Capitolo 2.1 I Rischi

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Versione: prima edizione Sezione 2 – Scenari di rischio. Capitolo 2.1 – I rischi Comune di Sant’Antonino di Susa (TO) pag. 1 Capitolo 2.1 I Rischi 1. Rischi naturali ______________________________________________________ 2 1.1 Rischio idrogeologico _____________________________________________ 2 1.1.1 Processi lungo i versanti _______________________________________ 3 1.1.2 Processi lungo la rete idrografica _________________________________ 4 1.1.3 Rischio idrogeologico localizzato _________________________________ 7 1.1.4 Eventi meteorologici di particolare intensità ________________________ 9 1.2 Rischio sismico ___________________________________________________ 12 1.2.1 Aspetti generali ________________________________________________ 12 1.2.2 La sismicità del territorio piemontese _____________________________ 15 1.2.3 La nuova classificazione sismica ________________________________ 15 1.2.4 Zone sismiche: criteri generali ____________________________________ 16 2. Rischi antropici _____________________________________________________ 17 2.1 Rischio incendi boschivi ____________________________________________ 23 2.2 Rischio industriale – tecnologico ____________________________________ 23 2.2.1 Rischio connesso al collasso di sistemi tecnologici _________________ 23 2.2.2 Rischio connesso alla presenza di industrie ________________________ 25 2.3 Rischio connesso a vie e sistemi di trasporto ________________________ 30 2.3.1 Rischio incidenti stradali _________________________________________ 30 2.3.2 Rischio incidente ferroviario ______________________________________ 31

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Comune di Sant’Antonino di Susa (TO) pag. 1

Capitolo 2.1 I Rischi

1. Rischi naturali ______________________________________________________ 2

1.1 Rischio idrogeologico _____________________________________________ 2

1.1.1 Processi lungo i versanti _______________________________________

3

1.1.2 Processi lungo la rete idrografica _________________________________ 4

1.1.3 Rischio idrogeologico localizzato _________________________________ 7

1.1.4 Eventi meteorologici di particolare intensità ________________________ 9

1.2 Rischio sismico ___________________________________________________ 12

1.2.1 Aspetti generali ________________________________________________ 12

1.2.2 La sismicità del territorio piemontese _____________________________ 15

1.2.3 La nuova classificazione sismica ________________________________

15

1.2.4 Zone sismiche: criteri generali ____________________________________ 16

2. Rischi antropici _____________________________________________________ 17

2.1 Rischio incendi boschivi ____________________________________________ 23

2.2 Rischio industriale – tecnologico ____________________________________ 23

2.2.1 Rischio connesso al collasso di sistemi tecnologici _________________ 23

2.2.2 Rischio connesso alla presenza di industrie ________________________ 25

2.3 Rischio connesso a vie e sistemi di trasporto ________________________ 30

2.3.1 Rischio incidenti stradali _________________________________________ 30

2.3.2 Rischio incidente ferroviario ______________________________________ 31

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1. Rischi naturali

1.1 Il rischio idrogeologico

I principali elementi che entrano in gioco nell’attivazione di una situazione di rischio idrogeologico sono:

i fattori legati alle condizioni climatiche e in primo luogo le precipitazioni (pioggia, neve, grandine), le escursioni termiche diurne e in particolare quelle invernali che provocano alternanza di gelo e disgelo;

l'acqua al suolo come solvente, come agente nei processi erosivi e di trasporto;

i detriti naturali (inorganici e organici) e di origine antropica trasportati dall'acqua;

i contenitori dell'acqua: alvei torrentizi e fluviali, canali irrigui, laghi naturali e artificiali.

I principali fenomeni responsabili di causare dissesti sono i processi che coinvolgono i versanti vallivi ed i processi lungo la rete idrografica.

Il territorio comunale di Sant’Antonino di Susa1 presenta una vasta varietà morfologica che condiziona la tipologia dei processi idrogeologici, l’area in esame si sviluppa infatti

1 Per le informazioni riportate in questo paragrafo si fa diretto riferimento a quanto presente nella Relazione Geologico-Tecnica allegata al Piano regolatore Generale Comunale, Variante di Adeguamento al P.A.I. ed alla normativa vigente per il settore di versante. Progetto definitivo, 2004, a cura del Prof. Renato Nervo.

TORRENTI E VALLI ALPINE • TRASPORTO TORRENTIZIO DI MASSA

TRATTO DI RACCORDO (conoide) TRA VALLE E PIANURA

• TRASPORTO TORRENTIZIO DI MASSA,

• FORMAZIONE DI UN NUOVO ALVEO, • ESONDAZIONE, • EROSIONE DI SPONDA

RETE FLUVIALE NELLE AREE DI PIANURA

• EROSIONE DI SPONDA, • TAGLIO DI MEANDRO, • ESONDAZIONE CON INONDAZIONE

DELLE AREE PIU’ DEPRESSE

AMBIENTE FENOMENO CARATTERISTICO

Figura 2.1.1: Processi più comuni per tipologia di territorio.

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in parte in corrispondenza della piana alluvionale del Fiume Dora Riparia ed in parte sul versante idrografico sinistro della Val Susa, fino alla cresta spartiacque con la valle di Coazze. Le pendenze che presentano questi due settori sono quindi molto differenti: molto basse nel primo settore, mentre nel secondo raggiungono valori tra i 25 e 45°. Tra le due zone è presente un settore di raccordo dove si sviluppano le conoidi alluvionali dei corsi d’acqua tributari presenti (Rii Vignassa, Roncetto e Trona).

Rispetto le acclività, nell’abito degli studi effettuati per il PRGC (variante di adeguamento al PAI), sono state distinte le seguenti classi:

• settori pianeggianti e subpianeggianti (0-3°): settori di fondovalle e porzioni distali dei conoidi, dove si concentrano i centri urbani;

• settori a debole e media acclività (5-20°): corrispondono alle aree di conoide e alla vasta area a monte della frazione Cresto;

• settori ad elevata acclività (25-30°): ampi settori di versante;

• settori ad acclività molto elevata (30->40°): corrispondono alle pareti roccioso o alle scarpate di incisione fluviale e torrentizia.

1.1.1 Processi lungo i versanti

a) Le frane

I processi più vistosi che si verificano lungo i versanti sono costituiti dalle frane. Questo termine generico indica tutti i fenomeni di crollo, di scivolamento o di colamento che possono interessare masse rocciose, terreni superficiali o entrambi, per effetto della gravità.

Vi sono cause predisponenti naturali, come:

la fratturazione delle rocce a causa del ripetersi dei fenomeni di gelo e disgelo dell’acqua di infiltrazione (crioclastismo), che determina la crescente instabilità delle masse rocciose interessate (specie se la disposizione delle fratture ne favorisce il distacco);

le fratture profonde nel substrato roccioso per cause geologiche, in grado di veicolare entro le discontinuità notevoli quantità di acqua di ruscellamento superficiale;

la presenza di materiali incoerenti, come i suoli o depositi detritici al di sopra di superfici inclinate del substrato roccioso compatto;

lo scalzamento della base di un versante ad opera di un corso d’acqua.

Affinché una frana si verifichi è necessario che intervengano cause scatenanti; la principale causa naturale è rappresentata da acqua in eccesso, che fluidifica i materiali incoerenti più fini e in ogni caso riduce gli attriti. A volte, poi, le cause sono riconducibili ad interventi dell’uomo sul territorio. Tra queste, le più diffuse sono: convogliamenti anomali di acque di scolo superficiale per la presenza di manufatti sui versanti; convogliamento di acque lungo strade asfaltate prive di cunette; cunette stradali sottodimensionate; sedi stradali delimitate da ampi tagli del

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versante senza opere di consolidamento o sostegno; muraglioni di sostegno inadeguati e/o privi di sistemi di drenaggio.

In una qualunque frana è presente una zona (o nicchia) di distacco (generalmente a profilo concavo) e una zona di accumulo (generalmente a profilo convesso)2.

Tipologia delle frane

per caduta libera (crollo) e rotolamento (comprensivo dei fenomeni di proiezione e rimbalzo di masse rocciose);

per traslazione planare e rotazionale lungo superfici di scorrimento;

per flusso di massa di materiali.

Nell’area in esame, a causa della varietà morfologica, litologica e delle caratteristiche meccaniche dell’ammasso roccioso, i movimenti franosi non sempre corrispondono ad un preciso modello semplice ma possono presentare forme miste o, più frequentemente, manifestare una evoluzione nel tempo e/o nello spazio: possono ad esempio cominciare con un movimento di crollo, ed evolversi secondo altre modalità, come un colamento di massa.

Segni premonitori

Tra i più comuni fenomeni che ci segnalano la possibilità che su un versante stia per verificarsi un movimento franoso segnaliamo:

1.1.2 Processi lungo la rete idrografica

a) Trasporto torrentizio di massa

Nelle vallate il fenomeno più devastante ma purtroppo comune, è il trasporto torrentizio di massa, coinvolgente anche detriti di grandi dimensioni come blocchi di roccia e alberi.

Questo fenomeno è più frequente lungo i corsi d'acqua che scorrono in valloni profondamente incisi e i cui versanti sono interessati da dissesti per fluidificazione della copertura superficiale o da accumuli di materiali eterogenei con alta percentuale di materiali fini (come placche di morena). Eventi piovosi

2 La convessità del profilo della base di un versante ci può segnalare la presenza di un vecchio accumulo di frana, anche quando la vegetazione è riuscita a mascherare la cicatrice nella zona di distacco.

• Apertura o allargamento di fessurazioni

• Rigonfiamento del terreno

• Comparsa di emergenze idriche intermittenti

• Deformazione dei manufatti • Inclinazione o traslazione di alberi

e pali

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particolarmente intensi rimobilizzano le masse instabili e l'acqua si intorbida progressivamente trasformandosi in una miscela solido-liquida di elevata densità. Questa miscela può inglobare nel suo movimento rapido verso il basso detrito di falda grossolano e blocchi provenienti dal soprastante bacino, oltre ad alberi sradicati dalle sponde e detriti di ogni genere presenti in alveo.

Diventa inevitabile il danneggiamento o il crollo dei ponti a luce insufficiente o con pilastri in alveo e di altri manufatti che si trovino nella sezione investita dalla piena creando impedimenti al deflusso.

b) Formazione di nuovi alvei sui conoidi alluvionali instabili

Nella zona di confluenza tra le vallate laterali e le valli principali, o lo sbocco di queste ultime in pianura, o allo sbocco di una valle in un bacino lacustre per effetto della minor pendenza degli alvei e della conseguente diminuita capacità di trasporto, si accumulano grandi quantità di depositi alluvionali che assumono delle forme a ventaglio dette conoidi. La formazione di questi corpi, costituiti da limi, sabbie, ghiaie e anche blocchi di grandi dimensioni, avviene in modo irregolare durante i maggiori eventi di piena. La superficie dei conoidi è un'area generalmente instabile, e quindi a rischio, poiché l'alveo del torrente che scende dalla valle retrostante, durante un evento meteorico particolarmente intenso accompagnato da trasporto di massa, può parzialmente ostruirsi per l'arrivo di grandi blocchi di roccia o da parti di manufatti strappati dalla torbida. Il corso d’acqua, in presenza di questi ostacoli, può cambiare percorso invadendo e danneggiando eventuali aree urbanizzate. In teoria nessun conoide può essere ritenuto stabile in modo permanente, in quanto eventi franosi nei tratti vallivi a monte possono improvvisamente alterare le condizioni di deflusso e provocare disalveamenti con formazione di nuovi percorsi torrentizi nel corpo del conoide.

c) Erosione di sponda

Il fenomeno di erosione di sponda è comune sia ai tratti vallivi che ai settori di pianura ed ha come effetto lo scalzamento delle sponde, provocando la caduta in alveo degli alberi sradicati e delle zolle relative, contribuendo a incrementare pericolosamente il trasporto solido. Nelle valli l'erosione di sponda provoca anche il colamento gravitativo nel corso d'acqua di porzioni marginali di terreno di copertura superficiale, non più sostenuto al piede. Nei corsi d'acqua di pianura, con andamento meandriforme, la prolungata erosione di sponda può provocare il taglio del peduncolo di un meandro con il conseguente raccorciamento del tracciato fluviale e l'incremento della velocità della massa d'acqua.

d) Tracimazione ed esondazione dei corsi d'acqua con inondazione dei territori circostanti

Fenomeni di tracimazione lungo la rete fluviale e dei canali irrigui nelle aree di fondo valle e di pianura, anche senza la rotta degli argini, si verifica quasi ad ogni evento di piena. Oltre all'intensità delle precipitazioni, agisce sempre come concausa la presenza di impedimenti per il deflusso, sia di natura accidentale, come tronchi e

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blocchi rocciosi o altri detriti di grandi dimensioni (come i pilastri crollati di un ponte), sia accumuli in eccesso di sedimenti naturali (ghiaie, sabbie e limi) o impedimenti strutturali derivanti da manufatti di qualunque tipo che riducano la sezione di deflusso.

e) Allagamenti

Il fenomeno degli allagamenti, anche in assenza di tracimazioni fluviali, si verifica con una certa facilità soprattutto in quelle aree di pianura più depresse dove la rete stradale corre su rilevato e in tutti quei settori dove è impedito il normale deflusso delle acque di pioggia. Se i rilevati (o muri o barriere di altro tipo) non presentano varchi sufficienti oppure se canalette o tubature di scolo sono sottodimensionate, si hanno ristagni d'acqua in caso di piogge intense o prolungate.

L'aumento del numero di costruzioni a margine delle strade incrementa nel tempo l'impermeabilizzazione del terreno: la riduzione progressiva della superficie di infiltrazione delle acque meteoriche senza un contemporaneo adeguamento dei sistemi di drenaggio determina un aumento della frequenza del fenomeno.

Gli effetti negativi della progressiva impermeabilizzazione delle superfici naturali o coltivate si riflettono nella rete idrografica. L'acqua di pioggia che incide sulle superfici coperte non segue più il lentissimo cammino sotterraneo attraverso le porosità del suolo e del sottosuolo ma raggiunge rapidamente, attraverso i pluviali e i collettori delle acque bianche, torrenti, fiumi e canali, non in grado di smaltire piene improvvise, anche a seguito di eventi piovosi non particolarmente intensi.

La copertura o l'intubamento dei canali irrigui minori e delle canalette a bordo strada nelle aree di recente urbanizzazione non permettono, in caso di piogge intense, l'eventuale tracimazione diffusa che può essere abbastanza agevolmente assorbita dal terreno circostante. Nelle condotte l'acqua può invece subire una pressurizzazione che la farà fuoriuscire con violenza al termine del tratto tubato, con inevitabile allagamento dell'area limitrofa.

Tra le cause di questi processi (che possono agire separatamente o contemporaneamente) ricordiamo:

- rapida fusione del manto nevoso e/o di masse glaciali per brusco innalzamento della temperatura;

- piogge (di forte intensità e breve durata o di moderata intensità e lunga durata);

- fuoruscita di volumi ingenti di acqua da invasi lacustri naturali o artificiali;

- impedimenti al deflusso lungo l'alveo di un corso d'acqua sia accidentali, come tronchi fluitati che sbarrano la luce di un ponte, sia permanenti, come manufatti sottodimensionati rispetto alle portate massime (ponti a luce stretta, presenza di rilevati di accesso su entrambi i lati, parzialmente occupanti l'alveo di piena, superamento di torrenti su tratti convogliati in tubi).

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1.1.3 Rischio idrogeologico localizzato3

Come già indicato brevemente nel paragrafo introduttivo, nel territorio di Sant’Antonino è possibile riscontrare processi differenti, a causa della varietà morfologica che il territorio stesso presenta.

L’analisi della documentazione ha permesso di individuare le seguenti aree che, presentando caratteri comuni, sono soggette a diverse criticità territoriali, talvolta legate maggiormente alla dinamica gravitativa oppure al deflusso delle acquee superficiali: in linea generale sono distinguibili i settori di fondovalle, le cui problematiche idrogeologiche sono legate alla dinamica evolutiva del Fiume Dora Riparia, i settori di raccordo che presentano conoidi attivi, ed i settori di versate, in corrispondenza dei quali i fenomeni dissestivi sono l’espressione della dinamica gravitativa.

- Fondovalle: l’alveo principale della Dora Riparia è inciso all’interno dei depositi recenti ed attuali: tali settori sono soggetti ad una rischio elevato perchè sono inondabili da acqua con elevata energia (il tempo di ritorno è valutato nell’ordine di 25-50 anni) e quindi con elevata capacità di erosione e deposito. In quest’ambito si possono verificare fenomeni di erosione, divagazione dell’alveo e riattivazione di canali abbandonati.

Leggermente sospese rispetto le aree precedenti si trovano i settori impostati in corrispondenza dei depositi medio-recenti, soggetti a fenomeni erosivi per episodi di piena che presentano un tempo di ritorno di 100-200 anni.

In posizione ancora più esterna rispetto l’alveo attivo della Dora vi sono le aree impostate sui depositi alluvionali medio-recenti ed antichi: corrispondono ad aree a bassa probabilità di inondazione (indicativamente il tempo di ritorno è pari a 300-500 anni). Tali zone vengono identificate come la fascia del PAI; il limite tra la fascia B e la fascia C è posizionata in corrispondenza dell’argine in terra, che si estende tra il limite con il Comune di Villar Focchiardo ed il ponte stradale dei San Valeriano. Nel tratto più a valle, l’alveo ordinario della Dora risulta essere maggiormente inciso e la sponda destra (che ricade nel Comune di Sant’Antonino) è protetta da fenomeni di erosione da una scogliera di massi.

Nell’area di fondovalle è presente anche il tratto terminale del Rio Batibò (con spiccato regime torrentizio), proveniente dal Comune di Villarfocchiardo, che attraversa in senso longitudinale la porzione occidentale del territorio comunale fino al canale Cantarana; tale rio è stato soggetto a fenomeni alluvionali: l’ultimo evento nel 1981. Vi è il Canale Scaricatore che raccoglie le acque di tale rio, del Rio Chiampinetto e del Rio Vignassa e le convoglia direttamente nella Dora, permettendo comunque il deflusso negli alvei naturali durante i periodi di magra. I limiti del Canale Scaricatore sono rappresentati soprattutto dal fatto che a monte del

3 Per le informazioni contenute in questa sezione si fa diretto riferimento a quanto riportato nella Relazione Geologico-Tecnica allegata al Piano regolatore Generale Comunale, Variante di Adeguamento al P.A.I. ed alla normativa vigente per il settore di versante. Progetto definitivo, 2004, a cura del Prof. Renato Nervo.

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Ponte delle Pietre (Villarfocchiardo) il canale è poco inciso, che presenta uno scarso dislivello e che presenta un sifone per il sottopasso del anale Cantarana.

Nel fondovalle, se è possibile ritenere improbabile un esondazione del Fiume Dora (per le opere realizzate e per la morfologia dell’alveo), un aumento significativo della portata della Dora può inibire il deflusso dei canali, o richiedere la chiusura delle paratie.

I fenomeni di allagamento nel settore di fondovalle possono essere quindi maggiormente ricondotti al Canale Cantarana e alberile che raccolgono le acque provenienti dai corsi d’acqua presenti sul versante. Attualmente è stato realizzato lo scaricatore del Rio Vignassa ed il bacino di laminazione che dovrebbero smaltire le portate di piena dei tributari, senza sovraccaricare le canalizzazioni già presenti.

Sempre nel fondovalle, precisamente nella zona dei Mareschi, sono riconoscibili aree di emergenza della falda superficiale e/o diffusi ristagni idrici. In quest’area verrà realizzato il bacino di laminazione per lo smaltimento delle portate di piena del rio Roncetto e del Rio della Trona.

- Settore di raccordo: come specificato precedentemente il settore è interessato da attività torrentizia intensa in corrispondenza dei conoidi presenti. Nel territorio comunale sono individuabili tre rii principali che drenano il versante: da ovest verso est il Rio della Vignassa, il Rio Roncetto e il Rio della Trona.

Sui conoidi si sono sviluppati alcuni centri abitati come le località Maisonetta, Codrei, Roncetto e Vignasa e negli ultimi anni sono stati eseguiti alcuni interventi per mitigare questo tipo di rischio. E’ stato realizzato uno scaricatore del Rio del Cresto nel Rio della Torna, ma occorre una manutenzione ordinaria delle griglie per impedire che l’acqua raggiunga la Località della Maisonetta; l’apice del conoide del Rio Trona è stata protetta da scogliere, gli attraversamenti sono stati ridimensionati, ma la presenza della frana a monte non permette di escludere da quest’area il rischio idrogeologico. Sul conoide del Rio Vignassa sono stati realizzate delle opere, ma solamente nel tratto distale, non proteggendo l’omonima borgata. Infine un evento di piena che riattivi il conoide del Rio Roncetto potrebbe danneggiare l’unica costruzione presente (una cascina non abitata stabilmente) od impedire il traffico veicolare verso la borgata San Piuc.

- Settori di versante: tali settori sono interessati principalmente da fenomeni connessi alla dinamica gravitativa e la tipologia dei movimenti è funzione principale dei terreni o delle rocce coinvolte. Possono quindi essere individuate estese aree in cui vi sono coperture eluvio-colluviali di potenza modesta, impostate sul substrato roccioso subaffiorante, sui depisti glaciali e fluvioglaciali e sulle coltri detritiche antiche; tali deposti possono essere localmente soggetti fenomeni di fluidificazione per saturazione.

Altre aree presentano estese coperture detritiche, organizzate a volte in conoidi ad elevata pendenza; se non stabilizzati questi settori di versante possono presentare criticità connesse alla movimentazioni di detrito o al crollo di blocchi. Le falde

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detritiche si trovano infatti al piede di affioramenti di substrato roccioso interessato da discontinuità planari (fratture o scistosità) soggetti a distacco di elementi lapidei.

Un’ampia zona di frana, con attivazione innescata dalle elevate precipitazioni che hanno caratterizzato l’evento alluvionale del 2000, è localizzata nella parte alta del Rio Trona. Eventuali situazioni di rischio si possono verificare in occasione di riattivazione del movimento franoso ed iterazione con il reticolo idrografico: in tal caso si possono innescare colate detrico-torrentizie.

Un ampio settore, localizzato in corrispondenza della cresta spartiacque con la Val Sangone e che comprende il settore di testata del Rio della Vignassa e del Rio Roncetto, è interessato da una Deformazione Gravitativa di Versante (DGPV), fenomeno connesso alla dinamica di versante e che si manifesta con deformazioni molto lente nel tempo che coinvolgono porzioni molto estese e profonde dei versanti.

1.1.4 Eventi meteorologici di particolare intensità

Il rischio di eventi meteorologici eccezionali è costituito dalla possibilità che, su un determinato territorio, si verifichino fenomeni naturali (definibili per la loro intensità eventi calamitosi) quali trombe d’aria, grandinate intense, forti nevicate, raffiche di vento eccezionali, lunghi periodi di siccità, in grado di provocare danni alle persone, alle cose e all’ambiente. Si tratta in genere di fenomeni di breve durata ma molto intensi che possono provocare danni ingenti e talvolta interessare ampie porzioni di territorio.

Nel territorio montano e pedemontano, caratterizzato da una morfologia molto varia, i danni maggiori sono provocati da eventi meteorologici considerati eccezionali per l’intensità delle piogge che li caratterizza. Tali fenomeni provocano effetti sulla rete idrografica, ma sono anche la causa innescante della gran parte delle attivazioni e riattivazioni di movimenti franosi. Appare chiaro che, alla luce delle considerazioni sulla morfologia e sui processi di dissesto idrogeologico descritti nel paragrafo precedente, all’interno del territorio di Sant’Antonino di Susa, precipitazioni piovose di particolare intensità e durata possono causare eventi di piena del Fiume Dora Riparia, processi torrentizi lungo la rete idrografica minore e innesco di frane nei settori di versante.

A livello regionale, se si osserva il rapporto tra rilievo e precipitazioni piovose medie annue è possibile verificare come il profilo delle piogge mostri valori crescenti dalle zone di pianure verso le zone montuose, con massimi localizzati in prossimità dell’area di interfaccia tra queste due diverse aree. Via via che ci si addentra nelle vallate alpine le precipitazioni medie annue decrescono progressivamente.

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La Figura 2.1.2 mostra l’andamento delle precipitazioni medie mensili: è possibile notare come vi siano due massimi di precipitazioni i corrispondenza delle stagioni primaverile ed autunnale (massimo principale a Maggio), intervallati da due stagioni secche, corrispondenti alla stagioni invernale ed estiva.

Gli annali storici relativi alla stazione pluviometrica di Chiusa San Michele, che comprendono un intervallo di tempo più esteso (anni 1913-1946 e 1951-1961) rispetto quello di registrazione della stazione di Avigliana, mostrano come, rispetto l’intervallo di tempo esaminato, l’anno più secco sia il 1913 con 406 mm di pioggia ed il più piovoso il 1930 con 1531 mm.

Nel territorio comunale di Sant’Antonino di Susa sono ricordati tre eventi alluvionali recenti particolarmente intensi, risalenti al 1957 al 1981 e al 2000. Il primo evento alluvionale coinvolse una vasta superficie per l’esondazione del Fiume Dora, mentre del tutto secondario si è rilevato il contributo dei corsi d’acqua affluenti Gli studi ideologici recenti hanno permesso di stabilire che difficilmente si possono verificare esondazioni pari a quella del 1957 per portate simili, poiché l’alveo della Dora ha subito un notevole approfondimento a causa dell’attività estrattiva e sono state realizzate numerose opere di difesa. L’evento del 1981 è stato invece caratterizzato da intensa attività dei corsi d’acqua secondari: infatti i danni maggiori furono causati dal Rio Batibò. L’alluvione dell’ottobre 2000 ha coinvolto sia il fiume Dora, che ha causato soprattutto fenomeni di erosione spondale, sia i corsi d’acqua secondari, soprattutto in corrispondenza degli attraversamenti o delle canalizzazioni artificiali. In occasione dell’evento si è anche attivata la frana nel settore di testata del Rio Trona.

Oltre alle precipitazioni di notevole intensità, altri danni derivanti d eventi meteorologici possono essere connessi a precipitazioni nevose particolarmente abbondanti o a

Figura 2.1.2: Regime delle precipitazioni medie mensili registrate alla stazione di Avigliana(TO), localizzata a 340 m s.l.m, comprendenti l’intervallo temporale 1991-2002 (Fonte ARPA Piemonte).

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raffiche di vento. Nel primo caso, sebbene non siano episodi frequenti, nevicate copiose comportano disagi alla popolazione, derivati soprattutto dalla difficoltà nello spostamento e da eventuali cedimenti di alberi o infrastrutture a causa del peso della neve. Il territorio montano non appare inoltre interessato da fenomeni valanghivi, come confermato dai dati presenti nel Sistema Informativo Valanghe dell’Arpa Piemonte.

Nel secondo caso, il territorio della Val di Susa è frequentemente interessato da forti (Figura 2.1.3) raffiche di vento ed il centro abitato di Sant’Antonino, data la sua posizione, è particolarmente esposto. I maggiori danni derivano dallo scoperchiamento dei tetti, dall’abbattimento degli alberi e della segnaletica stradale che, oltre a creare un pericolo diretto per la popolazione, possono causare danni alle reti essenziali (elettrica e del telefono) ed interrompere la viabilità stradale. Episodi particolarmente intensi si verificarono nel dicembre 1999 e nel gennaio 2000, mesi caratterizzati da una sequenza di giorni particolarmente ventosi.

Figura 2.1.3: Massima velocità delle raffiche di vento negli anni 1991-2002. Nell’anno 1991 fu registrata una raffica che raggiunse 31.8 m/s pari a 111.4 km/h; a confronto la velocità media del vento, pari a 1,7 m/s. (Fonte ARPA Piemonte).

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1.2 Il rischio sismico

1.2.1 Aspetti generali

Il terremoto è un fenomeno connesso ad una improvvisa rottura di equilibrio all'interno della crosta terrestre (ad esempio per la formazione o la riattivazione di una faglia o lo spostamento di un elemento strutturale di una catena montuosa su di un altro lungo un piano di sovrascorrimento) che provoca un brusco rilascio di energia; questa si propaga in tutte le direzioni sotto forma di vibrazioni elastiche (onde sismiche) che si manifestano in superficie con una serie di rapidi scuotimenti del suolo.

Il punto in cui le onde sismiche hanno origine è detto ipocentro ed è situato a profondità variabili all'interno della crosta terrestre; invece l'epicentro corrisponde al punto della superficie terrestre situato sulla verticale dell'ipocentro e nel cui intorno (area epicentrale) si osservano i maggiori effetti del terremoto.

Le scosse sismiche si distinguono in ondulatorie e sussultorie che si manifestano con vibrazioni rispettivamente orizzontali o verticali; in realtà le oscillazioni possono essere di tipo più complesso in quanto vi sono vari tipi di onde sismiche a seconda del meccanismo con cui avviene la rottura di equilibrio e delle caratteristiche dei mezzi attraversati. Le onde più importanti sono le onde P (onde "primae"), onde longitudinali che si propagano per compressioni-dilatazioni, le onde S (onde "secundae") trasversali o di taglio (e che giungono dopo le onde P) e le onde L (onde "longae") che sono superficiali e si propagano in tutte le direzioni a partire dall'epicentro; sono le meno veloci e non si propagano nell'acqua.

I terremoti sono inoltre classificati attraverso criteri che consentono di valutare l'intensità dell'evento, misurata mediante le cosiddette scale macrosismiche. Esse stabiliscono una graduazione di intensità in base agli effetti e ai danni prodotti dal terremoto: quanto più gravi sono i danni osservati tanto più elevato risulta il grado di intensità della scossa.

Più comunemente viene usata la Scala Mercalli - Cancani - Sieberg (MCS), suddivisa in 12 gradi di intensità (tabella 2.1.1). La scala MCS, tuttavia, ha una correlazione molto vaga con l'energia liberata da un certo terremoto. La stessa quantità di energia sismica può produrre danni assai diversi in funzione delle caratteristiche dei manufatti coinvolti e della situazione geologico-morfologica locale. La valutazione dell'energia effettivamente liberata da un terremoto, prescindendo dagli effetti, è invece possibile con la Scala Richter o della Magnitudo (M). Essa si basa sulla misura sperimentale dell'ampiezza massima di spostamento di un punto del suolo situato ad una distanza prefissata dall'epicentro. Tale scala è concepita in modo che, passando da un grado al successivo, l'ampiezza delle oscillazioni del punto sul suolo aumenti di dieci volte (tabella 2.1.2). E' suddivisa in valori che variano da 0 a oltre 9 (senza un limite superiore). La Scala MCS non trova più diffusione nello studio dei fenomeni sismici, tuttavia è un valido strumento per la descrizione dei terremoti storici, importanti per la ricostruzione delle serie storiche e quindi per la delimitazione delle aree maggiormente soggette a fenomeni sismici.

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SCALA MERCALLI – CANCANI – SIEBERG (MCS) I Impercettibile Rilevata solo dai sismografi

II Molto lieve Avvertita, quasi esclusivamente negli ultimi piani delle case, da singole

persone particolarmente impressionabili, che si trovino in assoluta quiete

III

Lieve Avvertita da poche persone nell'interno delle case, con vibrazioni simili a quelle prodotte da una vettura veloce, senza essere ritenuta scossa tellurica se non dopo successivi scambi di impressioni.

IV

Moderata

Avvertita da molte persone all'interno delle case e da alcune all'aperto, senza però destare spavento, con vibrazioni simili a quelle prodotte da un pesante autotreno. Si ha lieve tremolio di suppellettili e oggetti sospesi, scricchiolio di porte e finestre, tintinnio di vetri e qualche oscillazione di liquidi nei recipienti.

V

Abbastanza forte

Avvertita da tutte le persone nelle case e da quasi tutte sulle strade con oscillazioni di oggetti sospesi e visibile movimento di rami e piante, come sotto l'azione di un vento moderato. Si hanno suoni di campanelli, irregolarità nel moto dei pendoli degli orologi, scuotimento di quadri alle pareti, possibile caduta di qualche soprammobile leggero appoggiato alle pareti, lieve sbattimento di liquidi nei recipienti, con versamento di qualche goccia, spostamento di oggetti piccoli, scricchiolio di mobili, sbattere di porte e finestre, i dormienti si destano, qualche persona timorosa fugge all'aperto.

VI

Forte

Avvertita da tutti con apprensione; parecchi fuggono all'aperto, forte sbattimento di liquidi, caduta di libri e ritratti dalle mensole, rottura di qualche stoviglia, spostamento di mobili leggeri con eventuale caduta di alcuni di essi, suono delle più piccole campane delle chiese; in singole case crepe negli intonachi, in quelle mal costruite o vecchie danni più evidenti ma sempre innocui, possibile caduta eccezionalmente di qualche tegola o comignolo.

VII

Molto forte

Considerevoli danni per urto o caduta alle suppellettili, anche pesanti, delle case; suono di grosse campane nelle chiese; l'acqua di stagni e canali si agita e intorpidisce di fango, alcuni spruzzi giungono a riva; alterazioni dei livelli nei pozzi; lievi frane in terreni sabbiosi e ghiaiosi. Danni moderati in case solide, con lievi incrinature nelle pareti, considerevole caduta di intonachi e stucchi, rottura di comignoli con caduta di pietre e tegole, parziale slittamento della copertura dei tetti; singole distruzioni in case mal costruite o vecchie.

VIII

Distruttiva

Piegamento e caduta degli alberi; i mobili più pesanti e solidi cadono e vengono scaraventati lontano; statue e sculture si spostano, talune cadono dai piedistalli. Gravi distruzioni a circa il 25% degli edifici, caduta di ciminiere, campanile e muri di cinta; costruzioni in legno vengono spostate o spazzate via. Lievi fessure nei terreni bagnati o in pendio. I corsi d'acqua portano sabbia e fango.

IX Fortemente distruttiva

Distruzioni e gravi danni a circa il 50% degli edifici. Costruzioni reticolari vengono smosse dagli zoccoli, schiacciate su se stesse; in certi casi danni più gravi.

X

Rovinosa

Distruzioni a circa il 75% degli edifici, gran parte dei quali diroccano; distruzione di alcuni ponti e dighe; lieve spostamento delle rotaie; condutture d'acqua spezzate; rotture e ondulazioni nel cemento e nell'asfalto, fratture di alcuni decimetri nel suolo umido, frane.

XI Catastrofica Distruzione generale di edifici e ponti con i loro pilastri; vari cambiamenti

notevoli nel terreno; numerosissime frane.

XII Totalmente catastrofica

Ogni opera dell'uomo viene distrutta. Grandi trasformazioni topografiche; deviazione dei fiumi e scomparsa di laghi.

Tabella 2.1.1

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SCALA RICHTER O DELLA MAGNITUDO (M)

Effetti caratteristici di scosse poco profonde in zone abitate

magnitudo approssimata

numero di terremoti per anno

1 registrato ma non percepito 2,0 - 3,4 800.000 2 percepito da alcuni 3,5 - 4,2 30.000 3 percepito da parecchi 4,3 - 4,8 41.800 4 percepito da tutti 4,9 - 5,4 1.400 5 Deboli danni alle strutture 5,5 - 6,1 500 6 notevoli danni alle strutture 6,2 - 6,9 100 7 danni gravi, rotaie piegate 7,0 - 7,3 15 8 danni elevati ≥ 7,4 4 9 distruzione quasi totale ≥ 8,0 0,1 - 0,2 Tabella 2.1.2

Tuttavia la misura più significativa di un terremoto dal punto di vista strutturale e quindi degli effetti sui manufatti è rappresentata dall'accelerazione del suolo e, in particolare, del suo valore massimo. L'intensità dell'accelerazione è indipendente dall'energia liberata dal terremoto ma è legata alle condizioni geologico-morfologiche locali. Questo valore si esprime in g, che rappresenta il valore dell'accelerazione di gravità pari a 9,81 m/s2).

Le due scale rispondono a criteri sostanzialmente differenti: la scala Richter tende a definire una grandezza energetica oggettiva, che rende comparabili sismi diversi in aree diverse. La scala Mercalli individua effetti e danni. In tal senso può essere teoricamente influenzata dalle caratteristiche dei sistemi colpiti e potrebbe, a parità di sisma, fornire valori diversi a seconda dell’effetto.

E’ comunque possibile affiancare le due scale secondo la figura seguente4:

4 Schema tratto dalle tabelle di equivalenza del Servizio Sismico Nazionale.

Figura 2.1.4: Comparazione scale sismiche.

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1.2.2 La sismicità del territorio piemontese

Il territorio nazionale è stato suddiviso in zone con diverso grado di sismicità, determinato sulla base dei dati strumentali recenti e dei dati storici. Questo valore serve a definire le particolari norme tecniche a cui attenersi per la costruzione degli edifici.

Per quel che riguarda il territorio piemontese si può dire che è stato ed è tuttora sede di una attività sismica moderata come intensità e notevole come frequenza, soprattutto nel Pinerolese (Val Pellice, Val Chisone, Val Germanasca) e in alcune valli del Cuneese (Maira, Stura, Gesso e Vermenagna).

Il territorio della Valle Susa è da scarsamente a moderatamente interessato da eventi sismici, soprattutto nel settore centrale dell’asse vallivo. Tuttavia occorre evidenziare che, come mostrato nella Figura 2.1.5 , è compreso tra due zone, il Pinerolese e la Valle di Lanzo, dove storicamente sono stati registrati terremoti di intensità più elevata.

1.2.3 La nuova classificazione sismica (Ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3274 del 20 Marzo 2003)

Il Gruppo di Lavoro (GdL.) costituito con decreto 4485 del 4.12.2002 del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio ha ritenuto indispensabile proporre di innovare profondamente le norme tecniche di progettazione antisismica adottando, in modo omogeneo per tutto il paese, soluzioni coerenti con il sistema di normative già definito a livello europeo.

La differenza sostanziale tra le norme di nuova generazione e quelle tradizionali consiste nell’abbandono del carattere convenzionale e puramente prescrittivo a favore di una impostazione esplicitamente prestazionale, nella quale gli obiettivi della progettazione che la norma si prefigge vengono dichiarati, ed i metodi utilizzati allo scopo vengono singolarmente giustificati. L’elemento apparentemente più innovativo della proposta consiste nell’eliminazione della dicotomia tra “zone classificate” e “zone non classificate”, che di fatto veniva interpretata come zone sismiche e zone non

Figura 2.1.5: Mappa della Massima Intensità Macrosismica risentita in Italia (INGV). L’intensità è espressa in scala MCS. Legenda: inferiore al VI grado VI grado VII grado VIII grado IX grado E’ possibile osservare come L’asse vallivo della Dora Riparia sia interposta tra due zone con attività sismica più marcata. L’area a sud si estende fino alla media valle, in modo da essere interessata da sismi fino al VII grado MCS.

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sismiche.

Il comune di Sant’Antonino di Susa è stato interessato da alcuni terremoti storici: nell’intervallo di tempo compreso tra il 1982 ed il 2000 sono stati registrati tre eventi sismici con magnitudo compresa tra 1,8 e 2,55: si tratta di sismi che non hanno creato danni a persone e strutture. Precedentemente, nel 1980 venne avvertito anche in questa zona il sisma del V grado della scala Mercalli, che causò lievi danni ad alcuni edifici. Il territorio comunale è stato pertanto inserito, nell’ambito della classificazione adottata nel 2003, all’interno della zona 2.

Il rischio sismico è pertanto da tenere presente come potenziale pericolo per il territorio e, in quest’ottica, viene previsto uno scenario d’evento nel caso in cui verifichi un terremoto (si veda il Capitolo 2.2).

1.2.4 Zone sismiche: criteri generali

Le zone sismiche in cui si applicano le norme tecniche devono essere individuate in modo coerente con le norme stesse, ed in particolare in base ai seguenti criteri:

- Le “Norme Tecniche” indicano 4 valori di accelerazione orizzontali (ag/g) di ancoraggio dello spettro di risposta elastico e le norme progettuali e costruttive da applicare; pertanto il numero delle zone è fissato in 4.

- Ciascuna zona sarà individuata secondo valori di accelerazione di picco orizzontale del suolo (ag), con probabilità di superamento del 10% in 50 anni, secondo lo schema seguente:

Zona

Accelerazione orizzontale con probabilità di

superamento del 10% in 50 anni

Accelerazione orizzontale di ancoraggio dello spettro di risposta elastico (Norme

Tecniche) [ag /g]

1 > 0,25 0,35

2 0,15 – 0,25 0,25

3 0,05-0,15 0,15

4 < 0,05 0,05

5 Fonte ARPA Piemonte, Servizio WebGis.

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2. Rischi antropici

2.1 Il rischio incendi boschivi

Il rischio incendi boschivi viene classificato tra i rischi antropici, come riportato nella Relazione di Sintesi, allegata alla Carta del 34 rischi redatta dalla Provincia di Torino, nell’ambito del 1° Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione. Occorre inoltre evidenziare, come mostrato nel grafico sottostante, che le cause di innesco raramente sono di tipo naturale.

Il Comune di Sant’Antonino di Susa, nonostante l’ampia superficie boscata che lo ricopre e che si estende del settore fino al settore di cresta, non è particolarmente soggetto ad incendi boschivi, come dimostra lo studio effettuato dalla Regione Piemonte e contenuto nel “Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006”. Ciò nonostante occorre valutare il rischio incendio come uno di pericoli per il territorio (salvaguardia del patrimonio forestale e faunistico) e per la popolazione.

In base al piano citato, di seguito vengono riportate le caratteristiche degli incendi boschivi che si sono verificati nell’ambito territoriale del Comune di Sant’Antonino, la cui analisi porta all’individuazione di una classe di rischio di appartenenza.

Num

ero

IB p

er

anno

ogn

i 10

Km

2

Num

ero

IB >

20

ha p

er a

nno

ogni

10

km

2

Per

cent

uale

ann

i co

n IB

Sup

erfic

ie m

edia

in

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ie

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ndio

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usib

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med

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ince

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20

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o

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pe

r ann

o

Cla

sse

di ri

schi

o

n. n. % ha ha ha ha/ora n. n. ha ha

0,24 0,00 17 0,2 0,2 0,2 0,07 0,3 0,0 0,0 0,0 1

Tabella 2.1.3: Criteri di classificazione di rischio e valori per il Comune di Sant’Antonino in base al Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006.

Incendi 1990-2001: frequenze relative per cause di innesco

INVOLONTARIE; 17%

VOLONTARIE; 52%

NATURALI; 1%

NON CLASSIFICATE;

30%

Figura 2.1.6: Frequenze relative per cause di innesco per incendi boschivi relativi al periodo 1990-2001 della Regione Piemonte (tratto da Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006”.

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Alla Classe di rischio 1 appartengono 287 Comuni del territorio piemontese che , pur non essendo interessati da episodi di incendi boschivi nell’arco di tempo considerato (1990-2201), sono inserirti nell’area operativa del piano regionale.

Per una visualizzazione della classe di rischio a livello regionale si veda la Figura n. 2.1.8.

Poiché il rischio incendi boschivi spesso interessa più Comuni contemporaneamente, il già citato piano prevede anche un’analisi a livello di Area di Base, che raggruppa più comuni tra loro. Le Aree di Base costituiscono i riferimenti decentrati per l’organizzazione del servizio di estinzione, rispondono a criteri di omogeneità ambientale, socio-economica e amministrativa. In linea generale le Aree di Base coincidono con le Comunità Montane e, laddove il territorio in oggetto non sia montano, esse sono state create su base provinciale o, in caso di territori troppo eterogenei, a livello di Comandi Stazione del Corpo Forestale dello Stato.

Il Comune di Sant’Antonino di Susa rientra nell’Area di Base denominata BASSA VAL DI SUSA E CENISCHIA, e comprende, oltre al territorio in esame, i seguenti Comuni: Almese, Avigliana, Borgone di Susa, Bruzolo, Bussoleno, Caprie, Caselette, Chianocco, Condove, Mattie, Meana di Susa, Monpantero, Novalesa, Rubiana, San Didero, San Giorio di Susa, Sant’Ambrogio di Torino, Susa, Vaie, Villar Dora, e Villar Focchiardo. L’estensione complessiva di questa Area di Base è pari a 465,1 km2 (si veda la Figura n. 2.1.7)..

Anche alle Aree di Base è stata attribuita una classe di rischio così come per i Comuni. Di seguito sono sintetizzate le caratteristiche dell’AREA BASSA VAL DI SUSA E CENISCHIA (codice 28):

Num

ero

IB p

er

anno

ogn

i 10

Km

2

Num

ero

IB >

20

ha

per a

nno

ogni

10

km2

Per

cent

uale

ann

i co

n IB

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erfic

ie m

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in

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cend

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Diff

usib

ilità

med

ia

Cla

sse

di ri

schi

o

n. n. % ha ha ha ha/ora

0,67 0,03 100 4,9 0,2 250,0 0,69 2

Tabella 2.1.4: : Criteri di classificazione di rischio e valori per l’Area di Base denominata “28 – BASSA VAL SUSA E CENISCHIA” in base al Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006. Figura 2.1.7 (a destra): L’area di base del Comune di Sant’Antonino è indicata con il codice 28.

Fig. 2.1.7: Ripartizione delle Aree di Base in Piemonte. con il cerchio è indicata l’area di Base n 28.

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Comune di Sant’Antonino di Susa (TO) pag. 19

La classe n. 2 è caratterizzata da incendi con frequenza mediamente elevata, ma con superfici medie limitate e bassa diffusibilità. Inoltre, pur essendosi verificati incendi con estensione superire a 30 ha, sono rari gli eventi di estensione eccezionale.

Nonostante tutti questi studi è molto difficile prevedere il verificarsi di un incendio boschivo, anche se è possibile analizzare i periodi di maggiore frequenza, in termini di mesi e orario di innesco.

Fig. 2.1.8: elaborazione tratta dal Piano Regionale antincendio boschivo 2003-2006.

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Versione: prima edizione Sezione 2 – Scenari di rischio. Capitolo 2.1 – I rischi

Comune di Sant’Antonino di Susa (TO) pag. 20

44,6

104,0

153,2

68,4

9,1 4,8 9,520,0

9,0 5,717,9

27,7

0,0

20,0

40,0

60,0

80,0

100,0

120,0

140,0

160,0nu

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gennaio febbraio marzo aprile maggio giugno lug lio agosto set tembre ot tobre novembre dicembre

Incendi 1990-2001: frequenze medie mensili

0

100

200

300

400

500

600

num

ero

di in

cend

i

0-1 1-2 2-3 3-4 3-5 5-6 6-7 7-8 8-9 9-10 10-11 11-12 12-13 13-14 14-15 15-16 16-17 17-18 18-19 19-20 20-21 21-22 22-23 23-0

ore della giornata

Incendi 1990-2001: frequenze per ora di innesco

Figura n. 2.1.9: Le frequenze medie mensili sono espresse come numero di incendi che mediamente si verificano in ciascun mese dell’anno, ottenuto sommando, per ogni mese, gli incendi verificatisi nel corso della serie storica e dividendo il totale per il numero degli anni considerati. (fonte: Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006).

Figura n. 2.1.10: In questo grafico si evidenzia la distribuzione del numero di incendi, espresso in percentuale sul totale, secondo l’ora di innesco riportata sui moduli di rilevamento; per l’elaborazione del grafico sono state considerate classi di un’ora (fonte: Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006).

Page 21: Capitolo 2.1 I Rischi

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Comune di Sant’Antonino di Susa (TO) pag. 21

Come si può notare dall’andamento espresso nella Figura n. 2.1.9 si assiste all’andamento caratteristico dei regimi pirologici delle regioni alpine con un massimo invernale-primaverile ed un minimo primaverile–estivo, andamento opposto a quello tipico delle regioni mediterranee, per motivi essenzialmente climatici.

Nella Figura n. 2.1.10, invece, emerge che il momento della giornata di maggior frequenza di incendio è il primo pomeriggio, nelle ore fra le 12 e le 17. Questo fatto è importante perchè, conoscere i momenti della giornata in cui la frequenza e il pericolo di incendio sono mediamente più elevati, permette di organizzare più efficacemente il servizio di prevenzione ed estinzione.

I periodi di maggiore pericolosità sono determinati, pertanto, da una concomitanza di fattori meteorologici predisponenti. Tra questi quello di gran lunga più rilevante per la propagazione degli incendi boschivi è il vento.

Fig. n. 2.1.11: Questo grafico riporta dati relativi al vento medio nei diversi mesi dell’anno, dal quale si evince la stagionalità del fenomeno con massimi relativi in molti casi corrispondenti ai mesi di massima frequenza di incendio – confronta figura 2.1.9. Dati elaborati dalla banca dati meteorologica della regione Piemonte (serie 1990-1999). (fonte: Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006).

Fig. n. 2.1.12: Questo grafico riporta le frequenza relativa di giorni, in 1 anno, con vento massimo superiore agli 80 km/h che consente di identificare le aree più colpite dal phoen, vento di caduta correlato agli incendi boschivi in Piemonte. Dati elaborati dalla banca dati meteorologica della regione Piemonte (serie 1990-1999). (fonte: Piano Regionale per la Programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli Incendi Boschivi 2003-2006).

Page 22: Capitolo 2.1 I Rischi

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Comune di Sant’Antonino di Susa (TO) pag. 22

L’analisi dei dati relativi all’intervallo di tempo intercorso tra il 1990 e il 2002 (fonte ARPA) permette di valutare le direzioni prevalenti dei venti che spirano nell’area in esame, al fine di poter prevedere la direzione prevalente di propagazione degli incendi boschivi (Figure 2.1.11 e 2.1.12).

Analizzando con maggior dettaglio la situazione presente nell’area di studio, come riportato già nel paragrafo 1.1.4 – Eventi meteorologici particolarmente intensi, la bassa Val di Susa presenta un elevato numero di giorni ventosi ed è frequentemente interessata da episodi di raffiche di vento, anche di elevata intensità. Il grafico riparato in figura, permette di evidenziare la direzione prevalente del vento.

Il grafico riportato nella figura soprastante mostra il fondamentale controllo dell’orografia nella direzione dei venti: l’asse vallivo della Dora Riparia è infatti disposto E-W e si comporta come un corridoio preferenziale per i venti provenienti sia dal settore di confine sia dalla pianura. I venti principali sono le brezze (di monte e d valle), che si spirano in modo alternato verso W e verso E con variazione giornaliera senza raffiche di particolare velocità. Il fhoen, vento caldo di caduta, con provenienza occidentale, è invece caratterizzato da raffiche violente: è particolarmente importante la conoscenza di questo vento nella prevenzione e nel controllo degli incendi boschivi poiché si alza soprattutto nella stagione invernale, che, come illustrato precedentemente, è uno dei periodi più secchi dell’anno.

Figura 2.1.13: direzione prevalente dei venti valutata in corrispondenza della stazione meteorologica di Avigliana analizzando i dati dal 1990 al 2002 (Banca Dati Meteorologica ARPA). E’ possibile individuare una direzione nettamente prevalente: più di 1500 giorni nell’intervallo di tempo considerati sono interessati da vento proveniente dal quadrante occidentale.

0

500

1000

1500

2000N

NNE

NE

ENE

E

ESE

SE

SSES

SSW

SW

WSW

W

WNW

NW

NNW

Page 23: Capitolo 2.1 I Rischi

Versione: prima edizione Sezione 2 – Scenari di rischio. Capitolo 2.1 – I rischi

Comune di Sant’Antonino di Susa (TO) pag. 23

2.2 Il rischio industriale – tecnologico

L’attività produttiva umana, in senso lato e nella sua accezione moderna, crea una serie di criticità riconducibili all’espletamento di tale attività stessa.

Di seguito verranno infatti analizzate alcune tra queste problematiche: da una lato quelle connesse alla complessità e molteplicità dei sistemi tecnologici a cui la nostra esistenza è interconnessa nella sua quotidianità (es. collasso di reti elettriche); dall’altro, quelle connesse all’attività produttiva vera e propria (es. incidenti industriali).

2.2.1 Rischio connesso al collasso di sistemi tecnologici

Tra le molteplicità di tali sistemi tecnologici, vi sono quelli di cui fruiamo quotidianamente, tra cui gli impianti di distribuzione del gas, dell'acqua e dell'energia elettrica, disegnando scenari che implicano notevoli problematiche come quelle di seguito esemplificate:

SISTEMA TECNOLOGICO COINVOLTO

CRITICITA’ IMMEDIATE CRITICITA’ INDOTTE

In periodo invernale, assenza di riscaldamento in ambienti domestici

Impossibilità di riscaldare e gestire strutture sensibili: ospedali, case di cura, ospizi

Analoghe difficoltà si avrebbero per l’attività scolastica a tutti i livelli

RETE DI DISTRIBUZIONE DEL GAS

(per lungo periodo)

Blocco della produzione per le industrie

Ripercussioni economiche e occupazionali Ripercussioni sulla salute della popolazione

Impossibilità di soddisfare i bisogni fisiologici di persone e animali

Difficoltà nelle fasi di preparazione dei cibi

Carenza nell’igiene personale e pubblica

RETE DI DISTRIBUZIONE DELL’ACQUA

(emergenza idrica)

Blocco della produzione per le industrie

Rischio di epidemie Pericolo di ordine pubblico per approvvigionamento acqua Ripercussioni economiche e occupazionali;

Blocco alla rete di distribuzione del gas (vedi sopra)

Blocco alla rete di distribuzione dell’acqua (vedi sopra)

Assenza di luce artificiale

RETE DI DISTRIBUZIONE DELL’ELETTRICITÀ

Blocco delle reti d’informazione

Vedi sopra

Tabella 2.1.5: Potenziali effetti dovuti al collasso di sistemi tecnologici.

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Le cause di innesco di queste problematiche e il loro sviluppo sono molteplici:

Per un dettaglio delle possibili iniziative da intraprendere in caso di questi eventi, si veda l’allegato n. 2.A.

Infine, la mancanza di energia elettrica negli stabilimenti industriali assume particolare importanza ai fini della sicurezza sia interna che esterna allo stabilimento, in particolar modo quando si è nell'ambito delle attività a rischio di incidente rilevante. Infatti per tali attività, a cui si applica il D.Lgs. 334/996, vi è l'obbligo di redigere un Rapporto di Sicurezza se si ha una quantità di sostanze pericolose superiore a certe soglie, e in tale documento si devono descrivere il comportamento dell'impianto o dello stabilimento in caso di indisponibilità parziale o totale delle reti di servizio, quale è la rete elettrica, e si devono indicare le norme e/o i criteri utilizzati per la progettazione degli impianti elettrici.

6 Di cui si parlerà più diffusamente nel paragrafo successivo.

EMERGENZA IDRICA

INTERRUZIONE GAS

INTERRUZIONE ELETTRICITA’

siccità prolungata riduzione della disponibilità idrica e

abbassamento della falda e una riduzione della portata nei pozzi.

eventi meteorologici intensi

riempimento delle sorgenti superficiali piene e conseguente intorbidamento dell'acqua;

allagamento di stazioni e cabine elettriche; frane che coinvolgono tubazioni e linee di

alimentazione; abbondanti nevicati che fanno crollare elettrodotti.

eventi accidentali guasti agli impianti provocandone l'arresto del funzionamento; interruzione di collegamenti delle reti; inquinamento delle risorse idriche

per incidenti.

calamità e sovrapposizione di problemi di protezione civile

collasso dei sistemi a causa di eventi calamitosi (alluvioni, sismi...)

Figura n. 2.1.14: Possibili cause di innesco di un collasso ai sistemi tecnologici primari.

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2.2.2 Rischio connesso alla presenza di industrie

Da un punto strettamente normativo, questa tipologia di rischio è rappresentata dalla presenza di industrie a rischio di incidente rilevante, materia regolamentata dal D.Lgs 17 agosto 1999, n. 334, che individua diverse categorie di industrie a rischio, a seconda della tipologia, della lavorazione e della quantità di sostanze pericolose impiegate e/o stoccate fino ad una determinata soglia.

Questo Decreto recepisce la Direttiva 96/82/CE (attiva dal 3 febbraio 1999), emanata dal Consiglio dell’Unione Europea il 9 dicembre 1996 ed in Italia meglio conosciuta come “Direttiva Seveso 2”, che rappresenta la normativa di riferimento in tema di attività industriali a rischio di incidente rilevante.

In base a questi criteri le aziende interessate devono adempiere a precise disposizioni:

D.Lgs 334/99, art. 5 – OBBLIGO DI RELAZIONE

Si rivolge alle aziende che utilizzano sostanze pericolose in quantità minima, ovvero inferiore a quanto previsto dal Decreto Legislativo. Queste aziende hanno l’obbligo di presentare una relazione, alle autorità competenti ed al Comune in cui risiede l’attività a rischio, contenente le informazioni relative al processo produttivo, alle sostanze pericolose, alla valutazione dei rischi di incidente rilevante, all’adozione delle necessarie misure di sicurezza, all’informazione ai dipendenti, ecc.

Inoltre, tali aziende sono tenute alla redazione del piano di emergenza interna, con i contenuti minimi previsti dall’art. 11 del D.Lgs. 334/99.

D.Lgs 334/99, art. 6 e art. 7– OBBLIGO DI NOTIFICA

Rientrano in questa categoria le aziende che utilizzano sostanze pericolose in quantità uguale o superiore a quanto previsto dal Decreto Legislativo. In questo caso, il titolare dell’azienda è tenuto ad inviare notifica alle autorità competenti (Ministero per l’Ambiente, Regione, Provincia, Comune, Prefettura, Comitato regionale e interregionale del Corpo dei Vigili del Fuoco). L’azienda interessata deve trasmettere tutte le informazioni necessarie all’identificazione del tipo o categoria della sostanza pericolosa, compresa quantità e forma fisica, oltre ad informare circa l’attività, in corso o prevista, sia dell’impianto che del deposito.

Inoltre, tali aziende sono tenute alla redazione del piano di emergenza interna.

D.Lgs 334/99, art. 8– OBBLIGO DI RAPPORTO DI SICUREZZA

Rientrano in questa categoria le aziende che utilizzano sostanze pericolose in quantità uguale o superiore a quanto previsto dal Decreto Legislativo. La differenza tra queste aziende e quelle indicate dall’art. 6, consiste nel tipo di sostanza impiegata. In questo caso, il gestore è tenuto a redigere un rapporto di sicurezza che evidenzi che: è stato adottato il sistema di gestione della sicurezza; i pericoli di incidente rilevante sono stati individuati e sono state adottate le misure necessarie per prevenirli e per limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente; sono stati predisposti i piani d'emergenza interni e sono stati forniti all'autorità competente gli elementi utili per l'elaborazione del

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piano d'emergenza esterno al fine di prendere le misure necessarie in caso di incidente rilevante.

La presenza di un’azienda di questo tipo influisce anche sull’ambiente circostante, ad esempio sulla disposizione e sull’eventuale costruzione di nuovi stabilimenti.

Un incidente rilevante è “un evento quale una emissione rilevante, incendio o esplosione risultante dallo sviluppo incontrollato nel corso di un’attività industriale comportante un serio pericolo all’uomo, immediato o differito, all’interno o all’esterno dello stabilimento e/o dell’ambiente coinvolgente una o più sostanze dannose”.

Gli eventi incidentali primari possono essere così suddivisi:

- RILASCIO DI SOSTANZE: diffusione di gas, vapori, liquidi, polveri: Si tratta di emissioni di sostanze tossiche, infiammabili, esplosive o radioattive. Le conseguenze dannose sono particolarmente legate alla modalità di diffusione nell’atmosfera, al suolo o nel sottosuolo per infiltrazione.

INCENDIO DI NOTEVOLI DIMENSIONI: A seguito di incendi, quali scoppi e sversamenti, in cui sono coinvolte sostanze infiammabili possono verificarsi incendi di notevoli dimensioni.

A seconda della dinamica dell’incidente si distinguono solitamente i seguenti fenomeni:

- pool-fire: o incendio da pozza, dovuto allo sversamento di liquido infiammabile o gas liquefatto infiammabile, che interessa grandi superfici;

- tank-fire: o incendio di serbatoi di grandi dimensioni, a seguito di scoperchiamento degli stessi;

- flash-fire: dovuto a fuoriuscita di vapori a bassa velocità, intimamente mescolati con l’aria che vengono innescati immediatamente, ma che ha durata limitatissima nel tempo.

- jet-fire: che si verifica quando c’è una fuoriuscita di gas infiammabile ad alta velocità, con innesco immediato. Può avere una durata notevole e l’irraggiamento nel verso del dardo provoca seri problemi a persone e strutture;

- fireball: può verificarsi a seguito del danneggiamento e/o cedimento di un recipiente contenente gas infiammabile liquefatto sotto pressione. La fuoriuscita del liquido sarà caratterizzata da un violento flash, con conseguente formazione di una nube di vapori infiammabili. Il fireball può essere accompagnato da sensibili spostamenti di aria e può causare danni a persone e cose per effetto dell’irraggiamento termico.

- ESPLOSIONI: Sono combustioni rapidissime che, per effetto della quantità di calore prodotto in tempi brevissimi ed il conseguente aumento di temperatura dei gas coinvolti, provocano notevoli aumenti di pressioni.

I fenomeni di esplosione si suddividono in genere nelle categorie che seguono:

- BLEVE: è l’acronimo dell’espressione inglese Boiling Liquid Expanding Vapor Explosion, ossia letteralmente “esplosione dei vapori che si espandono da un liquido bollente”.

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- Runaway reaction: si tratta dell’esplosione dei reattori chimici in cui hanno luogo reazioni chimiche molto violente e incontrollate che portano a repentini aumenti di temperatura e forte pressurizzazione dei contenitori con successiva esplosione.

- UVCE/VCE: è l’acronimo di Unconfined Vapour Cloud Explosion/Vapour Cloud Explosion e si tratta di esplosioni di nubi di gas, in ambiente confinato o non confinato, in cui la miscela di gas, già opportunamente miscelata con aria, reagisce violentemente a fronte di un innesco.

- Esplosioni fisiche: si tratta di cedimento di contenitori pressurizzati, il rilascio repentino dell’energia meccanica rappresentata dalla pressione di stoccaggio del gas può creare violente onde di pressione nonché sparare a lunghe distanze frammenti del contenitore (proiettili).

Gli scenari incidentali derivanti da questi eventi possono svilupparsi in maniera complessa:

Dalle serie storiche disponibili, si può ipotizzare una distribuzione percentuale degli incidenti industriali, esemplificato in Figura n. 2.1.16. Le statistiche sono importanti in quanto rappresentano spesso gli unici dati disponibili utili a modellizzare eventi intrinsecamente non prevedibili come gli incidenti.

INCENDIO ESPLOSIONE RILASCIO DI SOSTANZE

Diffusione di gas, liquido, vapore,

polvere

Radiazione termica

Fiamme Picchi di pressione

Proiettili Sostanze tossiche e inquinanti

Figura 2.1.15: Potenziali sviluppi di un evento incidentale.

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Distribuzione percentuale degli scenari incidentali

incendio23%

non specif icato5%

esplosione17%BLEVE

2%

rilascio tossici26%

UVCE2%

rilascio senza conseguenza

25%

Figura 2.1.16: Distribuzione percentuale per tipologia di incidente industriali in base ai dati storici disponibili.

Figura 2.1.17: Distribuzione territoriale delle aziende a rischio di incidente rilevante nella Regione Piemonte e la loro classificazione ai sensi del D.Lgs. 334/99: Art.. 5: OBBLIGO DI RELAZIONE; Art.. 6:OBBLIGO DI NOTIFICA; Art.. 8: OBBLIGO DI RAPPORTO DI SICUREZZA.

AL AT BI CN NO TO VB VC

ART. 5ART. 6

ART. 8

7

01

2

9

14

1 2

12

4

0

18

10

16

57

6

0 1 2

7

15

1 2

0

2

4

6

8

10

12

14

16

18

Distribuzione territoriale delle aziende a rischio di incidente rilevante e loro classificazione

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Il territorio del Comune di Sant’Antonino di Susa è compreso all’interno della provincia di Torino che, come mostra il grafico in Figura 2.1.17, interessata in modo rilevante da industrie a rischio di incidenti rilevanti. Inoltre, sebbene il Comune in esame non presenti al suo interno questa problematica, bisogna tenere presente che la basa Val di Susa, ed in particolar modo l’aviglianese, è un’area in cui l’industria ha avuto un forte sviluppo, soprattutto perchè servita da direttrici viarie molto importanti.

Storicamente il Comune in esame ha avuto un notevole sviluppo industriale, soprattutto in seguito all’insediamento del cotonificio Abegg, grazie al quale fu realizzato il cavalca-ferrovia pedonale. Attualmente si è sviluppato un polo commerciale ed industriale localizzato nel settore centro settentrionale del territorio comunale, compreso tra il corso della Dora Riparia, l’autostrada A 32 Torino – Bardonecchia e la S.S 25.

Le dinamiche di propagazione di un eventuale incidente di tipo industriale non devono necessariamente essere applicate solo a quelle attività produttive comprese nella normativa di riferimento, ma possono interessare anche insediamenti produttivi che:

- hanno dimensioni ridotte,

- stoccano e/o impiegano sostanze pericolose in quantitativo inferiore alle soglie previste dalla legge;

- svolgono attività eterogenee (anche senza l’impiego di sostanze pericolose), ma possono incorrere in eventi incidentali di varia natura (es. incendi).

In particolare, in un’ottica di protezione civile, si dovrà tenere conto, in primo luogo, di quelle attività produttive collocate in prossimità di abitazione e aree residenziali e, in secondo luogo, di quelle aree industriali e/o artigianali che concentrano in un’unica zona attività produttive eterogenee tra loro ma legate da un rapporto di vicinanza che potrebbe far scaturire il cosiddetto “effetto domino”7.

Anche se il territorio comunale di Sant’Antonino di Susa non presenta direttamente pericoli connessi alla presenza di industrie a rischio, alcune di queste sono presenti nella Vale di Susa (Bruzolo) e nella cintura ovest di Torino (Grugliasco, Rivoli) e la dispersone di inquinanti (in atmosfera o in acqua) possono comportare conseguenze indirette anche in Sant’Antonino. Inoltre il polo industriale che si sta sviluppato, come specificato nell’analisi dei rischi naturali, è localizzato in una zona storicamente interessata da esondazioni del Fiume Dora (1957). Si ritiene pertanto che, sebbene il Comune di Sant’Antonino sia interessato marginalmente da questo rischio, occorre valutare anche tale eventualità tra i possibili scenari d’evento, con particolare riferimento alla FiltrItalia, che tratta resine epossidiche per la realizzazione di filtri e alla Europlastic, che tratta notevoli quantità di materiale plastico: in caso di incendio potrebbe quindi verificarsi episodi d inquinamento atmosferico intenso.

7 Per “effetto domino” si intende una sequenza di incidenti in cui il precedente evento rappresenta la causa del successivo.

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2.3 Il rischio connesso a vie e sistemi di trasporto

La congestione crescente delle strutture viarie ed il conseguente aumento della domanda di mobilità di persone e di merci, rendono il rischio di incidenti, di diversa entità, uno dei fenomeni di maggiore preoccupazione per gli enti preposti alla prevenzione e alla gestione delle emergenze.

2.3.1 Rischio incidenti stradali

Questi tipi di eventi includono gli incidenti stradali, che possono essere causati da uno o più veicoli automobilistici, che comportano la distruzione o danni a beni persone e l'interruzione della circolazione veicolare. Le cause o le concause possono essere relative a fattori meteorologici, a fattori umani, a guasti del veicolo e/o di sistemi di controllo e regolazione del traffico, o ad atti di vandalismo. Particolare attenzione va prestata nel caso in cui uno o più veicoli coinvolti trasportino materiali o sostanze pericolose8 (basti pensare che oltre l’80% di questo tipo di merci in Italia è trasportato su strada) poiché in caso di incidente, può ingenerare rischio per la popolazione sia diretto che indiretto, attraverso contaminazioni dell’ambiente.

Il rischio di incidenti stradali, per propria definizione, è di difficile previsione, così come il trasporto di sostanze pericolose è di difficile monitoraggio.

E’ pertanto importante conoscere:

- Le principali direttrici su cui transita la maggior parte del traffico, soprattutto pesante, pertanto, ricordando che il territorio di Sant’Antonino di Susa è localizzato in Val di Susa, direttrice strategica per il trasporto internazionale,

COMUNE NOME STRADA COMPETENZA

A32 Torino - Bardonecchia SITAF spa

S.S. 25 del Colle del Moncenisio ANAS Sant’

Antonino S.P. 201 di Vaie Provincia di Torino

Per un maggiore dettaglio si veda la Tavola 3.A – “Carta della vibilità” allegata.

- Nel caso di incidenti stradali che coinvolgono mezzi che trasportano sostanze pericolose, è importante conoscere le codificazioni delle sostanze pericolose che vengono trasportate, in base alle codifiche internazionali ADR (per il trasporto su strada) in modo da poter contattare gli enti preposti (ad esempio l’ARPA Piemonte) conoscendo il tipo di sostanza coinvolta e le prime misure di protezione da adottare.

8 Le materie pericolose sono da intendersi come quelle in grado di provocare danni alle persone, alle cose e all’ambiente e si possono riconoscere negli esplosivi, comburenti tossici, materie radioattive, sostanze infiammabili e corrosive.

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Per un maggiore dettaglio si veda l’Allegato 1.E.5.a “Codici per il trasporto delle sostanze pericolose”.

Infine, un corretto svolgimento della segnalazione dell’incidente può rivelarsi decisivo per l’efficacia dell’intervento di emergenza (si veda pertanto l’Allegato 2.B).

2.3.2 Rischio incidente ferroviario

Un altro tipo di evento connesso alle vie e i sistemi di trasporto è, infatti, l'incidente ferroviario che, coinvolgendo uno o più treni congiuntamente a fattori esterni, comporta la distruzione o danni non immediatamente reversibili alle persone, e/o beni, e/o servizi, e/o interruzione della circolazione ferroviaria. Con treno si intende qualunque mezzo circolante su rotaia e per fattore esterno qualunque mezzo che interferisca direttamente sulla sede ferroviaria opponendosi alla libera circolazione dei treni. Un incidente ferroviario dipende essenzialmente da fattori naturali, umani, guasti e possibili atti terroristici.

Il territorio comunale di Sant’Antonino di Susa è attraversato longitudinalmente dalla linea ferroviaria internazionale Torino - Modane . La maggior parte del tracciato è completamente esterno. I punti con maggior rischio sono individuabili in corrispondenza di incroci tra la sede ferroviarie e la viabilità stradale; in particolare sono presenti:

− il cavalca - ferrovia dell’atostrada A32;

− passaggio a livello della S.P. 201, tratto di collegamento tra le due strade statali;

− sottopasso ferroviario in Via Roma

Tale analisi impone di considerare tra i rischi insistenti sul territorio anche quello connesso al possibile verificarsi di un incidente ferroviario.

Oltre alla attenzione rivolta alla popolazione e ai passeggeri, anche in questo caso, il transito di merci è da considerarsi come potenziale fonte di pericolo e, come per il trasporto su gomma, particolare attenzione deve essere posta al trasporto di sostanze pericolose: si vedano a riguardo le norme RID per il trasporto di merci pericolose su rotaia. Tale fattore è da tener in particolare considerazione per la valutazione del rischi ferroviario poiché il traffico molto intenso d tale linea Torino – Modane (circa 130 convogli giornalieri) è costituito per circa il 75% da treni merci.