CANTINA ATTREZZATURE L’...anfora in argilla o terracotta è senza al-cun dubbio il conteni-tore...

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VQ NUMERO UNO - FEBBRAIO DUEMILA14 49 I QVEVRI DELLA GEORGIA, PATRIMONIO DELL’UMANITÀ In Georgia la produzione dei vini in grossi contenitori di terracotta non rappresenta una nuova tendenza ma la continuità con una tradizione che da millenni non si è mai spenta. La produzione di Qvevri per la vinificazione, di volume variabile tra i 100 e i 4.000 litri, è concentrata nelle due regioni di Kakheti e Imeriti. Per mantenere viva questa tradizione ed evitare che l’artigianato ad essa collegato rischi di scomparire, l’Unesco ha inserito la produzione dei vini georgiani in Qvevri nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. I Qvevri sono interrati completamente, vengono riempiti con l’uva pigiata e lasciati sulle parti solide dopo la fine della fermentazione alcolica e malolattica, fino alla primavera successiva. I georgiani parlando della vinificazione sulle bucce all’interno dei Qvevri usano una frase che significa “lasciare il vino con la madre”, richiamando così ad una visione ancestrale della terra- madre che dà la vita. L’ anfora in argilla o terracotta è senza al- cun dubbio il conteni- tore più an- tico utilizzato per la pro- duzione, la conservazio- ne e il trasporto del vino. Lo attestano i numerosi reperti ar- cheologici rinvenuti in tutto il bacino del Mediterraneo, da quelli risalen- ti al Neolitico (il contenitore di vino più antico è stato trovato in Iran nel 1996 e sarebbe databile al 5100 a.C.), a quelli delle civiltà della Mesopota- mia, degli Egizi, degli Ebrei, fino al- le anfore, giare e dolie di epoca gre- ca, etrusca e romana. L’alternativa alla barrique L’uso del legno per la costruzione delle botti, che prevede una cer- ta abilità anche nella forgiatura dei metalli, è successivo e fu sviluppato soprattutto nei Paesi del Nord Euro- pa, dove la disponibilità di legname era maggiore. Quella della barrique, soprattutto per i vini italiani, è invece una sto- ria molto recente, che risale agli an- ni Ottanta del secolo scorso. E vuoi per le scarse conoscenze iniziali sul suo corretto utilizzo, vuoi per l’abuso che in alcuni casi se ne è fatto, è arrivata ad essere considerata da alcuni una delle contaminazioni culturali più prorompenti in molte regioni viticole. Non deve stupire quindi che, soprattutto in alcuni set- tori dell’enologia, interessati al recupero di valori e tec- niche del passato, la ricerca di un sostituto alla barrique abbia portato l’attenzione su una tradizione antichissi- ma come quella della vinificazione o della conservazio- ne del vino in contenitori di terracotta, come l’anfora. Tradizione che per la maggior parte delle regioni viti- cole europee era tuttavia ormai persa da secoli se non da millenni. È grazie ai produttori della Georgia, che avevano con- Anfore , non solo archeologia ALESSANDRA BIONDI BARTOLINI Consulente R&S (Pescia, PT) servato nei secoli i metodi e le tecniche di produzione dei vini nei contenitori in terracotta, che i pionieri italiani e fran- cesi, all’inizio degli anni 2000, non so- no stati costretti a reinventarsi del tutto un metodo di produzione e ne hanno in- vece carpito alcuni aspetti, adattandoli alle diverse enologie occidentali. In Ita- lia il primo a sperimentare le tecniche di vinificazione imparate in Georgia al- la fine degli anni Novanta è il friulano Josko Gravner , che nel 2000 sostitui- sce tutti i contenitori della sua cantina con dei Qvevri georgiani. ATTREZZATURE CANTINA Anfore in terracotta presso l’Azienda Agricola Cos di Vittoria (RG).

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I QVEVRI DELLA GEORGIA, PATRIMONIO DELL’UMANITÀIn Georgia la produzione dei vini in grossi contenitori di terracotta non rappresenta una nuova tendenza ma la continuità con una tradizione che da millenni non si è mai spenta. La produzione di Qvevri per la vinificazione, di volume variabile tra i 100 e i 4.000 litri, è concentrata nelle due regioni di Kakheti e Imeriti. Per mantenere viva questa tradizione ed evitare che l’artigianato ad essa collegato rischi di scomparire, l’Unesco ha inserito la produzione dei vini georgiani in Qvevri nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. I Qvevri sono interrati completamente, vengono riempiti con l’uva pigiata e lasciati sulle parti solide dopo la fine della fermentazione alcolica e malolattica, fino alla primavera successiva. I georgiani parlando della vinificazione sulle bucce all’interno dei Qvevri usano una frase che significa “lasciare il vino con la madre”, richiamando così ad una visione ancestrale della terra-madre che dà la vita.

L’anfora in argi l la o terracotta è senza al-cun dubbio il conteni-tore più an-

tico utilizzato per la pro-duzione, la conservazio-ne e il trasporto del vino. Lo attestano i numerosi reperti ar-cheologici rinvenuti in tutto il bacino del Mediterraneo, da quelli risalen-ti al Neolitico (il contenitore di vino più antico è stato trovato in Iran nel 1996 e sarebbe databile al 5100 a.C.), a quelli delle civiltà della Mesopota-mia, degli Egizi, degli Ebrei, fino al-le anfore, giare e dolie di epoca gre-ca, etrusca e romana.

L’alternativa alla barriqueL’uso del legno per la costruzione delle botti, che prevede una cer-ta abilità anche nella forgiatura dei metalli, è successivo e fu sviluppato soprattutto nei Paesi del Nord Euro-pa, dove la disponibilità di legname era maggiore. Quella della barrique, soprattutto per i vini italiani, è invece una sto-ria molto recente, che risale agli an-ni Ottanta del secolo scorso. E vuoi per le scarse conoscenze iniziali sul suo corretto utilizzo, vuoi per l’abuso che in alcuni casi se ne è fatto, è arrivata ad essere considerata da alcuni una delle contaminazioni culturali più prorompenti in molte regioni viticole.Non deve stupire quindi che, soprattutto in alcuni set-tori dell’enologia, interessati al recupero di valori e tec-niche del passato, la ricerca di un sostituto alla barrique abbia portato l’attenzione su una tradizione antichissi-ma come quella della vinificazione o della conservazio-ne del vino in contenitori di terracotta, come l’anfora. Tradizione che per la maggior parte delle regioni viti-cole europee era tuttavia ormai persa da secoli se non da millenni.È grazie ai produttori della Georgia, che avevano con-

Anfore, non solo archeologiaALESSANDRA BIONDI BARTOLINI

Consulente R&S (Pescia, PT)

servato nei secoli i metodi e le tecniche di produzione dei vini nei contenitori in terracotta, che i pionieri italiani e fran-cesi, all’inizio degli anni 2000, non so-no stati costretti a reinventarsi del tutto un metodo di produzione e ne hanno in-vece carpito alcuni aspetti, adattandoli alle diverse enologie occidentali. In Ita-lia il primo a sperimentare le tecniche di vinificazione imparate in Georgia al-la fine degli anni Novanta è il friulano Josko Gravner, che nel 2000 sostitui-sce tutti i contenitori della sua cantina con dei Qvevri georgiani.

ATTREZZATURECANTINA

Anfore in terracotta presso l’Azienda Agricola Cos di Vittoria (RG).

[email protected] 49 24/01/14 09.13

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CANTINA ATTREZZATURE

Valorizzare il lavoro fatto in vignaDa allora altri nelle diverse regioni italiane seguono il suo esempio, come racconta Giusto Occhipinti dell’Azien-da Agricola Cos di Vittoria (RG): “L’interesse per l’an-fora come contenitore per vinificare per certi versi è conseguenza del nostro lavoro in vigna, dove appli-chiamo i principi della biodinamica. Nella prima-vera del 2000 visitammo Josko Gravner, che inizia-va allora con anfore georgiane. Noi abbiamo provato con anfore tunisine, siciliane e spagnole, sulle quali si è poi indirizzata la nostra scelta definitiva. Oggi abbiamo oltre 150 anfore, per una capacità comples-siva di più di 600 hl. Eravamo stanchi dell’esuberan-za delle barrique, le caratteristiche delle nostre uve si perdevano nelle trame del legno: tanto lavoro in vigna che non veniva valorizzato. Una cosa diversa sono le botti grandi, ma anche loro vanno dosate. Nel-le anfore invece non ci sono controindicazioni, il vi-no mantiene sempre la sua identità e le sue origini”.

Radici etruscheAltri, come Francesco Iacono (Arcipelago Muratori), cercano un modo moderno per reinterpretare il lega-me con il territorio e con le radici etrusche della Tenu-ta toscana di Rubbia al Colle (Suvereto, LI). Dalla sua ricerca nasce il barricoccio, un contenitore in terra-cotta della forma e delle dimensioni della barrique: “La terracotta – racconta – è sempre stata un mio palli-no da tempo immemore, complice un viaggio in Ge-orgia nel 1991. Ho avuto il ritorno di fiamma quan-do mi sono reso conto che Rubbia al Colle insisteva

su un insediamento etrusco del V secolo a.C. Scoprii che gli Etruschi usavano il bucchero, una ceramica nera bellissima ed estremamente interessante per-ché inerte. Iniziai a cercare se fosse possibile farla ma non trovai artigiani in grado di riprodurla con la finalità che avevo in mente io. Così iniziai a fare

esperienze in piccoli orci, con risultati interessan-ti. La scelta del sistema di gestione delle barrique della nuova cantina mi fece pensare che avremmo potuto risolvere il problema della fragilità, che era stato fra i motivi maggiori dell’abbandono della ter-racotta in enologia. Trovammo la soluzione con l’i-dea del barricoccio, un materiale antico con forma moderna, gestito su supporti rotativi dai quali non si deve più muovere: riempimento, svuotamento e lavaggio avvengono tutti nella stessa posizione. Ini-ziai a cercare una fornace interessata al progetto e la trovai nella Fornace Masini di Impruneta, con la quale iniziammo a sperimentare: spessore, tecnica di essiccamento, cottura, modalità di chiusura...”.

I rapporti col contenutoAlle anfore viene attribuita la caratteristica di mante-nere i vini più giovani nel colore e nell’aroma, pur con-sentendo una corretta evoluzione, soprattutto nei tratti gustativi. A cosa si deve tale capacità?In realtà non ci sono per il momento risposte dalla scien-za e dalla ricerca. Si possono fare solo alcune ipotesi, di-stinguendo tra i vari usi che delle anfore si fanno e i di-versi trattamenti che i contenitori subiscono o meno per essere resi più adatti all’uso enologico. Alcuni produttori, come l’Azienda Agricola Cos, utilizza-no le anfore del tutto o parzialmente interrate, sia per la vinificazione sia per la conservazione dei vini, con ma-cerazione sulle bucce che – sia nel caso delle uve bian-che sia di delle rosse – si protraggono per periodi molto lunghi, anche di otto o nove mesi. Difficile dire (e ai fini del produttore probabilmente anche superfluo) se i ri-sultati qualitativi siano dovuti al contenitore o al contat-to prolungato con le fecce, che favoriscono l’evoluzione dei caratteri gustativi, e con le bucce, che arricchisco-no il vino in sostanze antiossidanti. Più facile è capire l’influenza diretta o indiretta dei contenitori in argilla

VITIGNO E TERRITORIO, SENZA INTERFERENZECon le prime esperienze comincia ad emergere la relazione dei contenitori in argilla con le caratteristiche del vino, come racconta Giusto Occhipinti, che utilizza le anfore nella produzione del Phitos rosso e bianco, rispettivamente un Cerasuolo di Vittoria e un Grecanico: “Mentre la barrique cede tannini e aromi, la terracotta non trasmette nulla e permette di prolungare le macerazioni sulle bucce, mantenendo un frutto

più integro. L’anfora restituisce al produttore uno straordinario senso di libertà, oltre che di precisione del terroir”. “Dopo le prime esperienze – aggiunge Iacono, riferendosi all’esperienza col barricoccio – ci accorgemmo che l’argilla poteva chiudere un cerchio: il consumatore si stava orientando verso vini freschi, che nel 90% dei casi sono anche giovani, e il barricoccio sembrava poter dare vini freschi ma allo stesso tempo maturi”.

I barricocci utilizzati a

Rubbia al Colle (Suvereto, LI).

[email protected] 50 24/01/14 09.13

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nel caso in cui questi vengano utilizzati, come nel caso del barricoccio di Rubbia al Colle, come contenitori per l’affinamento dei vini. Uno degli aspetti più interessanti è sicuramente l’inerzia termica dei materiali argillosi e la loro capacità coibentante (caratteristiche che dipen-dono anche dal volume dei contenitori e dallo spessore delle pareti: quello del barricoccio per esempio è di 2,5 cm). Un ruolo importante, del quale si parla e per il qua-le tuttavia non esistono per il momento verifiche speri-mentali, sarebbe poi da attribuire alla forma rotondeg-giante dei contenitori, che favorirebbe la sospensione delle fecce (si parla di un batonnage naturale).

Rivestite o no?La terracotta è un materiale poroso e permeabile sia ai gas sia, in parte, ai liquidi. L’azione di ossigenazione sull’evolu-zione dei vini dipende dal tipo di trattamento utilizzato sul-la parete interna a contatto con il vino o su quella esterna. Le anfore e gli altri contenitori in terracotta infatti sono in alcuni casi utilizzati tal quali senza alcun trattamento e in altri rivestiti con trattamenti impermeabilizzanti. Nel primo caso la porosità del materiale, e quindi il tipo di argilla e la sua lavorazione, influenzano sia il passag-gio di ossigeno sia le perdite per evaporazione. L’inter-ramento dei contenitori ha lo scopo di ridurre entram-bi gli effetti in quanto l’anidride carbonica prodotta in fermentazione resterebbe più a lungo negli strati infe-riori del terreno, riducendo l’accesso dell’ossigeno. Al-lo stesso tempo la minore circolazione di aria sulla su-perficie esterna degli orci ridurrebbe l’evaporazione e i cali di prodotto. Nelle anfore rivestite, sia la permeabi-lità all’ossigeno sia la cessione di composti più o meno attivi dipendono dal tipo di trattamento. In alcuni casi come avviene per i Qvevri georgiani, il rivestimento di impermeabilizzazione viene realizzato impregnando la parete con cera d’api quando il contenitore ancora cal-do esce dal forno di cottura della terracotta. La cera d’api andrebbe così ad occludere i pori e a ridur-re la permeabilità all’ossigeno, anche se la sua reale iner-zia o la possibilità che questa ceda, alla stessa stregua del legno, alcuni componenti anche organoletticamente attivi sono aspetti ancora da verificare. In altri casi il problema è stato risolto con rivestimenti di vetrificazione con resine epossidiche adatte al con-tatto con gli alimenti, come quelle utilizzate nelle va-sche in cemento (che a dispetto del nome sono polimeri di sintesi che non hanno niente a che fare con il vetro). Sebbene questa soluzione non soddisfi i produttori che

cercano nell’uso della terracotta un completamento a filosofie di produzione naturale, la vetrificazione per-metterebbe di superare alcuni punti critici ancora irri-solti, tra i quali le difficoltà di pulizia e di sanificazione.

Non una moda passeggeraIl rinnovato interesse nei confronti dei contenitori in ter-racotta resterà probabilmente legato ad una nicchia di prodotti ma non per questo deve essere considerato so-lo una moda passeggera. L’acciaio e il legno, a fronte di vantaggi non discutibili, presentano anche alcuni punti critici che i produttori stanno evidenziando, rivolgendosi ad altri materiali. Questo non significa che si andrà verso un loro abbandono ma che tali aspetti dovranno essere approfonditi e gestiti. L’appeal emotivo suscitato dai pro-dotti vinificati o affinati nella terracotta non deve tuttavia far dimenticare che il vino è pur sempre un prodotto ali-mentare e che molti sono gli aspetti ancora da indagare di questi materiali. Dovranno essere, nei prossimi anni, scienziati e ricercatori, sollecitati dai produttori di vino e dagli artigiani della terracotta, a rispondere con la ricer-ca ai tanti interrogativi che ancora restano aperti. n

www.vitevinoqualita.it/af7Od

INERTE. MA QUANTO?La terracotta nuda o priva di rivestimento non è un materiale inerte e in quanto materiale argilloso contiene nella sua struttura cationi di diverso tipo, tra cui alcuni metalli. Dal punto di vista tecnologico, la cessione di metalli

come il ferro o di cationi come il calcio, in grado di influire sulla stabilità dei vini, sullo stato ossidativo e su parametri come il pH, sono aspetti che dovrebbero essere presi in considerazione. Per questi motivi la selezione di argille di

qualità, anzitutto prive di metalli pesanti, è molto importante e la definizione dei criteri di scelta della materia prima per la produzione di contenitori adatti all’uso enologico sarà una delle priorità da affrontare.

Presso l’azienda siciliana Cos, le anfore in terracotta vengono utilizzate interrate sia per la vinificazione sia per l’affinamento del prodotto.

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