Capitolo 33 TRASPORTO IN PRESSIONE -...

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Capitolo 33 TRASPORTO IN PRESSIONE 1 INTRODUZIONE I sistemi di condotte in pressione destinati all'approvvigionamento idrico comprendono: - gli acquedotti esterni, che adducono l'acqua dalle fonti d'alimentazione alle zone d'utilizzazione (centri abitati, aree industriali, comprensori irrigui), - le reti di distribuzione interne a tali zone. Questa suddivisione coincide spesso con quella tra reti aperte e reti chiuse perché, mentre gli acquedotti esterni sono generalmente unicursali - se uniscono una sola fonte d'alimentazione con un unico centro abitato - o ramificati (ad albero) - nel caso che colleghino una o più fonti con diverse zone d'alimentazione - le reti di distribuzione dei centri abitati, delle zone industriali, e talvolta anche dei comprensori irrigui, sono costituite da sistemi di condotte interconnesse a rete chiusa, in modo che ogni punto d'erogazione possa essere alimentato da almeno due condotte, per garantire il servizio anche in caso d'interruzione di una condotta. Sia gli acquedotti esterni, sia le reti di distribuzione prendono l'acqua da uno o più punti d'alimentazione ben individuati, i primi dalle opere di presa, le seconde dai manufatti d'arrivo degli acquedotti esterni. Differiscono invece per quanto riguarda l'erogazione, perché l'acqua è consegnata: - dagli acquedotti: in un numero limitato di punti, ubicati presso le zone d'utilizzazione (serbatoi, partitori, torri piezometriche), - dalle reti di distribuzione: in numerosissimi punti situati nelle abitazioni, negli stabilimenti produttivi o lungo le distributrici irrigue. Tali reti sono perciò idraulicamente connesse con gli apparecchi d'erogazione all'utenza, e sono da questi regolate. In fase di calcolo delle reti di distribuzione i punti di consegna non sono quasi mai individuati singolarmente: di conseguenza il calcolo viene svolto escludendo senz'altro gli impianti interni e limitando l'analisi alle condotte stradali o, comunque, alla rete pubblica. Si opera così un'ideale separazione tra i due sistemi, comune e privato. Le condizioni di valle imposte nei calcoli sono quindi fittizie: si suddivide l'area servita in zone, alimentate ciascuna da un singolo punto di consegna virtuale, e si suppone che la rete eroghi unicamente da tali punti, imponendo che il carico alla consegna sia sufficiente a far funzionare correttamente gli apparecchi serviti. Negli schemi di calcolo, quindi, le reti di distribuzione sono rappresentate come un insieme di tronchi a diametro e portata costante, che vengono calcolati in moto uniforme, utilizzando in ciascun tronco le relazioni che legano la portata alle perdite di carico in condizioni di moto

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Capitolo 33 TRASPORTO IN PRESSIONE

1 INTRODUZIONE

I sistemi di condotte in pressione destinati all'approvvigionamento idrico comprendono: - gli acquedotti esterni, che adducono l'acqua dalle fonti d'alimentazione alle zone

d'utilizzazione (centri abitati, aree industriali, comprensori irrigui), - le reti di distribuzione interne a tali zone. Questa suddivisione coincide spesso con quella tra reti aperte e reti chiuse perché, mentre gli acquedotti esterni sono generalmente unicursali - se uniscono una sola fonte d'alimentazione con un unico centro abitato - o ramificati (ad albero) - nel caso che colleghino una o più fonti con diverse zone d'alimentazione - le reti di distribuzione dei centri abitati, delle zone industriali, e talvolta anche dei comprensori irrigui, sono costituite da sistemi di condotte interconnesse a rete chiusa, in modo che ogni punto d'erogazione possa essere alimentato da almeno due condotte, per garantire il servizio anche in caso d'interruzione di una condotta. Sia gli acquedotti esterni, sia le reti di distribuzione prendono l'acqua da uno o più punti d'alimentazione ben individuati, i primi dalle opere di presa, le seconde dai manufatti d'arrivo degli acquedotti esterni. Differiscono invece per quanto riguarda l'erogazione, perché l'acqua è consegnata: - dagli acquedotti: in un numero limitato di punti, ubicati presso le zone d'utilizzazione

(serbatoi, partitori, torri piezometriche), - dalle reti di distribuzione: in numerosissimi punti situati nelle abitazioni, negli

stabilimenti produttivi o lungo le distributrici irrigue. Tali reti sono perciò idraulicamente connesse con gli apparecchi d'erogazione all'utenza, e sono da questi regolate.

In fase di calcolo delle reti di distribuzione i punti di consegna non sono quasi mai individuati singolarmente: di conseguenza il calcolo viene svolto escludendo senz'altro gli impianti interni e limitando l'analisi alle condotte stradali o, comunque, alla rete pubblica. Si opera così un'ideale separazione tra i due sistemi, comune e privato. Le condizioni di valle imposte nei calcoli sono quindi fittizie: si suddivide l'area servita in zone, alimentate ciascuna da un singolo punto di consegna virtuale, e si suppone che la rete eroghi unicamente da tali punti, imponendo che il carico alla consegna sia sufficiente a far funzionare correttamente gli apparecchi serviti. Negli schemi di calcolo, quindi, le reti di distribuzione sono rappresentate come un insieme di tronchi a diametro e portata costante, che vengono calcolati in moto uniforme, utilizzando in ciascun tronco le relazioni che legano la portata alle perdite di carico in condizioni di moto

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uniforme. Limitando l'attenzione agli algoritmi di calcolo e facendo riferimento a reti opportunamente schematizzate in base alle precedenti considerazioni, i problemi esaminati sono di tre tipi: - verifica: in cui, dato il sistema di condotte (già esistente o comunque già dimensionato),

si determinano le portate e i carichi conseguenti ad un'assegnata distribuzione della domanda e dell'alimentazione idrica;

- simulazione, che costituisce un caso particolare di verifica, in cui si seguono gli andamenti nel tempo delle portate, delle pressioni, dei livelli nei serbatoi e d'eventuali altre grandezze (erogazioni, stato delle valvole…);

- dimensionamento: in cui, date le distribuzioni della domanda e dell'alimentazione, e avendo imposte delle condizioni limiti per i carichi, per le velocità di deflusso e per eventuali altri parametri operativi, si determinano le variabili di progetto, come i diametri delle condotte e le prevalenze degli impianti di sollevamento.

2 MOTO NELLE CORRENTI IN PRESSIONE

2.1 MOTO UNIFORME

Pendenza piezometrica e perdite di carico

In moto uniforme le linee di flusso della velocità di trasporto sono rettilinee; di conseguenza il moto può essere considerato lineare e il carico totale della corrente si esprime:

H zp U

g= + +

γα 2

2 (2.1)

Il carico totale in un fluido reale in movimento diminuisce nel verso del moto a causa delle perdite di carico, che in moto uniforme si riducono alle sole perdite ripartite. Queste sono rappresentate, per unità di lunghezza, dalla derivata del carico totale rispetto all’ascissa s, assunta positiva nel verso della corrente:

dHds

dds

zp U

g= + +

⎝⎜

⎠⎟

γα 2

2 (2.2)

In moto uniforme la velocità è costante, per cui è nulla la derivata dell’altezza cinetica. La (2.2) diventa allora:

dHds

dds

zp d

dsJ= +

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟ = = −

γζ

(2.3)

dove:

gpz

ρζ += (2.4)

è la quota piezometrica e:

2

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Jdds

= −ζ

prende il nome di pendenza piezometrica, e rappresenta la pendenza della linea piezometrica, assunta positiva quando la linea cala nel verso del moto. La (2.3) dice che in moto uniforme la linea dei carichi totali e la linea piezometrica sono parallele. Pertanto in moto uniforme - e solo in moto uniforme - la pendenza piezometrica rappresenta la perdita di carico per unità di lunghezza. Poiché in moto uniforme le condizioni del moto non variano da una sezione all’altra, in esso la pendenza piezometrica è costante:

J t= cos

La resistenza al moto Se si indica con τo lo sforzo tangenziale alla parete, ossia la forza per unità d’area che si esercita tra il fluido e la parete, la forza che per unità di lunghezza agisce sulla corrente, tangenzialmente ad essa e con verso opposto al moto è: Cf oτ=

dove C è il contorno bagnato e: RJo γτ = (2.5)

con R raggio idraulico. La (2.5) vale sia in moto turbolento, sia in moto laminare. Essa lega lo sforzo tangenziale alla parete alle perdite di carico, ma non consente ancora di legare le perdite di carico alla portata.

Relazione tra perdite di carico e portata Nel moto uniforme la relazione tra la pendenza piezometrica e la velocità U può essere espressa dalla relazione:

g2

UR4

J2λ

= (2.6)

in cui R è il raggio idraulico e λ è il coefficiente di resistenza. Nel caso di condotte a sezione circolare di diametro D la (2.6) diventa:

5

2

52

22

DQ08263,0

gDQ8

g2U

DJ λ

πλλ

⋅=== (2.7)

Le esperienze di Nikuradse hanno mostrato che in tubi la cui scabrezza è costituita da sabbia monogranulare il valore di λ dipende dal numero Reynolds

ν

UDRe = (2.8)

dove ν è la viscosità cinematica, e dalla scabrezza relativa Dro , in cui è il raggio dei granuli di sabbia, tramite relazioni empiriche illustrate nella figura 2.1.

or

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Figura 2.1 – Misure del coefficiente di resistenza in tubi resi artificialmente scabri (Nikuradse, 1933)

Nei tubi commerciali la scabrezza non è omogenea, di conseguenza il comportamento si discosta alquanto da quello ipotizzato da Nikuradse, come mostra la figura 2.2.

Figura 2.2 – Andamento del coefficiente di resistenza λ in funzione del numero di Reynolds: in tubi con scabrezza artificiale omogenea, curve (a), e in tubi commerciali, curve (b)

L’andamento di λ in funzione di Re e della scabrezza relativa Dε , dove ε una scabrezza equivalente ε, definita come quella artificiale che dà lo stesso λ nel moto assolutamente turbolento, può essere interpretata dalla formula di Colebrook

⎟⎠

⎞⎜⎝

⎛+⋅−=

71,3D

Re51,2log0,21 ε

λλ (2.9)

Gli andamenti di λ in funzione di Re per diversi valori di Dε sono indicati nella figura 2.3.

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Figura 2.3 – Diagramma di Moody: curve λ =λ(Re, ε/D) ottenute dalla formula di Colebrook con diversi valori costanti della scabrezza relativa ε/D.

La scabrezza equivalente ε per diversi materiali è indicata nella tabella (2.01). La (2.9) è una relazione implicita in λ e può essere risolta con procedure iterative. Ricavando λ dalla (2.6), sostituendolo nella (2.9) insieme all’espressione di Re (2.8) e ricordando la relazione tra Q e U, si ottiene l’espressione di U in funzione della pendenza piezometrica J per tubazioni di diametro D e scabrezza equivalente ε:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+⋅⋅−=

D2695,0

JD5667,0logJD958,6Q 5,1

5,2 εν (2.10)

Si osservi che per alti numeri di Reynolds, ossia in moto assolutamente turbolento, il primo termine entro la parentesi della (2.9) è trascurabile rispetto al secondo e λ diventa indipendente da Re, e ricavando λ si ottiene:

2

D2695,0log

25,0

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

≅ε

λ (2.11)

che sostituita nella (2.7) dà:

5

2

2

DD

2695,0log

Q02066,0J

⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⎟⎠⎞

⎜⎝⎛

(2.12)

Nelle stesse condizioni la (2.10) dà:

5

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JDD

2695,0log958,6Q 5,2⋅⎟⎠⎞

⎜⎝⎛⋅−=

ε (2.13)

Alcune formule empiriche tradizionali possono essere ridotte alla formula di Chezy:

Q = Ωχ RJ (2.14)

proposta appunto da Chezy nella seconda metà del settecento. Mentre però Chezy aveva supposto che il coefficiente χ, detto coefficiente di Chezy, fosse costante, si è visto invece che esso dipende dalle caratteristiche del fluido, della corrente e delle pareti. Pertanto altri studiosi hanno successivamente proposto formule più approssimate, che, per citarne solo alcune, oggi ancora molto diffuse nell’idraulica pratica, equivalgono a porre per χ le seguenti espressioni: - formula di Bazin:

χ γ=+

87

1R

(2.15)

- formula di Kutter:

χ =+

100

1mR

(2.16)

- formula di Gaukler e Strickler:

χ = kR16

che nei paesi anglosassoni è nota come formula di Manning:

χ =1 1

6n

R (2.17)

In queste espressioni i coefficienti γ, m, k e n, sono considerati degli indici di scabrezza e vengono determinati sperimentalmente per i vari materiali e per il diverso stato di conservazione delle pareti. In realtà, per interpretare con maggiore aderenza i risultati sperimentali, bisognerebbe ammettere una dipendenza di questi indici anche da altri fattori, oltre la scabrezza, quale ad esempio la formula della sezione1. Sostituendo nella (2.6) e nella (2.14) l’espressione di χ data dalla formula monomia di Manning (2.17), si ottiene:

Un

R J=1 2

312 (2.18)

e:

1 Le formule citate valgono per il moto “assolutamente turbolento”, cioè quando la turbolenza si estende a

tutta la sezione della corrente. Se le pareti sono lisce, la turbolenza non si estende a tutta la sezione interessata dal moto, ma in prossimità delle pareti rimane uno strato limite a deflusso laminare. Si deve allora ricorrere a formule che tengano conto di questo fenomeno, tra cui molto usata è quella di Colebrook. Nella pratica tale formula viene usata per le tubazioni di plastica (molto lisce anche dopo lungo uso) e in quelle di grande diametro (con scabrezza relativa al diametro molto piccola).

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Qn

R J=1 2

312Ω (2.18’)

Nelle correnti in pressione l’acqua scorre dentro condotte chiuse e ne occupa tutta la sezione. La forma della corrente è perciò completamente determinata da quella della condotta. Pertanto: condizione necessaria e sufficiente perché il moto permanente di una corrente in pressione sia anche uniforme è che la condotta sia rettilinea e a sezione costante. Infatti, per l’equazione di continuità, essendo costanti portata, sezione e direzione del moto, è costante anche il vettore della velocità media

rU . In pratica si considera uniforme anche il moto in

pressione in una condotta non rettilinea, purché la curvatura sia tanto modesta da potersi considerare lineare il moto e da non dar luogo a perdite di carico localizzate. Un caso particolarmente importante di correnti in pressione è quello è quello di correnti a sezione circolare, in cui è 4DR = . Se il moto è assolutamente turbolento, come si ammette con qualche approssimazione nella maggior parte dei casi pratici, adottando la formula di Manning e applicando quindi la (2.18’), si ottiene:

JD3117,0Q 667,2⋅= (2.19)

Risolvendo per D:

375,0

J

nQ208,3D⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛= (2.20)

e per J:

333,5

22

DQn29,10J = (2.21)

La (2.21) mostra come varia la pendenza piezometrica o, se si vuole, la perdita di carico per unità di lunghezza, al variare della portata in una tubazione di diametro D. Questa relazione può essere messa nella forma:

(2.21’) J D n Q= γ ( , ) 2

dove:

( ) 333,5

2

Dn29,10n,D =γ (2.22)

è la caratteristica della condotta, che dipende dalla scabrezza n e dal suo diametro D. Le (2.19), (2.20) e (2.21) consentono di ricavare, note le altre due, una delle tre grandezze: - portata Q, - pendenza piezometrica J, - raggio diametro D. Nella figura 2.1 è tracciato l’andamento di una condotta in pressione a diametro costante, che collega due serbatoi a livello costante. In essa si è supposto che le lunghezze misurate lungo l’ascissa s coincidano, in pratica, con le loro proiezioni orizzontali. Ciò è ammissibile soltanto se la pendenza della condotta è modesta. Se la portata è costante (ossia, se non vi sono immissioni o derivazioni) il moto è uniforme e J è costante. Essendo costante la velocità lo è

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anche l’altezza cinetica: perciò la linea dei carichi totali (a tratto unito nella figura) è parallela a quella piezometrica (a tratteggio), salvo all’imbocco e allo sbocco, dove non è ammissibile l’ipotesi di uniformità del moto. Se l’altezza cinetica è trascurabile rispetto alle altre grandezze, come spesso accade, la pendenza piezometrica è:

JHL

dove L è la lunghezza della condotta e ΔH H H= −1 2 è la perdita di carico totale, pari alla differenza di quota tra le superfici libere nei serbatoi. Dalla figura 2.1 è facile rendersi conto che, benché l’energia cinetica della corrente sia costante, possono sempre aver luogo trasformazioni di energia di posizione in energia di pressione a seconda dell’andamento altimetrico della condotta. La linea piezometrica assoluta (a tratto e punto nella figura 2.1) è parallela alla piezometrica relativa (a tratteggio) e la sovrasta di un’altezza

p

maγ

= 10 333,

che è l’altezza di pressione corrispondente alla pressione atmosferica normale.

Figura 2.1 - Linea dei carichi totali e piezometriche relativa e assoluta in una condotta monodiametro

L’andamento della condotta può tagliare la piezometrica relativa, come indicato nella figura 2.2, purché la condotta sia a tenuta d’aria, perché al di sopra della piezometrica relativa la pressione è minore di quella atmosferica. In termini di pressioni relative si ha allora una pressione negativa, il cui valore è dato dal dislivello h tra la condotta e la piezometrica relativa, moltiplicato per γ: p = -hγ

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Figura 2.2 - Condotta con tratto in depressione

Ovviamente, la condotta non può tagliare invece la piezometrica assoluta, ma deve sempre mantenersi un al di sotto di essa, perché al di sopra della piezometrica assoluta la pressione assoluta dovrebbe essere negativa, quindi di trazione, il che non può verificarsi. Nella figura 2.3 è indicato l’andamento delle piezometriche relativa e assoluta nel caso in cui la condotta salisse sopra la piezometrica assoluta rettilinea di una quantità superiore all’altezza corrispondente alla pressione atmosferica. Notare che la pressione assoluta è inferiore a quella atmosferica nel tratto AB, si annulla in B (in effetti raggiunge un valore bassissimo, pari alla tensione di vapore saturo a quella temperatura), mantenendola fino in C, e ritorna alla pressione atmosferica soltanto in D. Poiché la pendenza piezometrica si è ridotta, la portata è minore di quella che si avrebbe con una linea piezometrica rettilinea continua. Nel tratto AD (BC?), la pendenza piezometrica coincide ovunque con la pendenza della condotta, che è maggiore di quella a monte di B e a valle di D (C?). Di conseguenza la velocità è maggiore e la sezione più piccola, secondo la relazione

UQ

Ciò vuol dire che nel tratto BC l’acqua defluisce con sezione parzializzata, a superficie libera o, come si dice, a canaletta, con vapore sopra la superficie libera, e ritorna in pressione soltanto in C. Da questo punto in poi la pendenza piezometrica ritorna pari a quella iniziale.

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Figura 2.3 - Condotta in depressione

Le cose vanno in questo modo soltanto se nel tratto in cui la pressione è minore di quella atmosferica, ossia tra A e D, la condotta è perfettamente stagna. Se, invece, nel tratto in depressione vi sono delle aperture (un sfiato, o qualche giunto che tiene male), attraverso di queste entra aria in condotta, e si verifica la situazione illustrata nella figura 2.4: nel vertice si stabilisce la pressione atmosferica, per cui la linea piezometrica passa per A e la pendenza piezometrica si riduce, abbassando la portata. Di conseguenza anche la pendenza della linea piezometrica a monte del serbatoio di valle si riduce, e il carico in eccesso si dissipa tra A e B con un moto a canaletta, in cui la linea piezometrica coincide con l’asse della condotta.

Figura 2.4 - Effetto dell’ingresso d’aria in una condotta in depressione

2.3 MOTO PERMANENTE NELLE CORRENTI IN PRESSIONE. PERDITE DI CARICO LOCALIZZATE

Quando le pareti tra cui avviene il deflusso in pressione non sono cilindriche, ma hanno una sezione che varia nel senso della corrente, il moto permanente non è più uniforme. Mentre nel moto uniforme non si verificano trasformazioni di energia cinetica in energia di pressione e viceversa, perché l’energia cinetica si mantiene costante, nel moto permanente in

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queste trasformazioni possono aver luogo, e la linea piezometrica non è più parallela a quella dei carichi totali. Tuttavia nei liquidi reali, se è agevole la trasformazione di energia di pressione in energia cinetica, che ha luogo quando la corrente è accelerata, la trasformazione inversa di energia cinetica in energia di pressione, che dovrebbe verificarsi nelle correnti rallentate, incontra notevoli difficoltà e avviene soltanto parzialmente. Questa trasformazione, infatti, è sempre accompagnata da un aumento più o meno sensibile della turbolenza, che comporta un’apprezzabile dissipazione di energia in uno spazio relativamente ristretto e che costituisce, quindi, una perdita di carico localizzata. Di seguito è indicato come si calcolano le perdite di carico localizzate in alcuni casi semplici, che si incontrano più frequentemente.

Brusco allargamento di sezione

Nella figura 2.5 è illustrato qualitativamente il deflusso di una corrente in corrispondenza di un brusco allargamento da una sezione σ1 di area Ω1 a una sezione σ2 di area Ω2. La velocità media della corrente passa da:

UQ

11

a:

UQ

22

Le particelle che arrivano alla sezione σ1 in prossimità della parete, si staccano dalla parete stessa, come è indicato dalle frecce, lasciando ai lati delle zone (A) in cui le particelle sono animate da una velocità di trasporto pressoché nulla, ma hanno invece una forte velocità di agitazione. Questa agitazione si propaga in un’ampia zona a valle dell’allargamento (B) e si smorza lentamente, dissipando in calore l’energia cinetica di agitazione.

Figura 2.5 - Brusco allargamento di sezione

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Se si ammette che nelle sezioni σ1 e σ2 (dove l'eccesso di turbolenza può considerarsi smorzato) la distribuzione delle pressioni sia idrostatica, con media p1 e p2, e che, come indicherebbe l’esperienza, la pressione media sul tratto anulare di parete σ1,2, di area Ω Ω2 − 1 , sia anch’essa pari a p1, allora, applicando l’equazione globale al volume compreso tra le sezioni σ1 e σ2:

p p Ldzds

Q Q1 2 2 2 2

2

1

2

20Ω Ω

Ω Ω− − + − =γΩ

ρ ρ

Raggruppando:

( ) ( )p p z z Q1 2 2 2 1 22

1 2

1 10− − − + −

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟ =Ω Ω

Ω Ωγ ρ

dividendo per γΩ2 e ricordando la (2.4):

ζ ζ1 2

2

22

1 2

1 1− = −

⎝⎜

⎠⎟

Qg Ω Ω Ω

e quindi, ricordando la definizione di carico totale per una corrente (2.1):

H HQg1 2 1 2

2

12

222

1 1− = − + −

⎝⎜⎜

⎠⎟⎟ζ ζ

αΩ Ω

si ricava che l'energia dissipata per unità di peso, ossia la perdita di carico ΔH H H= −1 2 , che vale:

( )ΔΩΩ

H H Hg

U UUg

= − = − = −⎛⎝⎜

⎞⎠⎟1 2 1 2

2 12

1

2

2

2 21

α α (2.23)

avendo sommariamente esteso il coefficiente α a tutti i termini. La (2.23) dice che: la perdita di carico localizzata in un brusco allargamento di sezione uguaglia l’altezza cinetica della velocità perduta U1 - U2. Nella figura 2.5 sono tracciati gli andamenti della linea dei carichi totali e di quella piezometrica. Come si può vedere, la piezometrica ha un recupero di quota che vale:

( ) ( )Δζ = − = − − − = −ζ ζα α

1 2 1 2 12

22

22

1 22H H

gU U

gU U U

Essendo U1 maggiore di U2, Δζ è negativo, in accordo con la convenzione adottata di assumere positive le diminuzioni di carico e di quota piezometrica nel verso del moto. Un caso particolare di allargamento di sezione è lo sbocco in un serbatoio in cui l’acqua è mantenuta in quiete. In questo caso si deve porre nella (2.23) U2 = 0, e si ha:

ΔHUg

=α 1

2

2 (2.24)

ossia la corrente perde tutta l’altezza cinetica. Si ha anche: Δζ = 0

Gli andamenti della linea dei carichi totali e della piezometrica sono illustrati nella figura 2.5.

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Figura 2.6 - Sbocco in un serbatoio

Brusco restringimento di sezione

Nella figura 2.7 è illustrato qualitativamente il deflusso di una corrente in corrispondenza di un brusco restringimento di sezione, con passaggio da una sezione σ1, di area Ω1 ad una sezione σ2 di area Ω2.

Figura 2.7 - Brusco restringimento di sezione

Anche qui le particelle fluide che arrivano al restringimento tendono a staccarsi dalle pareti, come è indicato dalle frecce, lasciando ai lati delle zone (A) in cui il moto è privo di componente di trasporto ed è soltanto di agitazione. Superata la sezione contratta σc, di area

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Ωc , il moto di trasporto tende ad interessare successivamente aree sempre più ampie, fino ad occupare di nuovo tutta la condotta. L’agitazione della zona A si trasmette alla zona B (in figura) dove la corrente si allarga, e finalmente viene smorzata dalla viscosità, fino a che nella sezione σ2 l’eccesso d’energia cinetica d’agitazione si può considerare completamente dissipato in calore e resta solo la turbolenza relativa al moto uniforme. Se si ammette che la perdita di carico ΔH si verifichi tutta nell’allargamento a valle della sezione contratta, e che anche in questo caso essa sia pari all’altezza cinetica della velocità perduta, si ha:

( )ΔH H Hg

U UUg Cc

c= − = − = −

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟1 2 2

2 22 2

2 21

1α α

(2.25)

dove Uc è la velocità nella sezione contratta, Ccc=

ΩΩ2

è il coefficiente di contrazione nel

restringimento, il cui valore dipende dal rapporto ΩΩ

1

2. Se

ΩΩ

1

2 è grande, ossia se la

diminuzione di sezione è notevole, si ha Cc = 0,5. Se Ω1 è poco diverso da Ω2 , Cc tende ad

uno insieme al rapporto ΩΩ

1

2.

Nella figura 2.7 sono tracciati gli andamenti della linea dei carichi totali e di quella piezometrica. Come si può vedere, la quota piezometrica cala più del carico totale: infatti dopo il restringimento l’altezza cinetica è maggiore. La piezometrica ha un minimo in corrispondenza della sezione contratta, dove l’altezza cinetica è massima. Chiamando Δζc = − cζ ζ1 la differenza tra le quote piezometriche in σ1 e σc, e Δζ2 quella tra σ1 e σ2, e ammettendo che prima della sezione contratta, tra σ1 e σc, sia nulla la perdita di carico, si ha:

( )Δζc ccg

U Ug

UUC

= − − = − −⎛

⎝⎜⎜

⎠⎟⎟

α α2 21

2 212 2

2

e:

( )Δζ2 1 2 12

22

2= − − −H H

gU U

α

Un caso particolare d’allargamento di sezione è l’efflusso da un serbatoio con acqua in quiete. In questo caso è sempre Cc = 0,6, perché il restringimento è forte. Nelle espressioni di Δζc e Δζ2 si può porre U1 = 0. Gli andamenti della linea dei carichi totali e della piezometrica sono illustrati nella figura 2.8.

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Figura 2.8 - Uscita da un serbatoio

Brusca strozzatura

In una strozzatura del tipo di quella illustrata nella figura 2.9, come nel brusco restringimento, le perdite di carico si verificano a valle della sezione contratta σc.

Figura 2.9 - Brusca strozzatura

Se è Ω l’area della sezione della condotta, Ωs quella della strozzatura e Ωc quella della sezione contratta, nell’ipotesi che la perdita di carico ΔH avvenga tutta nell’allargamento a valle della sezione contratta, si ha:

( )ΔΩΩ

H H Hg

U Ug

UC

UUg Cc

s

c c= − = − = −

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟ =

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟1 2

22 2 2

2 2 21

1α α α

s− (2.26)

15

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dove:

UQ

è la velocità nella condotta, e:

UQ

ss

è quella nella strozzatura; ΩΩs

è il rapporto di strozzamento, e Ccc

s=

ΩΩ

è il coefficiente di

contrazione nella strozzatura, che può essere assunto all’incirca pari a quello di un analogo restringimento di sezione. Gli andamenti della linea dei carichi totali e della piezometrica sono illustrati nella figura 2.9. Come si è visto, nei restringimenti di sezione e nelle strozzature la piezometrica si deprime in corrispondenza delle sezioni contratte più di quanto non lascerebbe pensare il semplice restringimento di sezione; perciò, se si vuole evitare che la piezometrica tagli la condotta, provocando depressioni e, eventualmente, cavitazione, bisogna verificarne l’andamento, introducendo nei calcoli il valore che l’altezza cinetica assume nella sezione contratta.

Bruschi cambiamenti di direzione

Anche nei bruschi cambiamenti di direzione le particelle in moto che arrivano allo spigolo tendono a staccarsi dalla parete. A valle dello spigolo si forma perciò una zona di forte turbolenza, con una sezione contratta analoga a quella che si forma nei restringimenti di sezione, come illustrato nella figura 2.10.

Figura 2.10 - Brusca deviazione

La perdita di carico localizzata ΔH può essere espressa dalla relazione:

( )ΔH H HUg

= − =1 2

2

2η ϕ

α (2.27)

dove è un coefficiente che dipende dalla deviazione ϕ e può essere calcolato tramite la relazione:

( )η ϕ

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( )η ϕϕ ϕ

=⎛⎝⎜

⎞⎠⎟ +

⎛⎝⎜

⎞⎠⎟0 946

22 05

22 4, ,sin sin

Influenza dei raccordi

Poiché, come si è visto, la causa delle perdite di carico localizzate nei cambiamenti di sezione è essenzialmente da attribuire alla turbolenza che ha origine nelle zone prive di velocità di trasporto che si formano a valle degli spigoli, dove le particelle provenienti da monte tendono a staccarsi dalla parete, si comprende facilmente sia possibile ridurre sensibilmente tali perdite di carico, raccordando opportunamente i cambiamenti di sezione, con profili che accompagnano le linee di flusso, riducendo le zone di grande turbolenza. Nella figura 2.10 sono illustrate alcune forme di raccordi per allargamenti e restringimenti. È interessante notare che a parità di lunghezza, i raccordi più efficaci sono quelli indicati con la lettera a); tuttavia i raccordi troncoconici, indicati con la lettera b), di uso più comune, danno risultati generalmente soddisfacenti, e comunque migliori dei raccordi del tipo indicato con la lettera c).

Figura 2.10 - Raccordi per cambiamenti di diametro

I cambiamenti di direzione possono essere raccordati con tronchi curvilinei (figura 2.11), in cui l’aumento localizzato di turbolenza è senz’altro più basso che nelle deviazioni brusche ed è tanto minore quanto maggiore è il raggio R del raccordo.

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Figura 2.11 - Condotta in curva

In opere di particolare importanza, in cui sia essenziale ridurre al minimo le perdite di carico localizzate, la migliore conformazione delle superfici di raccordo deve essere studiata sperimentalmente su modello.

3 MODELLO MATEMATICO DELLE RETI DI CONDOTTE

3.1 SCHEMATIZZAZIONE DELLA RETE

Si consideri in un primo momento un sistema formato unicamente da condotte, senza altri organi particolari, quali serbatoi, torri piezometriche, pozzi, impianti di sollevamento, valvole riduttrici di carico, valvole unidirezionali, ecc. Il sistema, in seguito chiamato genericamente rete anche nel caso di sistema ramificato, viene schematizzato con tronchi, costituiti da condotte monodiametro, a portata costante lungo il percorso, che si congiungono in nodi, attraverso cui avviene lo scambio di portata con l'esterno (alimentazione della rete o erogazione all'utenza) (figura 3.1).

Figura 3.1 - Schema di un rete di condotte

Una parte di rete costituisce una maglia se ogni sua coppia di nodi è unita da esattamente due percorsi: una maglia costituisce quindi un percorso chiuso. Un esempio di maglia è rappresentato nella figura 3.1 dai tronchi 2, 3 e 5, che formano la maglia 1.

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Un sistema di maglie si dice indipendente se nessuna maglia può essere ottenuta come combinazione delle altre. Nella figura 3.1 sono indipendenti le maglie 1 e 2 formate rispettivamente dai tronchi 2, 3 e 5 e dai tronchi 4, 3 e 6. Se si considera anche la maglia formata dai tronchi 2, 4, 5 e 6, le tre maglie non sono più indipendenti, perché ciascuna è combinazione delle altre due. Una rete, o parte di questa, i cui tronchi non formino maglie si dice aperta. Viceversa si dice chiusa una rete, o parte di questa, i cui tronchi facciano tutti parte di maglie. In una rete aperta due nodi qualsiasi sono connessi da un unico percorso. Facendo riferimento alla figura 3.1, sono aperte le parti di rete formate dal tronco 1 e dai tronchi 7, 8 e 9. È invece chiusa la parte di rete formata dai tronchi 2, 3, 4, 5 e 6. Una maglia si dice semplice se nella rappresentazione planimetrica all'interno dell'area da questa compresa non vi è alcun tronco facente parte di una rete chiusa. Nella figura 3.1 sono semplici le maglie 1 e 2, mentre non è semplice quella formata dai tronchi 2, 3, 5 e 6. In una rete suddivisa in maglie semplici, ogni tronco fa parte al più di due maglie, e precisamente: - non fa parte d'alcuna maglia, se costituisce un ramo di rete aperta; - fa parte di una sola maglia, se nella rappresentazione planimetrica della rete costituisce

un tronco periferico; - fa parte di due maglie, se nella rappresentazione planimetrica della rete costituisce un

tronco interno. Si indica con:

i l'indice dei tronchi, con i = 1 … l; ad ogni tronco è associato un orientamento, definito come verso positivo di percorrenza;

k l'indice dei nodi, con k = 1 … n; ad ogni nodo è associato un orientamento, definito come verso positivo di scambio (entrante o uscente);

j l'indice delle maglie indipendenti, con j = 1 … m; ad ogni maglia è associato un orientamento, definito come verso positivo di circolazione.

Generalmente si definisce il medesimo orientamento per tutti i nodi, e nelle pagine che seguono è stato assunto positivo l'orientamento entrante. Si definisce anche un medesimo orientamento per tutte le maglie, ad esempio con circolazione oraria. Si ha: m = l - n + 1 (3.1) Si noti che in una rete aperta, essendo m = 0, è: l = n - 1 (3.1') ossia il numero dei tronchi è uguale al numero dei nodi meno uno.

3.2 ELEMENTI DEL MODELLO

Si indica con: Li la lunghezza del tronco i; Di il diametro della condotta del tronco i;

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Qi la portata del tronco i, positiva se segue l'orientamento del tronco; hi la perdita di carico nel tronco i; Pk la portata scambiata con l'esterno nel nodo k, positiva se entrante nella rete; Hk il carico nel nodo k, misurato da una quota di riferimento qualsiasi; qj la portata circolante nella maglia j, positiva se segue l'orientamento di questa.

Per definizione: per ogni tronco i = 1 … l (3.2) ∑

∈−=−=

ikkkivimii HHHh

Δδ

dove la sommatoria è estesa ai nodi k che fanno parte dell’insieme Δi delle estremità del tronco i, e: δki = 1 se il tronco i è orientato nel verso il nodo k; δki = -1 se il tronco i è orientato nel verso uscente dal nodo k,

Ad esempio, nella figura 3.1 è: δ2,1 = 1 e δ2,2 = -1. Scelto un nodo iniziale qualsiasi, indicato con k = r, in cui il carico Hr può essere stabilito arbitrariamente, i carichi nei singoli nodi possono essere ricavati a partire da Hr per mezzo delle perdite di carico nei tronchi, hi:

∑∈

−=k,ri

ikirk hHHΖ

ζ per ogni nodo k = 2 … n (3.3)

dove la sommatoria è estesa a tutti i tronchi i che si trovano su un percorso Ζr,k che va dal nodo r al nodo k, e: ζki = 1 se il tronco i è orientato nel verso del cammino dal nodo r al nodo k, ζki = -1 se il tronco i è orientato nel verso opposto al cammino dal nodo r al nodo k,

Ad esempio, nella figura 3.1, in un cammino che collega il nodo 1 col nodo 5 risulta: ζ5,1 = 1, ζ5,4 = -1.

3.3 EQUAZIONI DEI CARICHI NEI TRONCHI

Le equazioni dei carichi nei tronchi legano in ciascun tronco le perdite di carico alle portate:

iiiiiiii QQKQQLkh == per ogni tronco i =1, … l (3.4)

dove ki e Ki = kiLi sono rispettivamente la caratteristica unitaria e la caratteristica della condotta del tronco i. Le (3.4) costituiscono un sistema di l equazioni, lineari nelle l incognite hi e non lineari nelle l incognite Qi.

Ricordando le (3.2), si ricava dalle (3.4) (figura 3.2): iii

kkki QQKH

i

=∑=Δ

δ per ogni tronco i = 1 … l (3.5)

Le (3.5) costituiscono un sistema di l equazioni, lineari nelle n - 1 incognite Hk e non lineari nelle l incognite Qi.

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Him Hiv

Tronco i

Qi

Him HivHim Hiv

Tronco i

Qi

Figura 3.2 - Schema per l'equazione dei carichi in un tronco

3.4 EQUAZIONI DI CONTINUITÀ DELLE PORTATE NEI NODI

Le equazioni di continuità delle portate nei nodi esprimono il concetto che la somma algebrica delle portate entranti in un nodo è nulla: per ogni nodo k = 2 … n (3.6) 0=+∑

∇∈k

iiki PQ

k

δ

dove la sommatoria s'intende estesa a tutti i tronchi i che fanno parte dell’insieme ∇ dei tronchi che convergono nel nodo k, indicato nella figura 3.3, e si è assunta la convenzione di considerare positive le portate entranti nel nodo.

k

KPk

altri nodi

i

KKPk

altri nodi

i

Figura 3.3 - Schema per la continuità delle portate in un nodo

Si noti che l'esclusione di un'equazione nodale (convenzionalmente si può escludere quella del nodo k = 1) è dovuta al fatto che deve essere soddisfatta anche la continuità delle portate scambiate con l'esterno, per cui: (3.7) 0P

kk =∑

e quindi una delle n equazioni di nodo risulta combinazione lineare delle altre. Pertanto le (3.6) costituiscono un sistema di n - 1 equazioni lineari nelle l incognite Qi.

3.5 EQUAZIONI DEI CARICHI NELLE MAGLIE

Le equazioni dei carichi nelle maglie esprimono il concetto che è nulla la somma algebrica delle perdite di carico in una maglia: per ogni maglia j = 1 … m (3.8) 0h

jiiji =∑

∈Αα

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dove la sommatoria è estesa a tutti i tronchi i che fanno parte dell’insieme Αj dei tronchi che compongono la maglia, indicato nella figura 3.4, j, e: αji = 1 se il tronco i è orientato nel verso assunto come positivo per la circolazione

nella maglia j; αji = -1 se il tronco i è orientato nel verso opposto a quello assunto come positivo per la

circolazione nella maglia j. Ad esempio, nella figura 3.1 è α1,2 = 1 e α1,4 = -1. Le (3.8) formano un sistema lineare di m equazioni nelle l incognite hi.

jj

i

Figura 3.4 - Schema per l'equazione dei carichi in una maglia

In funzione delle portate di tronco

Ricordando le (3.4), le (3.8) assumono la forma: 0QQK

jAiiiiji =∑

∈α per ogni maglia j = 1 … m (3.9)

Le (3.9) costituiscono un sistema non lineare di m equazioni nelle l incognite Qi. Si definisce portata circolante nella maglia j, una portata ideale qj (j = 1 … m) che percorre tutti i tronchi della maglia seguendo sempre lo stesso verso di circolazione. Le portate circolanti nelle maglie soddisfano sempre il sistema delle equazioni di continuità delle portate nei nodi (3.6), perché ognuna di queste entra ed esce da ciascun nodo facente parte della maglia.

In funzione delle portate circolanti nelle maglie

Si può dimostrare che i componenti di qualsiasi vettore di portate Qi, e in particolare quello che soddisfa contemporaneamente al sistema delle (3.6) e delle (3.9), possono essere espressi nella forma: ∑

∀∈+=

ijjjiii q'QQ α per ogni tronco i = 1 … n (3.10)

dove le Qi' sono portate di tronco compatibili con le equazioni di continuità nei nodi (3.6)2 e

2 Per ricavare il vettore delle Qi' si assegnano ad arbitrio dei valori di prima approssimazione Qi' per l - n + 1

tronchi (i = 1, … , l - n + 1). Le equazioni di nodo (3.6) formano allora un sistema determinato nelle incognite costituite dalle rimanenti n - 1 portate nei tronchi (i = l - n + 2, … , l). La soluzione del sistema fornisce, ovviamente, dei valori di prima approssimazione anche per tali portate. Il vettore delle Qi' (i = - 1, … , l) così calcolate, pur risolvendo le (3.6), non è compatibile con le (3.9). In pratica le Qi' possono essere assegnate semplicemente ripartendo in modo arbitrario le portate tra i vari tronchi, nel rispetto della

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la sommatoria è estesa alle maglie j che fanno parte dell’insieme ∀i delle maglie di cui fa parte il tronco i. Sostituendo le (3.10) nelle (3.9) si ottiene:

0q'Qq'QKJ iii j

jjiij

jjiiiJi =+⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+∑ ∑

∈ ∀∈∀∈Αααα ∑ per ogni maglia J = 1 … m (3.11)

Le (3.11) costituiscono un sistema di m equazioni non lineari nelle m incognite qj.

Se tutte le maglie sono semplici, con lo stesso verso di circolazione, ogni tronco fa parte al più di due maglie e, indicando con qji indica la portata circolante nella maglia j = ji che ha in comune con la maglia j il tronco i, se la portata qJj è positiva per la maglia ji, essa è negativa per la maglia j e viceversa, per cui le (3.8) si riducono a:

( ) 0qq'Qqq'QKji

jijijijijijii =−+−+∑∈Α

αα per ogni maglia j = 1 … m (3.12)

4 METODI DI VERIFICA

4.1 RETI APERTE

Come accennato nel punto 1, nei problemi di verifica si assumono note le caratteristiche della rete - vale a dire la topologia, e le lunghezze Li ed i diametri Di delle condotte - e si devono individuare le portate nei tronchi Qi e i carichi nei nodi Hk. Scompare quindi delle equazioni (3.4) la non linearità dovuta ai diametri e rimane soltanto quella dovuta alla relazione quadratica tra perdite di carico e portate. Si è visto che nel caso delle reti aperte vale la (3.1'), ossia il numero dei tronchi è uguale al numero dei nodi meno uno. Pertanto, se tutte le portate Pk erogate ai nodi sono note, le equazioni di continuità delle portate nei nodi (3.6) costituiscono un sistema lineare di n - 1 equazioni in altrettante incognite Qi, che è possibile risolvere preventivamente. In pratica (vedi punto 2.5, in nota) le Qi possono essere ricavate senza risolvere il sistema, ripartendo le portate tra i vari tronchi, nel rispetto della continuità delle portate in ciascun nodo a partire da un nodo qualsiasi. Individuate le Qi, i carichi nei nodi Hk sono ricavati risolvendo le (3.5) una alla volta, partendo da un nodo con quota piezometrica nota. Se invece alcune Pk non sono note, il sistema delle (3.6) non è determinato, e anche una rete aperta deve essere trattata come se fosse chiusa.

4.2 RETI CHIUSE

continuità in ciascun nodo, a partire da un nodo qualsiasi. Un minimo di esperienza e di buon senso consentono in genere di ottenere delle Qi' non molto distanti dalle Qi che soddisfano sia le (3.6), sia le (3.9).

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Nelle reti chiuse vale la (3.1), ossia il numero dei tronchi è maggiore del numero dei nodi meno uno, per cui il sistema delle (3.6) è indeterminato. Non è quindi possibile determinare univocamente le portate nei tronchi per mezzo delle sole equazioni di nodo. Di conseguenza la non linearità delle (3.4) dovuta alle portate non è eliminabile. I sistemi risolutivi delle rete più comunemente usati, tutti non lineari nei diametri Di, sono costituiti da: a) le m equazioni dei carichi nelle maglie (3.12), non lineari nelle variabili qj; le portate nei

tronchi Qi e i carichi nei nodi Hk sono dati rispettivamente dalle (3.10) e dalle (3.3'); b) le n - 1 equazioni di continuità delle portate nei nodi (3.9), non lineari nelle variabili Hk;

le portate nei tronchi Qi sono date dalle (3.5).

Poiché il numero m delle equazioni dei carichi nelle maglie è sempre inferiore al numero n - 1 delle equazioni di continuità delle portate nei nodi, il sistema a) ha meno equazioni del sistema b). La non linearità delle equazioni richiede comunque l'impiego di metodi numerici per la soluzione dei sistemi di equazioni. Il metodo di soluzione più antico è il metodo di Cross, proposto appunto da Cross nel 1936, che può essere applicato sia alle equazioni di nodo, sia a quelle di maglia. Come si vedrà nel paragrafo 3.4, questo metodo, tramite opportune semplificazioni, riduce il sistema ad un insieme di equazioni approssimate, risolvibili ciascuna nella sua unica incognita (carico nel nodo o portata circolante nella maglia). Tali equazioni, risolte iterativamente, consentono di arrivare ad una soluzione quanto si vuole approssimata. Il metodo di Cross è applicabile anche manualmente, ed era perciò l'unico praticamente impiegato fino alla diffusione dei calcolatori elettronici. Esso non è però privo di inconvenienti, potendo presentare problemi di convergenza e talvolta anche di accuratezza, soprattutto quando nella rete sono incluse condotte con portate o diametri molto diversi incidenti nello stesso nodo o comprese nella stessa maglia. Con l'avvento del calcolo elettronico sono stati proposti altri metodi per cercare di accelerare la convergenza e migliorare l'accuratezza delle soluzioni. Tali metodi consistono in una linearizzazione dei sistemi risolutivi ottenuta con il metodo di Newton-Raphson o con altri metodi. Poiché il metodo di Cross non è altro che in una ulteriore semplificazione delle equazioni ottenute con la linearizzazione di Newton-Raphson, nei paragrafi che seguono saranno esposti prima i metodi di soluzione delle equazioni di maglia basati su tale linearizzazione e poi quelli che utilizzano la semplificazione di Cross.

4.3 METODO DI NEWTON-RAPHSON

Si consideri una funzione F(x) monotona nelle variabili xy che costituiscono il vettore x. Secondo il metodo di Newton-Raphson, le soluzioni dell'equazione F(x) = 0 possono essere ricavate iterativamente, uguagliando a zero lo sviluppo in serie di Taylor della F(x) troncato al primo termine (figura 4.1), che si esprime all'iterazione r:

( )[ ] ( )[ ]( )

( ) ( )[ 0xxxFxFxF r

y1r

yy

r

y

r1r =−⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+≅ ++ ∑ ∂

∂ ] (4.1)

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Figura 4.1 - Metodo di Newton-Raphson

4.4 SOLUZIONE DELLE EQUAZIONI DI MAGLIA CON IL METODO DI NEWTON-RAPHSON

L'applicazione del metodo di Newton-Raphson alle equazioni di maglia è comunemente riportata in manuali anche non molto recenti, oltre che in numerose pubblicazioni scientifiche. Le equazioni risolutive nelle portate di maglia risultano (appendice 3):

( ) ( ) ( ) ( )[ ]{ } 0qqqq2qq'Qqq'QKJi

rJi

1rJi

rJ

1rJ

)r(Ji

)r(JiJi

)r(Ji

)r(JiJii =+−−+−+−+∑

++

Ααα (4.2)

Indicando con:

(4.3) )r(Ji

)r(JiJi

)r(iJi qq'QQ −+=αα

la portata corretta all'iterazione r, e con:

( ) ( ) ( )rj

1rj

1rj qqq −= ++Δ (4.4)

gli incrementi delle portate circolanti nelle maglie j, all'iterazione r+1, si ottiene:

( ) ( )[ ]{ } 0qq2QQKJi

1rJi

1rJ

)r(iJi

)r(ii =−+∑

++

ΑΔΔα per j = 1 … m (4.5)

Le (4.5) costituiscono un sistema lineare di m equazioni nelle m incognite , e

consentono quindi di ricavare gli incrementi delle portate circolanti nelle maglie. Iterando le soluzioni del sistema fino a che gli incrementi

( 1rjq +Δ )

( )1rjq +Δ non diventano trascurabili, si

ottengono, tramite le (4.3), le portate di tronco Qi, e successivamente, a mezzo delle (3.3'), i carichi nei nodi hk. Questa procedura converge più rapidamente di quella relativa alle equazioni di nodo, ma la sua convergenza non è assicurata. Anch'essa può essere facilitata dalla scelta di una configurazione di partenza Qi' non troppo distante dalla soluzione del sistema.

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Semplificazione di Cross La semplificazione di Cross consiste nel trascurare in ciascuna equazione dei carichi della maglia j le incognite relative alle maglie j ≠ J. Le (4.5) diventano allora: ( 1r

jq +Δ )

( )[ ] 0qQQKJi

1rJ

)r(iJi

)r(ii =+∑

+

ΑΔα (4.6)

che possono essere risolte per , equazione per equazione: ( 1rJq +Δ )

( )

( ) ( )

( )∑

∈+ −=

J

J

i

rii

i

ri

riiJi

1rJ

QK2

QQK

q

Α

Αα

Δ per J = 1 … m (4.7)

Le (4.7), con le (4.3), consentono di determinare recursivamente le incognite Qi, risolvendo un'equazione alla volta. Si evita così la necessità di risolvere un sistema lineare, il che può presentare difficoltà quando le dimensioni del problema sono grandi o la matrice è mal condizionata. Il metodo di Cross applicato alle equazioni di maglia presenta i medesimi vantaggi e svantaggi di quello applicato alle equazioni di nodo. Rispetto a quest'ultimo però converge più rapidamente, e i casi di non convergenza sono generalmente più rari. Ciò spiega perché questa sia la procedura di gran lunga più usata per la verifica delle reti chiuse.

4.5 ALTRI COMPONENTI DELLE RETI

Oltre alle tubazioni, le reti di distribuzione comprendono altri componenti, che devono essere anch'essi inclusi nei modelli. In questa sede saranno presi in considerazione: serbatoi, valvole unidirezionali, valvole riduttrici di carico e pompe. Ognuno di tali componenti è rappresentato da relazioni che ne esprimono il comportamento, in forma diversa a seconda del modello di calcolo prescelto.

Serbatoi

Nei problemi di verifica, i serbatoi rappresentano dei punti a carico noto. Quando esiste un solo serbatoio, questo è assunto come nodo di riferimento e non occorre inserire speciali relazioni per rappresentarlo, perché la portata che esso scambia con la rete è immediatamente ricavata dall'equazione di continuità delle portate applicata alla rete nel suo complesso (che è combinazione lineare di tutte le equazioni di continuità delle portate nei nodi). Diversa è la situazione quando la rete comprende più di un serbatoio. In tal caso la portata che ciascun serbatoio scambia con la rete non è nota a priori, ma costituisce un'ulteriore incognita. Nelle equazioni dei carichi nelle maglie - le cui incognite sono le portate di tronco Qi o le portate circolanti nelle maglie qj, a seconda che si fa riferimento alle (3.11) o alle (3.9) - per ogni serbatoio addizionale è aggiunto un tronco fittizio i che lo collega con il nodo di riferimento a carico noto Hr, come indicato nella figura 4.2. La perdita di carico HI in tale

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tronco è posta uguale alla differenza tra il carico Hs del serbatoio in oggetto e quello di riferimento, e serve a chiudere l'equazione di maglia su un percorso che dal nodo di riferimento porta al serbatoio.

Hr

Hs

tronco fittizio i

Figura 4.2 - Schematizzazione di un serbatoio nel metodo alle maglie

Pompe con portata indipendente dalla prevalenza

La portata delle pompe può essere considerata indipendente dalla prevalenza quando le fluttuazioni di carico nella rete sono trascurabili rispetto alla prevalenza stessa. Ciò accade, ad esempio, quando è prelevata acqua da un pozzo o da un serbatoio, in cui il livello idrico sia molto basso rispetto al carico in rete. La pompa può essere allora schematizzata come un tronco fittizio con un salto piezometrico noto.

5 DIMENSIONAMENTO

5.1 IMPOSTAZIONE DEL PROBLEMA

Nei problemi di dimensionamento sono note soltanto le condizioni cui l'impianto deve soddisfare - ossia gli scambi di pressione con l'esterno (alimentazione e erogazione) e le pressioni minime di consegna - ma le caratteristiche del sistema distributore fanno parte delle incognite. Poiché l'aumento del numero delle incognite rispetto al problema di verifica non è compensato da un aumento del numero delle equazioni, il problema è indeterminato. Se si devono calcolare i diametri delle condotte, le incognite sovrabbondanti corrispondono ai diametri Di delle condotte e sono in numero di l.

Il grado di indeterminazione del sistema si riduce se alcune incognite vengono fissate a priori, come accade nel caso che alcuni tronchi siano esistenti (Di fissati), o in cui siano presenti superfici libere a quota nota (Hk fissati). Se il problema resta indeterminato, si può adottare un atteggiamento razionale e decidere di scegliere - tra le infinite soluzioni che rispettano i vincoli del problema, dette soluzioni fattibili - quella che risulta più vantaggiosa dal punto di vista economico. A parità di servizi resi, tale soluzione è quella che rende minimo il costo dei costruzione e di esercizio del sistema. Indicando con w l'indice degli impianti di sollevamento, il problema è il seguente: rendere minima una funzione obiettivo che rappresenta il costo dell'intervento:

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( ) ( )ητ

TQghcLDc,C wwweiiii

∑−∑=whD (5.1)

dove D è il vettore dei diametri, e hw è il vettore delle prevalenze hw dei sollevamenti (schematizzate come perdite di carico negative), e: - C è il costo complessivo; - ci(Di) è il costo unitario di acquisto e posa in opera delle tubazioni del tronco i. Una

volta scelto il tipo di tubazione e la classe di pressione, il costo unitario ci può essere espresso come una funzione, nel caso più generale non lineare, del diametro Di;

- ce è il costo dell'energia per il sollevamento per kwh; - Qw è la portata (in m3/s) del sollevamento; - T, η, τ sono rispettivamente le ore annue di funzionamento dello impianto, il

rendimento delle pompe e il tasso di ammortamento. La seconda sommatoria, ovviamente estesa a tutti gli impianti di sollevamento, indica il costo capitalizzato del consumo d'energia per il pompaggio, espressa in kwh. Le variabili decisionali Di D, vettore dei diametri, e hw ∈ ∈ hw, vettore delle prevalenze, sono legate alle altre variabili (Qi, qj, Hk, hi …) da vincoli fisici, tutti di uguaglianza, che consistono nelle seguenti relazioni: - le equazioni di continuità delle portate nei nodi (3.6), che sono lineari nelle portate Qi:

per ogni nodo k = 2 … n (3.6) 0PQ ki

ikik

=+∑∇∈

δ

- le equazioni dei carichi nei tronchi (3.5), che sono lineari nei carichi Hk, ma non lineari nelle portate Qi e nei diametri Di:

iiivimi QQKHH =− per ogni tronco i = 1 … l (3.5)

Esistono inoltre dei vincoli operativi, generalmente di disuguaglianza: - vincoli sui carichi nei nodi, che devono essere compresi tra un valor minimo Hk,min e un

valor massimo Hk,max: Hk,min ≤ Hk ≤ Hk,max (5.2) - vincoli sulle velocità in condotta:

2i

ii D

Q4V

π=

che devono essere inferiori ad un valor massimo Vi,max, per cui:

,maxi

ii V

Q2D

π≥ (5.3)

- vincoli diretti sui diametri, che devono essere compresi entro un minimo Di,min e un massimo Di,max:

Di,min ≤ Di ≤ Di,max (5.4) Talvolta si ammette invece che i diametri debbano assumere solo dei valori della serie

commerciale Dx, composta dai diametri Dx, con x = 1 … r: (5.5) xi DD ∈

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L'eventuale condizione di condotta monodiametro che includa più tratti con portate diverse, si ottiene imponendo l'uguaglianza dei diametri (incogniti) dei diversi tratti. Per trattare i vincoli di disuguaglianza, basta osservare che un qualsiasi vincolo di disuguaglianza, dipendente da un vettore x di variabili decisionali: g(x) > b (5.6) può essere trasformato in un vincolo di uguaglianza a zero, semplicemente sottraendo a g(x) il termine noto e il quadrato di una variabile ausiliaria ξ: g(x) - b - ξ2 = 0 Ciò consente di trattare le disequazioni come se fossero equazioni, al prezzo di un aumento delle dimensioni del problema.

5.2 RETI APERTE

Come si è visto nel punto 3.1, nel caso delle reti aperte è facile determinare preventivamente tutte le portate nei tronchi. Di conseguenza la non linearità delle equazioni dei carichi nei tronchi si riduce alla dipendenza dai diametri Di. Il problema generale resta comunque di non facile soluzione. Di seguito verranno esaminati due casi particolari in cui il problema si semplifica, casi che peraltro consentono di risolvere agevolmente la grande maggioranza dei problemi pratici.

Caso senza vincoli di disuguaglianza

Si consideri un acquedotto costituito da una rete aperta, in cui i vincoli operativi sui carichi sono assicurati fissando in alcuni nodi critici, generalmente i nodi di estremità, indicati con y = 1 … p, la quota piezometrica Hy (figura 5.1). Si indichino con Δy le differenze di carico tra uno di questi nodi, k = 1, assunto come riferimento, e gli altri a quota nota: Δy = H1 - Hy

Se, come usualmente accade, il numero p dei nodi a quota piezometrica nota è inferiore al numero n - 1 dei nodi, il sistema è indeterminato e può essere risolto imponendo che sia minimo il costo della rete.

1 y

1

y

nodo di riferimento

nodo di estremitày=1..p

1 y

11

yy

nodo di riferimento

nodo di estremitày=1..p

Figura 5.1 - Schema di acquedotto ramificato

Tenendo presente che le (3.3) stabiliscono una relazione biunivoca tra le perdite di carico nei

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tronchi hi e i diametri Di, i costi dei singoli tronchi possono essere espressi come funzione delle hi, e il problema di ottimizzazione può essere formalizzato come segue:

( ) ( )[ ]∑= i ii hCCmin hh

dove h è il vettore delle hi, nel rispetto dei vincoli fisici:

(5.7) ∑∈

=yi

iy hΖ

Δ

dove la sommatoria è estesa a tutti i tronchi i elementi del percorso Ζy che dal nodo di riferimento porta al nodo di estremità y e si è ipotizzato che il verso positivo dei tratti sia quello effettivo della portata. Se il problema è formulato in questo modo, senza vincoli di diseguaglianza, la soluzione del problema vincolato coincide con quella del seguente problema non vincolato:

(5.8) ( ) ( )⎪⎭

⎪⎬⎫

⎪⎩

⎪⎨⎧

⎥⎥

⎢⎢

⎡−+= ∑ ∑∑

∈y

Piiyyi ii

y

hhC,Lmin Δλλλ

hh,

dove λ è il vettore delle variabili λy, dette moltiplicatori di Lagrange, e la funzione L(H,λ) prende il nome di lagrangiano. Si noti che quando tutti i vincoli (5.7) sono rispettati, il secondo termine al secondo membro della (5.8) è nullo, e il lagrangiano si riduce alla funzione obiettivo C. La soluzione del problema non vincolato (5.8) è data dal sistema costituito dalle equazioni:

0hC

hL

iyy

i

i

i=+= ∑

∈Λλ

∂∂

∂∂ per i = 2 … n (5.9)

dove la sommatoria è estesa all’insieme Λi di tutte le estremità y il cui percorso a partire dal nodo di riferimento attraversa il tronco i, e:

0hL

yZiiy

y=−= ∑

∈Δ

∂λ∂ per y = 1 … p (5.10)

che rappresentano, appunto, i vincoli (5.7). Se il costo Ci(hi) è esprimibile come una funzione quadratica delle perdite di carico hi:

Ci(hi) = ahi2 + bhi + c

allora le (5.9) diventano anch'esse lineari come le (5.10):

0bahhL

iyyi

i=++= ∑

∈Λλ

∂∂ per i = 2 … n (5.11)

e il sistema costituito dalle (5.11) e (5.10) è lineare nelle incognite hi e λy, e può essere risolto.

Soluzione generale con diametri commerciali

Se si impone il vincolo (5.5) che i diametri possano assumere solo i valori della serie

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commerciale, ogni tronco i sarà in generale composto da r tratti, ognuno con un diametro commerciale Dx. Le (3.4) si trasformano allora nelle:

∑= x x,ixiii LkQQh (5.12)

dove kx è la caratteristica unitaria della condotta di diametro Dx, e Li,x è la lunghezza del tratto del tronco i che ha diametro Dx. Le (5.12) sono lineari nelle rimanenti incognite hi e Li,x. Naturalmente le lunghezze Li,x devono rispettare i seguenti vincoli:

ix x,i LL =∑ Li,x ≥ 0

A sua volta la funzione obiettivo (5.2) in assenza di sollevamenti si esprime:

(5.13) ∑ ∑= i x x,ixLcC

dove cx è il costo per unità di lunghezza della condotta di diametro commerciale Dx. Anche la (5.13) è lineare nelle variabili decisionali, costituite dalle sole lunghezze Li,x. Si rientra così in un problema di programmazione lineare che, come è noto, è sempre risolvibile se esiste una soluzione ammissibile. La soluzione ottimale fornita dalla programmazione lineare presenta sempre la suddivisione di ogni tronco in al massimo due tratti con diametri commerciali contigui, esattamente come quando si opera la scelta dei diametri commerciali che equivalgono a un unico diametro teorico. Poiché la programmazione lineare ammette anche vincoli di disuguaglianza, purché lineari, possono essere inseriti vincoli tipo (5.2) sulle quote dei nodi non di estremità.

5.3 RETI A MAGLIE CHIUSE

Ben più complessa è l'ottimazione delle reti a maglie chiuse. In esse, infatti, il sistema delle equazioni di continuità delle portate nei nodi (3.6) non è risolvibile separatamente, perché il numero l delle incognite Qi è maggiore del numero n - 1 delle equazioni. Pertanto non è possibile eliminare nelle (3.3) o nelle (3.5) la non linearità nelle portate, e il ricorso ai diametri commerciali - che elimina soltanto la relazione non lineare nei diametri, sostituendola con una relazione lineare nelle lunghezze - non è sufficiente a linearizzare il sistema. Questo problema è stato oggetto dell'attenzione di numerosi studiosi, ma la sua soluzione richiede sempre calcoli molto onerosi non appena le dimensioni della rete diventano consistenti. Inoltre, come è stato messo chiaramente in evidenza (Stephenson, 1976), a causa della non convessità del problema, i metodi attualmente disponibili non garantiscono che il risultato ottenuto sia effettivamente un minimo assoluto e non soltanto un minimo relativo. D'altra parte l'impiego di metodi di ottimazione può sempre consentire di raggiungere una soluzione migliore di qualsiasi altra, scelta ad arbitrio, non fosse altro perché quest'ultima può essere assunta come punto di partenza per le procedure di ottimazione, che hanno sempre un carattere iterativo o a passi.

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In queste pagine si farà un rapido cenno ai modelli più promettenti, rinviando invece alla letteratura specializzata per altri metodi che sono stati già ampiamente discussi3.

5.4 DIMENSIONAMENTO DELLE RETI DI DISTRIBUZIONE

Anche per le reti di distribuzione cittadine che, come si è visto, sono generalmente a maglie chiuse, si cerca talvolta di impostare il dimensionamento come se fossero reti aperte. In tal caso si fa riferimento a configurazioni schematiche semplificate: - si considerano solo le condotte alimentatrici principale e secondarie, mentre vengono

omesse le condotte equilibratrici e le distributrici; - si schematizzano le alimentatrici secondarie in modo che si dipartano dall'alimentatrice

principale, mantenendo l'altra estremità aperta; - si impone che l'alimentatrice principale, e generalmente anche quelle secondarie, siano

monodiametro4.

Reti con serbatoio di testata

Nelle reti con serbatoio di testata, l'alimentatrice principale è chiusa ad anello (figura 5.2a). Per risolvere il problema è perciò necessario aprire preliminarmente la maglia, al fine di determinare le portate in tutti i tronchi dell'alimentatrice stessa. A questo scopo, poiché sono note le portate derivate dalle alimentatrici secondarie, è possibile analizzare la sola alimentatrice principale, con erogazioni note ai nodi (figura 5.2). Siano i = 1 … l gli indici dei tronchi dell'alimentatrice principale, l'equazione (3.12) dei carichi nella maglia costituita dall'anello diventa, tenendo conto che non esistono maglie adiacenti e che il diametro D della alimentatrice è unico:

( )∑ =++i iii 0q'Qq'QL (5.14)

dove per i tronchi si è assunto un verso positivo concorde con quello di circolazione della maglia. Stabilite le portate di prima approssimazione Qi' ripartendo arbitrariamente la portata erogata tra i due tronchi uscenti dal serbatoio e applicando l'equazione di continuità delle portate nodo per nodo, la (5.14) può essere risolta iterativamente o per tentativi. La soluzione della (5.14) fornisce le portate Qi in tutti i tronchi dell'alimentatrice principale. Essendo già note le portate nei tronchi delle alimentatrici secondarie, la rete può essere trattata come se fosse aperta e risolta con la programmazione lineare, in termini di diametri commerciali.

3 Ad esempio, il metodo della "equivalent pipe length" (Tong e al., 1961; Raman e Raman, (1966) e quello

dello "equivalent diameter" (Deb e Sarkar, 1971). Per le critiche vedere (Watanatada, 1973; Swanee e Khanna, 1974; Stephenson, 1976).

4 Questa posizione è legata essenzialmente a motivi di funzionalità della rete.

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s

alimentatrice principalealimentatrici secondarie

s serbatoioerogazione

s

a) b)

Figura 5.2 - Rete con serbatoio di testata

Reti con serbatoio terminale

Con la schematizzazione precedentemente indicata, le reti con serbatoio terminale - in cui l'alimentatrice principale è aperta (figura 5.3) - risultano completamente aperte e possono essere ottimizzate in programmazione lineare, direttamente in termini di diametri commerciali. In corrispondenza della torre piezometrica il carico viene lasciato libero di fluttuare mentre la portata rimane costante, pari a quella fornita dall'acquedotto. La portata erogata dal serbatoio è invece ricavata dalla continuità delle portate in tutto il sistema. Arredi (1962) ha riportato, sia per le reti a serbatoio di testata, sia per quelle a serbatoio terminale schematizzate come nei casi precedenti, un procedimento che consente la determinazione dei diametri ottimali senza ricorrere alla programmazione lineare, risolvendo per tentativi una relazione derivata dalle condizioni necessarie di minimo, con l'ulteriore ipotesi che siano fissati i carichi alle estremità delle alimentatrici secondarie ed esprimendo le caratteristiche idrauliche e i costi unitari delle condotte rispettivamente con la (5.16) e (86).

sT

alimentatrice principale

erogazione alle alimentatrici secondarie

T

s

ssTT

alimentatrice principale

erogazione alle alimentatrici secondarie

TT

ss

Figura 5.3 - Rete con serbatoio terminale

Verifiche in condizioni d'erogazione straordinaria

L'ottimazione delle reti di distribuzione viene svolta in condizioni di regime, con la domanda idrica dell'ora dei massimi consumi e col minimo livello idrico nel serbatoio, imponendo che i carichi in rete non scendano al disotto di un valore minimo, stabilito in modo da tener conto anche delle perdite di carico nelle condotte distributrici a valle. Tuttavia, come è noto, le reti di distribuzione devono essere in grado di far fronte anche a condizioni di erogazione

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straordinarie, che possono essere dovute a: - erogazione antincendio concentrata in un piccolo numero di idranti contigui; - rottura di un qualsiasi tronco della rete. In questi casi sono accettabili in rete pressioni inferiori, purché sia assicurata almeno l'alimentazione, sia pure con portate ridotte, dei piani più bassi delle abitazioni. Bisogna quindi verificare, con le procedure descritte al punto 3, che tali pressioni siano soddisfatte anche nelle condizioni di erogazione straordinarie.

APPENDICI

APPENDICE 1

Si consideri il tronco di corrente in moto uniforme, di sezione Ω compreso tra due sezioni

poste alle ascisse s e s+ds. Siano p e pdpds

ds+ le pressioni sulle due sezioni. La componente

della forza peso nella direzione dell’asse della corrente è − ⋅γΩ ϕds sin , dove φ è l’angolo che

la corrente fa con l’orizzontale, ed è sindzds

ϕ = . La forza agente sulla superficie del tronco di

corrente a contatto con la parete è To C ds. Poiché in moto uniforme è nulla la variazione della quantità di moto, applicando l’equazione globale al tronco di corrente e proiettandola nella direzione del moto, si ottiene:

0CdsTdsdsdpds

dsdz

o =−−− ΩΩγ

da cui, dividendo per Cds e ricavando T0, si ha:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛+=

γΩγ pz

dsd

CTo

ossia, per la (2.3): RJTo γ= (2.5)

APPENDICE 3 – LINEARIZZAZIONE CON IL METODO DI NEWTON-RAPHSON DELLE EQUAZIONI DI MAGLIA NELLE PORTATE CIRCOLANTI

Ricordando le (3.12), per le maglie semplici J si ha: [ ] ( )∑

∈−+−+=

JiJiJiJiJiJiJiiJ qq'Qqq'QKqF

Ααα (A3.1)

Le FJ sono funzioni monotone delle variabili qj, per cui le (A3.1) possono essere risolte con il metodo di Newton-Raphson, ottenendo all'iterazione r:

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( ) ( )( )

( ) ( )[ ]( )

( ) ( )[ 0qqqFqq

qFFF

Ji

rJi

1rJi

r

Ji

JrJ

1rJ

r

J

JrJ

1rJ =−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛+−⎟⎟

⎞⎜⎜⎝

⎛+≅ ∑

+++

Α ∂∂

∂∂ ] (A3.2)

dove:

[ ]∑∈

−+−+=Ji

)r(Ji

)r(JiJi

)r(Ji

)r(JiJii

)r(J qq'Qqq'QKF

Ααα

e le derivate parziali valgono:

( )

( ) ( )∑∈

−+=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

Ji

rJi

rJiJii

r

J

J qq'QK2qF

Αα

∂∂

e:

( )

( ) ( )rJi

rJiJii

r

Ji

J qq'QK2qF

−+−=⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

⎛α

∂∂

per cui le (A3.2) diventano: ( ) ( ) ( ) ( )[ ]{ } 0qqqq2qq'Qqq'QK

Ji

rJi

1rJi

rJ

1rJ

)r(Ji

)r(JiJi

)r(Ji

)r(JiJii =+−−+−+−+∑

++

Ααα (4.2)

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