Aristotele. .Poetica. .Trad..Manara.valgimigli .Ed.universale.laterza

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POETICA Traduzione di Manara Valgimigli

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la poetica di Aristotele

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POETICA

Traduzione di Manara Valgimigli

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Per questa traduzione, Manara Valgimigli si avvalse di diverse cdi. zioni, pur adottando come testo base l'ediz-ione teubneriana del Christ (1910); per l'Indice delle lezioni, che riporta i luoghi ave il curatOre si è discostato da tale edizione, si rimanda a ARISTOTEI.F., Poetica, a cura di M. Valgimigli. Bari 1964 t, pp. 255·62.

1.

Della poetica in sé e de' suoi generi, e qual funzione abbia l .... '.

ciascuno di essi; come dehbano essere costituite le favole 1 se si vuole che l'opera del poeta riesca perfetta; inoltre, di quante e di 10 quali parti ogni singolo genere si compone i e similmente, di tutti gli altri problemi che rientrano in questo medesimo campo di ricerca, ecco gli argomenti di cui voglio trattare: e ne tratterò incominciando, secondo l'ordine naturale, da ciò che viene prima.

L'epopea e la tragedia, come pure la commedia e la poesia ditirambica, e gran parte dell'auletica e della citaristica, tutte 15 quante, considerate da un unico punto di vista, sono mimèsi [o arti di imitazione]. :1\1a differiscono tra loro per tre aspetti: e cioè in quanto, o imitano con mezzi diversi, o imitano cose diverse, o imitano in maniera diversa e non allo stesso modo.

Come infatti ci sono artisti i quali, per imitare e ritrarre più soggetti 2 - o lo facciano con coscienza della loro arte o per mera consuetudine - adoperano forme e colori, mentre altri 20 si valgono della voce; così accade anche nelle arti sopra dette. Nelle quali, per ciò che hanno di comune, i mezzi della mimèsi sono il ritmo, il linguaggio e l'armonia; e questi mezzi o sono adoperati separatamente l'uno dali 'altro o si trovano mescolati

l Le favole, ot f.lù60L. Si tratta esclusivamente del contenuto o ma. teriale ond'è costituito l'intreccio di una tragedia o commedia o poema epico. ChI!- questi soltanto, come risulta anche da 6. 1449 b 21, sono i generi letterari, "lÌ: dSYj, di cui dm'e\'a occuparsi la Poetica. La poesia lirica non vi era considerata.

2 t: Più soggetti" 7to),,),,&:, non «tutti •. Anche per Aristotele, come per altri scrittori antichi (per esempio XmoPH. M~m. III lO, 1; e specialmente DIONE DI PReSA, Or. XII), l'arte dei pittori e scultori è sottoposta a certi limiti e nOn può rappresentare ogni cosa.

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insieme. Così, per cscmpio, si valgono esclusivamente dell'ar­monia c del ritmo l'auletica e la citaristica e quante altre arti vi

25 possono essere virtualmente simili a queste, come l'arte di sonar la zampogna; del solo ritmo senza l'armonia si vale in genere l'arte dei danzatori: anche costoro dì fatti col ritmo di certi ICT

. • • •• • • ••

gesti e movImenti [1eseono a rappresentare caratteri, caSI e azlOOI 3.

("l: poi un'altra forma di arte la quale si vale del linguaggio puro e semplice [, cioè senza l'accompagnamento musicale], o in prosa

tHi b o in versi; e, se in versi, sia mescolando ne insieme di più specie, sia adoperandone di una specie sola. Ouesta forma di arte, fino a oggi, si trova a essere senza nome .1, E veramente io non saprei

10 con qual nome generico chiamare i mimi di Sofronc c di Xenarco e i dialoghi socraticÌ ~; c non lo saprei neanche se la mimèsi [in questi due ca:l.i sopra detti] fosse fatta in trimetri o in elegiaci o in altri versi di simil genere. Yero è che gli uomini, congiun­gendo insieme il nome di ' compositore' o ' poeta' col nome del metro, dicono ,'gli uni « poeti elegiaci ll, gli altri « poeti t:pici *,

15 come se codesto appellativo di • poeti' derivasse loro non già dalla mimèsi ma in generale e senz'altra distinzione dal metro: tanto che, per esempio, se uno dà fuori, in versi, qualche trattato di medicina o di scit:m:a naturale, costui per abitudine lo chiamano

~ ~ Caratteri. (-7;0''')' disposizioni morali; ~ c<lsi 1 (:-:::XEI"1J), ciò che agli uomini accade; ~ azioni • (ITp:XE,<:~~), ciò che gli uomllli fanno (cfr. 1451 b 11).

~ Leggo questo passo come i pill degli editori anche recenti, espun­gendo i:-:';T.r;d:t (l'eherweg) e intt:grando x\I(:)'r;WJç (Bcrnays): l'uno e l'altro mutamento sono confermati dalla "ersione araba.

~, Secondo un passo di Aristotele nel dialogo ITE?t 7":"ODjT(";)V (cfr. fr. 61 Rose), il primo a comporre dialoghi socratici sarebbe stato Ale­xameno di Teo: ed è notabile che anche in questo passo ~iano ricordilti insieme {;Ome ~"j"è ZI.l.ll.é·:P)'J::; .... ),{r(rJ'Jç xx:' IHfL+,O"t~~ i mimi di Sofrone. Ora, se si pensa che il nome stesso di mimo do"e,"a suggerire ad Ari­stotele di collocare questa forma di arte nella stessa linea delle altre opere ùi mimhi; o anche si pensa ali" tradizione eonsen·ataci da Suida (s.['. ~(;l?P(')'J) e ùn Diogene Laerzio (III 18) che Platone sarehhe stato studioso e imitatore dei mimi di Sofrone e che li avrebbe egli stesso in­trodotti in Atene, si capisce facilmente come Aristotele sentì l'affinità del mimo col dialogo socratico in genere, non pur di Alexarneno ma e di Platone e di Eschine e degli altri, in quanto erano ambedue forme

Poetica. 1-2, 1447 b-1448 a

poeta. ::\la in realtà non c'è niente di comune fra GmeTO ed Empe­docle a eccezione del verso; e perciò quello sarebbe giusto chia­marlo poeta, questo invece non poeta ma fisiologo. Ci troveremmo 20 nella stessa condizione con uno scrittore il quale facesse un'opera di mimèsi mescolando insieme ogni sorta di metri, come fece Cheremone nel suo Centauro, che è una rapsodia composta di , tutti i versi possibili: ebbene, anche costui [in quanto imitatore]

sarebbe giusto chiamarlo poeta. Queste sono le distinzioni che si dovevano fare su questo

argomento. Ci sono poi alcune forme di arte le quali si valgono di tutti insieme i mezzi sopra detti, cioè del ritmo, della melodia 25 e del verso: cosÌ la poesia ditirambica e quella dei nòmi da un lato, la tragedia e la commedia dall'altro. Con questa differenza però, che le prime due adoperano tutti codesti mezzi contempo­raneamente, le altre due [separatamente, cioè] parte per parte.

Ecco dunque quali credo siano le differenze tra le varie arti per ciò che appartiene ai mezzi onde si fa la mimèsi.

2.

6;a, siccome gli imitatori imitano persone che agiscono, e 1448 a

queste persone non possono essere altrimenti che o nobili o igno-bili, _ perché i due unici criteri su cui si fonda la diversità dei caratteri possiamo pur dire che siano sempre questi, e tutti gli uomini infatti differiscono nel carattere in quanto sono virtuosi o non virtuosi, - [costoro dunque imiteranno] o uomini migliori di noi o peggio di noi o come noi. Così fanno i pittori. Polignoto, 5 per esempio, raffigurò esseri migliori, Pausone peggiori, Dionisio simili, È chiaro pertanto 'che anche ciascuna delle forme di mi-mèsi sopra nominate avrà di queste differenze, e che l'una sarà diversa dall'altra in quanto siano diversi, nel modo che ho detto, i soggetti imitati, Anche nell'orchestra, nella auletica e nella cita~ ristica si possono dare di tali differenze; e così anche nelle a~l lO

della parola, sia prosa siano versi senza accompagnamento mUSI-

cale. Per cst:mpio, Omero rappresentò personaggi migliori di noi, eleofonte simili a noi, Egemone di Taso, il primo che scrisse parodie, e ~icocare, l'autore della Diliade, peggiori di noi, Lo

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196 Poetica, 2-3, 1448 a

stesso si può dire a proposito dei ditirambi e dei nòmi: dove i personaggi possono essere [diversamente] rappresentati, come

15 fecero, ad esempio, (. .. e Ar)ga (nei loro ... ), Timoteo e Filosseno nei loro Cirlopi 6. E questa è appunto la differenza onde anche si distinguono tragedia e commedia: ché l'una tende a rappre­sentare personaggi peggiori, l'altra migliori degli uomini di oggi.

3.

C'è poi, oltre queste, una terza differenza, la quale consiste 20 nel modo onde i singoli oggetti possono essere imitati. Infatti,

dato che siano eguali i mezzi della imitazione ed eguali gli oggetti, il poeta può tuttavia imitare in due modi diversi: e cioè, o in forma narrativa, - e in questo caso egli può assumere personalità diverse, come fa Omero, o può narrare in pérsona propria, rima­nendo sempre lo stesso senza alcuna trasposizione; - o in forma drammatica: e allora sono gli attori i quali rappresentano diretta­mente tutta intiera l'azione come se ne fossero essi medesimi i personaggi viventi e operanti 7.

Queste dunque, come dissi a principio, sono le tre differenze in cui si distingue la mimèsi, e cioè nei mezzi, negli oggetti, nei

25 modi. Cosi che, se da un lato Sofode possiamo considerarlo un

• Poiché Timoteo e Filosseno scrissero ciascuno un Ciclupl', ditirambo, e non è improbabile che la citazione di Aristotele corrisponda per il primo a un esempio del !L~iJ.Crcr6(u ~c).:rtotx;, per il secondo del !Ll!L~t­a6al XEtP01J~, cosi neanche è improbabile che precedesse il ricordo di due poeti di nòmi, ciascuno con egual valore esemplificativo. E siccome Arga fu veramente un poeta assai noto di ignobili nomi, credo che il vecchio integramento 'Ap>"'(i~ del Castelvetro sia ancora quanto di meglio è stato pensato. Quanto alla terza possibilità, la realistica, del fllJU!dOa.l Of.LOtOUç, poteva benissimo, come osserva il Bywater, non esserci; né eTa richiesta dalla successiva distinzione di tragedia e com­media, dove infatti questa terza possibilità non è presentata e dove anzi si insiste (la lezione ~ auT"!, è sicuramente confennata dalla versione araba: ,in hac djfferentia ipsa ~) esclusivamente su le altre due.

7 Leggo xell "'(iiI' iv 't"ot~ av'!ot~ x(":d '!Ii elv'!à fll!LE!l16ell lO"':"t'" ~.I'~!: IL&v arrocrréÀÀo'ft'a - ~ Ittp6v '!l yt~!UVo". C>arrEp "OIL"fJpO::; :'rotd, ~ w~ "ò ... av"ò" x.xt !J.+' f.L~'!.x~i)J.o ... 't"a. - ~ rrclv't"Cl (Casaubon, n::xvrlXç 1\1ss) wç rrpcl't"ToVTlJ.~ xell tvEpyOU\I't"cxC; '!oùç [Llf.LOUflévouç.

POdica, 3-4, 1448 a-h 197

imitatore dello stesso genere di Omero, in quanto ambedue imi­tano personaggi nobili; dall'altro possiamo considerarlo dello stesso genere di Aristofane, in quanto ambedue imitano perso­naggi che operano e agiscono. Questa è anche la ragione, dicono alcuni, per cui codesti componimenti sono chiamati t drammi ~ L cioè CI azioni -.]: appunto perché imitano persone che « agiscono ., [8pwv'Toc~]. E questa stessa è la ragione per cui e della tragedia e della commedia pretendono essere stati inventori i Dori: più 30 precisamente, della commedia si vantano inventori i Megaresi, tanto quelli della Grecia continentale i quali credono che la com­media sia nata fra loro quando Megara si reggeva a governo demo­cratico, quanto i Megaresi della Sicilia, perché di codesta regione era il poeta Epicarmo che era molto più antico [dei più antichi poeti comici attici] Chionide e Magnete; e della tragedia si van­tano inventori alcuni Dori del Pe1oponneso 8. Tutti costoro si 35 fondano su argomenti etimologici: osservando che mentre essi, nella loro lingua, i villaggi li chiamano XWllOCL, gli Ateniesi invece ti chiamano 8~fLm 9; e cosi, secondo loro, gli attori comici, xw­fL~8ot, avrebbero derivato codesto nome non dal verbo XW!J.cX~Et'.', ~ far baldoria *. ma dal loro andar vagando di villaggio in villaggio, XIX'Tà XWll(X.~, perocché in città non erano tollerati; e aggiungono che mentre essi il concetto di ' fare' lo esprimono con la parola 1448 b

8péiv, gli Ateniesi invece dicono 7tpCh'TEtV l0. E così delle varietà della mimèsi, quante sono e di che natura

sono, può bastare questo che s'è detto .

4.

Due sembrano essere, in generale, le cause che hanno dato origine alla poesia; e tutte due sono proprie della natura umana.

8 S'intende i Sicionii (cfr. HEROOOT. V 67). , Veramente in Atene la parola xcdfl"fJ significava un quartiere della

città e si distingueva dai 8~ILo~ della campagna. Cfr. ISOCRAT. 149 a. IO E quindi, essi intendono, se il dramma lo avessero inventato gli

Ateniesi, lo avrebbero chiamato rrpayfU', non 8pii!lcx. ~ chiaro che Ari­stotele non accetta quest'argomentazione, ritenendo attiche ambedue le parole 8pàv e 1tPclntt\l, se pur con qualche sottile differenza, ma da Aristotele non sempre osservata (per esempio 3. 1448 a 27), di significato.

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5 La prima causa è questa. L'imitare è un istinto di natura comune a tutti gli uomini fino dalla fanciullezza; ed è anzi uno dei caratteri onùe l'uomo si differenzia dagli altri esseri viventi in quanto egli è dì tutti gli esseri viventi il più inclinato alla imitazione. Anche si noti che le sue prime conoscenze l'uomo le acquista per via di imitazione; e che dei prodotti dell'imitazione si dilettano tutti. C na prova di ciò che dico i: quel che succede nella comune

10 esperienza: poiché quelle cose medesime le quali in natura non possiamo guardare senza disgw,>to, se invece le contempliamo nelle loro riproduzioni artistiche, ma!>simc se riprodotte il più rcalisticamente possihi1c, ci recano diletto; come pe:r esempio le forme degli animali più spregevoli e dei cadaveri. E il motivo è questo, che l'appre:nderc non è solamente pe:r i filosofi un piacere grandissimo, ma anche per gli altri uomini allo ste:sso modo; solo

15 che gli altri uomini vi partecipano con minore intensità. Infatti il diletto che proviamo a vedere le immagini delle cose deriva appunto da ciò, che, attentamente guardando, ci interviene di scoprire e di riconoscere che cosa ogni immagine rappresenti, come se, per esempio [davanti a un ritratto, uno esclamasse:] Sì, è proprio lui! Che se per avventura non si sia veduto prima, in natura, l'originale, non sarà certo l'immagine sua in quanto ne sia la fedele imitazione che ci recherà diletto, ma ci dilette­ranno l'esattezza dell'esecuzione, il colorito o qualche altra causa

20 di simil genere Il. La seconda causa è questa. Essendo naturali in noi [non pur la tendenza all'imitazione in genere, ma anche c più precisamente] la tendenza a imitare :'mediante il linguaggio" l'armonia e il ritmo, - i mdri si sa bene che sono varietà del ritmo, - cosÌ è an'enuto che coloro i quali fin da principio ave­vano per queste cose, più degli altri, una loro disposizione natu-

11 Queste osservazioni sono state fatte anche altrove da Aristotele (Rhet. :\ 1371 h 4; De parto animo A 645 a 11) e ripetut(' poi ahbond:m­temente da altri (cfr. PUT-\RCH. De al/d. pod. 18 a; Quaest. C07l't', \' 1, 674 a). Aristotele osserva che, se l'oggetto della riproduzione ci è ignoto, il diletto proviene da altre cause, per esempio dalla esecuzione (così anche in De parto animo .\ 64S a 11), dal colorito (cfr. Probl. 19. 959 a 24, a proposito dci \'erde); e conclude anche più indeterminatamcnte pensando forse alla bellezza obiettiva della pCrsona o cosa raffigurata (Poi. H 1340 a 25),

Poetica, 4, 1448 b-1449 a 199

rale, procedendo poi con una serie di lenti e graduali perfezio­namenti, dettero origine alla poesia; la quale appunto si svolse e perfezionò da rozze improvvisazioni 12.

Questa poesia si differenziò secondo l'indole particolare dei 25 diversi poeti: ché quelli che erano di animo più elevato rappre­sentavano azioni nobili e di nobili personaggi, quelli di animo meno elevato rappresentavano azioni di gente dappoco; e così, da principio, questi composero canti di vituperio, altri, inni ed encomii. Di nessuno dei podi anteriori a Omero possiamo ricor­dare poesie di questo genere, pur essendo probabile che: [di poeti che componessero canti di vituperio] ce ne fossero anche allora parecchi; ma possiamo ricordarne a partire da Omero: per esempio il Jlargite, che è di Omero, e così via. In queste poesie venne in 30 uso naturalmente, poiché vi si adattava, anche il metro dell'in­vettiva o "giambico >I; il quale anche oggi si chiama giambico perché appunto in questo metro solevano inveire [~cXf1.~~~(;v] gli uni contro gli altri. E cosÌ ci furono, tra gli antichi, poeti in metro eroico e poeti in metro giambico. :\Ia come anche nel genere serio Orntro fu il poeta per eccellenza, - egli infatti fu unico non sola- 35 mente per la bellezza del suo stile ma anche per il carattere dram­matico che seppe dare alle: sue composizioni poetiche, - così egli fu anche il primo che rivelò e segnò le linee: fondamentali della commedia, poetando drammaticamente non già "invettiva personale ma il ridicolo puro e semplice. E di fatti il Jlargite ha con le nostre commedie quello stesso rapporto che hanno con 1449 a le nostre tragedie l'Iliade e l'Odissea la. "\Ia appena comparvero in luce la tragedia e la commedia, quelli che da lor propria natura si sentivano attratti verso Puno o verso l'altro dei dm: generi di poesia già esistenti, ecco che costoro divennero, gli uni scrit-

12 Proporn:i di leggere x:X"::X g/JtH'1 IÌ~ (;v,,;,o:; 1::-Ltv ";"CtG :.H:.,lI,:~crecr.~ x:x!. /Bd ,c.G ,,:e "'Jr:~)'J x:xl, .i,:: ipll!)V~:X:; x:xt ,QG P,)OW1G x:rÀ.

l;) Sono state notate in tutto questo brano alcune contraddizioni, massime sulla posizione del .Hargite. Qui dirò lmlo che in b 30 il .Harg;U non va inteso come esempio di (;,,(,,'{~!: o \'ituperio personale, bensì come esempio di '~':j'(rj:: impersonale o generico o tipico, il quale può benis­simo contenere, come suo elemento, il ridicolo. ":ò ','e'.oi.'Jv. Più sotto, in b 37, Aristotele non fa che metten: meglio in rilievo, estraendolo e sepa­randolo distintamente dallo '~6':rj::. questo secondo elemento.

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200 Poetica, 4, 1449 a

tori di commedie anzi che di giambi, gli altri scrittori di tragedie 5 anzi che di canti epici: e ciò perché queste due nuove forme di

arte avevano ormai acquistato più importanza di quelle e più di quelle erano tenute in pregio dal pubblico.

Riguardo alla questione se la tragedia, così a giudicarla in se stessa come in rapporto alle rappresentazioni teatrali, siasi ormai svolta compiutamente ne' suoi elementi costitutivi U o no, questa potrà esser materia di altra ricerca.

Or dunque la tragedia fu da principio una rudimentale im-lO provvisazione. - E, come la tragedia, così anche la commedia:

se non che la tragedia ripete la sua origine dai cantori del diti­rambo, la commedia dai cantori de' canti fallici, i quali sono in uso ancor oggi in parecchie città. Ma poi lentamente si accrebbe, aiutando i poeti a sviluppare tutti que' suoi germi che si veni­vano man mano rivelando; e dopo che fu passata attraverso molti

15 mutamenti ed ebbe raggiunta la sua propria fonna naturale, al­lora si arrestò. [I principali gradi del suo sviluppo furono questi.] Primo, Eschilo portò da uno a due il numero degli attori; diminui l'importanza del coro, e fece del dialogo la parte principale. Tre attori introdusse Sofocle e aggiunse la decorazione della scena. Anche si noti che solo in un momento relativamente lontano dalle

20 sue origini u, e cioè quando, mediante l'abbandono di ogni elemen­to satiresco, si distaccò dalle favole brevi e dallo stile giocoso, ella consegui la sua propria estensione e gravità. Allora, anche il tetra­metro trocaico fu sostituito dal trimetro giambico. Perché dap­prima, essendo codesta poesia satiresC3, si era adoperato il te­trametro trocaico come quello che meglio si addiceva alla danza mimica dei satiri Hl; ma poi, sviluppatosi il dialogo, la natura stessa della cosa aiutò a trovare il metro conveniente. E veramente il giambo è di tutti i metri quello che imita più da vicino il lin-

25 guaggio parlato; di che è prova il fatto che, nella conversazione ordinaria, di giambi ne facciamo spessissimo, di esametri invece poche volte e solo se ci allontaniamo dal tono familiare. Un'altra

14 Sono sei e saranno noverati in 1450 a 9-10. U Forse Aristotele pensa all'età di Frinico; del quale la prima Vit­

toria fu tra il 511 e il 508 (olimpiade 67). 11 Cfr. RMt. r 1~8 b 36, dove il trocheo è detto )(opaIXXLXWUpO~.

Poetica, 4-5, 1449 a-b 201

mutazione fu l'aumento del numero degli episodi 17. Di altre cose secondarie, come e quando, per esempio, secondo la tradizione, furono aggiunti via via singoli abbellimenti, sia come già detto; perché sarebbe, credo, un'impresa assai faticosa discorrere' di 30 ogni cosa dettagliatamente.

5.

La commedia è, come dissi, imitazione di persone più volgari dell'ordinario; non però volgari di qualsivoglia specie di brut­tezza [o fisica o morale], bensì [di quella sola specie che è il ridi­colo: perché] il ridicolo è una partizione speciale del brutto 18. Il ridicolo è qualche cosa come di sbagliato e di deforme, senza essere però cagione di dolore e di danno. Così, per esempio, tanto 35 per non uscire dall'argomento che trattiamo, la maschera comica: la quale è qualche cosa di brutto e come di stravolto, ma senza dolore.

Ora, i successivi mutamenti della tragedia e coloro che li pro­dussero non ci sono ignoti; ma della commedia, poiché da prin­cipio non fu tenuta in gran conto, non possiamo dire altrettanto. Di fatti una compagnia di attori e corèuti comici solamente tardi 1449 b

fu dall'arconte conceduta ai poeti; e i commedianti fin allora avevan dovuto provvedere a ogni cosa da sé 19. Di poeti comici propriamente detti si ha notizia quando già la commedia erasi in qualche modo costituita entro sue forme determinate; ma chi introdusse le maschere comiche, e chi i prologhi, e chi aumentò il numero degli attori, di tutto questo e di altre cose siffatte non sappiamo niente. A comporre favole di argomento non personale 20 5

17 Sul valore della parola breu:r68LO\I si veda più oltre 1452 b 21. II Luogo incerto di lezione (la stessa versione araba induce a sospetto

di lacuna) e variamente emendato, ma di chiaro significato. Mantengo la lezione tradizionale e intendo ciÀ.H: X~O' & 't'l eI8o~ xocxtru;· 't'oi} y&'p Gl(OXfl0i} X-:-À.. (cfr. Bywater).

III t6t:À.OVTGlt: a Tebe !etÀ.o","rij~ era appunto il nome di certi attori comici non pagati, volontari, come noi diremmo' dilettanti t (cfr. ATHE.'l.

621 D), attori e autori. tu Nel testo f1.u6ouç soltanto; ma questo suo significato è dichiarato

espressamente più sotto dove f1.u60uç è epesegetico di xa:66)'ou !t'. ),6youç.

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202 Poetica, 5, 1449 b

sappiamo (,;he cominciarono Epicarmo e Formide 21; cosicché anche per questo rispetto la commedia ci venne originariame~te dalla Sicilia. Degli scrittori ateniesi il primo che abbandonò la com­media giambica o di invettiva personale e si dette a scrivere com­posizioni di carattere generico, dOt: favole [con personaggi e in­treccio di sua propria invenzione], fu Cratete.

Per tornare alla tragedia 22, questa e l'epopea sono venute a trovarsi d'accordo in qUt;sto soltanto, che tutte due sono mimèsi

lO di soggetti eroici, per mezzo della parola 23. ~Ia in quanto la poesia epica adopera un metro unico e ha carattere narrativo, questo è un primo punto di differenza. Anche differiscono nella estensione, perché la tragedia cerca quanto più può di tenersi entro un sol giro di sole o lo sorpassa di poco, mentre l'epopea non ha limiti di tempo 21. E cosÌ questo è un secondo punto di differenza,

ZI .:\"on si debbono affatto, col Suscmihl e con la più parte degli edi­tori, ellpungere le parole 'El"dzxP!.I.oC; xxt <I)6p!-,-~;. Si veda, tra l'altro, della versione araba, ed. Tkatsch, la nota 8 a p. 230. j.~ facile sottin­tendere un ~p;lX\I o un :id8wx.x\I. E leggo di seguito -;ò !.I.S:\I 00\1 x."t'À. come in alcuni 1\Iss; dove il '!o t-'-n. non è tanto l'equivalente di )«(ùf.l.<!l8t::r.\I quanto del "t'ò f.l.'j6o\Jc; 'l't"OLer\l nel semo sopra dichiarato.

~2 Il trapasso non è certo senza difficoltà. Tutto questo brano, nel quale sono toccati brevemente alcuni punti di concordanza e di diffe­renza fra tragedia e poema epico, è l'anticipazione di più lungo discorso che leggeremo ai capp. 23, 24, 26.

23 S'intende, della parola in versi; l'espressione è generica perché il \'crso è ricordato esplicitamente subito dopo come termine di distin­zione. La lezione non è sicura; ma sicuro è che almeno un elemento dt"!la lezione originaria cc lo dà il Ricc. 46 nelle parole !.I.e::"t'tÌ l6yo'J, che anche la versione aruha confenna. È chiaro pertanto che la parola !.I.e::y:Vo') degli altri :!\lss è corruzione di fl-E"':"tÌ ),0":'0'); come già vide, per congetturi! felicissima, Costantino Lascaris. Fennata c accolta codestil lezione, il meglio che resta da fare è correggere in ~Lè\l "':"0::) la parola fLhpc.') (Ro­stagni), c non W~\I(.i'.i (Thurot), che invece sarà hene conservare.

2-/, 1'\on sarà inutile avvertire che questa proposizione non ha alcun \"alore prccettistico cd è soltanto una constatazione incidentale di quello che accad('\'a nella pratica consueta del teatro greco; ma appunto da questa proposizione O<lCqUC, per opera dei critici italiani dci Rinascimento (\"e­dine la storia in J. E. SPI:"JGAR:o\, La critica letteraria nel Rinascimentu, Bari 1905, pp. 89 sgg.), quella famosa Lniti! di tempo che con le altre due non meno famose, Unit:"l di azione e Lnità di luogo, fece le spese per parecchio tempo di ogni forma di critica drammatica. Cfr. per l'Unità

Poetica, 5-6, 1449 b 203

sebbene da principio, a questo riguardo, si praticasse anche nelle tragedie la stessa libertà che nei poemi epici. l'n terzo punto di 15 differenza è nei loro clementi costitutivi: dei quali alcuni sono comuni alla tragedia e all'epopea, altri sono peculiari della tra­gedia soltanto 25. Perciò chi è capace di vedere se una tragedia è bella o brutta, costui sarà anche capace di vedere se è bello o brutto un poema epico; perché tutti gli clementi del poema epico si trovano nella tragedia, mentre non tutti gli elementi della tra-gedia si trovano nel poema epico. 20

6.

Della mimèsi in esametri e della commedia dirò più avanti 2A;

parliamo ora della tragedia e anzi tutto riassumiamo quella defi­nizione della sua essenza che risulta dalle cose già dette. Tragedia dunque è mimèsi di un'azione seria e compiuta in se stessa, con una certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie specie 25 di abbellimenti, ma ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in fonna drammatica e non narrativa; la quale, mediante una serie di casi che suscitano pietà e terrore, ha per effetto di sollevare e purificare l'animo da siffatte passioni. Dico linguaggio abbellito quello che ha ritmo, armonia e canto; e dico di varie specie di abbellimenti ma ognuno a suo luogo, in quanto che in alcune parti è adoperato esclusivamente il verso, in altre invece c'è anche 30 il canto.

Ora, poiché la m imt:si è fatta da persone che agiscono diretta­mente, ne segue anzi tutto che uno degli elementi della tragedia dovrà pur essere l'ordinamento materiale dello spettacolo; poi c'è la composizione musicale e terzo il linguaggio. Questi [due ultimi] sono i mezzi della mimèsi ~7. Chiamo linguaggio la stessa

di luogo 24. 1459 b 26; per l'Cnità di azione, che è la sola di cui effet­tivamente ragioni Aristotele, i capp. 7, 8, 23.

25 Cioè la melodia e lo spettacolo scenico. Per gli altri cfr. 6. 1449 h

31 SJ'\'g., 24. 1459 h lO sgg. 26 Dell'epopea discorr~ infatti nei capp. 23-24, c, comparatil con la

tragedia, nel cap, 26: della commedia nel secondo libro, oggi perduto. ~; È chiaro da ciò che segue subito dopo, e massimamente da 1450 a

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204 Poetica, 6, 1449 b-1450 a

35 composIzIOne dei versi; e quanto alla composizione musicale è cosa chiarissima in tutto il suo valore. !\-Ia siccome la tragedia è mimèsi di un'azione, e un'azione implica un certo numero di persone che agiscono, le quali non possono non avere o questa o quella qualità sia riguardo al loro carattere sia riguardo al loro pensiero; - per questo infatti noi usiamo dire che anche le azioni

1450:a hanno certe loro qualità; e due sono naturalmente le cause deter­minanti delle azioni, pensiero e carattere, dalle quali, e cioè dalle azioni che ne risultano, dipendono la buona e la mala fortuna di tutti gli uomini; - cosÌ dunque mimèsi dell'azione è la favola 28: e qui appunto io intendo per favola la composizione di una serie di atti o di fatti. Dico poi carattere quell'elemento per cui alle

5 persone che agiscono attribuiamo o questa o quella qualità; e dico pensiero tutto ciò per cui i personaggi di un dramma dimo­strano, parlando, qualche cosa di particolare o anche enunciano una verità generale. Sono sei dunque gli elementi costitutivi di ogni tragedia, onde resulta quel carattere speciale che distingue la tragedia [da altre composizioni letterarie]: e sono, la favola, i caratteri, il linguaggio, il pensiero, lo spettacolo e la composizione

10 musicale. Di questi sei elementi due concernono i mezzi della mimèsi, uno il modo, tre gli obbietti 29; oltre a questi non c'è altro. E non è certo piccolo, per dir cosi, il numero dei poeti che hanno adoprato tutt'e sei questi elementi; né c'è infatti tra­gedia la quale non abbia, alla pari di ogni altra, spettacolo, carat~ tere, favola, linguaggio, canto, pensiero.

15 Il più importante di questi elementi è la composizione dei casi [cioè la favola]. Perché la tragedia non è mimèsi di uomini,

lO, che qui Aristotele intende parlare soltanto della melopèa e del lin­guaggio (mezzi: t... 't"ou"!"o~C;: cfr. 1447 a 16 é\l hipo~r::;), e non anche dello spettacolo scenico (modo); sul quale cfr. la fine del capitolo, 1450 b 17 sgg.

28 La struttura sintattica di tutto questo periodo non è troppo sicura; ed è stata infatti nelle sue parti variamente distribuita. Considero per­tanto in parentesi (Butcher, Thurot, Rostagni),le parole 814 yà.p 't"ou't"W\I ... r.>XV'nr::;, leggo con alcuni Mss (che la versione araba mi pare confermi) 7t1:!puxc 81:, e muto in 8Ìl il 8€ dopo faTW (Euchen, Bywater).

" Mezzi: linguaggio e melopea; modo: spettacolo; obbietti: favola, pensiero, caratteri. Il che rientra nella distinzione già posta in 1447 a 16-17.

Poetica. 6, 1450 a 205

bensì di azione e di vita, che è come dire di felicità (e di infelicità; e la felicità) e la infelicità 30 si risolvono in azione, e il fine stesso [della vita, cioè la felicità,] è una specie di azione, non una qualità. Ora gli uomini sono di questa o quella qualità se considerati rispetto al carattere, ma rispetto alle azioni sono felici o infelici. ::\on dunque i personaggi di una azione drammatica agiscono per 20 rappresentare determinati caratteri, ma assumono questi carat­teri per sussidio e a cagione dell'azione. D'onde segue che il com­plesso dei casi, ossia la favola, è ciò appunto che costituisce il fine della tragedia; e si sa bene che di tutte le cose il fine è sem­pre la più importante. Anche si osservi che senza azione non ci potrebbe esser tragedia, senza caratteri sì. Infatti le tragedie della 25 più parte de' poeti recenti SOno assai povere di caratteri; e in ge­nerale tra i poeti [anche non drammatici] ce ne sono parecchi che hanno questo difetto. E così anche tra i pittori, Zeusi, per esempio, si trova, di fronte a Polignoto, in questa medesima condizione: perché Polignoto è un valente dipintore di caratteri, me~tre la pittura di Zeusi di espressioni di carattere è piuttosto sfornita 31.

Ancora: se uno metta insieme soltanto una bella serie di par­late che siano espressione di caratteri e anche siano perfette ri­spetto alla dizione e al pensiero 32, costui non potrà mai raggiun- 30 gere quell'effetto che dicemmo proprio della tragedia; ma multo meglio potrà raggiungerlo con una tragedia che sia men ricca di cotesti elementi e abbia invece la favola, cioè un ben ordinato intreccio di fatti. Si aggiunga poi che i mezzi più efficaci onde la tragedia trascina l'animo degli spettatori, le peripezie e i riconosci-

JO Luogo di tradizione corrotta, e di antica corruzione, per confu­sione e omissione di parole simili. Accetto l'integramento del Vahlen che dà anche ragione, in certo modo, dell'avvenuta corruzione. Purtroppo la versione araba, in questo punto lacunosa, non offre aiuto, e la stessa parola vita (Margoliouth) o ftlicita$ (Tkatsch) sono congetturali.

31 Ho smorzato nella traduzione l'assolutezza del1' où8èv fxCt lj60;, come, alcune righe più sopra, dell'à:ljOltt<;.

12 Accetto l'emendamento del Vahlen, ma credo debba essere inte­grato )j~ltt < ~t > XlXt 8tlX\lo(q.; anche per giustificare l'antica lezione errata di tutti i codici, compreso il testo greco supposto dalla versione araba (<< dictionem et ineenium .).

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206 Poetica, 6, 1450 a-b

rnc:nti 33, sono parti della favola [. non de' caratteri o d'altro cle-35 mento]. E un'altra prova di ciò che dico è il fatto che anche quelli

che incominciano a poetare riescono più presto a dimostrarsi abili nello stile e nella pittura dci caratteri che non nella composi­zione della favola; e del resto è quello che è capitato su per giù a tutti quanti i primi poeti drammatici. Dunque la favola è l'ele­mento primo c come l'anima della tragedia; in seconda linea vengono i caratteri. Qualche cosa di simile accade anche nella

1450 b pittura: che se uno difatti imhrattasse, fosse pur dei colori più belli, una tela, ma senza un disegno prestabiliro, costui non po­trebbe dilettare allo stesso modo che se disegnasse in bianco i soli contorni di una figura. E la tragedia, ripeto, è mimèsi di azione; e appunto per codesta azione ella è sopra tutto rnirnèsi di persone che agiscono. I n terzo luogo viene il pensiero: il quale

5 consiste nella capacità di esprimere sopra un dato argomento tutto ciò che gli è inerente e che gli conviene; il che, rispetto alla eloquenza in genere, è sottoposto alle leggi della politica e della retorica. Di fatti gli antichi poeti introducevano i lor personaggi a parlare come uomini di stato, i moderni invece li fanno parlare da retori 34• E [c'è tra carattere e pensiero questa differenza:] il

33 Se ne parlerà espressamente più innanzi ai capp. lO, 11, 12; ma sono parole del linguaggio tecnico teatrale che Aristotele presuppone pra­ticamente già note.

34 Dice Aristotele nel primo della Retorica (1356 a 25) che la reto­rica è come una ramificazione della dialettica e della politica; e anche altrove insiste su questo rapporto della retorica con la politica in quanto la prima può essere, sotto un certo rispetto, subordinata e utile alla se­conda. C'è però tra le due discipline una sostanziale differenza: perché la politica è una scienza con precisa finalità, mirando a un felice e razio­nale ordinamento degli uomini nello stato; la retorica non ha altro scopo che di scoprire e sistemare metodicamente le forme del ragionare. Ora io credo appunto che la proposizione (;l r~v .t2F iFZ~i(.,~ r::QÀ~-rUt;Wç ... ot 8è wv F·r;'7r;F~xw,; ... vada intesa non nel senso delle affinità tra po­litica e retorica, bensÌ delle loro divergenze, contenendo già in germe quel più netto '"alare antitetico che assunsero più tardi come di chi parla con serietà o sincerità l'o -:rohnxw:; ì.éy(,)\! e di chi arzigogola soflsmi e cavilli l'o FT,""":OFtXw::; ì.€--;wv. Che nella tragedia a cominciare da Euripide fosse entrato su la scena il vano dibattito giudiziario è cosa nota: ma anche qui, come più sopra, non credo possa essere allusione a Euripide, il quale del resto anche da scrittori posteriori è indicato come T:"oh"":"~x(-;-)

Poetica, 6, 1450 b 201

carattere è quell'elemento onde risultano chiare le intenzioni mo­rali di una persona, quali cose cioè, ove codeste intenzioni non siano chiare per se medesime, una persona preferisce e quali 10 schiva; perciò mancano di carattere quei discorsi nei quali chi parla non ha motivo alcuno né di preferire né di schivare alcunché; il pensiero si ha in quelle espressioni nelle quali si dimostra come una cosa è o non è, o dove si enuncia una massima gene­rale. Il quarto degli elementi, in quanto si considera la tragedia come opera letteraria 35, è la dizione: e intendo per dizione, come già fu detto 36, la espressione dci pensiero mediante la parola i il che vale ugualmente cosÌ per le opere in versi come per le opere <in prosa;_ Restano altri due elementi [non letterari]: la composi- 1S zione musicale, che degli abbellimenti [esterni] di una tragedia è il più importante, e l'apparato scenico; il qualI: ha senza dubbio una grande efficacia su l'animo degli spettatori, ma non ha che far niente con la nostra ricerca [sull'essenza della tragedia] e nemmeno con la podica in generale. Perocché il fine proprio della tragedia è conseguibile anche senza rappresentazione scenica e senza attori i dirò di più, che per fornire un bell'apparato scenico è più adatta l'arte dello scenografo che non quella del poeta. 20

SE: &v8pl7'::);V') wq;.É;At1-l0':;; bensì a quei tragici del IV secolo contemporanei di Aristotele, dei quali sappiamo che furono la più parte tragici e retori e teorizzatori di retorica al tempo stesso. Ripensando poi a una propo­sizione precedente che le tragedie """:wv vÉ;wv sono ~+,et~.:;, e allo stretto rapporto nel concetto aristotelico tra etica e politica (7ij:;; -:reFL "d ~o-r, r.pcr{!-,-a:,da:ç 1;v 8lXa:l(.V tO"nv 7tpo!T((;pe..JC::lv -:rO).l"UX7)V: Rhet. A 1358 a 26), non troverei difficoltà a vedere col Yahlen nell'espressione r.Oj..~"":"l­xwç ).f:yEW qualche cosa di simile all' f,{hxwç ).éyew. Quanto poi agli antichi poeti, non bisogna intendere gli antichi poeti drammatici sola­mente: Omero, per esempio. e sopra tutti, era già considerato maestro di eloquenza, e di severa eloquenza politica.

3:; Intendo così pur conservando la lezione "":"wv !1-t:v j..6ywv, la quale mi pare sufficientemente chiarita dal seguente ,wv 8E: ).f.Jt-:rt.V.

38 Il richiamo è a 6. 1449 h 34, dove la ÀÉ;~t~ è definita ~,jri; 7j ,WV ~"t"pwv O"ùvfiE:au;, cioè niente altro che il materiale della versiflcazione, il linguaggio; e il richiamo mi pare esatto senza bisogno né di mutare colà né di pensare qui a un lapsus di Aristotele.

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208 Poetica, 7, 1450 b-145111

-I • Definiti così questi elementi, diciamo ora come ha da essere

la struttura dell'azione [o della favola], visto che è questo il primo e il più importante elemento della tragedia. ~oi abbiamo già sta­bilito che la tragedia è mimèsi di un'azione perfettamente com­piuta in se stessa, tale cioè da costituire un tutto di una certa gran-

25 dezza; perché ci può essere un tutto anche senza grandezza. Un tutto è ciò che ha principio e mezzo e fine. Principio è ciò che non ha in sé veruna necessità di trovarsi dopo un'altra cosa, ma è naturale che un'altra cosa si trovi o sia per trovarsi dopo di lui. Fine al contrario è ciò che per sua propria natura viene a trovarsi dopo un'altra cosa, o che ne sia la conseguenza necessaria o che

30 semplicemente le sussegua nell'ordine normale [e verisimile] dei fatti; e dopo di esso non c'è altro. :\leZ7..o è ciò che si trova dopo un'altra cosa, e un'altra è dopo di lui. Bisogna dunque che le favole, se vogliono essere ben costituite, né comincino da qualunque punto càpiti, né dovunque càpiti finiscano; ma si attengano a quelle idee di principio e di fine che abbiamo ora dichiarato. Inoltre, siccome il bello, sia esso un essere animato o sia un qua~ lunque altro oggetto purché egualmente costituito di parti, non solo

35 deve presentare in codeste parti un certo suo ordine, ma anche deve avere, e dentro determinati limiti, una sua propria grandezza; - di fatti il bello consta di grandezza e di ordine: né quindi potrebbe esser bello un organismo eccessivamente piccolo, perché in tal caso la vista si confonde attuandosi in un momento di tempo quasi impercettibile; e nemmeno un organismo eccessivamente

1451 lo. grande, come se si trattasse, per esempio, di un essere di dieci mila stadi, perché allora l'occhio non può abbracciare tutto l'og~ getto nel-suo insieme e sfuggono a chi guar~a l'unità sua e la sua organica totalità; ~ da tutto questo adunque risulta che, come nei corpi in genere 37 e negli organismi viventi, [se vogliono essere

37 Mantengo la lezione tr:t TW\I O'wflrX.'t'W\I, né so risolvermi ad acco­gliere nessuna delle artificiose interpretazioni che se ne danno. Credo che tutta la frase èr:ì TWV O'W{LrX.'t'W\I XiXt tr:l 't'WV ~</lW\l possa utilmente ri~

chiamarsi alla precedente XiXt :i!Jov XiXl &1tiXV r:pi"n.LiX, e che le parole

PMtica, 7~8. 1451 Q 209

giudicati belli,] deve esserci una certa grandezza, e questa ha da essere facilmente visibile nel suo insieme con un unico. sguardo, così anche nelle favole dev'esserci una certa estensione, e questa S ha da potersi con facilità abbracciare nel suo insieme con la mente. Se non che, definire il limite pratico di questa estensione della favola in rapporto ai concorsi drammatici e alla tolleranza d.;.gli spettatori, non è ufficio di questa nostra ricerca intorno alla poesia: che se si dovessero [, per così dire, in Un solo concorso drammatico,] rappresentare un centinaio di tragedie, bisognerebbe rappresentarle regolandosi con la clessidra, come dicono che -una volta in certa occasione fu fatto. Ma la definizione teorica, quale risulta dalla natura della cosa in sé, è questa: tanto più bella, ri- IO spetto alla lunghezza, sarà sempre quella favola che più sari. lunga senza oltrepassare i limiti entro cui può essere chiaramente abbracciata da un unico sguardo dal principio alla fine. E, per dare una definizione più semplice, possiamo aggiungere: una lunghezza tale in cui, mediante una serie di casi che si vengano consecutivamente svolgendo l'uno dall'altro secondo le leggi della verisimiglianza o della necessità, sia possibile [ai personaggi prin­cipali dell'azione] di passare dalla felicità alla infelicità o da questa a quella. Ecco un limite sufficiente per la grandezza di una favola 15 tragica.

8.

A costituire l'unità di una favola non basta, come credono alcuni, ch'ella si aggiri intorno a un unico personaggio. Molte, anzi innumerabili cose possono capitare a una persona senza che tuttavia alcune di esse sian tali da costituire [fra loro e çon le altre] unità; e così, anche le azioni di una persona possono essere molte senza che tuttavia ne risulti un'unica azione. Perciò mi pare siano in errore tutti quei poeti che hanno composto un'EracIeide, 20

O'Wj.l11 e r:pàYj.l11 in questi due luoghi devano intendersi in modo non dissimile ed egualmente indeterminato. Del resto O'w(J4, in questo aieni~ ficato generico di r:pàYfll1. è assai comune, specie nel linguaggio aristo­telico e platonico.

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210 Poetica. 8, 1.151 a

una Teseide e altrettali poemi: costoro credono che, essendo uno l'eroe, per esempio, Eracle, abbia da essere una anche la favola che tratta di Eracle. Orncro invece, come per ogni altro rispetto si distingue da tutti i poeti, così anche in questo, mi sembra, vide giusto, o per conoscenza di teorie artistiche o per naturale genio: perocché, poetando l'Odissea, non si mise a poetare tutti

25 i casi che capitarono a Odisseo, come, per esempio, che fu fento sul Parnaso, c che si fece passare per pazzo quando i Greci si radunarono per la spedizione; - due casi de' quali, perché ne accadde uno, non era affatto né necessario né vcrisimile che do­vesse accadere anche l'altro 38; - ma compose la Odissea, e così anche la Iliade, intorno a un'azione unica nel senso che \'eniamo dichiarando. Come dunque nelle altre arti di imitazione la mimèsi

30 è una se uno è il suo abbietto, così anche la favola, poiché è mi­rnèsi di azione, deve esser mimèsi di un'azione che sia unica, e cioè tale da costituire un tutto compiuto; e le parti che la com-

38 Non deve far difficoltà che il primo di questi episodi, come cioè Odisseo andato ancor bamhino a cacciil sul Parnaso fu morso da un cin­ghiale, sia narrato nella Odjuea (XIX 392-466); né per Aristotele, e dire che sbagliò o scelse male l'esempio; né per Omero, e dire, come fu detto dai soliti cacciatori di interpolazioni, che nel testo omerico di Aristotele l'episodio ancora non c'era. Aristotele non vuoI dire che in un poema non possa e anzi non debba esserci molteplice varietà episodica: tutto sta che gli episodi e in generale le varie parti non si trovino tutte in fila su lo stesso piano. Xell'Odissf'a codesto racconto della ferita è come in paren­tesi a preparare e a giustificare il riconoscimento di Euric1èa: è un epi­sodio della fanciullezza di Odis!>eo, non il primo o tra i primi di una serie cronologic."l; e v'è richiamato solo in quanto scaturisce da esso, X:X7OC clv:XY.A::x'LQV, la scena del riconoscimento. L'altro episodio, come cioè­Odisseo si finse pilZZO quando s'adunarono i Greci per la spedizione contro Troia, era sviluppato Ilei Cipria; X:XL [l::dVE0'6:XL it"poO'T:"on;aifl..EVOv -:òv 'O,s')aO'!::x xorÀ., dice, come Aristotele, anche Proda, il quale, com'è noto, ci dà dei Cipria una assai larga notizia. Ord Aristotele, osservando che questi due episodi non hanno fra loro ne!>sun rapporto né di neces­sità né di verisimiglianza, non vuoi dire cosa che si riferisca tanto al rap­porto di essi due episodi fra loro, •. - che non avrebbe \'illore per la !>ua stessa banale evidenzil, - quanto al rapporto di ciascuno di questi altri, e di altri fra loro, e del loro reciproco collocamento, e cosÌ via. Quello che importa alta poesia, egli intende, non è successione cronologica di fatti, non compiutezza storica, bensÌ intima concatenazione, concentra-

• zlone e coerenza.

Poetica, 8-9, 1451 a-h 2\\

pongono devono essere coordinate per modo che, spostandone o sopprimendone una, ne resti come dislogato e rotto tutto l'in­sieme. E in verità quella parte la quale, ci sia o non ci sia, non porta una differenza sensibile, non può essere parte integrale del tutto. 3S

9.

Da quello che si è detto risulta chiaro anche questo, che ufficio del poeta non è descriver cose realmente accadute, bensi quali possono [in date condizioni] accadere: cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verisimiglianza o della necessità. Infatti lo storico e il poeta non differiscono perché l'uno scriva 1451 b

in versi e l'altro in prosa; la storia di Erodoto, per esempio, po­trebbe benissimo esser messa in versi, e anche in versi non sa· rebbe meno storia di quel' che sia senza versi: la vera differenza è questa, che lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere. Perciò la poesia è qualche cosa di 5 più filosofico e di più elevato della storia i la poesia tende piut. tosto a rappresentare l'universale, la storia il particolare. Dell'uni-

. versale possiamo dare un'idea in questo modo: a un individuo di tale o tale natura accade di dire o fare cose di tale o tale natura in corrispondenza alle leggi della verisimiglianza o della necessità; e a ciò appunto mira la poesia sebbene a' suoi personaggi dia nomi propri. Il particolare si ha quando si dice, per esempio, 10 che cosa fece Alcibiade o che cosa' gli capitò, Tutto questo, nella commedia, oggi [che la nuova ha sostituito l'antica], è divenuto chiarissimo: i poeti dapprima, con una serie di casi verisimili, inventano e compongono la favola, e poi, allo stesso modo, inven-tano e mettono i nomi ai personaggi; non fanno come gli [antichi] poeti giambici che poetavano intorno a persone vere e proprie 39,

J9 Allude sicuramente, oltre che ai giamhografi, anche ad Aristo­fane: cfr. 4. 1448 b 27 e specialmente 5. 1449 b 8, dove il xa.66Ào'J 1tO­

LIt'L" Myo'J~ Y..0I:t fLU6o'Jç della commedia nuova è antitetico aU'&.q>&fUVOç 'tijç [O:fL[)LX'i1ç t8éo:ç. Dobbiamo concludere che Aristotele condanni fuor dell'universale, cioè fuori della poesia, la commedia aristofanesca? In­tanto no, per una testimonianza di fatto, 3. 1448 a 27. E poi da questo

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212 POdica, 9, 1451 b

15 ~ella tragedia i poeti si attengono ai nomi già fissati dalla tradi~ zione [o mitica o storica]. E la ragione è questa, che è credibile ciò che è possibile. Or appunto, finché le cose non sono accadute, noi non siamo disposti a crederle possibili, ma è ben chiaro che sono possibili quelle che sono accadute, perché non sarebbero accadute se non erano possibili. Ciò non astante, anche fra le tragedie, ce n'è di quelle in cui uno o due nomi soltanto sono

20 conosciuti e gli altri sono inventati; in alcune poi di noto non c'è addirittura niente, come nell'Ante 40 di Agatone, dove e nomi e fatti sono egualmente inventati, e non per cotesto la tragedia piace meno. Non bisognerebbe dunque esigere che ci si mante­nesse rigidamente fedeli ai miti tradizionali su cui si fondano

25 [in genere] le tragedie. E in verita sarebbe ridicolo aver di queste esigenze quando poi anche le cose note non a tutti sono note e tutti non di meno ne sono dilettati. D'onde si conclude chiara­mente che il poeta ha da esser poeta [cioè creatore] di favole anzi che di versi, in quanto egli è poeta solo in virtù della sua capacità mimetica [cioè creatrice], e sono le azioni che egli imita [o crea, non i versi]. Se poi càpiti a un poeta di poetare su fatti realmente

30 accaduti, costui non sarà meno poeta per questo: perocché anche tra i fatti realmente accaduti niente impedisce ve ne siano alcuni di tal natura [da poter essere concepiti non come accaduti real­mente, ma] quali sarebbe stato possibile e verisimile che accades-

criterio resterebbe condannata anche la tragedia il cui materiale talvolta è addirittura storico e, quand'anche mitico, è, per certo rispetto, egual. mente storico, perché anche i miti sono un dato della tradizione, un ac­caduto, 't'ti ytv6!J.!"« .

• 0 .. A-Aì'n è lezione di 4>; la quale sembra confennata da k, dove la versione araba, «velut qui ponit bonum esse unum t, presuppone, non dico un testo greco, ma una lettura del testo greco di questa specie: OtOV iv TÒ ciylX6ò ... 0<; liv &ij. Il Welcker, che non conosceva né Cl> né I;, emendò o meglio lesse 'Av6tr, Ànleo. Da escludere in oJjtni modo, direi, la lezione di tutti i Mss &v6tL, perché se il traduttore siriaco avesse letto "Av6tt, egli che in genere i nomi propri intendeva e traduceva strana­mente come nomi e parole comuni (cfr. J. TKATSCH, Die arabische Ueber­set%Ung der Poetik des Aristoteln, Und die Grundlage der Kritik der grù­chischen Textes, Wien u. Leipzig 1932, p. 204), tanto più questo. Inutile aggiungere che di questa tragedia di Agatone non abbiamo nessun'altra

• • notlZJa.

Poetica, 9, 1451 b 213

sera; ed è appunto sotto questo aspetto [della loro possibilità e verisimiglianza] che colui che li prende a trattare [non è il loro storico] ma il loro poeta.

Delle favole e azioni semplici 41, quelle episodiche sono le peggiori. E chiamo episodica quella favola in cui gli episodi 42

non sono legati fra loro da alcun rapporto né di verisimiglianza né di necessità. Di tali favole ne compongono di solito poeti di 35 cattivo gusto, appunto per difetto di gusto; ma ne compongono anche poeti di valore per soddisfare a certe esigenze della rappre­sentazione teatrale 43. E di fatti questi poeti scrivendo declama­zioni 44 e sforzando il mito più di quanto sarebbe possibile, si trovano costretti molto spesso a spezzare la linea di successjone degli avvenimenti.

41 Alcuni editori vorrebbero trasportare questo brano (1451 b 34-1452 a 2) o dentro o di seguito al cap. lO. In nrità il brano, rispetto alla coesione sua col rimanente, non guadagnerebbe nulla dallo spostamento.

oU Episodio, com'è noto e come dice lo stesso Aristotele (12. 1452 b 20), è tutta quella parte di una tragedia che sta fra due interi canti corali.

.a Più precisamente. a cagione degli attori ~ dice il testo. Ma la espres_ sione 8Lcl ':"ouo:; U7t'OXpL't'cXO:;, dovuta a parallelismo con la espressione anti­tetica precedente 8t' Ixthoue;, mi pare abbia valore più generico (cfr. nota seguente), ed equivalga a 811x -ri;v {m6xpu1lv. Del resto, a proposito di questa influenza degli attori sugli autori, si raccontava, per esempio, di Sofocle (cfr. il ~lOe;, p. 128, 30 Westenn.), che scrisse drammi adattandoli appunto alla natura dei suoi attori (r.pòe; 't'ele; IPOOt:t<; a.l.hwv [sciI. Ù'Tt'O­XpL't'WV 1 ypcX'flXt 't'cl 8pcXfLlX't'IX); e la tradizione ci ha trasmesso anche nomi di attori prediletti e privilegiati, Clidèmide e Tlepolemo di Sofoele, Cleandro e Minnisco di Eschilo, Cemofonte di Euripide. Anche Aristo .. tele scrisse che al tempo suo gli attori avevano più potere degli stessi poeti (Rhet. r 1403 b 33: fLtTI:O ... 8uvlXV"t"lX~ vUv x't'À.): se non che codesta espressione, più che a influenza degli attori sui poeti contemporanei, allude a quelle alterazioni delle compagnie drammatiche sul testo dei poeti tragici antichi le quali avevano provocato, "erso il 330, il famoso decreto di Licurgo.

"-4 t Declamations. Margoliouth; che richiama giustamente Rhet. r 1413 b lO. E così anche il Rostagni. Si tratta, in generale, di quei pezzi di bravura che i poeti componevano o per compiacere agli attori i quali meglio potessero rivelare le loro abilità agonistiche, o anche per su­scitare più facili applausi dal pubblico in detcnninate occasioni; o per altri motivi. Così, per esempio, uno scolio alle Fenicie di Euripide, v. 88, dopo il gran prologo di Giocasta, dice: • Qui il dramma diviene più vivace: la parlata di Giocasta era stata tirata in lungo per gli spettatori,.

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214 Poetica, 9-10, 1452 Q

1452.l Ora, siccome la tragedia non solo è mimèsi di un'azione com-piuta in se stessa, ma anche di fatti che destino pietà e terrore: e questi fatti saranno tali da destare assai efficacemente la pietà e il terrore, e anzi più efficacemente che in altro modo 45, allorché sopravvengono fuor d'ogni nostra aspettazione e al tempo stesso con intima connessione e dipendenza l'uno dall'altro: - perché

5 con tale rapporto di dipendenza il meraviglioso sarà più grande che se cotesti fatti avvenissero ognuno da sé e a caso; tanto è vero che anche dci fatti che dipendono unicamente dal caso i più meravigliosi ci sembrano quelli i quali si direbbe fossero accaduti quasi per un fine determinato, come quando, per esem­pio, la statua di quel 1\Iiti, in Argo, uccise proprio colui che_della morte di 1\Iiti era stato cagione, cadendogli addosso mentre la stava guardando; e in verità casi di questo genere non sembra-

10 si possano dare senza un disegno prestabilito: - da tutto ciò dunque risulta che le favole così concepite saranno necessaria­mente più belle.

\O.

Delle favole alcune sono semplici, altre complesse i e le azioni che coteste favole imitano sono anch'esse, per loro propria natura, o semplici o complesse. Dico semplice quell'azione che svolgen-

15 dosi, come fu definito, con coerenza e con unità, giunge alla solu­zione senza peripezia e senza riconoscimento; complessa quella che giunge alla soluzione o col riconosdmento o con la peripezia o con ambedue insieme. :\la peripezia e riconoscimento bisogna che scaturiscano direttamente dalla intima struttura della favola, in modo cioè che siano la conseguenza o verisimile o necessaria dei fatti precedenti: perché c'è molta differenza che un fatto av-

20 venga in conseguenza di un altro o che avvenga semplicemente dopo di un altro.

U Conservo la lezione tradizionale.

PQetica, 11, 1452 a 215

11.

Peripezia è il mutamento improvviso, nel modo che s'è detto, da una condizione di cose nella condizione contraria; e anche questo mutamento è sottoposto, secondo la nostra teoria, alle leggi della verisimiglianza o della necessità. Così, per esempio, nell'Edipo [Te di Sofode], venuto [il messo da Corinto] con la 25 persuasione di annunziare cosa gradita a Edipo e di sgombrargH l'animo dal terrore in cui era pe' suoi rapporti con la madre, ecco che, rivclandogli il segreto della sua nascita. produsse l'effetto contrario -l6. E così, nel Linceo [di Teodette], mentre Linceo è condotto a morire e Danao lo segue per farlo uccidere, ecco che dallo svolgimento dei fatti venne fuori il contrario, che cioè Danao morì e Linceo si salvò.

Il riconoscimento, come indica la parola stessa, è il passaggio 30 [anche questo inatteso] dalla non conoscenza alla conoscenza, e quindi alla reciproca amicizia o inimicizia tra i personaggi del­l'azione drammatica destinati alla buona o alla cattiva fortuna. La più bella forma di riconoscimento si ha quando intervengono contemporaneamente casi di peripezia, come, nell'esempio sopra citato dell' Edipo. Ci sono senza dubbio anche altre forme di rico­noscimento: così, per esempio, può darsi che esso avvenga, nel 35 modo che s'è detto, anche di cose inanimate e puramente acci­?entali; come pure può essere un mezzo di riconoscimento [sco­prire] se uno -ha fatto o nOn ha fatto alcunché; ma in ogni modo la forma di riconoscimento più intimamente connessa con la fa­vola e con l'azione è quella di cui fu detto prima. Infatti cataI forma di riconoscimento. come anche cotal forma di peripezia,

-1.6 Si riferisce alle due SCene che vanno rispettivamente dal v. 924 al v. 1085 e dal v. 1110 al v. 1185. La peripezia è propriamente in questa seconda scena, quando il n:cchio pastore, costretto dalle domande di Edipo e dal confronto col messo di Connto, confessa di aver ricevuto Edipo appena nato dalle mani di Giocasta; e così tutto si chiarisce. La t cosa gradita. è la morte di Polibo, re di Corinto, per la quale Edipo sarebbe di,·enuto. re di un nuovo regno; ma l'w:; ..... iJ":7)J,,±~W" va inteso con molta libertà, perché il messo non poteva certo esser venuto con co-dcstl1 intenzione. .

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216 Pottica, Il, 1452 b

1452 b produrranno sentimenti di pietà e di terrore; e sono appunto le azioni che suscitano siffatti sentimenti quelle di cui la tragedia, come già fu definito, è imitatrice. E si aggiunga che proprio da codesti riconoscimenti e peripezie dipende lo scioglimento infe­lice o anche felice [della tragedia]. Siccome poi, com'è ovvio, il riconoscimento è riconoscimento di persone, così, talora, avremo riconoscimento di una persona sola rispetto all'altra, quando l'altra sia già manifesto chi è; talora, invece, sarà necessario che

5 tutt'e due le persone si diano a riconoscere reciprocamente: così, per esempio. [nella Ifigenia in Tauride di Euripide.] Ifigenia fu riconosciuta da Oreste mediante la lettera ch'ella consegnò [a Pilade] da portargli; ma c'era bisogno di un altro mezzo di rico­noscimento perché Oreste fosse riconosciuto da Ifigenia 47.

Due parti della favola dunque si aggirano intorno a questa specie di casi, e sono la peripezia e il riconoscimento. Una terza

lO parte è la catastrofe. Di queste tre parti la peripezia e il riconosci­mento sono state trattate; la catastrofe è un'azione che reca seco rovina o dolore, dove si veggono, per esempio, cadaveri sulla scena 48, si assiste a dolori strazianti, a ferite e ad altre e simili sofferenze 49.

47 Si riferisce ad EURIP. Iph. Taur. 727 8gg.: Ifigenia è riconosciuta da Orelte (v. 769) mediante la lettera ch'ella consegna e legge a Pilade perché la porti a Oreate in Argo; Oreate è riconosciuto facilmente perché Pilade, presente Ifigenia, gli presenta senz'altro la lettera (v. 794). Ma certo (cfr. 16. 1454 b 32) Aristotele comprende fca i mezzi di riconosci­mento anche le prove che Ifigenia chiede al fratello per meglio assicu­ra~i della sua identità .

.... Si sa che di morti sulla scena non ne avvenivano o assai raro, figurando sempre la scena la facciata e non l'interno di un'abitazione. E si rammenti il famoso precetto di HORAT. Poeto 185: I ne puerOa cocam populo Medea trucidet ... I. Ma su la scena si mostravano i morti ° per mezzo deIl'enciclèma o a traverso le porte stesse del fondo. Perciò tra­dussi I che si vegaono I e dissi I cadaveri, per togliere ogni Ilmbiguità. Del resto il plurale di o[ 6M"rot ehbe anche questo significato.

411 Esempi, i dolori di Filottete, Edipo che torna in iscena dopo a\'ersi strappati gli occhi, e infiniti altri.

Poetica, 12, 1452 b 217

12.

Quali siano le parti che una tragedia nOn può nOn averl!, come quelle che costituiscono gli elementi essenziali alla sua qualità 15 di tragedia, già dicemmo precedentemente j vediamo ora le sue parti sotto il rispetto della quantità, quelle cioè nelle quali una tragedia si può dividere e che [non si trovano, come le prime, frammischiate l'una nell'altra, ma] l'una dopo l'altra si seguono separate c distinte 50. Queste parti o sezioni sono le seguenti: prologo, episodio, esodo, canti del coro. I canti del coro si distin­guono in pàrodo e stàsimo, che sono comuni a tutte quante le tragedie; mentre, speciali di alcune tragedie soltanto, sono i canti cantati su la scena [da uno o da più attori] e i commi. Pro­logo è tutta quella parte della tragedia che precede l'entrata del coro [. cioi: il pàrodo]. Episodio i: quella parte della tragedia che 20 sta tutta quanta fra due interi canti corali. Esodo è quella parte della tragedia che sta tutta quanta dopo l'ultimo canto corale. Dei canti corali il pàrodo è la prima cantata che sia detta intiera­mente dal coro, lo stàsimo è un canto del coro senza versi anape­stici e trocaici. Il comma t: un canto lamentevole cantato a vi­cenda dal coro <e da uno o più personaggi della scena; e i canti della scena sono canti propri di attori che cantano> dalla scena.

Quali siano dunque le parti che una tragedia non può non 25 avere come quelle che costituiscono gli elementi essenziali alla sua qualità dì tragedia, già dicemmo precedentemente; le sue parti sotto il rispetto della quantità, e precisamente le diverse e distinte sezioni nelle quali una tragedia si può dividere, sono queste che ora abbiamo descritte.

50 Ho creduto neces-'!,ario mettere in luce, pur con l'aiuto di supple­menti, il preciso valore del XtZWpU1[Ltv% che non mi pare sia stato inteso ordinariamente COn piena esattezza. e che richiama il zwpL:; del luogo citato sopra 1449 b 25-30.

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218 Poetica, 13, 1452 b-14S3 a

13.

Ora, quali scopi debba aver di mira il poda, e da che cosa guardarsi nel comporre le sue favole; inoltre, per quali vie la tragedia potrà raggiungere il suo proprio fine; ecco ciò che mi resta tuttavia da dire dopo quello che già ho detto 51.

30 Poiché dunque la più perfetta tragedia dev'essere di compo-sizione non semplice ma complessa, e anche bisogna che ella sia mimèsi di casi i quali destino pietà e terrore, - ché questo appunto è il carattere peculiare di tal genere di mimèsi; - egli è chiaro, prima di tutto, che non bisogna siano rappresentati su la scena, in atto di passare dalla felicità alla infelicità, uomini

35 dabbene, non potendo ciò ispirar terrore né pietà ma solo ripu­gnanza; secondo, che non vi siano rappresentati in atto di passare dalla infelicità alla felicità uomini malvagi, essendo questa, fra tutte, la cosa più aliena dallo spirito tragico, in quanto non pos­siede nessuno de' requisiti di cui la tragedia bisogna, e difatti né soddisfa il pubblico 52, né suscita alcun sentimento né di

1453. pietà né di terrore; e finalmente, terzo, neanche bisogna ch' ella rappresenti uomini estremamente malvagi cadere dalla felicità nella infelicità, perché, se anche una composizione siffatta po­trebbe soddisfare per un certo rispetto il gusto del pubblico, non potrebbe però suscitare nessun sentimento né di pietà né di ter­rore: si prova pietà per una persona la quale sia immeritamente 53

al !'\ei capp. 7-11. Riprende dunque a trattare del fLUOoç in genere e in particolare di quella forma di fLijeo~ che deve suscitare i due affetti essenzialmente tragici, pietà e terrore. Ma a suscitare questi due affetti giovano sopra tutto gli elementi di sorpresa (1452 a 4), cioè la peripezia e il riconoscimento; e questi elementi sono proprii della tragedia com­plessa, non della semplice (1452 a 16 sgg.): perciò la tragedia complessa è la tragedia ideale.

!.2 qnÀ&:v6pwrm"" interpretato ordinariamente, e qui e in altri due luoghi (1453 a 3; 18 1456 a 23), a significare un sentimento di simpatia umana per chi soffre, anche se la sofferenza è meritata.

1;3 Inteso alla lettera, cioè come se fosse al tutto senz'ombra di colpa, si troverebbe in contraddizione col primo caso, e sarebbe non tJ..s:s:w6", ma fL~~p6",. S'intenda dunque di una sproporzione tra la colpa e la pena:

Poetica, 13, 1453 a 219

colpita da sventura, si prova tt:rrore 54 per una persona la quale [. egualmente colpita da sventura,] abbia parecchi punti di somi­glianza con noi; e insomma, pietà per l'innocente, terrore per chi 5 ci somiglia: cosicché, dunque, casi come questo non potranno mai aver niente né di pietoso né di terribile 55, Resta, fra queste due vie estreme 56, la via di mezzo. Sarà cioè buon personaggio da tragedia colui il quale, senza essersi particolarmente distinto per sua virtù O sentimento di giustizia, neanche sia tale da cadere in disavventura a cagione di sua malvagità o scelleragginc, bensì 10 a cagione soltanto di qualche errore 57: sul tipo insomma di coloro che. come Edipo, Tieste e altri ben noti personaggi nati da simili famiglie, [finirono sventuratissimi, mentre dapprima] erano in grande reputazione e prosperità.

, E necessario dunque che una favola ben costituita sia semplice 58

anzi che doppia, come vorrebbero alcuni; e che non vi sia pas­saggio dalla infelicità alla felicità, ma al contrario dalla felicità

e anche e massimamente, come è detto poi (1453 a 10-15), di colpa e sventura cagionate da i!-l:xp-rb., non da W)Z&t;pb:.

:>-1 Terrore, in tutte queste espressioni, significa più propriamente trepidazione.

;,a Manca il quarto caso, cioè del personaggio dabbene che passi dalla infelicità alla felicità. Caduto dal testo, come pretendono alcuni, che per ciò tentarono vari supplementi (cfr. j'ediz. del Susemihl), o \"oluta omissione? In realtà questo caso sarebbe identico al terzo, cioè del malvagio che cade dalla felicità nella infelicità: così l'uno come l'altro, per la esatta corrispondenza tra la colpa e la pena, tra le virtù e il premio, non hanno niente né di pietoso né di terribile, cioè di tragico. E anzi questo quarto caso, e lo nota espressamente Aristotele poco più innanzi, presenta una situazione più da commedia che da tragedia; e rientra nel numero delle tragedie a lieto fine che posson piacere solo a spettatori e a critici di cattivo gusto e che Aristotele condanna.

~6 Cioè tra l'uomo interamente buono c l'uomo interamente cat­ti\'o, con la duplice possibilità per ciascuno.

b7 Errore di giudizio deri\'ante da ignoranza di qualche fatto o cir­costanza materiale. Cfr. Eth. Nic. E 1135 b 12: r 1110 b 31.

;,,, Qui la parola i'r:Ào;:;~ (fl.GOr.J:;) riceve dalla sua antitetica 8mÀoSç un valore affatto di\'erso da quel che vedemmo in 9. 1451 b 34, in lO. 1452 a 13 sgg., e in 13. 1452 h 32, dove :i.-:).oij~ aveva per antitesi 1tt­

;:)E"(f.Ilv.-:.::;. Dobbiamo anzi aggiungere che qui un cl1tÀOS:; fL::'OC.C; è al tempo stesso un :-:t7':'Àt'(fl€"'r.;:; flUOf)::;, e che solo è semplice in quanto ha una semplice e unica linea di soluzione.

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22U POt!lica, 13, 1453 a

15 ~\Ila infelicità; e che questo mutamento di fortuna non dipenda da scelleraggine, ma solo da qualche grave erTore; e che colui che commette l'crrore, o sia del tipo già descritto, o tutt'al più migliore, non peggiore 59. Una prova di ciò che dico è quello che succede nella realtà. Dapprima infatti i poeti accettavano qua­lunque mito capitasse loro tra le mani; ora invece le tragedie più belle si sogliano comporre intorno a un numero limitato di

20 famiglie, per esempio. intorno ad Alcmcone, a Edipo. a Oreste, a ::\Ieleagro, a Tieste, a Telefa, e a quanti altri accadde di trovarsi impigliati in qualche situazione terribile, sia che la subissero, sia che ne fossero essi stessi la causa diretta.

Concludendo, la tragedia teoricamente più perfetta sarà quella che avrà una struttura di questo genere. Perciò cadono nel mede­simo errore [dei critici sopra ricordati] 60 coloro i quali accusano Euripide di seguire nelle sue tragedie questo criterio, e cioè che

25 in gran parte le sue tragedie hanno uno scioglimento doloroso. ::\Ia è proprio questo, come s'è detto, lo scioglimento giusto. Ed eccone la prova migliore. Su la scena e ne' pubblici concorsi sono appunto le tragedie con fine dolorosa quelle che, se eseguite bene, raggiungono evidentemente l'effetto più tragico; ed Euri­pide, se anche riguardo al resto non dà alle sue tragedie una strut­tura ottima 61, si dimostra pur sempre il più tragico dei poeti.

30 Di secondo ordine invece, e non di primo come pretendono

59 Con queste parole, che del resto riecheggiano altrove nella Poetica (2. 1448 a 3 sgg., a 18; 15. 1454 b 9; 25. 1460 b 34), Aristotele viene un poco a temperare la rigidezza di sue precedenti proposizioni: il OfLOLOç e l'tm'tx~ç possono bene incontrarsi in un personaggio che sia fjd:rlw" T, )(a6' +'!L~ç.

IO Conservo la lezione 't'ò aù't'6. È lo stesso errore di coloro i quali vorrebbero che la tragedia avesse (1453 a 13) una duplice combinazione dì casi, 8mÀou .... {Lu6o .... , e quindi una duplice e diversa soluzione o cata­strofe per i buoni e per i cattivi.

61 Per esempio, riguardo ai miti (cfr. 15. 1454 b 1, 16. 1454 b 31), ai caratteri (cfr. 15. 1454 a 27 sgg., 25. 1461 b 20 sgg.), al coro (cfr. 18. 1456 a 27); cioè a dire, in tutto ciò che non apparteneva direttamente alla soluzione: dove appunto convergeva il biasimo dei critici e dove invece, come quella che più profondamente era agitata dalle due emo­zioni caratteristiche della tragedia, pietà e terrore, era la ragione prin­cipale dc' suoi successi teatrali.

Poetica, 13-14, 1453 a-b 221

alcuni, è quella forma di tragedia che ha, come l'Odissea 62, una duplice combinazione di casi, e quindi un duplice e contrario scioglimento per i personaggi migliori e per i peggiori. È chiaro ch'essa è detta di primo ordine a cagione di Certa mollezza di animo da parte degli spettatori 63; perché i poeti nelle loro crea­zioni amano secondare i desideri del pubblico. Ma non è questo 35 il diletto che si richiede dalla tragedia, il quale è proprio piuttosto della commedia. Quivi difatti, se anche nella favola figurino per­sonaggi tra loro nemicissimi, per esempio Oreste ed Egisto, ecco che alla fine se ne partono da buoni amici e nessuno uccide,

, . nessuno c UCCISO.

14.

li terrore e la pietà possono dunque esser suscitati dallo spet- 1453 b

tacolo scenico, ma anche possono scaturire dalla intrinseca com­posizione dei fatti; e questo naturalmente viene in prima linea ed è segno di miglior poeta &4. Perché la favola, anche indipenden­temente dal vederla rappresentata su la scena, bisogna sia costi-tuita in modo che pur solo chi ascolti la narrazione dei fatti acca- 5 duti riceva dallo svolgersi di codesti fatti un brivido di terrore e un senso di pietà. Il che si può provare ascoltando leggere, per esempio, la tragedia di Edipo. Cercar di promuovere questi sen­timenti mediante lo spettacolo scenico è cosa che non ha che fare con l'arte del poeta e ci deve pensare il corègo. Quelli poi che mediante lo spettacolo scenico vogliono darci, non già, dico, il senso del terribile [tragico], ma del mostruoso puro e semplice, costoro non hanno niente di comune con la tragedia. Perché 10

112 Lo schema del duplice svolgimento c scioglimento dell'Odisseo è dato dallo stesso Aristotele in 17. 1455 b 16-23.

63 Mollezza o fiacchezza di animo che poi si risolve in difetto di gusto ed errore di giudizio: in quanto, per desiderio che le tragedie finiscano lietamente, non si distingue più fra tragedia e commedia, che è distin­zione essenziale alla intelligenza dell'una e dell'altra e del diverso fine o diletto di ciascuna.

64 In quanto il pot:ta è per sua natura f.HJJ.lJ't'7jç t'II ).6y~ (cfr. 1. 1447 a pasrim).

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222 Poetica, 14, 1453 h

dalla tragedia non si deve ricercare ogni sorta di diletto, ma quello solo che le è proprio. E siccome il diletto proprio della tragedia, e che il peeta deve procurare, è quello che scaturisce, mediante la mimèsi, da fatti che destino pietà e terrore, è chiaro che esso poeta deve introdurre nell'interno dell'azione dramma­tica [e non in accidenti esteriori) ciò appunto che potrà suscitare

• • • questI sentImentI. Yediamo dunque, dei casi che interyengono, quali possono

colpire di terrore il nostro animo, o, più tosto, quali possono de-15 stare la nostra commiserazione. Azioni che straordinariamente

ci colpiscano debbono di necessità accadere tra persone le quali, o siano amiche fra loro, O siano nemiche, o non siano né amiche né nemiche. Se è un nemico [che compia o mediti compiere] contro un nemico [alcuna di cotali azioni], non c't: niente in questo che muova la nostra pietà, sia che costui eseguisca di fatto la sua azione, sia che stia per eseguirla; e rimane solo quel senso di per~ turbamento che reca seco la catastrofe in se medesima. Lo stesso accadrebbe trattandosi di persone le quali non siano fra loro né amiche né nemiche. ~la quando codeste catastrofi avvengono

::0 tra persone legate da vincoli di parentela, come quando, per esem­pio, un fratello uccida o mediti di uccidere il fratello, o un figlio il padre, o una madre il figlio, o un figlio la madre, o comunque l'uno nuoccia all'altro in qualche simile modo, ceco quali sono i soggetti [veramente tragici] che il poeta deve ricercare. Perciò i miti bisogna lasciarli così come li ahbiamo avuti: dico [cioè che non bisogna mutarli nei loro punti capitali;] per esempio, che Clitennestra morì uccisa dal [suo figliuolo] Oreste ed Erifilc dal

25 [suo figliuolo] Alcmeone; ma al tempo stesso deve il poeta tro~ vare un suo modo personale di valersi bellamente anche di ciò che la tradizione gli fornisce.

Dirò più chiaro che cosa voglio intendere con queste parole (i valersi bellamente». È pos~ibìlc che l'azione si svolga alla ma­niera dc' poeti antichi i quali, di solito, facevano che i loro perso­naggi operassero in perfetta coscienza e conoscenza [di sé e delle persone con cui avevano rapporto]; come fece anche Euripide rappresentando l\ledea che uccide i propri figli 65. ::\1a è anche

M EURIP. Med. 1236 sgg.

Poetica, 1-1. 1453 b-1454 a 223

possibile che l'azione si compia senza che chi la compie sia cansa- 30 pevole della speciale terribilità sua, e solo più tardi venga a cono­scenza dei vincoli di parentela [che lo legavano a coloro contro cui operò]: per esempio, l'Edipo [re] di Sofocle. Veramente nel­l'Edipo sofodeo questa azione ha luogo fuori della tragedia pro­priamente detta 66; ma ne possono accadere anche nell'interno della tragedia medesima, com'è il caso di Alcmeone [nella tra-gedia omonima] di Astidamante o di Telègono nell'Odisseo ferito [di Sofocle]. V'è poi anche un terzo modo, oltre questi, e cioè di colui il quale, non conoscendo [qual vincolo di parentela lo leghi 35 ad una data persona], sta per fare contro di essa qualche cosa di irreparabile; ma ecco che, prima di fare, viene a conoscere in tempo [codesta persona chi è]. Oltre questi trt", non ci sono altri casi possibili. E verarnt'nte non si possono dare che queste quattro situazioni: o fare o non fare consapevolmente; o fare o non fare inconsapevolmente 67. Di queste situazioni quella di colui che in piena coscienza sta per fare e poi non fa è la peggiore perché repugnante e non tragica, e difatti non si risolve in nessuna cata­strofe. Perciò nessun personaggio opera in codesto modo se non raramente; come nell'Antigone [di Sofocle] Emone [quando sta "H. per uccidere] Creante [e poi non lo uccide] 68. Viene in secondo

" Narrata da Edipo, vv. 800 sgg. '7 Questa contraddizione tra le due proposizioni. o meglio, tra la

enumerazione precedente che e&arnina di fatto solo tre cui poasibili e la enumerazione successiva che riesamina questi tre più un quarto, ha fatto pensare a una probabile lacuna da integrarsi e collocarsi variamente. Non mi pare necessario. Aristotele comincia con l'enumerare tre possi­bilità; 1. operare con conoscenza della penona contro cui si opera (et., Medea e i figli); 2. operare senza questa conoscenza, e il riconoscimento vien dopo (es. Edipo e Laio): 3. non operare perché soccorre in tempo il passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza (es., Ifigenia e Oreste). E conclude che questi tre casi esauriscono ogni possibilità. In realtà. egli aggiunge, i casi, logicamente, sono quattro; se non che questo quarto caso, non operare pennanendo la conoscenza, senza cioè che ci sia pas­saggio dal non conoscere al conoscere, non merita considerazione, e in­fatti è ,rarissimo (es. ErJ}onr e Creontr). E così,1iberato&i da questo quarto caso che diventa il primo della nuova serie, seguita a riesaminare e giu­dicare gli altri tre che diventano, a loro volta, secondo il primo, terzo il 'secondo e quarto il terzo.

B8 O non si tratta dell'AntigOftt' di Sofocle, il che è assai poco pro-

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224 Poetica, 14, 1454 a

luogo che l'azione [consapevolmente meditata] di fatto si compia. Migliore è il caso di colui che senza conoscere opera, e riconosce dopo avere operato. Qui non c'è niente di repugnante, e anzi il riconoscimento ci colpisce di stupore e di costernazione 69. Ottima fra tutte è la situazione che ricordammo per ultima: qual è quella,

5 per esempio, del C,es/onte [di Euripide], dove Merope sta per uccidere il figlio, ma lo riconosce in tempo e non lo uccide; o quella della Ifigenia [in TaUTide di Euripide], dove la sorella [sta per uccidere] il fratello [. ma poi lo riconosce e non lo uccide]; o quella dell' Elle, dove il figlio, sul punto di consegnar la madre [ai nemici?], la riconosce [e non la consegna].

Ecco dunque perché, come già fu detto 70, le tragedie si aggi-10 rano intorno a un numero limitato di famiglie: perché i poeti,

babile; o bì80gna ammettere che Aristotele si lasciò andare a que-sto primo esempio che gli capitò per una pura coincidenza di forma e senza preoc· cuparsi che l'episodio non riguardava lo svolgimento sostanziale del­l'azione. Che Emone, visto Creonte (Antlg. 1231 sgg.; e, si badi, non è azione ma racconto del nunzio), gli si getti contro e poi volga in se stesso la spada, non ha valore se non a giustificare psicologicamente l'esalta­zione che conduce Emone a uccidersi. Notò questo anche lo scoliasta (al v. 1232), richiamando acutamente il v. 75t. E invero l'incoerenza ci sarebbe stata se Emone avesse ucciso Creonte e non sé.

te Verrebbe da sospettare col Susemihl che l'ottima delle soluzioni non sia la seguente, ma questa: che è quella dell'Edipo rt e che corri. sponde in ogni punto alla perfetta tragedia secondo il tipo aristotelico, con passaggio dalla felicità alla infelicità com'è detto e ripetuto nel cap. 13; e che quindi sia avvenuto uno spostamento nell'ordine tradizionale. t poco sostenibile sospetto. Tanto più che Aristotele, volutamente, nena ripetuta c1a.'1sificazione, sembra attenersi all'ordine dei tre casi esaminati prima. C'è piutto!!lto un mutato punto di vista: Aristotele, ora, guarda al lL~1Xp6v; in questo modo: il primo caso (Emone) è solo lu:xp6v e rimane tale; il secondo (Medea) è anche I .. U:xp6v, ma la repugnanu dell'atto è dominata e giustificata: il terzo (Edipo) potrebbe e88ere [J.L:xp6v, e non è, perché chi opera non sa; il quarto (Ifigenia etc.) non è !l!.(lp6v assoluta­mente.

70 Aristotele torna al ragionamento che aveva interrotto in 1453 b 24 Per la lunga parentesi sul modo di valersi bellamente della materia tradizionale. E come in 9. 1451 b 15 sgg. aveva dato ragione perché i poeti tragici si attenessero così scrupolosamente ai dati della tradizione, cosi qui e nel cap. precedente (13. 1453 a 18 sgg.) vuoi dar ragione perché, rispetto a una cosi abbondante fioritura di tragedie, il numero degli argomenti fosse proporzionatamente assai scano.

I

• ,

I

I

Poetica, 14-15, 1454 a 225

nella loro ricerca di soggetti tragici, non già per alcuna cono­scenza di norme artistiche, ma solo per caso, trovarono da intro. durre nelle loro tragedie siffatto genere di situazioni; e cosi furon costretti a ricorrere a quel numero limitato di famiglie a cui cotali dolorosi accidenti erano capitati.

Della composizione de' fatti e di che natura le favole hanno 15 da essere s'è discorso dunque sufficientemente.

15.

Per ciò che riguarda i caratteri, quattro sono i punti a cui si deve mirare. Il primo e il più importante è che essi siano nobili 71.

l'n personaggio avrà carattere se, Come fu osservato;2, ciò ch'egli dice o fa mostri chiaramente qualche sua inclinazione morale; e quindi avrà carattere nobile se questa sua inclinazione sarà nobile, e cosÌ via. Siffatta nobiltà è possibile in ogni classe di persone: anche una donna e anche un servo possono avere nobiltà di ca- 20 rattere; benché veramente di questi due tipi l'uno sia piuttosto di natura inferiore, e l'altro sia generalmente di assai poco pregio 73.

Il secondo punto è che i caratteri siano appropriati. C'è, per esempio, il carattere virile; ma non sarà proprio di una donna essere allo stesso modo di un uomo virile ed eloquente. Terzo punto è che i caratteri siano conformi [alla tradizione o miti ca o storica]; e questa, in realtà, è cosa diversa dalla creazione di caratteri nobili e di caratteri appropriati nel senso che abbiamo 25

il Cioè, superiori al normale (cfr. 2. 1248 a 2 sgg.); e questo rela­tj'llmentc a ogni classe di persone, com'è dichiarato più innanzi.

72 In 6. 1450 b 8 sgg. 7:1 • Perché la donna _, come leggiamo in Bist. animo l 608 h 8, • è

più dell'uomo misericordiosa e più facile alle lacrime, oltre che più invi­diosa più querula più propensa ai litigi e alle risse; e anche è meno corag­giosa e più disposta alla disperazione e più menzognera ", ccc. ecc. Non si negano virtù alla donna, ma sono diverse che nell'uomo (PoI. A 1260 a 20). E quanto allo schiavo. egli è scnza dubbio utilissimo ai bisogni della vita, ma appunto perciò non grande virtù gli è necessaria. bensì quella poca che gli basta a compiere con solcr/.:ia e con ordine i suoi uffici (a ,. ) ,~ sgg ..

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226 Poetica, 15, J.J54 CI

ora dato a queste parole 74. Quarto punto è che i caratteri siano sempre coerenti a se stessi. Così che, per esempio, se anche la persona che fornisce il soggetto alla mimèsi è incoerente, e di tale natura [nella tradizione mitica o storica] è il carattere che il poeta si è proposto di rappresentare, ebbene, bisogna che [anche nella mimèsi] esso sia coerentemente incoerente, C" n esempio di perversità di carattere non richiesta necessariamente dall'azione ce lo dà la figura di :\Ienclao ndl'Oreste [di Euripide]; esempi di

30 sconvenienza [rispetto alla tradizione?] e di mancanza di pro­prietà di carattere sono la lamentazione di Odisseo nella Scilla [di Timoteo] e la tirata oratoria di ]\Ielanippc [nella ,lle/anippe la saggia di Euripide] 75 ; un esempio di incoerenza ce lo dà l'Ifi­genia in Au/ide [di Euripide]: dove l'Ifigenia che supplica [per la propria vita] non rassomiglia niente all'Ifigenia [che vuoI morire] nella fine del dramma 76.

74 Aristotele presenta una ohiezione che risolvera più oltre (b 8): se i personaggi, egli pensa, hanno da essere di Cèuattere nobile, zp7jrr:ov. e appropriato, ip!l6"ov, come possono essere in ogni caso eguali o simili aU'originale che imitano, così da essere pur sempre riconoscibili (cfr. per questo senso di 6l!o~ov più avanti, 1454 b lO; cui non contraddicono 2. 1448 a 6-12. 13. 1453 a 5, dove 6fLOW\I vale simile al normale, né meglio né peggio), e insomma confomlÌ a quel che di loro ci dice e descrive b tradizione mitica o storica? Per ciò aggiunge per il momento, come a chi gli movesse questa obiezione, che si tratta' infatti ., "tipI di cosa diversa.

7~ Questa Scilla, come resulta chiaro dalla scoperta di un papiro pubblicato dal Gomperz (cfr. la nota del BY"'ater ad loc.), è il ditirambo, Scilla, di Timoteo, nel quale Odisseo cantava una lamentazione che non si addiceva a quell'idea del carattere di Odisseo che' ci siamo formata per tradizione, 0flOLO\l l'WL ..... :in' o,j '08')0"0"d". Perciò si sarebbe ten­tati di interpretare questo esempio come quello del non conforme alla tradizione (±\IOflO(ou), che appunto manca. Anche perche sembrerebbe singolare che del ",,1) .xpfL6ttO\ll'oC; si dessero due t!sempi e non uno come degli altri casi; né credo farebbt: difficoltà i:-:p€:-rri)·; ""-- X\101-1-Gir)'J. Se non che la frase è così costituita (-:-oii 8è ..... x~i fl-Y; ..... {} TE ..... x71 T,) che non si può scindere senza violenza a significare due concetti distinti. Tutt'al più potremmo supporre che l'uno e l'altro esempio fossero citati ciascuno per ambedue i difetti: e cioè Odisseo fosse citato come esempio di disfor­mità con la tradizione e al tempo l'Itesso con la sua natura di uomo-eroe: Melanippe, di disformità con la sua natura di donna e a\ tempo stesso con la tradizione. 7. Iph. Aut. 1211 sgg, e 1368 sgg. !\"Ia bisogna confessare che non si può esser d'accordo col severo giudizio di Aristotele.

Poetica, 15. 1454 a-b 227

Dunque, anche nella pittura dci caratteri, come nella compo­sizione dei fatti, bisogna aver sempre di mira ciò che è richiesto dalle leggi dci necessario o del vcrisimilc; eosicchl~, dato, per 35 esempio, un personaggio di questo o quel carattere, ciò che egli dice o fa deve resultare appunto da cotesto suo carattere confor­memente alle leggi della necessità o della verisimiglianza; allo stesso modo che, dato un fatto, se un altro fatto succede a quello, anche questa successione ha da resultare confanne alle leggi della necessità o della yerisimiglianza 77.

, E evidente pertanto che anche gli scioglimenti delle tragedie

debbono venir fuori dalla struttura ddla tragedia in se stessa, e H54 Il

non da un artificio meccanico come nella Jledea [di Euripide], e come pure in quel punto della Iliade che si riferisce alla [provo-cata c poi impedita] parttnza {dei Greci da Troia] 78, Dell'artificio scenico si può far uso per ciò solo che è fuori dell'azione dram­matica, sia per quei fatti che accaddero prima e che lo spettatore non è in grado di conoscere, sia per quelli che dovranno accadere poi e che quindi hanno bisogno di esser predetti e annunziati. Si sa che noi attribuiamo agli dèi questo privilegio di poter vedere 5 ogni cosa. Xé ha da esserci nello svolgimento dcII 'azione alcunché di irrazionale; e, se questo è inevitabile, sia fuori della tragedia, com'è nell' Edipo [re] di Sofocle ".

Ora, siccome la tragedia è mimèsi di persone superiori al li­vello comune, sarà bene che i poeti seguano l'esempio dci buoni pittori di ritratti: i quali, producendo le fattezze peculiari di un

" In sostanza tre almeno delle quattro varietà esaminate si riducono a un unico concetto di coerenza: 1. coerenza per necessità o verisimiglianza con la classe o specie o condizione a cui il personaggio appartiene, .xPWh·­~O\l; 2, coerenza eodem modo con la tradizione e con la realtà, O[J.OLO\l; 3. coerenza eodem modo con se medesimo, 6[.L~ì,6\1. Vedremo più oltre per il concetto di Z1)"'.0--:-;1"',

7~ Tradussi genericamente f artificio meccanico ~ perché vi si po­tessero comprendere ambedue gli esempi: 1. l'app'lrizione del carro alato donato a ::\ledea da Elio ond'ella potesse sfuggire alle mani dei nemici (Et·RIP. ~"led. 1317 sgg.); 2. l'apparizione di Atena in Il. II 155 sgg., la quale impedi, insieme lo' d'uccordo con Odisseo, la partenza dei Greci da Troia.

,D È irrazionale, secondo Aristotele, che Edipo non fosse mai riuscito a sapere come mori Laio. Cfr. 24. 1460 a 30.

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228 POdica, 15.16, 1454 b

IO individuo, ne disegnano un ritratto che, senza venir meno alla somiglianza, è tuttavia più bello dell'originale. E cosÌ anche il poeta che voglia riprodurre persone o troppo facili all'ira o troppo remissive o con altrettali infermità di carattere, deve, pur conser­vando in loro codesti tratti speciali, improntarle a una conveniente nobiltà e grandezza. C n esempio [del modo come può essere idealmente raffigurato] un carattere duro e caparbio ce lo offre il tipo di Achille in Agatone e in Omero.

15 Questi principi è bene che il poeta li abbia sempre presenti; ma oltre questi è anche bene egli tenga conto di certe norme che si determinano relativamente alle impressioni del pubblico, - e s'intende che io parlo solo di quelle impressioni che sono direttamente connesse con la sua arte di pOt"ta; - perché non è difficile anche sotto questo rispetto cadere in parecchi errori. 1\1a di ciò è stato discorso abbastanza negli scritti che ho già pubblicati 80.

16.

Che cosa sia in genere il riconoscimento è stato detto più 20 innanzi 111; le sue diverse specie sono le seguenti. La prima, che

è fra tutte la meno artistica e della quale pur fanno uso grandis­simo i poeti quando non sanno trovare di meglio, è il riconosci­mento mediante segni. Di questi segni, alcuni sono congeniti, come, per esempio, (l la lancia,. che portano [impressa sul corpo gli Sparti] * nati dalla terra »; o come CI le stelle j) di cui si vale Carcino nel Tiesfe; altri sono acquisiti: e di questi, alcuni sono nel corpo, come le cicatrici, altri fuori del corpo, per esempio, le collane, o come quella barchetta onde avviene il riconoscimento

25 nella Tiro [di Sofocle]. Anche di questi segni ci si può servir bene e ci si può servir male: Odis..o:;eo, per esempio, mediante la cicatrice, in un modo fu riconosciuto dalla nutrice e in un modo

lIlI Appunto, nel dialogo oggi perduto :-:&F~ :-:Ol1jTt~~. 81 In 11. 1452 a 30 sgg. E sull'importanza in genere di questo ele­

mento nella struttura di una tragedia cfr. 6. 1450 a 37, e soprnttutto lI. 1453b 28 sgg.

P .. /Ua, 16, 1454 b-1455 a 229

dai porcai 81. E in verità quei riconoscimenti nei quali il segno {­adoperato consapevolmente come mezzo di persuasione, sono meno artistici di altri, e così in genere tutti quelli che avvengono in questo modo; quelli invece che càpitano inaspettatamente, come il riconoscimento [di Odisseo] nella scena del bagno", questi sono migliori. La seconda forma comprende quei riconosci· 30 menti che sono creati artificialmente dal poeta, e perciò non sono artistici: per esempio, il modo come [Oreste] nella Ifigenia [in TauriJe di Euripide] dette a riconoscere che era Oreste. Di fatti. mentre Ifigenia si dà a riconoscere per mezzo della lettera, Oreste invece dice da se stesso [che è Oreste], come appunto volle il poeta e non il mito. Perciò questa forma di riconoscimento si 35 avvicina in certo modo al difetto che notai più sopra: e in vero Oreate avrebbe pur potuto avere anche lui qualche segno [per farsi riconoscere]. Un altro esempio di questo genere è la * voce della spola, nel TeTto di Sofocle. La terza forma di riconosci­mento è quella che si ha mediante la memoria, in quanto cioè una persona, per cosa che veda [o oda], prorompe in una manife­stazione del proprio sentimento [, onde si rivela]. Cosi nei Cipri; 1"35.

di Diceogene, dove [Teucro], alla vista del quadro, dette in uno scoppio di pianto; e cosi nell'episodio di Alcinoo, dove [Odisseo], all'udire il citarista, si ricordò de' suoi casi e pianse: e in tal modo l'uno e l'altro furono riconosciuti. La quarta forma è quella che nasCe da un ragionamento. Per esempio, nelle Coefore [di Eschilo, Elettra ragiona cosi]: • È giunto uno che mi sç>miglia; ma nessuno 5 mi somiglia eccetto Oreste: dunque è Oreste che è giunto,. 84.

It Cioè, bene nel primo modo e male nel secondo, com'è chiarito da ciò che scgue. Nella scena del bagno, Od. XIX 386 sgg., Odil'Jeo è riconosciuto dalla nutrice Euriclea contro la propria volontà, perciò il riconoscimento accade inaspettatamente; più tardi invece è lo steASO Odil&eo che ha interesse a farsi riconoscere dal porcaio Eumeo e dal bovaro Filetio (Od. XXI 193 sgg.), e appunto perciò, 1t{(Jte~ lwxcr:, mostra egli stesso la propria cicatrice.

U Su questo modo di citare Omero (iv TQiC; Ni.1tTpOlC;, come più sotto Cv 'A).x(vou ci1toÀ6y~) vedi nota 146.

h Veramente in Eschilo (Ch~ph. 168 sgg.) Elettra non ragiona proprio cosi: la veste sillogistica è tutta e solo di Aristotele. Il quale per altro è singolare che non abbia seguito, a proposito di questo riconosci­mento, l'aperto biasimo di Euripide in El. 520 sgg.

"

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230 Poetica, 16, 1455 a

Dello stesso genere è il riconoscimento che immagina per la [sua] Ifigenia il sofista Poliido: e di fatti era naturale che Oreste ragio­nasse in questo modo: ~ La mia sorella fu sacrificata, e così tocca a me ora di essere sacrificato *. lin altro esempio è nel Ttdeo di Teodette, dove [il padre] dice: « Venni per trovare mio figlio,

1 O ed ecco che io stesso devo morire ,.. E un altro è nei Finidi, dove [le donne], alla vista del luogo, argomentarono il proprio destino e dissero: t Qui fummo esposte, e qui dunque è nostro destino morire •. C'è poi anche una forma composita di riconoscimento, la quale involge un paralogismo da parte degli spettatori; come avviene nell'Odisseo il falso messaggero. Infatti. che solamente Odisseo fosse capace di tendere l'arco e nessun altro, questo è ciò che è voluto dalla immaginazione del poeta, e anzi è il pre­supposto centrale del dramma; anche se [a un certo punto del­l'azione] Odisseo diceva che avrebbe riconosciuto l'arco, il quale [, non essendo Odisseo,] non poteva aver visto. Ora, l'avere im­maginato che Odisseo si faccia riconoscere mediante questo mezzo

15 [del tendere l'arco], mentre avrebbe dovuto mediante l'altro [del riconoscimento dell'arco], questo è paralogismo 85.

::\Ia, fra tutte, la miglior forma di riconoscimento è quella che scaturisce dalle vicende dell'azione medesima 86, quando cioè ci colpisce inaspettatamente e al tempo stesso avviene per cause verosimili, come nell'Edipo [re] di Sofocle e nell'Ifigenia [in Tau-

It> Leggo secondo l'edizione del Margoliouth (eccetto l'emendamento del Tkatsch di '!6 in -:6v), il quale introdusse per la prima volta nel testo della Poetica due linee che solo un manoscritto del XIV secolo, il Ric~ cardiano 46, conserva, e che, cadute per omoiotelèuto della parola T6~ov dal rimanente della tradizione manoscritta, erano state sempre trascu­rate. Il supplemento è anche d'accordo con la versione araba. Trascrivo per comodità il testo (1455 a 14-16) indicando con due segni il passo in­tegrato: Tbv !lÈv yàp TÒ "!6çov I tvU[veLv, ruov 8È: j-lT,8tvlX, 1tt:1tQL7J!.1.tvov Ul't'Ò 'tOU 1'tOl7J"!OU XGd \m66tO'lç, x:d Et yt: ,à ,0;0'01 ! ltp7J YVWO'e:a02l o

• 1.' _1.~" ~.,., ~" " -(,,')1. ~WplXXt:l, TU ot wç OL EXELVO'.J Ct\I2yvWPlI'JUV'rI'JC; 6L2 "!O'J1'rJ') r:rnllO'IXL, ;-:-~cù..oyLO'tL~. Si tratta, a quel che pare, di un dramma che dovette avere per argomento l'uccisione dei Proci. Odisseo v'è introdotto in veste di falso messaggero.

81 Cfr. lO. 1452 a 19; 11. 1452 a 37 sgg.; 14. 1453 b 2; 15. 14S4 a 37; e altrove.

Poetica, 16-17, 1455 a 231

ride di Euripide] 87; e difatti era naturale che Ifigenia desiderasse· di far arrivare una sua lettera [ad Argo]. Casi di riconoscimento come questi 50no gli unici che non dipendano da artifici di segni e di collane. Yengono in second'ordine i riconoscimenti chl' dcri- 20 \"ano da un ragionamento.

17.

~el comporre le sue favole e specialmente nel dare a ciascun personaggio la propria espressione verbale, bisogna che il poeta si ponga quanto più è possibile dinanzi agli occhi lo svolgimento dell'azione. Perché così, vedendo ogni cosa nella più chiara luce come se fosse presente egli stesso allo svolgersi di quegli avveni­menti, potrà trovare ciò che conviene e molto difficilmente gli 25 sfuggiranno errori di incoerenza. Cna prova di ciò che dico è il rimprovero che si faceva al poeta Carcino: il suo Amfiarao ritor­nava fuori del tempio [quando ancora avrebbe dovuto esser Jxntro]; e questo sfuggì al poeta che non s'era ben raffigurati dinanzi agli occhi la scena e il suo effetto teatrale; e così il dramma alla rappresentazione cadde perché gli spettatori furono infastiditi di quell'errore !lB. E bisogna che il poeta, per quanto può, si im-

~; Per Oed. rex 1110 sgg., cfr. 11. 1452 a 25. a 31. Per lph. Taur. 582 sgg., 72i sgg., cfr. 11. 1452 b 6 sgg_; 14. 1454 a 7; 16. 1454 h 31 sgg.: da non confondere, dunque, della lfigtl1ia Taurica, questo primo ricono­scimento, di Ifigenia riconosciuta da Oreste, COn l'altro. 791 sgg., dì Oreste riconosciuto da Ifigenia; lodato il primo, riprovato il secondo.

8& La lezione e quindi la traduzione e l'interpretazione di questo brano saranno sempre incerte finché non si abbiano altre notizie su questa tragedia e su questo episodio. Probabilmente il tempio è il luogo dove Amfiarao si era nascosto per non partecipare alla guerra dei Sette contro Tehe. ln_ ogni modo, quello che a mc pare meno dubbio è; 1. che il [lY, ;JP(';)\I-:-:X rice\'e luce dal precedente 6 (sciI. ;:m1Jr1):;! OP(';)v e che quindi si riferisca al poeta e non allo spettatore; 2. che non si può trattare, come alcuni credettero, per esempio il Gomperz, di un puro e semplice errore di disillusione scenica, in quanto l'attore che doveva far la parte di Am­tlarao sarebbe uscito dal tempio per assumere un'altra parte; bensì di un vero e proprio errore di concezione o costruzione poetica (ché a questo intende tutto il capitolo e non alla ij,~~:; o materiale rappresentazione), cioè di uno di quegli errori di incoerenza di cui discorre la Poetica in più

-

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Poetica, 17, 1455 a-b

.10 medesimi perfino negli atteggiamenti de' suoi personaggi. Infatti i poeti che riescono più persuasivi sono quelli che, movendo da una eguale disposizione di animo coi loro personaggi, vivono di volta in volta le stesse passioni che vogliono rappresentare: cosic­ché, per esempio, con molto maggior verità riuscirà a rappre­sentare un animo in tempesta chi abbia l'animo in tempesta, un animo adirato chi si senta adirato. E perciò il poetare i: proprio di colui che ha da natura o una versatile genialità o un tempera­mento entusiastico ed esaltato; gli uni per la loro duttile c facil­mente plasmabile natura, gli altri per l'estasi che li rapisce.

Quanto poi agli argomenti delle tragedie 89, sÌ quelli che già 1455 h furono trattati da altri, sÌ quelli di sua propria invenzione, è bene

che il poeta anzi tutto se li proponga come schemi generali; dopo ciò, li distribuisca in episodi e dia loro il necessario svolgimento. Or ecco come io credo si possa guardare un argomento nel suo schema generale. Prendiamo per esempio l'argomento della Ifi­genia [Taurica dì Euripide]. Cna giovinetta è offerta in sacrificio; a un tratto misteriosamente scompare dagli occhi dei sacrifica tori ed è trasportata in altro luogo dove è costume sacrificare alla divi-

5 nità tutti gli stranieri che vi capitano. E la giovinetta diviene sacerdotessa di cotesta divinità. Dopo qualche tempo si dà il caso che a quel luogo giunge proprio il fratello della sacerdotessa. ::\1a si noti: che di recarsi colà gliel' ordinò per qualche ragione l'oracolo di Apollo, e per qual fine egli vi $i recò, tutto questo è fuori dello schema generale della tragedia. Dunque, giunto egli colà e fatto prigioniero, già stava per essere sacrificato allorché dette a riconoscere chi era; e il riconoscimento poté avvenire o

luoghi, sia che esso derivasse da una contraddizione fra l'uscita di Am­fiarao dal tempio e gli avvenimenti che intanto si venivano svolgendo, come proposi in via provvisoria e complementare traducendo, o da altro. Consen'ando la lezione ::\.1ss hisogna intendere -:òv eta~v complemento oggetto di OpWV1'IX, ed è costruzione ambigua; sospctto che -rov EltlX-n;V, lezione già implicita nella versione araba, sia un'antica glossa marginale inseritasi nel testo (cfr. la linea seguente) al luogo di un -:6 OtlX-:pOV, nel senso di , pubblico~. t spettatori', come in 1453 a 33, 1455 a 13,

~II Leggo -:ovç ai:. Il -:oòç è di n, e anche il 8t sembra risalire a tra­dizione manoscritta (cfr. Susemihl ad loc.). Il -:t è dovuto a errato con­giungimento col XCl( seguente, mentre sono i due x!X[ che dc\'ono esser congiunti fra loro.

Portica, 17-18, 1455 b '3" . , nel modo che immaginò Euripide o in quello che immaginò 10 Poliido: e in verità era ben naturale che colui esclamasse: l< Dunque non la mia sorella soltanto, ma anch'io ero destinato al sacrificio! ~.

E di qui la sua salvezza. Dopo cio, e dati onnai i loro nomi ai personaggi, si distribuisce il materiale in episodi; ma gli episodi devono essere tutti intimamente collegati con l'azione drammatica, come, per esempio, nel caso di Oreste, l'episodio della pazzia, che fu la cagione del suo arn.-sto, e quello della purificazione, da cui derivò la sua salvezza.

::\lentre pero nei drammi gli episodi devono essere [relativa~ 15 mente] concisi, l'epopea invece riceve da questi una sua consi­derevole estensione 9Q. Per esempio, l'argomento generale del­l'Odissea non sarebbe di per sé molto lungo. Un uomo vive per molti anni lontano dalla patria; Poseidone è sempre in agguato con-tro di lui; ed egli [, perduti i compagni,] è rimasto solo. Intanto le condizioni di casa sua sono queste, che i suoi beni glieli vengono dissipando i pretendenti della moglie, e anche suo figlio è da 20 costoro insidiato e minacciato. ::\1a ecco che, dopo sofferta ogni calamità, giunge finalmente in patria; e, fattosi riconoscere egli stesso da alcune persone 91, assale senz'altro i suoi nemici, ed egli è salvo e i nemici distrutti 92. Questa è la parte propriamente essenziale dell'Odissea; il resto sono episodi.

18.

In ogni tragedia sono da distinguere il nodo e lo scioglimento. Tutti quei casi che sono estranei all'azione propriamente detta, e spesso anche taluni di quelli che fanno parte dì essa azione,

N Cfr. 5. 1449 b 12 sgg., dove è già una prima comparazione fra tragedia ed epopea dal punto di vista della lunghezza; e più oltre, 24. 1459 b 17 sgg.

9l Cfr. per questi riconoscimenti 16. 1454 b 26 sgg. Qui Aristotele più specialmente ricorda Od. XXI 193 s~g., quando Odisseo si fa rico­noscere "olontariamente dal porcaro Eumeo e dal bovaro Filctio; e su­bito dopo assale i Proci.

9~ Ecco la duplice fine dell'Odissea in 13. 1453 a 31.

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Pot!liCQ, 18, 1455 h

costituiscono il nodo; il resto è lo scioglimento 93. In altre parole, 25 chiamo nodo quella serie di casi che vanno da ciò che si prende

come principio della favola 94 fino a quel punto della tragedia da cui immediatamente si inizia la mutazione [da uno stato di infe­licità] a uno stato di felicità o viceversa; e chiamo scioglimento quella serie di casi che vanno dal principio di codesta mutazione sino alla fine. Così, per esempio, nel Linceo di Teodette 95 il nodo

30 comprende nOn solo gli avvenimenti anteriori dell'azione ma , anche l'arresto del figlio e quindi <la scoperta) di codesti avve­nimenti 96; lo scioglimento va dall'accusa di morte fino alla fine.

Ci sono quattro diverse specie di tragedia, secondo che pre­valga l'uno o l'altro dei quattro elementi che già sono stati de­scritti 97. Primo, v' è la tragedia complessa, in cui sono tutto la

$3 Per questi casi "t"à: l~wlkv cfr. 14, 1453 b .10, 17. 1455 b 9. Pos­sono anche trovarsi nel dramma stesso, ma come narrati, non come rap­presentati. Sono, in sostanza, ciò che noi diciamo l'antefatto, Ho man­tenuta, traducendo, la posizione di 1tollixtç.

H Non. dal principio _, ma da quel punto che in una data sf'rie di avvenimenti si può prendere come principio: cfr, 7. 1450 b 28. E si ca­pisce che l'&.PX'''; vi~ne a cadere di solito nei -:ti lç<>l6CY, cioè fuori della traBedia.

n Cfr. 11. 1452 a 28. M Luogo corrotto. L'emendamento più comunemente accolto, i)

or:ÙTW'\I 8i)()..wa~ç, ÀUO'Lç 8' 7;) (Christ, Gomperz; il supplemento À1JO'~ç a' ~ è anche in un Ms), sembrerebbe confermato dalla versione araba (. atque etiam ea quae manifestavit, dissolutio autem illa~: Tkatsch) e giustificahile paleograficamente. Il guaio è che di questa tragedia non abbiamo altra notizia che qui e nel luogo ricordato sopra,

(07 Tutto questo brano (Tpor:)'~8llXC; aL ... !'II ~aou) è oscurato da grande incertezza. Le difficoltà fondamentali sono due: la prima è che non sap­piamo di certo a qual luogo della Poeh·ca riferire le parole Toaor:Gu '"o

T. J..L. tÀéxfhJ, la seconda è la lacuna dopo TéTa,pTO'\l. Rispetto alla pri~a difficoltà non è possibile, per quanti sforzi si facciano, pensare a quattro dei sei elementi enumerati in 1450 a 9. Del resto, di questi quattro, tre sono indicati qui stesso esplicitamente: 1. peripezia e riconoscimento, di cui si ragiona nei capp, 10, 11 e 16; 2. il r.ci60ç, di cui vedi 11. 1452 b 11 sgg., e in genere il cap. 13; 3. 1'~60ç, di cui il cap. 15; tutti tre costi­tuisCono e definiscono, rispettivamente, la tragedia complessa, la tragedia catastrofica e quella di carattere, Qual è la quarta specie, o daoc;, della tragedia, e quindi il suo quarto elemento, o !lÉpoç? Qui è la seCOnda e più grave difficoltà. È facile supporre che la quarta specie sia la tragedia semplice, &:7t'ì,~, e che quindi il quarto J..LÉpc.ç, piuttosto che elemento po-

Poetica, 18, 1455 b-1456 a

peripezia e il riconoscimento; poi, v'è la tragedia catastrofilJ., come gli Aiaci e gli lssioni; terzo, v'è la tragedia di carattere, come le Ftiotidi e il Pe/eo; quarto, v'è la tragedia spettacolo, come 14;6 a le Forcidi, il Prometeo, e in genere tutte quelle la cui azione si

sitivo, sia elemento negativo, perché è proprio la mancanza della peri­pezia e del riconoscimento ,che costituisce e definisce la tragedia semplice, com'è detto in lO. 1452 a 25 sgg. E tanto più facile e sicuro apparisce l'integramento TÒ Bi: U"l'Clp":'O'\l <~ a7t'À7j), già suggerito da Susemihl e accettato da gran parte degli editori in quanto questa quadruplice parti­zione degli da-I) della tragedia è confermata datlo stesso Aristotele dove, parlando degli ela7J del poema epico, dice che sono i medesimi della tra­gedia ed enumera appunto questi quattro, cX1t'Àij, 1t'E1tÀr(~, ij6txl), r."Cl6'fJ·nxi) (24. 1459 b 9-10). Se non che contro questa integrazione ci sono obiezioni. Anzi tutto, il mancato riferimento a un positivo !lépo~, come per le altre tre specie. Sopra tutto, ragioni paleografiche. I due Mss più autorevoli della Poetica, il Parisino 1741 e il Riccardiano 46, leggono tutti due .t't'lXp't'O'\l o"IJC; oro'\l; e il Laurenziano XXX 14 legge ouu:rO'\l, che è lezione evidentemente congetturale e interpretatrice del non comprensibile o7Jç 010'\1. Dunque in O7JC; si cela la parola giusta; la quale nOn può essere +. a1t'Àij. Anche in altro luogo della Poetica, in 21. 1458 a 6, i Mss hanno or,c;, che è sicuramente da leggere 6q,1I;, glossa della parola 6q" la quale va restituita nel testo. E il Bywater, movendo da questo raffronto, integra, o, meglio legge "t"hlXfl'tOV 64~ç OrO'\l, La lettura appare, se non certa, prohabilissima. Dunque il quarto elemento è la 6W~ç; e la quarta specie della tragedia, mancando ad Aristotele come per gli altri tre casi l'Rggettivo corrispondente, è la tragedia 64tç, la tragedia spettacolo. Sta bene. Ma noi non possiamo con ciò rinunciare a tutto il ragionamento precedente. E allora dobbiamo dire che la tragedia 64tC; è la tragedia a1t),ij. O tragedia o epopea, se prevalgono peripezia e ricono­scimento, l'una e l'altra è 1t'E1tÀ("'(J..LÉvl); se prevale 1ta.60ç, l'una e l'altra è 1t'cx6r,"t"tx~; se prevale -JjOCX;, l'una e l'altra è ij!hxi): ma se non prevalgono né 1t!Ì60ç né ~Ooç, e mancano addirittura peripezia e riconoscimento, la tragedia si distingue prinçipalmente per lo spettacolo scenico, che le rimane come suo elemento positivo e prevalente, ed è tragedia 6q,~ç; la epopea è semplicemente, né altro può essere, che epopea cX1t'À7j, In so­stanza, tolto il punto di vista speciale di ciascuna, l'una definizione vale l'altia. E le due enumerazioni sono identiche. Solo che qui, rispetto alla tragedia, la enumerazione è in ordine gerarchico: eccellente su tutte la tragedia complessa; subito dopo viene la catastrofica; terza la tragedia di carattere (cfr. 6. 1450 a 24 sgg., sul minor -valore di questo elemento nella tragedia); ultima la tragedia spettacolo, perché la 6q,tC;, com'è detto e ripetuto più volte (cfr. 1450 b 17, 14. 1453 b 1 sgg.), è elemento del tutto esterno e secondario. Anche si capisce che queste quattro specie, come avverte più oltre lo stesso Aristotele, non si escludono reciproca-

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236 Po~tica, 18, 1456 a

s\'olge _nell'Ade 98. Sarebbe bene che il poeta si sforzasse quanto più può di riunire insieme tutti questi elementi; e, se non è possi~ bile tutti, almeno i più importanti e la maggior parte: tanto più oggi che i poeti sono presi di mira dalla critica, e si pretende,

5 poiché ci furono un tempo poeti valentissimi ciascuno nel suo genere, che un poeta sorpassi egli solo quei diversi gradi di va~

lentia che erano proprii di ciascuno dei suoi predecessori. Ora è giusto dire che due tragedie per nessun altro motivo sono tra loro simili o dissimili come per il mito~ ma s'intenda bene, quando siano simili o dissimili il nodo e lo scioglimento. ::\oroIti riesl,;ono bene ad annodare un intreccio, e poi lo sciolgono male: e invece bisogna che nodo e scioglimento siano bene accordati tutti due 99.

mente se non la prima e la quarta e solo in quanto la quarta sia conside­rata non come 5~~~ ma come a.1t'Àlj; e i quattro elementi possono tro­varsi anche tutti quattro variamente combinati in una tragedia medesima, la cui definizione specifica è data soltanto dal prevalere di uno su gli altri tre.

~8 Queste ultime parole indicano senza più alcun dubbio che Ari­stotele non intese riferirsi nella esemplificazione a tragedie speciali di speciali autori, ma a gruppi di tragedie di speciale argomento. Cosicché, anche quando egli sembra alludere o di fatto allude a una tragedia singola, ciò significa solo che, nella sua memoria, o il ricordo di quella tragedia, sempre s'intende da quel medesimo punto di vista, era unico, o era pre~ valso su le altre dello stesso argomento o di argomento affine; e che quindi in quella tragedia egli vedeva come un saggio di tutte le altre che potevano nascere da una medesima o simile struttura mitica. Pertanto questa clas~ sificazione importa sì una graduatoria delle quattro specie, ma in rapporto alle maggiori o minori possibilità di sviluppo tragico di certi miti, non al maggiore o minor valore effettivo di certe tragedie.

~9 La maggior parte degli editori trasportano questo brano 8tx(uov ..... a>J'(Xp,. .. T€i'a6a.~ più indietro, dopo 1455 b 33. Non mi pare. Dalla prece­dente classificazione, e massime dal modo della esemplificazione, poteva credersi che il mito, la favola, l'argomento, fossero un criterio di valu­tazione e quindi di distinzione di una tragedia da un'altra: né ciò del resto dové esser infrequente presso i critici d'allora, data la non grande varietà nel contenuto delle tragedie e la facilità dei rapporti da un simile punto di vista. Dna dei luoghi più comuni nelle u1toOéO'E:~ç delle tragedie era appunto questo, notare se il mito era stato già trattato da altri oppure no. Ora è questo pensiero che Aristotele vuoi precisare. Che due tra~

gedie trattino il mito di Aiace e siano perciò ambedue 1t'a.Eh)'nxa.( è una constatazione di fatto sulla natura del mito e sulle sue possibilità tragiche. non un giudizio di valore su codel!lte tragedie propriamente dette e di-

Poetica, 18, 1456 a 217

Bisogna anche ricordare quello che ho già detto più d'una IO volta 100, che cioè non si deve fare una tragedia di un componi~ mento epico, ~ chiamo componimento epico quello che contiene in sé più miti 101, - come se uno, per esempio, volesse fare una sola tragedia di tutto il materiale epico dell'Iliade. Nel poema epico, a cagione della sua estensione, ogni parte può avere il suo conveniente sviluppo; ma nelle azioni drammatiche la cosa sor­passerebbe molto i limiti di ciò che in genere concepiamo come azione drammatica. Ed eccone la prova: tutti coloro i quali si 15 accinsero a ridurre in una tragedia unica tutta la storia della di~ struzione di Ilio, c non in una serie di tragedie come fece Euripide; o vollero drammatizzare [tutto intero il mito di] Niobe, e non [una parte soltanto] come fece Eschilo; costoro, nei concorsi drammatici, o caddero addirittura, o riuscirono malamente: tanto che anche Agatone [alla rappresentazione di un suo dramma] cadde; e cadde proprio e unicamente per questo. Eppure questi poeti nei loro drammi con peripezia, come in quelli con azione 20 semplice, si sforzano con mirabile abilità di raggiungere il fine a cui aspirano, che è appunto di creare situazioni le quali siano tragiche e al tempo stesso soddisfino il gusto del pubblico: e questo è possibile allorché, per esempio, pongano in scena un uomo astuto ma perverso che è tratto in inganno, come Sisifo: o un uomo forte ma ingiusto che è vinto. Anche questi possono

stinte. Il giudizio di valore incomincia dall'esame del modo come cotesti elementi, carattere, catastrofe ecc., sono singolarmente adoperati e ri­spettivamente combinati. I miti tradizionali, disse Aristotele più avanti (14. 1453 b 21), bisogna lasciarli stare nelle loro linee generali come sono; ma il poeta deve pur avere un suo modo personale di servirsene bellamente. Il nodo e lo scioglimento, in quanto riflettono questo perso­nale atteggiamento del poeta sulla materia tradizionale, forniscono essi gli elementi per un giudizio di valore; per essi soltanto si potrà dire se due tragedie che trattino lo stesso mito, che siano per esempio egual­mente 'Ììe~"-a.i, anche siano nella loro realtà artistica simili o dissimili e, parallelamente, quale delle due o se tutte due buone o non buone.

100 Precisamente cosÌ non è detto altrove, ma bastano espressioni e pensieri come in 5. 1449 bIO, 9. 1451 b 33, 17. 1455 b 16, per giu· stificare il richiamo aristotelico. Il collegamento con ciò che segue e pre· cede è sempre la scelta dell'argomento.

101 Cioè argomenti non di una ma di più tragedie: cfr. 26. 1462 b ~. ma vedi anche 23. 1459 b 4.

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238 Poetica, 18-19, 1456 a-h

essere casi verisimili; al modo che intende Agatone quando dice che è pur verisimile succedano spesse volte cose anche non "eri­simili,

25 QuaQ-to al coro, bisogna considerarlo come uno dei perso-naggi del dramma; e deve essere parte integrale del tutto c deve partecipare all'azione; non come in Euripide, ma come in Sofode. !'\e' poeti posteriori le parti cantate hanno che fare con lo svolgi­mento della tragedia cui appartengono non più che con quello di una qualunque altra tragedia. Perciò oggi usano cantare in­termezzi, e il primo a darne l'esempio è stato Agatone. Ehbene,

30 domando, che differenza c'è tra il cantare intermezzi e il traspor­tare e adattare da una tragedia in un'altra una parlata o addirit­tura un intero episodio? 102

19.

Così, dunque, degli altri elementi costitutivi della tragedia ormai è stato discusso 103; rimane a dire della elocuzione c dci pensiero. Quanto al pensiero, quello chc in generale se ne dovrebbe dire sarà a suo posto nei libri della Retorica, perché è argomento

35 che più direttamente appartiene a quella disciplina; qui basterà notare questo, che rientrano nel dominio del pensiero tutti quegli effetti che devono esser prodotti mediante la parola. Sono sue parti il dimostrare e il confutare, il destare emozioni, come la

H5tl b pietà il terrore l'ira e simili, e anche l'accrescere e il diminuire il valore delle cose. Ora è chiaro che, anche nell'azione [pura e semplice] 104, allorché si debbono suscitare sentimenti di pietà o

102 Dunque Aristotele vuoI tornare all'antico; se non proprio all'an­tico in cui il coro era tutto, almeno all'antico del più recente Eschilo o di Sofocle, quando ancora il coro era parte integrale dell 'azione. Anche in scnttori posteriori e negli scoli asti è facile trovar traccia di questo cri­ticismo (cfr. il mio La critica letteraria di DiOft(> Crisostomo, Bologna 1912, p. 66).

103 Dell' ~Ooç nel cap. 15; del !-lùOo:;- nei capp. 7-11 e, possiamo ag­giungere, nei capp. 13-14, 16-18. La 8'~~ç e 'a !-l€),Q~l)d~ sono, come fu detto (6. 1450 h 16 sgg.), clementi estrinseci alla poetica propriamente detta; a ogni modo per la 6if~ç cfr, anche 18. 1456 a 3.

104 Come in 6. 1450 a 1, Aristotele notò che anche le azioni hanno

Poetica, 19, 1456 b

di terrore, o produrre impressioni di grandezza o di verisimiglianza, bisognerà valersi di quegli stessi principi [di cui si vale il discorso]: l'unica differenza è questa, che, nell'azione [pura e semplice], codesti sentimenti o impressioni debbono rivelarsi in piena luce 5 da sé, senza bisogno di nessuna interpretazione verbale; nel di­scorso, invece, debbono esser prodotti da colui che parla, e anzi debbono svolgersi conseguentemente alla sua parola. A che si ridurrebbe infatti il compito di chi parla, se le azioni apparissero piacevoli per se stesse 105 e non mediante la parola?

Dei problemi che riguardano la elocuzione ce n'è uno che, sotto un certo aspetto, sembra rientrare nella nostra ricerca, ed è quello che tratta dci vari modi di espressione nel linguaggio [parlato). Se non che, la conoscenza di questo argomento è più 10

propria dell'arte declamatoria e in particolare di colui che di quest'arte fa professione; come, per esempio, sapere che diffe­renza c'è tra comando e preghiera, tra una [semplice] esposizione e una minaccia, tra domanda e risposta, e così via. AI poeta, in quanto poeta, per il conoscere o non conoscere queste distinzioni non è stata mai fatta dai critici alcuna censura che fosse degna di considerazione. Come si può ammettere, per citare un esempio, 15 che ci sia errore in quel punto dell'Iliade censurato da Protagora. il quale affermava che Omero, mentre aveva in mente di fare una preghiera, dà un ordine, quando diee

L'ira {".anta, o dea,

perché, diceva Protagora, l'ordinare di eseguire o di alcunché è çomando?

. non esegUire

Perciò lasciamo da parte questa ricerca, come quella che ap­partiene ad altra arte e non alla poetica propriamente detta.

una lor propria qualità, e in 15, 1454 a 18, a proposito dell' f.Ooç, distinse una espressione etica del )..6"(oç e una della T:"pi~~ç, così qui egli distingue

~ ... '" 'l' una o~:X\lmct. E\I 7tp:X"(!-l:xaw e una ~'h(x\lf)~ct. €V ,rj"':,o~ç,

10~ Leggo 1;oict senz'altro, lezione dei l\Iss conservata dal ::\Iargoliouth e confermata dall'Arabo. E qui 7j8b: si riferisce evidentemente a quella specie di ~8ov+, che il poeta deve produrre mediante la mimèsi tragica; cfr. 13. 1453 a 35, 14. 1453 b 10-12, 26.1462 b 13, e :Iltro\'c.

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240 Poetica, 20, 1456 b·14S 7 Il

20.

20 Della elocuzione in genere si distinguono le seguenti parti: lettera, sillaba, particella congiunti\'a ,'~o, articolazione, nome, verbo, caso, proposizione.

La lettera è una voce indivisibile; non però una voce indivisi­bile qualunque, bensì quella che per propria natura può divenire elemento di una voce intelligibile: voci indivisi bili ne emettono anche le bestie, ma nessuna di queste voci è una lettera come io

25 intendo. Di queste lettere ci sono tre specie: la vocale, la semi­vocale e la muta. La vocale è quella lettera che ha suono udibile senza bisogno di nessun incontro speciale [né della lingua né delle labbra J; semivocale è quella che ha suono udibile mediante uno speciale incontro [della lingua o delle labbra], come il ~ c il P; muta è quella che, pur con speciali incontri [della lingua o delle labbra], non ha per se stessa alcun suono e diventa udibile

30 solo con l'aggiunta di elementi che hanno suono, come il r e il ~. Queste lettere poi differiscono tra loro in vario modo: e cioè, primo, rispetto alle varie forme che assume la bocca; secondo. rispetto ai diversi punti della bocca in cui il suono si produce; terzo, in quanto possono essere aspirate, tenui e medie; quarto. in quanto possono essere lunghe, brevi e ancipiti; e finalmente, quinto, in quanto possono avere accento acuto, grave e circon­flesso. :\:Ia dei dettagli di questa materia devono occuparsi gli studiosi di metrica.

35 La sillaba è una voce senza significato, composta di un ele-mento che non ha suono [- muta] e di uno che ha suono [= vo­cale o semivocaleJ. Infatti il gruppo rp anche senza l'A è sillaba, allo stesso modo che con l'A come rPA. ::\la anche la ricerca di queste differenti specie di sillabe appartiene alla metrica.

1457 a La particella congiuntiva è una voce senza significato la quale né impedisce né contribuisce che da un gruppo di più voci si formi un 'unica voce significativa; la sua posizione naturale è o alle due estremità della proposizione [principio e fine], o nel mezzo; ma al principio non può stare se la proposizione si consi­deri a sé [e non legata ad altra precedente1: per esempio, !-LÉv. ~"':Ol, ~é; oppure, è una voce senza significato, la quale, da du~

Poetica, 20, 1457 a 24\

o più voci significative, è capace per sua natura di formare un' unica 5 voce significativa: <per esempio".; oppure) è una voce senza significato, la quale indica o il principio o la fine o un punto di divisione della proposizione: per esempio, &.iL~(, '7ttpL e così via.

Il nome è una voce significativa composta; non contiene idea lO di tempo; nessuna del.le parti che lo compongono, presa per Be

stessa, ha significato. Per esempio nei nomi costituiti di due ele­menti, noi non possiamo valerci dell'uno o dell'altro di cotesti elementi come se anche avessero ciascuno un significato per sé solo: cosÌ nel nome . Deodato' la voce . dato' non significa

• mente. Il verbo è una voce significativa composta; contiene idea di

tempo; nessuna della parti che lo compongono ha significato t 5 per se stessa, come s'è detto anche del nome. Per esempio, le parole' uomo', • bianco', non implicano idea alcuna di tempo; ma le parole' va', • è andato', aggiungono all'idea di • andare', quella, il concetto di presente, questa, di passato.

Il caso è proprio del nome e del verbo; e serve, o a indicare rapporti di genitivo, dativo [, per esempio, • dell'uomo', I aJ· l'uomo '], e altri simili; o a esprimere il numero singolare o plu­rale, per esempio, I uomini', • uomo'; o a rappresentare i vari 20

modi dell'espressione parlata, secondo che, per esempio, si fa una interrogazione o si dà un comando: cosi le forme • andò? " oppure I va! " sono casi del verbo • andare' da questo punto di

• Vista. La proposizione è una voce significativa composta, di cui al­

cune parti hanno significato per se stesse 11M. Invero non ogni proposizione è comp?sta [esclusivamente di parti significative, cioè] di verbi e di nomi; ci può esser benissimo una proposizione 25 senza verbi, come, per esempio, la definizione di uomo, e tuttavia anche questa avrà sempre qualche sua parte significativa per se stessa. Cosi, dunque, nella proposizione te Cleone cammina t,

106 ,Proposizione t, }("o:;, è parola che abbraccia tanto la proposi­zione più semplice, per esempio la definizione dl uomo (. animale ter­restre bipede l, Top. A 103 a 27; oppure t animale capace di conoscenza', Top. E 130 b R), quanto la proposizione più complessa, per esempio l'Iliad~.

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242 Poetica, 20-21, 1457 a-b

la parola 'Cleone' [ha senso di per sé], La proposizione può avere unità in due modi: o perchi: significhi una cosa sola, o perché, qualora sia costituita di più proposizioni-elementi, queste ricevono unità mediante particelle congiuntive. La Iliade è un esempio di proposizione che riceve unità mediante particelle con-

30 giunti ve ; la definizione di uomo è un esempio di proposizione che ha unità in quanto significa una cosa sola lOì.

21.

I nomi sono di due specie, o semplici o doppi. Dico semplici quelli che non risultano di elementi significativi, per esempio, yYj [terra]. Dei nomi doppi, alcuni sono composti di una parte significativa e di una non significativa; - si intende però che questa distinzione di parte significativa e non significativa nel nome composto non ha valore; - altri di due parti ambedue signi­ficative. Ci possono poi esser nomi composti di tre, di quattro e

35 anche di più elementi, come molti di quei nomi foggiati dai l\Iassalioti, per esempio, 'Ermo-caico-xanto'.

145i b Ogni nome, o è una parola d'uso comune, o è una parola fore-stiera, o è una metafora, o è una parola ornamentale, o è una parola coniata artificialmente, o è una parola allungata, o accorciata, o alterata.

Dico parola d'uso comune lOR quella di cui si valgono ordina­riamente tutte le genti [di un dato paese]; dico parola forestiera quella che è d'uso comune presso genti di altro paese. CosÌ è chiaro che una stessa parola può essere egualmente e forestiera

5 e comune; non però presso genti di uno stesso paese. Per esempio, cr~i"J'JOv [lancia] è parola comune per gli abitanti di Cipro, fore-

)()7 Cfr. A'I. posto B 93 b 35; }\Jetaph. H 1045 <I 13, doy'è ripetuto lo stesso esempio dell'Iliade.

108 Più esattamentc xùpw'J Q'I/(Jy.:x è Quello che i latini diccvano pro­priurn nQrnen, cioè l'appellativo ordinario di una data cosa, in opposizione Quindi con la metafora, che è un :iì;V~TpV~\I (j\lf.Jf.!.X. :'\'Ia qui è anche in opposizione al ;E".IlX')'I/ oV(J!-Lx, cioè alla parola forestiera o dial~ttale, alla y),t"";)T7X, e in generale a tutte le parole di forma c significato non ordi­nari; cfr. 22. 1458 a 19.

Poetica, 21, J.J57 b 243

stiera per noi <; allo stesso modo che la parola 3lpu [lancia] è comune per noi, forestiera per quei di Cipro) 109.

La metafora consiste nel trasferire a un oggetto il nome che i: proprio di un altro: e questo trasferimento avviene, o dal genere alla specie, o dalla specie al genere, o da specie a specie, o per analogia. {' n esempio di metafora dal genere alla specie è questo: 10

Quivi s'è fenna la mia nave;

perché 1'« essere ancorato )), Qp{.L~~v, è un modo speciale del ge­nerico ~(esser fermo», fcr'~'J~t 110. Dalla specie al genere, questo:

Ché mille e mille gloriose imprese ha Odisseo compiute 111 ;

dove « mille e mille f), fl'Jpb, vale « molte l), 7to)),:x; e appunto di questo termine specifico si è valso qui il poeta anziché del ge­nerico « molte I). Da specie a specie:

poi che con [l' arma di] bronzo attinsegli la vita ... ;

e anche:

poi che con [la coppa di] duro bronzo [l'acqua] ebbe . 112 reCIsa... .

Dove il poeta disse ::ÌpÙcrXl, « attingere l), invece di ':X{.Le~v, t~ ta- 15 gliare I), c tI tagliare I) per ti attingere~: e tutt'c due queste parole sono modi speciali del generico ::Ì?,;:j,zL'J, « toglier via l). Si ha poi la metafora per analogia quando, di quattro termini, il secondo, B, sta al primo, A, nello stesso rapporto che il quarto, D, sta al

I~ Si può restituire dall'Arabo la riga (lI.::tt 7r- Mpu -1:!-LL'J !-L~ X{jpLOV, K'jit'p~ot; (t,,:ip'.Jt~ Rost'lgni) Sè y).w~x>, caduta per omoiotcleuto della parola y).t;),,:,,:x (cfr. 16. 1455 a 14).

110 Od. I 185; X.XIV 308. m 11. 11 272. m Sembra che sieno tutt'e due citazioni dai KCl6xpy.oL di Empe­

docle.

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244 P~tica, 21, 1457 b

tt:rzo, C ~ perché allora, invece del secondo termine, B, si potrà usare il quarto, D, oppure invece del quarto, D, si potrà usare il secondo, B. Qualche volta anche si aggiunge il termine (o A o C) in rapporto al quale sta quello che è stato sostituito dalla meta-

20 fora (o B oD). Esempio: il termine • coppa' (B) è col termine • Dioniso' (A) nello stesso rapporto che il terrnine • scudo' (D) è col termine • Ares' (C). Il poeta dunque potrà dire che la , coppa' (B) è lo • scudo di Dioniso' (D + A), e che lo • scudo' (D) è la • coppa di Ares ' (B + C). Altro esempio: la' vecchiezza' (B) è con la • vita' (A) nello stesso rapporto che la • sera' (D) col' giorno' (C); perciò si potrà dire che la • sera' (D) è la • vec­chiezza del giorno' (B + C), oppure come disse Empedocle; e anche si potrà dire che la I vecchiezza' (B) è la I sera della vita'

25 (D + A) o il • tramonto della vita'. Talvolta, per alcuno dei terDÙni della proposizione, per esempio D, non esiste il nome d'accezione ordinaria il quale sia col suo corrispondente, B, in relazione analogica, e ciò nonostante si potrà avere egualmente la metafora. Per esempio, «lasciar cadere i chicchi del grano. si dice <rnctPCt'tl, «seminare.; ma l'atto di «lasciar cadere i raggi., detto del sole, non ha un suo nome speciale .. Tuttavia, questo, lasciar cadere i raggi t [, che non ha suo proprio nome,] (D) sta al • sole, (C) nello stesso rapporto che il • seminare, (B) sta a [e colui che lascia cadere] i chicchi del grano, (A), e

perciò fu detto

Di!seminando la divina fiamma 11'.

30 C'è poi anche un altro modo di adoperare questa specie ~i m,eta­fora, e cioè, chiamato un oggetto col nome che è propriO di un altro, aggiungere in forma negativa alcuna delle qualità che so~o naturalmente associate a codesto nome; come se uno, per esempiO, chiamasse «coppa t lo scudo, ma non dicesse [, come nel caso precedente,] ,la coppa di Ares t, bensì ~ la coppa senza vino.,

<La parola ornamentale ... ) a,.

111 • Utrum lyrici sit an tragici, incertum esse dicit Bergk [".1 qui <"A).tOl;) lIupplet.; Nauck, TGF', p. 856.

1U Mancano la definizione e la esemplificazione del )(OOI-L0';. Secondo il Margoliouth, 8e ho inteso bene, non mancherebbe niente perché questa

Pudica, 11, 1457 b-1458 a 245

Parola coniata artificialmente è quella che non fu mai adope­rata prima da alcuno, e se la foggiò da se stesso il poeta. Di parole: nate in questo modo credo ce ne siano parecchie: come chi disse, per esempio, tp'Juycc:; [germogli?] invece di xe:po:,,:~p [corna], 35 e &pYj71;P [supplice] invece di h:pe:ù~ [sacerdote],

C'è poi la parola allungata e la parola accorciata. La prima si 1458 Il

ha quando una vocale lunga venga sostituita alla breve ordinaria o quando sia stata inserita una sillaha in più; la seconda si ha quando alla parola sia stata tolta una sua parte. Esempi di parole allungate: ~6),Yjoç, invece di rroi,e:wç [della città], IhjÌ.YjdSew, invece di II lj),dòou [del Pelide J. Esempi di parole accorciate; "pe [invece di y'p,lt~ (orzo)], ~w [invece di ~WfJ.~ o ~WfJ.~T~ (casa)], t'i (invece di 0'f~ç, nell'emistichio di Empedocle]:

" , I ", ....... ).U:X "';'L\rE':":xt :X~~O"t"EP(,j." (iy Un lampo solo usci d'ambo quegli occhi.

Parola alterata si ha quando del vocabolo d'uso comune, partt.: 5 è lasciata com'è, parte è rifatta dal poeta: così la parola ~e:ç~-

parola x.r:.a[1o:; sarebbe un termine generico collettivo il quale compren~ derebbe in sé, come sue varietà, gli Ò\rQIlIXTIX 7t"Ei.O~Yì!lb"cx, t7t"tx"rE"Tcxlltvcx, &.~r.Plj(.Liv:x, t;Yj).i,:X~;"\1-t\ra.. Anche a prescindere da ogni altro argomento, onde, per esempio, anche la y),{-;)~:x e la [1E7:X~Op&: dovrebbero rientrare nel X,sO"iLOç, come già in ISOCR. 190 D; questa interpretazione non è possibile soprattutto per la strutturn del testo, dove abhiamo una vera e propria enumerazione di termini esattamente distinti l'uno dali 'altro. Il che è confermato da 22.1458 a 32,1459 a 15. 1\1a quale sia il preciso \'alore che Aristotele dà qui a questa parola è difficile chiarire. Secondo alcuni sarehbe l'epithl'ton ornans; secondo altri (Bywater, 1457 b 2) si tratterebbe di parole sinonimiche come" il Pelide ~ per Achille, t Efesto ~ per il fuoco, e simili, che nell'antica retorica sì chiamavano sineddoche, antonomasia, metonimiél ecc. Che proprio di sinonimi abbia trattato Ari­stotele nella Poetica risulta da SI!\IPLIC. In catfg. 36, 13 Kaibel (= fL 1 Bywater, 3 Christ), dove dice: t Aristotele scrisse nella Poetica che sono sinonimi quei nomi i quali, essendo più d'uno, hanno eguale significato, cioè i poli6nimi, come ).cti"l':Lr.\r, tlltX':"llJ'.I. <pCiprJ::; •. E questo conferma a sua volta la lacun<l, perché i sinonimi erano certo parte del )(rjO-:Loç e qui, dunque, e non nella parte perduta i:Ept x.w[1tp8[:x;;; (Christ), dO\'evano :l\'ere il loro luogo. Cfr. ,!Oche Rhet. r 1404 h 37 sgg. e eteER. De or. III 167.

,

Page 29: Aristotele. .Poetica. .Trad..Manara.valgimigli .Ed.universale.laterza

246 Poetica, 21, 1458 a

" d" ~ ,. I Il f ' • , -:2.;;'.J'J lnVeCe l uS:;W',I ne a rase os;v:-spov , " ' Il Y-OC"::X f.l:X~OV, «a a mammella destra » 115.

Dei nomi considerati in se stessi, alcuni sono maschili, altri sono femminili, altri di genere intermedio [o neutri] 116. Sono maschili tutti quelli che escono in 1\', in P, <in ~> e in quelle consonanti che sono composte del L, le quali sono due, \1" e E.

10 Sono femminili tutti quei nomi che escono in quelle tra le vocali che sono invariabilmente lunghe, cioè in II e in Q, c, tra le vocali che possono esser fatte lunghe, quelli che escono in A: così il numero delle terminazioni dei nomi maschili ùenc a essere uguale al numero delle terminazioni dei nomi femminili, perché le ter­mi nazioni in 'lo c in :=: sono incluse nella terminazione in L. In consonante muta non esce nessun nome, e neppure in nessuna

15 delle due vocali invariabilmente brevi [E e O]. In I escono tre nomi soltanto: !l-É:ÀL [miele], X,)f.Lf.Ll [gomma] e 7tÉ:itEp~ [pepe]; in r, cinque Il,: 7tW!J [gregge], vi-;-.;') (senapa], "'(/.iv') [ginocchio], 36pu [lancia], .xa7'l) [città]. I nomi di genere intermedio [o neutri] escono nelle tre vocali di variabile quantità I, Y, A, e nelle coo-sonanti N, ~ <e p> 118.

la Il. V 393. !Hl La nostra parola ~ neutri ~, che rappresenta 1',).j3é't"Eç-:r: dei gram­

matici, mette in rilievo la differenza dei neutri dai maschili c dai fem­minili; il ,:,21: tLt't"I%t;U di Aristotele mette in rilievo la loro somiglianza. Essi occupano, dice Aristotele, una posizione intermedia, perché, delle loro terminazioni, alcune rassomigliano alle terminClzioni dei maschili, altre a quelle dei femminili; essi mancano infiltti di loro proprie tenni. nazioni distintive (Bywater).

117 I cinque nomi che seguono ci sono dati non soltanto da I\'lss in­feriori, ma anche dalla ·,rersione araba; perciò col :\Iargoliouth e col Ro­stagni li ho accolti nel testo. Inutile dire che i nomi in Y sono assai più di questi cinque, e che in genere tutte queste dctemlinazioni e classi­ficazioni sono poco esatte.

118 Si può conser\'are il testo tradizionale, a eccezione dell'integra­mento (xcd p> che apparisce necessario, intendendo 't"étUT':l riferito non solamente alle due vocali precedenti I e Y, ma anche all'A che fu già censiderata poco prima come una vocale di \'ariabile quantità (Bywater).

Poetica, 22, 1458 a 24)

22,

Dote della elocuzione 119 è ch'ella sia chiara e al tempo stesso non pedestre, Chiarissima è senza dubbio quella elocuzione che è costituita di vocaboli nella lor forma e accezione ordinaria, ma è pedestre: esempi, la poesia di Cleofonte e quella di Stenclo. 20 Invece è elevata, e si distingue dal linguaggio volgare, quella che si vale di vocaboli peregrini: e dico vocaboli peregrini le parole forestiere [o rare], le metafore, le parole allungate, tutto ciò in­somma che si allontana dall'uso normale. Se uno pero si metta a poetare adunando insieme ogni sorta di queste peregrinità, ne verranno fuori o enigmi o barbarismi: enigmi, se la elocuzione 2S

sia costituita totalmente di metafore 120; barbarismi, se sia costi­tuita totalmente di parole forestiere [o rare], L'enigma, in sostan7.3. consiste in questo: dire quello che s'ha da dire mettendo insieme cose impossibili: il che, naturalmente, non si può avere congiun­gendo insieme vocaboli nella loro significazione ordinaria, bensì adoperando i loro sostituti metaforici. Per esempio:

Cn uomo io vidi che con fuoco sulla pelle d'altr'uomo incollò bronzo I!l,

. m Più che dello stile poetico in genere Aristotele tratta in questo capltol~ ~cl linguaggio o \'ocabolario poetico, determinando fino a qual punto Il IlOguaggio poetico può discostarsi dal linguaggio ordinario senza perdere di chiarezza, E che la poesia, massimamente l'epico-eroica, do­\'esse valersi di un linguaggio ben distinto da quello della prosa o co­mune, di\'entò con Aristotele uno dei canoni fondamentali dì tutta la critica posteriore; cfr. Rhet. r 1404 a 28 sgg,; DIO!'/". HALYC. De CQmp. f:e,b. III p, 11 (Csener-Radennacher).

120 I t d " r. ' ., '! n en o e:t:v ':'~ç Gtfl ét~:t:'r.':t: i:"Ol"YJari x tL"a:~o~(7:lV x':'À., e così nella .proposizione seguente. Si capisce che l'i:-::t:'r.':t: è una forma di esa-gcraZlone.

,., s· , • .1 tratta della \'entos.1 o COppetta per cavar sangue. L'indovinello e cost~ltO su due metafore, una da genere a specie (cfr, 21. 1457 b 9 s~g.~, IO quanto si è dato un nome di genere, Z:x.).x6ç. a un ·oggetto ehe nchle~ev:l un nome di specie, (HJ('.J:x. • coppetta di bronzo ~; una da specie a speCie, m quanto per un atto speciale anonimo (±vwwuov 'Ii? ..... ò .... '*60 ... Rhet, l' 1405 a 35 sgg.) si è adoperato un \'ocabolo s~eciaie, ;".l)..;iv, ii quale n' . '['

< 00 e propno se n ento a un oggetto di bronzo; e così questo vo_

.

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248 Poetica 22, 1458 a-h

30 e simili. Se la frase è costituita totalmente di parole forestiere si

ha il barharismo. Or dunque una certa mescolanza di questi diversi elementi

è necessaria: perché, se da un lato le parole furestiere [o rare}, le metafore, gli abbdlimenti e tutte le altre varietà già descritte faranno sÌ che la elocuzione non sia né volgare né pedestre, dal­,'altro i vocaboli adoperati nel loro proprio significato e nella ICT

1451\ b propria forma le daranno la dovuta chiarezza. :\la alla chiarezza della espressione c, al H'mpo stesso, a tcnerla lontana dalle volga­rità del linguaggio ordinario, conferiscono in modo specialissimo gli allungamenti, gli accorciamenti e le alterazioni [propriamente dette] delle parole: perché questi modi, in quanto si discostano dalle forme proprie e deviano dall'uso corrente, danno alla elocu­zione un andamento non volgare; in quanto conservano alcunché di comune con le forme del linguaggio corrente, sono un elemento

di chiarezza. 5 Cosicché non hanno ragione quei critici che censurano siffatti

modi di espressione e mettono in ridicolo i poeti che ne fanno uso. C no di costoro fu Euclide il vecchio; il quale diceva che sarebbe cosa abbastanza facile poetare se ai poeti si concedesse di allungar le parole J22 a toro piacimento [; e metteva in carica­tura codesto modo] componendo degli esametri epico-burleschi in quello stile appunto [che presumeva burlare]. Così, per esempio:

Vidi Epicare andarsene a l\hràtona;

oppure: 10 Di costui non amando l'ellebòro ... 123

cabolo improprio zojj.iv, come il proprio se ci fosse, sono ambedue specie di un generico 1't'pOO'-:lOtV'Xl. _ applicare f (Rhet. r 1405 a 3":;: lO'-::l S' a!.l.Cjlw r:p60'6tO'L.; nc;). L'indovinello, che era fonnato da un distico di cui ATHEN. p. 452 b ci conserva anche il pentametro, è attribuito tra­

dizionalmente a Cleobulina (cfr. fr. 1 DiehI). t22 Allungando le yocali o inserendo sillabe, com'è detto in 21. 1458 a

2. l due esempi, come vedremo, si riferiscono solo ad allungamento di

\·ocali. 1~3 Questi due ,"ersi \"ogliono essere due esametri epici con falsi

allungamenti di sillabe e rnischianza di parole volgari e prosaiche. Il primo si scande cosÌ: 'El.lZa: I P7Jv tt ' nr:..v ~hp:x' O[,)via~ ~hSi.' ~r;'I-::"X, t" cioè con allungamento dell't: nel primo piede (come in hd-::o : %;,

Poetica, 22, J.I.58 h

lo sono dunque d'accordo che il valersi a cotesto modo, ostentatamente, di siffattc licenze è ridicolo; ma c'è un critt:rio di misura il 4ua1e è applicabile così a queste come a tutte le altre "arietà della espressione poetica. E difatti, anche con le metafore, anche con lt: parole forestiere [o rare], anche con le altre forme di espressione, chi le adoperassc senza vcrun criterio di com'c­nienza e col proposito di provocare il riso, costui raggiungerebbe facilmente il medesimo effetto [che raggiungeva Euclide con IL' altre licenze sopra dette]. Ora, per apprezzare quale differenza 15 importi l'adoperare in giusta misura (questi allungamt.:nti c accor­damenti c alterazioni di parole], si consideri la cosa nella poesia epica, introducendo nel verso parole nella loro normale intt:grità. E anche riguardo alle parole forestiere, alle metafore e alle altre varietà di elocuzione, hasterà che uno ponga in luogo di queste i vocaboli propri corrispondenti, c \'cdrà subito se ~ \'ero ciò che io dico. Per esempio, Eschilo cd Euripide fecero lo stesso tri- 2u mctro giambico; ma Euripide, con la sostituzione di una sola parola, c ciot, mL'ttendo al posto del vocabolo proprio e di comune uso un \'ocabolo raro 121, fece un bel verso; invece il verso di Eschilo non vale un gran che. Eschilo, nel suo Fi/ollele, scrisse:

L'leera che del mio piede le carni mangia l~~;

Od. XII 423) c dell':x di ;1:x nel penultimo; il secondo, di cui Iii lezione è assai dubbi.\ e molto incerto il senso, si ~cande così: r.J,jx.:Xv -( lp:X(.Lt"

'Jr:..; -::0'01 È ZÒV'~'J i;)).f. I ~Opfjv. c cioè con allungamento dell'E: nella prima sillaba del secondo piede, detl';s nell.l seconda sillaba del quinto piede, dell'r.J nella prima sillaba dci sesto, È stato osservilto che anche nd signitìcato delle parole c'è intonazione- burlesca, in 4uanto il ~:x8l~l!:lV (- andar passo passo <, non è parola epica) di Epicare alluderebbe al zop­picare del verso; e l'cllèboro, medicina dci matti, alla poca sanità di mente dd poeta, Pertil!1to b::.L;1,,:-:r!lt~V non significa qui affatto t:X:J.~1'}\I :-::',~i:~V,

bensì solamente- " far H'rsi come un t:x;-<:lr.J:-::r.J~é..;~, cioè come un c.lrica­turista; e poiché si trattava di mettere in caricatura esametri epici, questi \'l'rsi doyeyano essere naturalmente esametri epici, e appunto in quello slile, i\l 'X')7ì; -::"r, Ài~t~. che Euclide attribuiva esageratamente a cotesti poetI.

12~ Or,~'li:-:t~ sembra piLl yocabolo raro che forestiero. 125 Cfr. :\Al"CK, TGF~, pp. 81 e 618. Con O~~t.Vi,:xr. però li

tornLl; onoto! Euripide don: mutare andlc altro. p(;r C'l. aipz:z:c; \"erso non

• • 111 a'XpY-x_

.

Page 31: Aristotele. .Poetica. .Trad..Manara.valgimigli .Ed.universale.laterza

25

30

"0 ., Poetica, 22, 1458 b

Euripide, invece di iO'D-[n, «mangia l}, pose &C.t'.li7X!, « ban­chetta l) 126, La stessa differenza sentiremmo in questo verso,

Ed ora im'ece un nanerello, un nulla, un mostriciattolo, ecco chi me ... 127,

se uno vi sostituisse le parole proprie e dicesse:

Ed ora invece un piccoletto, un senza forza, ùi brutto aspetto, ceco chi me,..

E cosi in quest'altro:

E un indegno sgabello e una modesta l .. d us ta\'o a glU ponen o... ,

se invece leggessimo:

E così dclla

E uno sgabello incomodo e una piccola tavola giù ponenùo,,,

, espressione

:\lugghian le ri\'e,,, 121,

se fosse mutata in questa:

Fan rumore le riyc ...

Similmente Arifrade mette\'a in ridicolo gli attori tragici perché si servono di espressioni che nessuno adoprerebbe nella comune

lZIl In verità icr6(Et. detto di un'ulcera, non parrebbe un y'.jçl~(jV (;V'Jf.L%, bensì un dw6ò:; G\lOf.L%: solo in comparazione del non comune &l'Ia":'~:lt poté esser considerato un XÙPl(N 0\10!l,CX.

127 Od. IX 515, leggendo :iE:tx1;;. U~ Od. XX 259. 129 11. XVII 265. Anche Dionigi di Alicarnasso cita con ammira­

zione questo \'erso (De comp. ,,·erb. XV p. 60 l'sener-Radermacher) p~r la sua armonia imitativa.

Poetica, 21-23, 1458 b-1459 a 2-)1

çonvcrsazione: come, per esempio, dire 3W!-l&:7(I)'I iTt"(" (I dalle case via », e non &.r.ò 8w!-l::l'tw\I, I. via dalle case l); O'É:&zv [c non IJùG].

d , ...' [ .....'] d' l' • \ . (, I te l); EyW oE: VL'J c non sycò 01:: ·':/..U7C.'J., « e lO UI Il; ~. XL/,-. , , d' h'll . • • \ ~., . AEWç 1:E:pt, (I a .'"1.C l e mtorno », e non 1:Ept .: ZtJJ.Ewç, « lTI-

torno ad Achille» 130, e cosÌ via. Appunto perché tutte queste e 145920

simili maniere di elocuzione non si incontrano nel linguaggio corn:nte, danno allo stile una impronta di nobiltà: ed è ciò che Arifradc non voleva riconoscere.

Dunque, sapcrsi valere convenicntcm!:ntt: di ciascuno dei sopra detti modi di espressione [, allungamenti, accorciam!:nti, alterazioni di parola}, come anche dc' nomi composti e delle .5 parole forestiere [o rare], è senza duhhio cosa di grandt' pregio; di molto maggior pregio è che il poeta sia abile a trO\'are meta-

, fore. E la sola cosa questa che non si può apprender da altri, ed è segno di una naturale disposizione di ingegno; infatti il saper trovare belle mctafor!: significa saper vedere e cogliere la somi­glianza delle cose fra loro.

Dei vari generi di parole, quelle composte si addicono sopra tutto alla poesia ditirambica; le parole forestiere [o rare] alla poe-sia eroica; le metafore ai trimetri giambici [del dialogo drammatico). Invero nella poesia eroica queste varietà di espressione sono uti- lO

lizzabili tutte quante; nel dialogo drammatico invece, perché tende a imitare quanto più è possibile il linguaggio parlato, meglio si addicono quelle parole di cui ci si serve appunto nel parlare, cioè le parole d'uso comune, le metafore e gli abbellimenti.

Cosi dunque della tragedia, e precisamente di quella special 15 forma di mimèsi che si svolge nell'azione, hasti quello che s'i: detto,

23,

Diciamo ora 131 di qudla forma di mimèsi che è narrati\'a e in esametri. È chiaro anzi tutto che anche qui, come nelle tra-

1300 Cfr. ~."L'CK, TGF!, p, 856: ~ sicut t-:w SÉ \ll'I habcmus in SOPH.

Oed, Col. 986, ita ·.\Z~)J.Éw; r:lPl \'~rba ~x tragico poeta desumpta ,lr­bitror. lt~m fortasse aWf.Li,,:,w'J aT:ù \·~rba ignota~ nobis tragoediae deben~ tur: 36[.Lw\l cX:rro dixit E"R. Hec. 665; AI/dr. 73 ".

131 Questo c il capitolo seguente tmtt<mo delle ~omigli.mzt' r dif~

Page 32: Aristotele. .Poetica. .Trad..Manara.valgimigli .Ed.universale.laterza

Poetica, 23, [.J.'ili /I

gl..·dit', la favola deve e~st'r costituita drammaticamente: deve cioc:

comprendert: un'azione unica, la quale ~ia un tutto COt'rente e

compiuto in se stesso, e ahbia principio, mezzo e fine; e cosÌ,

[anche il poema epico,] simile nella sua unità e compiutezza a un 20 perfetto organismo vivente, produrrà quella specie di diletto che

, gli è peculiare. E chiaro inoltre che non debbono t:odeste favole esser t:{)mpo~te sul modello delle composizioni storiche. :\elle

storie, necessariarnt:nte, la esposizione non può riguardare un sol

fatto, ma un solo periodo di tt'mpo: riguarda cioè t' comprende

tutti quei fatti cht· accaddero in questo periodo di tempo in rda­zione a uno o a piti personaggi; t' cia~cuno di questi fatti si trova

2,:; rispetto agli altri in ltn rapporto puramente casuale. Come, per

6empio, nello stesso tempo 132 aCl.:aùdero la battaglia di Salamina

l' quella dei Cartaginesi in :-5icilia, senza che per ÒÙ l'una e l'altra

I.:IJIlvergessero al nu:dt'simo scopo; così anche, in due periodi di

tempo sucçessivi, a\"viene talora che un fatto SUsst-gua a un altro senza che ne derivi per l{uesto un unico e comune resllltato.

Eppure la più parte dei nostri poeti [t'pici] si può dire cht' fanno

30 così. Ecco perché, come già dicemmo 133, anche pt'r questa ragione

Omero ci apparisce, di fronte a tutti gli altri poeti, di una divina superiorità, Egli, difatti, ncppur la guerra di Troia, benché avesse

principio e fine, si accin~e a poetare nella sua totalità: troppo lungo sentì che sarebbe stato (.:odesto racconto e difficilmente si

sarebbe potuto abbracciare di un unico sguardo; oppure sentÌ

che, se anche fo~se stato di misurata lunghezza, era pur sempre

troppo complicato dalla varietà degli avvenimenti che contenL'va_

35 E allora l'gli ne staccù una parte, c molti di quegli aVYt'nimenti tratte'J come episodi; e cosÌ, con la introduzione,- per esempio,

del Catalogo delle na'ci e con episodi altri e diversi, poté rompere

la uniformità del ~uo poema. Invece gli altri pOdi epici trattano

di un sol personaggio o di un solo periodo di tempo; c [se anche]

fcrenze tra la poesia tragica c la poesia l'piGI. l-n brc\"c ccnno se n'era già ayuto in 5. 1449 b 10-20.

t.12 Cioè nel 480. Anzi Erodoto dice che la \ inoria di Gc!onc e Te­rone in Sici1i3 contro i Cartaginesi e la hattaglia di Salamin:'l ;1\'vcnnero 3ddirittura nello ste~so giorno (\'11 166),

l:i3 In 8. 1451 a 21.

Podua, 23-24, 1459 a-b 253

di una sola azione, [quest'azione non è una quale io intendo, - bensì è] costituita di più parti [fra loro indipendenti]: come fee 145') b

cero appunto l'autore dei Canti Ciprii e quello della Piccola Iliade. Ond'è che mentre da poemi come l'Iliade e l'Odusea si possono trar fuori una tragedia per ciascuno o al massimo due, dai Canti Cip,ii se ne possono trarre parecchie, e dalla Piccola Iliade più di otto, per esempio, il Giudizio delle armi, H Filottet~, il Neottolmw, l'Euripilo, Odisseo mendico, le Don"" di Sparta, la 5 DistruzioTU! di Ilio, la Partenza della flotta; e cosi pure il Si""", e le Donne di T,oia.

C n secondo punto di somiglianza è questo, che il poema epico deve necessariamente avere le stesse varietà della tragedia 1M: e cioè ha da essere anch'esso o semplice, o complesso, o di carat­tere, o catastrofico; e anche i suoi elementi costitutivi, fatta ecce­zione della composizione musicale e dello spettacolo scenico, hanno da essere gli stessi. Anche nell'epica infatti ci devono essere lO

peripezie, scene di riconoscimento, (pitture di caratteri,) avveni-•

menti calamitosi; come pure ha da esserci bellezza di pensieri e •

di elocuzione. Di tutti insieme questi elementi il primo che se ne valse e bene fu OmeTO: e veramente i suoi due poefiÙ sono

-esempio ciascuno di una particolare composizione. essendo l'Iliade semplice e catastrofica, l'Odissea complessa, - vi sono 15 scene di riconoscimento sparse da per tutto, - e al tempo stesso di carattere; oltre che questi due poemi sono superiori a ogni altro nella elocuzione e nel pensiero.

Il poema epico differisce dalla tragedia per due ragioni, per la lunghezza della composizione 1S5 e per il metro.

In quanto alla lunghezza della composizione è sufficiente il limite già detto 138: se ne devono cioè poter comprendere di un

134 Cfr, 18, 1455 b 34 sgg. 13~ Si tratta della lunghezza materiale del poema, com'è detto in

5, 1449 b 13, e come in nota è dichiarato_ lU In 7, 1451 a 3 sgg., cioè che sia t,jaOvo,ccov e e\.J!lY7)!lo'nV'MV, Cfr.

anche 23, 1459 a 33.

..

Page 33: Aristotele. .Poetica. .Trad..Manara.valgimigli .Ed.universale.laterza

,- , ." Poetica, 24, 1459 b

"'o ,;010 sguardo il principio c la fine. E que~to scopo si potrà rag­giungere facilmente se le composizioni saranno più brevi di quelle dei poeti antichi c al tempo stesso si estenderanno per una lun­ghezza non inferiore a quella che può avere una serie di tragedie quante si usa rapprcscntarne in un solo spettacolo loTi. Pcr esten­dere la propria ampiezza il poema epico ha un suo speciale e grande yantaggio: mentre infatti nella tragedia non è possibile rappresentare insieme, contemporaneamente, più parti di un'azio-

25 ne, t' bisogna limitarsi di volta in volta a sola qudla parte che si svolge su la scena c che è rappresentata dagli attori 13!!; nel poema epico im'ece, come quello che è narrazione pura c semplice, si possono esporre più parti di un'azione nel loro svolgimento si­multaneo, e da questi singoli episodi, purché siano intimamente appropriati al soggetto fondamentale 13fJ, aumentano al poema maestà c bellezza. Questo priyilegio ha dunque su la tragedia il poema epico: onde acquista magnificenza, suscita varietà e con­trasto di sentimenti nell'animo degli ascoltatori, si arricchisce

30 di episodi_l'uno dall'altro diversi. La mancanza di varietà, come quella che subito sazia, è appunto una delle ragioni onde cadono spesso le tragedie.

Quanto al verso, è stato provato dall'esperienza che l'unico il quale si adatti all'epopea è il verso eroico. Se uno si provasse a comporre un poema epico. che è miffièsi di natura essenzialmente narrativa, in qualche altro metro o in più altri metri mescolati insieme, la incongruenza della cosa salterebbe subito agli occhi.

35 Il verso eroico è di tutti i versi il più posato e solenne i perciò ammette più di ogni altro parole forestiere [o rare] e metafore: e così anche (per questo) la mimèsi narrativa è superiore alle altre HO.

Invece il trimetro giamhico e il tetrametro trocaico sono metri adatti al movimento: e infatti questo è proprio della danza, quello

137 Cioè tre tragedie. 13/\ È l'unico punto ques.to in tutta la Puetica da cui poté nascere la

famosa L~nità di luogo. 139 Cfr. 17. 1455 b 14. 140 In Rhet. r 1406 b 3 e in Poeto 22. 1459 a lO, Aristotele anni

detto che le parole forestiere o rare si convengono all'epica, le metafore :li giambi dci dialogo drammatico.

Poetica, 14, 1..J59 0-1460 a 255

dell'azione drammatica \.H, [Or dunque sarebbe fuor di luogo adoperare in un poema epico o l'uno o l'altro di questi versi;] ma anche più sarebbe fuor di luogo mescolar questi e altri versi 14!j(J"

insieme, come fece Cheremone [nel suo Centauro] 142. E perciò nessuno ha mai scritto un lungo componìmento [epico] in altro verso che nell'esametro eroico e del resto, come dicemmo, è l'istinto naturale per se stesso che guida il poeta a scegliere caso per caso il metro conveniente.

Omero per intinite altre ragioni è degno di lode. ma in modo 5 specialissimo per questa, che egli è l'unico dci poeti epici il quale non ignori qual parte il poeta deve assumere nel poema in propria persona. Il poeta epico deve parlare in persona propria il meno che è po:::sibile; quando fa codesto, egli non è imitatore [nello ~tretto :'ìenso della parola]. Gli altri poeti U3 entrano sempre in campo çon la propria persona; poco o raro si immedesimano in coloro che vogliono rappresentare. Omero invece, dopo poche parole come di presentazione, suhito introduce o un uomo o una donna 10 o qualche altro çarattere; nessun personaggio in lui è senza ca­rattere; tutti si distinguono gli uni dagli altri per un loro Carat-

• tere ciascuno. Or dunque nelle tragedie [, come già diçcmmo,J si deve in­

trodurre il meraviglioso; nell'epopea può essere ammesso addi­rittura l'irrazionale, che è ciò da cui il meraviglioso principal­mente deriva: e questo perché [nell'epopea] non si hanno davanti agli occhi [come nella tragedia] i personaggi in azione. Così, 15 per esempio, l'inseguimentu di Ettore, portato su la scena con tutti i suoi particolari, con quei Greci da una parte che stanno

141 Cfr. 4. 1449 a 21 sgg. 14~ Il mio supplemento nella traduzione interpreta un facile sottin­

teso dinanzi a E":t òè IÌ":O~W":'EPO-", che si deduce dall'Et y# ... :ir.?Er.è:ç i-" 92l-"Ol":'O precedente; ma non implica affatto eguale supplemento nel testo. Intendo poi Cl'.J-:-X ~ giambi e trochei ., ma compiendo o sottinten­dendo &i.).()~ç ":"~O't-" :.l.bpùt:::;: cfr. 1. 144 7 b 21, day' è detto che questo Centam-o di Cheremone era una rapwdia composta in ogni sorta di metri.

\.t3 Chi sono questi poeti? Cna precisa distinzione tra Omero e gli altri poeti nOll drammatici dal punto di vista della mimèsi in stretto senso è in 4. 1448 b 35: Omero è l'unico poeta che ci abbia dato i.uI.l.+,O'$~;

;)P21J.:x,,:~xtiç. Anche qui si tratta dello stesso punto di vista c dell<l stessa distinzione: Omero è l'unico poeta che sia veramente iJ.t:J."t;,:,T,:::;.

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256 Poetica. 24, 1460 (l

fermi e non inseguono, e Achille dall'altra che ~i trattiene con cenni del capo 144, sarebbe cosa da ridere; invece nell'epica tutto questo sfugge. Anzi, questa specie di meraviglioso [nella poesia narrativa] è piacevole: il che è provato dal fatto che tutti, quando raccontano, amano aggiungere al racconto qualche cosa di lor propria invenzione, persuasi con ciò di riuscire più dilettevoli a chi ascolta. E Omero è superiore anche in questo a tutti gli altri poeti, ai quali ha insegnato come si debbono dire menzogne. Si

20 tratta dell'uso del paralogismo; che è questo. Allorché, dato un fatto A, ne segue un altro B, ovvero, accadendo un fatto A, ne accade conseguentemente un altro BI credono gli uomini che se B, il fatto conseguente, è vero, anche A, l'antecedente, sia vero o accada veramente. E questa è [logicamente] una falsa argomenta. zione li5. 1\la appunto sulla base di siffatta argomentazione, se A, l'antecedente, è falso, e, d'altra parte, da questo antecedente, • • IO quanto SI presuma vero, consegue necessariamente che sia o accada un altro fatto, B, bisogna aggiungere [questo secondo fatto reale B all'antecedente falso A]; perché, dal conoscere che è vero il fatto conseguente B, la nostra mente è indotta a ritenere con una

25 erronea inferenza che anche l'antecedente A sia veTO. Se ne può avere un esempio dalla scena del bagno [nella Odissea] 146.

[Onde si conclude che] l'impossibile verisimile è da preferire al possibile non credibile. [D'altra parte, nella tragedia,] non bisogna che l'azione dram.YJlatica sia costituita di parti irrazionali; sarebbe bene anzi che di irrazionale non contenesse nulla assolu­tamente. E se questo non è sempre evitabile, che almeno le irTa.

". Il. XXII 205 'gg, 145 È la cosi detta ,fallacia consequentls f. Cfr. Soph, ~l. 167 b

1 8gg. 14& Con qut"Sto titolo Tà: N1.1tTptX non s'intendeva soltanto "episodio

del bagno vero e proprio, come in 16. t 4 54 b 29, ma anche, come qui (e il riferimento non mi par dubbio, pensando anche alla coincidenza del o.Vru8ij )jyE:~\I di Aristotele col o/d8lttX )J;yCiJV di Omero), il dialogo tra' Odisseo e Penelope che codesto episodio precedeva e occasionava; insomma tutto ilbbra XIX. Ci sono rimasti altri titoli di questo genere, che sono certamente anteriori all'età alessandrina: per esempio 6 iv • A).)dYOu (sciI. 86!-l~) ci1t6),oYl)ç comprendente i libri VIII-XII e che già trovammo in 16. 1455 a 2, e così via. Ed erano l'antico modo di citare Omero.

Poetica, 24-25, 1460 a-b

zionalità siano relegate fuori dell'azione propriamente detta, come [nell' Edipo re di Sofocle] l'ignoranza di Edipo su le circostanze 30 della morte di Laio 14i; C non nell'interno di essa azione, come nell' Elettra [di Sofocle] la descrizione dei giochi Pitici 1411 0, come ne' .llisi [di ... , il silenzio di Tèlefo] che \'iene da Tègea nella ~lisia senza profferirc parola. Dunque, venirci a dire che [senza l'irrazionale] un dramma sarebbe spacciato è una ridicolaggine. Bisogna che per principio il poeta non componga drammi di codesto genere; se poi ne componga, e riesca a dare all'irrazionale un certo aspetto di verisimiglianza, allora [anche l'irrazionale] ha da essere accettato non astante la sua assurdità 149. E difatti quelle 35 stesse irrazionalità che si trovano nella Odissea a proposito dello sbarco [di Odisseo aùdormentato su la spiaggia di Itaca] , è chiaro che non sarebbero state tollerabili se le avesse poetate un poeta da strapazzo; ma un poeta come Omero, date le altre sue mirabili qualità, è riuscito a dissimulare e a render gradevole perfino l'assurdo,

Quanto alla elocuzione, bisogna averne gran cura in quelle 1460 b

parti in cui l'interesse dell'azione è minore e dove non sia gran rilievo né di caratteri né di pensieri; ché dove, al contrario, ca­ratteri c pensieri devo n essere in pieno rilievo, possono rimanere 5 offuscati da una elocuzione troppo brillante.

25_

Riguardo ai problemi c alle loro soluzioni, quanti siano c quali siano i punti di vista da cui si possono esaminare, si vedrà chiaramente ragionando come segue.

Il poeta è imitatore allo stesso modo del pittore o di un qua­lunque altro artefice di immagini; egli pertanto non potrà mai esi­mersi dall'imitare [o rappresentare] le cose se non nell'uno o

w Cfr. SOPB. Oed. R. 112 sgg., 729 sgg.; e 15. 1454 b 7. 148 Allude aUa lunga descrizione dei giochi Pitici in El. 680-760. 14~ Leggo e intendo: iv 8± Ofj (sciI. o ",on';-=-t.~ ... ~rJtr~;:i7w 7ÒV f.L~-

iJ) . - (-l' /i) )" • (·1· ).,. ~ <:''1 • x:x~ 9~~vr,~~~ SCI. 70 .0':0'1 S"JI.rJ"/(v,epW;; !;Cl. <:ZE'.'J , :::VfJel.tO'/:X~ ("cil. ~e:~ 7;-, :lD.'J":ov) x:xl ~7rJ",r"J <~v> (Butcher).

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258 Poetica, 25. 1J/j0 b

1U nell'altro di questi tre aspetti: o come esse furono o sono, o come si dice e si crede che siano [o siano state], o come dovrebbero essere.

Come mezzo di espressione il poeta si vale dci linguaggio. che è quanto dire anche di parole forestiere [o rare] e di meta­fore. Ci sono poi anche molte alterazioni formali di cui il linguag­gio è suscettibile; e ai poeti si concedono libertà di questo genere.

Si aggiunga inoltre che non può essen-i una stessa norma di correttezza per la politica e per la poetica, e tanto meno per la.

15 poetica e per un'altra arte qualsiasi. Ora, dentro i limiti della poetica, sono possibili due categorie di errori: gli uni riguardano la poetica direttamente, nella sua essenza, gli altri riguardano la poetica solo indirettamente e incidentalmente. Infatti. se c'è incapacità [da parte del poeta] <di) rappresentare un oggetto <quale egli: 150 si propose di rappresentarlo; allora l'errore ri­guarda la poetica in se stessa. Se invece il poeta, dell'oggetto che si propose di rappresentare, ha un'idea sbagliata. come chi, per esempio, dipingesse un cavallo nell'atto di spingere innanzi tutt'e due insieme le zampe di destra; allora l'errore, o dipenda

20 da ignoranza di qualche scienza particolare, come potrebb' esserI: la medicina, o insomma di altra scienza, qualunque sia, onde nascano rappresentazioni lontane da ogni possibilità; in ogni caso è errore che non riguarda la poetica in se stessa.

Or dunque le critiche che sono implicitamente contenute nei diversi problemi devono essere sciolte moyendo da questi tre punti di vista.

Yediamo anzi tutto quelle critiche che si riferiscono diretta­mente all'arte del poeta.

In un'opera di poesia sono state introdotte cose impossibili. È un errore. ::\Ia non è più un errore se il poeta raggiunge il fine..'

25 che è proprio della sua arte: se cioè, secondo quello che di questo

l~O Tutto questo brano (1460 b lì-23), di chiaro significato ma di corrotta e forse insanabile tradizione, dai dinrsi editori è emendato e letto assai din~rsamente. lo leggerei così: Et iL.b .. '(±p (,o::' & > :-:podj.::,:,,~

, ~ '. ' ,-" , ,.', )' O "O' !1-q.L7jO':lfJ"~U lXo'jVIXf,LVX, IX'J':"7):; 'fj :xr..L:X?'~CI.' !:. 0<: ':'0 :-:pOE .za 'X~ [_n; op ('J"

( '\ . ) '". ('\ " ,~ ) ." . ,. , SCI • EZ::~ ,IXIVI.IX SCI. :':'pOE~/.S:'1) f.L~1..L'1ja7.cru:u ";f)'" l:':':':'f)V ... 'lì ''XI.i:r.V ,zZ'n,', 1:: ,~, ,. _ " 'r. 7.0'JV7.':'7. :-:e:,:,mlj7X~ (,:':'~AX''''~· .. N %7J"

PCH'tica, 25, 1460 b-1461 a 259

fine è stato già detto, egli riesce con tali impossibilità a renclt!re più sorprendente e interessante o quella parte stessa dell'opera che le contiene o un'altra parte. Esempio, l'inseguimento di Ettore [nella Iliade]. Se però questo fine si poteva raggiungere più o meno bene anche senza violare sotto questo rispetto le regole dell'arte, allora l'errore non è più giustificabile; perché l'opera d'arte deve essere, se si può, interamente esente da siffatti errori.

Si può anche domandare: a quale delle due categorie sopra dette appartiene il punto criticato? si tratta di un errore diretta- 30 mente connesso con l'arte del poeta, o di un errore in altra materia che con l'arte del poeta ha solamente un rapporto accidentale? Perché, per esempio. se un artista non sa che la femmina del cervo non ha corna, questo è un errore assai meno grave che se [, pur sapendo ciò,] non fosse riuscito a raffigurare cotesta cerva [in modo riconoscibile, cioè] senza violare le leggi della mimèsi.

Ancora: se si biasima il poeta di non essere fedele alla verità delle cose, - «ma le cose~, egli potrà rispondere (t come deb­bono essere io le ho rappresentate •. - Così appunto rispondeva anche Sofocle: dicendo che le persone de' suoi drammi egli le rappresentava quali avrebbero dovuto essere, ed Euripide invece le rappresentava quali erano. Ecco dunque in che modo questa obiezione deve essere risoluta.

Se poi si afferma che la rappresentazione poetica non è con- 35

forme alla verità, né si ammette che sia migliore, si potrà rispon­dere che è d'accordo con l'opinione comune. In questo modo si giustificheranno. per esempio, le narrazioni dei poeti intorno agli dèi. È probabile infatti che quel che si dice dai poeti intorno agli dèi né sia vero né migliore del vero, e che le cose stiano per avventura come pensava Senofane; comunque, si potrà rispon­dere, questa è l'opinione comune.

Per altri casi [in cui egualmente si accusi il poeta di "dir cose 1+61 a

non conformi al vero], non potendosi sostenere che la rappresen­tazione poetica è migliore della realtà, si dirà che tale era cotesta realtà una volta. Così, per esempio, là dove Omero parla delle armi e dice:

Dritte su' lor puntali [a\'eano in terra conficcate] le lance,

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260 Prxtjco, 25, 1461 a

codeste parole si possono difendere osservando che così usavano allora, come ancor oggi usano gl'lIlirjl61.

Riguardo poi alla questione se bene o non bene fu detto o 5 fatto alcunché da alcuno, non si può sciogliere avendo di mira

soltanto il valore intrinseco del fatto o del detto, e guardare se è nobile o ignobile; ma bisogna anche considerare la persona che fa O che dice, e rispetto a chi ella fa o dice, e quando e come e perché: se, per esempio, a cau~a di un maggior bene da raggiun­gere o di un maggior male da evitare.

Altre difficoltà si devono sciogliere avendo di mira il valore della espressione adoperata.

lO Così, per esempio, nella frase [omerica]

,- , -O!,)P7)«~ !LC'I 1tpwTO'Y ... E i muletti da prima ... ,

la difficoltà si scioglie interpretando la parola in questione come un vocabolo forestiero [o raro]; infatti con la parola oùp1j(Xç pro­babilmente Omero volle intendere non i muli ma le sentinelle 1$1.

E cosÌ, quando Omero dice di Dolone:

6~ f ~ 't'0~ .180' tùv bj\l xIXX6, .... Brutto d'aspetto egli era [ma veloce],

Ul Il problema (ad Il. X 152) ci è stato conservato anche negli' A1to­P~!J.IX't'1X '0!Llìpuui (Cr. 155 Rose = 160 Teubner, PORPH. nd Il. p. 145 Schrader), dove è suggerita la medesima soluzione. Una egual soluzione negli 'A1t'. 'OIL. (fr. 158 Rose = 166 Teubner, PORPH. ad Il. p. 267 Schrader) è data a proposito di 11. XXIV 15.

m Le parole citate sono effettivamente in II. I 50, e la difficolù: che si poneva a codesto '\lCno, e che era stata notata da Zoilo (cfr. PORPH. ad II. p .... Schrader), era questa: se Apollo suscitò la pestilenza nel campo dei Greci per vendicare l'oltraggio fatto a Crise da Agamennone, perché cominciò a pigliarsela proprio coi muli? Se non che, la soluzione sugge­rita da Aristotele di intendere OÙpijlX~ come un equivalente di oUpooç, guardie, non risolve in venIA niente: .prima perché inaieme coi muli Omero parla anche dei cani, e infatti Zoilo più logicamente condanna tutto il verso; poi per la contraddizione oon 1'IX,jTtlio~ del venao seguente, come fu avvertito dallo stesso acoliasta ad locum. Viene il sospetto che ci sia errore di memoria nella citazione aristotelica e che questa 1ULJ À\xnç si riferisca nOI1 già ad Il. ] SO, bensì ad Il. X 84. dove effettivamente solo interpretando OÙp~<Ùv = rpu).ix<ùv si avrebbe un senso ragionevole.

Poelica, 25, 1461 a 261

non voleva intendere che Dolone avesse deforme il corpo, ma sulo che era brutto nel volto; infatti la parola ZÙE~OÉ:;, H bdlo di aspetto », i Crdesi l'adoperano nel senso di E'J7':'p6aw7:0'1, (' bello nel volto» 1~,3. E parimente, (quando Achille dice a Patrodo:]

V· ~.. .,(,)p'J,,;,ep0\1 ne: xe:p:xte: ...

Più forte mcsci ... ,

non si deve intendere ,< ::\Icsci vin puro )i, come se si trattasse di 15 uhriaconl, ma solo <, ::\Iesci più in fretta» 15~.

Altre csprcssioni si giustificano come adoperate in senso me­[aforico. Così, per esempio, nci n:rsi

" ' e:'Jljr,\I 7"::l.W·JZt'Jt ....

• . _-, .• , f""-'" ••••. ~~~ v .~.

E gli altri tutti nel profondo sonno erano immersi della notte, e dèi e cavalieri ... ,

[la parola ij.ì.{J~ .- o[ :Xi.ì,0~ r;&\I";'E~, t( gli altri tutti 'l Perché, raffrontando con ciò che segue subito dopo,

• • • • • • • • • • • • • • • • • • • •

::\Ia quando al piano de' Troiani il guardo ,"oIse, e di flauti e di siringhe <il suono\ [udì e d'uomini] tumulto ....

t::.~ Il. X 316. l';'; 11. IX 202-3:

Piil grande tazza, o figlio di ::\Ienètio, prendi, pill forte mesei ... ,

cioè fa una benmda più forte del solito, con mtno acqua, do\'t~ appunto ~<ùp6nF(,\I vale à.xp:l.,,;,6";'tV~v. com'è dichiarato qui e altrove dagli sco_ liasti e dai lessicografi. I\'Ia giil Zoilo il\'e\'3 rimprowrato Omero di rap­presentarei Achille come un beone; e Porfirio ripeuva ad IOCllm l'accu~3

di ir.FE:i";'i~ accettando in difesa di Omero la interpretazione aristotclic.1., e Plutan:o scri\'e\'a un intero capitolo su questa questione (QllacJt. ("017('.

4. 677 c sgg.), citando da ,litri e proponendo di suo le soluzioni più di­Ye'i>e (cfr. POJWH. ad Il. p. 135 Schrader).

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20

262 Poetica, 25, 1461 a

si capisce che la parola [f),ì,{,j~ =] 1t'ocv·n:~, « tutti~, è qui ado­perata metaforicamente invece di 1to)),Ot, ~ molti _; infatti la pa­rola 'l'tOCV, ~ tutto *, è una specie del generico 1to).,J, «molto J) 1M.

E cosÌ pure nella frase

orI) 8' ~!l!lOp'ì; ... ,

Ed ella sola [dai lavacri] esclusa [dell·Oceano] ....

1~ Poiché i versi 'ii Wl ..... OI-"'XòO" ('71:) provengono da Il. X 11.13, è chiaro che nella mente di Aristotele anche i verlli citati precedentemente, a.)J,.Ot ..... 1t'rxw~X~Qt, che con q\iesti sarebbero in contraddizione, dovevano provenire dallo stesso libro, e precisamente dove"ano corrispondere a Il. X 1-2. Ma nel fatto vi corrispondono assai male, e meglio invece vi corrispondono i ,'eni Il. II 1-2. Niente di più probabile che Aristotele, àtando, come pare, a memoria e corrispondendo nei due luoghi il prin­cipio e la fine, mo~ [.LbI .•. , t"J8ov 1t'a:wUXmt, del passo citato, abbia confuso e scambiato un passo con l'altro. Fin qui dunque n(>Ssuna dif­ficoltà. La difficoltà è che tanto in Il. Il 1-2, quanto in Il. X 1-2, manca la parola 1t'%V1't~, su la quale unicamente si fondano l'i:1t'tT(f1.ljtL~ e la soluzione. Bisognerebbe ammettere che nel testo aristotelico di II. X 1-2, che è il pauo controverso, la parola mlV':'&:; veramente ci fosse, e su questa ipotesi gli editori propongono supplementi o emendamenti. Se non che ogni tentativo in questo senso non solo urta contro tutta la tra­dizione manoscritta omerica, ma sopra tutto contro la tradizione mano­scritta aristotelica, la quale si trova perfettamente d'accordo con Omero nella mancanza dall'uno e dall'altro dei due luoghi della parola 1t'aV'u:;. lo credo che ogni difficoltà cada interpret3ndo normalmente, secondo l'uso omerico, mOt, per ot li)J.Ol, senza neppur bisogno di emendare la lezione aristotelica, in &llOt (Margoliouth: ~ÀÀo:; Zenodoto, nei due luoghi dell'Iliade, leggeva llÀÀoL, lezione respinta da Aristarco che vole":1 mantenuto illOL); e ricordando quante volte in Omero ii)J,.o~, che spesso è anche seguito da r.%V't't.; con valore epesegetico, sia appunto l'esatto equivalente di 7t'%V'T&:; (cfr. EBELING, L~x. Hom., p. 84). E cosÌ il verso 11. X 1, massime nella supposta fonna di 11. l[ l, sembrava contraddire ai ,"ersi Il. X 11-13. La soluzione di Aristotele è che qui si è adoperato metaforicamente un tennine specifico, 1t'2:\lUç (= roo~), invece di un termine generico, 1t'o)).,Qi, metafora dalla specie al genere secondo 21. 1457 b t t .. Questa mia interpretazione è sicuramente confermata da un luogo di APOLL. Dysc. Synt. p. 36 sgg. Bekker (che leggo in una nota aristotelica del MARGOLlOL'TH, • The Classical Review., \'01. XXVII, 1913), dove è detto che IDOl, con articolo espresso o sottinteso, è parola l't':l-r.CilV r.Ep~tx:nx6'1 (= r.!lvu::;). Quanto al \'erso l/. X 13 nella cita· zione aristotelica, per la singolare significazione che verrebbe ad avere la parola OfL:x8o:; se riferita ad :x.~),(-;)'I e (f')p(yyCil'l, e per lo stesso errore di

Poetica, 25, 1461 a 263

la parola (j~-~, i~ sola 'I, \'<1 interpretata in senso metaforico; (, il più conosciuto J) [in un certo senso] è « unico ») L',6,

Talora la difficoltà si risolve modificando l'accento della pa­rola: come fccc I ppia di T aso nella frase

I."~ ".,.,. .' O · ....... ot·~(J:1.Z'l r'i<: O~ t:'Jxrj:' :xpa:r:r ::n,

E gloria a lui concederemo ... m

e nel!' altra

· . . . . . . . . . · ......... che da pi,)ggia parte s'infradicia ... l~~

acccntu;u;jol1C ()I.I.:xÒr)'I (':"t ;):.l.X80\1) in A, è chiaro che deyc essere parziale mente integrato da Omero in ".1.'';),(";)'1 G");( ....... ;.(.)\I --:' t <'1')~ì;\I,) ;;:USr)'1 <-:-E', come anche la yersione araba conferma.

1",6 II. XVIII 489 (-= Od. \' 275). Dctto dell'Orsa maggiore:. La difficoltà che si poneva era quei':ta: non la grande Orsa soltanto ma tutte • • m genere le costellazioni artiche non tramontano, xx06),0') '!Ò':p :-:%"";"2 ,. ~, -, ". .

--::::: €V 7~.l :XpX7~X{:} !-.I."fj l'j'J'JE:W (PONPH. od loc.). La soluzione di Aristotele è che qui Orncro intendeya parlare soltanto della più nota fra le stelle che non tramontano, o meglio che tra le stelle più notc essa è l'unica che non tranlonta.

1$7 Da un passo del Soph. d. 4. 166 h l sgg., risulta chiaro che l'emi. stichio finale di verso ~1~(~;.tZ\l ~:i; r:;[ E,jl.0:; :i.p~a6::u \'a collocato in TI. n 15, alla fine del discorso di Zeus al Sogno, dO\'e oggi imcece leggiamo TpWEOO: ~± xf,Se' i:,;:r~::7:X~. Ed è anche chiaro che si tratta di una' vera e prop~ia \'ariante e non di una errata citazione, perché dove oggi leggiamo effettIvamente l'emistichio sopra detto, cioè in II. XXI 297, niente ha che farc ('ote~to ne col sogno di Agamennone né con la questione di divina immoralità sollevata, a quanto rare, da Platone (Resp. II 382 et

I~~ Il passo omerico, dove anche noi leggiamo ~/) negati\·;. secondo la correzione che \"i a\"rehhe introdotto Ippia di 1'3S0, è questo (11. XXIII 327) ,

Sorge da terra, alto sei piedi, un secco tronco, di quercia u pino, che da pioggia non infradicia ....

).Ia in che calla prccisamente consistesse la difficoltà e come potesse esi­s~ere nel testo omerico una lezione -;;) :J.i\l 'l;;, e cioè con Jj.j relativo, geni~ tI\'ool' . Il .. ~ . ocat!yo, In qLle a pOSIZIone è assai duhbio. Nei Soph. el. 166 b ). Anstotele, riferito il passo 7'~ ;.ti,) o'') x-:-),., aggiunge: ~ Sciolgono 1.\

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,

Poetica, 25, 1461 a

(I<:ggendo rispettivamente 8l86fL~v ~~ concedigli», e (J'J, i, non )J. Altre difficoltà sì risolvono modificando la punteggiatura,

Così, per esempio, nel seguente passo di Empedocle:

V'. " .,(<)~x ":"z l":::~\1 1I..e:Xvr.:T) ... ,

Tosto mortali dìnnnero cose dapprima immortali, e non mischiate dapprima mischiate s'erano",

[il St'"Ol,O muta solo che si congiunga 7rp['J, (, dapprima 'l, a ~{o)p3..

l' non mescolate 'l, anziché a Y.Éy'p~",;"Q, « si erano mescolate 'l). 25 Altre difficoltà si risolvono ammettendo amhiguità nella espres-

sione. CosÌ. per esempio, nel verso

. . . . . ,

-::7:; (,lZ",ZZV , ' ,

, -\I.;::'

Più che ùu~ parti della notte sono ormai trascorse ...

do,'" -,o ... !,., 1.~9 (, p,',', " ...... , .... v, , è parola ambigua r, potendoanchc

ficare l' piena )l] 11.10.

, , slgm-

diftìcoltà leggendo 1.11' 0;'J":"tpr)\I " .• Più acuto 1, ,~~07tF('\I. è l'equivalente di ;);·J":"rJ\I(u~? Così sembra; e anche sembra che la negativa rJ,j fosse un tempo accentata (cfr. Bywater, ad !uc.).

[:,9 ,. I.a lezione -::).É(t} (= 7:i.s:tw), che tuttavia sopr<l\"\'ivt' in alcuni .\Iss di Omero e fu variante riconosciuta dagli antichi, ha un certo in­teresse in quanto ci dimostra l'affinità dell'Omero di Aristotele con quello di Zenodoto, il quale è noto che ammetteva forme come :i~.lE(\lW invece di x'J.e::\\I(})',I, ·'i.'Jx[(<) invece di o:i:Jx~wv, xpdoo(,j im'ece di xpdor:r<.ù\l»

, '

(D\l\'ater, ad loe.). lI,U II. X 251 sgg.:

Andiamo dunque, ch~ la notte ha \·i<:in<1 è l'alba e calano le stelle.

fine' ,

Piu che due parti della notte sono onTIili trascorSf': ed una terza ancora runane.

~e più che dIJt terzi sono trascorsi, come pote\'a rimanere l'altro terzo intiero t' non una parte del terzo? Questa la difficoltil che Porf1rio dice (ad !oe. p. Hì Schrader) fT"lle più ilntiche. Tra gli 'A-::(Jp+,;..t:x"";"~ 'Of.L~p~X± 1156 Rose - 161 Teubner) si troni questa soluzione: ~ La notte si divide Hl due parti t'guaii di 6 ore ciascuna; se si dice che delle due p.1rti è tra-

Poetica, 25, 1461 a 265

Finalmente, altre, difficoltà si risolvono richiamandosi a certi usi comuni del linguaggio. Per esempio, la mescolanza di vino e di acqua noi la chiamiamo senz'altro col nome di vino; e, allo stesso modo, Omero dice

· . , . , . XV7j!.d:; VCO"";"ltUX,,:"')IJ )(~aa~":"ÉpQ~,),

· , . . . . .. gambiera di fresco lavorato stagno ...

[sebbene con lo stagno fosse mescolato altro metallo] 161. E come diciamo xocÀxÉctt:;, ti lavoratori in bronzo », quelli che lavorano il ferro, cosi è stato detto di Ganimede

· . . . . . .. .1 d , ,

OLVO;(OtueL\I,

· , ..... che a Zeus vino versava,

benché si sappia che gli dèi non bevono vino 162. Questo per 30 altro potrebbe anch'essere un esempio di metafora.

Quando però un vocabolo sembra racchiudere in sé qualche significato contraddittorio, allora bisogna vedere in quanti modi codesto vocabolo può essere inteso nel passo in questione. Così, per esempio. nel verso

· ...... , -rn p' !CXt"tO XiÀX~ov !n:o~, , ,

· •.•..•••• ' qUIVI

la bronzea lancia s'arrestò ...

scorsa la più gran parte, è chiaro che ne è trascorsa tutta una metà, 8/", più una quantità x di ore che possono essere una o due o più. Questa quantità x è detertt:'-inata nel caso speciale dall'intero terzo f/II che ri­mane, cioè, 1/12, Dunque della notte sono trascorse 8 ore e ne restano 4, un terzo preciso '.

. Hll Si poneva forse da alcuni critici la difficoltà che gli schinieri non potevano esser fatti di un metallo così tenero come lo stagno, Il. XXI 502. La soluzione di Aristotele si fonda sulla teoria della mescolanza dei corpi (cfr. De gen". et COTT, A S, passim).

lfJ$ Perché Omero (Il. XX 234) adopera un \'erbo che significa t ver­sar vino t, se gli dèi bevono nettare e non vino, com'è detto espressamente in Il. V 341 ? E tanto più la contraddizione è palese in Il. IV 3, dove è detto di Ehe che vt:X"':lXp l:'tlvo;(6t~. È lo stesso caso del nome ;(:xÀXEVç. Anche gli scoliasti, p. es. ad Il. XIX 283, notarono questo antico uso di chiamar bronzo il ferro e X:xÀxt:xç i lavoratori in ferro.

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166 Poetica, 25, J-J6111-b

hi"ogna considerare in quanti modi si può intendere cotesto " quiyi essersi fermata ,) 103. [In casi come questo dunque hisogna

35 porsi distintamente il problema:] Qual è il miglior modo di in­tendere, così o così? E sarà proprio l'opposto di qud modo di

j~t.l b cui parla Glaucone, che cioè certi critici avanzano talora premesse assurde, (' poi, affermatele essi stessi come \-ere, ne traggono con­c1usioni; e, quand0 ci sia contraddizione con ciò che essi hanno pensato, ne fanno n:sponsahilc c ne accusano il poeta, quasi ellC

il poeta avesse effettivamente detto quello che era soltanto nella ,

loro immaginazione. E accaduto così a proposito di Icario. Hanno supposto che colui fosse Lacedemonio. Dunque e assurdo, hanno

:t detto, che con costui non s'incontrasse Telcmaco quando andi) a Lacedemonc. La cosa forse sta Lùmc dicono i Ccfallcni. I quali sostengono che Odisseo prese moglie presso di loro c che [il padre della moglie] si chiamava Icadio e non Icario. Si tratta veri-

l~.i li. XX 267 sgg.:

~ é anche <lllora de 1 grande Enea la vigorosa i<mcia spez7.ò lo scudo. La rattenne l'oro, dono del dio. Perforò due piastre, ma ce n'era ancor tre. Ché cinque piastre l'una su l'altra :t\'ea diste~e Efcsto: di bronzo due, lo due, dentro, di stagno, e una d'oro; qui la bronzea lancia , ,

s arresto.

Il nostro testo omerico ha !J-dÀ,vov c non X:f:).xE:CN, ma questo non im­porta. La difficoltà, conservataci da Porfirio ad loc. (pp. 243 sgg. Schrader), era questa: "Siccome la lamina d'oro doveva essere vcrisimilmcnte la prima, se è "ero che Efesto ce la mise per ornamento, c quindi nella parte esterna e visibile; e sotto questa, per dare allo scudo soliditù, ave\'a messo le due di bronzo, e pf>r ultime, affinché lo scudo più facilmente cedesse ai colpi (WX).ti'''1.J.:x,,·r~; z-xpw), le due di st'lgna, com'è che la lanci.\ di Enea attraversò compiutamente due piastre e si arrestò in qllella d'oro che era esterna e dové esser attraversata per intero? &. La soluzione di Ari­stotele, a giudicare da ciò che segue, potrebbe essere questa: che la la­milla d'oro fosse 1<1 prima è un pre.cupposto gratuito dei critici, e bisogna appunto vedere, prima di dichiarare il poeta in contraddizione, come si può intendere codesto :7. = ~1X'';7!., cioè la posizione di questa lamina d'oro, la quale, dal testo omerico, non si può escludlOre che occupa,HoC il posto centrale dello scudo fra le due lamine di bronzo e le due di stagno.

Poetica, 25, 1461 b 2b7

similmt:nte di un errore di nome che ha dato ongme alla contro­ycrsia ltH.

In generale dunque io dirò che l'impossibile deve essere giu­stificato in tre modi e cioè, o riferendosi alle t:..'Sigenze della poesia, lO n guardando alla idealizzazione del vero, o richiamandosi alla opi­nione comune. Riguardo alle esigenze della poesia, hisogna tener presente che cosa impossibile ma credibile, i: sempre da preferire a cosa incredibile anche se possibile. ":Che se non semhra possi­hili:. esistano persone come, per esempio, ne dipingeva Zeusi, ebb~ne, [si risponderà,) meglio così; l'ideale ha da essere appunto superiore alla realtà. L'irrazionale può essere giustificato mo­strando che si troya d'accordo con quel che si dice [o si pensa) comunemente; e anche si potrà difendere osservando che in certe circostanze [ciò che pare irrazionale] non è propriamente irrazio­nak. E del resto è pur veri simile che accadano talora anche cose 15 non ycrisimili lfi~.. Rispetto poi a quelle espressioni che appari­scono contraddittorie, si devonQ esaminare con lo stesso metodo che si adopera nelle confutazioni dialettiche: e cioè bisogna veder bene se si tratta della stessa cosa, nello stesso rapporto e nello stesso senso, prima di risolversi ad affermare che il poeta si trova in contraddizione con ciò che realnlente ha detto egli stesso, o con ciò che legittimamente un lettore di buon senso potrebbe supporre che egli avesse detto 166. ::\Ia giustissime sono le cen­sure di irrazionalità e di malvagità di carattere quando irraziona-

1M Altro esempio sul tipo del precedente. La questione fu sollevata più volte dagli antichi interpreti e ne abbiamo negli scolii più tracce (cfr. PORPIT. ad Od. IV l; Schol. Od. I 285, II 52). La solu7.ione accettata da Aristotele e anche da qualche scoliasta era che questo lcarÌo non fosse Lacedemonio ma Itacese,o, più precisamente, secondo lo scolio ad Od. XV 16, di I\.-Iessene Cefallf"nia. Si sa che Omero chiama Cefalleni tutti i sud­diti in generale di Odisseo. Aristotele aggiunge un nuovo particolare. che il padre di Penelope avesse nome Icadio, nOffi(: cefallenio, e non Icario, nome spartano; onde parrebbe do\'ersi inferire che l'erroneo presupposto dei critici ellsere Icilrio di Sparta derivasse appunto da codesto suo nome.

1M Il detto è di Agatonc: cfr. 18. 1456 a 24. "'Id""" "'~'r.· nten o wa"":"1!: y.:x~ ",r~\I 7:vD';",V 'Jr:E:\IIXV7~(0~ ttp·IjXEWX.t Y, .-:poç ~ X-:I ..

Dicendo (, ètv qlp6vq.Lr...~ ':''-:vf}(j~IX" Aristotele intende metter da parte le contr;!ddizioni che sono dovute soltanto a maligna intenzione o a stolta interpretazione (cfr. B ywater, ad loc.).

,

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268 Poetica, 25-26, 1 .. 161 h

lit~ e mah"agità siano adopt:rate senza cht' nessuna interna m:ces-20 sità le giustifichi. Così, per esempio, è giusta la ct'l1sura di irra­

zionalità a proposito della introduzione di Egt'o [nella .l[edea] di Euripide, come è giusta la censura di malvagità di carattere a proposito di )lenelao nell'Orl'ste 16,.

Concludendo, le censure che si fanno ai poeti muovono da questi cinque punti di vista: in quanto ciot: le cose dette dal poeta possono t'ssere denunciate [a] come impossibili, [b] come irrazionali, [c] come immorali, [d] come contraddittorie, [e] come violatrici delle diritte norme pertinenti ad altre arti o discipline [estranee alla poetica propriamente detta]. E le soluzioni a queste censure devono esst:fe ricercate sotto l'uno o sotto l'altro degli

25 argomenti che abbiamo enumerati; i quali sono dodici,

20.

E ora qualcuno potrehbe porre la questione se: sia migliore la mimt:si epica o la mimèsi tragica.

Se è vero [, dicono alcuni critici,] che la mimèsi migliore i: quella meno materiale, - ed è la meno materiale quella che si indirizza a un pubblico più elevato, - non c'è dubbio che sarà materiale qudla mim(.'si che si propone di rappresentare in tutti i suoi aspetti ogni soggetto. E di fatti gli attori, come se il pub­blico non fosse in grado ùi capire senza che aggiungessero essi qualche cosa per proprio conto [alla espressione del poeta l, si

30 lasciano andare su la scena a movimenti di ogni genere; non di­versamente ùa quei cattivi suonatori di flauto che si rotolano su

167 II primo esempio si riferisce evidentemente, non gi:. come da talllno fu sospettato, al dramma perduto di Euripide ~\t'/E'J::;, bensì alla introduzione di Egeo nella IHedi'a (vv. 663-759). Cotesta scena fu giu­dicata un i),v'(v'J, sembrando poco verosimile che Egeo fosse capitato a Corinto proprio in quel! 'unico giorno di dilazione al bando che Creonte a\'e\'3 eonceduto a l\-ledea; e un 11"N)'(O'J non necessario perche da codesta scena non resultava illeun mutamento sostanziale nella economia della azione drolmmatica e perché l\lcdea, che ~ di tanto potere conosce\'a far­machi» (\'. 718), non aveva certo hisogno p"r nessuna ragione di ricor­rere all'aiuto di Egeo. Quanto al secondo esempio si veda Li. 1454 a 28_

Pot!tica, 26, 1461 b-1462 a 269

se s..te~si se càpiti loro, per esempio, di dover rappresentare il Disco, o ",i tinn dietro [per le vesti] il capo del coro se suonano la Scilla. Ebbene, [dicono dunque costoro,] la tragedia è una mimèsi di questo tipo; ed è [, rispetto alla epopea,] quello stesso che agli occhi dei loro predecessori sono gli attori della genera· zione successiva. l\1innisco dava della scimmia a Callippide 118

perché [co' suoi gesti] passava ogni misura, e della stessa specie 35 era anche la opinione che si aveva su [l'attore] Pindaro 189. E così questi attori recenti stanno agli antichi nello stesso rapporto che tutta quanta l'arte [drammatica] sta all'epopea. 1\lentre dunque 14062:0.

[, essi concludono,] l'epopea si indirizza a persone colte le quali non hanno bisogno di nessun materiale accompagnamento di gesti, la tragedia si indirizza a spettatori incolti e grossolani. Se per tanto è vero che la tragedia è una mimèsi materiale, non c'è dubbio ch'ella dev'essere inferiore all'epopea.

Se non che, prima di tutto, questa critica non riguarda la 5 tragedia in quanto è opera di poesia, ma solo in quanto è artificio di attori; tanto è vero che si può esagerare nei gesti anche reci­tando rapsodie come faceva Sosistrato, e anche cantando in gare

• musicali, come faceva :\lnasiteo di Opunte. E poi non è detto che oJ.!ni -movimento in genere sia da condannare, salvo che non si voglia condannare addirittura anche la danza; ma solo il gestire di artisti volgari e inetti: che era appunto il difetto che si rimpro. 10 verava a Callippide e che si rimprovera oggi ad altri i quali [, se debbono, per esempio, sostener su la scena parti di donne.] si direbbe che non sono capaci di rappresentare altro che donne di mal affare, Si noti inoltre che la tragedia anche senza l'aiuto del· l'azione raggiunge il suo proprio fine. né più né meno della epopea: perché una tragedia basta leggeri a, e si vede subito che tragedia è [, se buona o cattiva]. Se dunque si ammette che sotto ogni altro rispetto la tragedia è superiore all'epopea, si deve anche ammettere che questo suo elemento di inferiorità non le pertiene nella sua essenza.

l" Cfr. RMt, r 1413 a 3, o!ov :-:~6-1p(,~ (sciI. I!:txi~oua!,,) Cl1j),"I)-ri;V:

_dove senza dubbio l'aulèta scimmia è Callippide. .8' S'intende, da parte di Minnisco e dei contemporanei di Min­

nisco: cfr. più oltre, 1462 a 9. Questo Pindaro doveva essere, come Cal­lippide, di una generazione posteriore; ma chi fosse ci è ignoto del tutto .

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"O -, Poetica, 2(" 1462 a-b

In secondo luogo [la tragcdia è superiore all'epopea anche] per queste ragioni. Tutti gli elementi di cui l'epopea può disporre, anche la tragedia può a .... erli; tanto che, per esempio, può adope­rare perfino il verso epico liO; c in più - né sono dementi di

15 piccola importanza - ha l'accompagnamento musicale e lo spet­tacolo scenico, i quali contribuiscono in modo efficacissimo a render più vivi quei diletti [che le sono propri naturalmente) l~l. Anche si aggiunga che ella ha una sua particolar vi vezza rappresen­tativa, la quale si rivela egualmente hene cosÌ alla semplice k,t­tura come su la scena. l" na terza ragione di superiorità è anche in questo, chc la mimèsi tragica raggiunge il suo proprio fine in più hreve spazio che non la mimèsi epica; [e questo è un grande vantaggio,] perché ciò che è più condensato produce un diletto assai maggiore che se diluito in un lungo periodo di tempo 172.

:-16] h Quale effetto produrrebbe, per esempio, l'Edipo [re] di Sofode, se uno lo allungasse in tanti versi quanti sono quelli della lliade? Finalmente: la mimèsi epica ha minore unità; di che è prova il fatto che da qualunque mimèsi epica si possono trar fuori più tra­gedie. Cosicché, se un poeta epico compone un suo poema in-

3 torno a un'unica favola [sufficiente per una sola tragedia], o egli svolge cotesta favola con la [dovuta] brevità, e il suo poema sem­brerà strozzato; o la tira in lungo fino a raggiungere la lunghezza conveniente alla misura epica, e il suo poema sembrerà annacquato. E [s'intende hene che quando io parlo di minore unità epica]

1.-0 Detto per eccezione, come per es~mpio in SOPII. Traeh. 1009 sgg., Plli!. 840 sgg.: El·RIP. Troad. 590 sgg. E perciò non è da \"edere contraddizione con altri luoghi (5. 1449 h Il; 24. 1459 h n; e altrove) dov'è notato che la forma metrica è appunto un elemento di differenza.

171 La lezione manoscritta -::ì:.; G~e:t:: 8~' 7;::; è difesa dal Bywater che riferisce il rclath·o al prccedentc -:-ì;v WJ')rmd;v; ma non mi pare In

n'rità sostenibile. Accetto l'emendamento n\' i::; (Yahlen) osservando che il plurale -:iç Gy€~; richiama su di sé in modo speciale il riferimento del rdati,"o: sia in risposta a coloro che la 0'~~::; comidcra\"ano elemento di inferioritil, sia perché la 0'~~~. in certo senso é massime relativamente alla lettura, comprende anche l'accompagnam(.'nto musiclle.

172 È chiaro che anche qui (cfr. 5. 1449 b 12; 17. 1455 b 16; 2+. 1459 b 17) non si tratta dd tempo come demento intrinseco della favola, non, cioè, dell'imm'lginato ambillls (/(Iiouù, hensì della milteriille lun~

ghezz:\ dell'opera poetica, tragedia o poema.

.

Poetica, 26, 1462 b 271

"oglio riferirmi a poemi epici che siano costituiti di più azioni sul tipo della Iliade e ddl'Odissea: i quali sono bensì costituiti di molte parti in corrispondenza alle varie azioni, e ciascuna di queste 10 parti, anche presa per se:, ha una certa ampiezza, ma ciò non astante tutti due questi poemi non potevano essere costruiti in modo più perfetto, e ogni pot'ma è, nel più alto grado [compatibile a poema epico]. mimèsi di un'unica azione.

Concludendo, se per tutte queste ragioni la tragedia è supe­riore all'<:popt'a, e inoltre le è sl1periore anche per la più diretta efficacia de' suoi mezzi artistici [al raggiungimento del proprio fine]; - perché queste due forme di mimèsi non deyono procu­rare o questo o quel diletto a caso, ma quello soltanto [che è loro proprio e J che già abbiamo definito 1~3; - è chiaro che la 15 tragedia, come quella che meglio e più immediatamente dell'epopea raggiunge il suo proprio fine, dovrà ritenersi una più nobile forma di poesia.

E così, dunque, della tragedia e dell'epopea, sia generica­mente in se stesse, sia rispetto alle loro yarietà c ai loro elementi costitutiyi; e anche, quante sono e in che differiscono fra loro queste varietà c questi elementi; c quali sono le cause onde una tragedia e un poema t'pico possono riuscir bene o no; c delle \"arie critiche che si possono muoyert', e delle soluzioni corrispon­denti, basti oramai quello che ho detto 1;4. [Diciamo ora] dei giambi e della commedia ...

n In 23. 1459 a 21 è detto che l'epopea de\"{' produrre anch'essa -:-r,v c\xs:[:tv 7;?;r,v+.'I, ma non dice quale. :'\é è detto altrm·e. Parrebbe tutta\"ia, massime da questo luo~o, trattarsi per ambedue di una stessa -;-.50\1+" quella che scaturisce mediante la mimèsi da fatti che dèstino pietà e terrore (14. 1453 b 10; 13. 1452 b 32). La differenza è solo nei mezzi e nel modo.

1:·\ Semhra chiaro che queste parole, più che conchiudere la tratta­zione precedente, preludano il una trattazione successiva. La quale fu intorno ai giamhi e illia commedia. Ciò risulta non solo da allusioni evi­denti nella parte medesima della Poetica che ci rimane e altro"e (per esempio 6. 1449 h 21: T:E"~t Y..{ù[L<p8h:; 1)0""':"C:V.'J t;;oGfLev), ma anche da una frase onde contimlil, in pill degli <litri )'lss, il Ricc. 46, e che deve essere aggiunta al testo nllgato.