  a  livello  dell´ulcera,  che  conferisce  al  bulbo  un  aspetto  a  clessidra, l´eccentricità del  canale pilorico e  le deformità a  farfalla del bulbo,  talora  così marcate da dar  luogo ad immagini pseudodiverticolari. 

 

 L´esame endoscopico è quasi sempre preferibile a quello radiologico, per la maggiore rapidità di esecuzione e sensibilità. L´endoscopia è inoltre indispensabile per la ricerca di una sospetta ulcera duodenale in pazienti con negatività del reperto radiologico, per la valutazione della avvenuta guarigione dell´ulcera e nel sospetto di una patologia maligna.  

Complicanze  

Perforazione  La perforazione  avviene  in  genere per  l´erosione  lenta della parete  gastrica o duodenale  in  seguito  alla penetrazione progressiva dell´ulcera  (Figg. 8.18, 8.19). Quando compare una perforazione  libera nel cavo peritoneale,  la  sede  della  perforazione,  in  caso  di  ulcera  gastrica,  è  normalmente  rappresentata  dalla piccola  curvatura  o  dalla  parete  anteriore  dello  stomaco  in  regione  antrale.  Meno  frequente  è  la perforazione di un´ulcera della parete posteriore,  con  conseguente  spandimento del  contenuto  gastrico nella retrocavità degli epiploon. La maggior parte delle ulcere duodenali perforate si  localizza sulla parete anteriore del duodeno. La maggior frequenza di perforazione anziché di sanguinamento in corrispondenza delle  pareti  anteriori  è  spiegabile  con  la minore  possibilità  di  formazione  di  aderenze  viscerali  e  con l´assenza di vasi ematici di diametro maggiore  in  tali  sedi. Non  raramente,  in  caso di ulcere  croniche,  la reazione  infiammatoria  della  sierosa  gastro‐duodenale  conseguente  alla  presenza  dell´ulcera  comporta l´aderenza  dei  tessuti  contigui  prima  che  la  perforazione  abbia  luogo;  in  questo  caso  si  svilupperà  la cosiddetta perforazione coperta. 

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 Il quadro clinico della perforazione di ulcera è quello della peritonite acuta. Inizialmente la peritonite è di natura chimica irritativa, ma si trasforma entro 12‐24 ore in peritonite purulenta per la proliferazione dei batteri fuoriusciti nel cavo peritoneale. Nel caso dell´ulcera perforata coperta il quadro clinico è spesso rappresentato dalla peritonite saccata, che evolve verso la formazione di un ascesso localizzato.  

La  sintomatologia  è  caratterizzata  da  esordio  acuto,  con  comparsa  improvvisa,  talvolta  in  condizioni  di benessere,  di  dolore  intensissimo,  spesso  descritto  come  "una  pugnalata",  insorgente  in  epigastrio  o  in ipocondrio  destro,  di  tipo  continuo.  Al  dolore  si  associano  talvolta  ripetuti  conati  di  vomito,  spesso improduttivi. Il dolore tende  in seguito ad  irradiarsi a tutti  i quadranti addominali, al dorso ed alle regioni sovraclaveari. Nel caso di una perforazione coperta la sintomatologia dolorosa può attenuarsi per qualche tempo, senza però  recedere mai del  tutto; si acuisce  in seguito per  la comparsa del quadro peritonitico. Febbre  e  leucocitosi  compaiono  entro  poche  ore.  Il  paziente  assume  spontaneamente  una  posizione raggomitolata, al fine di detendere la contrattura addominale che segue pressoché subito l´insorgenza del dolore, per ottenere cosí un effetto antalgico. Il paziente presenta spesso i sintomi e i segni dello shock: la cute è pallida, fredda e sudata, il polso è frequente e filiforme, la pressione arteriosa nettamente diminuita. Se il paziente giunge tardivamente all´osservazione possono già essere insorte le manifestazioni dello shock settico ipodinamico conseguente all´instaurarsi della peritonite.  

 

Fig. 8.18. Perforazione dell´ulcera. 

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Fig. 8.19. Ulcera perforata del duodeno, da cui avviene spandimento di succo gastroenterico e  ingesti nel cavo peritoneale. 

L´esame obiettivo dell´addome rivela la presenza di una vivace reazione di difesa, che ostacola o impedisce del  tutto  le manovre  palpatorie  (addome  "ligneo"  o  "a  tavola").  La  cute  dell´addome  presenta  spesso estese  aree  di  iperestesia. Alla  percussione  dell´addome  e  del  torace  la  scomparsa  dell´area  di  ottusità epatica  costituisce  la  conferma  clinica dell´avvenuta perforazione.  La peristalsi  intestinale è assente, vi è chiusura  dell´alvo  alle  feci  e  ai  gas,  e  compare  meteorismo  diffuso;  ciò  configura  il  quadro  dell´ileo paralitico.  

La diagnosi generica di perforazione di viscere addominale viene posta in base all´anamnesi (talvolta muta per  quanto  riguarda  segni  e  sintomi  di  ulcera),  all´esame  obiettivo  e  al  riscontro,  all´esame  radiologico diretto dell´addome, di aria subfrenica (Fig. 8.9). In ogni caso va eseguito un esame ECG per escludere che la  sintomatologia algica  rappresenti  l´irradiazione addominale del dolore da  infarto miocardico. Diagnosi differenziale  va posta anche  con  la pancreatite acuta,  la  colecistite acuta,  l´appendicite acuta e  l´infarto intestinale. 

 Quando il paziente giunge all´osservazione, dopo le necessarie manovre rianimatorie, bisogna procedere allo svuotamento dello stomaco con un sondino naso‐gastrico di grosso calibro, per arrestare lo spandimento del contenuto gastro‐duodenale nel cavo peritoneale e preparare il paziente all´intervento. Vanno inoltre tempestivamente attuate una profilassi antibiotica ad ampio spettro e la somministrazione di farmaci anti‐H2‐recettori. Il paziente va subito preparato per l´intervento chirurgico. La scelta del tipo di intervento viene effettuata in relazione alle condizioni del paziente; se queste sono critiche per la presenza di grave shock settico o di insufficienze d´organo, si ricorre abitualmente alla semplice raffia dell´ulcera. Nella maggior parte dei casi la raffia, unitamente alla terapia antiacida e con anti‐H2‐recettori, è in grado di risolvere la complicanza. Raramente è necessaria l´esecuzione di una gastroresezione, o si può eseguire l´exeresi dell´ulcera, con vagotomia e piloroplastica, per la prevenzione della recidiva ulcerosa e per favorire lo svuotamento gastrico.   

La mortalità in caso di perforazione gastro‐duodenale è circa del 10%; essa aumenta progressivamente con l´età del paziente e con il tempo intercorso tra l´insorgenza della complicanza ed il trattamento.  

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Emorragia  Nel  45%  dei  casi  di  sanguinamento  del  primo  tratto  del  tubo  digerente  la  causa  è  rappresentata  da un´ulcera peptica. L´emorragia è una complicanza che compare nel 15‐20% dei portatori di ulcera gastro‐duodenale (Fig. 8.20); è responsabile di circa la metà dei decessi  imputabili alla malattia ulcerosa. In molti casi la presenza dell´ulcera è già documentata in precedenza, tuttavia l´emorragia può costituire il sintomo d´esordio della malattia, ed allora chiarisce l´origine di disturbi minori e spesso sottovalutati. 

 

 Il 40% dei pazienti che hanno avuto un episodio di sanguinamento presenta episodi emorragici ricorrenti, con progressivo aggravamento della sintomatologia e diminuzione della risposta alla terapia. Il rischio di ricomparsa del sanguinamento è massimo nei primi 2 giorni dal primo episodio. Il maggior rischio di recidiva si riscontra in presenza dei seguenti fattori: esordio con ematemesi, età > 60 anni, valori di Hb < 8 g/dl al momento dell´osservazione, sanguinamento da ulcera gigante ed evidenza all´esame endoscopico di vasi beanti in corrispondenza del fondo dell´ulcera.  

Le  ulcere  gastriche  e  quelle  duodenali  presentano  una  frequenza  di  sanguinamento  pressoché sovrapponibile. La recidiva di sanguinamento è però circa 3 volte più frequente nell´ulcera gastrica. Inoltre le emorragie ad origine gastrica sono  in genere più gravi e nel 10% dei casi si associano alla perforazione. L´emorragia acuta si verifica solitamente per l´erosione di rami parietali delle arterie gastriche o duodenali, più raramente di rami dell´arteria gastro‐epiploica, o dell´arteria pancreatico‐duodenale; rara ma possibile è l´erosione di vasi mesocolici, per penetrazione dell´ulcera. La mortalità in caso di emorragia acuta massiva è del 15%; supera il 30% nei casi di sanguinamento recidivo. L´elevata mortalità può essere contenuta solo con una terapia trasfusionale tempestiva e adeguata (una errata valutazione della perdita ematica è spesso causa di  complicanze) e  con  il  ricorso precoce all´intervento  chirurgico nei pazienti per  i quali  la  terapia medica sia inefficace.  

Un modesto  stillicidio ematico nella  sede dell´ulcera  spesso  si  segnala  solo per  la  comparsa di astenia e anemia, e per la positività della ricerca di sangue occulto nelle feci.  

Un´emorragia  acuta  si  manifesta  generalmente  con  ipotensione,  anemizzazione  acuta  e  melena.  Se l´emorragia  è  copiosa,  così  da  indurre  distensione  dello  stomaco  in  seguito  alla  raccolta  di  una  grande quantità di sangue, ai segni di anemizzazione fa seguito  la comparsa di ematemesi;  la melena compare di solito a distanza di qualche ora, ma l´emissione di scariche diarroiche commiste a sangue può essere quasi contemporanea all´ematemesi se i movimenti peristaltici intestinali risultano aumentati in conseguenza del passaggio di sangue nell´intestino.  In assenza di perforazione,  l´esame obiettivo dell´addome è raramente significativo. Dopo le manovre rianimatorie è indispensabile procedere all´accertamento della sede e della natura  del  sanguinamento,  tramite  l´esecuzione  dell´esame  endoscopico,  che  evidenzia  l´origine dell´emorragia in oltre l´80% dei casi. L´esame radiologico con pasto baritato in corso di sanguinamento è in genere di  scarso ausilio. L´esame angiografico  (tripode  celiaco, arteria mesenterica  superiore)  si  impiega assai  raramente; esso andrebbe  riservato ai casi di negatività dell´endoscopia, quando  si  sospetta che  la sede del sanguinamento possa localizzarsi oltre il legamento di Treitz.  

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Fig. 8.20. Sanguinamento dell´ulcera. 

 In circa 3/4 dei pazienti con sanguinamento da ulcera peptica il trattamento medico risulta sufficiente ad arrestare il sanguinamento ed a stabilizzare le condizioni. Il posizionamento di un sondino naso‐gastrico di grosso calibro permette il lavaggio dello stomaco, la rimozione di sangue e coaguli e il monitoraggio dell´eventuale ripresa del sanguinamento. Si inizia quindi la somministrazione di farmaci antiacidi e procoagulanti (eventualmente instillati localmente tramite il sondino naso‐gastrico) e di farmaci anti‐H2‐recettori a dosaggio pieno. L´infusione endovenosa di somatostatina può aiutare a controllare il sanguinamento, ma presenta costi molto elevati e andrebbe riservata ai casi di inefficacia delle altre terapie. L´elettrocoagulazione, la lasercoagulazione o l´infiltrazione con ponfo di sostanze sclerosanti per via endoscopica delle lesioni sanguinanti può risultare utile e talora risolutiva.  Il 25% dei pazienti affetti da ulcera peptica sanguinante in modo acuto richiede comunque il ricorso all´intervento chirurgico d´urgenza. Per i pazienti che, nonostante il temporaneo arresto dell´emorragia, presentino un rischio elevato di recidive e mostrino refrattarietà al trattamento medico, si deve programmare l´intervento chirurgico in condizioni di elezione.   

Stenosi  È  una  complicanza  abbastanza  frequente  nel  caso  di  localizzazione  iuxtapilorica  dell´ulcera  (Fig.  8.21). Inizialmente  il quadro è quello di  stenosi  funzionale del piloro,  sensibile alla  terapia antispastica,  indotta dalla vicinanza della lesione ulcerosa. La stenosi organica compare quando la flogosi perilesionale raggiunge ed infiltra l´anello pilorico e ne provoca la sclerosi.  

Se  la stenosi è modesta,  lo stomaco riesce a svuotarsi, seppure con  lentezza, ed  il paziente è  in grado di sopportare  la  situazione  dispeptica  che  ne  consegue,  caratterizzata  da  senso  di  peso  e  distensione epigastrica.  In  questo  caso  sono  frequenti  gli  episodi  di  aggravamento  della  sintomatologia  legati  alla recrudescenza  periodica  dell´ulcera;  la  ricomparsa  del  dolore  ulceroso  si  accompagna  ad  aumento  dei disturbi  dispeptici  ed  alla  comparsa  di  vomito  alimentare  e  di  succo  gastrico,  in  conseguenza  della sovrapposizione di uno spasmo riflesso del piloro.  

Alla difficoltà di svuotamento dello stomaco corrisponde generalmente un aumento della peristalsi gastrica, con  progressiva  ipertrofia  della  tunica  muscolare.  In  seguito  però  compaiono  ipotonia  e  gastrectasia imponente (Fig. 8.21). Nei casi di stenosi serrata il vomito alimentare si fa sempre più frequente e talvolta 

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viene  provocato  dal  paziente  stesso  per  alleviare  lo  stato  di  distensione  gastrica.  In  poco  tempo dall´insorgenza della stenosi,  in conseguenza del ridotto assorbimento e del diminuito apporto alimentare che  il paziente si  impone per evitare  l´insorgenza del vomito, si  instaurano un calo ponderale cospicuo e una  condizione  di  mal  nutrizione;  a  questa  si  associano  disidratazione  e  alterazioni  elettrolitiche  in conseguenza del vomito (alcalosi ipocloremica).  

 

Fig. 8.21. Stenosi in sede di ulcera duodenale iuxtapilorica: si noti la gastrectasia a monte. 

 La terapia della stenosi pilorica serrata consiste inizialmente nella correzione degli eventuali squilibri idro‐elettrolitici e dell´equilibrio acido‐base e quindi nella gastroresezione distale con gastro‐enteroanastomosi, oppure nel bypass della stenosi mediante gastro‐enterostomia a monte della stessa.   

Cancerizzazione   La possibilità di trasformazione maligna di un´ulcera peptica gastrica è bassissima. In passato questa 

eventualità era stata sovrastimata (5‐10%), ma attualmente è stata ridimensionata in seguito ai risultati ottenuti con studi prospettici endoscopici circa l´evoluzione delle ulcere gastriche.  

 

Si  ritiene  che  la  quasi  totalità  delle  ulcere  neoplastiche  gastriche  insorgano  come  tali  fin  dall´inizio, nonostante  l´aspetto macroscopico  iniziale  all´endoscopia possa essere  in  alcuni  casi quello di un´ulcera peptica  benigna.  Allo  stato  attuale  delle  conoscenze  non  esistono  prove  circa  la  potenzialità  di trasformazione maligna delle ulcere duodenali.  

Terapia   Terapia medica 

La terapia medica dell´ulcera peptica viene impiegata per raggiungere tre obiettivi: 

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•  la risoluzione della sintomatologia;  

•  la guarigione della lesione ulcerosa;  

•  la prevenzione delle complicanze.  Altri due importanti obiettivi sono la prevenzione delle recidive e la prevenzione della comparsa di ulcera da stress nei pazienti gravemente traumatizzati e in quelli sottoposti ad interventi chirurgici maggiori.  Il trattamento medico deve contemplare anche la rimozione dei fattori che riducono la resistenza delle barriere mucose e che incrementano la produzione acida. Si deve quindi porre attenzione nell´utilizzo di farmaci gastrolesivi (per es. farmaci antinfiammatori, steroidei e non‐steroidei) che devono essere sospesi quando possibile; è consigliabile sospendere il fumo. Anche se i provvedimenti dietetici non ottengono da soli effetti significativi sulla cicatrizzazione dell´ulcera, è consigliabile ridurre l´assunzione di alimenti contenenti xantine (caffè, tè, coca‐cola) e gli alcolici. Il paziente deve essere invitato ad avere un´alimentazione regolare con spuntini leggeri negli intervalli tra i pasti.  Nella maggior parte dei casi l´ulcera peptica guarisce dopo terapie con farmaci che tamponano od inibiscono la secrezione acida gastrica (antiacidi, antagonisti dei recettori H2 istaminici, inibitori della pompa protonica) o con farmaci ad attività protettiva diretta sulla mucosa (per es. sucralfato, tricitrato di potassio bismuto).  

•  Antiacidi: esplicano la loro azione neutralizzando l´acidità gastrica ed inibendo l´attivazione del pepsinogeno. Tale modalità d´azione implica che l´efficacia degli antiacidi si ottiene solo con l´assunzione sistematica e frequente dei farmaci (in media 4 volte al giorno) ed in dosi elevate. L´impiego di alcuni prodotti antiacidi costituiti da sali assorbibili può causare alterazioni dell´equilibrio acido‐base ed elettrolitico: il bicarbonato, il citrato ed il tartrato di sodio possono indurre alcalosi sistemica ed ipernatriemia; gli anioni tartrato e citrato, combinandosi con il calcio, ne limitano l´assorbimento e possono essere causa di ipocalcemia. Per questi motivi sono da preferirsi sostanze che formano sali non assorbibili a livello gastro‐intestinale, come l´idrossido di alluminio, l´idrossido di magnesio, il carbonato di magnesio, il trisilicato di magnesio. L´effetto costipante dell´idrossido di alluminio viene contrastato da quello lassativo dei sali di magnesio. Tali associazioni presentano efficacia massima quando vengono somministrate sotto forma di preparazioni colloidali. L´assunzione di antiacidi può ostacolare l´assorbimento di altri farmaci: anticoagulanti, digitalici, antibiotici, chinidina, ormoni steroidi, anticolinergici, barbiturici, salicilati, vitamine, oligoelementi; per evitare interazioni farmacologiche è opportuno distanziare di almeno 2 ore la somministrazione di questi farmaci da quella degli antiacidi.  

•  Inibitori della secrezione acida.  Farmaci bloccanti i recettori H2 istaminici : inducono la guarigione dell´ulcera entro 4‐8 settimane dall´inizio della terapia nel 75‐95% dei casi. Il capostipite di questa classe di farmaci, introdotti nell´uso terapeutico circa 20 anni fa, è rappresentato dalla cimetidina, cui si sono aggiunti in seguito ranitidina, famotidina, nizatidina. Le differenze nell´azione farmacologica e nella farmacocinetica tra le varie molecole non sembrano influire in modo sostanziale sulla pratica terapeutica. La buona efficacia e tollerabilità rendono gli H2‐antagonisti farmaci idonei nella terapia dell´ulcera peptica in elezione. I protocolli terapeutici attuali prevedono la loro somministrazione in 2 dosi giornaliere a distanza di 12 ore, o in un´unica dose serale.  Farmaci inibitori della pompa protonica (omeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo, rabeprazolo, esomeprazolo): sono in grado di inibire la pompa protonica K+/H+ ATP‐asi dipendente nelle cellule parietali gastriche, inducendo una riduzione della secrezione acida fino al 99%. Numerosi studi randomizzati a doppio cieco, effettuati utilizzando come parametro dell´esito i tassi comparativi di cicatrizzazione di ulcere 

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diagnosticate per via endoscopica, hanno stabilito che gli inibitori di pompa protonica ai dosaggi convenzionali (omeprazolo 20 mg/die, lansoprazolo 30 mg/die, pantoprazolo 40 mg/die, rabeprazolo 20 mg/die, esomeprazolo 40 mg/die) cicatrizzano le ulcere più velocemente rispetto agli H2‐antagonisti e comportano una più rapida remissione dei sintomi.  

•  Citoprotettori: impediscono la retrodiffusione degli idrogenioni dal lume gastrico alla mucosa.  Tripotassio dicitrato bismutato : in sospensione colloidale precipita sulle mucose, stimola la produzione di muco, inibisce le pepsine ed esercita azione antibatterica sull´Helicobacter pylori.  Sucralfato : sale di alluminio e del saccarosio, si lega agli essudati proteici che ricoprono la lesione ulcerosa, creando sopra di essa uno strato protettivo e rendendola resistente all´azione delle pepsine; va somministrato in dosi di 1‐4 g al giorno un´ora prima dei pasti ed alla sera. L´efficacia dei citoprotettori nell´ottenere la cicatrizzazione dell´ulcera è decisamente inferiore rispetto quella degli antisecretivi e la scomparsa dei sintomi è decisamente più lenta.   Terapia medica a lungo termine  Sebbene le ulcere possano cicatrizzare rapidamente grazie all´efficacia dei farmaci sopra citati, la recidiva ulcerosa è frequente se si interrompe la terapia; si osserva circa l´80% di recidive ad un anno dall´interruzione del trattamento.  Nel tentativo di prevenire le recidive ulcerose, in un passato relativamente recente i pazienti sono stati sottoposti a terapie di mantenimento con farmaci inibitori della secrezione acida gastrica (H2‐antagonisti ed inibitori della pompa protonica): bassi dosaggi di questi farmaci, assunti in modo continuativo, si sono dimostrati efficaci nel ridurre la frequenza di recidive e l´incidenza di complicanze. La scoperta dell´importanza clinica dell´infezione gastrica da H. pylori, per la sua alta prevalenza nei pazienti affetti da malattia ulcerosa, ha fornito l´opportunità di modificare la storia naturale della malattia. Molti studi concordano nell´affermare che quando l´infezione da H. pylori viene eradicata, la recidiva di ulcera, sia duodenale sia gastrica, è inferiore al 2% a distanza di un anno.  L´eradicazione dell´H. pylori riduce contemporaneamente anche le complicanze della patologia peptica, compresa l´emorragia.  Poiché è stato dimostrato che la maggior parte delle ulcere sono dovute all´infezione cronica da H. pylori, non viene considerata completa una terapia dell´ulcera che non contempli l´eradicazione dell´infezione.  C´è consenso sulla necessità di sottoporre a terapia di eradicazione dell´H. pylori tutti i pazienti affetti da ulcera ed infetti da quel batterio, indipendentemente dal fatto che l´ulcera sia in forma attiva o in fase di cicatrizzazione. Sono stati utilizzati molti schemi terapeutici per l´eradicazione farmacologica dell´infezione da H. pylori ; attualmente la terapia di scelta è considerata l´associazione di un farmaco acido‐soppressore (inibitore di pompa protonica, oppure ranitidina, oppure bismuto citrato), con due farmaci antibiotici scelti tra amoxicillina, claritromicina e metronidazolo, somministrati 2 volte al giorno per una settimana. In caso di mancata eradicazione, l´opzione terapeutica più seguita consiste nell´associare un inibitore di pompa protonica con due dei citati antibiotici e con il bismuto citrato.  Le ulcere non correlate all´infezione da H. pylori dovrebbero essere trattate con un farmaco acido‐soppressore la cui assunzione dovrebbe essere protratta nel tempo. Inoltre, i pazienti con ulcera peptica che non presentano infezione da H. pylori dovrebbero essere sottoposti ad accertamenti per individuare una causa alternativa (per es. farmaci antinfiammatori non steroidei; malattia di Crohn; sindrome di Zollinger‐Ellison).  È opportuno sottolineare che il paziente affetto da ulcera gastrica deve sempre essere sottoposto a biopsie multiple della lesione ulcerosa, ottenute per via endoscopica; tali biopsie devono essere ripetute, sia 

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quando l´ulcera non guarisce (prima di proporre un nuovo ciclo terapeutico), sia sulla cicatrice, in caso di guarigione della lesione. La ripetizione di biopsie è necessaria per escludere la presenza di neoplasia gastrica nella sede ulcerosa.   Terapia chirurgica 

•  Indicazione all´intervento: l´intervento chirugico è indicato in presenza di:  − ulcere refrattarie alla terapia, specialmente se insorte nello stomaco, o recidivanti, che comportano grave sintomatologia dolorosa e limitano fortemente la qualità di vita del paziente; 

− sospetto di natura maligna dell´ulcera, anche in caso di negatività dei reperti istologici;  

− scarsa accettazione del trattamento medico da parte del paziente.  Costituiscono in genere indicazione all´intervento le complicanze gravi: emorragia massiva o recidivante, perforazione, stenosi cicatriziale serrata. La mortalità globale postoperatoria negli interventi in elezione è dell´1%, ma raggiunge il 10‐20% nel caso di interventi eseguiti d´urgenza per complicanze emorragiche o perforative. La recidiva ulcerosa compare con frequenza variabile dall´1 al 10% in rapporto soprattutto al tipo d´intervento eseguito. Le finalità degli interventi che si eseguono per il trattamento dell´ulcera peptica sono:  

− asportare l´ulcera resecando lo stomaco distale e il bulbo duodenale e/o  

− ridurre la secrezione acida gastrica recidendo i rami gastrici del nervo vago.  Gli interventi chirurgici in condizioni di elezione per il trattamento dell´ulcera peptica sono diminuiti moltissimo negli ultimi 20 anni, da quando è iniziato l´uso dei farmaci H2‐bloccanti e dell´omeprazolo.  

•  Vagotomia: abolendo gli stimoli vagali che giungono alla porzione acido‐secernente dello stomaco e all´antro gastrico, la vagotomia mira ad ottenere la riduzione della secrezione acida gastrica e del rilascio di gastrina indotto dalla stimolazione nervosa. Tali effetti della vagotomia sono confermati dalla risposta alla stimolazione pentagastrinica, che nei soggetti vagotomizzati è pari solo al 25‐30% di quella dei soggetti sani.  La percentuale di recidive ulcerose dopo vagotomia è abbastanza elevata: mediamente del 10%. Dopo l´avvento dei farmaci bloccanti H2‐recettori, la vagotomia viene eseguita assai raramente per il trattamento dell´ulcera peptica.  La vagotomia tronculare (Fig. 8.22) consiste nella resezione di 2‐3 cm dei nervi vaghi al loro ingresso nell´addome, nella porzione adiacente al tratto sottodiaframmatico dell´esofago. La tecnica comporta una totale denervazione dello stomaco e causa stasi gastrica per atonia della pa rete e mancata inibizione della contrazione pilorica; ciò si verifica fino alla ripresa spontanea dell´attività peristaltica in seguito alla comparsa di un´attività nervosa autonoma da parte del plesso di Auerbach, che avviene a distanza di parecchie settimane dall´intervento. Tali effetti collaterali impongono di associare alla vagotomia tronculare la piloroplastica (sezione e ampliamento dello sfintere pilorico (Fig. 8.23) oppure un´anastomosi gastro‐enterica (Fig. 8.24), per evitare problemi di svuotamento dello stomaco.  

Per evitare l´insorgenza di una sindrome postvagotomica e la necessità di associare interventi di drenaggio gastrico, si può eseguire la vagotomia selettiva distale (Fig. 8.22), che consiste nella sezione dei nervi vaghi poco sotto la biforcazione in ramo gastrico (nervo di Latarjet) e ramo extragastrico. È così possibile preservare il ramo epatico del vago di sinistra e quello celiaco del vago di destra; tale intervento viene di regola eseguito in associazione con l´antrectomia o con una gastroresezione. Con la vagotomia selettiva prossimale, o superselettiva (Fig. 8.22), vengono sezionati in prossimità della parete gastrica solo i rami nervosi destinati ai 2/3 prossimali dello stomaco; si ottiene così la

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denervazione della porzione acido-secernente dello stomaco, conservando invece l´innervazione dell´antro e del piloro. Lo svuotamento gastrico risulta quindi normale e non è necessario eseguire la piloroplastica.

La vagotomia non risulta efficace nella sindrome di Zollinger-Ellison e nelle altre condizioni di ipergastrinemia, perché in tal caso l´ipercloridria è totalmente indipendente dal controllo vagale.

•  Antrectomia con vagotomia: nei pazienti che presentano una produzione acida molto elevata in risposta allo stimolo pentagastrinico può essere utile procedere all´asportazione dell´antro gastrico, del piloro e del duodeno prossimale riducendo il volume dello stomaco del 30‐50%, ed eseguire contemporaneamente la vagotomia (Fig. 8.25). Ciò evita i disturbi connessi con le resezioni maggiori dello stomaco e riduce l´incidenza delle recidive ulcerose. L´intervento combinato presenta infatti una percentuale di recidive dell´1‐2%. Il ripristino della continuità del canale alimentare avviene solitamente tramite gastro‐duodenostomia termino‐terminale o termino‐laterale (intervento secondo Billroth I), o gastro‐digiunostomia (intervento secondo Billroth II).  

•  Duodeno‐gastroresezione: consiste nella resezione di circa i 2/3 distali dello stomaco e della porzione prossimale del duodeno (Fig. 8.26), seguita da una ricostruzione tipo Billroth II o da gastro‐digiunoanastomosi su ansa digiunale a Y secondo Roux (Fig. 8.27). La duodenogastroresezione offre il vantaggio di rimuovere, oltre all´antro gastrico, anche una notevole porzione della mucosa acido‐secernente. La frequenza di ulcere recidive è dell´1‐5%. Per il trattamento del sanguinamento incontrollabile di ulcere peptiche antrali o del bulbo duodenale si esegue d´urgenza la duodeno‐gastroresezione.  

•  Gastrectomia totale: può rendersi necessaria nel caso di ulcere in regione sottocardiale, oppure associate alla sindrome di Zollinger‐Ellison refrattarie alla terapia, o nella gastrite acuta emorragica. L´asportazione completa dello stomaco è seguita da esofago‐digiunostomia per la ricostruzione della continuità del tubo digerente (Fig. 8.28).   

 

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Fig. 8.22. Vagotomia. (a) Tronculare; (b) selettiva; (c) superselettiva. 

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Fig. 8.23. Piloroplastica secondo Heineke‐Mikulicz:  incisione  longitudinale attraverso  lo sfintere pilorico e sutura trasversale. 

 

Fig. 8.24. Gastro‐digiunostomia antecolica. 

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Fig. 8.25. Antrectomia + vagotomia selettiva. 

 

  Fig. 8.26. Duodeno‐gastroresezione per ulcera del bulbo duodenale. 

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Fig.  8.27. Metodi  di  ricostruzione  dopo  gastroresezione.  (a)  Billroth  II  (gastro‐digiunostomia);  (b)  Roux (gastro‐digiunostomia su ansa a Y). 

 

  Fig. 8.28. Gastrectomia totale e ricostruzione con ansa digiunale a Y alla Roux. 

Complicanze dopo interventi per ulcera peptica  Le  complicanze  più  frequenti  nel  periodo  postoperatorio  precoce  dopo  interventi  chirurgici  per  ulcera peptica sono rappresentate da:  

• deiscenza delle suture anastomotiche dello stomaco (1‐4%);  • deiscenza della sutura del moncone duodenale dopo interventi di tipo Billroth II (2%);  • emorragia (2%);  

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• sviluppo di pancreatite acuta (1,5%).  

L´insorgenza di  complicanze è  spesso  legata a problemi  tecnici  inerenti alla  realizzazione dell´intervento, come  l´insufficiente vascolarizzazione del moncone gastrico o duodenale,  la  tensione cui possono essere sottoposte  le  suture  anastomotiche,  l´inadeguata  emostasi  intraoperatoria,  lo  sviluppo  di  raccolte ascessuali perianastomotiche.  Le  complicanze  tardive  degli  interventi  chirurgici  per  ulcera  peptica  possono manifestarsi  anche  dopo parecchie settimane o anni dall´intervento (Tab. 8.2). 

 

• Recidiva ulcerosa: la frequenza di recidiva ulcerosa varia dall´1 al 10%, a seconda del tipo di intervento. È più frequente dopo vagotomia che dopo intervento di resezione gastrica. La comparsa della recidiva si segnala per la ripresa della sintomatologia dolorosa; il paziente riferisce dolore epigastrico, caratterizzato di solito dalla tipica periodicità giornaliera. Talvolta la recidiva esordisce con segni e sintomi di emorragia o perforazione. Negli interventi che hanno comportato la confezione di gastro‐digiunostomia, la recidiva ulcerosa insorge generalmente in prossimità dell´anastomosi. La causa della recidiva è rappresentata spesso dall´esecuzione di un intervento che si rivela insufficiente a controllare la produzione acida, oppure dalla tecnica chirurgica imperfetta (per es. vagotomia incompleta, antrectomia incompleta, resezione insufficiente di stomaco acido‐secernente, piloroplastica inadeguata). L´ulcera recidiva può anche essere espressione di una sindrome di Zollinger‐Ellison o di iperparatiroidismo. 

 La terapia con farmaci anti‐H2 può talvolta consentire la guarigione delle ulcere recidive ed anastomotiche, ma spesso si rende necessario un secondo intervento.   

• Fistole gastro‐digiuno‐coliche e gastro‐coliche: le ulcere anastomotiche recidive possono erodere la parete digiunale e aprirsi nel lume del colon trasverso, adeso per processi perivisceritici, dando luogo ad una fistola gastro‐digiuno‐colica. Una fistolizzazione diretta tra lo stomaco e il colon è più rara, anche se possibile, in corso di ulcera peptica.  

La formazione di queste fistole si segnala per la ricomparsa della sintomatologia dolorosa accompagnata da diarrea  acquosa  grave  (8‐10  scariche  al  giorno);  talvolta  si  verifica  vomito  fecaloide  per  il  reflusso  del contenuto  intestinale  nello  stomaco.  La  diagnosi  definitiva  di  queste  complicanze  si  ottiene mediante l´evidenziazione radiologica della fistola con pasto baritato o clisma opaco.  

Tab. 8.2. Complicanze tardive degli interventi per ulcera peptica. 

• Recidiva ulcerosa • Fistola (gastro‐digiunocolica; gastro‐colica) • Gastrite da reflusso biliare • Sindrome postvagotomica • Dumping syndrome • Sindrome dell´ansa afferente • Cancro del moncone gastrico 

 La terapia chirurgica consiste nell´escissione dei tratti fistolizzati seguita dalla prevenzione farmacologica di ulteriori recidive ulcerose.   

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• Gastrite da reflusso biliare: il reflusso del contenuto duodenale nello stomaco è un evento comune dopo interventi che alterano la funzionalità del piloro. In alcuni casi ciò può causare una gastrite del moncone, rilevata clinicamente dalla comparsa di dolore epigastrico postprandiale. La diagnosi è fornita dall´esame endoscopico e dall´esito delle biopsie mucose. Il persistere di un grave quadro sintomatologico o di gravi turbe della nutrizione costituisce indicazione al reintervento, durante il quale si esegue una gastro‐enteroanastomosi su ansa a Y secondo Roux, che protegge dal reflusso biliare (Fig. 8.27).  

 

• Sindrome postvagotomica: la denervazione splancnica che consegue alla vagotomia tronculare induce con una certa frequenza discinesie biliari e disturbi motori e secretori del tenue e del colon. Tali disturbi possono persistere per un periodo di tempo non prevedibile fino a configurare una vera e propria sindrome postvagotomica caratterizzata da cardiospasmo, reflussogastro‐esofageo, ristagno biliare da atonia colecistica con formazione di fango biliare, reflusso duodeno‐biliare per atonia dello sfintere di Oddi, riduzione della secrezione pancreatica esocrina, diarrea. La diarrea è il disturbo più frequente nei pazienti sottoposti a vagotomia tronculare; 2/3 circa di essi lamentano un aumento di frequenza dell´evacuazione dell´alvo, ma ciò non si ripercuote seriamente sulla qualità di vita. La diarrea può essere episodica, con la comparsa non prevedibile di poche scariche alvine isolate oppure può presentarsi con scariche multiple di feci acquose che perdurano per vari giorni; il 10% dei pazienti vagotomizzati e sottoposti a piloroplastica presenta costantemente un numero elevato di scariche alvine, tale da rendere necessario un trattamento farmacologico. La causa della diarrea è probabilmente da identificare nella aumentata velocità di svuotamento dello stomaco dopo piloroplastica o gastro‐digiunostomia e nelle conseguenze della denervazione intestinale sulla attività secretoria e peristaltica, dal momento che la diarrea non compare dopo vagotomia superselettiva. 

 In presenza di una grave sindrome postvagotomica, se il trattamento sintomatico con antidiarroici non riesce ad attenuare il disturbo, può rendersi necessario il ricorso all´intervento chirurgico, che consiste nell´interposizione di un breve tratto di digiuno in senso antiperistaltico a circa 1 metro di distanza dal legamento di Treitz.   

• Dumping syndrome: è una complicanza poco frequente, che si può presentare nei pazienti sottoposti a piloroplastica, ad antrectomia, o a gastroresezione, oppure in presenza di anastomosi gastro‐digiunale. La dumping syndrome, la cui sintomatologia saliente è cardiovascolare e gastro‐intestinale, è illustrata dettagliatamente in seguito).  

• Sindrome dell´ansa afferente: compare dopo gli interventi secondo Billroth II, quando nell´ansa afferente all´anastomosi gastro‐digiunale ristagnano bile, succo pancreatico, succo enterico ed ingesti. La sovradistensione passiva dell´ansa afferente è spesso segnalata dalla comparsa di epigastralgie; si verifica quindi lo svuotamento rapido ed improvviso dell´ansa nello stomaco, con la comparsa di nausea e vomito biliare, cui possono aggiungersi i sintomi della dumping syndrome. La sindrome dell´ansa afferente può comparire dopo la confezione di una gastro‐digiunoanastomosi caratterizzata da ansa afferente eccessivamente lunga o angolata.  

 I pazienti possono trarre beneficio dal consumo di bevande gassate che, inducendo la distensione dell´ansa, ne stimolano lo svuotamento prima che si accumulino notevoli quantità di contenuto intestinale, ma spesso si rende necessaria la correzione chirurgica.  

• Cancro del moncone gastrico: è stato documentato un aumento di incidenza dell´adenocarcinoma gastrico dopo resezione gastrica.  

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Il  rischio  di  comparsa  di  neoplasia  del  moncone  aumenta  dopo  10  anni  dall´intervento  ed  è massimo  dopo  15‐25  anni.  Ciò  sembra  in  rapporto  con  la  elevata  frequenza  di  condizioni predisponenti  all´insorgenza  di  neoplasia  gastrica,  come  la  gastrite  atrofica,  la  metaplasia intestinale e la gastrite da reflusso, che insorgono a livello della mucosa gastrica residua.  

La  possibile  insorgenza  di  un  carcinoma  va  presa  in  considerazione  quando  la  sintomatologia addominale ricompare a distanza di molti anni da un intervento per ulcera peptica.  

 

Ematemesi e melena

 

• Le emorragie acute del tubo digerente sono spesso assai gravi e tali da mettere improvvisamente a repentaglio la vita dal paziente. Anche le emorragie croniche di modesta entità, che si rivelano per la comparsa di anemia e la presenza di sangue occulto nelle feci, vanno indagate con grande rigore, compiendo ogni sforzo per accertarne la natura; esse possono infatti preludere a sanguinamenti massivi e possono essere il sintomo‐spia di gravi malattie. Ogni caso di ematemesi, melena o enterorragia va inizialmente considerato con urgenza.  

L´identificazione  della  sede  del  sanguinamento  può  essere  difficile  e  può  richiedere  l´ausilio  di  diverse metodiche  strumentali.  L´ematemesi e/o  la melena possono  conseguire  infatti a emorragie verificatesi a vario livello: esofageo, gastrico, epato‐biliare, duodenale o intestinale.  La quantità di  sangue  emesso  con  ematemesi o melena  fornisce  solo  indicazioni presuntive  sulla  entità effettiva dell´emorragia e sulla sua sede;  il colore del sangue emesso è  invece un  indice utile ai  fini della localizzazione del sanguinamento.  

La  comparsa  di  ematemesi  senza  melena  è  indicativa  di  emorragia  che  origina  prossimalmente  al legamento di  Treitz.  L´ematemesi  è  generalmente un  sintomo  grave, perché  indica una perdita  ematica cospicua  (in  genere  >  1000 ml)  avvenuta  in  un  tempo  relativamente  breve;  in molti  pazienti  la  terapia medica è  inefficace e per  il controllo dell´emorragia si rende necessario  l´intervento chirurgico d´urgenza. L´ematemesi va comunque distinta dal vomito di sangue deglutito, che può verificarsi in corso di emottisi o in seguito a epistassi massive.  

Un´ematemesi  abbondante e di  colore  rosso  vivo  indica  che  l´emorragia è di origine esofagea o  gastro‐duodenale  e  di  tale  portata  da  causare  il  riempimento  rapido  dello  stomaco  e  la  comparsa  precoce  di vomito, prima che l´emoglobina possa essere digerita dal succo gastrico.  

Un´emorragia  cospicua  può  accompagnarsi  anche  ad  un  rapido  passaggio  di  sangue  nell´intestino;  ciò induce  un  incremento  della  peristalsi  e  determina  la  comparsa  di  scariche  alvine  commiste  a  sangue parzialmente digerito e che assumono un colore variabile dal rosso scuro al piceo (melena). Un´ematemesi con  emissione  di  vomito  caffeano  indica  che  l´emorragia  è  sì  abbondante, ma  che  il  sanguinamento  è piuttosto lento, così da permettere il ristagno del sangue nello stomaco per un periodo di tempo piuttosto lungo;  l´emoglobina,  per  effetto  dell´acido  cloridrico,  viene  così  convertita  in  emetina  ed  il  colore  del sangue vira dal rosso al nerastro. In questi casi compare di solito anche melena entro qualche ora. 

 

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• La melena può prodursi in conseguenza di un sanguinamento insorto in qualunque punto del tubo digerente compreso tra la bocca e il sigma distale, purché il tempo impiegato dal sangue a percorrere il tubo digerente sia sufficientemente lungo da consentire l´azione del succo gastrico, così da far assumere alle feci il colore piceo e l´aspetto catramoso. Il 50% delle emorragie esofagee e gastro‐duodenali si rende manifesto per la comparsa solo di melena; si tratta solitamente di emorragie di portata abbastanza modesta, dato che è sufficiente la presenza di 50‐100 ml di sangue nell´intestino per produrre l´emissione di feci melaniche.  

Se la melena consegue ad emorragie consistenti, con presenza di notevoli quantità di sangue nell´intestino, l´evacuazione  di  feci melaniche  può  protrarsi  per  3‐4  giorni  dopo  la  cessazione  del  sanguinamento.  Il riassorbimento  intestinale  di  cataboliti  dell´emoglobina  può  comportare  la  comparsa  di  subittero, iperpotassiemia e modesto rialzo febbrile.  

• L´enterorragia, cioè l´emissione di sangue rosso vivo dal retto, commisto o meno alle feci, è di solito indicativa di emorragie insorte distalmente al legamento di Treitz, in genere oltre l´ileo terminale. Le manifestazioni generali di un´emorragia gastro‐intestinale grave dipendono dalla sede e dalla rapidità con cui avviene la perdita di sangue, nonché dalla frequenza degli episodi emorragici.  

• Il sanguinamento cronico in genere si rivela solo con segni clinici di anemia e per la presenza di sangue occulto nelle feci.  

• Nei casi di sanguinamento acuto possono comparire shock ipovolemico e oligo‐anuria.  

 Quando  il paziente con emorragia gastro‐intestinale giunge all´osservazione, si deve anzitutto valutare  la stabilità  delle  sue  condizioni  emodinamiche;  si  procede  quindi  all´infusione  endovenosa  inizialmente  di liquidi plasma expanders e, se necessario, di sangue.  

Si devono eseguire gli esami siero‐ematici atti a valutare  l´entità della perdita ematica,  la concentrazione degli elettroliti sierici e la presenza di eventuali deficit della coagulazione, della funzione epatica e di quella renale.  

Per valutare  l´entità delle perdite ematiche e  la necessità di emotrasfusioni,  si eseguono determinazioni seriate dell´ematocrito, ad intervalli di 1‐6 ore, proporzionalmente alla gravità apparente dell´emorragia.  

L´ematocrito determinato immediatamente dopo l´esordio dell´emorragia può non riflettere con precisione l´entità  della  perdita,  poiché  l´emodiluizione  da  parte  dei  liquidi  extravascolari  richiede  qualche  ora. Indicativamente, alla diminuzione di ogni unità % dell´ematocrito corrisponde una perdita di circa 100 ml di sangue.  

L´esame morfologico dei globuli  rossi e  la determinazione della  sideremia non devono comunque essere trascurati,  perché  possono  fornire  indicazioni  riguardo  alla  natura  acuta  o  cronica  del  sanguinamento. L´azotemia può risultare elevata, sia per  la diminuzione dell´ultrafiltrazione conseguente all´ipoperfusione renale, sia, soprattutto nel caso di emorragie del primo tratto del tubo digerente, per  il riassorbimento di cataboliti azotati derivanti dalla digestione  intestinale del sangue. Nei pazienti epatopatici può comparire iperammoniemia  in  conseguenza  del  riassorbimento  intestinale  delle  cospicue  quantità  di  ammoniaca derivanti dal catabolismo dell´emoglobina.  

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 La terapia rianimatoria fondamentale comprende il trattamento dello shock ipovolemico tramite infusione di colloidi e sangue intero e la correzione di eventuali turbe elettrolitiche e coagulative. Se il paziente è in stato di shock è indispensabile cercare di migliorare la perfusione tissutale e gli scambi respiratori, monitorando i parametri vitali, comprese la pressione venosa centrale e la diuresi. Si deve quindi chiarire la diagnosi, per meglio indirizzare la terapia.  Nell´anamnesi si deve indagare l´eventuale assunzione di alcool e farmaci gastro‐lesivi, la presenza di pregressa patologia gastro‐intestinale e di epatopatie croniche. All´esame obiettivo si deve ricercare l´eventuale presenza di ipertensione portale ed escludere fonti non gastro intestinali di sanguinamento (emottisi, epistassi massive, ecc.), si devono indagare i segni di diatesi emorragiche, la presenza di masse addominali palpabili e di malattie potenzialmente in grado di indurre emorragie dell´apparato digerente. Se si accerta un sanguinamento da varici esofagee si può posizionare la sonda di Sengstaken‐Blakemore (Fig. 8.29) ed iniziare l´infusione endovenosa di somatostatina e pitressina, in attesa della sclerosi endoscopica delle varici o del loro trattamento chirurgico. Una volta stabilizzate le condizioni si può procedere all´esecuzione degli esami strumentali per accertare la sede e la natura dell´emorragia, ed effettuare quindi la terapia causale.   

Per  la diversità del quadro sintomatologico,  i sanguinamenti del  tubo digerente si possono distinguere  in due  gruppi:  emorragie  del  primo  tratto  (dal  faringe  al  duodeno  compreso)  ed  emorragie  del  tratto intermedio‐distale (dal digiuno al retto).  

 

  

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Fig. 8.29. Sonda di Sengstaken‐Blakemore. 

Emorragie del primo tratto del tubo digerente  Le cause più frequenti di sanguinamento a questo livello (Tab. 8.3) sono l´ulcera duodenale (30%), l´ulcera gastrica (20%), le varici esofagee (20%), la gastrite acuta erosiva (20%), la sindrome di Mallory‐Weiss (5%). Il restante  5%  è  rappresentato  da:  tumori  benigni  e  maligni  dell´esofago  e  dello  stomaco,  ernia  iatale, esofagite peptica, diverticoli duodenali o della prima ansa digiunale, emobilia. Anche le emopatie primitive (leucemie,  trombocitopenie,  emofilia)  e  acquisite  (CID),  nonché  le  vasculiti  a manifestazione  sistemica (porpora di Schoenlein‐Enoch, panarterite nodosa) possono dar luogo a sanguinamento gastro‐intestinale.  

Nei casi in cui si sospetta l´origine gastro‐duodenale dell´emorragia, si deve procedere al posizionamento di un  sondino naso‐gastrico di grosso  calibro,  che va  lasciato  in  situ per almeno 12 ore dopo  la  cessazione dell´emorragia,  al  fine di  segnalare  tempestivamente  l´eventuale  ripresa del  sanguinamento e  istituire  il trattamento d´urgenza.  

Se  in anamnesi viene riferita ematemesi e all´aspirazione del sondino naso‐gastrico si riscontrano sangue rosso  vivo e  coaguli  freschi,  il  sanguinamento  va  considerato ancora  in atto;  si eseguono quindi  ripetuti lavaggi  dello  stomaco  con  soluzione  fisiologica  fredda  per  favorire  l´emostasi  inducendo  una vasocostrizione  locale; si  instillano procoagulanti ad azione topica, fino ache  l´aspirato non risulti privo di sangue.  Se  l´emorragia  cessa  o  comunque  diminuisce  di  intensità,  si  procede  immediatamente all´esecuzione  dell´endoscopia.  Eventualità  molto  frequente  è  quella  in  cui  il  paziente  giunge all´osservazione  riferendo episodi di ematemesi, ma  il  sondino naso‐gastrico evidenzia  la presenza nello stomaco  solo  di  una modesta  quantità  di  liquido  caffeano.  Ciò  indica  che  il  sanguinamento  è  cessato; pertanto,  dopo  lavaggio dello  stomaco  con  soluzione  fisiologica  fredda,  si può  procedere  all´esecuzione dell´esame  endoscopico.  Anche  nel  sospetto  di  sanguinamento  duodenale  va  eseguita  rapidamente l´endoscopia.  Se  il  paziente  presenta melena  senza  ematemesi  e  l´aspirato  gastrico  evidenzia  tracce  di liquido caffeano, bisogna sospettare che  la sede del sanguinamento sia a  livello duodenale, comunque a monte del  legamento di Treitz. L´assenza di  sangue dall´aspirato gastrico non è  sufficiente per escludere l´origine duodenale dell´emorragia. Se  l´aspirato è tipicamente di succo gastrico e non contiene sangue,  il sondino  naso‐gastrico  va  lasciato  in  sede  fino  alla  comparsa  di  aspirato  tinto  di  bile;  il  sanguinamento duodenale  può  infatti  indurre  uno  spasmo  pilorico,  impedendo  al  sangue  di  refluire  nello  stomaco.  Se invece  l´aspirato  gastrico  fornisce  materiale  biliare  privo  di  sangue  (anche  occulto),  la  sede  del sanguinamento è probabilmente distale rispetto al legamento di Treitz. 

L´esame  endoscopico  consente  di  individuare  la  sede  di  un  sanguinamento  del  primo  tratto  del  tubo digerente  nell´80%  dei  casi  e  permette  talvolta  un  trattamento  emostatico:  elettrocoagulazione, lasercoagulazione, sclerosi di varici esofagee, applicazioni alla sede di sanguinamento di colla di fibrina e di ponfi con agenti emostatici.  

Tab. 8.3. Cause di emorragia del primo tratto del tubo digerente (dal faringe al duodeno). 

Cause più frequenti 

• Varici esofagee • Ulcera peptica (gastrica, duodenale) • Gastrite‐duodenite (idiopatica, da stress, da farmaci) 

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• Sindrome di Mallory‐Weiss 

Cause meno frequenti 

• Tumori orofaringei • Esofagite • Tumori esofagei • Diverticoli esofagei • Ernia iatale • Sindrome di Boerhaave • Tumori gastrici (benigni e maligni) • Ulcera anastomotica (gastro‐digiunostomia) • Emobilia • Pancreatite • Fistola aorto‐duodenale aneurismatica • Tumori duodenali e della papilla di Vater • Diverticoli duodenali • Emopatie (leucemia, piastrinopenia, emofilia) • CID • Terapia anticoagulante 

 Se l´endoscopia non fornisce sufficienti delucidazioni riguardo alla sede dell´emorragia (come può succedere in caso di sanguinamenti massivi, quando la presenza di notevoli quantità di sangue può impedire la visione diretta della mucosa, oppure quando si sospetta che l´emorragia sia insorta in sede distale rispetto al legamento di Treitz), e le condizioni generali del paziente si deteriorano per l´impossibilità di controllare l´emorragia con il trattamento medico, è indicato l´intervento chirurgico d´urgenza.   

L´angiografia selettiva del tripode celiaco e dell´arteria mesenterica superiore risulta solo raramente utile per localizzare la sede di sanguinamento; è difficile che l´esame fornisca indicazioni riguardo alla causa del sanguinamento, a meno che non si tratti di varici esofagee, aneurismi fissurati o malformazioni vascolari. La dimostrazione  angiografica  del  sanguinamento  richiede  infatti  un  flusso  maggiore  di  0,5  ml/secondo; poiché  emorragie  di  questa  portata  sono  di  notevole  gravità,  le  condizioni  cliniche  del  paziente  spesso impongono  comunque  l´esecuzione  dell´intervento  chirurgico  urgente.  Nei  pazienti  inoperabili  per  la gravità delle condizioni generali,  l´angiografia può talora essere sfruttata con finalità terapeutiche, perché consente  l´infusione  distrettuale  di  vasopressina  e  l´embolizzazione  selettiva  dei  vasi  sanguinanti,  con coagulo autologo o gelatine emostatiche polverizzate (Gelfoam).  

Se  l´esame  endoscopico  dimostra  la  presenza  di  varici  esofagee  sanguinanti  bisogna  iniziare  l´infusione endovenosa  di  vasopressina  e  somatostatina  (di  efficacia  sovrapponibile  all´infusione  intrarteriosa distrettuale) e si posiziona la sonda di Sengstaken‐Blakemore (Fig. 8.29). Tali manovre servono ad ottenere un´emostasi temporanea, utile per consentire di riequilibrare le condizioni generali del paziente, di allestire la  scleroterapia  endoscopica  o  preparare  l´intervento  chirurgico.  Il  tamponamento  con  sonda  di Sengstaken‐Blakemore  riesce a  controllare da  solo  l´emorragia da  varici esofagee nel 75% dei  casi.  Se  il sanguinamento cessa, i palloni della sonda vengono sgonfiati dopo 24 ore e si ritira la sonda dopo 48 ore; l´effettivo  arresto  dell´emorragia  viene  confermato  con  l´esame  endoscopico.  Quando  si  detendono  i palloni della  sonda,  se  si ha ancora evidenza di  stillicidio ematico o di emorragia massiva,  il paziente va preparato per l´intervento d´urgenza. La scleroterapia endoscopica delle varici sanguinanti, da alcuni autori indicata come  trattamento di prima  scelta, permette  il controllo del  sanguinamento nell´80% dei casi;  la 

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recidiva  del  sanguinamento  nel  corso  dello  stesso  ricovero  è  del  25%.  Se  il  sanguinamento  si  arresta, l´endoscopia deve essere ripetuta a distanza di 48 ore e poi ancora 1 o 2 volte a  intervalli di 1 settimana, per completare la sclerosi.  

 Se l´entità dell´emorragia è notevole, il trattamento conservativo con scleroterapia e terapia medica è inefficace nel 10‐15% dei pazienti. La decisione di ricorrere all´intervento d´urgenza è comunque legata all´entità e alla durata del sanguinamento, non alla causa di esso.  Indicazioni all´intervento sono le seguenti condizioni:  

•  grave shock emorragico con scarsa risposta alla terapia infusionale e rianimatoria;  

•  condizioni emodinamiche instabili, mantenute solo a prezzo di continue trasfusioni.  Le trasfusioni massive possono infatti condurre all´insorgenza di una CID difficilmente controllabile. Anche la rapida infusione di grandi quantità di colloidi e cristalloidi privi di fattori della coagulazione può peggiorare il sanguinamento diluendo il plasma. Non si può stabilire a priori per quanto tempo è opportuno insistere con i tentativi di trattamento medico di un sanguinamento, perché ciò è funzione delle condizioni generali del paziente, oltre che del grado di risposta alla terapia; a titolo indicativo, comunque, si deve prendere in considerazione il ricorso all´intervento quando il sanguinamento continua cospicuamente dopo aver trasfuso 8‐10 unità di sangue. Dal momento in cui si pone chiaramente l´indicazione chirurgica d´urgenza, ogni dilazione risulta comunque controproducente e si accompagna a notevole incremento delle complicanze e della mortalità.   

Emorragie del tubo digerente intermedio­distale  Le emorragie del  tenue e del colon‐retto possono avere eziologia assai varia  (Tab. 8.4). L´emorragia può rendersi evidente con le seguenti modalità:  

• con l´evacuazione di feci melaniche, quando essa origina a livello del tenue prossimale e il sangue permane nell´intestino a lungo prima di essere evacuato;  

• per la comparsa di enterorragia (feci commiste a sangue di color rosso vivo), quando essa origina dal tratto più distale del tubo digerente;  

• con la comparsa di anemia ipocromica e sangue occulto nelle feci se il sanguinamento è cronico e di modesta entità.  

L´emorragia  cessa  spesso  spontaneamente  e  completamente,  oppure  persiste  uno  stillicidio  ematico. Talvolta,  dopo  un  periodo  di  remissione,  l´emorragia  recidiva  con  intensità  uguale  o maggiore  rispetto all´episodio di esordio. Poiché  l´entità delle emorragie del  tenue e del colon è generalmente modesta, è solitamente possibile  stabilizzare  le  condizioni del paziente  con  relativa  facilità, e  vi è quindi  tempo per organizzare gli accertamenti diagnostici più opportuni.  La malattia diverticolare, la rettocolite ulcerosa, le lesioni angiodisplastiche e l´infarto mesenterico sono le principali cause organiche di emorragia, che possono dar  luogo alla perdita anche di notevoli quantità di sangue;  emorragie  di  entità  paragonabile  possono  verificarsi  a  causa  di  coagulopatie,  di  tossicità  da chemioterapici, e di lesioni da terapia radiante. 

Tab. 8.4. Cause di emorragia del tubo digerente intermedio‐distale (dal digiuno al retto). 

Cause più frequenti 

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• Infarto mesenterico • Malattia di Crohn • Enteriti gravi (infettive, attiniche) • Rettocolite ulcerosa • Tumori del colon‐retto (benigni e maligni) • Diverticolosi del colon • Angiodisplasia • Emorroidi • Ragade anale 

Cause meno frequenti 

• Tumori del tenue (benigni e maligni) • Diverticolo di Meckel • Ulcere peptiche del tenue (s. di Zollinger‐Ellison) • Invaginazione intestinale • Volvolo • Colite (ischemica, infettiva, attinica) • Ulcera solitaria del retto • Emopatie (leucemia, piastrinopenie, emofilia) • CID 

I  tumori benigni e maligni  raramente  inducono un  sanguinamento  imponente; più spesso si manifestano per la presenza di stillicidio ematico cronico.  

La colite ulcerosa, in particolare, si segnala per le ripetute scariche di diarrea ematica. La colite ischemica, tipica dei pazienti anziani, può talora  insorgere  in soggetti giovani diabetici o affetti da  lupus eritematoso sistemico o da altre vasculiti.  

Le emorragie a livello rettale possono essere conseguenza di tumori benigni e maligni del retto, di proctite, di  emorroidi  interne,  di  ragadi,  o  di  introduzione  di  corpi  estranei.  La  perdita  di  sangue  conseguente  a patologia anorettale è in genere modesta e non pone di solito problemi di diagnosi differenziale.  

Il riscontro di  lesioni anorettali sanguinanti non è però sufficiente ad escludere  la presenza di altre sedi di emorragia, che devono essere identificate. 

 

 In presenza di rettorragia, dopo aver verificato la stabilità delle condizioni del paziente, si deve sempre eseguire l´esplorazione digitale dell´ampolla rettale e la rettoscopia. Questi esami, che non necessitano di preparazione intestinale, possono essere sufficienti ad individuare la sede rettale e la causa del sanguinamento, oppure possono indicare che la causa di emorragia è localizzata più a monte (per es. reperto di feci melaniche all´esplorazione rettale).  

 

In caso di melena si può posizionare un sondino naso‐gastrico per verificare che il sangue non provenga da sedi prossimali al legamento di Treitz. Se si esclude questa possibilità la ricerca della sede di emorragia va eseguita con la pancolonscopia.  

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Durante  la colonscopia è possibile spesso procedere alla biopsia o all´asportazione endoscopica di  lesioni sanguinanti e alla loro elettrocoagulazione o lasercoagulazione.  

L´infusione endovenosa di globuli rossi marcati con  tecnezio oppure di  tecnezio‐sulfocolloidale permette, attraverso la localizzazione di accumuli di radioattività, di dimostrare se un sanguinamento è ancora in atto e di valutarne approssimativamente la sede; questa metodica si impiega principalmente per valutare le sedi di sanguinamento ileali (per es. diverticolo di Meckel).  

L´angiografia selettiva delle arterie mesenteriche è in grado di identificare la sede del sanguinamento solo nel 60% dei casi e viene eseguita raramente.  

 Una volta fatta la diagnosi, e dopo aver arrestato o comunque ridotto al minimo il sanguinamento, si instaurerà la terapia più opportuna, medica o chirurgica, della malattia di base. Il ricorso all´intervento chirurgico è comunque necessario in caso di sanguinamenti non controllabili con la terapia medica o recidivanti.   

Sindrome di Mallory-Weiss

La sindrome di Mallory-Weiss è responsabile di circa il 5% dei casi di sanguinamento acuto del primo tratto del tubo digerente.

Il sanguinamento origina da una lacerazione mucosa longitudinale, lunga < 5 cm, localizzata nei pressi della giunzione mucosa gastro-esofagea ed estesa in profondità fino alla muscularis mucosae, che rimane comunque indenne. Nella maggior parte dei casi la lacerazione è limitata alla mucosa gastrica, mentre più raramente si estende a cavallo della giunzione mucosa esofago-gastrica. Solo il 5% dei pazienti presenta lesioni alla mucosa dell´esofago sottodiaframmatico. Nella maggior parte dei casi si tratta di una lesione solitaria, ma in alcuni pazienti sono state riscontrate due o anche più lesioni simili. La lacerazione insorge all´improvviso e di solito in conseguenza di un episodio di vomito accompagnato da violenti conati (90% dei casi); nei 2/3 dei casi il vomito appare in conseguenza dell´assunzione di alcool in quantità elevata. Altri fattori in grado di causare l´insorgenza della sindrome sono il massaggio cardiaco esterno e gli aumenti repentini e molto marcati della pressione endoaddominale, come si può verificare in caso di forti attacchi di tosse. Il 60% circa dei pazienti presenta un´ernia iatale, alla quale va probabilmente assegnato il ruolo di condizione predisponente.

Le stesse condizioni possono indurre l´insorgenza di una rottura a tutto spessore dell´esofago (sindrome di Boerhaave); mentre in quest´ultimo caso l´azione lacerante è svolta dai conati di vomito alimentare e la sintomatologia dolorosa si accompagna immediatamente ad esso, nella sindrome di Mallory-Weiss il ruolo determinante viene svolto dai conati ripetuti e violenti che seguono l´emissione del vomito. Il sospetto di sindrome di Mallory-Weiss viene formulato in base all´anamnesi: il paziente riferisce infatti tipicamente un episodio di vomito alimentare o di succo gastrico, seguito dalla comparsa di conati violenti e dall´emissione di vomito francamente ematico. La conferma della diagnosi si ottiene con l´endoscopia, eseguita subito dopo aver messo in atto le misure terapeutiche generali da impiegare in tutti i pazienti con emorragia del primo tratto del tubo digerente.

Nel 90% dei casi il sanguinamento si arresta spontaneamente o dopo il lavaggio dello stomaco con soluzione fisiologica ghiacciata.

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Il sanguinamento si può talvolta controllare tramite l´elettrocauterizzazione endoscopica. Se all´esame endoscopico preliminare il sanguinamento è ancora massivo, il paziente deve essere sottoposto ad intervento chirurgico d´urgenza; questo consiste in un´ampia gastrotomia estesa verso il cardias e nella sutura della lacerazione mucosa dopo accurata emostasi. Le recidive postoperatorie sono rare.

Gastrite acuta erosiva e ulcera da stress

• Eziopatogenesi ed anatomia patologica: la gastrite acuta erosiva è caratterizzata dalla presenza di erosioni sanguinanti della mucosa gastrica, limitate in profondità all´epitelio e alla lamina propria. Sede privilegiata delle erosioni è la mucosa acido-secernente dello stomaco; la mucosa antrale e anche quella duodenale sono però interessate in 1/3 dei casi. In alcuni pazienti si può assistere ad un interessamento contemporaneo dello stomaco e del duodeno. Quando le erosioni si approfondano oltre la muscularis mucosae, le lesioni si configurano come vere e proprie ulcere acute; esse tuttavia costituiscono un´entità clinica distinta dell´ulcera peptica cronica.

Le alterazioni anatomo-patologiche riscontrate in tutti questi casi sono sostanzialmente identiche e variano dalla semplice soffusione emorragica della mucosa all´ulcera sanguinante o con tendenza perforativa; a differenza dell´ulcera peptica le lesioni sono frequentemente multiple e hanno contorni policiclici (Fig. 8.30). Sono stati identificati alcuni specifici fattori di rischio per lo sviluppo di gastrite erosiva e ulcera da stress:

o lo shock; o la sepsi; o le ustioni gravi; o i traumi gravi; o gli interventi chirurgici maggiori.

Erosioni mucose ed ulcere acute possono insorgere anche in caso di uremia, durante trattamenti chemioterapici e radioterapici, dopo assunzione di elevate dosi di salicilati o di cortisonici e in seguito ad abuso di alcolici e fumo di sigaretta.

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Fig. 8.30. Gastrite emorragica da stress. Si osservi l´intensa iperemia della mucosa, sanguinante in più punti.

Le ulcere acute da stress che insorgono in caso di shock o di sepsi, di ustione o dopo interventi chirurgici presentano caratteristiche patogenetiche comuni; perciò vengono classificate unitariamente come ulcere di Curling. L´esame endoscopico evidenzia entro 72 ore dall´evento eziologico la presenza di erosioni o ulcere nella maggior parte dei pazienti che presentano uno o più dei fattori di rischio elencati precedentemente; tuttavia un sanguinamento clinicamente evidente si verifica solo nel 20% dei pazienti, di solito entro 2-3 giorni dall´evento lesivo. I meccanismi patogenetici proposti per spiegare l´insorgenza delle ulcere di Curling sono una diminuita resistenza della mucosa al secreto acido-peptico e l´ischemia mucosa. Nei pazienti esposti al rischio di sviluppare ulcere da stress non si riscontra ipercloridria, però sono stati dimostrati un diminuito turnover della mucosa, l´azione epiteliolesiva delle tossine batteriche circolanti e la riduzione della produzione di muco da parte delle cellule mucipare; tutto ciò renderebbe la mucosa più sensibile all´azione del secreto acido-peptico, permettendo l´insorgenza di processi erosivi. L´ischemia mucosa potrebbe però rappresentare il fattore patogenetico principale. Nei pazienti in condizioni critiche infatti, l´apertura di shunt artero-venosi precapillari della parete gastrica e l´intensa vasocostrizione splancnica possono ridurre drasticamente il flusso ematico che raggiunge la mucosa, inducendo una sofferenza ischemica delle cellule epiteliali. Il sanguinamento può essere aggravato dall´insorgenza di diatesi emorragiche in corso di sepsi o di coagulopatia da consumo.

• Sintomatologia e diagnosi: il reperto clinico più comune nei pazienti affetti da gastrite erosiva e ulcerazioni acute da stress è l´emorragia gastro-intestinale, insorgente spesso senza sintomatologia dolorosa.

L´entità dell´emorragia è variabile, da minima ad assai cospicua. Già nelle prime 24 ore dall´evento lesivo si possono rilevare piccole quantità di sangue nell´aspirato gastrico o nelle feci, ma raramente un sanguinamento massivo compare prima di 3 giorni.

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L´esordio con ematemesi non è frequente; più spesso i pazienti presentano un quadro di anemizzazione acuta, cui segue a distanza di qualche ora la comparsa di melena. La diagnosi viene confermata con l´ausilio dell´esame endoscopico.

Profilassi e terapia. La comparsa delle ulcere da stress si può prevenire ricorrendo alla somministrazione profilattica di farmaci antistaminici H2-selettivi, di sucralfato o di prostaglandine di sintesi; questo tipo di profilassi delle lesioni gastro-duodenali da stress viene largamente impiegato nei reparti di terapia intensiva. L´emorragia gastro-intestinale nella maggior parte dei casi è controllabile con il trattamento medico, analogo a quello eseguito in caso di ulcera peptica. Se il trattamento medico non si rivela in grado di arrestare il sanguinamento, diventa indispensabile il ricorso all´intervento chirurgico urgente, gravato da un alto tasso di complicanze e di mortalità a causa delle condizioni già critiche dei pazienti. Se possibile si esegue una gastroresezione, ma se le ulcerazioni sanguinanti sono diffuse estesamente sulla superficie della mucosa gastrica si rende necessario il ricorso alla gastrectomia totale.

Precancerosi gastriche

 

La  diffusione  dell´endoscopia  digestiva  ha  consentito  di  focalizzare  l´attenzione  su  alcune  condizioni morbose  che  comportano un  rischio aumentato di  insorgenza di  tumore.  La diagnosi di queste affezioni permette  di  inviduare  una  popolazione  di  soggetti  a  rischio  che  possono  essere  sottoposti  a  periodici controlli endoscopici e bioptici.  

Nel  1978  una  commissione  di  esperti  dell´OMS  ha  suddiviso  le  precancerosi  gastriche  in  lesioni precancerose e condizioni precancerose  intendendo per  lesioni precancerose quelle alterazioni  istologiche in  cui  il  carcinoma  si  manifesta  più  frequentemente  rispetto  alla  mucosa  normale  e  per  condizioni precancerose tutte le malattie benigne dello stomaco associate ad un rischio neoplastico significativamente più elevato rispetto alla popolazione normale (Tab. 8.5).  

Tab. 8.5. Precancerosi gastriche.

Lesione precancerosa Condizioni precancerose

• Displasia  • Gastrite  cronica  atrofica Metaplasia  intestinale Infezione da Helicobacter pylori Ulcera  peptica  (attualmente discussa) Polipi  adenomatosi Moncone  gastrico Malattia di Ménétrier 

Lesioni precancerose  Displasia  

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Il termine displasia significa letteralmente una crescita abnorme nel contesto di una popolazione cellulare. In realtà questo fenomeno, riscontrabile a livello di molti tessuti, è rappresentato da un gruppo eterogeneo di  alterazioni  citologiche  e  strutturali  che  rivestono  probabilmente  ruoli  diversi  nella  patogenesi  del carcinoma. 

 

 Le alterazioni che caratterizzano la displasia sono di due tipi: citologiche e strutturali. Le alterazioni citologiche riguardano le dimensioni e la morfologia della cellula, il rapporto nucleo‐citoplasma, l´attività mitotica e il grado di differenziazione cellulare. Le alterazioni strutturali sono rappresentate da modificazioni della disposizione delle ghiandole con formazione di papille, ramificazioni o pseudostratificazioni anomale.  

 

Esistono  in  letteratura  varie  classificazioni  delle  displasie  gastriche  (Tab.  8.6);  quella  più  comunemente impiegata è la classificazione di Grundmann e Schalke che prevede tre gradi di displasia: lieve, moderata e severa. Le lesioni displastiche vengono inoltre differenziate dalle alterazioni di tipo iperplastico‐rigenerativo che si accompagnano a situazioni di tipo flogistico (gastriti, ulcera) e che non assumono  il ruolo di  lesione precancerosa.  

Nella displasia lieve esiste una proliferazione cellulare con modeste atipie citologiche (ipercromia nucleare) che riguardano generalmente la regione apicale delle ghiandole, risparmiando la regione basale. Le cellule sono ben differenziate e il quadro istologico ricorda l´iperplasia rigenerativa della flogosi cronica.  

Per questo motivo molti autori ritengono che la displasia lieve non rappresenti una lesione con potenzialità neoplastiche.  

Nella displasia moderata  le atipie citologiche sono più marcate con perdita parziale della differenziazione cellulare e dell´attività muco‐secernente. Le ghiandole si dispongono, in virtù della proliferazione cellulare, in strutture cordoniformi o pseudostratificate conferendo all´epitelio un profilo irregolare.  

La displasia severa è caratterizzata da alterazioni nucleari spiccate e  intensa attività mitotica.  Il disordine architettonico è marcato:  la disposizione delle ghiandole è confusa con pluristratificazioni e  ramificazioni esuberanti. La diagnosi istologica differenziale con il carcinoma preinvasivo è spesso molto difficile. Alcune classificazioni considerano questo tipo di displasia come un carcinoma in situ.  

Displasia e carcinoma 

Allo  stato  attuale  delle  conoscenze  si  può  concludere  che  le  displasie  lievi  e  moderate  si  trovano frequentemente  associate  al  carcinoma pur non essendo mai  stata dimostrata  la  loro  trasformazione  in senso neoplastico. Rappresentando  lesioni a rischio, esse  impongono controlli endobioptici ravvicinati ma non giustificano una terapia chirurgica. Ulteriori studi sono necessari per definire  il ruolo di queste  lesioni nella carcinogenesi gastrica.  

La displasia severa presenta invece analogie citologiche e strutturali con il carcinoma preinvasivo dal quale spesso è difficile distinguerla e deve essere pertanto trattata come una lesione cancerosa.  

Quantunque le lesioni displastiche siano presenti in un´alta percentuale di casi nella mucosa limitrofa ad un carcinoma, la loro vera potenzialità evolutiva non è ancora conosciuta.  

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Aree di displasia si possono trovare in ogni condizione precancerosa: gastrite atrofica, polipi, ulcera peptica, moncone gastrico e malattia di Ménétrier.  

Non necessariamente la displasia precede la formazione del carcinoma, come si può evincere dall´analisi di alcuni dati:  la displasia è una  lesione rara nella popolazione normale rispetto all´incidenza del carcinoma; l´evoluzione  è  piuttosto  eccezionale:  Oehlert  ha  infatti  dimostrato  che  la  maggior  parte  delle  lesioni displastiche regredisce e che solo il 9% dei pazienti affetti da displasia severa sviluppa un carcinoma.  

 

Tab. 8.6. Classificazioni della displasia.

 

Condizioni precancerose  Rientrano  in  questo  gruppo  alcune  patologie  benigne  dello  stomaco  nelle  quali  numerosi  studi  hanno dimostrato un aumento di incidenza di carcinoma rispetto alla popolazione normale.  

Le condizioni precancerose sono  la gastrite cronica atrofica e  la metaplasia  intestinale,  l´ulcera peptica,  i polipi, il moncone gastrico e la malattia di Ménétrier.  

Gastrite cronica atrofica e metaplasia intestinale  La  gastrite  cronica  atrofica  (GCA)  rappresenta  la  condizione  precancerosa  più  conosciuta.  Il  rischio neoplastico nei 

pazienti  affetti  da  GCA  è  considerato  da  3  a  10  volte  superiore  rispetto  alla  norma.  È  importante sottolineare che, dallo studio  istologico dei pezzi operatori dei pazienti operati per carcinoma, si riscontra un´incidenza di GCA associata nel 70‐95% dei casi. 

 

 La malattia è caratterizzata dal punto di vista anatomopatologico da atrofia della componente ghiandolare, infiltrazione linfocitaria e plasmacellulare del corion che nelle forme più avanzate viene sostituita da una fibrosi diffusa.  

 

Strickland  e Mackay  distinguono  due  tipi  di GCA:  la GCA  di  tipo A  (gastrite  fundica)  e  la GCA  di  tipo  B (gastrite antrale). 

 

• La GCA di tipo A si presenta con atrofia delle cellule parietali e principali del fondo gastrico senza atrofia delle cellule antrali e si associa a ipoacloridria, ipergastrinemia e possibile presenza di 

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anticorpi anticellula parietale e antifattore intrinseco. Nelle forme più gravi con atrofia diffusa si configura il quadro dell´anemia di Biermer.  

• La GCA di tipo B è caratterizzata da atrofia diffusa delle cellule della mucosa antrale associata ad aree focali di atrofia del fondo. La secrezione cloridro‐peptica è normale o diminuita e non si riscontrano autoanticorpi o livelli elevati di gastrinemia. Il meccanismo patogenetico è probabilmente da ricondurre ad un danneggiamento della barriera mucosa ad opera del reflusso biliare e all´infezione da Helicobacter pylori.  

 In  entrambe  le  forme  di  GCA,  oltre  alle  alterazioni  istologiche  precedentemente  descritte,  è  possibile osservare un´altra importante modificazione dell´epitelio: la metaplasia intestinale. Si tratta di un processo di  "intestinalizzazione"  dell´epitelio  ghiandolare  gastrico  che  si  può  presentare  in  forma  completa  o incompleta.  

Nella metaplasia intestinale completa sono riconoscibili le cellule colonnari, le cellule globose e le cellule di Paneth; nella forma incompleta mancano le cellule di Paneth. 

 

 La metaplasia intestinale si associa ad una aumentata incidenza di carcinoma gastrico di tipo intestinale (secondo la classificazione di Lauren) o espansivo (secondo la classificazione di Ming) ed è pertanto ritenuta la vera situazione a rischio nei pazienti affetti da GCA.  

 

Le  GCA  possono  decorrere  in  modo  asintomatico  o  presentarsi  con  dispepsia,  dolore  similulceroso  o anemia sideropenica o megaloblastica. In caso di anemia perniciosa di Biermer sono presenti anche atrofia della mucosa linguale e sintomi neurologici. La procedura diagnostica di scelta è la gastroscopia con biopsie multiple.  L´aspetto macroscopico  più  caratteristico  della GCA,  in  particolare  del  fondo,  è  quello  di  una mucosa  pallida,  sottile,  con  reticolo  vascolare  evidente  e  appiattimento  delle  pliche.  Fondamentale  è tuttavia la definizione istologica delle alterazioni tipiche della GCA. 

 

 Qualora l´esame istologico dimostri zone a rischio (metaplasia intestinale, displasia), l´esame endoscopico e le biopsie devono essere ripetute entro breve termine. Solo il riscontro di una displasia severa rappresenta un´indicazione a trattare chirurgicamente questi pazienti.  

Infezione da Helicobacter pylori  L´Helicobacter pylori (H. pylori) o Campylobacter, come un tempo veniva definito, è un batterio Gram− che è possibile  isolare nella mucosa gastrica. L´infezione da H. pylori è associata significativamente ad alcune patologie gastriche e duodenali come l´ulcera peptica, la gastrite cronica e il linfoma gastrico MALT.  

L´associazione  tra  infezione  da  H.  pylori  e  carcinoma  gastrico  è  attualmente  in  fase  di  definizione. Sembrerebbe esistere una stretta correlazione tra H. pylori e carcinoma non cardiale;  i pazienti affetti da carcinoma cardiale non risultano generalmente infettati dal batterio.  

La sequenza ipotizzata è la seguente: l´infezione da H. pylori determina una gastrite superficiale antrale che nel  tempo  tende  a  trasformarsi  in  gastrite  cronica  atrofica.  La  successiva  comparsa  della  metaplasia 

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intestinale  e  della  displasia  rappresenterebbero,  come  già  descritto,  la  linea  di  progressione  verso  la degenerazione neoplastica.  

È  presumibile  pensare  che  in  futuro,  in  paesi  dove  il  carcinoma  gastrico  si  presenta  con  localizzazione prevalentemente non cardiale, lo screening e la successiva eradicazione dell´H. pylori possano portare una riduzione di incidenza della malattia.  

Ulcera peptica  La  potenzialità  degenerativa  dell´ulcera  peptica  è  stata  notevolmente  ridimensionata.  Il  rischio  di degenerazione  è attualmente  calcolato  intorno all´1%.  Lo  studio  istologico  accurato delle  sezioni  seriate consente  di  differenziare  le  ulcere  degenerate  (ulcera‐cancro)  dai  carcinomi  con  aspetto macroscopico similulceroso:  nel  primo  caso  si  tratta  di  lesioni  con  le  stigmate  della malattia  peptica  e  un  focolaio  di trasformazione adenocarcinomatosa  su un bordo; nel  secondo  caso  cellule neoplastiche  sono  localizzate prevalentemente sul fondo della lesione ulcerativa. Questa distinzione ha evidenziato che la maggior parte delle lesioni ritenute in passato ulcere degenerate sono in realtà dei carcinomi fin dall´esordio.  

La presenza di aree di displasia e di metaplasia  intestinale sui bordi di un´ulcera può spiegare  il rischio di degenerazione maligna. Come nel caso della GCA è  indispensabile un´attenta sorveglianza endoscopica e bioptica.  

Polipi  La  sequenza  polipo‐carcinoma  non  assume  nella  carcinogenesi  gastrica  la  stessa  importanza  ormai ampiamente dimostrata nei carcinomi del colon‐retto.  

Questo è dovuto alla netta prevalenza dei polipi iperplastici rispetto a quelli adenomatosi. 

• I polipi iperplastici corrispondono infatti al 70‐90% di tutti i polipi gastrici e vanno incontro a degenerazione in una percentuale inferiore all´1%.  

• La tendenza degenerativa dei polipi adenomatosi risulta invece variabile nelle diverse casistiche con valori che vanno dal 10 fino al 50% dei casi.  

  La polipectomia endoscopica assume un valore fondamentale nella diagnosi di natura dei polipi gastrici e 

di eventuale trasformazione maligna dei polipi adenomatosi.  

Moncone gastrico  Il rischio di carcinoma nei pazienti gastroresecati per patologia benigna è da 2 a 3 volte superiore a quello della  popolazione  normale  e  diventa  reale  dopo  un  intervallo  di  tempo  variabile  da  15  a  25  anni  dopo l´intervento. 

 

 I pazienti operati per ulcera gastrica risultano a rischio più elevato rispetto a quelli operati per ulcera duodenale.  

 

Le  ipotesi  patogenetiche  fanno  riferimento:  al  reflusso  alcalino  che  si  verifica  costantemente  dopo  una gastroresezione, che promuoverebbe o aggraverebbe lo sviluppo di una gastrite cronica atrofica, associata 

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o  meno  a  metaplasia  intestinale  e  displasia;  all´ambiente  ipoacido  gastrico  con  conseguente  sviluppo batterico  che  favorirebbe  la  formazione di nitrosamine  cancerogene; all´assenza dell´azione  trofica della gastrina sulla mucosa fundica.  

Malattia di Ménétrier  La malattia  di Ménétrier  è  una  gastropatia  cronica  caratterizzata  da  ipertrofia  plicale  e  iperplasia  delle cellule  foveolari  (vedi  oltre:  Malattia  di  Ménétrier).  Viene  generalmente  riportata  una  degenerazione neoplastica nell´8‐10% dei casi.