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Page 1: Capire la poetica di . · PDF file · 2013-12-10Introduzione alla Poetica di Aristotele Premessa Nel mondo antico il genere espressivo che per molto tempo si è identificato con l'arte

Alessandro Benigni

Capire la poetica di Aristotele.

Un percorso didattico.

© Fata Libelli 2007 – Tutti i diritti sono riservati.

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Sommario

Introduzione alla Poetica di Aristotele

Premessa Incanto e inganno della poesia Il verosimile, la catarsi e il sublime Il bello come ordine, simmetria e proporzione Funzione morale

La Poetica 1) Quadro storico 2) Quadro Culturale 3) Struttura e analisi del testo 4) L'arte poetica come imitazione. 5) La superiorità della poesia sulla storia. 6) Il primato della tragedia nell'arte poetica. 7) La “catarsi” 8) Destinatari

Analisi di un passo dell’opera

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Introduzione alla Poetica di Aristotele Premessa Nel mondo antico il genere espressivo che per molto tempo si è identificato con l'arte è stato quello della poesia (connessa strettamente alla musica) e per "artista" si intendeva quasi sempre il poeta - sia epico che tragico. A lungo le arti visive - pittura, scultura, architettura sono state associate alle arti pratico-produttive e "artista" equivaleva ad "artigiano", fosse egli un vasaio, o un falegname, o un costruttore di case. Per tale motivo, l'attività dei l'artista-artigiano è stata considerata di rango inferiore, non degna di "uomini liberi", perché troppo simile a quella degli operai e dei contadini sempre più identificati con gli schiavi -, o a quella dei mercanti, uomini liberi ma troppo spesso meteci, cioè stranieri, privi quindi della cittadinanza. Nella Grecia arcaica, quando tradizioni e conoscenze erano tramandate oralmente, la funzione della poesia è stata d'altronde essenziale, perché connessa alla conservazione e trasmissione dei patrimonio culturale. La memoria collettiva, l'identità di una comunità, di un popolo, dipendevano dall'opera del poeta, che, mediante tecniche mnemoniche ben determinate, conservava, elaborava e comunicava eventi storici, miti, modelli di valore, leggi, dispositivi e procedure tecniche, servendosi a tal fine della narrazione epica, legata ad eventi straordinari e cantata accompagnandosi al suono della lira1. Con l'avvento della polis e, ancor più, con l'avvento della civiltà della scrittura, mutano gradualmente anche i caratteri e la funzione della poesia. L'arte poetica tende a "professionalizzarsi": innanzitutto creatore ed esecutore non coincidono più con la medesima persona. Il poeta diviene rapsodo, cioè "cucitore di canti", non più creatore, ma declamatore di poesia. Inoltre i contenuti della poesia riflettono sempre più problemi ed esperienze dell'individuo, i suoi odi ed amori, le sue fortune e disgrazie. L'autore parla di sé, su di sé riflette e comincia a mettere per iscritto i suoi testi. Inoltre nel periodo segnato dalla tirannide di Pisistrato, ad Atene vengono messi per iscritto anche i poemi omerici. Una straordinaria stagione artistica infatti si apre con l'avvento delle tirannidi, che promuovono le arti, investendo vere fortune nella costruzione di opere pubbliche sempre più raffinate e accogliendo nelle loro corti il meglio della cultura dell'epoca. 1 Contenuto e fine essenziale della comunicazione poetica è l'ethos, cioè il costume, che nella poesia omerica è, essenzialmente, quello dei l'aristocrazia. La poesia di Esiodo, invece, si apre al mondo dei piccoli proprietari terrieri e dei mercanti: diviene allora fondamentale il valore della Giustizia, in base al quale tutti (almeno tutti gli uomini liberi) dovrebbero essere trattati allo stesso modo. A lungo tempo il poeta è maestro di verità, cioè "ispirato" dalle Muse che gli donano la capacità di "vedere". Rappresentato quasi sempre cieco, proprio per questo egli è in grado di "vedere" la verità originaria profonda delle cose, ciò che "è", "fu", "sarà". Per questo il poeta è rispettato e onorato. Egli, allo stesso modo, "annuncia" Aletheia (verità) e produce piacere in chi ascolta, esprime sapienza e produce emozioni forti. Alla sua opera presiede Mnémosyné, sorella di Kronos (cioè del Tempo), la dea Memoria che spalanca alla mente del poeta il passato, in quanto gli consente di esporlo così come Mnémosyné stessa gli "detta". Nella Grecia arcaica arte è poi spesso sinonimo di armonia. Caratterizzati dall'armonia sono gli esempi di areté (virtù) che il poeta riporta: il modello di virtù per l'eroe è quello della kalokagathía (bellezza e bontà), armonia, appunto, di corpo e spirito, di valore guerriero e atletico e di autocontrollo. L'armonia coincide con la stessa idea di Bellezza. Un'idea che costituisce un essenziale contributo del pitagorismo alla storia dei pensiero: essa si fonda su una rappresentazione della realtà (dell'universo come della società umana) di tipo matematico: riguarda, cioè, la misura, un rapporto che esprime ordine, simmetria, perfezione.

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Ad Atene, con l'affermarsi della democrazia e con la crescita della potenza economica e militare, si ha uno straordinario sviluppo culturale ed artistico, che tocca il culmine nelle attività promosse, nei cuore dei V sec., da Pericle2. Nello stesso periodo notevole è la produzione teatrale, soprattutto relativa alla tragedia. In origine essa ha il carattere di cerimonia religiosa volta a celebrare il dio Dioniso con danze e canti corali, poi sempre più è narrazione complessa di eventi quasi sempre ispirati alla tradizione mitica: il senso religioso originario si arricchisce di questioni di carattere morale, legate al senso dell'esistenza e al destino stesso dell'uomo, e a temi politici e sociali di attualità. Il culmine della tragedia attica è rappresentato dall'opera di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Ma, insieme alla tragedia, anche la commedia, con Aristofane, si afferma ad Atene e nelle maggiori città greche, diventando momento essenziale della loro vita civica. 2 Il suo intento di fare di Atene la guida della Grecia si esprime non solo attraverso una politica espansionistica ma anche con una grande fioritura di opere che - come dirà molto più tardi Plutarco, nelle Vite parallele - "una volta compiute, si traducono in gloria eterna, e, mentre si compiono, in benessere concreto", perché "suscitano attività di ogni genere: e queste, risvegliando ogni arte, muovendo ogni mano, danno da mangiare a quasi tutta la città". Si tratta di una quantità straordinaria di capolavori architettonici, di sculture e pitture che faranno di Atene dirà orgogliosamente Pericle - la scuola dell'Ellade". In particolare, è l'Acropoli, con il Partenone e una corona di edifici dal disegno armonico e ricchi di ornamenti, a testimoniare la straordinaria stagione artistica della città. Alla testa degli artisti di questo periodo è lo scultore Fidia. Ma nel V secolo, ad Atene e in altre città-stato, operano molti altri celebri artisti, come ad esempio gli scultori Policleto e Mirone, i pittori Zeusi e Parrasio, seguiti, nel IV secolo a.C., da Apelle. Essenziale, inoltre, è l'opera dell'urbanista Ippodamo di Mileto, a cui Aristotele attribuirà l'idea della "divisione delle città", cioè un modello - teorico e pratico allo stesso tempo - di organizzazione della vita urbana basato su piante disposte lungo assi ortogonali: idea che viene applicata nella costruzione del Pireo, il porto di Atene, e nella fondazione della colonia di Thuri (nel 445-444 a.C.). Numerose saranno le città della Grecia, dell'Asia Minore e della Magna Grecia (fra cui Paestum, Agrigento, Napoli e Pompei) il cui disegno risentirà dell'influenza di Ippodamo.

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Incanto e inganno della poesia In questa epoca la poesia cambia la sua funzione e il suo significato. Ad esempio, Simonide di Ceo la paragona ad una "pittura che parla", ad una raffigurazione della realtà attraverso immagini che seducono e illudono chi legge o ascolta il canto poetico. Così non è più la verità ma l'illusione il contenuto della poesia e, più in generale, dell'arte. Un "inganno" che la poesia genera, attraendo e seducendo l'ascoltatore o il lettore, esprime un potere della parola che il sofista Gorgia rappresenta nell'Encomio di Elena. Egli giustifica la condotta della bella moglie di Menelao, per il fatto che Elena, in quanto "costretta" o per volontà degli dei, o con la forza, o con l'amore, o con la suggestione delle parole, non può essere ritenuta responsabile degli atti compiuti. in particolare, nell'Encomio si dice che "la parola è un gran dominatore"; e che dominatrice, per questo, è "la poesia nelle sue varie forme": essa è "un discorso di tale musicalità" che "l'anima subisce, per effetto delle sue parole, una particolare emozione"; la potenza dell'incanto, infatti, aggiungendosi alla disposizione dell'anima, la lusinga, la persuade e la trascina coi suo fascino". Proprio per questo Socrate attacca i poeti, i quali dicono molte cose piacevoli, belle, ma non ne comprendono il significato, cioè "non sanno niente di ciò che dicono" e neppure "sanno di non sapere", presentandosi invece come sapienti e detentori della verità. Lo stesso fa Platone: la creazione poetica è, per lui, una "forma di delirio" che sembra ispirato dalle Muse, ma che in effetti offre contenuti di cui il poeta non sa nulla e di cui non capisce il significato. La critica platonica investe lo stesso contenuto di verità della rappresentazione artistica. Il filosofo sostiene che l'arte è imitazione della realtà, affermando un concetto che sarà alla base dell'estetica antica (e che rimarrà tale fino al XVIII secolo). Ma Platone afferma anche che quella dell'arte è un'imitazione incapace di cogliere e rappresentare la realtà effettiva delle cose, in quanto raffigurazione superficiale, che si limita a descrivere l'apparire delle cose, non l'essere (che invece è costituito, invece, dal mondo delle idee). Resta, quindi, il giudizio sul carattere illusionistico dell'arte, già formulato da Gorgia, ma in senso questa volta svalutativo della qualità delle conoscenze che l'arte consente. Anzi, se si guarda al mondo delle idee e si considera la realtà prodotta dall'uomo come "imitazione" di quel mondo, si deve considerate l'imitazione che l'artista fa delle cose come un'imitazione dell'imitazione, cioè un'imitazione di secondo grado, lontanissima dall'essere3. 3 Anche Omero, da tutti considerato come l' "educatore dell'Ellade", sarebbe solo un imitatore, non un sapiente e un conoscitore della realtà. L'arte è diseducativa, quindi da censurare o addirittura da non ammettere nello Stato ideale, perché troppo spesso fornisce un'immagine deformata della realtà (ad esempio di quella divina) o dell'ordine dei valori morali e perché è condotta con tecniche tali da confondere la capacità di intendere degli ascoltatori. Si è discusso se le ragioni di tale atteggiamento platonico siano metafisiche o politiche, legate cioè all'intento di "purificare" la tradizione mitica oppure a quello di "depurare" il modello di "Stato educativo" da ogni forma di corruzione (quella, ad esempio, generata in Atene dalle rappresentazioni teatrali o dalle recitazioni pubbliche dei poemi omerici). Certamente Platone, nelle Leggi, riferendosi alle tragedie, considera la "composizione" dello Stato ideale (che è "imitazione della vita migliore e più bella") lo "spettacolo" più bello, "la migliore tragedia che sia possibile comporre", il "dramma più bello, che solo la vera legge può condurre a compimento, secondo le nostre speranze".

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Il verosimile, la catarsi e il sublime Anche per Aristotele l'arte è imitazione della realtà. È imitazione non di ciò che è (perché questo è compito della storia), ma di ciò che può essere. Per questo, afferma il filosofo rovesciando il giudizio platonico, l'arte guarda ad un orizzonte più vasto, fa vivere allo spettatore le vicende rappresentate come fatti che potrebbero accadere a tutti coloro che si trovassero nelle stesse situazioni, affermandone, in qualche misura, l'universalità. Essa possiede inoltre una reale efficacia educativa, in quanto coinvolge lo spettatore, e favorisce, attraverso l'azione scenica, lo svilupparsi di emozioni forti, vive, che poi vengono a "sublimarsi" in una catarsi, cioè in una specie di trasfigurazione delle passioni stesse, determinando così un nuovo equilibrio, una nuova armonia nella psiche. Pertanto dall'imitazione artistica si genera piacere, anche quando le vicende imitate sono terribili, come avviene nelle tragedie. Valore conoscitivo dell'arte e sua accertata funzione educativa e morale: le tesi aristoteliche capovolgono quelle platoniche. Esse, inoltre, sono il frutto di un'analisi concreta e minuziosa dell'esperienza artistica, di un approccio teorico che costituisce il fondamento dell'Estetica come disciplina filosofica e, perciò, il quadro di riferimento di artisti e filosofi nelle età successive4. Avete già affrontato tutti i nuclei tematici più importanti di Aristotele e avrete senz'altro notato le differenze della filosofia aristotelica rispetto a quella del maestro Platone. Ma d'altronde eravate già abituati alle differenze e alle innovazioni che tutti i filosofi - dai pre-socratici in poi - introducono rispetto ai predecessori. Aristotele appunto si presenta come un innovatore rispetto ai predecessori: un innovatore anche nel campo della teoria dell'arte (poetica, estetica). Le sue concezioni sull'arte, pur restando poco note nell'antichità e nel medioevo, ebbero uno straordinario successo nel rinascimento e costituiranno una base concettuale essenziale per la nascita dell'estetica moderna. In seguito, proseguendo negli studi, avrete senz'altro modo di constatarlo di persona. La prima delle innovazioni che Aristotele introduce è proprio quella di assegnare per la prima volta al discorso sull'arte e sull'esperienza artistica uno spazio autonomo ed un preciso campo di attività, distinto dagli altri e, come tale, oggetto di una specifica riflessione teorica. La poetica riguarda le attività che hanno come scopo la mìmesis, l'imitazione della realtà. Proprio il concetto di imitazione costituisce uno degli elementi fondamentali dell'estetica aristotelica. L'arte è per Aristotele "imitazione". Altri elementi non meno importanti sono il concetto di verosimiglianza e quello di imitazione dell'universale. Anche Platone aveva considerato l'arte come imitazione, ma ne aveva svalutato la portata conoscitiva, proprio perché i suoi prodotti erano visti come una "copia di copia" della vera realtà, quella delle Idee. Per Aristotele, invece, la poetica costituisce una forma valida di conoscenza in quanto la realtà che rappresenta non é "apparente", non rinvia cioè a qualcosa che la trascende. Il secondo principio-base dell'estetica aristotelica è, come abbiamo detto, quello della verosimiglianza. Ma che cosa dobbiamo intendere per "verosimiglianza"? Per capire il significato di "verosimiglianza" occorre prima di tutto comprendere la differenza che Aristotele pone tra storia e poesia. La storia descrive ciò che è accaduto, mentre la poesia parla di ciò che potrebbe accadere. Ora è importante rilevare che per Aristotele la poesia ci fa conoscere i fatti meglio della storia, in quanto la poesia "tende a rappresentare l'universale, la storia il particolare". 4 Dello svilupparsi di una specifica riflessione estetica sono testimonianza, nell'Età elienistica, le attività di ricerca, raccolta e catalogazione delle opere che sono state condotte sistematicamente nel Museo di Alessandria e in altri grandi istituti culturali dell'antichità, in concomitanza con la diffusione della cultura greca nei vasti territori conquistati da Alessandro Magno e con evoluzione delle specializzazioni artistiche connessa all'estendersi della produzione artistica e letteraria.

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La storia, in altre parole descrive gli eventi così come si sono realizzati, dunque nella loro concretezza e singolarità. La poesia, invece, li rappresenta come fatti che possono accadere (a tutti coloro che si venissero a trovare in determinate condizioni): quindi li descrive come "fatti universali" che rientrano nell'ambito delle posssibilià umane. Mentre allora la storia è imitazione del particolare, l'arte è imitazione dell'universale. Proprio perchè universali, gli eventi narrati dalla poesia tendono ad avvicinarla alla scienza (che studia anch'essa gli eventi nella loro generalità), senza raggiungere tuttavia la capacità conoscitiva, in quanto nella poesia la rappresentazione avviene attraverso immagini sensibili e non mediante concetti astratti. Il bello come ordine, simmetria e proporzione A differenza di Platone, Aristotele non si preoccupa di definire il bello in sé. Platone, come sappiamo, aveva sollecitato a cercare al di là delle cose sensibili il "bello intellegibile", il "bello in sé". Aristotele invece riconduce "il bello" di un prodotto artistico a un'idea di proporzione e simmetria, tale per cui ogni sua parte concorra a realizzare un determinato ordine dell'insieme. Con Aristotele dunque l'opera d'arte è una sorta di organismo vivente, è una totalità: la sua validità e la sua bellezza dipende dalla coesione e dalla disposizione delle parti nell'insieme, dal loro reciproco rapportarsi ed equilibrarsi. Funzione morale Per Aristotele l'arte ha poi una ben precisa funzione morale (oltre che conoscitiva). Anche per questo aspetto Aristotele si distanzia da Platone. Per Platone, come sappiamo, i poeti dovevano essere banditi dalla città: la poesia era diseducativa, perchè favoriva atteggiamenti e passioni irrazionali. Per Aristotele, invece, la tragedia (che è la forma più elevata di poesia), sollecitando quelle passioni di pietà e di terrore nello spettatore, le fa affiorare nella sua coscienza, le tende al massimo e così le sublima e le purifica. Aristotele scrive infatti nella Poetica che "mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore", la tragedia "ha l'effetto di sollevare e purificare l'animo da quelle passioni" determinando la kàtharsis, o catarsi, cioè la loro trasformazione in emozioni pure e in un puro piacere, che è quello estetico. La catarsi è in un certo senso una purificazione delle passioni. Essa non le rimuove, non le elimina, ma le trasfigura, cioè le trasforma e le armonizza in un superiore equilibrio, nel quale l'anima prova quasi compiacimento: non è quindi catarsi dalle passioni ma catarsi delle passioni. Essa procura infatti una "gioia innocente", cioè un'emozione che non è solo di tipo morale, ma quasi di liberazione dalla pena che i sentimenti di angoscia e le tensioni e i drammi quotidiani dell'esistenza determinano in noi.

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La Poetica 1) Quadro storico La Poetica risale al secondo periodo ateniese di Aristotele, quando egli aveva lasciato la Macedonia dopo che (probabilmente per la condanna a morte di un suo nipote) si erano guastati i rapporti con Alessandro, che per otto anni era stato suo discepolo. Tornato ad Atene il filosofo aveva aperto la sua scuola in un parco pubblico, il Liceo, che era insieme piazza d'armi, palestra e santuario dedicato ad Apollo. Il nome di Liceo contraddistinguerà, da quel momento, la "scuola" di Aristotele. Una datazione approssimativa colloca la stesura dell'opera tra il 334 e il 330 a. C5. 2) Quadro Culturale Anche sulle questioni dell'estetica il confronto che Aristotele istituisce è quello con il maestro Platone, da cui, però, quando scrive la Poetica, ha ormai preso le distanze elaborando il programma di una propria filosofia. Se Platone aveva condannato l'arte perché era imitazione dei mondo del divenire, dunque copia di una copia delle idee, Aristotele rivaluta l'arte proprio in quanto imitazione. E, inoltre, mentre Platone aveva criticato l'arte come suscitatrice di forti emozioni, che indebolivano la parte razionale dell'anima, Aristotele rivendica la capacità purificatrice, catartica dell'arte, proprio perché suscita sentimenti di paura e di terrore. Il titolo"Poetica" rimanda al terzo genere di scienze definito da Aristotele, quelle produttive o poietiche, che si occupano della produzione di oggetti: è il campo delle tecniche, delle "arti". Gli oggetti che possono essere prodotti non sono solo materiali, ma, per così dire anche immateriali: è il caso degli oggetti prodotti dalle "arti belle". Dunque, il titolo farebbe pensare ad una trattazione completa delle arti belle, mentre nell'opera che è arrivata a noi si parla solo della poesia, anzi quasi esclusivamente di quella tragica. Ma alcune tesi fondamentali sono valide per tutte le arti. 3) Struttura e analisi del testo Due sono le parole chiave: imitazione (o mimesi) e catarsi. Ma va detto che, quanto al rilievo e allo spazio che hanno nell'opera, l'imitazione è di gran lunga prevalente, anche se, nelle letture che nel corso dei secoli sono state date della Poetica, la catarsi è stata considerata il tratto caratteristico dell'arte e soprattutto della sua funzione. 5 Dopo la disastrosa sconfitta subita da Atene nel 338 a.C. nella Battaglia di Cheronea, ad opera di Filippo il Macedone, si era stabilita tra le pòleis greche, in funzione antipersiana, un'alleanza militare di cui Filippo era il capo. Ormai l'autonomia politica delle pòleis era quasi ridotta a zero, e la loro caduta sotto il dominio diretto dei Macedoni era imminente. Anche Atene non era più una potenza politica e militare ed era destinata a condividere la stessa sorte delle altre pòleis greche. Ma allora mostrava un'economia in fase di crescita - anche se non sarebbe durata molto. E la democrazia ateniese era stabile anche se, ormai, la politica era diventata un fatto di politici di professione e il demos si disinteressava delle vicende politiche. Inoltre lo scontro sociale tra ricchi e poveri continuava. All'interno di Atene, dopo il periodo dello scontro aperto con la Macedonia e le veementi invettive di Demostene, vi era un partito filo-macedone, ma era prevalente un atteggiamento di sospetto e di contrapposizione nei confronti della politica espansionista di Filippo e di Alessandro. Aristotele era inviso a gran parte della cittadinanza per l'opera svolta come maestro di Alessandro.

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Sulla Poetica si sono cimentati schiere di interpreti che hanno incontrato notevoli difficoltà. La natura di queste difficoltà può essere fatta risalire alle caratteristiche stesse dello scritto, che ha la struttura di un promemoria in cui sono contenute le opinioni di Aristotele sull'arte forse per uso personale o come appunti, scalette e schemi da usare per le sue 'lezioni" sull'argomento. Comunque, il carattere "anomalo" dei testo si può notare anche nella qualità espositiva che alterna parti ben rifinite da un punto di vista formale, con altre segnate da una struttura sintattica spesso oscura e da un uso non omogeneo di termini e concetti. Altro aspetto che rende difficile l'analisi dei testo è quello che un suo interprete e curatore di un'edizione recente ha definito la concentrazione teorica, non aliena talvolta da contraddittorietà concettuali oltre che da asperità espositive". 4) L'arte poetica come imitazione. Caratteristica comune a tutte le forme di attività poetica è l'imitazione. "L'imitare è connaturato agli uomini fin dall'infanzia" e la sua funzione, così come si esplica nell'arte poetica, serve o per dilettare ("tutti traggono piacere dalle imitazioni") o per apprendere ("procurarsi per mezzo dell'imitazione le nozioni fondamentali"). In questa nozione di imitazione vi è oscillazione tra l'imitazione come simulazione (far finta di essere altro da ciò che si è) e come rappresentazione (riproduzione di un modello). 5) La superiorità della poesia sulla storia. "L'arte poetica implica conoscenza e in questo è superiore alla storia perché la poesia dice piuttosto gli universali, la storia i particolari". La storia racconta ciò che è avvenuto, la poesia ciò che può avvenire. Quanto all'universale di cui si occupa l'arte poetica, esso concerne il fatto che ad una persona di una certa qualità capiti di dire o di fare cose di una certa qualità secondo verosimiglianza e necessità". Per chiarire che cosa si intenda per verosimiglianza come elemento essenziale di questo modo di intendere l'universale, è necessario rinviare è a ciò che, al riguardo Aristotele scrive nella Retorica: “il verosimile è ciò che avviene per lo più [ ...] nel campo delle cose che possono essere altrimenti”, cioè nel campo dei possibile, nel campo degli avvenimenti che possono riguardare i comportamenti umani. 6) Il primato della tragedia nell'arte poetica. La tragedia è l'imitazione di un'azione seria e compiuta, avente una sua propria grandezza, con parola ornata, distintamente per ognuna delle sue parti, di persone che agiscono e non tramite una narrazione, la quale per mezzo di pietà e paura porti a compimento la depurazione di siffatte emozioni". Nella costruzione della tragedia il primato viene attribuito ai fatti, alle azioni. Essa è imitazione di un'azione, che sia unica e intera, con le parti che siano fortemente connesse in un tutto organico. Tale unità e organicità della tragedia fonda la validità dell'unità di azione, di tempo e di spazio, attorno alle quali lungamente ruoterà il dibattito nell'Età moderna. La tragedia è superiore alle altre forme dell'attività poetica perché più elevato è il suo tasso di mimeticità e perché riguarda l'imitazione di persone migliori e, in quanto tali, oggetto di lode ed esaltazione.

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7) La “catarsi” Può suscitare meraviglia che sia considerata la parola-chiave per eccellenza della Poetica proprio la catarsi di cui nell'opera si parla pochissimo e a cui non si dà un grande rilievo. Catarsi (katharsis) significa rendere puri (puro in greco si dice katharos). Ma in che consiste questo "rendere puri" che la tragedia produce? La spiegazione più significativa al riguardo è quella contenuta nella definizione di tragedia: la rappresentazione di azioni in cui consiste la tragedia "per mezzo di pietà e paura porta a compimento la depurazione di siffatte emozioni". La tragedia produce negli spettatori pietà e paura a cui segue un effetto liberatorio e rasserenante6. 8) Destinatari Chi siano i destinatari della Poetica non riusciamo a desumerlo da elementi e "segni" presenti nel testo, ma lo ricaviamo da dati esterni ad esso. Come altri scritti la Poetica appartiene alle opere esoteriche o acroamatiche, cioè non destinate alla pubblicazione, ma rivolte ai discepoli dei Liceo, o, comunque, pensate e scritte in vista dell'insegnamento. Questi "appunti" dovevano svolgere una funzione di supporto all'insegnamento orale di Aristotele. Anche la Poetica, dunque, mostra una tale formulazione, che risponde a intenti didattici ed è dunque rivolta a "studenti" dei Liceo. Pure le notazioni relative alla struttura e allo stile dell'opera, come sopra si è detto, fanno pensare ad uno scritto pensato per la "scuola", che direttamente o indirettamente era rivolto ai discepoli di Aristotele. 6 Gli interpreti si sono domandati se si debba intendere la catarsi delle passioni, la loro purificazione, oppure la liberazione dalle passioni, un moto di distacco spirituale da esse, dalla loro "materialità". Si è detto che quest'ultima interpretazione, di carattere più spirituale, è il frutto dei contesto neoplatonico in cui è stata elaborata e si è perpetuata anche in epoca moderna. Diverge da quel significato - e la pone così in un contesto religioso - la catarsi intesa come decontaminazione, come risultato di azioni rituali. Ad altri, infine, è sembrato di poter concludere che non di liberazione dalle passioni si debba parlare, ma piuttosto di purificazione delle passioni, di un certo piacere estetico, che, invece di nuocerci - come pensava Platone - ci risana o purifica.

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Analisi di un passo dell’opera L'epica, così come la poesia tragica, nonché la commedia, la composizione di ditirambi7 e la maggior parte dell'auletica8 e della citaristica9 nel complesso sono tutte imitazioni10, ma si distinguono l'una dall'altra sotto tre aspetti: nell'imitare o con mezzi diversi, o oggetti diversi, o diversamente e non nello stesso modo. Come alcuni imitano riproducendo molti oggetti con colori e figure (chi per arte, chi per pratica) e altri usando la voce, così tutte le arti citate compiono l'imitazione con il ritmo, la parola e la musica, separatamente oppure in combinazione. [...] Due cause appaiono in generale aver dato vita all'arte poetica, entrambe naturali: da una parte il fatto che l'imitare è connaturato agli uomini fin dall'infanzia11 (e in ciò l'uomo si differenzia dagli altri animali, nell'essere il più portato ad imitare e nel procurarsi per mezzo dell'imitazione le nozioni fondamentali); dall'altra il fatto che tutti traggono piacere dalle imitazioni12. Lo dimostra ciò che avviene nei fatti: le immagini particolarmente esatte di quello che in sé ci dà fastidio vedere, come per esempio le figure degli animali più spregevoli e dei cadaveri, ci procurano piacere allo sguardo. Il motivo di ciò è che l'imparare è molto piacevole non solo per i filosofi, ma anche ugualmente per tutti gli altri, soltanto che questi ne partecipano per breve tempo. Perciò vedendo le immagini si prova piacere, perché accade che guardando si impari e si consideri che cosa sia ogni cosa, come per esempio che questo è quello. Qualora, poi, capiti di non averlo già visto prima, non procurerà piacere in quanto imitazione, ma per la sua fattura, il colore o un'altra ragione simile. Poiché, dunque, noi siamo naturalmente in possesso della capacità di imitare, della musica e del ritmo (i versi, è chiaro, fanno parte del ritmo), agli inizi coloro che per natura erano più portati a questo genere di cose, con un processo graduale dalle improvvisazioni dettero vita alla poesia13. [...] La tragedia è dunque imitazione di qualche azione seria e compiuta, che ottiene una propria grandezza, con un discorso ornato, i cui ornamenti appaiono distintamente in ciascuna parte, (e che) in forma drammatica e non narrativa, usa la pietà e la paura per purificare tali emozioni. Io chiamo "discorso ornato" quello che unisce il ritmo all'armonia e al canto; e dico che gli ornamenti non sono tutti in ciascuna parte perché alcune parti non hanno che il metro, mentre altre hanno la musica. Poiché è imitazione di un'azione ed è compiuta da personaggi che agiscono14 i quali necessariamente hanno una certa qualità per il carattere e il pensiero (grazie a questi noi diciamo che le azioni sono dotate di una certa qualità ed è in seguito ad esse che tutti hanno successo o falliscono), imitazione dell'azione è il racconto. La tragedia è, infatti, imitazione non di uomini ma di azioni e di modo di vita15; non si agisce, dunque, per imitare i caratteri, ma si assumono i caratteri a motivo delle azioni; pertanto i fatti, cioè il racconto, sono il fine della tragedia, e il fine è la cosa più importante di tutte [...]. 7 Canti corali della lirica greca. Originariamente collegati al culto di Dioniso, hanno dato vita alla tragedia. 8 Arte di comporre e suonare musica per flauto (aulós, flauto ad ancia doppia). 9 Arte di comporre e suonare musica per cetra. 10 Viene affermato il carattere imitativo della poesia e della tragedia, anche se l'imitazione può variare in base ai mezzi espressivi, ai temi e ai modi. Mentre il carattere imitativo attribuito all'arte e all'opera dell'artista era motivo di condanna da parte di Platone, in Aristotele è caratteristica essenziale e positiva per l'arte, elemento nel quale si esprime un tratto tipico dell'uomo. 11 L'imitazione è un aspetto essenziale della natura umana, particolarmente evidente nell'infanzia, nella quale essa diviene mezzo fondamentale di apprendimento, a differenza di ciò che avviene negli animali. 12 L'imitazione genera piacere. Anche le realtà più orribili, se imitate, possono "piacere", sia per i contenuti di quell'imitazione, che possono produrre conoscenza (quindi "gioia del conoscere"), sia anche per le forme (colori, versi, ecc.) con cui esse vengono espresse. 13 Dall'imitazione naturale si è passati - evolutivamente - all'imitazione poetica. 14 Questa è la famosa formula definitoria della tragedia, la quale è: a. imitazione; b. imitazione di azioni vere e proprie di persone e non narrazione delle azioni stesse; c. seria e compiuta; d. avente sue dimensioni; e. caratterizzata da un particolare stile poetico; f. generatrice di passioni forti di pietà e paura; g. capace di sublimare e trasfigurare (“depurare") tali passioni. 15 Il fine della tragedia sta nei fatti che in essa si rappresentano, sottolinea ancora Aristotele. La tragedia non è uno "studio di carattere (studio scientifico come quello che farà un discepolo di Aristotele, Teofrasto), perché i caratteri dei personaggi emergono come mezzo per produrre l'azione drammatica

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Inoltre, se si dispongono di seguito discorsi morali ben costruiti per linguaggio e pensiero, non si compirà quello che è l'effetto della tragedia, mentre lo realizzerà molto di più la tragedia che ne adoperi di più scadenti ma sia fornita di racconto, cioè di composizione di fatti16. [...]. Da ciò che si è detto è chiaro che compito del poeta non è dire le cose avvenute, ma [dire] quali possono avvenire, cioè quelle possibili secondo verosimiglianza o necessità17. Lo storico e il poeta non si distinguono nel dire in versi o in prosa (si potrebbero mettere in versi gli scritti di Erodoto e nondimeno sarebbe sempre una storia, con versi o senza versi); si distinguono, invece, in questo: l'uno dice le cose avvenute, l'altro quali possono avvenire. Perciò la poesia è cosa di maggiore fondamento teorico e più importante della storia, perché la poesia dice piuttosto gli universali, la storia i particolari18. E’ universale il fatto che a una persona capiti di dire o di fare, seguendo il suo carattere, cose di una certa qualità, secondo verosimiglianza o necessità, e a questo tende la poesia, mettendo in seguito i nomi. Il particolare, invece, è che cosa fece o subì Alcibiade. Ciò è divenuto chiaro nel caso della commedia: i poeti comici, dopo aver composto il racconto sulla base di personaggi verisimili, impongono loro dei nomi qualsiasi e non fanno come i compositori di giambi19 che compongono su un uomo in particolare. Nel caso della tragedia invece si mantengono i nomi già esistenti. Il motivo è che credibile è il possibile, e noi non crediamo sempre possibile quel che non è avvenuto, mentre ciò che è avvenuto è chiaro che era possibile, perché se fosse stato impossibile non sarebbe avvenuto. [...] Poiché la composizione della migliore tragedia deve essere non semplice ma complessa, e imitativa di fatti paurosi e pietosi (ciò è proprio di questo tipo di imitazione), innanzitutto è chiaro che non devono essere mostrati gli uomini degni di stima, che volgano dalla buona sorte alla sventura, perché questo non è pauroso né pietoso, ma odioso; neppure i malvagi dalla sventura alla buona fortuna, perché questo è il massimo di estraneità alla tragedia, in quanto non presenta nulla di cui c'è bisogno: non è né conforme al senso morale, né pietoso, né pauroso; neppure, per contro, il perfetto malvagio che cade dalla buona sorte nella disgrazia, perché una composizione siffatta comporterebbe sì senso morale, ma non pietà né paura; la pietà è infatti relativa a colui che è indegnamente tribolato, la paura a chi ci è simile (pietà per chi non merita, paura per chi ci è simile), pertanto ciò che avviene non sarà né pietoso né pauroso. Resta dunque il caso intermedio fra questi. È di questo tipo colui che, non distinguendosi per virtù e per giustizia, non è volto in disgrazia per vizio e malvagità, ma per un errore, tra coloro che si trovano in grande fama e fortuna, come per esempio Tieste, Edipo e gli uomini illustri provenienti da siffatte stirpi. […] anche senza il vedere, il racconto deve essere composto in modo tale che chi ascolta i fatti che si svolgono, per effetto degli avvenimenti, sia colto da tremore e pianga20, il che si può provare udendo il racconto di Edipo.

[da Aristotele, Poetica, 47a, 48b, 49b, 52a, 53b]

16 il fine morale della tragedia non si raggiunge con discorsi moralistici ben fatti, ma con azioni e discorsi (anche discorsi meno perfetti di quelli di un trattato filosofico) capaci di attivare nello spettatore reazioni emotive e intellettuali tali da aiutarlo a ritrovare un orientamento morale nella condotta. Qui il distacco da Platone, dalla sua critica dell'arte imitativa, è netto. 17 La distinzione fondamentale fra poesia e storia sta innanzitutto nel fatto che la prima descrive non ciò che è avvenuto, come fa la storia, ma ciò che può avvenire. E lo fa con verosimiglianza e necessità, in modo che ciò che accade possa realmente apparire ed essere vissuto dallo spettatore come qualcosa di credibile, che può, cioè, realmente verificarsi. 18 In secondo luogo la poesia descrive situazioni universali, tali cioè da favorire un processo di identificazione dello spettatore con ciò che è rappresentato, mentre la storia è cronaca di vicende particolari. Ciò rende possibili e credibili le vicende rappresentate, tanto più se, come avviene nella tragedia (a differenza della commedia), i personaggi non sono inventati, ma sono realmente esistiti (o, come quelli del mito, si "crede" che siano esistiti): ciò che è esistito, ciò che è avvenuto, non può non apparire possibile, rafforzando quel processo di identificazione fra spettatore e vicenda che costituisce l'asse dell'esperienza drammatica. 19 Componimenti poetici in metro giambico, generalmente a carattere di invettiva o con intonazione satirica. 20 Paura e pietà si generano non quando viene punito un malvagio, o quando un malvagio ha fortuna, e neppure quando un uomo virtuoso precipiti nella sventura, ma nelle situazioni intermedie, quando sono il caso e gli imprevisti a giocare un ruolo essenziale. Tutto questo stringe ancor più lo spettatore alla vicenda, lo fa soffrire e compatire, operando l'effetto di "trasfigurazione" che nella Politica Aristotele chiamerà di catarsi, cioè di purificazione delle passioni e non dalle passioni. Ma vedi, sulla catarsi, il documento seguente.

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