capitolo 8 Q I Cinquantenni del 2000I Cinquantenni del 2000...nei ratti. Questo mio interesse...

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Q uesto è un capitolo che è nato strada facendo, ossia in fase di elabora- zione del testo. Infatti, leg- gendo le varie storie, mi sono reso conto di come gli anni Set- tanta siano stati veramente de- terminanti per la maggior parte dei medici che oggi si trovano a dirigere una struttura di Endoscopia. Forse non ci abbiamo mai pensato ma chi oggi “naviga attorno ai cinquanta” anno più anno meno (e siamo nel 2001), ha appreso l’endoscopia negli anni Set- tanta. E le storie sono diverse. Chi ha avuto la fortuna di trovarsi accanto a un “padre” storico dell’Endoscopia; chi invece ha trovato un “nipote” storico; chi invece è stato autodidatta, completamente o in parte. C’è ancora chi ha girato l’Italia e chi l’Europa e chi ha attraversato l’oceano alla ricerca di uno o più maestri. C’è chi ha fatto tutto questo. E ancora, c’è chi ha scelto in piena autonomia la strada dell’endoscopia, chi è stato “in- dirizzato” o “consigliato” benevolmente dal proprio capo per esigenze di servizio o perché era lungimirante, chi in- vece è stato quasi “costretto” non trovando più sbocchi nella disciplina originaria (spesso la chirurgia). O perché il proprio capo di sbocchi non gliene faceva intravedere. Era questo il panorama degli anni ’70. Molte storie piene di entusiasmo, ma anche qualche storia velata di ama- rezza. E mi è sembrato giusto riportare alcune testimo- nianze significative capaci di dare la corretta dimensione di quel periodo a quanti oggi si stanno, o si sono da poco avvicinati all’endoscopia. E lo trovo utile perché l’avvici- narsi alla Disciplina per molti ha avuto un significato pro- fondo: quello di potersi dedicare alla cura del paziente in un modo nuovo e moderno, con la possibilità di offrire nuove opportunità diagnostiche e operative e, spesso, in- ventando al momento l’accessorio o la tecnica. Sono convinto, infine, che i giovani colleghi leggendo que- sto capitolo si sentiranno più fortunati dei loro predeces- sori e apprezzeranno di più il loro mondo. Un mondo con minori difficoltà per apprendere l’endoscopia. Un mondo fatto di videoendoscopia, filmati, corsi e congressi in di- retta, corsi teorico-pratici; simulatori computerizzati e si- mulatori con modelli animali, ricca letteratura, manuali, li- nee guida, CD-ROM, Internet. E tante altre tecnologie sempre pronte a creare nuove opportunità di apprendi- mento. Iniziamo la carrellata dei Cinquantenni che hanno risposto al mio invito. Felice Cosentino C ome mi sono avvicinato all’endoscopia? Per il mio interesse per tutte le urgenze emorragiche, per i miei maestri che mi hanno sempre insegna- to a occuparmi a 360° dei miei pazienti e… per un aiuto (normali vicende universitarie) che non voleva mai mettermi in sala operatoria. Fin dai primi anni di Univer- sità ho incominciato a interes- sarmi di ipertensione portale frequentando come studente del terzo anno l’Istituto di Patologia Chirurgica del Prof. Pezzuoli: di mattina seguivo i pazienti sanguinanti e quelli operati per varici esofagee dal prof. Spina (saltando volentieri le noiose lezioni teori- che) e di pomeriggio aiutavo il Prof. Vassanelli a fare le porto-cave nei ratti. Questo mio interesse giovanile non mi ha più abbandonato; mi sono laureato, ovviamente con una tesi sull’I.P., purtroppo troppo presto, nel 1973 a 24 anni (nessuno mi aveva spiegato che con la laurea finivano gli esami ma anche i bagordi!!) e ho continuato a posizionare Blakemore, fare paracentesi, leggere EEG. Con il trasferimento a Milano nel 1979 del Prof. Pezzuoli e dello Spina, rimasi a Padova con il prof. Peracchia che mi affidò la re- sponsabilità dei pazienti cirrotici e finalmente incominciai a operare. Ma sul più bello ecco che viene fuori un certo Paquet a dire che l’en- doscopia può sostituire la chirurgia nel trattamento delle varici eso- fagee sanguinanti. Ricordo lo scetticismo dei primi momenti: io e Cosentino, anche lui a Milano con Pezzuoli, da chirurghi “esperti” di ipertensione portale dicevamo che era una tecnica antifisiologica, che non cu- rava le cause e parafrasando un famoso carosello televisivo si ripe- teva “Dura minga, non può durare…” E invece… E invece nei primi mesi del 1980 un illustre clinico medico padovano, che aveva dedicato la sua vita allo studio dell’IP, ebbe un’emorragia da varici esofagee. Ricordo ancora la sua battuta mentre gli posizio- navo il Blakemore, quasi in coma, ma con il suo spirito toscano an- cora pronto: “Caro Battaglia questo è un segno del destino, questa è la nemesi…” Il prof. Peracchia vista l’età e le condizioni del paziente si ricordò di Paquet. Paquet venne dalla Germania, trattò in un paio di sedute le varici e il paziente morì purtroppo qualche mese dopo per insufficienza epatica (la causa dell’IP era una neoplasia dell’ilo epatico) ma sen- za aver più sanguinato. Cominciò così l’avventura Padovana della sclerosi. Alla fine del 1980 il prof. Ancona prima e Norberto e Cusumano poi, avevano già trattato 18 pazienti. Il successo di questa tecnica fu tale che dopo soli 5 anni io avevo praticamente smesso di operare ipertesi portali. 123 8 capitolo I Cinquantenni del 2000 I Cinquantenni del 2000 Giorgio Battaglia “… La mia prima protesi endoscopica? Tutto merito della mia infermiera Androsilla che mi ha suggerito ogni fase dell’intervento!”

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Questo è un capitolo cheè nato strada facendo,ossia in fase di elabora-

zione del testo. Infatti, leg-gendo le varie storie, mi sonoreso conto di come gli anni Set-tanta siano stati veramente de-terminanti per la maggior partedei medici che oggi si trovano a dirigere una struttura diEndoscopia. Forse non ci abbiamo mai pensato ma chioggi “naviga attorno ai cinquanta” anno più anno meno (esiamo nel 2001), ha appreso l’endoscopia negli anni Set-tanta. E le storie sono diverse. Chi ha avuto la fortuna di trovarsi accanto a un “padre”storico dell’Endoscopia; chi invece ha trovato un “nipote”storico; chi invece è stato autodidatta, completamente o inparte. C’è ancora chi ha girato l’Italia e chi l’Europa e chiha attraversato l’oceano alla ricerca di uno o più maestri.C’è chi ha fatto tutto questo. E ancora, c’è chi ha scelto inpiena autonomia la strada dell’endoscopia, chi è stato “in-dirizzato” o “consigliato” benevolmente dal proprio capoper esigenze di servizio o perché era lungimirante, chi in-vece è stato quasi “costretto” non trovando più sbocchinella disciplina originaria (spesso la chirurgia). O perché ilproprio capo di sbocchi non gliene faceva intravedere.

Era questo il panorama degli anni ’70. Molte storie pienedi entusiasmo, ma anche qualche storia velata di ama-rezza. E mi è sembrato giusto riportare alcune testimo-nianze significative capaci di dare la corretta dimensionedi quel periodo a quanti oggi si stanno, o si sono da pocoavvicinati all’endoscopia. E lo trovo utile perché l’avvici-narsi alla Disciplina per molti ha avuto un significato pro-fondo: quello di potersi dedicare alla cura del paziente inun modo nuovo e moderno, con la possibilità di offrirenuove opportunità diagnostiche e operative e, spesso, in-ventando al momento l’accessorio o la tecnica.

Sono convinto, infine, che i giovani colleghi leggendo que-sto capitolo si sentiranno più fortunati dei loro predeces-sori e apprezzeranno di più il loro mondo. Un mondo conminori difficoltà per apprendere l’endoscopia. Un mondofatto di videoendoscopia, filmati, corsi e congressi in di-retta, corsi teorico-pratici; simulatori computerizzati e si-mulatori con modelli animali, ricca letteratura, manuali, li-nee guida, CD-ROM, Internet. E tante altre tecnologiesempre pronte a creare nuove opportunità di apprendi-mento.Iniziamo la carrellata dei Cinquantenni che hanno rispostoal mio invito.

Felice Cosentino

Come mi sono avvicinatoall’endoscopia? Per il mio

interesse per tutte le urgenzeemorragiche, per i miei maestriche mi hanno sempre insegna-to a occuparmi a 360° deimiei pazienti e… per un aiuto(normali vicende universitarie)che non voleva mai mettermiin sala operatoria.Fin dai primi anni di Univer-sità ho incominciato a interes-

sarmi di ipertensione portale frequentando come studente delterzo anno l’Istituto di Patologia Chirurgica del Prof. Pezzuoli: dimattina seguivo i pazienti sanguinanti e quelli operati per variciesofagee dal prof. Spina (saltando volentieri le noiose lezioni teori-che) e di pomeriggio aiutavo il Prof. Vassanelli a fare le porto-cavenei ratti. Questo mio interesse giovanile non mi ha più abbandonato; misono laureato, ovviamente con una tesi sull’I.P., purtroppo troppopresto, nel 1973 a 24 anni (nessuno mi aveva spiegato che con lalaurea finivano gli esami ma anche i bagordi!!) e ho continuato aposizionare Blakemore, fare paracentesi, leggere EEG.Con il trasferimento a Milano nel 1979 del Prof. Pezzuoli e delloSpina, rimasi a Padova con il prof. Peracchia che mi affidò la re-sponsabilità dei pazienti cirrotici e finalmente incominciai a operare.Ma sul più bello ecco che viene fuori un certo Paquet a dire che l’en-doscopia può sostituire la chirurgia nel trattamento delle varici eso-fagee sanguinanti. Ricordo lo scetticismo dei primi momenti: io e Cosentino, anchelui a Milano con Pezzuoli, da chirurghi “esperti” di ipertensioneportale dicevamo che era una tecnica antifisiologica, che non cu-rava le cause e parafrasando un famoso carosello televisivo si ripe-teva “Dura minga, non può durare…” E invece…E invece nei primi mesi del 1980 un illustre clinico medico padovano,che aveva dedicato la sua vita allo studio dell’IP, ebbe un’emorragiada varici esofagee. Ricordo ancora la sua battuta mentre gli posizio-navo il Blakemore, quasi in coma, ma con il suo spirito toscano an-cora pronto: “Caro Battaglia questo è un segno del destino, questa èla nemesi…” Il prof. Peracchia vista l’età e le condizioni del pazientesi ricordò di Paquet.Paquet venne dalla Germania, trattò in un paio di sedute le varici eil paziente morì purtroppo qualche mese dopo per insufficienzaepatica (la causa dell’IP era una neoplasia dell’ilo epatico) ma sen-za aver più sanguinato.Cominciò così l’avventura Padovana della sclerosi. Alla fine del1980 il prof. Ancona prima e Norberto e Cusumano poi, avevanogià trattato 18 pazienti.Il successo di questa tecnica fu tale che dopo soli 5 anni io avevopraticamente smesso di operare ipertesi portali. 123

8capitolo

I Cinquantenni del 2000I Cinquantenni del 2000

Giorgio Battaglia

“… La mia prima protesiendoscopica?Tutto merito della miainfermiera Androsillache mi ha suggerito ognifase dell’intervento!”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Ma anche se era una tecnica vincente, non era ancora ben codifi-cata così da un’idea del Prof. Ancona a Bari al Congresso delle Ma-lattie Digestive nel 1983 nacque a Padova il NIEC (inizialmenteNorth Italian Endoscopic Club poi trasformato in New Italian En-doscopic Club per non equivocare con nascenti tendenze federali-ste!!) con lo scopo di riunirci più volte l’anno, di qui la limitazionegeografica, per confrontarci negli insuccessi e discutere soprattuttole complicanze al fine di mettere a punto una tecnica migliore.Primo presidente fu Ancona, segretario e tesoriere io (e lo sono tut-tora). Ricordo tra i soci fondatori oltre a noi due, Cusumano, Nor-berto, de Franchis, Caletti, Ciani, Manneschi, Arcidiacono, Zam-belli, Cosentino, Brocchi, Gerunda, Rossi Alfredo, Primignani.L’idea fu talmente buona che ancor oggi il NIEC produce studi dialtissimo valore scientifico: la sua definizione del rischio emor-ragico nei pazienti cirrotici è da anni adottata da tutto il mondo.La riduzione, forzata, della mia attività chirurgica (non erano solocalate le indicazioni ma l’aiuto chegestiva la lista operatoria la gestivain modo molto personale), e l’inte-resse per questo tipo di patologiami portò così ad avvicinarmi all’en-doscopia; in quei primi anni nonc’era ancora un servizio di reperibi-lità e così pur di imparare a fare leendoscopie e in particolare l’ur-genza, sfruttando la supervisione diCusumano, mi adattavo a prepa-rare, lavare e pulire tutti gli stru-menti e le attrezzature (chissà poiperché i malati non sanguinavanomai in orari di ambulatorio).In questo credo di essere stato più fortunato di altri perché non hodovuto aprire una nuova strada e andare all’estero ad imparareperché sono cresciuto “protetto” dall’esperienza di due grandiscuole endoscopiche: quella di Oselladore e Norberto e quella diAncona e Cusumano.Ma non debbo ringraziare solo loro, tutta l’équipe endoscopica com-prese le mitiche infermiere Antonia ed Androsilla, martiri delle continuebattute di Norberto, erano formidabili: la mia prima protesi esofageal’ho infatti messa grazie al loro aiuto.

Era luglio, Cusumano e Norberto erano in ferie e il prof. Perac-chia aveva un paziente disfagico totale inoperabile. Il malato ar-riva in ambulatorio con la richiesta di mettere una protesi di Ce-lestin. Mi appresto così a dilatarlo pensando già a scrivere sullarisposta la classica frase degli incerti: “iniziale dilatazione fino…;da rivedere il…” Mascherando la mia incapacità con una falsaprudenza.Sennonché arrivato a passare il Savary da 12,8 l’Androsilla, cheormai aveva visto posizionare più di 600 protesi, mi passa la Ce-lestin. Io la guardo, rido e dico: “ma da che parte si comincia?”.Così tranquillamente come se quelle protesi le avesse messe tuttelei, mi spiega i vari passaggi, i trucchi usati e io senza difficoltà,ma con molta paura metto la mia prima protesi. Perfetta!!Ma l’endoscopia mi ha sempre interessato anche come fantasticostrumento elettronico che unito al computer può fare cose ecce-zionali.Così nel 1980 con i fondi del NIEC compro un programma di re-

fertazione endoscopica e poi convinco (non so ancora come hofatto) il prof. Peracchia a spendere ulteriori 20.000.000 (siamonel 1980!) per un altro programma che cattura e memorizza im-magini su computer: messi insieme costituiscono forse il primosoftware di gestione ed archiviazione delle immagini e dei refertiin endoscopia.Ed è proprio questa mia curiosità scientifica che mi ha sempre por-tato a cercare nuove metodiche da sperimentare. Nel 1990 Norberto mi propone uno studio per la registrazione mi-nisteriale in Italia di un nuovo presidio: il legatore per varici diStiegmann e il 2-5-91 “lego” il primo paziente italiano.

Ma se il trattamento delle varici esofagee era ormai stan-dardizzato, per le varici gastriche il discorso era ancoraaperto, così nel marzo del 1985 dopo una visita di Cusu-

mano a Soehendra si inizia un’altra avventura: la terapia delle va-rici con bucrilato. Anche in questo caso i brillanti risultati ci entu-siasmano almeno fino alla comparsa della Direttiva CEE 93/42 del14-6-98 che proibisce l’uso di presidi medico-chirurgici senza mar-chio. Siamo preoccupati anche perché non esistono alternative en-doscopiche valide, a parte le prove di Cipolletta fatte con i lacci. Mi guardo intorno e così trovo a due passi da dove trascorro le mieferie estive una ditta di Viareggio, la GEM che produce una collaacrilica molto simile all’Hystoacril ma con tutte le autorizzazioni ri-chieste dalla normativa. La provo, va bene, forse meglio, e la storiariprende…Ovviamente la mia cultura endoscopica non si è limitata solo allepatologie emorragiche: vivendo in una delle strutture più presti-giose per la terapia del cancro dell’esofago ho potuto tra l’altro af-frontare, raccogliendo ampia casistica, tutte le tecniche endosco-piche per il trattamento di tale patologia: dal laser, alla PDT, allacrioterapia, al Bi-cap, alla mucosectomia, all’iniezione di sostanzesclerosanti.E queste mie esperienze ho cercato di divulgarle il più possibile, orga-nizzando gruppi di lavoro e mettendo a disposizione il mio strumen-tario: è così che per esempio è nato il CeMuRNI (Centro Multidisci-plinare per le radiazioni non ionizzanti) diventato oggi un modelloper la nostra Azienda. Avevo infatti un grosso laser Yag che utilizzavo5-6 volte la settimana, e confesso, mi ingombrava un po’: l’ho depo-sitato in una sala della radioterapia e messo a disposizione di tuttal’Azienda. In breve tutti i gruppi endoscopici hanno incominciato ad utilizzarlo

A fianco, una immagine “datata” di Giorgio Battaglia, sopra in una recente foto abbracciato a Rocco Maruotti, a sinistra,e Felice Cosentino a destra

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

e si è costituito un gruppo di lavoro estremamente affiatato. L’usointensivo di tale strumentazione tra l’altro ci ha permesso l’aggior-namento continuo senza pesanti aggravi per i costi dell’Aziendastessa.I ricordi recenti e meno recenti continuano ad affollarsi, non sololegati all’attività endoscopica, ma anche all’attività nell’ambitodella SIED, all’organizzazione della Diateca, alla partecipazionealla Commissione Imaging, all’organizzazione del sito Internet, cheproprio recentemente ha ricevuto un importante riconoscimentocome sito certificato dalla HON (Health On the Net Foundation),al consiglio Direttivo del Triveneto ecc.Credo però che tutto questo non faccia “Storia” e passo la parolaa chi ha cose più interessanti da raccontare.

Quando ti chiedono discrivere le tue memorie è

un gran brutto segno. Signi-fica che si è diventati vecchi osi è lì lì per esserlo. Eppure aquasi 55 anni sento di poterrealizzare ancora tante cose.Tuttavia mi è stato chiesto diraccontare come sono diven-tato endoscopista e lo facciovolentieri, perché un momen-to di riflessione è sempre utilee talvolta anche piacevole, ma

soprattutto per lanciare qualche messaggio ai giovani che avrannovoglia di leggere questo libro.Sono diventato endoscopista per caso, o meglio per volontà deldestino e devo dire che è stato amore a prima vista, un vero colpodi fulmine, ma quante difficoltà e quanti sacrifici per poter realiz-zare quello che oggi ho ottenuto.Mi sono laureato all’Università di Bologna con lode il 5 luglio del1971 discutendo una tesi brillante in Istologia sulla struttura dellemembrane biologiche. Non volli accettare le proposte di conti-nuare a frequentare quell’istituto biologico e, seguendo la mia vo-cazione per la medicina interna, chiesi al prof. Giuseppe Labò, al-lora direttore della Patologia Medica, di frequentare il suo istituto.Venivo dal Veneto e a Bologna non avevo sponsors, volevo farmida solo, senza l’aiuto di papà che sicuramente nella terra della Se-renissima avrebbe potuto darmi un aiuto concreto, ma a 24 anni siè idealisti e manichei, oggi invece direi un po’ pirla.

Labò era un uomo di grande fascino e se ci avesse provato sa-rebbe riuscito ad incantare anche i serpenti, per cui mi offrì, fa-cendomela passare come incarico di grande responsabilità, la ge-stione del metodo Van de Kamer. Solo dopo essere uscito dal suostudio ed aver consultato un testo di laboratorio mi resi contoche il Van de Kamer non è altro che il dosaggio dei grassi fecali.Evidentemente Labò non aveva trovato nessun altro (fesso) cheavesse accettato questo incarico, dato che tutti i figli della Bolo-gna bene a lui affidati erano stati messi in prestigiosi ed asetticilaboratori di motilità, endocrinologia gastroenterologica, endo-scopia, IBD ed altro.

Dopo un breve periodo di scoramento mi resi però conto che lametodica era indispensabile per delle ricerche serie sul malas-sorbimento e pian piano cominciai ad essere corteggiato dagliaiuti anziani di Labò che avevano bisogno di me, in quanto vera-mente unico ed insostituibile manipolatore di feci, per portareavanti le loro ricerche in quel settore della gastroenterologia.Conobbi così Giovanni Fontana, uomo di grandissima cultura, edassieme a lui cominciai ad occuparmi di pancreas. Uscirono leprime pubblicazioni, arrivarono i primi riconoscimenti e le primesoddisfazioni, ma il mio posto era sempre nel sotterraneo a frullaree a dosare le feci.Tuttavia la malasorte non dura in eterno, per tutti prima o poi arrival’occasione giusta, che se afferrata al volo ti può cambiare la vita.Eravamo nel 1972, il Professor Labò doveva recarsi a Verona ad unimportante convegno per tenervi una relazione sulle pancreatiticroniche. I miei dati sulla steatorrea in questa malattia erano im-portanti ed (ovviamente) unici, pertanto egli mi incaricò di prepa-rargli alcune diapositive, che avrebbe incluso nella lettura.Labò con Fontana sfrecciò a Verona con la sua Ferrari del mo-mento (ne ebbe molte e di tutti i tipi), mentre io con la mia “Fiat127” affrontai la nebbia della Bologna-Verona e raggiunsi da solola città scaligera per ascoltare la lettura del “maestro”.Stranamente tutti i colleghi della clinica avevano disertato il con-gresso, forse per il tempaccio o (secondo loro) per lo scarso inte-resse dell’argomento.Dopo la relazione di Labò e subito prima del pranzo vi fu la rela-zione di un giovane chirurgo padovano, un certo Domenico Osella-dore, che presentò le sue prime esperienze su di una tecnica nuovala “colangio pancreatografia retrograda endoscopica”. Questa bel-lissima relazione non suscitò grande interesse nel pubblico, forseper l’ora tarda o anche perché in Italia le novità sono sempre ac-colte con scetticismo e diffidenza, ma Labò era una vecchia volpedal grande fiuto e, vedendo le bellissime immagini proiettate daDomenico Oselladore, capì subito che la cosa poteva essere moltovalida, se non indispensabile per la diagnosi delle malattie bilio-pancreatiche.Durante la colazione, Labò mi fece chiamare da Fontana (forse inquanto suo unico collaboratore presente) e senza mezzi termini,certamente ispirato dall’anima del generale Cambronne, mi disse:“Caletti, sei stato abbastanza nella merda, è ora che tu faccia qual-cosa di più decente”, e mi ordinò di recarmi al più presto nel mi-glior centro estero per imparare questa metodica.Venni a sapere dal buon Oselladore che in Francia c’era un certoClaude Liguory che della metodica aveva un’ampia casistica. Senzapensarci tanto e anche forte del fatto di conoscere bene il francesee l’inglese partii per Parigi dove rimasi due anni all’Hopital Saint-Antoine ottenendo prima una borsa di studio e quindi la qualificadi “assistente straniero”.Gli anni a Parigi furono bellissimi e durissimi al contempo. Liguoryaveva, e credo abbia ancora, un carattere terribile, con sbalzi diumore imprevedibili, ma è un uomo generosissimo con una gran-dissima cultura gastroenterologica e delle doti manuali eccezionali.Al mattino si iniziava a lavorare tardino, non prima delle nove emezza-dieci, ma poi si scatenava una rumba ininterrotta fino alleundici di sera o addirittura a mezzanotte.La giornata finiva quasi sempre in un ottimo ristorante con abbon-danti libagioni, il cui conto (salatissimo come sempre a Parigi) eraquasi sempre regolato da Liguory.

Giancarlo Caletti

“… L’endoscopia? È stato amore a primavista. Ma all’inizio Labò mi affidò la gestione del metodo “Van de Kamer”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Imparai moltissimo in quel periodo non solo l’ERCP o CPRE comela chiamano i francesi, ma anche tutta l’endoscopia compresa lalaparoscopia. Ma la cosa per me più importante, e di cui sarò sem-pre grato a Liguory, è che imparai il metodo, la razionalità tuttacartesiana nell’approccio clinico al malato.Alla mia partenza, salutandomi Liguory mi disse:”sono contentoche voi Calettì con me abbiate imparato non soltanto la gastroen-terologia, ma anche la gastronomia”.Ed era proprio vero.

Quando tornai a Bologna nel 1974, convinto di iniziare a lavorarea pieno ritmo, trovai una situazione difficile, legata ad una situa-zione interna tipica del mondo accademico italiano tantoché fuimesso in condizioni di non poter iniziare la mia nuova attività.Anche questa volta il destino mi aiutò facendomi incontrare Ga-leazzo Mattioli, chirurgo giovane e brillante, primario all’Ospedaledi Forlì che, entusiasta della nuova metodica endoscopica, mi misea disposizione pazienti, ambienti e strumenti nuovi di zecca.Nel frattempo avevo sentito che l’ERCP da diagnostica stava tra-mutandosi in metodica operativa, consentendo di tagliare la pa-pilla di Vater e così asportare i calcoli dal coledoco. Decisi subitodi ritornare da Liguory per qualche settimana dove lo vidi eseguirele prime papillosfinterotomie en-doscopiche.Tornato nuovamente in Italia nelnovembre del 1974, cercai in ognimodo di procurarmi un papillo-tomo, ma questi allora non eranoin vendita. Mi venne in aiuto En-rico Lorenzatto che, come sempreattentissimo alle novità e sponsordi giovani talenti, mi ospitò a To-rino un paio di giorni mettendomia disposizione il suo laboratorioriparazioni. Quì con l’aiuto di unuomo meraviglioso come Seba-stiano Gandolfo, costruii il nostropapillotomo utilizzando una cannula da ERCP e del filo metallicoda pesca. (Foto 1)Pochi giorni dopo a Forlì, con l’assistenza del chirurgo GaleazzoMattioli eseguii con successo la mia prima papillotomia endosco-pica.Forse essa è stata la prima in Italia, ma la cosa per me ha poca im-portanza.

Nel 1977 si verificò un altro episodio che cambiò in meglio la miavita professionale e che influì notevolmente sulla crescita della miareputazione internazionale.La ditta Lorenzatto, allora rappresentante per l’ltalia della Olympus,invitò a Torino i più eminenti gastroenterologi ed endoscopisti ita-liani per incontrare una delegazione della Olympus Tokyo formatadai massimi esponenti giapponesi della sezione R&D (ricerca e svi-luppo) per discutere dei nuovi strumenti che stavano per essere pro-dotti ed immessi sul mercato.Io allora ero solo un giovane assistente, ma Enrico Lorenzatto, forsecolpito dal mio entusiasmo e dalla mia voglia di fare, invitò ancheme.L’appuntamento era per il pomeriggio del 31 luglio. Ero al mare

con la mia ragazza (di allora) che quando sentì che volevo andarea Torino per due giorni fece una terribile scenata minacciando unarottura. Incurante di questo (anche se il rischio della rottura nonera solo teorico dato il caratterino della stessa), mi misi in mac-china per recarmi nel capoluogo piemontese.Era un venerdì e per di più giorno di esodo. Ricordo una tempera-tura torrida, c’erano quasi 40°, ovviamente nella mia 127 FIAT(sempre la stessa del viaggio a Verona) di aria condizionata nean-che l’idea. Ricordo anche che l’autostrada davanti a me era de-serta, mentre sull’altra corsia di marcia fluiva un fiume quasi im-mobile di vacanzieri.La mia sorpresa fu enorme quando mi accorsi che nell’ampio sa-lone dell’Hotel Jolly di Torino mi trovai praticamente solo. Tutti ibig avevano disertato la riunione evidentemente per impegni piùgradevoli. Grande fu l’imbarazzo della Lorenzatto ma i giapponesi,come sempre dai volti imperscrutabili, sembrano non preoccuparsie cominciarono ad affrontare solo con me una discussione che siprotrasse anche il giorno dopo. Evidentemente non dovevo averdetto troppe fesserie e forse dissi anche qualcosa di interessanteper loro se da quel momento si instaurò un proficuo rapporto, frala mia mini unità di endoscopia all’Università di Bologna ed i mas-simi dirigenti della Olympus, fatto che porterà negli anni ad isti-

tuire a Bologna un centro sperimen-tale Olympus di endoscopia digestivadi ragguardevole importanza.

Nel 1981 si verificò ancora un altrosegno del destino che cambiò ancorala mia vita e che merita di essere rac-contato.Fino ad allora mi occupavo a tempopieno della papillotomia: avevo rag-giunto un’ampia casistica, ottenutoottimi risultati, soddisfazione dei pa-zienti e dei curanti, mentre le compli-canze erano state praticamente insi-gnificanti.

Fioccavano gli inviti a congressi nazionali ed internazionali ed addi-rittura ebbi l’onore di avere la copertina di un importante giornalemedico, fui chiamato anche dalla RAI per qualche apparizione tele-visiva.Ma la statistica ha le sue leggi ferree e terribili. Le complicanzemaggiori della EPT che non avevo avuto per anni, e che invece tuttii colleghi italiani e stranieri avevano già avuto mi arrivarono ad-dosso tutte insieme cancellando in me stesso in pochi giorni la pre-sunzione di essere immune da questi eventi.Insomma, in brevissimo tempo precipitai dalle stelle alle stalle.Labò non mi rimise a dosare i grassi fecali, ma mi fece capire conchiarezza che era meglio se mi fossi preso un periodo di medita-zione astenendomi da ogni intervento sulla papilla. Fu assoluta-mente inutile cercare di convincerlo che le mie complicanze anchese importanti erano ancora globalmente al di sotto della statisticainternazionale, ma egli fu irremovibile. D’altronde Labò era il clas-sico barone che amava le attività che portavano i successi ma pre-tendeva che queste fossero esenti da ogni tipo di problema e dete-stava le “grane” di qualunque tipo e chi gliele procurava.Furono mesi durissimi, soprattutto perché non vedevo di fronte ame nessuna possibilità di ripresa dell’attività. Per tenermi in eserci-

Foto 1

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

zio facevo l’endoscopista errante andando ad eseguire con il miostrumento personale le papillotomie nei vari ospedali che richiede-vano la mia opera, da Forlì a Firenze a Genova, mentre a Bolognaera sempre tutto congelato.

Ma il brutto tempo non dura in eterno e prima o poi il sole rie-merge dalle nuvole anche da quelle più spesse e così arrivò final-mente uno spiraglio di rinascita.Un giorno mi telefonò Enrico Lorenzatto, che ben conosceva la miasituazione, dicendomi: “i giapponesi hanno messo a punto unnuovissimo strumento l’ecografo endosco-pico, lo hanno già provato Peter Cotton aLondra e Liguory a Parigi, ma dopo provesommarie lo hanno liquidato definendolo discarsissima utilità. So che lei adesso hatempo; i dirigenti della Olympus sarebberolieti se lei si dedicasse con impegno a vedere ache cosa può servire questo strumento”.Così arrivò a Bologna uno dei cinque proto-tipi di ecografo endoscopico esistenti nelmondo. (Foto 2)Mi resi subito conto che un endoscopistapuro avrebbe sicuramente fallito nella valuta-zione di questo splendido strumento. Per ot-tenere qualche risultato bisognava accop-piare la cultura ecografica a quella endosco-pica. Chiesi pertanto a Luigi Bolondi (chi nonlo conosce come massimo esperto italiano diultrasuoni!) di imbarcarsi con me in questaavventura. Avevamo infatti in comune un lungo sodalizio di ricercain campo pancreatologico, e devo dire a suo onore che, come miostudente laureando, era stato l’unico a condividere con me, anchese per breve tempo, l’esperienza disgustosa del dosaggio delle feci.All’inizio anche noi vagavamo nel buio dello stomaco alla ricercadel pancreas.Infatti l’ecendoscopia era stata inventata da un italiano di Fro-sinone, Eugenio Di Magno, trasferitosi negli USA come professorealla Mayo Clinic ed esperto di malattie pancreatiche, per studiaremeglio il pancreas. Infatti portando gli ultrasuoni a diretto con-tatto con quest’organo senza l’interposizione di grasso, gas edossa come nell’ecografia tradizionale, il pancreas avrebbe dovutoessere esplorato nei suoi minimi dettagli. L’intuizione di Di Magnoera perfetta, ma la sua tecnologia era mediocre, tant’è che prestoabbandonò ogni ricerca in questo settore.La tecnologia Olympus a nostra disposizione era veramente supe-riore, però le immagini che apparivano sullo schermo erano incom-prensibili. In un giorno di scoramento Bolondi mi disse: “sembra diesplorare la nebbia di novembre in Val Padana”.Un giorno, dopo molte settimane di tentativi con modesti risultati,esplorammo un paziente che prima dell’esame, disobbedendo alledisposizioni degli infermieri, aveva bevuto quasi un litro d’acqua.La testina ecografica dello strumento posta nello stomaco eracome un periscopio di un sommergibile che scrutava l’orizzonte.Ma ecco lì improvvisamente davanti a noi quello che cercavamo,nitido come non mai: il pancreas.L’acqua bevuta aveva dilatato lo stomaco e creato una cameraacustica ottimale per la trasmissione degli ultrasuoni ad alta fre-quenza, aveva distanziato la sonda dal pancreas quel tanto che

serviva per ottenere una messa a fuoco ideale.Così iniziò la nostra avventura, un paziente disubbidiente ci avevafatto capire che bisognava riempire d’acqua i visceri per poter vi-sualizzare bene gli organi circostanti.Pochi giorni dopo utilizzando il nuovo trucco, Bolondi ed io sta-vamo esplorando un paziente con una pancreatite cronica ap-poggiando lo strumento sulla faccia posteriore dello stomaco. Ilpancreas era chiarissimo e così le sue modificazioni legate alla suamalattia, ma fra esso e la sonda ecografica comparivano con insi-stenza cinque strie parallele che si alternavano in bianco e nero, cioè

si alternavano chiaramente strati ipereco-geni a strati ipoecogeni. Quasi scherzandodissi a Bolondi: “non sarà mica la strutturaistologica della parete gastrica, cioè la mu-cosa, la sottomucosa, la muscolare e la sie-rosa?”. Non ci volle molto a capire che nonera uno scherzo ma era la prima vera nuovaapplicazione dell’ecoendoscopia. A studisull’uomo alternammo studi in vitro su pezzichirurgici e l’intuizione fu confermata dive-nendo così scoperta scientifica (Caletti G.C., Bolondi L., Brocchi E., Casanova P., ZaniL., Gaiani S., Testa S., Guizzardi G., Labò G. Staging ofgastric cancer by means of endoscopic ultrasonography.Gastroenterology 1983; 84: 1366. - Caletti G.C., BolondiL., Arienti V., Brocchi E., Testa S., Ferrentino M., Zani L.,Passaniti A., Labò G. Assessment of gastro-oesophagealcollateral veins in portal hypertension by means of endo-scopic ultrasonography. Gut 1983; 24: 459).

Presentammo i primi risultati al congresso Mondiale di Gastro-enterologia di Stoccolma nel 1982 con il titolo “Studio della strut-tura gastrica dello stomaco normale e nei tumori”. La comunitàscientifica internazionale apprezzò unanimamente questi dati e daallora la mia crescita culturale e la mia reputazione internazionalesono andate solo crescendo.Non vorrei annoiare i miei pochi lettori aggiungendo altro, infattida allora ad oggi è ormai storia recente che in molti conoscono mavorrei trarre, come si dice, la morale della favola:• Si può arrivare al successo anche partendo da molto in basso

(nel mio caso dalla me…) a patto di volerlo veramente.• Non bisogna lasciarsi sfuggire le occasioni che la vita ti pre-

senta, perché queste sono rare, anzi spesso irripetibili.• Bisogna essere disposti a fare dei sacrifici perché sono pochi

quelli che hanno la voglia di farli, anche se modesti.• Infine non disperare mai, aver fiducia nella Provvidenza, perché

anche un evento negativo può essere il punto di partenza per unnuovo successo.

Se io fossi stato impegnato a tempo pieno nella papillotomia en-doscopica e non avessi avuto quella sosta forzata, sicuramenteavrei affrontato l’ecoendoscopia frettolosamente, superficialmentee certamente senza la determinazione necessaria a scoprirne le me-ravigliose potenzialità che ora sono alla portata di tutti e che mihanno enormemente gratificato in questi ultimi vent’anni.(Caletti G.C., Zani L., Bolondi L., Guizzardi G., Brocchi E., Barbara L. Impact of en-

doscopic ultrasonography on diagnosis and treatment of primary gastric

lymphoma. Surgery 1988; 103: 315-320. Caletti G., Ødegaard S., Rösch T., Sivak

M.V., Tio T.L., Yasuda K. Endoscopic Ultrasonography (EUS): a summary of the

conclusions of the Working Party for the Tenth World Congress of Gastroenterology

Los Angeles, California October, 1994. Am J Gastroent 1994; 89: S138-S143).

Foto 2

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8

Èuna giornata di pioggiaquando incontro Pierange-

lo Ciani. La grandine colpiscecon violenza le mura dell’Ospe-dale di Camerata lungo la stra-da che porta a Fiesole. Il catti-vo tempo rende ancor più tri-ste questa struttura destinataad essere trasformata, ma in-tanto mostra che avrebbe bi-sogno di un restauro, Pieran-gelo Ciani, chirurgo generale,lunga esperienza, scopre – e

nasce un grande amore – l’endoscopia digestiva partecipando nel1970 al congresso mondiale di gastroenterologia di Copenhagen. Qui ha l’opportunità assieme al suo primario Rosati di vedere inazione i nuovi strumenti endoscopici: i fibroscopi.Un’impressione favorevole che convince il chirurgo che si è spe-cializzato negli interventi soprattutto in campo gastroenterologico(in particolare la vagotomia selettiva prossimale). Spinti dalle pro-blematiche fisiopatologiche che la vagotomia ultraselettiva propo-neva, Ciani e Rosati decidono di utilizzare questo nuovo tipo di en-doscopio considerando in particolare la sua maggiore affidabilitàrispetto agli strumenti fino allora conosciuti.Ritornati a Firenze, compiono un giro di orizzonte per individuare

la ditta più affidabile ed il migliore degli strumenti.“Un giorno arriva un rappresentante della Storz, che ci mostra unostrumento che a sua detta è a fibre ottiche. Fidandosi della noto-rietà della ditta costruttrice, nel ’70 l’Olympus per noi era comeCarneade, decidiamo di acquistarlo.Scopriamo ben presto che quello strumento non era un fibrosco-pio bensì l’ultimo modello degli strumenti semirigidi, dove le fibreottiche componevano solo il fascio portaluce. In poche parole siera acquistato l’ultimo cannone il giorno della fine della guerra.

Nato a Cervia (RA) il24.02.1948. Per l’endo-

scopia amore a prima vista,nel 1970 (ancora studente!)per l’immediata sensazioneche si trattasse di una metodi-ca di straordinario impattopratico per la diagnostica econ grandi potenzialità per svi-luppi operativi, così diversadalle elucubrazioni fisiopato-logiche (spesso fantasiose ecosì poco scientifiche e incon-

cludenti di quegli anni). Quindi la mia formazione incomincia aBologna con il Prof. Faggioli, quando la gastroscopia si fa-ceva ancora con il paziente supino e con intubazione dadietro la testa, come per l’esofagoscopia rigida dell’otorino,con strumenti di tortura tipo il Machida a visione laterale,con testina in acciaio rigida, lunga 7-8 cm o con l’ACMImonoleva di comando. Dopo un periodo di sosta dal 1974 al ’76, ho ripreso a fareendoscopia con un aiuto anziano della medicina interna aRavenna con il quale abbiamo girato per l’Italia (Celle,Arullani, Rossini) e a Bonn per “rubacchiare” trucchi e se-greti. La tecnica mi è sembrata valida per cui ad ogni occa-sione (congressi) cercavo di incontrare qualche “maestro”chiedendo di poter andare a vedere il suo servizio e così hoperegrinato in tutto il mondo con grande faccia tosta, chie-dendo di vedere e provare.

Ho messo a punto le metodiche appoggiandomi ai vari Dagnini,Oselladore, Bedogni, Villardell, Liguory, Vicari, Cremer, Hui-bregtse, Armengol, Soehendra, Marcon ecc. Sono sempre stato affascinato dall’ERCP e dalle tecniche operativein genere, che per me rappresentano il vero punto di arrivo per l’ec-cellenza. Una volta raggiunta la piena maturazione tecnico-profes-sionale, mi sono appassionato allo sviluppo della strumentazione(particolarmente l’accessoristica), fornendo spunti e contribuendoalla messa a punto di numerosi apparecchi e devices, in collabora-zione con le case costruttrici (anche se molte mie idee non sonostate coperte da brevetto o copyright). Successivamente e in tempi più recenti, mi sto dedicando a studi dioutcome e di uso razionale delle risorse, finalizzato all’esito clinico,nell’ottica quindi dell’appropriatezza.

Tino Casetti

“… non solo polipi…”

Pierangelo Ciani

“Quell’ultimo cannoneacquistato il giorno della fine della guerra”

Da sinistra: Nib Soehendra, la Signora Williams e Pierangelo Ciani a Capri nel 1985

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Ormai per i pochi “addetti ai lavori” era chiaro che i nuovi fibroen-doscopi flessibili costituivano una tecnologia destinata a cam-biare, in poco tempo, radicalmente l’endoscopia digestiva. In brevel’errore iniziale fu rimediato e cominciò così la nostra esperienzacon il GIF K dell’Olympus.Grazie alla fibroendoscopia oltrechè alla parte diagnostica si po-teva dare risposta ai molti quesiti di fisiopatologia che il nuovo in-tervento di vagotomia ultraselettiva sollevava.In particolare grazie alla facilità di prelevare biopsie, si poteva stu-diare il comportamento della gastrine-mia dopo la denervazione selettiva del“Parietal Cell mass” dati questi presen-tati nel ’74, in collaborazione con lascuola di Bologna del Prof. Labò, alprimo Convegno sugli enterormoni.”

Ma la fibroendoscopia oltre che fa-vorire un validissimo contributo alladiagnosi, presentava un altro im-portante aspetto quello terapeutico eCiani, da chirurgo, riconosce ben pre-sto la sua grande importanza.Purtroppo in quegli anni fine ’70 in Ita-lia i centri dove si comincia a praticarel’endoscopia operativa si contavanosulle dita di una mano e molto difficile era trovare un centro dovepoter svolgere un serio training ed imparare veramente questenuove metodiche.Non dimentichiamo che l’endoscopia operativa, se non corretta-mente eseguita può causare grave danno al paziente con relativeconseguenze legali – e forse per questo, per molto tempo in Italiaendoscopia ha significato per molti endoscopisti soltanto endosco-pia diagnostica.Fortunatamente nel 1980 Ciani in occasione del Congresso di gastro-enterologia di Amburgo ha la possibilità di conoscere Nib Soehendra,

un endoscopista emergente per alcune tecniche endoscopiche inno-vative, che gli mostra, con semplicità, quello che può fare l’endosco-pia operativa: papillotomia, estrazioni di calcoli, impianto di protesi,drenaggi biliari, sclerosi delle varici esofagee ecc. Queste metodiche entusiasmano Ciani che inizia così lunghi pe-riodi di frequentazione del reparto di Soehendra dove sempre, divolta in volta, ha la possibilità di apprendere le ultime novità nelcampo della endoscopia operativa.Un giorno, dal ritorno da una di queste sue visite ad Amburgo,

Ciani incontra Franco Pacini in una viadi Firenze e gli dà un passaggio in mac-china. Strada facendo gli racconta del-l’esperienza tedesca, e gli trasmette ilsuo entusiasmo. In quell’incontro ven-gono fatte alcune considerazioni esorge spontanea la conclusione che an-che a Firenze sarebbe stato importanteridare vita alla sezione di endoscopiadigestiva, che pur fondata qualcheanno prima, non aveva avuto una flo-rida sopravvivenza.Ciani e Pacini parlano con Morettini, eviene ricostituita la sezione toscanadella SIED. Nel 1981 viene organizzatoil primo convegno regionale che ha per

tema un argomento di endoscopia operativa: La polipectomia.Da allora la sezione toscana con l’alternarsi dei vari Presidenti Se-gretari Consiglieri e Soci si è sempre adoperata a divulgare l’endo-scopia digestiva fino ad ottenere nel 1993 il mandato ad organiz-zare il Congresso nazionale della SIED.Inoltre la certosina politica di questa sezione ha contribuito anchea far riconoscere un’autonomia e a dare dignità alla figura dell’en-doscopista toscano.

Luciano Ragno

Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Dal 1998 Ciani ha adottato una nuova metodica…di papillotomia. Si è trasferito all’Elba

dove pratica questo intervento con successo

Laureato nel 1972. Specia-lizzato in Gastroenterolo-

gia nel 1978.Quando mi sono avvicinatoall’endoscopia? Ero a Ferraraper la specializzazione in Ga-stroenterologia (1975) e inverità quando ci fecero assis-tere a qualche endoscopia al-ta, io non ne fui granché col-pito, anzi fu una grande noiain quanto tutti noi studenti(circa 10-15) eravamo nella

sala endoscopica, tutti spalle al muro e vedevamo da lontano uncollega che al centro della sala eseguiva una EGDS. Come potraiben capire, allora con gli apparecchi a fibre ottiche noi potevamosolo immaginare quello che l’operatore stesse facendo e vedendoanche perché non ci fu concesso nemmeno di mettere l’occhio vi-cino all’oculare. In tutti gli anni del Corso questa fu l’unica le-

zione pratica di endoscopia per cui la cosa non mi colpì più ditanto. Ma il destino era in agguato! Conobbi lì a Ferrara, eravamo colleghi di specializzazione, un col-lega che si faceva notare perché creava casino in aula durante lelezioni. Questo collega era Giovanni Di Matteo. Diventammoamici (e come poteva essere il contrario!) e Lui mi cominciò aparlare in termini più entusiastici di endoscopia. Era l’autunnodel 1977. Mi disse che di lì a poco (nel gennaio del 1978) sareb-be partito per Parigi per uno stage in endoscopia digestiva pressoil Prof. Liguory. E chi è costui dissi io? ma come non lo conosci?No e non l’ho mai sentito nominare! Ma come, è il più famosoendoscopista d’Europa, è conosciuto in tutto il mondo ed io an-drò da Lui, partirò a gennaio, vienimi a trovare. A Maggio del 1978 andai a trovarlo, stetti a Parigi per una setti-mana, Di Matteo mi ospitò a casa sua, dormivamo nello stessoletto (a Parigi come tu saprai i letti sono ad una piazza e mezzaper cui capirai quanto spazio avessi per me la notte! Come mi co-ricavo la sera, così dritto e teso mi svegliavo la mattina). Fu peròuna esperienza esaltante, finalmente ebbi la possibilità di cono-

Livio Cipolletta

“… Come mi avvicinaiall’endoscopia? Colpa di un collega che faceva un gran casinoalla Scuola di Specializzazione!”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8scere questo famoso Liguory e cominciai a pensare di dover an-dare anche io da questo famoso Maestro. A settembre dellostesso anno partii per un primo periodo di sei mesi e poi per altrimesi ancora negli anni successivi. Il mio Maestro, a cui va tutta lamia grande riconoscenza nonostante il suo carattere, è statoquindi Liguory ma il mio destino l’ha certamente segnato il no-stro amico chiattone Giovanni Di Matteo. Anche a Lui devogrande riconoscenza.A Parigi si lavorava moltissimo, ed io impa-rai moltissimo. Una volta, era un sabato,stavo andando con Liguory a lavorare inuna Clinica privata (lavorare con Liguorysignificava portargli tutte le valigie degli ap-parecchi endoscopici, la sorgente lumi-nosa, la valigia degli accessori e tuttoquanto potesse essere utile, Lui non si de-gnava di caricarsi di nulla e spesso, quasisempre, soprattutto in privato, bisognavafare anche l’infermiere e quindi non ci sipoteva distrarre un momento. Tra una cosae l’altra Lui spiegava qualcosa e facevamettere ogni tanto l’occhio all’oculare. Poisulla carta, con dei disegnini, si tentava difarci spiegare cosa avesse fatto e qualefosse stato l’approccio alla metodica ese-guita), era dunque un sabato pomeriggio ementre stavamo raggiungendo la Clinica,stavamo nella sua Alfa Romeo, ebbi l’ardiredi dire: “Messieur, perché non ci prendiamoun caffè?” Caro amico Cipolletta, mi risposesorridendo sornione, la vita degli Artisti è difficile, sarebbe belloprendersi un caffè ma non ne abbiamo il tempo! “Messieur, risposiio, la vita degli Allievi è ancora più difficile, per guadagnare tempo eperché la vita non ci appaia troppo facile Le prometto che ce loprenderemo amaro…”. Non ci fu verso, non riuscii a convincerlo a

fermarci per un caffè!! Anche questi piccoli episodi ci hanno fattocrescere!Tornato in Italia, dopo siffatta Scuola, cercai di mettere in piedi so-prattutto le tecniche endoscopiche operative e soprattutto mi buttai acapofitto nell’ERCP; il primo litotritore meccanico dell’Olympus la Lo-renzatto lo vendette a me e io lo utilizzai subito; cominciai la sclerosidelle varici esofagee (era il 1981): qui da noi ci sono sempre stati tan-tissimi cirrotici, e credo senza voler peccare di presunzione, di essere

stato uno dei pionieri di questa tecnica in Ita-lia così come credo di essere stato tra i primiad utilizzare l’Heater Probe, l’Argon Beamer ele Clips. D’altra parte il campo delle emorra-gie mi ha sempre affascinato notevolmente(e credo che Tu, caro Cosentino, abbia sub-ìto lo stesso fascino!). Un’altra metodicamessa a punto da noi è stata la Needle KnifePolipectomy, la resezione dei polipi del colonmediante Clips e un particolare ago dia-termico e l’arresto delle emorragie da varicidel fondo gastrico mediante il posiziona-mento di endoloop. Non dimenticherei poi ilcaso dell’appendicectomia endoscopica(uno dei 6 casi pubblicati nella letteraturainternazionale) e la precoce esperienza dellaESWL per la litiasi della colecisti e del cole-doco.Un breve aneddoto. Sulla mia prima PST. Ladovetti eseguire alla moglie di un famosoOnorevole della Campania. Molto famoso!In sala radiologica erano presenti: il Primario

Radiologo, il Primario Chirurgo, il Primario Anestesista e tutto unostuolo di altri Colleghi.Tutti volevano dare uno sguardo alla papilla eal taglio. Ti lascio immaginare la mia calma e le continue contrazionidei miei muscoli perineali… Andò tutto bene ma io alla fine dell’esamemi ritrovai in un mare di sudore e con il cuore che batteva a mille.

Sono nato a Taurianova (Reg-gio Calabria) l’1/5/1949.

Laureato a Padova nel 1974.Specializzazione in Chirurgiagenerale (Padova,1979) e Chi-rurgia dell’Apparato Digerenteed Endoscopia Digestiva (Mi-lano, 1984).Come mi sono avvicinato al-l’endoscopia? Semplice. Nel’75 ero in Patologia Chirurgiaa Padova (Dir. Prof. G. Pez-zuoli) e passando in reparto

d’avanti ad una camera sento un paziente strillare. Incuriosito e ve-dendo la porta socchiusa, do una rapida occhiata all’interno enoto il Prof. Domenico Oselladore che cercava di inserire nell’eso-fago di un paziente un tubo nero e flessibile. Era un’endoscopio.La cosa mi lasciò per un attimo perplesso, ma da quel momentol’endoscopia è entrata come un tarlo nella mia mente. Da qui ini-

ziai a chiedere ai colleghi del reparto quale fosse l’utilità dell’Endo-scopia e dopo qualche mese mi trovai nella sezione di Oselladoreper espletare i miei sei mesi post-laurea nella sezione di Endosco-pia. Domenico intuì subito il mio interesse e senza mezzi termini midisse: “Caro Cosentino se la cosa ti interessa non devi perderetempo, approfittane ed apprendi subito il mestiere; entro un mesedevi essere in grado di eseguire le gastroscopie”. Non persi tempo esotto la guida di Marco de Marchi (un collega che dopo alcunianni sceglierà di dedicarsi all’odontoiatria), di Norberto e ovvia-mente di Oselladore iniziai a muovere i primi passi. Quando diven-tati autonomo, ricordo, mi venne affidato il martedì mattino per ilcontrollo dei pazienti cirrotici. Quindi già “da piccolo” navigavo inmezzo alle varici. E subito ho notato che non ero più “uno deitanti” in un grande reparto universitario. Devo ammettere che ilfare endoscopia mi aveva fatto un po’ emergere. D’altronde comechirurgo fino allora ero riuscito a fare solo una “mezza” appendi-cectomia e chi vive o ha vissuto in ambiente universitario sa benis-simo quali siano le difficoltà per conquistarsi un piccolo spazio.Ma questo piccolo spazio lo stavo acquistando di giorno in giorno

Felice Cosentino

“ … Sento strillare... Unasbirciatina dalla portasocchiusa e noto Oselladoreche tenta di introdurre un tubo nell’esofago di un paziente. La cosa mi ha incuriosito molto !”

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

in una pratica che mi pia-ceva sempre di più, e poi mitrovavo molto d’accordocon Oselladore, De Marchi,Norberto e Cusumano. Allafine del ’76 partii militare e,dopo i tre mesi a Firenze, mihanno spedito a fare l’uffi-ciale medico a Brunico. Erocerto che mi avrebbero asse-gnato a Padova, ma laraccomandazione di mio pa-dre non era stata efficace.Ed eccomi tra gli alpini. Sì,proprio tra gli alpini! Ma èstata una bella esperienza.

Ho imparato a sciare e racco-gliere funghi e poi ero abbastanza libero. Riuscivo, così, a “imbo-scarmi” facilmente e scappare a Padova per fare qualche endosco-pia. L’endoscopia, quindi, mi aveva già conquistato, ma non ri-uscivo a togliermi dalla mente la chirurgia, anche perché mi tro-vavo in una grande Scuola. Arriva però il momento in cui Pezzuolisi trasferisce a Milano. Oselladore sceglie di rimanere a Padova, mail Maestro aveva bisogno di un “suo” endoscopista all’ombra dellaMadonnina. Arrivano i primi contatti e dopo qualche timido ten-tennamento (potevo rimanere a Padova ed avviarmi alla carriera dichirurgo entrando nel reparto del Prof. Alvise Maffei Faccioli) de-cisi di fare il grande salto. Fu così cheuna mattina del novembre 1979 (smon-tando dal pronto soccorso dell’Ospe-dale di Mestre) imboccai l’autostradaVenezia-Milano con al mia vecchia Fiat500 e con il mio personale gastroscopioOlympus (che tenevo gelosamente den-tro una scatola di cartone per la paurache la scritta Olympus potesse attirarequalche malintenzionato) ed arrivai alSan Paolo di Milano. Mi accoglie il Prof.Spina che mi presenta il primo pazienteda sottoporre ad endoscopia. Lasciaicosì definitivamente la Chirurgia (maanche l’amata Padova e tanti amici) perl’Endoscopia. Ricordo che su tale sceltaOselladore non si era dimostrato moltod’accordo, dicendomi: “Non puoi ab-bandonare definitivamente la chirurgia lavorando con il Prof. Pez-zuoli. È un vero peccato!” Ma io la scelta l’avevo già fatta. Ma nonè stato facile. A Padova lasciavo tutto quello che avevo costruito inpochi anni: il posto di assistente al pronto soccorso di Mestre; l’in-carico alla Guardia Medica; una buona sostituzione di un medicodi base; e tante altre piccole attività. In quel periodo, inoltre, stavoper sposarmi (con l’attuale moglie) ed avevo trovato casa sui colliEuganei vicino ad Oselladore. In pratica lasciavo tutto (un “pic-colo impero” dicevano i miei amici) per iniziare da zero a Milano!Per molti mesi ho fatto ancora il pendolare tra Milano e Padova(ero consulente di endoscopia all’Ospedale di Dolo) a volte inmacchina a volte in treno, ma sempre con il mio gastroscopio al-l’interno della scatola di cartone! Ma sapevo che la mia scelta di

andare a Milano da Pezzuoli sarebbe stata vincente. Ero infatti co-sciente di trovarmi con una grande Scuola e con un grande Chi-rurgo che nell’endoscopia vedeva il suo “secondo” bisturi. E in ef-fetti fu così. Pezzuoli mi ha spronato all’endoscopia operativa per-ché sapeva che un’ottima endoscopia non poteva che portare van-taggi alla chirurgia. E la dimostrazione venne quando nei primimesi del 1980 mi inviò da Paquet a Bad Kissingen (Monaco) perapprendere la tecnica della scleroterapia. “Solo con l’endoscopia –continuava a dire Pezzuoli – possiamo sperare di migliorare i risul-tati della terapia nei cirrotici sanguinanti” Ed aveva sacrosanta ra-gione. Cos’altro ricordo di quel periodo? Sicuramente un episodio chenon dimenticherò mai. Devo premettere che ero arrivato a Milanosapendo fare solo l’endoscopia diagnostica, ma mi ero “venduto”alla Scuola come in grado di fare anche quella terapeutica, spe-rando però di avere un po’ di tempo per far pratica. Ma di tempone ebbi poco perché, dopo qualche settimana che ero a Milano, ilProf. Pezzuoli mi avvicinò e mi chiese: “Cosentino ho necessità chetu veda in “Madonnina” (la più prestigiosa Casa di Cura di Mi-lano) un paziente con una stenosi cicatriziale dell’esofago che ne-cessita di una dilatazione. Sei in grado di eseguire le dilatazioni,vero”. Certo, risposi. Ma non mi ero mai sentito così male in vitamia! Un disastro, pensavo. E adesso come me la cavo? Ma è statosolo un attimo di smarrimento perché era vero che non avevo maifatto in prima persona una dilatazione, ma era anche vero che didilatazioni da Norberto ne avevo viste fare un bel po’. Ed avevo re-gistrato tutto nella mia mente. Tutti i passaggi. Le indicazioni, le

precauzioni, le controindica-zioni. Rimaneva il problema deldilatatore. La Madonnina ne erasprovvista. Chiamai allora Mi-gliasso dell’Olympus e, avutaconferma della disponibilitàpresso Lorenzatto del dilatatoredi Eder Puestow, mi recai a To-rino e comprai (per 800 milalire) il kit. Il giorno successivoeseguii con successo (ma in unbagno di sudore) la mia primadilatazione esofagea. Seguìnell’80 la mia prima polipecto-mia (con l’assistenza di Osella-dore) e le prime sclerosi. Nell’82iniziai le mie prime ERCP conl’assistenza di Giuliano Bedogni

che per 4-5 volte è venuto ad aiutarmi al San Paolo. Tra il Prof.Pezzuoli ed il Prof. Parisoli, primario di Bedogni, c’era una fraternaamicizia.Ricordo poi con piacere l’arrivo del Videoendoscopio elettronico(maggio ’85) che a detta della Welch Allyn è stato il primo ufficial-mente venduto in Europa. Seguirono, poi, i primi congressi di vi-deoendoscopia (’87) ed il Live Endoscopy (’89). Ed ancora la Vi-deolaringoscopia elettronica (’89), metodo che ci ha permesso diintrodurre l’endoscopia operativa ambulatoriale sulle corde vocali:200 polipi rimossi in meno di 3 anni con gastroscopio e pinza dabiopsia. Ed infine l’ottimo rapporto con Maratka che mi aprì leporte dell’endoscopia mondiale con la traduzione in video, in 5 lin-gue, della Terminologia endoscopica dell’Organizzazione Mondiale

Cosentino ufficiale medico nel 1977

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8di Endoscopia Digestiva. Ricordo con commozione le sue parole:“… Caro Felice io ho scritto la musica, ma tu sei stato l’abile inter-prete”. I miei allievi ? Due, sono con me da sempre. Anzi, erano prima dime al San Paolo. Forse mi aspettavano! Quando arrivo a MilanoElisabetta Morandi era al IV anno di medicina e Giovanni Rubis

Passoni al III. Dopo la laurea ri-mangono con me, senza un at-timo di esitazione, a creare e svi-luppare, anno dopo anno, l’at-tuale Servizio. La Dott.ssa MilenaMassari mi ha affiancato in En-doscopia già dall’inizio, ma nel1985 seguirà Pezzuoli al Policli-nico. E poi Roberta Motta che dasempre mi aiuta nei programmidi didattica e che considero or-mai il mio punto di riferimentoed il mio “sostegno” ai molti pro-getti formativi che frullano inces-santemente nella mia mente. Altri

allievi sono passati: Simona Tuccimei (attualmente endoscopistaall’Ospedale di Garbagnate) che ha contribuito tra l’altro allo svi-luppo della Videolaringoscopia ed all’avvio del progetto sulla Ter-minologia; e Paolo Giorgio Arcidiacono (dal ’92 al ’99) con cui,primi in Italia, abbiamo avviato l’ecoendoscopia convex e le biop-sie transparietali. Ultimo arrivo è Domenico Stillitano che con te-nacia ha appreso nel giro di pochi mesi tutto quanto c’era da ap-prendere.

Ancora un episodio che merita di essere ri-portato. Nel ’94 e ’95 mi sono recato a piùriprese in Africa, e precisamente nel Benin,presso l’Ospedale di Tanguietà (gestitodall’Ordine dei Fatebenefratelli), dove hocollaborato ad avviare un Servizio di Endo-scopia istruendo i medici locali. Nei mo-menti di pausa (ossia la sera e la notte) miimmergevo nella lettura dei miei numerosilibri di gastroenterologia ed endoscopia ead organizzare sul mio computer uno deitanti progetti, L’Enciclopedia multimedialedi Endoscopia. Mi addormentavo, come disolito, verso le 2 del mattino. Ma unanotte ho fatto un sogno particolare. Sognoche una mia allieva, la Dott.ssa Massari,mi comunica di voler realizzare un librosull’endoscopia e mi chiede se sono dispo-

nibile a scrivere il capitolo sull’Esofago. Ovviamente rispondo posi-tivamente, ma subito dopo ci ripensa dicendomi che avrebbe fattotutto quanto Lei. Non reagisco al momento, ma mi incavolo enor-memente. E medito subito la “vendetta” cercando un’idea origi-nale. L’idea viene subito: un libro sulle Complicanze in Endoscopia.Non ne esistono in letteratura. E, sempre nel sogno, penso allastruttura del testo ed ai vari capitoli. Mi sveglio più volte, prendoappunti e mi riaddormento. Al mattino il progetto era già pronto.Al rientro in Italia ne parlo con Morandi e Rubis che trovano inte-ressante l’argomento. Non ho difficoltà a trovare uno sponsor.Realizzo un Convegno sulle Complicanze (4-6 aprile ’96) e lavoroper la realizzazione del libro. Il testo sulle Complicanze viene pub-blicato da Masson all’inizio del 1997. Un giorno mi trovo nel miostudio al San Paolo e racconto di questo mio sogno, e del progettoche ne è seguito, ad un collaboratore della Menarini. La personache mi sta accanto mi ascolta e segue con incredulità il mio dis-corso. Alla fine mi dice: “Felice, ma lo sai che proprio in quei giorniin cui tu hai fatto quel sogno realmente la Dott.ssa Massari si erarivolta alla nostra Azienda proponendoci un suo libro sull’Endo-scopia digestiva?” Rimango senza parole! Sogno e realtà. È questa l’atalena della mia vita. Credo ai sogni cheriesco ad interpretare e che spesso mi aiutano a creare e portare atermine i miei progetti. Eccomi infine al rapporto con la SIED. Inizia subito dopo il mio ar-rivo a Milano dove entro nel CD Lombardia percorrendo tutte letappe: consigliere, segretario, presidente. Per poi passare nel ’95 alCD Nazionale con una lunga militanza in veste di Segretario: 6anni. Tanti anni, ma con tante soddisfazioni perché ho avuto lapossibilità, grazie alla fiducia di due presidenti come Bedogni e Bo-nardi, di potermi dedicare con passione ed entusiasmo al rinnovo

della Società.

Un bilancio della mia vita professionale?Positivo, indubbiamente. Ho scelto un la-voro che mi piace; sono riuscito a creareun buon Centro di Endoscopia; ho degliottimi allievi che fanno tutto e che mi con-sentono di occuparmi dei miei progetti chescaturiscono di continuo dalla mia mente.Cosa farò da grande? Continuerò a farel’endoscopia, fino a quando ne avrò la ca-pacità e non sarò di danno al paziente;continuerò ad essere disponibile perquanti vedranno in me un loro interlocu-tore; continuerò ad ascoltare i tanti gio-vani, fonte di creatività, augurandomi diessere un domani al loro fianco per so-gnare ancora!

Cosentino con il professor Giuseppe Pezzuoli e, nella foto in alto, con gli allievi Elisabetta Morandi

e Giovanni Rubis Passoni

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Sono nato a Como nell’a-gosto del 1952, cresciuto

a Milano, dove ho vissuto 14anni, inframezzati da due im-portanti periodi all’estero, aBruxelles (gli ultimi tre annidelle scuole elementari e gliultimi due anni di liceo,presso la Scuola Europea),che si riveleranno determina-nti, in seguito, per le scelte diformazione professionale. Hopoi deciso, nonostante la mia

famiglia continuasse a vivere in Belgio, di tornare a studiare Medi-cina in Italia e mi sono così laureato nel luglio del 1977 presso l’U-niversità Cattolica del S. Cuore di Roma, all’epoca unica Facoltà diMedicina a numero chiuso del nostro Paese. Il mio curriculum stu-diorum nulla faceva supporre di quello dicui mi sarei poi occupato in seguito: milaureai, infatti, con una tesi sperimentale,“costatami” tre anni di laboratorio, in Gi-necologia e Ostetricia! In realtà, anche se indisciplina molto diversa, quegli anni di la-boratorio mi insegnarono moltissimo, inparticolare sul piano del rigore metodolo-gico e del metodo sperimentale. Già pocoprima di laurearmi sapevo, però, che il fa-scino della Chirurgia stava orientandomi ascelte diverse. Mi buttai così nella mischiadegli aspiranti Chirurghi, cominciando acollaborare con Gennaro Nuzzo e PaoloMagistrelli che, sotto la guida del ProfessorPuglionisi, allora Direttore della PatologiaChirurgica, stavano costituendo un gruppodi interesse sulla patologia biliare. Entrambi erano anche statiiniziati all’endoscopia digestiva alta dai pionieri romani della di-sciplina, il Professor Arullani al S. Camillo ed il Professor Nava alS. Eugenio. Fu così che anch’io mi avvicinai all’endoscopia ed im-parai i primi rudimenti della esofagogastroduodenoscopia. Lapatologia biliare ed il suo trattamento chirurgico rimanevano peròal centro del nostro interesse scientifico e clinico: nel 1978 il no-stro Gruppo presentò un’importante Relazione sulla diagnosticaintraoperatoria in chirurgia biliare alla Società Italiana di Chirur-gia. Nell’ambito delle nostre competenze rimaneva però comple-tamente scoperta un’area di estremo interesse che si stava inesora-bilmente affermando nella gestione diagnostica e terapeutica dellapatologia bilio-pancreatica in quegli anni: la Colangio-Pancreato-grafia Retrograda Endoscopica (CPRE). Alla fine del 1980, si de-cise, così, che avrei dovuto occuparmene io. Col senno di poi, nonringrazierò mai abbastanza coloro che contribuirono a prenderequesta decisione! Cominciai così un’operazione che oggi verrebbedefinita di benchmarking: si trattava infatti di decidere dove an-dare ad imparare la CPRE. Le opzioni erano essenzialmente quat-tro: Parigi (da Claude Liguory dove già si erano recati diversi Colle-ghi italiani), Londra (da Peter Cotton, all’epoca ancora al Middle-sex Hospital), Erlangen (presso lo “storico” Gruppo di Demling) oBruxelles (da Michel Cremer che si era da poco trasferito nel nuovoe rivoluzionario, sul piano dell’organizzazione medico-chirurgica,

Hopital Erasme dell’Université Libre de Bruxelles). La scelta, vistala residenza della mia famiglia a Bruxelles e la mia conoscenzadella lingua, non fu molto difficile: sarei tornato a casa per un belperiodo! Il 10 marzo 1981 mi recai così a Napoli per incontrare ilProf. Cremer che era stato invitato a tenere una conferenza e glichiesi di poter frequentare il suo Centro. Fu l’inizio di un rapportoprofessionale (docente-discente) e, successivamente, di amiciziastraordinariamente importante per tutta la mia vita, professionalee non. Nei lunghi periodi, ognuno di alcuni mesi, trascorsi a Bru-xelles presso il Service Médico-Chirurgical de Gastroentérologiedell’Hopital Erasme tra il 1981 ed il 1983 ho avuto il privilegio diricevere un insegnamento intensivo e personale da parte di MichelCremer non solo delle tecniche di endoscopia digestiva diagnosticae terapeutica, ed in particolare della CPRE e della sfinterotomiaendoscopica (lunghe ore passate al “teaching” e molte notti a rive-dere centinaia di esami radiologici, in particolare pancreatografie,a me del tutto sconosciute), ma anche della loro posizione nel con-

testo clinico delle malattie digestive e della lorointegrazione con la radiologia e la chirurgia. Il conte-sto di collaborazione medico-chirurgica creato dallalungimiranza, per quegli anni, degli ideatori dell’Ho-pital Erasme, tra i quali spiccavano le personalità diCremer e di Jean-Pierre Lambilliotte, rispettivamenteresponsabili della parte medica e chirurgica del di-partimento, era quanto di più efficace un allievo po-tesse augurarsi per acquisire rapidamente ed in ma-niera corretta le competenze che andava cercando.Tutto era oggetto di discussione, libera e senza con-

dizionamenti “accademici”, improntata sulle evidenze disponibili epronta a tutte le novità tecniche che via via andavano profilandosi.Ritengo quei lunghi periodi passati (a tempo pienissimo!!) all’Ho-pital Erasme come fondamentali per la mia formazione professio-nale, tecnica e clinica.Si sarebbe trattato, poi, di importare conoscenze, capacità tecni-che ed organizzazione in Italia, nel mio Ospedale, il Policlinico Ge-melli. Devo ammettere che, nonostante l’appoggio incondizionatoe, talvolta, addirittura entusiastico, dei miei superiori, senza ilquale probabilmente avrei miseramente fallito, i primi tempi nonfurono facilissimi. Mettere in piedi un’attività di CPRE affidabile econ le caratteristiche che mi erano state insegnate (un’attenzioneparticolare alla qualità radiologica ed all’integrazione con tutte le

Guido Costamagna

“... La scelta di andare da Cremer è statastraordinariamenteimportante per tutta la mia vita, professionale e non”

Una bellissima immagine da un video di Cremer e Costamagna

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tecniche d’immagine) in un Ospedale Universitario nel quale anchela “semplice” endoscopia digestiva routinaria era spezzettata in di-versi Istituti e reparti non era impresa facile. Cominciammo dinotte e quasi di nascosto. Con il mio amico e coetaneo CesareColosimo, Radiologo di grande preparazione ed intuito, che all’e-poca, prima di tradirmi per la Neuroradiologia, si occupava dimalattie digestive, e con qualche giovane neolaureato o studentedisposto ad aiutarmi, mettemmo sul tavolo radiologico i primipazienti disposti a “subire” i lunghi tentativi di incannulamentodella papilla. All’inizio si trattava naturalmente solo di esami dia-gnostici: mi ero infatti imposto di effettuare almeno cento incan-nulamenti della via biliare prima di osare l’esecuzione di una sfin-terotomia. Al termine della seduta notturna si doveva, tutti in-sieme, sistemare la sala, lavando anche per terra, perché non vifossero segni evidenti del nostro passaggio alla mattina succes-siva, quando, nello stesso luogo, venivano effettuati i digerenti adoppio contrasto, all’epoca fiore all’occhiello della nostra Radio-logia. Le cose migliorarono non poco quando, grazie ai primi ri-sultati positivi, potemmo sollecitare l’attenzione del ProfessorCorrado Colagrande, Primario Radiologo di quel settore, che,entusiasta com’era e come è tuttora anche se pensionato, ci misea disposizione degli spazi dedicati, spazi che da allora, non senzaproblemi, incomprensioni e “battaglie”, sono considerati parte

integrante ed essenziale della collaborazione endoscopico-radio-logica che ha sempre contraddistinto la nostra attività.

Sono passati vent’anni: ho avuto il privilegio di continuare amantenere uno strettissimo legame con Michel Cremer ed i suoiAllievi che mi ha permesso di essere molto spesso in “pole posi-tion” nella corsa alle nuove tecnologie, alle nuove tecniche e so-prattutto mi ha consentito di conoscere e stabilire rapporti connumerosissimi altri Gruppi di lavoro nei cinque continenti. Iostesso ho avuto il privilegio di formare molti e validissimi Colla-boratori e di costituire un Gruppo di lavoro che ritengo, senzafalse modestie, sia oggi competitivo a livello nazionale ed interna-zionale. Ne fanno fede per l’aspetto educazionale e formativo leormai centinaia di Colleghi provenienti dall’Italia e da tutto ilmondo che ci hanno visitato e continuano a visitarci per periodipiù o meno lunghi di apprendimento; per l’aspetto clinico, l’ele-vata percentuale di pazienti che ci viene indirizzata per la solu-zione diagnostica e/o terapeutica di difficili problemi bilio-pan-creatici (circa il 60% dei nostri pazienti proviene da fuori re-gione); per l’aspetto scientifico, la buona e spesso innovativaproduzione di articoli originali pubblicati su riviste di livello inter-nazionale e la costante presenza del nostro Gruppo in tutte le piùimportanti manifestazioni scientifiche degli ultimi anni.

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8

Mi sono laureato nel luglio1975 e ho cominciato a

fare gastroscopie nel 1977 daautodidatta all’Ospedale diBellano (Como) usando un fi-broscopio Wolf nuovo di zeccache era stato regalato al mioprimario chirurgo Prof. SergioMondini. Trasferitomi nel 1979come assistente di chirurgia alPoliclinico nell’Istituto del Prof.Gianfranco Pel-

legrini sono stato affiancato per l’attività endoscopica,che era stata voluta dal Direttore e iniziata nel 1978, alDott. Franco Percio assistente universitario dell’istitutoche aveva imparato a eseguire gastroscopie e colonsco-pie e endoscopia operativa anche biliare dal Prof. Ago-stino Fratton. Abbiamo cominciato insieme a eseguire ERCP e sfin-terotomie nel 1980. Purtroppo Franco Percio è mortonel 1986 e da allora ho dovuto cavarmela da solo conl’aiuto di giovani specializzandi tra i quali Alberto Car-rara e Fiorenzo Botti tuttora al Policlinico con il Pro-fessor Ettore Contessini Avesani erede del ProfessorPellegrini al Policlinico, Emanuele Meroni poi dive-nuto assistente del Professor Spinelli all’INT e poi ap-prodato all’Humanitas, Rossana Alloni emigrata poi aRoma al Campus Biomedico.Dal 1982 al 1993 sono stato professore a contrattodella Scuola di Specializzazione di Chirurgia dell’Appa-rato Digerente e Endoscopia Digestiva II diretta da Pel-

legrini. Dal 1990 ho cominciato a occuparmi anche di ecoendoscopiacon l’ecoendoscopio Olympus GF UM2 che ho usato per circa 350esami sino al 1992 quando mi sono trasferito all’Istituto di Chirurgiad’Urgenza del Professor Tiberio. In quella sede ho continuato, affian-cando Tognini, la mia attività di chirurgo e endoscopista e ho avutocome collaboratore Lorenzo Scacchi che è tuttora in quella sede. Inquel periodo ho introdotto in istituto l’attività endoscopica delle viebiliari eseguendo più di 300 cateterismi diagnostici e operativi dellapapilla di Vater sino alle mie dimissioni quando mi sono trasferito al-l’Istituto Europeo di Oncologia nell’aprile del 1994 per dirigere la Di-visione di Endoscopia.

Cristiano Crosta fotografato nel Parco Nazionale di Namibia

Cristiano Crosta

“... Ho iniziato l’endoscopia da autodidatta”

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Il nostro gruppo endosco-pico nasce dalla Scuola del

Prof. Giuseppe Pezzuoli Diret-tore dell’lstituto di PatologiaChirurgica dell’Università diPadova (1967-80) che all’iniziodegli anni ’70 affida ad Osel-ladore il compito di interessarsidi Endoscopia Digestiva.Domenico Oselladore vieneben presto affiancato da duegiovani neolaureati AntoninoCusumano, Lorenzo Norberto,Marco de Marchi e qualche

tempo dopo dal giovane Felice Cosentino.Nel 1975 il Professor Alberto Peracchia, Aiuto del Prof. Pezzuoli, lasciala casa madre, diventa Direttore dell’Istituto di Semeiotica Chirurgicadell’Università di Padova presso l’Ospedale F. Busonera e viene seguitodal Prof. Ermanno Ancona e tra gli altri anche da Cusumano; LorenzoNorberto, Marco de Marchi ed il neolaureato Felice Cosentino restanocon il Prof. Pezzuoli presso la Patologia Chirurgica del Policlinico diPadova fino alla fine del 1979, anno in cui in il Professore Pezzuoliviene chiamato a dirigere la Clinica Chirurgica dell’Università diMilano, presso l’Ospedale San Paolo, portando con sé come endosco-pista Cosentino.Il gruppo padovano formato da Ermanno Ancona, AntoninoCusumano, Lorenzo Norberto e Giorgio Battaglia si riunisce presso laPatologia Chirurgica del Policlinico di Padova sotto la guida del Prof.Peracchia.Nel 1975 mi viene affidato dal Prof. Peracchiail compito di interessarmi di EndoscopiaDigestiva presso l’istituto di SemeioticaChirurgica dell’Università di Padova con lasupervisione del Prof. Ancona.Nel 1977 eseguo le prime dilatazioni endo-scopiche dell’esofago su guida utilizzando ilDilatatore di Eder Puestow. È dello stesso annola prima applicazione di una protesi esofageaper via endoscopica nel trattamento ricanaliz-zante del cancro dell’esofago non resecabile.In quell’epoca, si operava presso l’Ospedale F.Busonera di Padova, l’esiguità dei fondi adisposizione, con conseguente difficoltà adacquistare in tempi brevi dall’industrial’applicatore protesico, ci spinse ad aguzzarel’ingegno. Uno studente particolarmente versato nella proget-tazione ed esecuzione artigianale di presidi medico chirurgici, ilDottor A. Simmini, oggi valente chirurgo presso l’Ospedale diPadova, da noi stimolato costruì un applicatore di protesi esofageeartigianale, in materiale plastico. Questo strumento ci diedel’opportunità di applicare le prime protesi in Italia ed in Europafíno a quando non acquistammo, dopo qualche tempo, l’ap-plicatore prodotto dall’industria.Sia la dilatazione su guida che l’applicazione di protesi costituironol’oggetto di due comunicazioni particolarmente apprezzate, per ilcarattere di grande novità, al Settimo Congresso Nazionale SIED del1977 che si celebrò a Palermo sotto la presidenza del Prof. P. Bazan.Qualche anno dopo, sulla spinta del successo delle nuove tecnicheendoscopiche per Il trattamento delle stenosi benigne e neoplastichedell’esofago, il Prof. Ermanno Ancona, dopo un soggiorno presso l’I-stituto del Prof. Van Trappen, massimo esperto della materia, mise apunto un dilatatore pneumatico costruito artigianalmente, con l’au-

silio di un’asta di plastica, lungo 60 cm circa, del calibro 9 mm didiametro; ad una estremità dell’asta 2 preservativi sovrapposti co-stituivano la camera d’aria del dilatatore rivestita da una guaina intela inestensibile, come quella usata dai pescatori.Il dilatatore pneumatico costruito in due esemplari aveva un diame-tro di 2,5 cm e 3 cm rispettivamente; il sistema poteva essere in-trodotto in esofago su un filo guida sotto controllo endoscopico.Anche questa metodica fu lanciata ed ebbe un buon successo;dopo l’entusiasmo del primo periodo le indicazione alla dilatazio-ne pneumatica nell’acalasia esofagea vennero precisate ed ancoraoggi la metodica viene utilizzata nei centri che si interessano diEndoscopia Digestiva Operativa.All’inizio degli anni ottanta iniziamola scleroterapia delle varici esofagee.La circostanza è particolare. Un notoclinico padovano era affetto da variciesofagee sanguinanti e il Prof. Perac-chia, non avendo ancora noi alcunaesperienza in merito, invitò a Padova ilProf. Paquet (il massimo esperto aquell’epoca) per il trattamento endo-scopico del paziente. Da questo mo-mento ebbe inizio la nostra esperienza. I primi casi trattati costituironol’oggetto di una relazione al Quarto Corso Europeo di Endoscopiadigestiva di Parigi. In quell’occasione ho avuto modo diconfrontarmi con il Dr. Soehendra di Amburgo, anche lui alle primeesperienze. Venne in seguito messa a punto la tecnica dellascleroterapia delle varici del fondo gastrico con bucrilato.

Nel 1983 nasce il NIEC, il North Italian En-doscopic Club, poi denominato New Italian En-doscopic Club, tra i soci fondatori il Prof. An-cona, il Dr. Cusumano, il Dr. Battaglia ed il Dr.Norberto di Padova, il Dr. Cosentino, il Prof. DeFranchis, il Prof. R. Arcidiacono di Milano, il Dr.Zambelli di Crema, il Dr. Rigo di Modena, ilProf. Ciani di Firenze, il Prof. Caletti di Bolognae il Prof. Cestari di Brescia.Il NIEC viene coordinato dal Dr. GiorgioBattaglia, chirurgo ed endoscopista super-esperto di ipertensione portale che, nelle vestidi Segretario dell’Associazione, ne coordinal’attività affiancando i presidenti elettiprotempore.Vengono promossi degli incontri internazionali

che culminano con la Consensus Conference di Baveno e con unarticolo pubblicato sul New England Journal of Medicine.Nel 1985 inizia l’esperienza del Gruppo Endoscopico Padovano(Cusumano, Norberto) con la laserterapia disostruente con Neo-dimio Yag Laser, del cancro dell’esofago. Il Dr. Norberto ed il Dr.Tomio, radioterapista padovano, utilizzano inoltre il Laser ad Ar-gon nel trattamento del cancro iniziale dell’esofago in pazienti nonoperabili per le condizioni generali scadute.L’endoscopia diagnostica ed operativa delle vie biliari costituironol’interesse preminente per altri 2 endoscopisti della Scuola, il Prof.Domenico Oselladore, vero e proprio pioniere della metodica, ed ilDr. Lorenzo Norberto. Quest’ultimo, dopo un training iniziale allacorte del Prof. C. Liguory a Parigi, come del resto molti endosco-pisti nazionali, maturò un’ampia ed importante casistica presso laScuola dei Prof. Pezzuoli e Peracchia ed oggi con il Prof. D’Amicosempre presso l’Università di Padova.Il resto è storia dei nostri giorni.

Antonino Cusumanoe il Gruppo del Prof. Peracchia

“… L’esofago… il primoamore non si scorda mai!”

Cusumano con Battaglia durante un “Live”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Mi laureo a Milano nel

1972 con la tesi “L’equili-brio acido-base ed il bilancioidro-elettrolitico nella cirrosi e-patica”. Relatore Prof. NicolaDioguardi. Nella Clinica Medicamilanese ero seguito dal Dott.Roberto De Franchis! La sceltadell’endoscopia, nel 1973, mi fupraticamente imposta dal mioPrimario di allora, Prof. Gambi-gliani Zoccoli (che ha fatto par-te del primo consiglio direttivo

nazionale SIED in qualità di consigliere), un vero barone (per fortuna),che mi impedì di intraprendere la carriera nefrologica, indicandomi in-vece di seguire il Dott. Salerno e il Prof. Mirelli, alla scoperta delle “me-raviglie” del canale alimentare. Rimasi talmente entusiasta della meto-dica che decisi di iscrivermi al-la specialità di Gastroentero-logia a Torino dove ebbi comemaestri il Dott. Bonardi ed ilDott. Rossini.

Negli anni successivi frequen-tai ripetutamente le scuoleendoscopiche di Bruxelles,Amsterdam ed Amburgo.

Molta della mia esperienza edattività è frutto, tuttavia, comeper quelli della mia genera-zione, soprattutto di espe-rienze autodidattiche. Doposei mesi di esperienza e di ri-flessione in Sudan, dove hofatto di tutto meno che l’endo-scopista, ho deciso che quellasarebbe stata la mia attività fu-tura e probabilmente defini-tiva.Nel 1980, sempre a Novara, èstato istituito un Servizio diEndoscopia aggregato allaMedicina che nel 1996 è di-

ventato Divisione di Gastroenterologia di cui sono da allora Primario. Nel 1998 sono stato nominato Direttore del Dipartimento di Me-dicina.Pur occupandomi di tutta l’endoscopia digestiva, il mio interesse siè concentrato su alcune tecniche di cui credo di essere stato pre-cursore in Italia. Mi riferisco in particolare alla gastrostomia endo-scopica percutanea di cui ho contribuito alla diffusione sia conCorsi Residenziali, con il Primo Congresso Nazionale e con nume-rose pubblicazioni. Tra gli episodi da ricordare sicuramente è la presentazione nel1992 al Simposio Nazionale di Napoli di un lavoro sul posiziona-mento della prima protesi metallica autoespandibile esofagea.Fui aspramente criticato soprattutto con l’argomentazione che laprocedura era troppo costosa e non avrebbe avuto futuro!

Sono nato e vissuto, nel mioprimo anno di vita, in un

piccolo paese dell’appenninolucano, paese di magia. Ilgiorno della festa di S. Rocconella piazzetta brulicante digente, bancarelle, santi, mu-sicanti, zucchero filato, gioco-lieri e luminarie, c’era mia ma-dre con me di pochi mesi inbraccio, suo primogenito. Intale variopinta moltitudine c’eraun banchetto con un “indo-

vino”, una specie di santone popolare cheperegrinava per quei paesi sperduti dellaLucania, predicendo il futuro. Mia madre,maestra elementare del paese, più pergioco che per convinzione gli chiese dipredire il futuro al suo bambino di cui, ov-viamente, era molto orgogliosa, cometutte le mamme. L’indovino rispose: chistucriaturi adda iesse nu dutturi chi adda vidè dintua li cristiani. Quando quel bimbo raggiunsel’epoca della ragione riflettè su quell’epi-sodio riferito dalla mamma e decise di “vi-dere dintu a li cristiani”.Ispirato dal veggente, mi iscrivo a Medi-cina (laurea nel 1972) e già da allora misentivo attratto dall’Endoscopia.Sin da studente degli ultimi anni seguivo Dal Monte che all’internodella Patologia Medica di Campanacci effettuava endoscopia construmenti rigidi (laparoscopie, rettoscopie) e, nel 1972, acquistò unACMI per le prime fibroscopie. Dopo qualche mese ci fu l’acquisizione di un gastro, un colon e unduodenoscopio Olympus e da allora non ho più abbandonato l’endo-scopia che ho seguito collateralmente ad altre attività di tipo clinicosino al 1982 e quindi in maniera esclusiva sino ad oggi. La mia forma-zione di base, quindi, mi viene da Dal Monte in Patologia Medica alPoliclinico di Bologna sino al 1974, quindi alla Gastroenterologia delBellaria. In breve: nel 1980 sono stato da Paquet a Bonn (varici), poinel 1981 da Seifert a Koblenz (ERCP) e nello stesso anno da Soehen-dra ad Amburgo (operativa ingenere). Nel 1982 sono quindistato da Kuwaiama (ERCP e la-ser) e da Oi (ERCP) a Tokyo,quindi a Lille da Brunettand(laser) nel 1985.

Mario Del Piano

“...Volevo fare il nefrologo, ma il mioprimario mi imposel’Endoscopia (per mia fortuna)”

Nicola D’Imperio

“ E l’indovino sentenziò:‘chistu criaturi adda iesse nu dutturi chi adda vidèdintu a li cristiani’ E così da grande decisi di… guardare dentro”

Alcune immagini “giovanili” diNicola D’Imperio...l’esploratore!

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Volevo fare l’architetto! Miopadre era un ingegnere e

un costruttore e io non avevodubbi: volevo fare l’architetto!Mi iscrissi ad Architettura aRoma e iniziai a frequentare icorsi con l’entusiasmo di chirealizza il sogno della sua vita.Era il 1970! Le università, cometutto il mondo della scuola etutto il mondo giovanile eranoin crisi, attraversate da un fer-mento che a volte le rivitaliz-

zava, a volte le travolgeva. Dall’università mi attendevo una forma-zione professionale: Architettura era in crisi, forse una facoltàscientifica lo sarebbe stata meno. Così pensai e nel giro di pochigiorni, dopo circa 6 mesi di frequenza, presi una decisione sullaquale non ho mai avuto ripensamenti: cambiare facoltà. A me pia-ceva studiare più o meno tut-to, ma mi decisi per la medi-cina, che mi sembrava “scienzae arte molto complessa”. E, ineffetti, lo studio della medicinafu interessante e piacevole, benpiù traumatico e non previstofu, invece, il lavoro di medico,l’impatto con il paziente. Nonavevo una grande predisposi-zione ad ascoltare i problemidella gente, tanto meno inquel momento particolare, digrande fragilità, che è la malattia. In più, “giovane ed estremistadella razionalità” non ero interessato, né capace di “raccontarestorie” al malato per dargli certezze, per non disorientarlo, per nonscoraggiarlo. E la gastroenterologia più di altre branche richiedequesta capacità. Questa rivelazione sul mio disinteresse a “fare ilmedico” purtroppo arrivò dopo la laurea. E qui cominciò un pe-riodo di notevole disorientamento.Che c’entra tutto questo con l’Endoscopia? C’entra, perché è statal’endoscopia a permettermi di attraversare in maniera “riconcilia-ta” questa professione, “riconciliata” con me stesso e “riconci-liata” con il paziente. Innanzitutto l’endoscopia, perché l’endoscopia si è subito rivelatauna branca della medicina molto giovane, pratica ed efficace, ca-pace di appassionare; perché grazie all’endoscopia ho conosciutoMaestri appassionati e molto pratici quali Liguory o Stipa, perchégrazie all’endoscopia e agli endoscopisti italiani ho attraversato,forse in anticipo rispetto a Colleghi di altre branche, quei percorsi

di ricerca della “sicurezza”, della “qualità”, delle “prove di effica-cia”, della centralità del paziente, tematiche oggi centrali in tutta lamedicina.Dopo queste mie considerazioni, ecco gli eventi particolari chehanno contraddistinto la mia vita professionale. Mi laureo a Roma nel 1977 e conseguo la specializzazione in “Ma-lattie dell’apparato digerente” nel 1981 (Università Cattolica delSacro Cuore, Roma). Durante il periodo della specializzazione hofrequentato anche un reparto ospedaliero di epatologia, dove hoavuto occasione di avvicinarmi per la prima volta all’endoscopia dibase. Finita la specializzazione ho deciso (forse in maniera un po’azzardata, poiché non avevo ancora un posto di lavoro!) di acqui-sire anche una formazione specifica in endoscopia operativa, rite-nendo che questa scelta mi avrebbe procurato maggiori occasionilavorative. Avevo letto per la prima volta del trattamento endoscopico dellacalcolosi del coledoco in un capitolo di un libro curato da Liguorye questo mi convinse di tentare questa strada. In effetti, riuscii a

realizzare questo progetto etrascorsi così un periodo a Pa-rigi da Liguory (settembre1981 - dicembre 1982). Li-guory è stato certamente ungrande maestro di tecnica, maanche di buon senso, di equili-brio e di praticità in una pro-fessione e soprattutto in unaspecializzazione in cui forte è ilrischio del compiacimento nel-l’abilità tecnica. Frasi come “èmeglio un insuccesso che una

complicanza” o gli inviti a non cedere al “folklore” mi hanno ac-compagnato in questi anni di professione.Al rientro (erano i primi anni ’80!) ho avuto la fortuna di lavorarecome consulente per l’endoscopia operativa bilio-pancreatica indiverse strutture pubbliche e private romane. In particolare, a par-tire dal 1983 iniziai una collaborazione, che divenne sempre piùstretta, con i Professori Sergio Stipa e Vincenzo Ziparo; collabora-zione che portò nel 1988 alla mia assunzione presso la I ClinicaChirurgica dell’Università di Roma “La Sapienza”. L’inserimento nel gruppo del Professore Stipa ha rappresentatoper me non soltanto l’occasione per realizzare le tecniche appresea Parigi, tecniche delle quali il Professore Stipa era entusiasta, maanche un ulteriore momento di crescita: crescita culturale in unqualificato ambiente chirurgico, ma anche crescita tecnica per-ché devo al Professore Ziparo l’acquisizione, ad esempio, delletecniche di emostasi endoscopica e di trattamento delle variciesofagee.

Emilio Di Giulio

“… Volevo fare l’architetto ma cambiaipresto facoltà”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Ebbi i natali nella Bari mu-

rattiana l’11 dicembre1948. Dopo aver frequentatoil mitico liceo classico“Quinto Orazio Flacco” (annistupendi quelli!) decisi diiscrivermi alla Facoltà di Me-dicina e Chirurgia e nel luglio’74 mi laureai. Dal terzo al se-sto anno del corso di studifrequentai, come interno, ilreparto di gastroenterologiadel policlinico universitaro,

inizialmente diretto dal Prof. Ottavio Albano, successivamente dalProf. Antonio Francavilla, il quale però, alla fine del corso di studi,non mi ritenne per così dire… pronto a frequentare la scuola dispecializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente. E così, a ma-lincuore, fui costretto ad emigrare. Trovaiposto a Ferrara ove, nel giugno ’78, guada-gnai il mio bel diploma di specialista. L’e-sperienza ferrarese fu gradevole per nume-rosi motivi, non ultimo per aver conosciutoun altro emigrante – avellinese di nascita,napoletano d’adozione – che trovai subitoestremamente simpatico e divertente: LivioCipolletta. Con lui avrei stretto subito unasincera amicizia rivelatasi nel tempo sem-pre più salda, ancorché, col tempo, turbatada qualche “incomprensione”, natural-mente per fatti di nessunissima impor-tanza, causa la nostra età che avanza e laprepotenza di Livio. E sì perchè Livio è unpo’ prepotente! Come mai ho deciso di dedicarmi all’endo-scopia digestiva e qual è stato il momentodeterminante?L’attrazione per l’endoscopia esplose du-rante il periodo di “internato” in gastroen-terologia, precisamente nel ’72, quandoconobbi Bruno Meduri al suo ritorno daParigi dopo un lungo stage in endoscopiadigestiva presso Claude Liguory. Fu in quelperiodo che, per la prima volta, assistetti,ad un esame gastroscopico effettuato daMeduri con il GF-B Olympus (primo endo-scopio semiflessibile, luce calda, visione la-terale, insufflazione manuale mediantepompetta, utlizzabile unicamente per la esplorazione dello sto-maco).Solo pochi privilegiati, me compreso, quel giorno, condivisero l’e-mozione di “poggiare l’occhio” sull’obiettivo dell’endoscopio edosservare lo stomaco. Quell’esperienza fu per me determinante.Decisi che da grande mi sarei occupato di endoscopia digestiva, ea tutti i costi! E per l’endoscopia, appena laureato, emigrai ancora.Questa volta a Castellana Grotte, piccolo paese del sud-est bareseove il Chirurgo del locale ospedale manovrava, da autodidatta, ungastroscopio (GIFQ) ed un colonscopio (TCF2L). Ovviamente lafrequentazione dell’ospedale mi costò l’ingresso nella scuola di

specializzazione di Bari. Ma come spesso accade, non tutti i mali ven-gono per nuocere. Infatti se fossi rimasto a Bari probabilmente nonavrei mai potuto svolgere l’attività endoscopica come avevo sempredesiderato. E non solo. Non avrei conosciuto Livio Cipolletta. Il quale,a sua volta, non potendo condividere il mio grande entusiasmo perl’endoscopia, non sarebbe mai andato a Parigi da Liguory e,conseguentemente, non sarebbe mai diventato l’eccellente Endoscopi-sta che è.L’endoscopia digestiva, quella fatta bene, l’ho imparata da ClaudeLiguory al quale fui presentato da Meduri nell’ottobre ’77, a Pa-lermo, in occasione del Settimo Congresso Nazionale della SIED.L’incontro, a cui partecipò un altro allievo di Liguory, Luigi Fami-liari, si svolse a tavola, dal “Greco” noto ristoratore di Porticello.La scelta ed il susseguirsi dei piatti (tanti!) furono coordinati daFamiliari, estremamente premuroso e sollecito a soddisfare qual-siasi desiderio culinario-enologico del suo Maestro. A tavola siparlò di tutto meno che di endoscopia e ancor meno del mio fu-

turo soggiorno parigino. Alla fine delpranzo Ligoury mi liquidò dicendomi: “Viscriverò”. E fu tutto! Lo rividi a Parigi, neiprimi giorni del gennaio del ’78, quandoebbe inizio il mio primo stage che sarebbedurato poco meno di un anno. Fra il ’79 el’82, sarei ritornato annualmente in Fran-cia per periodi di uno, due mesi. A Parigiconobbi gli altri allievi italiani (oltre Fami-liari e Cipolletta) che avrebbero dato vitaalla cosiddetta “Legione italiana”: PietroLoriga, Salvatore Adamo ed Emilio Di Giu-lio, tutti fraterni amici ed eccelsi professio-nisti. Ho detto prima che a Parigi ho pratica-mente imparato tutto. E non senza aversofferto, soprattutto per apprendere l’artedella ERCP. Dare una sbirciatina di pochisecondi attraverso l’oculare del duodeno-scopio, quando Liguory operava, eraspesso un’impresa. Il più delle volte infatti,causa il nutrito numero di visitatori, ci sidoveva mettere in coda e, non di rado,quando arrivava il mio turno, l’esame eragià terminato. Né era mai possibile utiliz-zare il teaching per la intera durata dell’e-same (per fortuna impiegato quasi semprein tutte le altre procedure endoscopiche)perché, così diceva il Maestro, “limitava lalibertà di movimento”! E poi bisognava

compilare una serie di schede relative ai dati clinici del paziente e airisultati della procedura, dare una mano (anche due) a rimuovereil paziente dal tavolo radiologico, di tanto in tanto pulire l’appa-recchio e gli accessori, nonché sobbarcarsi il trasporto dello stru-mentario, 2-3 valige più il processore, al termine della seduta, ma-gari senza aver potuto neanche “guardare le radiografie” di qual-che esame. Infine, quando arrivò il tanto atteso momento di ten-tare la mia prima ERCP, Liguory – scopo incoraggiarmento – midisse: “Di Matteo, avete tre minuti per cateterizzare, non un se-condo di più”. E si ritirò dietro la paratia del telecomandatodando fuoco alla metà di un antico toscano. Per fortuna cateteriz-

Giovanni Di Matteo

“ … Ebbi un giorno la fortuna di ‘poggiarel’occhio’ sull’obiettivo e da allora decisi che da grande mi sareioccupato di Endoscopia. E a tutti i costi!”

Una recente fotografia di Giovanni Di Matteo in vacanza

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

zai selettivamente il coledoco in meno dei tre minuti a disposizionee senza grandi sorprese del Maestro. Il quale tirò fuori una dellesue più celebri e ricorrenti frasi: “ Voi italiani… col cervello tuttonelle mani”. In realtà nei tre mesi che avevano preceduto quel fati-dico giorno avevo “marcato stretto” Liguory, cercando di nonperdere nulla di quello che diceva, faceva e, spesso, disegnava do-po le sue performances endoscopiche. In realtà il Maestro era, e loè sicuramente ancora, veramente bravo e non solo tecnicamente.Di lui ho sempre molto apprezzato il rispetto rigoroso delle indica-zione delle procedure endoscopiche, la grande conoscenza dellaclinica e l’onestà intellettuale. Per intenderci quella che serve a va-lutare con attenzione e spirito critico i risultati immediati e a di-stanza del proprio lavoro.L’esperienza maturata a Parigi mi consentì, al rientro in Italia, dicominciare l’attività endoscopica con grande entusiasmo ed unabuona dose di sicurezza, se pur fra mille difficoltà, soprattutto ditipo organizzativo e gestionale. Le stesse che ritengo abbia avuto lamaggior parte degli Endoscopisti in quegli anni: spazi operativiestremamente ridotti, fondi sempre esigui o esauriti per l’acquistodi apparecchiature e accessori. Per fortuna il Maestro si dedicavaanche al bricolage e fabbricava qualche accessorio. E proprio dalui imparai ad assemblare i papillotomi, utilizzando cateteri per in-cannulamento in disuso, banalissimi aghi da cucito, nonché unaserie di materiali in acciaio acquistati a prezzi stracciati da “Webermetalli”, strabiliante negozio di Parigi ove si poteva comprare ditutto in tema di acciaio: da un filo da pesca di mezzo millimetro didiametro a tubi con sezione di due metri. Così, grazie ai papillo-tomi “costruiti in casa”, effettuai, nel dicembre ’78, le prime sfinte-rotomie. Non pochi, inoltre, furono i problemi di ordine gestionale rife-rendomi alla possibilità di “entrare” nel management del pazienteprima e/o dopo un atto endoscopico. Fu così, per esempio, che,nei primissimi tempi della mia attività, non riuscii ad evitare qual-che intervento di resezione segmentaria intestinale dopo escissioneendoscopica di adenomi con “cancro in situ”. Con questo nefastotermine, perlomeno dalle mie parti, gli Anatomo-Patologi dell’e-poca usavano di solito descrivere la displasia severa, e i Chirurghi,ineluttabilmente, affilavano i bisturi!La ERCP e le metodiche operative ad essa collegate hanno rappre-sentato per me il settore di maggiore interesse per l’immediato epositivo impatto clinico di queste procedure nella gestione di mol-teplici e rilevanti affezioni bilio-pancreatiche. Anche se il raggiungi-mento di taluni obiettivi è stato sempre costellato di enormi diffi-coltà. A tal riguardo ricordo ancora le tenaci lotte con l’Ammini-strazione e il Chirugo, per ottenere il duodenoscopio con canale da

4.2 mm – il famoso Jumbo – cominciate nell’82 e terminate nell’85con l’acquisto dell’apparecchio ed il posizionamento della primaprotesi biliare in polietilene.Credo, comunque, che queste storie siano state non dissimili daquelle di tanti altri Colleghi che hanno scelto di dedicare granparte della loro attività, se non proprio tutta, all’Endoscopia Di-gestiva. Devo anche dire che fino ad oggi non ho registrato epi-sodi particolari della mia “vita endoscopica” meritevoli di segna-lazione. Tranne uno forse: con una presentazione fortemente co-involgente sul piano emotivo, un intermezzo tragico-ridicolo eduna conclusione a lieto fine. Il tutto risale all’inverno dell’86quando un bel giorno mi “recapitarono” nel Servizio, provenienteda un ospedale limitrofo, una culla termostatica contenente unabellissima neonata, venuta alla luce tre ore prima. Cosa era suc-cesso? Un segmento di catetere della lunghezza di circa 8-9 cm,utilizzato dall’anestesista per l’aspirazione trans-nasale di secre-zioni, era sfuggito nell’esofago della neonata. La quale era perfet-tamente a suo agio e, fra uno sgambettamento e l’altro, dispen-sava a tutti i presenti grandi sorrisi. Mi fu mostrata una radiogra-fia, praticamente in toto della neonata, in cui il catetere, al centrodel torace, pareva essere grande come un cannone. Il papà dellapiccolina mi confessò che la puerpera non sapeva nulla dell’acca-duto e se non fossi riuscito a rimuovere il catetere, lui avrebbecommesso una sciocchezza! Non mi disse però di che genere. Aquesto punto mi venne un’idea geniale. Raggiunsi telefonicamenteLuigi Dall’Oglio, l’Endoscopista del “Bambin Gesù” di Roma. Chimeglio di lui avrebbe potuto darmi dei consigli tecnici? Mi risposeche, come me, non aveva esperienza, di rimozione di corpi estra-nei in casi del genere. E poi, giusto per tirarmi su il morale ag-giunse: “Non vorrei essere nei tuoi panni. Comunque tanti au-guri”.Detti inizio alla procedura cominciando con il saggiare gli umori ele reazioni della neonata. Per questo le infilai in bocca il mio mi-gnolo destro, immediatamente ciucciato con grande gioia. Subitodopo, con l’assistenza dall’Anestesista – nel senso “non ti preoc-cupare, vai facile, non c’è alcun bisogno di prender vene e sommi-nistrar farmaci” – sospinsi l’endoscopio nell’orofaringe, e con unapinza da corpi estranei rimossi il catetere. Nei pochissimi minutiimpiegati per portare a termine la procedura, Giulia, questo è ilnome della neonata, oggi quindicenne, rise tutto il tempo.Terminato l’esame vi fu, da parte dei presenti, qualche applauso digioia mentre una delle mie infermiere roteando su se stessa andavagiù ed io, più saggiamente, andavo alla ricerca di una sedia.

Anche questa è endoscopia.

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Sono nato a Melito Porto

Salvo il 1° Maggio del1948. Laureato a Messina il29 Luglio del 1972. Specializ-zato a Roma in Gastroentero-logia nel 1976.Alla fine del 1972, ero assi-stente supplente presso l’Isti-tuto di Patologia Medica diMessina, dove fu acquistatoun esofagogastroduodeno-scopio ACMI bidirezionale(nel senso che aveva una sola

manopola di up e down), se volevi andare a destra o sinistra do-vevi torcere lo strumento sul suo asse…Il Direttore dell’epoca mi chiese se volessi occuparmene io ed ac-cettai.Chiesi un poco in giro per sapere se c’era qualcuno che si occu-pava di endoscopia e seppi che Pasquale Spinelli, che già cono-scevo, si era installato a Milano e stava organizzando un Serviziodi Endoscopia.Gli telefono e, nel Febbraio del 1973, con la “Freccia del Sud”(non avevo ancora scoperto l’aereo) sono andato a Milano dovemi sono fermato per una ven-tina di giorni.Pasquale era proprio all’inizio,ma tant’è dopo questa espe-rienza cominciai ad occuparmidi endoscopia.Nel Giugno del 1973 partimmoin auto con un amico gastroen-terologo per il Congresso Na-zionale SIGE che si svolgeva al-l’Aquila (ricordo un freddo ter-ribile ed un ristorante: “Le TreMarie”).In questo congresso c’era tragli altri un ospite straniero, untipo basso, grasso, con stranicapelli a paggetto ed occhialiscuri, si chiamava Claude Liguory e presentava due relazioni: unasulla polipectomia del colon ed una sulla CPRE. Le due relazioni mi colpirono particolarmente per cui, al mio ri-torno a Messina, cercai l’indirizzo di questo tale sul volume degliabstracts (Hospital Saint Antoine, rue du Faubourg Saint Antoi-ne) e gli scrissi chiedendogli se potevo andare a trovarlo.Dopo la sua risposta mi cercai una borsa di studio (della Fonda-zione Bonino di Messina) ed il 29 Novembre del 1974 partivo conil treno – il Palatino, che partiva alle 18.30 da Roma per arrivare

alle 10 dell’indomani alla Gare de Lyon a Parigi (sempre perché dabuon meridionale non avevo ancora scoperto l’aereo) – insiemecon il mio amico Armando Santoro, che poi sarebbe diventatouno dei migliori oncologi italiani.L’incontro con Liguory, presso il quale restai, andando e venendo,quasi tre anni, fu determinante, non tanto perché mi insegnò l’en-doscopia, quanto per avermi inculcato una maniera di vedere lecose estremamente lucida e razionale, un modo di andare subitoal centro dei problemi eliminando il superfluo, che poi, se vo-gliamo, è la maniera d’operare degli endoscopisti, estremamenteconcreta.Oltre ovviamente agli insegnamenti in materia di ristoranti: lemangiate omeriche con “il Maestro” sono ormai un fatto che tutticonoscono. La prima proprio il giorno del mio arrivo: era il giornodel suo compleanno ed a pranzo finimmo tutti a mangiare chou-croute come maiali!!! Vi assicuro che all’inizio fu dura…. Rico-minciare in radiologia le colangio alle 2 del pomeriggio dopo unamedia di 2-3 boccali di birra, oltre il resto!!!!!!

Nel 1975 ho eseguito a Parigi la mia prima colangiografia endo-scopica (ovviamente festeggiata con grande abbuffata al risto-rante le Quincy) fino all’una di notte ma… poiché non ci era sem-brato abbastanza, alle quattro del mattino siamo ripartiti, io e Li-

guory, per cercare un ristoranteche fosse ancora aperto.Dalle 5 alle 7 del mattino al“Pied de Cochon”, ostriche echampagne, per poi ricominciarea lavorare alle 7.30.Nel 1976 ho eseguito a Messinala mia prima sfinterotomia, ov-viamente con sfinterotomohome made (non erano ancorain vendita) su una suora. Nel1980 ho impiantato la miaprima protesi biliare, probabil-mente anche la prima in Italia.Indubbiamente, il mio maggioreimpegno riguarda l’endoscopia

biliare. Lunga militanza nella SIED (Iscritto dal 1974; Presidente della Se-zione Regionale Sicilia della SIED nel biennio 1988-89; eletto nel1991 nel Consiglio Nazionale della Società; vicepresidente nelquadriennio 92-95 e presidente della Commissione Medico-legale;rieletto nel 1995 come consigliere fino al 1999 e membro dellaCommissione Credits; attualmente membro della Commissionescientifica).Fondatore e Presidente attuale, dal 1999 della “Italo-Egyptian As-sociation for Digestive Diseases”.

Luigi Familiari

… Mi colpì la relazione di un relatore straniero, un tipo basso, grasso, con strani capelli a paggettoed occhiali scuri. Era Claude Liguory”

Un fermo immagine di Luigi Familiari accanto a Sahel

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Mi sono avvicinato allagastroenterologia ed al-

l’endoscopia digestiva nel cor-so dell’ultimo anno di univer-sità: il Prof. Banche è da pocoalle Molinette con la Divisionedi Gastroenterologia, Rossinie Bonardi mi trasmettono lapassione e l’entusiasmo perquelle nuove tecniche – guar-date con diffidenza da molti –che consentono di esplorarede visu l’apparato digerente

dal suo interno. Abbandono quindi lo studio della sintesi proteicacellulare in vitro presso l’Istituto di Patologia Generale di cui misono occupato negli ultimi anni e che è argomento della mia tesi dilaurea e mi iscrivo alla scuola di specializzazione in gastroenterolo-gia diretta dal Prof. De La Pierre. L’amore per l’endoscopia crescenegli anni della scuola di specialità, durante i quali trascorro ilmaggior tempo possibile nell’endoscopia di Banche, cercando diosservare, capire, imparare e, infine, cominciando anche a farequalcosa. Fare che cosa? Molte attività di supporto, cartelle clini-che, referti, schede di rilevazione dati sui polipi del colon, ecc. ecc.,ma finalmente anche eseguire un esame, dall’inizio alla fine, effet-tuare le biopsie, le prime polipectomie…

In quegli anni si costituisce la sezione regionale Piemonte – Valled’Aosta della SIED, Banche presidente, Bonardi segretario e nascela tradizione, che dura tutt’oggi, degli incontri eriunioni regionali, non solo tra i colleghi pie-montesi e valdostani ma spesso con il coinvol-gimento di esperti di altre regioni o stranieri.Nel ’77 mi viene affidata la segreteria regionale,segreteria che, con una breve interruzione tral’80 e l’82, resta a mio carico sino all’87. Inquel periodo il ruolo del segretario è quasiesclusivamente inteso come una funzione po-stale, di trasmettere ai soci le comunicazioni edi programmi scientifici organizzati da Presi-dente e Consiglio Direttivo. Ma gli è riservata inaggiunta l’attività tanto fondamentale, quantosgradevole, di raccogliere le quote associative, ilche comporta avvilenti questue ad ogni occasione d’incontro o ri-unione scientifica, o innumerevoli telefonate, spesso inefficaci, perscucire le 10.000 lire dai portafogli dei soci più morosi. Ma la SIEDsopravvive comunque e cresce, si susseguono i presidenti regionali,Verme e Rossini tra quelli che più hanno stimolato il lavoro del segre-tario e, negli anni ’80 la sezione regionale si espande ulteriormentecon progressiva apertura e coinvolgimento dei centri extratorinesi(Cuneo, Novara, Asti, Alessandria).

Mentre faccio il segretario SIED proseguo il lavoro e la mia perso-nale learning curve con Rossini, al San Giovanni Vecchio: sono glianni dello Slides Atlas di colonscopia (quante diapositive di quadriendoscopici selezionate, discusse, montate in sequenza in ore e oredi lavoro serale nello studio di Rossini, che non era mai comple-tamente soddisfatto dei risultati e, oltre a insegnarti l’endoscopia,ti stimolava e ti aiutava a fare sempre di più e meglio!).

Sono gli anni del Congresso di Marentino sugli adenomi canceriz-zati, cui partecipano i massimi esperti italiani, europei e statuni-tensi.Sono gli anni in cui vado più volte a frequentare il reparto di Cre-mer a Bruxelles per imparare e perfezionare le tecniche di ERCPdiagnostica e operativa.Sono gli anni degli aneddoti divertenti, come quando, due oreprima di partire per gli USA, riesco a recuperare la chiave del mobi-letto in cui è chiuso il passaporto scivolata all’interno del mon-tante cavo della libreria, appollaiato in cima ad una scala ed utiliz-zando un colonscopio da 160 cm, un’ansa da polipectomia tipocrescent e la collaborazione del fedele e creativo infermiere Al-berto: questo conferma la mia fede nell’endoscopia spesso deter-minante a risolvere anche i problemi della vita quotidiana.Nell’88 ritorno alle Molinette nel reparto del Prof. Verme, nel servi-zio di endoscopia di cui è responsabile Pera e di cui diverrò respon-sabile quando Pera assumerà il primariato di gastroenterologia alMauriziano.Progrediscono e si arricchiscono gli aspetti tecnici, tecnologici e cli-nici dell’endoscopia: cominciamo a trattare in urgenza le ulceresanguinanti, le stigmate e le varici esofago-gastriche iniziando adutilizzare le colle acriliche oltre ai consueti sclerosanti. Eseguiamola prima legatura elastica con il sistema monolaccio e overtube: lanostra tensione emotiva deve essersi trasmessa al paziente il quale,al termine del trattamento felicemente riuscito, ci ha chiesto diconvocare d’urgenza un sacerdote per sposare immediatamente lafidanzata di cui da anni eludeva le richieste matrimoniali!Posizioniamo la prima PEG a Torino con il metodo pull, con esito

positivo: in occasione di un corso di aggiorna-mento sulla metodica, a distanza di anni; Ales-sandro Repici, allora allievo di endoscopia, de-scriverà quella procedura quasi come unevento epico, con la sala endoscopica e glioperatori attrezzati come se si dovesse fare untrapianto cardiaco.Dal ’92 al ’94 ho l’onore di ricoprire la caricadi presidente della sezione regionale SIED e daquesti anni si fa strada e mi appassiona un ul-teriore obiettivo: propugnare ed implementarela qualità in endoscopia. A metà degli anni ’90completiamo i primi lavori di VRQ applicataall’endoscopia d’urgenza.

A fine ’97 inizia l’avventura in cui sono tuttora impegnato: prima-rio di una neonata U.O.a. di Gastroenterologia presso l’OspedaleMaria Vittoria, presidio dell’ASL 3 di Torino.Il primo obiettivo è la creazione (dal nulla o quasi) di un modernoservizio di endoscopia digestiva che soddisfi le richieste e le aspet-tative di un’utenza di circa 220.000 abitanti, compresa la prontadisponibilità endoscopica 24 ore su 24 per le urgenze.L’impegno della Direzione Aziendale e di tutti i collaboratori, me-dici e infermieri, è stato sin qui notevole sotto tutti i profili, econo-mico, tecnico, scientifico, culturale e umano, tanto che nel luglio diquest’anno otteniamo la Certificazione di Conformità UNI EN ISO9002 da parte di un ente di certificazione accreditato a livello na-zionale ed europeo.Il lavoro cresce, la disciplina endoscopica progredisce, la sfida con-tinua: qualità in endoscopia digestiva vuole essere il nostro mottoed il nostro obiettivo per i prossimi anni.

Arnaldo Ferrari

“ …Dalla sintesi proteica cellulare in vitro...all’Endoscopia”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Sono nato a Morbegno

(Sondrio) il 9 maggio del1951, mi sono laureato conlode a Palermo nel 1976, sonospecialista in Chirurgia del-l’Apparato Digerente ed Endo-scopia Digestiva, ChirurgiaD’urgenza e Pronto Soccorso,ed Anestesiologia e Rianima-zione. Ho svolto tutta la miaattività professionale pubblicaal Policlinico Universitario diPalermo, come MIUCA prima

e poi come Ricercatore e quindi dal 1987 come Professore Asso-ciato. La decisione di dedicarmi all’endoscopia inizialmente non fu mia madel mio Direttore di allora, Prof. A. Rodolico, che ai tempi neocatte-dratico, preso possesso di un reparto tutto nuovo e distribuendocompiti mi disse: tu fai endoscopia! Questa decisione, che alloranon gradivo poi tanto perché pensavo mi allontanasse dalla salaoperatoria, era ovviamente senza appello. Come maestro all’inizio ho avuto chi in Clinica Chirurgia (stessoplesso ma noi eravamo inChirurgia D’Urgenza), fa-ceva endoscopia e cioè ilProf. Marcello Semilia chepoi smise quasi di fare l’en-doscopista ed andò prima-rio di Chirurgia a Trapani.Da lui imparai i primi rudi-menti di gastro e colon.Ho visto eseguire la primaERCP all’Ospedale Cer-vello da Mario Cottone cheera stato per un periodo aLondra da Cotton. Ho vi-sto lui fare due ERCP unpomeriggio, e due settimane dopo con un ACMI laterale che sem-brava un carro armato ho fatto la prima ERCP (febbraio 1978) vi-sualizzando coledoco e Wirsung, in una paziente con ittero e cistida echinococco. Tra la fine del 1979 ed il 1980, ero stato più volte per brevi periodi aParigi da Liguory, ed ho fatto la prima papillotomia nel 1981 con unosfinterotomo autocostruito secondo i dettami e con i materiali com-prati a Parigi.Le altre tecniche operative sull’esofago e sul colon erano state in-trodotte nel nostro servizio prima e via via sviluppate. Non so se è un pregio o un difetto (molto più probabilmente) manon ho mai fatto molta pubblicità al mio lavoro. Come manife-stazioni scientifiche ricordo che invitammo Liguory a tenere una Con-ferenza sulla ERCP e la papillotomia nel maggio del 1981 all’Ac-cademia delle Scienze Mediche di Palermo, che fu affollatissima edapplauditissima e che fu preceduta da una mia relazione sulla ERCPdiagnostica (anche io ebbi i miei applausi). Ho poi organizzato nel1999 il primo Corso di Aggiornamento SIED. In mezzo ci stanno tantemanifestazioni locali e tante relazioni a congressi anche importanti esoprattutto tantissimo lavoro di ogni giorno. Vi sono molti episodi significativi che potrei ricordare, d’altronde

sono sul campo da 25 anni e non sono stato fermo. Uno peròcredo che sia significativo perché può contribuire a chiarire qualisono stati i rapporti tra endoscopia e chirurgia: siamo nel 1978,il mio direttore di allora era favorevole all’endoscopia ma certa-mente non si faceva uccidere per questa, il suo attegiamentoperò nei confronti dell’endoscopia e del sottoscritto cambiò radi-calmente a seguito di questo evento. Avevamo acquistato deitubi di Kehr di silicone nella speranza che non si formasseroquelle concrezioni che si osservavano alla loro rimozione e che te-mevamo restassero in parte nel coledoco. Questi tubi purtropponon erano ottenuti per fusione, e quindi non erano un pezzounico, ma due tubi incollati a T. Tra il posizionamento del primo di questi Kehr e la sua rimozionepassarono circa 25 giorni, ed in questo periodo ne avevamo posi-zionati altri 10. Alla rimozione di questo primo Kehr successe chesi staccarano le due branche e una di esse rimase dentro il cole-doco. Vi lascio solo immaginare quello che successe allora in ter-mini di urla, linciaggi per tutti, ecc. ecc. ecc. Per fortuna una co-langiografia eseguita prima della rimozione dimostrava che unlungo pezzo di questa branca era in duodeno (il mio Direttoreposizionava sempre il Kehr transpapillare), allora proposi di ve-dere con un gastroscopio se era rimasto un pezzo in duodeno ed,eventualmente, tentare di estrarlo: ebbi successo e cambiò ilmondo!!! Negli altri 10 pazienti la procedura di rimozione fucombinata; io andavo in duodeno e con un’ansa afferravo ilpezzo di tubo transpapillare, un collega estraeva la branca trans-cutanea, i due pezzi si disassemblavano ed io estraevo la brancaintracoledocica. L’atteggiamento di tutti verso l’endoscopia, specie quello del Di-rettore, divenne di entusiasmo ed ho usufruito poi di… “coccole efinanziamenti”.

Carissimo Felice, ti inviola mia breve storia e ti ri-

spondo per due endoscopisti,il sottoscritto (nato il 6 mag-gio 1948, laureato il 10 luglio1973 e specializzato in Chi-rurgia Generale nel dicembre1978) ed il dottor Aldo Gar-barini (nato il 15 novembre1949, laureato il 28 luglio1974 e specializzato in Chi-rurgia d’Urgenza nel 1978 edin Chirurgia Digestiva ed En-

doscopia a metà anni ’80). La nostra storia è praticamente sovrapponibile e lavoriamo in-sieme dal 1974, dapprima come aspiranti chirurghi e dal 1976anche come endoscopisti.Siamo partiti per fare i chirurghi, lavorando molto in PS, dove cisiamo fatti le ossa e dove, dopo alcuni anni, abbiamo cominciatoad effettuare le endoscopie d’urgenza nei molti sanguinanti cheallora affluivano copiosamente alle Molinette di Torino e chespesso venivano operati d’urgenza senza possibilità di diagnosistrumentali.

Leonardo Ficano

“ … E il mio Direttore mi impose di... farel’Endoscopia”

Alberto Foco eAldo Garbarini“… Smisi definitivamente di fare il chirurgo poiché il mio ex lungimirante capo ci impedì letteralmente di fare la chirurgialaparoscopica e… ciboicottava in Endoscopia”

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Ci siamo formati frequentando per brevi periodi Oselladore a Pa-dova (io), Montori a Roma (Garbarini), Liguory e Cremer (en-trambi) e partecipando fino ai primi anni ’90 a molti live.

Abbiamo iniziato con le egds, quindi colon, polipectomie, ercpinizialmente diagnostiche e successivamente operative per lacalcolosi, protesi esofagee di plastica e poi metalliche, protesi bi-liari prima di plastica e poi metalliche, emostasi endoscopicheprima per lesioni varicose e quindi non varicose,laserterapia, protesi enterali. Il nostro interesse è per l’endoscopia biliare e perle protesizzazioni in genere del tratto digestivo. Ti allego un elenco di pubblicazioni che copronoun arco di tempo di 20 anni, sino al 1996, annoin cui mi stufai di scrivere e praticamente cessai,per la crisi di cui leggerai dopo. Partimmo entrambi per fare i chirurghi ed io re-sistetti come tale, con discreti risultati e conmolti contrasti col mio ex direttore (Olivero),sino al 1995 (per 15 anni, dal 1975 al 1990 hofatto tanto PS, di cui 13 come capo guardia,operando molto in urgenza). Nel 1995 smisi de-finitivamente di fare il chirurgo poiché il mio exlungimirante capo ci impedì letteralmente difare la chirurgia laparoscopica, oltre che boicot-tare sistematicamente da sempre il nostro la-voro endoscopico (la sua idea era che l’endo-scopia dovesse servire solo per recuperare pazienti per il suo re-parto e che non dovesse invece crescere, come stava invece succe-dendo con successo e con estrema invidia da parte sua). A quel punto potevo solo andarmene, se volevo continuare a cre-

scere come chirurgo, ma ero troppo avanti con l’endoscopia econ la struttura che si era creata, per cui, valutati i pro ed i con-tro, scelsi l’endoscopia. Ho fatto bene? Non so rispon-dere; certamente Sergio Oliveromi ha rovinato, professional-mente parlando, la carriera chi-rurgica ed io mi sono fregato la

carriera “burocra-tica”.Attualmente il miodirettore è Mario Mo-rino, con cui il rap-porto, umano e pro-fessionale, è ottimoe, pur aggregato allasua chirurgia, sonopraticamente autono-mo sotto ogni puntodi vista; però il rim-pianto di avere rinun-ciato alla chirurgia

(che mi riusciva bene) ogni tanto affiora e, sinceramente, mi ama-reggia. Il dottor Garbarini aveva capito tutto molto tempo prima ed avevasmesso di fare il chirurgo nel 1990; non ha rimpianti.

Aldo Garbarini e Alberto Foco protagonisti in video

Nato a Ferrara il 2.5.46.Laureato in Medicina e

Chirurgia nel 1972. Specializ-zazione in Gastroenterologianel 1975 a Roma. Dal 1973assunto nella Divisione Me-dica dell’Ospedale di Cop-paro (FE) e frequentatore si-no al 1976 della Clinica Me-dica di Bologna diretta dalProf. Labò e in particolaredell’ambulatorio di endosco-pia digestiva, responsabile

Prof. Francesco Faggioli, che mi ha insegnato ad eseguire leEGDS e le Coloscopie. Nel 1975, l’ospedale di Copparo compròun esofagogastroduodenoscopio Olympus a visione frontale e hocominciato a fare i primi esami autonomamente. Il Prof. F. Faggioli, uomo mite e bravo, fu il primo ad occuparsidi endoscopia nella Clinica Medica di Labò, poi con l’arrivo nel’77 di Di Febo e poi di Caletti, capì che i tempi e gli uominierano cambiati e preferì diventare responsabile di un reparto alla

casa di cura Toniolo e gua-dagnare qualcosa; è mortocirca due anni fa, a circa65 anni. È stato sicura-mente uno dei “padri “dell’endoscopia italiana.Nel 1976 diventai Assi-stente incaricato di Ga-stroenterologia nell’Ospe-dale di Udine dove il Dr.Da Broi mi insegnò la lapa-roscopia e continuai adeseguire EGDS e Colosco-pie. Nel 1978 Assistente diMedicina generale all’O-spedale di Forlì, PrimarioProf. Fontana, dove conti-nuai ad interessarmi di en-doscopia e di gastroente-rologia clinica. Nel 1981Aiuto del Servizio di Ga-

Sergio Gullini

“... Un impegno a migliorarel’organizzazione in Endoscopia”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8stroenterologia ed Endoscopia digestiva di Ferrara. Dal 1981 in-carico di insegnamento alla Scuola di Specializzazione inGastroenterologia dell’Università di Ferrara. Nel 1979 ho fre-quentato per 15 giorni l’ambulatorio di coloscopia del Dr. Ros-sini, alle Molinette di Torino. Dal 1980 ho iniziato ad eseguireERCP e Scleroterapia delle varici Esofagee. Nel 1982 sono statoper 2 settimane nel Servizio di Gastroenterologia di Marsiglia;nel 1984 ho frequentato per un mese il Servizio di Gastroentero-logia di Bruxelles e dal 1985, ho frequentato ripetutamente ilServizio di Gastroenterologia di Amsterdam.Dal 1989 Primario di Gastroenterologia del Servizio di Gastro-enterologia dell’Arcispedale S. Anna di Ferrara.Nel 1990-91 ho eseguito con il collega Prof. A. Liboni, circa 20colecistectomie per via laparoscopica, poi ho smesso e ho giu-stamente lasciato andare avanti i chirurghi.Dal punto di vista scientifico, i miei interessi principali sono: lemalattie infiammatorie croniche intestinali, la cirrosi e le suecomplicanze, l’infezione da Helicobacter Pylori, la patologiadelle vie biliari e pancreas e recentemente ho avviato un pro-

gramma di prevenzione del cancro del colon in soggetti a rischio.Mi sono interessato del “Consenso informato in endoscopia di-gestiva”, della “Disinfezione in endoscopia” (prima pubblica-zione nel 1984), dei “Rischi da incidente elettrico” (Endoscopy 18211-212, 1986) e della “Sedazione in endoscopia” (Acta Endosco-pica Vol 17 N° 1 1987).

Nel 1984 ho organizzato un “Corso Nazionale per infermieri diEndoscopia Digestiva”: in pratica è stato il Primo Corso Italianoe ricevetti 750 iscrizioni. Nel 1987 ho organizzato un Meeting Internazionale sul Campy-lobacter Pylori, che è stata la prima riunione sull’argomento inItalia e mi ricordo che diversi colleghi mi presero in giro dicendoche era un argomento di nessuna importanza. Alla riunione par-teciparono però alcuni giovani che poi sarebbero stati apprezzatinel mondo per i loro studi, vedi Vaira. Nel 1991 ho studiato e realizzato un set per paracentesi (pubbli-cato su Endoscopy), tuttora in uso, che poi diverse ditte hanno co-piato, perché non coperto da brevetto.

Sono nato nel 1940, lau-reato nel 1966, specializ-

zato in Medicina Interna aPavia nel 1972 ed in Malattiedell’Apparato Digerente aMilano, nel 1976.L’avvicinamento alla gastro-enterologia, come spesso ac-cade, è stato casuale. Hosempre voluto essere interni-sta ma mi sono accortomolto presto che sarebbestata un’impresa titanica.

Così, alla fine della specialità in Medicina Interna ho deciso cheavrei avuto bisogno di una sub-specialità. Eramolto di moda la cardiologia ma già allora(1972!) non mi è riuscito di trovare un postonelle varie scuole. Mi sono rivolto quindi allaScuola di Gastroenterologia (Prof. PaoloBianchi) su suggerimento del Prof. Aldo Ros-sini e questi sono stati i miei maestri. A quel tempo (medioevo passato remoto!) lespecializzazioni duravano due anni, o unosolo se si era già in possesso di un’altra. Lamia idea iniziale era proprio questa: di ini-ziare un corso di un anno… tanto per tenermiallenato. Male m’incolse! Il corso sarebbedurato quattro anni ed ho scoperto prestoche la gastroenterologia senza endoscopianon avrebbe avuto alcun senso.La mia preparazione in Endoscopia è statada autodidatta (nel mio ospedale Terruzzi ed io eravamo i primie gli unici a maneggiare endoscopi). È iniziata subito una lunga

peregrinazione (che spero non finisca presto) attraverso con-gressi, corsi e frequenze in centri: non posso dimenticare il pri-mo corso di Mirelli e Fichera e la prima frequenza da Spinelli al-l’Istituto dei Tumori.Ho poi aggiunto congressi e corsi in Italia ed all’estero. Moltoutili sono state le numerose frequenze (brevi purtroppo) in Unitàdi Endoscopia in Italia ed all’estero. Posso citare Trieste (Bel-sasso), Londra (Burroughs), New Haven (H. Spiro), New Yorkalla Cornell (Rigas), Amsterdam (Huibregtse), la Cleveland Cli-nic (molto proficua la consuetudine con Fiocchi, Sivak e Zuccaroe l’amicizia con Edgar Ackhar che sarà il prossimo presidentedell’American College of Gastroenterology), la Mayo Clinic (Go-stout) fino all’ultimo a Durham alla Duke da Baillie. Purtroppocon il passare degli anni e la pigrizia i soggiorni sono diventati

sempre più brevi ma… questa è la vita. Molto importante per la mia preparazione èstata la consuetudine con gli amici che ave-vano cominciato prima di me, da Curzio e Ber-nasconi (Varese) a Prada e Rocca ed a tuttiquelli che hanno partecipato alla vita del “co-siddetto” GRUPPO di RHO. Come tutti, ho cominciato con la gastroscopiadiagnostica, cui ho via via aggiunto le altre en-doscopie integrate dall’operatività. Mi sonodedicato molto, prima dell’avvento delle meto-diche di imaging, alla laparoscopia (allora eraesclusivamente medica). Ancora come tuttinon faccio eccezione nel preferire l’endoscopiadelle vie biliari per la sua difficoltà tecnica (lasfida) ma l’interesse prevalente ora è il coloncon le IBD ed il cancro, sopratutto dal punto

di vista dello screening.Le pubblicazioni sono molto meno di quante avrei voluto e molti

Giorgio Minoli

“...Una forte esperienzainternazionale”

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

sono articoli di commento. Tutte sono state per me importantinon per i risultati, ma per lo stimolo alla preparazione ed al con-fronto con le altre realtà. Abbiamo in genere “lavorato” cer-cando di dare risposte ai quesiti che incontravamo nell’attivitàclinica e quindi la nostra è stata una ricerca clinica ed endosco-pica. Ultimamente l’attenzione si è concentrata sulla qualitàdella colonscopia (appropriato uso) (Minoli G., Prada A., Gam-betta G., Formenti A., Schalling R., Lai L., Pera A.: The ASGEguidelines for the appropriate use of upper gastrointestinal en-doscopy in an open access system - Gastrointest Endosc. 1995 Nov;42 (5): 387-9) (Minoli G., Meucci G., Prada A., Terruzzi V., Bor-toli A., Gullotta R., Rocca F., Lesinigo E., Curzio: M Quality as-surance and colonoscopy. Endoscopy. 1999 Sep; 31 (7): 522) esulla possibilità di sviluppo della colonscopia virtuale grazie allacollaborazione con i colleghi radiologi. Non ho episodi curiosi da raccontare, per lo meno non me ne ri-cordo di degni di menzione. Forse il vero “episodio curioso” èl’aspettativa che qualcuno possa essere interessato a quello cheho scritto.

Sono nato a Paganica(AQ) il 1° luglio 1950;

ho conseguito la maturitàclassica presso lo storico li-ceo romano Giulio Cesarenel 1969.Il 3 novembre del 1976 hoconseguito la Laurea in Me-dicina e Chirurgia presso l’U-niversità degli studi di Roma“La Sapienza” e successiva-mente nel 1979 il Diplomadi Specializzazione in Chirur-

gia dell’Apparato Digerente ed Endoscopia Digestiva semprepresso l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, e quindinel 1985 il secondo Diploma di Specializzazione in ChirurgiaGenerale presso l’Università degli Studi di Pisa, nella scuola di-retta dal Prof. E. Selli.Sin dal periodo immediatamente precedente alla laurea comestudente interno, poi come Medico Interno Universitario e suc-cessivamente come studente della scuola di specializzazione equindi nelle varie tappe della carriera universitaria ho semprefrequentato l’istituto di III Clinica Chirurgica del PoliclinicoUniversitario Umberto I di Roma, eccezion fatta delle parentesilegate al periodo di leva ed all’esperienza come ricercatore Uni-versitario presso la cattedra di Semeiotica Chirurgica diretta daProf. Gentileschi della II Università di Roma “Tor Vergata”.Presso la III Clinica Chirurgica del Policlinico Universitario Um-berto I di Roma si sono quindi formate le mie radici di medico edi specialista; in tale periodo, in quelle mura era nata una delleprime scuole italiane di endoscopia chirurgica grazie all’impe-gno e alla dedizione del Prof. Alberto Montori, mio maestro. Èstato pertanto fatale che i miei interessi di giovane medico si in-dirizzassero verso una metodica nuova che lasciava immaginaregrandi possibili sviluppi diagnostici e terapeutici e soltanto epi-

sodico ricordare come mi ritrovai, per caso, ad assistere ad unadelle prime polipectomie endoscopiche eseguite, e come rimasiaffascinato dalla possibilità che la metodica endoscopica of-friva di “operare” senza “operare”.

Rispetto ad altri illustri colleghi mi ritengo pertanto più fortu-nato in quanto essendo nato e cresciuto accademicamente inuna importante scuola di endoscopia chirurgica non ho avutol’impellente necessità di dover effettuare viaggi all’estero perimparare la metodica in quanto il maestro l’ho avuto in casa,pur ricordando con affetto i diversi viaggi effettuati per perfe-zionare la metodica come quello nel 1980 quando ho raggiuntoGiovanni Viceconte ad Edimburgo da Bill Circus per gli studisulla f isiopatologia della papilla di Vater e la messa a puntodella manometria dello sfintere di Oddi.Sin dai primi tempi della mia attività endoscopica mi sono de-dicato con dedizione allo studio dell’esofago alla sua fisiopato-logia e alle tecniche endoscopiche di trattamento e palliazionedelle sue patologie; ho effettuato quindi una discreta espe-rienza nel posizionamento di endoprotesi esofagee seguendol’evoluzione storica e tecnologica della metodica, dai primi,pionieristici prototipi di protesi in plastica ai moderni stent inmateriale metallico a memoria di forma.Ho iniziato da subito a seguire da vicino tutte le ERCP eseguitepresso il mio Istituto universitario e nel 1981 ho eseguito la miaprima sfinterotomia endoscopica.Negli stessi anni sulla scorta dell’esperienza maturata nelcampo delle dilatazioni esofagee ho effettuato tra i primi in Ita-lia la dilatazione pneumatica di una stenosi cicatriziale post-operatoria del colon.Ho da sempre seguito inoltre, con estrema attenzione ed amoreper la metodica tutta, in maniera continuativa ed omogenea, lediverse discipline della pratica endoscopica quali il trattamento

dei sanguinamenti superiori ed in particolare delle varici esofa-gee, con sclerosi e legatura elastica, la rimozione di corpi estra-nei, le polipectomie; ho sempre, nel corso del tempo, tempesti-vamente utilizzato i vari strumentari quali le Clips, l’argon Bea-mer, l’Endo Loop che il progresso tecnologico ha messo a dis-posizione di noi endoscopisti .Vanto una lunga militanza nella SIED con impegno in diversecariche sociali quali segretario di presidenza del Prof. Giovanni

Vincenzo Pietropaolo

“Alla scuola di Montori era cosa naturaleinnamorarsidell’Endoscopia”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Marcozzi nel 1979, segretario della sezione Lazio-Abruzzo-Mo-lise-Marche ed Umbria da 1980 al 1985, consigliere tesorieredella sezione laziale dall’1985 al 1987 e presidente della sezionelaziale nel 1997.

Numerosi sono gli episodi diversi, bizzarri, piccanti, divertentiche arricchiscono l’aneddottica di un medico endoscopista cheesercita la professione da diversi anni. Tra i tanti due entrambi legati all’universo delle polipectomie.Il primo è ambientato nei locali dell’endoscopia dell’istitutounivesitario dove lavoro; erano gli esordi della mia attività ederavamo in attesa di un paziente da sottoporre ad una polipec-tomia di un polipo del grosso intestino quando è entrato nellastanza dedicata agli esami un distinto signore sulla cinquantinache è stato immediatamente invitato dal personale a prepararsiall’esame e quindi a togliersi pantaloni e mutandina; a nullavalsero le timide perplessità appena accennate dal “paziente”:“io devo parlare con l’endoscopista” tant’è che questi si ritrovò

in pochi minuti al centro della stanza coperto di un solo len-zuolo avvolto intorno al corpo; solo a tal punto il pazienteprese un pò di coraggio ed esclamò con maggior decisione “iodevo solamente parlare con l’endoscopista non devo eseguirealcun esame” tra l’ilarità generale.

Un secondo episodio è ambientato in un piccolo ospedale diprovincia dove sottoposi un paziente ad una polipectomia diuna grossa formazione polipoide del sigma; al termine dell’e-same mi accingevo a spiegare quanto avvenuto nel dettaglio equindi a consigliare terapia ed indicazioni dietetiche quandonotavo un’estrema resistenza e perplessità del paziente. Cercaiquindi con pazienza di ripetere dall’inizio quanto accaduto e lenecessarie prescrizioni quando il paziente, spazientito, esclamòcon veemenza che era assolutamente impossibile che gli fossestato tolto un polipo in quanto lui non ne aveva mai mangiati!!È evidente come il consenso informato fosse stato chiaro edesaustivo!!!

Quando ero giovane vole-vo fare l’archeologo, ma

nella scelta universitaria sonostata vittima delle ideologiedegli anni ’60 basate sulla ne-cessità di impegnarsi su qual-cosa di socialmente utile. Lacultura umanistica a me piùcongeniale sembrava un lussoda non potersi concederecome attività quotidiana ed èanche per questo che mi sonoiscritta a medicina. Mi spiace

di non poter avere una seconda vita per concedermi qualche lussoin più, ma in definitiva le cose sono andate bene anche così. Misono laureata l’8 marzo del 1968. Una data almeno singolare siaper l’anno storico delle contestazioni che per la ricorrenza della fe-sta della donna che allora cominciava ad avere significati e conte-nuti molto precisi. In realtà non sono mai statafemminista e di quegli anni mi è rimasto più cheuno spirito contestatore, un atteggiamento dabattitore libero.La mia prima specializzazione è stata Cardiologia,seguita a breve termine da Malattie respiratorie eMalattie infettive. Nel 1968, infatti, la Gastroente-rologia era una disciplina minore e l’Endoscopiadigestiva un oggetto oscuro di cui non avevo al-cuna nozione.

L’incontro con il Prof. G. Nava in quello stessoanno fu determinante. Avevo cominciato a fre-quentare il suo Reparto di Medicina, per la suafama di ottimo clinico ma scoprii presto che avevauna particolare predilezione per le malattie dige-

stive. Era stato tra i primi in Italia ad eseguire biopsie epatiche e lapa-roscopie diagnostiche. Una o due volte a settimana poi, si chiudevain una stanza buia, introduceva un primordiale gastroscopio flessi-bile (la Gastrocamera cieca) e muovendo lo strumento un po’ più giùe un po’ più giù, lo indirizzava nei vari segmenti dello stomaco gui-dandolo per transilluminazione sulla parete addominale; scattavaquindi una serie di foto che poi venivano sviluppate e refertate.

Oggi tutto ciò può apparire scontato, ma allora c’era un alone dimistero in queste pratiche che apparivano come una qualche stre-goneria. Certo mancavano del tutto riferimenti bibliografici, lineeguida, manuali. Tutto ciò che a seconda delle opinioni ci ha diver-tito o straziato nei decenni successivi come qualità, accredita-mento, sedazione, disinfezione erano del tutto ignoti e in granparte poco nota era anche la patologia gastrica. Era inevitabile la-sciarsi coinvolgere e così è stato con la gastrocamera che ho co-minciato e non ho più lasciato, seguendo passo passo tutto l’evol-versi delle tecnologie endoscopiche.

Giovanna Pippa

“… Volevo fare l’archeologo ma finii per prendere cinque specializzazioni in medicina!”

Giovanna Pippa durante un viaggio in Patagonia

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Credo capiti raramente in un percorso lavorativo di potersi impe-gnare in una linea di attività innovativa e di averne la consapevo-lezza: una esperienza unica e non ripetibile. Ma c’è anche il ricordodella meraviglia delle prime osservazioni in diretta della cavità ga-strica con un grandangolare; queste cose hanno lasciato una granluce, come un sogno colorato.

Per la preparazione di uno dei miei primi lavori scientifici dei circa100 che l’hanno seguito, il Prof. Nava con una punta di ironia mifornì una pubblicazione tratta da Gastroenterologia Japonica, di cuiera in qualche modo affezionatolettore, scritta in giapponese esenza sunto in inglese. Sul giap-ponese ci misi subito una pietrasopra, ma realizzai come fosseessenziale studiare almeno l’in-glese per non essere tagliatifuori dall’aggiornamento. Co-minciò questa lotta impari dellostudio di questa lingua a cui hodedicato certamente moltotempo senza riuscire mai a dive-nirne padrona, ma alla fine ci siarrende: quello che so è ade-guato allo scopo e bisogna sa-persi accettare.

Nel ’73 ottenni una Borsa di stu-dio annuale dal Ministero dellaSanità sull’importanza della Co-lonscopia e della polipectomianella prevenzione delle neoplasiedel rettocolon. Alla luce dellanostra conoscenza attuale tuttociò può apparire banale ma allora sembrava particolarmente intri-gante visto che le colonscopie avevamo imparato a farle da pocotempo e da autodidatti e così le polipectomie.

In quegli stessi anni presi la specializzazione in Gastroenterologia epoco più tardi, ai primi degli anni ’80, quella in Chirurgia addomi-nale ed Endoscopia digestiva presso la scuola diretta dal Prof.Montori che mi accolse con grande generosità. E con la quintaspecializzazione terminò finalmente il mio percorso di discente.Negli ultimi 10 anni incarichi di insegnamento di Endoscopia Dige-stiva e di Gastronterologia per alcune scuole di specializzazionedell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e per la Scuola Me-dica Ospedaliera di Roma e della Regione Lazio, hanno portato auna inversione di ruoli e ritengo che abbiano avvicinato alla pato-logia digestiva più di qualche giovane.

La carriera ospedaliera è stata lunga e tormentata e il primariatonella disciplina è arrivato molto tardi. Ho spesso constatato di nonavere il “fisico del ruolo“ anche se il ruolo l’ho avuto e l’ho svoltotutto. Basta ricordare le richieste di approvvigionamento di stru-menti endoscopici pressanti e puntuali con tutte le ammini-strazioni che si sono succedute; un atteggiamento “appassionato”e determinato che ha fatto assimilare il mio rapporto con gli appa-recchi alla serie “erano tutti figli miei”. Questo mi ha proba-

bilmente consentito di ottenere più di altri prestigiosi centri diRoma. Ma è sempre una questione di punti di vista. Pochi anni fala visita alla mia Unità del Capo Dipartimento della Gastroente-rologia di uno dei grandi Ospedale di Tokyo ha smorzato questeimpressioni trionfalistiche, lui aveva 10 volte di più.Tra i meriti certi che mi posso attribuire, credo di poter affermaredi aver istituzionalizzato la disciplina di Gastroenterologia nel mioospedale, il S. Eugenio di Roma e di aver creato un gruppo piccolo,ma compatto e poco litigioso, che è oggi in grado di far fronte atutte le esigenze di endoscopia digestiva dalle più semplici alle più

invasive. Soprattutto, nes-suno di loro sta contando glianni in attesa di veder libero ilmio posto e questo rappre-senta una consolazione nondi piccolo conto.

I miei rapporti con la “casamadre” cioè la SIED, sonostati costanti e attivi fin dall’i-nizio. Ho dato ma ho anchemolto preso con un bilancioche ritengo equilibrato.Una lunga attività lavorativaconsente anche alcune consi-derazioni generali. Molte pa-tologie sono cambiate ecambia così anche il nostrolavoro quotidiano: le ulceregastriche sono diventate unararità, le ulcere duodenalistanno sparendo, Helicobac-ter pylori sembra aver rag-giunto l’apice della curva

gaussiana e il tormentone per il prossimo decennio sembra esserela malattia da reflusso; le neoplasie esofagee sono più spessoadenocarcinomi, ma questo cambia poco sul destino individualedi chi ne è affetto; la patologia del colon è in aumento o c’è unamaggiore sensibilità al riguardo.L’endoscopia, che ho avuto la fortuna di vivere dai suoi inizi, hadato un impulso determinante alla ricerca clinica e farmacologica,consentendo di scrivere nuovi capitoli di medicina e rivitalizzandola gastroenterologia. Oggi i maggiori successi si hanno con l’endo-scopia operativa e in alcuni casi si corre il rischio di privilegiaretroppo le soluzioni tecnicistiche rispetto a quelle cliniche. Ma an-che qui bisogna essere pronti alle evoluzioni tecnologiche o ai ri-torni all’antico. La radiologia tenta di erodere alcuni settori; la mi-crotelecamera, se assumerà un ruolo più significativo, ci riporteràalle origini della gastrocamera e alla necessità di sviluppare le im-magini; la genetica medica ridurrà forse il numero di prestazioni in-vasive e ci riporterà a rituffarci nella clinica.Mi piacerebbe sapere come andrà a finire nei prossimi 30 anni, mipiacerebbe soprattutto partecipare.

Giovanna Pippa e sullo sfondo il Volga

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Laureato in Medicina e Chi-

rurgia il 30 luglio 1976 aNapoli, presso la II Facoltà diMedicina e Chirurgia del-l’Università degli Studi di Na-poli. Specialista in Chirurgia il14 luglio 1981 a Parma. Spe-cialista in Chirurgia dell’appa-rato digerente ed endoscopiadigestiva il 7 luglio 1987 pres-so l’Università degli Studi diMilano. Ho iniziato la mia attività en-

doscopica nel 1979, quando come giovane assistente chirurgosono stato assunto nella II Divisione di Chirurgia generale dell’Arci-spedale S. Maria nuova di Reggio Emilia. Una mattina Bedogni miha chiesto se nei momenti liberi dall’attività di reparto o di salaoperatoria, potevo coadiuvarlo nell’ambulatorio di Endoscopia.Ho accettato volentieri il suo invito, soprat-tutto per curiosità, poiché allora non avevoancora avuto occasione di sperimentare lepotenzialità e l’operatività dell’endoscopia.La mia frequenza nell’ambulatorio di endo-scopia si è sempre più intensificata, di paripasso con l’incremento dell’attività e l’intro-duzione di nuove e più sofisticate metodi-che. Nel 1987 ho definitivamente abbando-nato l’attività chirurgica e mi sono dedicatoa tempo pieno all’endoscopia digestiva.La mia formazione professionale in endo-scopia si è svolta sotto la guida del mioMaestro il Dottor Giuliano Bedogni. Hoavuto così la possibilità di maturare espe-rienza gastroenterologica ed endoscopica didiagnosi e terapia, in elezione e in emer-genza. La sperimentazione e l’introduzionedelle varie tecniche endoscopiche nella miaattività professionale sono andate di paripasso con quelle del dottor Bedogni.I campi di particolare interesse della mia at-tività professionale sono stati quelli dell’endoscopia operativa e inparticolare di quella bilio-pancreatica. Alcune esperienze hannocostituito un punto di riferimento per molti colleghi e mi riferiscosoprattutto alIa sfinterotomia nel gastroresecato, al trattamentodelle stenosi neoplastiche o iatrogene delle vie biliari, alle dilata-zioni delle stenosi del retto colon, alla asportazione dei grossi po-lipi del grosso intestino. Negli ultimi anni ho avuto l’opportunità disperimentare nuove tecniche gestionali e organizzative (Sistemiqualità ISO 9000, Certificazione, Accreditamento e managementsanitario).

Vorrei citare due episodi che hanno “segnato” la mia storia conl’endoscopia. Il primo si riferisce al Simposio Nazionale SIED diCatania del 1982. Questa manifestazione, organizzata periodica-mente in quegli anni con precisione e passione dal prof. A. Russo,fu per me un appuntamento importante, e vide la partecipazionedi molti endoscopisti italiani, per la maggior parte giovani comeme. Ricordo in particolare la relazione di Giacosa, che riportando

uno studio condotto dal gruppo del prof. Cheli, dimostrò che“l’endoscopia d’urgenza in corso di emorragia digestiva alta… ab-brevia il tempo di ospedalizzazione, senza peraltro modificare iltasso di mortalità riferito ad ogni singola causa di sangui-namento”. I risultati di Giacosa frenarono notevolmente i nostrientusiasmi e scatenarono le ire del “sanguigno” C. Ghezzi di Mi-lano, che aveva già allora maturato una notevole esperienza in que-sto campo. Ghezzi infatti replicò nella sua relazione che “l’endo-scopia d’urgenza era di valido ausilio, purché affidata a perso-nale… di vasta esperienza nell’urgenza gastroenterologica in generee nell’ambito di una struttura con mansioni di chirurgia d’urgenzae rianimazione”. Ma non è solo questo il motivo per cui ricordo edesidero riportare questa esperienza. Al Simposio, infatti, per laprima volta, per il vincolo di sincera amicizia e stima che legavanoil prof. Oselladore con il dott. Bedogni, i nostri gruppi collabora-rono per la presentazione di cinque comunicazioni su l’endoscopiaoperativa biliare (litotrissia meccanica perendoscopica, drenaggi eprotesi biliari e sfinterotomia), la polipectomia del colon e le oc-

clusioni intestinali.

Questa collaborazione continuerà an-che dopo il Simposio e porterà allapubblicazione, nell’anno successivo, delvolume edito da Piccin, veicolo dell’e-sperienza dei due gruppi. Ricordo an-cora oggi con piacere le discussioni in-terminabili ma costruttive, le propostedi nuove tecniche, le modifiche e le inte-grazioni che continuamente venivanofatte al volume, poiché c’era semprequalcosa di nuovo da inserire e qual-cosa di vecchio da cambiare. Nel Sim-posio di Catania del 1982 ebbi l’oppor-tunità di discutere le nostre esperienzecon tanti colleghi che nelle varie regioniitaliane riversavano altrettanta passioneper l’endoscopia e di stringere tantenuove amicizie, che si sarebbero poiconsolidate negli anni successivi. Inquel simposio SIED mi resi conto del-

l’importanza della associazione e delle sue potenzialità. Da allorasono stato sempre più legato alla SIED e mi sono impegnato af-finché la associazione potesse assolvere il suo mandato. Tutti icolleghi che ho conosciuto grazie alla SIED sono stati e sono perme tanti amici e so di poter contare su di loro, così come speropossa io fare altrettanto. Più di una volta viaggiando mi è venutoin mente che, grazie alla SIED, quasi in ogni città italiana avreiavuto un amico su cui contare in caso di bisogno.

Il secondo episodio è più recente e si riferisce al 1995. Una mattinadopo avere terminato una ERCP particolarmente indaginosa, la se-gretaria del nostro Servizio, molto preoccupata, ha chiesto di par-larmi con urgenza. “Ci sono due parenti molto agitati che devonoparlarle per un paziente sottoposto ieri l’altro a ERCP. Ho control-lato nel registro e quell’intervento l’ha fatto lei”. Da molto tempoabbiamo deciso che le richieste di informazioni vengano esauditedal medico che ha effettuato l’indagine e così, ancora con il ca-mice di piombo addosso, sono andato in segreteria. Mi sono tro-

Enrico Ricci

“… È importante saper fare bene il proprio lavoro,ma è altrettantoimportante poter contaresu una organizzazioneefficiente”

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

vato di fronte ad una signora di circa settanta anni e ad un uomo,alto, con i capelli corti e nerissimi che sembrava aver da poco supe-rato i trenta.“Ci hanno detto di parlare con Lei” ha detto l’uomo, “Sono il figliodel signor… che lei ha operato due giorni fa”. Ho capito che si trattava di un paziente alquale avevo posizionato una protesi biliareper una neoplasia inoperabile delle vie biliari.Ho cominciato allora a riassumere la storiaclinica del paziente, sottolineando i problemidel caso, l’inoperabilità comprovata dalla la-parotomia esplorativa a cui era stato sottopo-sto quattro giorni prima. L’intervento endo-scopico che avevo eseguito in quel pazientenon era stato semplice e ho così ricordato aimiei interlocutori che avevo sudato un bel po’prima di completare il posizionamento dellaprotesi. “Alla fine sono stato molto soddi-sfatto del risultato, così che penso che la qua-lità di vita del vostro familiare potrà essere mi-gliore” ho concluso con soddisfazione. Mi hanno lasciato parlare, ma hanno continuato a guardarmi conevidente impazienza e un certo nervosismo, tradito ogni tanto daun colpetto di tosse, una occhiata furtiva, un respiro un pò piùprofondo. Non ho dato peso a questi segni, interpretandoli solocome una reazione a quanto stavo dicendo, così ho continuato nelmio discorso e sono passato ad illustrare la prognosi e le modalitàdi follow up. Le mie parole correvano veloci, ma nonostante i mieisforzi non percepivo altro che indifferenza, non avevo la sensazionedi essere stato capito. L’esperienza mi ha insegnato a dosare le in-formazioni e a capire se i miei messaggi vengono compresi, così dasapere quando è il momento di fermarmi. Ma in questo caso nonaccadeva niente di tutto ciò, così ho continuato a parlare, cer-cando nuove parole per spiegare quanto avevo già detto, finchél’uomo non mi ha fermato alzando lentamente la mano destra,quasi ad arrestare con il palmo della mano il fiume di parole che loinvestiva. “Ma dottore, non è di questo che vogliamo parlarle, ci è già statospiegato tutto”! A questo punto mi sono bloccato e li ho guardati interrogati-vamente.“Vogliamo sapere perché mio padre ha dovuto aspettare più diun’ora, seduto in carrozzina, prima di entrare nella sala endosco-pica”. Ero chiaramente imbarazzato, perché la domanda mi aveva coltocompletamente impreparato. “Non lo so” ho risposto. “Ma in reparto mi hanno detto che è stato Lei a dare disposizionedi portare mio padre in Endoscopia”!“Può darsi, ma per darle una risposta devo capire cosa è suc-cesso”.

Li ho quindi pregati di aspettarmi e sono andato a prendere la li-sta operatoria di quel giorno. Ho così ricostruito quanto era ac-caduto. “È stato uno spiacevole incidente” ho esordito. “Dopoaver chiamato il reparto per trasportare il vostro familiare inendoscopia, abbiamo avuto una emergenza, poiché la paziente

che era in quel momento in sala endoscopicaha avuto una complicanza emorragica, che haprolungato l’intervento oltre le previsioni”. Hocontinuato a rivolgermi all’uomo, poiché finoa quel momento la signora non aveva mai par-lato, anzi mi era sembrata assente. “Ci dovete guardare, però, a queste cose!” hadetto improvvisamente la Signora con voce stri-dula. “Mio marito era stato appena operato enon è stato piacevole aspettare per un’oraseduto su di una sedia a rotelle”. “Ha ragione, Signora, non capisco perché l’-hanno inviato su di una sedia e non in barella”ho replicato. “Comunque si è trattato di una e-

mergenza, di una situazione quindi non prevista enon prevedibile”.

“Cercate comunque di “guardarci “ a queste cose in futuro!” ha ri-badito l’uomo. “Guardi che ci “guardiamo”, il programma dei nostri interventi èfatto proprio per cercare di minimizzare le attese e poi, per noi, i ri-coverati hanno sempre la precedenza”. A questo punto mi sono in-terrotto, perché ho capito che qualunque cosa avessi detto, nonavrebbe cambiato il loro atteggiamento. “Grazie, cercheremo in fu-turo di stare più attenti” ho concluso dirigendomi verso la portaper congedarli, ma sull’uscio della stanza la donna si è arrestata eguardandomi negli occhi con una intensità fino ad allora inaspet-tata, mi ha ripetuto: “Cercate di fare in modo che questo non ac-cada più”. Sono andati via velocemente. Sono rimasto un bel po’ a pensare,cercando consolazione in una tazza di caffè bollente. Ma anche ilcaffè, al contrario del solito, non mi ha consolato e per tutto ilgiorno sono stato di pessimo umore.

La qualità tecnica del mio intervento non aveva per niente influitosulla qualità percepita dal paziente e dai suoi familiari, né avevasortito alcun effetto la spiegazione del ritardo che avevo fornito,anche se dovuto ad una emergenza. I miei interlocutori davano perscontato che l’intervento endoscopico, anche se difficile, fosse pie-namente riuscito. Il problema organizzativo aveva però comple-tamente vanificato il risultato del mio intervento.

Da allora ho capito che era importante saper fare bene il mio la-voro, ma che era altrettanto importante poter contare su una or-ganizzazione efficiente. Il mio impegno nel miglioramento dellaqualità è diventato da quel momento sempre maggiore.

Un giovane Ricci

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Gianpiero Rigo si racconta ed è un rac-conto interessante. È la storia di un me-dico che ha visto nascere e ha convissutocon l’endoscopia.Leggere la sua storia è come leggere l’evo-luzione dell’endoscopia e molti di noi, chehanno vissuto questo periodo storico, nesono certo, si immedesimeranno in que-sta “avventura con l’endoscopia”. Rigo èil personaggio che più di altri ha saputocollegare in perfetta armonia l’endo-scopia storica con l’endoscopia moderna.Ma ascoltiamo il racconto.

Èmolto presto in una mattina afosa, sto prendendo un caffèmentre guardo il giardino che sembra avvolto in una nebbia

leggera di quelle che in Emilia ci possono essere in giornate prima-verili o autunnali. Sono già vestito ma è troppo presto per andareal lavoro. Poco prima mi ero fatto la barba e mi ero guardato allospecchio dove avevo visto il mio viso invecchiato e una certa me-lanconia mi aveva attanagliato,melanconia per gli anni passati,melanconia per quello che nonavevo realizzato, melanconia perquello che non avrei più potutorealizzare. Ero stato la mattinaprima con il dottor Ragno dalProf. Mario Coppo per intervi-starlo sulla storia dell’endosco-pia a Modena… Uno stato di in-cipiente depressione? Il caffè mi sta rinfrancando e,nella casa silenziosa, incomincioad analizzare quello che ho rea-lizzato nella vita: sono felice-mente sposato, ho una figlia esono già nonno, gli affetti per-tanto sono sicuri e stabili. Il la-voro va bene, sono responsabiledi un servizio di endoscopia anorma, costruito nel tempo conla collaborazione di medici, infer-mieri, ausiliari che da anni vivonola mia stessa vita e che hannoscelto di fare il mio stesso lavoro.Tra tutti, il dottor Mario Periniche mi è vicino da più di tren-t’anni e che ha vissuto gli anniforse più belli, quelli dell’affer-mazione della tecnica. Non hoparticolari interessi al di fuoridella pratica medica perché gli altri si sono stemperati nel tempo ela professione mi ha lasciato pochi margini. Che cosa mi manca?In effetti non mi manca nulla per essere felice… e, come facciosempre nei momenti di crisi, per superarli, analizzo il passato, lescelte, gli errori e mi rinfranco pensando al fatto che ho vissuto fa-cendo un lavoro che non mi è mai pesato, mi ha dato la possibilitàdi esprimermi, è stato un mezzo di conoscenza di personaggi parti-

colari e mi ha permesso di frequentare e insegnare a giovani nell’U-niversità ed a colleghi più anziani di me, che mi ha fatto conosceremedici di altissimo livello, mi ha riempito la vita e dato più gioieche dolori. Vado a prendere la macchina per recarmi al lavoro, in un ambientegradevole, a svolgere quell’attività che ho scelto e che pratico daoltre trentasette anni, ma sento una sottile ansia che non passa escopro che è dovuta alla promessa fatta all’amico Felice Cosen-tino, segretario e motore insostituibile della SIED, di inviargli un ca-pitolo sulla storia dell’endoscopia digestiva attraverso la mia espe-rienza, promessa fatta un paio d’anni fa e che non ho ancora man-tenuto. Mi domando come raccogliere e ordinare i ricordi per spie-gare la mia scelta per l’endoscopia, quali siano state le pulsioni piùantiche e rammento tre fatti importanti. Il primo, un’innata curio-sità verso l’interno del corpo umano: a otto anni avevo tagliatotutti gli addomi delle bambole delle mie sorelle per vedere comefossero fatte dentro; il secondo sicuramente lo spirito di emula-zione verso mio padre Antonio, chirurgo, che avevo spesso seguitoin sala operatoria dove praticava cistoscopie, tecnica appresa neglianni venti in Germania, ed infine una naturale tendenza a impe-

gnarmi in attività artigianali dovele mani e gli strumenti possonodeterminare effetti tangibili im-mediati e nel lungo periodo,parlo di artigianato in senso no-bile e non spregiativo. Parlo diquegli uomini che riescono a rea-lizzare un progetto dopo averloelaborato mentalmente e, conpassione e costanza, riescono amodificarlo e ad adattarlo a esi-genze generali e a renderlo dispo-nibile per tutti: sono un lom-bardo che si è trasferito in Emi-lia…

Negli anni Sessanta l’interesseprincipale della clinica medica erarivolto all’epatologia, ma in que-sto ambito non ritenevo di tro-vare uno spazio di ricerca partico-lare e personale, il laboratorionon mi attirava, non trovavo sod-disfazione neppure nelle specula-zioni scientifiche pure, volevo tro-vare una branca dove poter appli-care in modo diretto la mia atti-vità sulle malattie.

Dopo la laurea e l’abilitazioneero entrato nello studio del di-

rettore della Clinica Medica Prof. Mario Coppo per chiedergli difrequentare la clinica come assistente volontario. Avevo ricevutol’assenso ad essere medico frequentatore e il consiglio di coltivarela ricerca sulla scintigrafia epatica, che a quei tempi era una dellemetodiche più efficaci per lo studio della morfologia del viscere.Con grande coraggio, per quei tempi, gli avevo risposto che l’atti-vità scintigrafica non mi interessava per la sua staticità e gli avevo

Gianpiero Rigo

“… La mia prima firma su un referto endoscopicoè del 1965”

Gianpiero Rigo a braccetto con il Prof. Mario Coppo sotto i portici di piazza S. Francesco dopo una cena per la pubblicazione del libro

“Dizionario delle analisi e delle ricerche cliniche d’uso corrente” di P. Gibertini, M. Coppo - Piccin Editore 1990.

Da notare la dedica di Coppo sulla foto

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

chiesto di seguire la ricerca del prof. Luca Loiodice sui primiesperimenti endoscopici per lo studio del tratto superiore deltubo digerente. Luca Loiodice praticava endoscopie con il “flexi-ble examining gastroscope di Schindler“ costruito dall’AmericanCystoscope Makers Inc N.Y. Lo strumento di Schindler. Quanti ricordi. Lo strumento era costi-tuito da una porzione rigida in metallo e da una porzione in gom-ma in cui erano contenute alcune lenti che consentivano solo unaparziale visione dello stomaco.L’illuminazione era procurata da una lampadina posta sul termi-nale che veniva attivata dalla corrente e modificata nella sua lumi-nosità da un “Wappler diagnostic light controller“, l’insufflazionedi aria per ottenere la minima distanza focale che rendeva possibilela visione era ottenuta premendo due pere di gomma collegate at-traverso un tubo allo strumento, ciò che consentiva l’insufflazioned’aria ma non l’aspirazione. Con questo strumento a visione late-rale era esclusa qualsiasi visione dell’esofago ed era consentitaesclusivamente la visione parziale del viscere gastrico senza possibi-lità di esplorare il fondo e l’antro. Era uno strumento terribile, i pa-zienti erano obbligati a sostenere l’indagine come un debito allascienza e solo coloro che non riuscivano ad opporsi si sottopone-vano a tale tortura. Il paziente in quei tempi non aveva potere deci-sionale sulla salvaguardia della propria salute e per solito venivanosottoposti vecchi pazienti edentuli e in chi possedeva ancora ladentatura veniva asportato qualche dente per facilitare il passag-gio dello strumento. Sarebbe stato sufficiente assistere ad una solaseduta per perdere ogni entusiasmo. Di questo strumento avevosentito parlare dal Prof. Loiodice quando, studente, frequentavo laClinica Medica. A quei tempi vi era una netta distinzione sui com-piti e ruoli dei medici nella clinica e, già da metà degli anni cin-quanta il Prof. Franco Bertolani praticava laparoscopie, il Prof.Giuseppe Di Marco rettoscopie e Loiodice iniziava ad interessarsidi endoscopia digestiva alta. Avevo frequentato come studentequalche seduta ed avevo cominciato a collaborare sempre piùstrettamente con Loiodice che, nel 1961, era entrato in possesso diuno dei primi fibroscopi flessibili e aveva fatto nei primi cinqueanni 192 endoscopie, con un tasso di insuccessi notevole o per in-tolleranza del paziente o per preparazione non corretta.

Felice Cosentino mi aveva chiesto non la storia dell’endoscopia mala mia storia con l’endoscopia. Perché ho scelto come interesse l’en-doscopia? Chi mi ha a insegnato a praticarla? In quali locali ho ini-ziato? Quali strumenti e farmaci salvavita avevo a disposizione? Dachi sono stato aiutato? Quali e quanti contrasti ho avuto con i colle-ghi per affermare l’utilità della tecnica?Sono stato, come tutti allora, un autodidatta sperimentando ognitecnica in clinica aiutato e indirizzato da Luca Loiodice che, per ilsuo ruolo, frequentava gli altri pionieri italiani come Mirelli, Celli,Arullani, Cheli, Banche, Fratton…, acculturandomi sulle rarepubblicazioni in cui erano rappresentate le varie patologie. Erano itempi in cui si frequentava la sala operatoria per controllare in-sieme al chirurgo l’esattezza diagnostica fatta in endoscopia. C’eraallora il pericolo di essere trattati come visionari interpreti di fanta-sie e l’endoscopia doveva essere preceduta o seguita dallo studioradiologico, anzi ricordo ancora che fino agli anni Settanta vi èstata una aspra diatriba con presentazione di casistiche più omeno ampie e di parte per dimostrare la supremazia della radio-logia sull’endoscopia e viceversa e ricordo le controindicazioni più

che le indicazioni all’esame endoscopico. Era un periodo in cui sidoveva anteporre l’esame radiologico a quello endoscopico, perevitare problemi medico legali, epoca in cui l’indagine era con-troindicata nei pazienti con varici o nei causticati, nelle sospette di-verticolosi esofagee, nei tumori cardiali, nelle emorragie… Ricordoquando, utilizzando strumenti a visione laterale che non consenti-vano la visione dell’esofago, si discuteva confrontandoci tra opera-tori se la sensazione di stop a livello esofageo e soprattutto car-diale doveva essere imputata ad una neoplasia o ad altra patolo-gia. Ho vissuto l’epoca dei contrasti verbali accesi nei congressicontro gli allora “baroni” della radiologia che si ritenevano pro-prietari assoluti della diagnostica endoluminale.

Dove praticavo endoscopie? Nell’ultimo ambulatorio per visiteesterne della Clinica Medica che guardava sulla via Emilia, alquinto piano del policlinico, nell’orario del pranzo, quando l’am-bulatorio non veniva utilizzato da nessun altro, spingendo perso-nalmente le barelle dentro e fuori l’ambulatorio, eseguendo l’endo-scopia con l’aiuto di un infermiere e molto spesso con la sempliceassistenza di uno studente. L’ambiente era piccolo e privo di qual-siasi strumento di rianimazione, non avevo a disposizione farmacisalvavita che la suora teneva gelosamente chiusi in un armadio,non avevo a disposizione un elettrocardiografo e, quando un pa-ziente era colpito da crisi cardiache, respiratorie o di altro tipo, do-vevo chiamare l’anestesista che poteva più o meno essere libero etrovarsi al piano terra nei locali della rianimazione o impegnato inqualche sala operatoria o rivolgermi ai colleghi della Clinica Chi-rurgica diretta dal prof. Pezzuoli. Ricordo per questo dei record disopravvivenza con pazienti tenuti in vita con massaggio cardiaco erespirazione con Ambu per lunghi periodi, in particolare due pa-zienti, sopravvissuti per oltre dieci minuti in arresto cardiocircola-torio senza possibilità di monitoraggio, mantenuti in vita solo conmassaggio cardiaco prima che giungesse l’aiuto anestesiologico,ma ricordo anche l’arrivo di anestesisti trafelati che più volte han-no rianimato pazienti gravissimi. Si giocava sulla fortuna di trovareun anestesista libero e disponibile. Non parlo della disinfezione degli strumenti e sterilità degli acces-sori: gli strumenti venivano lavati esternamente con una spugna eacqua contenente un disinfettante ed i canali venivano trattati conil passaggio di una spazzola, senza tempi minimi di permanenzanel disinfettante che veniva allungata o accorciata in rapporto alcarico di lavoro. L’introduzione dell’endoscopio veniva effettuatacon paziente in un primo tempo seduto e si continuava l’indaginecon il paziente in decubito laterale sinistro. La mia prima firma suun referto endoscopico come secondo operatore è datata Marzo1965 e, come primo operatore, Novembre dello stesso anno. Insette anni eseguiamo ben 247 esami endoscopici con lo strumentoa visione laterale che consentiva lo studio unicamente del visceregastrico. Poi il Prof. Loiodice, che segue l’endoscopia come inda-gine superspecialistica ma ha interessi generali maggiori per la Cli-nica, vince un concorso di primariato in una città del nord–est, la-sciandomi in eredità il servizio di endoscopia del tratto superiorementre il Prof. Di Marco con il dott. Franzin continuano a interes-sarsi di endoscopia rigida del retto. Con l’avvento della colon-fi-broscopia inizio a gestire il servizio nella Clinica Medica diretta dalProf. Coppo e, al suo pensionamento, nella Semeiotica Medica di-retta dal Prof. Ezio Ventura, infine, dal 1982, in Gastroenterologiasotto la direzione del Prof. Federico Manenti.

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Mirelli e Loiodice nel 1963 avevano pubblicato l’articolo: “L’endo-scopia a fibre ottiche” proponendosi tra i primi utilizzatori della tec-nica flessibile in Italia ed io traggo tutti i benefici di questa paternità.

Nei primi tempi di collaborazione raccoglievo la bibliografia, man-tenevo in ordine i registri, scrivevo sotto dettatura i referti, organiz-zavo il lavoro e sostituivo il professor Loiodice quando questi do-veva allontanarsi dalla Clinica e così, all’XI Congresso di Gastroen-terolaparoscopia tenutosi a Genova l’8 ottobre 1967, presentocon L. Loiodice, G. Di Marco e G. Solmi il mio primo lavoro scien-tifico sugli aspetti gastroscopici in corso di cirrosi epatica. Da quelmomento comincio a muovermi: a Bruxelles con una borsa di stu-dio, a mie spese a Parigi, a Nancy, di nuovo a Parigi, a Barcellona,Amsterdam, nei più importanti centri di endoscopia e faccio la co-noscenza di Liguory, Vicari, Cremer, Armengol Mirò, Huibregtse: imigliori in Europa: mi manca Classen perché non conosco il tede-sco. In queste occasioni non solo apprendo le nuove tecniche mastudio l’organizzazione dei servizi e come fosse il rapporto tra am-ministratori e sanitari in questi centri. Comincio anche a pubbli-care numerosi lavori scientifici sugli aspetti endoscopici e istobiop-tici di numerose patologie del primo tratto del tubo digerente e su-gli aspetti proctosigmoidoscopici della retto-colite ulcerativa e sul-l’importanza della biopsia in queste patologie, pubblico dati sulconfronto tra dati citologici e studi al microscopio elettronico dellecellule intestinali nei cirrotici. Affronto altre tematiche come adesempio le lesioni da punti di sutura nei gastroresecati che avevo ri-tenuto responsabili di anemie e talora dei ripetuti sanguinamentianche gravi: punti di sutura transmurali costituiti da materiale diseta o di tipo vegetale, come cotone o lino. Tali punti di suturaerano allora causa di sanguinamenti occulti o di gravi emorragiecon vari meccanismi di azione che costringevano a reinterventi chi-rurgici allora ad alto rischio. Avevo segnalato questa patologia suMinerva Medica nel ’68 e con Enzo Migliasso, responsabile dell’areaGastroenterologica della ditta Lorenzatto, avevo costruito (senzamai brevettarla) una forbicina ed un gancio affilato “per la sezionee l’asportazione delle suture” con pubblicazione sulla Gazzetta Sani-taria nel 1973.Il Prof. Coppo, quando gli portai la prima sutura continua aspor-tata endoscopicamente, che fuoriusciva dallo strumento trattenutadalla pinza, mi disse: “ Rigo che cosa ha fatto… vada subito a con-trollare quel poveretto”, cosa che io feci e che tranquillizzò tutti,avvalorando la tecnica. Avevo peraltro costruito già allora degliaghi per l’aspirazione profonda di materiale citologico nei casi incui non si riusciva a praticare biopsie profonde su masse sottomu-cose, saldando sulla fine di un catetere una porzione di circa 1 cmdi un ago del 12. Nel 1968 ricordo le prime gastroscopie su pa-zienti con emorragie in atto (allora si utilizzava ancora il gastrosco-pio a visione laterale per cui non era visibile l’esofago…). Quantapaura e quanto coraggio! Si continuavano nel frattempo con ilProf. Cavazzuti, il dott. Recaldin e la dottoressa Franchi gli studicomparativi tra citologia e istologia tanto che al Congresso mon-diale tenutosi a Praga (nel 1971) avevamo portato la nostra espe-rienza.

A praticare l’endoscopia in urgenza nell’emorragico avevamo ini-ziato anni prima per individuare la sorgente di emorragia nei cirro-tici, o nella patologia rettale come riferito in “Urgent endoscopy inthe diagnosis of sigmoid and rectal bleeding” e “Urgent endoscopy

in the Upper gastrointestinal tract” del 1972 al IV Congresso di Ga-stroenterologia tenutosi a Copenaghen. Nel 1974 insieme al dott.Perini avevamo presentato una classificazione delle lesioni da cau-stici, suddivisa in cinque gradi sostituendola a quelle accettate finoad allora che suddividevano la patologia in tre gradi, valutandosolo le lesioni mucose e non prendendo in considerazione gliaspetti funzionali dei visceri, la peristalsi ed il tono del cardias e delpiloro, portando l’attenzione sulle zone di “impending perfora-tion”, che impongono l’immediato intervento chirurgico. Da ricor-dare che allora l’endoscopia era controindicata in tale patologiaperché ritenuta da molti pericolosa. Tale classificazione è stata poidiscussa e accettata a livello internazionale con la presentazionedel syllabus sulla “Corrosive lesions of the oesophagus and sto-mach” al XII Congresso Internazionale di Gastroenterologia tenu-tosi a Lisbona nel 1984.

Nel 1979 avevamo presentato una nuova metodica per il tratta-mento delle neoplasie esofagee inoperabili: iniettando Bleomicinadirettamente all’interno delle masse. Tale tecnica sortiva buoni senon ottimi risultati, poi sostituita dalla laser terapia, dall’utilizzo diprotesi, da altre metodiche, ma mi gratifica l’idea che in centri nazio-nali ed esteri venga attualmente tenuto in considerazione il principiodi iniettare un’alta concentrazione di farmaco nella sede interessataprocurando un minimo riassorbimento sistemico e quindi evitandola tossicità del prodotto. Nostra anche la proposta di utilizzare neilattanti il broncoscopio da 4,8 mm, applicando una semplice modi-fica per consentire l’insufflazione d’aria durante l’indagine, si pote-vano così esaminare anche i prematuri, fornendo informazioni pre-ziose al pediatra ed al chirurgo. Abbiamo proposto e realizzato unmisuratore per la definizione della grandezza delle lesioni. Questoper quanto riguarda l’apporto tecnologico.

Un’attività che mi ha impegnato molto è stata la ricerca del miglio-ramento dell’organizzazione e distribuzione dei servizi di endosco-pia con la presentazione di articoli e filmati che hanno interessatodalla fine degli anni ’80 l’endoscopia digestiva italiana e ricordoche, a Milano, al congresso nazionale del 1989, l’allora presidenteTittobello, dopo essersi complimentato per il filmato su impiantifunzionali, arredo e attrezzature, disinfezione e sterilizzazione in unservizio di endoscopia, affermò che si sarebbe potuta chiudere laseduta perché tra i presenti nessuno avrebbe avuto ragione di criti-care il modello di servizio presentato. Abbiamo infatti tra i primiaffrontato le problematiche di organizzazione e sicurezza dei servizie indicato i modelli da seguire, le prime linee guida. Al profilo di un servizio sicuro ed efficiente, avevamo associato la va-lutazione dei costi per costituirlo e mantenerlo in attività in rapportoal volume di lavoro e calcolando i costi relativi di ogni indagine. Ave-vamo insomma iniziato un processo di valutazione della qualità e deicosti di un servizio con una metodologia che dopo molti anni è stataaccettata da tutti, amministratori e sanitari, e che si concluderà con ilcontratto di budget, unico sistema per verificare costi, efficienza equalità di un servizio: non più richieste eccessive dagli operatori o ri-fiuti ingiustificati da parte degli amministratori, ma oculata conver-genza sulle necessità. Ritengo che questo sia stato il primo passo peruscire dalla situazione di apprendisti stregoni ed entrare in quella dioperatori riconosciuti e responsabili della spesa, interlocutori qualifi-cati che si confrontano con gli amministratori anche sui “numeri “ enon sulla logiche e interpretazioni personalistiche dei vari direttori che

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

condividono più o meno le strategie degli endoscopisti. Agendo inquesto modo avremmo potuto avere dei colloqui franchi sulla base diconti veritieri con gli amministratori che non dovevano essere pressatida richieste personali e non verificabili. Avevamo cioè iniziato quelprocesso di validazione della spesa in sanità, elemento poi divenutosempre più indispensabile per un corretto rapporto con gli ammini-stratori. In questo quadro già nel 1982, con il prezioso aiuto tecnicodi uno studente, Riccardo Saetti (oggi imprenditore di successo tito-lare di un’azienda che si occupa proprio di informatizzazione medica),proponemmo l’utilizzo del computer nella refertazione utilizzandovoci preprogrammate per risparmiare tempo nello scrivere i referti,rendendo così facilmente leggibili le risposte e più agevole la revisionestatistica, e per poter monitorare in tempo reale attività e spese.Negli stessi anni l’impegno di lavoro aumentava sempre più, la co-scienza del diritto alla tutela della propria salute da parte del pa-ziente, i mutamenti della legge nei confronti degli atti medici, l’isti-tuzione dei tribunali del malato avevano aumentato sempre piùl’attenzione ai diritti del paziente. Già nel 1974, in una riunione re-gionale SIED a Parma avevo svolto una relazione sul consenso in-formato come difesa dei diritti del paziente, ricevendo una nettaopposizione da parte di numerosi partecipanti che affermavanoche su questa strada avremmo causato una diminuzione della di-gnità del medico subordinando il suo giudizio a quello del pa-ziente. Ma su questa strada ho continuato a scrivere e a parlare sinoal Congresso sul Consenso informato tenutosi a Modena nell’Apriledel 1991. Il congresso era stato organizzato dal sottoscritto, dal me-dico legale Enrico Silingardi e dal dottor Mauro Mastronardi alloraspecializzando in gastroenterologia. A conclusione dei lavori in unatavola rotonda a cui parteciparono i massimi esponenti dell’endo-scopia italiana, compreso l’allora presidente Antonio Russo, rag-giungemmo l’accordo su un modello di consenso informato per l’en-

doscopia: il consenso informato sottoscritto dal paziente è un docu-mento indispensabile per attestare la liceità dell’atto medico conse-guente alla corretta e comprensibile informazione da parte del me-dico sui rischi e benefici dell’atto stesso. Il Prof. Coppo sosteneva che l’insegnamento nell’università è statosempre un motivo di orgoglio, non certo per il titolo ma per la sod-disfazione di presentare una tecnica in continua evoluzione.Poter mostrare diapositive e filmati, fornire spiegazioni sull’indi-cazione, sui risultati, sui rischi di una tecnica a degli studenti e/ospecializzandi che l’avrebbero utilizzata o richiesta giornalmenteera motivo di grande soddisfazione. Quanti amici quanti estima-tori ho raccolto insegnando nelle lezioni del corso di laurea o nellescuole di specialità in gastroenterologia, in oncologia, nelle chirur-gie, in medicina legale!L’endoscopia quindi si è continuamente evoluta ed è divenuta sem-pre più essenziale per la prevenzione, la diagnosi e la terapia di nu-merose malattie digestive. Ho trascorso la mia vita professionaleseguendone l’evoluzione e, nonostante le nuove tecniche radio-logiche, riconosco ancora in essa un’insostituibile valenza diagno-stica ed operativa per prevenire e risolvere numerose affezioni a ca-rico del tubo digerente.

In conclusione ciò che mi pare valga la pena ricordare è l’entusia-smo iniziale, la coscienza di aver attivato un servizio a norma, diaver insegnato a tanti giovani il mestiere, di aver difeso l’autono-mia dell’endoscopia, di aver cercato di valorizzare questa praticamedica, di aver difeso i diritti del paziente, di aver affrontato congli amministratori i problemi di gestione fornendo loro un sistemadi verifica immediata dell’attività e delle spese, con la speranza diaver messo in pratica gli insegnamenti di comportamento e onestàmorale del mio maestro Prof. Mario Coppo.

Sono nato a Messina il29.01.1950; laureato a

Roma presso l’Università LaSapienza nel 1974; specializ-zato nel 1978 in Chirurgia del-l’apparato Digerente ed endo-scopia Digestiva presso laScuola del Prof. Marcozzi. Hofrequentato il servizio di En-doscopia Digesti-va di quell’Istitutodiretto dal Prof.Montori e sono

stato al seguito di Giovanni Viceconte per alcuni anni.Poichè quella specializzazione non mi garantiva unaprospettiva di carriera, presso la stessa Università, hoconseguito la specializzazione anche in Chirurgia Gene-rale, prima, e successivamente in Malattie dell’Ap-parato digerente. Dal 1974 sono entrato in ospedalecome assistente di ruolo in chirurgia e da subito, vi-sto i miei buoni rapporti con il Prof. Montori, che al-lora dirigeva il più rinomato Centro di endoscopia

romano, il mio primario, Prof. M. Giordani, mi affidò il compitodi istituire il servizio di Endoscopia Digestiva dell’Ospedale diMarino. Poiché presso la Divisione di Chirurgia di Marino, astruttura dipartimentale, esisteva un Servizio di Chirurgia Epato-biliare maggiore, si profilò la necessità di apprendere le proce-dure biliari e le tecniche ad esse correlate. Valutato che all’epoca aRoma non c’erano centri con numeri di casi tali da poter soddi-sfare l’insegnamento, su input dello stesso Giordani, che ad Am-sterdam aveva frequenti e buoni rapporti col mondo chirurgico,

egli stesso mi introdussepresso un endoscopista cheproprio in quegli anni avevaideato una protesi retta: il suonome era Kees Huibregtse. Trovai in Kees un maestro per-fetto e generoso di insegna-menti, che parlava un perfettoitaliano. Successivamente nac-que anche una amicizia che siestese alle nostre rispettive fa-miglie. Negli anni ’80 con l’a-iuto di E. Rocca, di Catan-

Agostino Scozzarro

“… Una “spinta” per il cambiamento di rotta della SIED”

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zaro, ho tempestivamente fondato la sezione Calabra della SIED,evitando che la Regione venisse fusa alla Sezione Sicilia. In quellaregione ho ricoperto la carica di segretario per 8 anni. Successiva-mente ho lasciato la sezione ai Colleghi Calabresi e mi sono trasfe-rito d’iscrizione nella regione in cui di fatto lavoravo e da allora, hosempre ricoperto cariche societarie nell’ambito della SIED Laziofino alla carica attuale di Presidente eletto.Negli anni ’80 si sentiva da più parti nella SIED la necessità di uncambiamento in contrapposizione alla vecchia generazione che ve-niva dal mondo clinico medico o chirurgico e che di fatto impedival’emancipazione di quanti si erano dedicati in maniera esclusiva al-l’endoscopia e che ne avevano decretato lo sviluppo nazionale.Convinto di questo, spronai Viceconte, Norberto, ed altri , a fon-dare un sindacato, denominato SNEAD (sindacato nazionale en-

doscopisti apparato digerente) che in realtà non aveva nulla di cul-tura sindacale, ma ha costituito una bandiera su cui coagulare ilconsenso di quanti desideravano un cambiamento. L’operazionesuscitò scandalo nel mondo scientifico di allora, richiedendo al-cune assemblee supplementari (Verona) dai toni molto accesi; ed ilrisultato non tardò a venire, tanto che nelle elezioni del rinnovo delCD nazionale al Congresso di Trieste (novembre ’78) tutto il vec-chio direttivo venne letteralmente sbaragliato lasciando campo li-bero ai “Giovani”.

Attualmente in virtù di un DL che prevede delle norme transitorieper gli endoscopisti digestivi che abbiano maturato il servizio inChirurgia ho potuto accedere all’incarico apicale di Gastroentero-logia e sono Direttore di una UOC di Endoscopia Digestiva.

I Cinquantenni del 2000capitolo 8

Sono nato a Torino l’11aprile 1950 e mi sono

laureato in Medicina e Chi-rurgia presso l’Università de-gli Studi di Milano nel 1975discutendo una tesi dal ti-tolo: “La colangiografia e lawirsungrafia retrograda pervia endoscopica: considera-zioni sul valore diagnostico esui limiti dopo tre anni diesperienza”. Ci tengo a

sottolineare il titolo della tesi perché in seguito ho scoperto diessere stato il primo studente in Italia a presentare una tesi dilaurea sulla ERCP, preceduto solo da Agostino Fratton che peròaveva discusso una tesi di specializzazione, credo uno o due anniprima. Mi sono specializzato in Malattie dell’Apparato Digerente nel1980 ed in Chirurgia dell’Apparato Digerente ed Endoscopia Di-gestiva nel 1985, presso l’Università degli Studi di Milano. Mi sono dedicato all’endoscopia digestiva direi in modo casuale(penso sia così per tutti) ed il tutto prende origine da uno sport:la scherma. Infatti, nell’autunno del 1973 (iniziavo il 4 anno dicorso in medicina), volendo iofrequentare un ospedale da in-terno, sono stato “raccoman-dato” al Prof. Nicola Dio-guardi, allora direttore dellaClinica Medica III dell’Univer-sità di Milano ed in passatoforte schermitore, da un altrofamoso schermitore, mio mae-stro nella disciplina ed amicodi famiglia: Edoardo Mangia-rotti. Dioguardi chiamò allorail suo “pupillo” Alberto Tit-tobello e mi “raccomandò” alui, non senza averci dato il

proverbiale ceffone, che era indice di stato di grazia per chi lo ri-ceveva. Da allora ho frequentato assiduamente il reparto di Me-dicina Interna e la nascente endoscopia digestiva di Via Pace, incui Tittobello si cimentava nelle prime eroiche ERCP diagnosti-che da lui apprese poco tempo prima a Nancy, da Vicari e,credo, a Londra da Peter Cotton. Direi quindi che la mia formazione endoscopica è iniziata subitocome aiuto in ERCP e parallelamente con le gastroscopie ecolonscopie, dapprima solo diagnostiche e successivamente an-che terapeutiche, e le laparoscopie (tantissime, essendo il nostroreparto ad impronta prevalentemente epatologica). Nel 1977,un anno e mezzo dopo la laurea, mi sono recato per un periodoad Erlangen (erano i tempi di Demling e Classen) per mettere apunto la papillosfinterotomia endoscopica, che comunqueaveva già iniziato a praticare Alberto Tittobello come au-todidatta e con qualche problema. Un altro periodo di forma-zione, sempre sulla ERCP operativa, ma con approcci più auda-ci, l’ho trascorso a Barcellona nel 1990, da Armengol-Mirò chesi divertiva a stupirmi ed impressionarmi.

Come si può dedurre da queste righe il mio campo di interesseprofessionale e scientifico si è rivolto primariamente alla ERCP (inparticolare riguardo a patologia pancreatica, fattori di rischio, de-

finizione e prevenzione dellapancreatite post-ERCP), da sem-pre; tuttavia mi sono dedicatoanche alla gastrite cronica atro-fica, alla motilità gastro-duode-nale (ho trascorso nel 1983 unperiodo di formazione pressol’Università di Leuven, da Van-trappen e Janssens con cui hopoi mantenuto ottimi rapportiprofessionali), ed al rapporto traHelicobacter pylori e gastriteatrofica e dispepsia; a questi in-teressi devo il maggior numero dipubblicazioni.

Pier Alberto Testoni

“… Laurea con tesi sulla ERCP… Il destino è già segnato”

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

Non mi ricordo diparticolari episodiche abbiano “segna-to” la mia carriera diendoscopista, forseperché tendenzial-mente ho un carat-tere pragmatico e po-co incline ad entusia-smi od emozioni. Mi ricordo comunquedue episodi che sonoindicativi uno dell’en-tusiasmo con cui aquei tempi si patica-vano le prime ERCP,l’altro delle difficoltàpratiche operative del-l’endoscopia digesti-va, che negli anni ’70

era pionieristica (fortunatamente ora non è più così). Il primo episodio risale al giorno della discussione della mia tesi di lau-rea di cui Tittobello era correlatore: arrivammo in ritardo alla sedutaperché ambedue coinvolti in una seduta di ERCP in Istituto protrattasioltre il previsto!! Non nascondo che ero un po’ preoccupato.

Il secondo episodio riguarda l’utilizzo di un colonscopio ACMI (mi-tico strumento medioevale di tortura) che era di proprietà di Vete-rinaria (facevano le gastroscopie ai cavalli da corsa, che pare fos-sero affetti frequentemente da ulcera duodenale) e che per uncerto periodo abbiamo usato in comune per loro gentile conces-sione, essendo il nostro servizio totalmente privo di colonscopi. Inpratica, io od altri più giovani, prendevamo e riportavamo a Veteri-naria lo strumento ogni volta che era programmata una colonsco-pia!! Chissà cosa avrebbero detto o pensato i pazienti se l’avesserosaputo. Ovviamente l’endoscopio prima dell’uso sui pazienti venivaopportunamente sottoposto ad una rigida disinfezione !

Giovanni Viceconte arrivaall’Università di Roma

quando ormai il congressomondiale si era appena con-cluso, questione di due mesi,nel settembre ’70. Mentre Marcozzi, Crespi eMontori danno vita al vertice,Viceconte – negli anni futurisarà raggiunto dal fratelloGuido, anche lui medico, mapoi dedicatosi alla politica di-ventando parlamentare euro-

peo – è impegnato a discutere la tesi di laurea all’Università Catto-lica. “In questo momento – racconta Viceconte – di endoscopienon se ne fanno molte, si eseguono soprattutto endoscopie rigideche ormai sono un bagaglio del chirurgo. In pratica una seduta a

settimana è dedicata all’endoscopia digestiva. Certamente il con-gresso di Roma aveva creato stimoli notevoli sia ai medici che alleindustrie. Tutti erano stati colpiti dagli esperimenti di Oi sul catete-rismo della papilla di Vater e anche all’Università “La Sapienza” sivuol tentare questo esperimento.Ricordo bene che Marcozzi recitava un ruolo importante perchéproteggeva l’endoscopia che veniva guardata con grande sospetto.Io eseguivo qualche endoscopia sotto la guida di Montori che, me-rita di essere segnalato, mi ha lasciato lavorare, rappresentandoper me una grande coper-tura. E chi vive nel mondomedico sa bene cosa vogliodire con il termine coper-tura. Montori mi dicevaspesso: tutto quello che faiè ben fatto perché se benfatto è per il bene di tutti. Ilgruppo di endoscopisti chefa capo ad Alberto Montorisi amplia nel 1974 e com-pie notevoli progressi. Il se-greto è che si segue congrande attenzione tuttoquello che è compiuto nelmondo e – ecco l’importanza della protezione di Marcozzi – sitenta di ripeterlo magari migliorando l’esperimento stesso. Ricordoche insieme a Montori andai a Taormina per un congresso: qui ungruppo di studiosi di Nancy presentarono casi di colangio-pancreotografia retrograda – in pratica quello di cui si era occu-pato Oi – e questo attirò l’attenzione di tutti. È importante, midisse Montori, di metterci subito al lavoro per fare quanto hannorealizzato i francesi. “Perché non vai a vedere a che punto sono ar-rivati i tedeschi per imparare la tecnica? Perché non vai diret-tamente nella “tana del lupo” a Erlangen, nell’lstituto diretto daClassen? E così nel marzo del ’74 andai in Germania con una let-tera di presentazione firmata da Montori e Crespi, ma Classen siera trasferito e io seguii gli insegnamenti di Kock, un endoscopistache rimarrà vittima di un grave incidente di sci. Quando tornai,incoraggiato e protetto da Marcozzi e Montori, effettuai cate-terismi e poi la “prima italiana” della sfinterotomia endoscopiacon estrazione di calcoli. Era la primavera del ’75. Ricordo che lapaziente era una donna già operata per una calcolosi della colecistie nella quale era residuato un calcolo del coledoco. L’alternativaera: rioperarla o effettuare la papillotomia. Si decise per quest’ul-timo intervento e andò bene. Questa “prima italiana” venne pre-sentata al congresso di chirurgia del maggio ’75 a Chianciano conStefanini presidente. Una bella soddisfazione per il nostro gruppoguidato da Montori e del quale facevano parte Giandomenico Mi-scusi, mio fratello Guido e Crisante Pastorino. Più tardi si aggiun-geranno Giancarlo Bogliolo e Vincenzo Pietropaolo”.Continua intensa l’attività di Giovanni Viceconte che comincia adinteressarsi anche di sindacato. Avendo deciso di svolgere l’esclu-siva attività di endoscopista digestivo, si domandò: “ma perchénon deve esistere la figura dell’endoscopista?” Come lui la pen-sano in tanti e allora decide di gettarsi nella tenzone sindacale.Una storia lunga e complessa e tutta raccontata nei capitoli chenarrano l’evoluzione dell’endoscopia digestiva italiana.

Luciano Ragno

Pier Alberto Testoni oggi è al timone del GiornaleItaliano di Endoscopia Digestiva

Giovanni Viceconte

“… Una grande passione per l’Endoscopia sotto la guida lungimirante di Marcozzi e Montori”

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I Cinquantenni del 2000capitolo 8Nel 1972 frequentavo l’O-

spedale di Crema comestudente del 5° anno di medi-cina quando il primario chi-rurgo, autorità massima indi-scussa dell’Ospedale Maggio-re di Crema, portò in Sala O-peratoria un endoscopio a fi-bre ottiche, un lungo tubo ne-ro, flessibile, con il quale sa-rebbe stato possibile visualiz-zare I’esofago e lo stomaco. Nei mesi successivi utilizzò eglistesso l’endoscopio a fibre ot-

tiche 3-4 volte, con fatica, ed alcune altre volte l’utilizzò il Primariodi Chirurgia d’urgenza insediatosi in questa nuova divisione da po-chi mesi. Proposero ad un giovane assistente di occuparsi di Endoscopia equando Lui rifiutò fu un aiuto chirurgo che si propose ed iniziò inmodo quasi regolare (erano passati 2 anni) l’attività di EndoscopiaDigestiva. Io nel frattempo mi ero laureato ed ero stato assunto inChirurgia e Pronto Soccorso e dentro di me speravo che qualcunomi proponesse di fare I’endoscopista ma, come spesso accade, lemie speranze non vennero esaudite. Partii militare e durante quel periodo mi fu relativamente facile fre-quentare il corso di Endoscopia Digestiva dell’Università degli Studidi Milano, il famoso Corso di Mirelli e Fichera ed al congedo trovaiin Ospedale un nuovo primario Chirurgo, il Prof. Martinotti che, ac-cettandomi nel suo reparto, prima acconsentì a farmi fare I’En-doscopista Digestivo e poi in ogni occasione mi spinse a migliorarele potenzialità di quella attività nell’Ospedale di Crema. Lavoravamo accanto alla Sala Operatoria con un unico strumentoregalato da un Istituto di Credito e con infermieri che venivano dis-tolti dalla attività di chirurgia dapprima a malincuore e poi semprepiù volentieri ma per poco tempo e con grandi discussioni. Venne assunto in Chirurgia il Dott. Pisano, un nuovo collega chegià aveva eseguito qualche esame endoscopico in Chirurgia d’Ur-genza a Milano e con Lui si raddoppiò il nostro lavoro ed il nostroentusiasmo. I responsabili dei vari repartidel nostro Ospedale non in-viavano più i pazienti a Mi-lano per gli esami endosco-pici, si fidavano delle nostrevalutazioni ed iniziavano achiederci pareri e consigli. Con molto timore riporta-vamo le nostre esperienzenei congressi di EndoscopiaDigestiva, di Gastroentero-logia e di Chirurgia, senzasponsors, senza alberghi pa-gati, senza comando ospe-daliero. Ricordo di esserepartito in più di una occa-sione con la tenda canadeseoppure con la tenda sultetto dell’automobile (ricor-

date l’Aer Camping?) suscitando lo stupore degli altri campeggia-tori che vedevano uscire all’alba dalla tenda uno strano personag-gio in doppio petto blu.Ad ogni modo la presenza dell’Endoscopia Digestiva di Crema di-ventava sempre più concreta nello scenario endoscopico italianoed iniziavamo a suscitare qualche interesse. Ci vennero assegnati i primi due infermieri professionali fissi perI’Endoscopia Digestiva e per la prima volta vennero acquistati En-doscopi dalla Amministrazione Ospedaliera.Il Direttore Sanitario smise anche di dirmi che l’Endoscopia Dige-stiva era un mio divertimentopersonale e non era attività daOspedale di Crema!! Gli spazi non bastavano e du-rante una ristrutturazione inter-na ci vennero assegnate nuovesale.L’Endoscopia si faceva semprepiù operativa: anche se conqualche patema d’animo si to-glievano i polipi del colon edello stomaco, si arrestavano leemorragie digestive, si esegui-vano dilatazioni di stenosi mali-gne e benigne. Ma noi avevamo il “pallino del-l’Endoscopia Biliare”. Nel mondo medico si parlava da qualcheanno della possibilità di trattare le calcolosi biliari e molta patolo-gia biliare e pancreatica per via endoscopica, senza intervento chi-rurgico e nel 1982 acquistammo un endoscopio a visione lateralecon cui io ed il collega Pisano eseguimmo le prime Colangio-pancreatografie retrograde. I risultati erano soddisfacenti ma nonerano quelli sperati. In quel periodo frequentavo la Divisione di Gastroenterologia diGenova del Prof. Cheli, che era il Presidente della Società Italianadi Endoscopia Digestiva, e Lui mi propose per uno stage di 40giorni in Germania ad Erlangen nella culla dell‘Endoscopia Dige-stiva mondiale, nella sede in cui era stata realizzata per la primavolta una sfinterotomia endoscopica.

Tornai dalla Germania con lacoscienza che si doveva cam-biare molto del nostro mododi lavorare ma che ciò eraalla nostra portata. Ancora una volta stimolati esupportati dal Prof. Marti-notti sviluppammo quell’att-tività di Endoscopia Dige-stiva biliare che è divenutaasse portante e fiore all’oc-chiello del nostro Servizio.Da allora ogni anno per treanni passai un mese in centridi Endoscopia all’estero: dalProf. Vicari a Nancy, dalProf. Cotton a Londra, dalProf. Huibregtse ad Amster-dam ed il Dott. Pisano a sua

Alessandro Zambelli

“ … Partivo per i congressi con la tenda canadesesuscitando lo stupore deglialtri campeggiatori che vedevano uscire all’albauno strano personaggio in doppio petto blu”

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Storia dell’endoscopia digestiva in Italia

volta riportava notizie, esperienze e competenze dal Prof. Armen-gol Mirò di Barcellona. Stimolato soprattutto da mia moglie che era Pediatra e che ini-ziava a farsi conoscere nel territorio come Gastroenterologo del-l’età infantile, iniziammo l’Endoscopia digestiva pediatrica ed ilprimo endoscopio flessibile di piccolissimo calibro per uso pedia-trico (7,8 mm) giunto in Italia venne acquistato proprio da noi. Ci venne ancora una volta cambiata la sede, adesso disponevamo didue sale endoscopiche, di sale di ristabilizzazione per i pazienti, di se-greteria e di studi medici, vennero definiti ed organizzati una sede edun periodo di utilizzo fisso delle sale radiologiche. L’organico dell’Endoscopia Digestiva si ampliò: altri medici si asso-ciarono a noi in questa esperienza sia provenendo dalla Chirurgiache dalla Medicina, specialisti in Chirurgia dell’apparato Digerenteed Endoscopia Digestiva, specialisti in Gastroenterologia ed Epato-logia.Negli anni aumentava il numero delle prestazioni endoscopiche ingenerale ma aumentava soprattutto l’attività chirurgica endosco-pica e, ritengo, anche la qualità di tutta la gestione assistenziale ditipo gastroenterologico che costituisce l’indispensabile corollariodell’Endoscopia Digestiva. Organizzavamo anche noi a Crema convegni di Endoscopia Digestivaed ebbe risonanza soprattutto quello sulle complicanze dell’Endo-scopia Digestiva con la presenza del Prof. Sahel di Marsiglia.Venni eletto nel Consiglio Direttivo della sezione Lombarda dellaSocietà Italiana di Endo-scopia Digestiva (SIED) ecominciai ad occuparmi delproblema del riconosci-mento dell’attività Endo-scopica Digestiva svolta inArea Chirurgica. Indimenti-cabili le discussioni con iGastroenterologi, indimen-ticabili alcune “guerre” algrido di “l’Endoscopia agliEndoscopisti”!!Ma avevo, allora comeoggi, un ottimo rapportocon tutti i colleghi di qual-siasi estrazione e mi riem-piva d’orgoglio il vedere chemolti di loro, operatori digrandi Ospedali e di impor-tanti Università riconosce-vano e consideravano con attenzione il lavoro che, con tanto entu-siasmo, riuscivamo a realizzare in una cittadina piccola comeCrema.Venne il Convegno di Nerola (ricordo l’appello di Ercole De Masiper sapere chi aveva eseguito più di 100 ERCP o più di 50 o più di20 ed io scoprii con stupore ed interesse di appartenere al gruppodei primi), iniziarono i convegni di Cogne e con essi la Trisocieta-ria.La discussione tra Chirurghi e Gatroenterologi proseguiva e quantevolte da allora ad oggi ho avuto la nettissima sensazione di tornarein ogni momento da capo. Gli anni passavano e nulla cambiava.Ero divenuto vice Presidente Lombardo della SIED e poi Presidenteed in quegli anni salivo le scale del Pirellone o degli uffici collegati

per portare ad ogni nuovo Assessore alla Sanità, ad ogni nuovofunzionario le nostre richieste sempre uguali.Alla fine del mandato lombardo sono stato eletto nel consiglioDirettivo Nazionale ed infine nel Comitato per la Federazione delleSocietà delle Malattie Digestive.Nel 1996 ho invitato tutti gli Endoscopisti Digestivi che avevanopartecipato alla crescita dell’Endoscopia Digestiva in Italia, i padristorici, gli Endoscopisti della mia generazione e tutti i più giovani,a Crema in occasione dei 20 anni di istituzionalizzazione del nostroServizio di Endoscopia Digestiva.Titolo del Convegno era: “La Storia dell’Endoscopia digestiva inItalia”. Al convegno collegai anche una mostra di tutti gli strumenti endo-scopici utilizzati negli ultimi 50 anni in Italia.Il Convegno e la mostra furono un successo. Era emozionante rive-dere le immagini endoscopiche raccolte con la Gastrocamera oltre20 anni prima e riproposte sullo schermo con lo stesso proiettoreche aveva usato a Roma il Prof. Nava negli anni ’60.Incontri su incontri, Convegni su Convegni e tra questi nel 1999quello sull’Endoscopia Digestiva Pediatrica in Italia realizzato incollaborazione con mia moglie Tiziana, collega ma soprattutto so-stegno preziosissimo del mio lavoro.

Infine l’enorme soddisfazione di vedere riconosciuta in modo com-pleto la dignità del lavoro che gli Endoscopisti Digestivi come me

avevano realizzato in AreaChirurgica. Grazie a tutto ilDirettivo della Federazioneil Ministero aveva final-mente approvato e defi-nito l’equipollenza tra En-doscopia Digestiva e Ga-stroenterologia: io Chirur-go Endoscopista e tutti glialtri Endoscopisti nelle me-desime condizioni di Servi-zio potevamo parteciparea pieno diritto ad un Con-corso per Dirigente di II li-vello di Gastroenterologia.Il mio Ospedale è stato ilprimo in Italia a mettere aConcorso Pubblico un po-sto di Gastroenterologoper coprire l’apicalità di un

Servizio che dall’Area Chirurgica passava, e veniva riconosciuto an-che in Regione, come Unità Operativa di Gastroenterologia.

Sono diventato Primario Gastroenterologo, anzi Direttore e guardocon stupore, ma anche con ammirazione i tanti colleghi ed infer-mieri che collaborano oggi con me, li guardo soprattutto con af-fetto perché con molti di loro ho condiviso oneri ed onori.

I tempi dell’Endoscopia Digestiva quale attività secondaria sonofiniti. L’affascinante disciplina medica di cui siamo espressione èsempre di più un fulcro attorno a cui ruota la maggior partedelle attività dei nostri Ospedali, a Crema come in tutto il restod’Italia.

In questa foto Zambelli è in compagnia di Loriga, Di Matteo, Testoni, Ficano e Buri

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REFERENZE BIBLIOGRAFICHE DELLE PUBBLICAZIONI SU PERIODICI

CHE HANNO UNA CITAZIONE NEL TESTO

CAPITOLO IIIGLI ANNI ’60. IL DECENNIO DELLA SVOLTA

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CAPITOLO IVGLI ANNI ’70. IL DECENNIO DELLA FORMAZIONE

RABINOV K. ET AL. Radiology, 1965; 85: 693OI I. ET AL. Endoscopy, 1969; 3: 101OI I. ET AL. Endoscopy, 1970; 2: 103GANDOLFI L. Giornale di Clinica Medica, 1971; 52, 3: 220A. MONTORI ET AL. Min. Gastroenter, 1973; 1: 23WOLLF W. ET AL. N. Engl. J. Med., 1973; 288: 329CLASSEN M ET AL. Deutsch. Med. Wchnschr., 1974; 99: 496KAWAI K. ET AL. Gastrointest. Endosc., 1974; 20: 148CLASSEN M. ET AL. Br. Med. J., 1975; 15 novembre: 371DEMLING L. ET AL. Endoscopy, 1982; 14: 100MONTORI A. ET AL. Minerva Gastroenterol., 1975; 21: 1CASALE V. ET AL. Endoscopy, 1977; 9: 152-153, FAMILIARI L. Att. Soc. Med. Chir. Messina, 1977; XXI, III: 1-8FAMILIARI L. Att. Soc. Med. Chir. Messina,1977; XXI, IIIROSSINI F.P. ET AL. Giorn. Gastroent. End., 1979; 2: 75-78RIGO G. Giorn. Gastroenter. End., 1979; 2: 113-122SOEHENDRA N. ET AL. Deutsch. Med. Wchnschr.,1979; 104: 206

CAPITOLO VGLI ANNI ’80. IL DECENNIO DEI CONFRONTI

FAMILIARI L. Rassegna di Medicina Interna, 1981; 4: 441-449.MONTORI A. ET AL. Giorn. Gastroent. End., 1980; 3: 187-196FRUHMORGEN P. Endoscopy, 1975; 7:156-157 GHEZZI C. ET AL. Giorn. Gastroent. End., 1980; 3: 197-202 GHEZZI C. ET AL. Rivista Ospedale Maggiore, 1979; 74: 374 COSENTINO F. Chirurgia Triveneta, 1980; vol. XX: 2-5CRAFFOORD ET AL. Acta Otolaryngol., 1939; 27: 422-429MACBET Br Med. J. 1955; 2: 877-80

referenze bibliografiche

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CAPITOLO VIGLI ANNI ’90. IL DECENNIO DELLA MATURITÀ

COSENTINO F. ET AL. Chirurgia,1990; 3: 46-48SCEVOLA D. ET AL. Giorn. Ital. End. Dig., 1990, 13, 93-103LUMINARI M. et al. Giorn. Ital. End. Dig., 1991, 14, 351-360ZAMBELLI A. Giorn. Ital. End. Dig., 1991; 14: 103-119 LOPERFIDO S. Giorn. Ital. End. Dig., 1991; 14: 225-233PRADA A. Giorn. Ital. End. Dig., 1992; 15: 71-92BORGONOVI E. ET AL. Giorn. Ital. End. Dig., 1992; 15: 125-129TAPPERO G. Gastrointes. Endosc., 1992; 38: 310-313 TAPPERO G. Gastrointes. Endosc., 1992; 38: 391-2 OSELLADORE D. Abstract 10th World Congress of Gastroenterology Los Angeles, 1994, 2879BARBERANI F. Gastrointest. Endosc., 1994; 40: 685-91BARBERANI ET AL. Gastroenterology, 1991; 101: 1314-9