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cantıerı Fundraising, VITA Social Job Servizi pubblici, la coop sociale non sta più a guardare Cantieri Creativi Cast, vanno in scena i detenuti malati di Aids A Castrocaro si apre la IV edizione del Festival del Fundraising. Un’edizione incentrata su un documento intitolato “Libertà di fundraising” che apre una riflessione decisiva sul futuro di una professione sempre più richiesta dal non profit, ma anche nelle amministrazioni pubbliche. Quali sono le competenze necessarie e le opportunità di lavoro?Le risposte in queste pagine scommettiamoci 13 MAGGIO 2011 - NUMERO 18

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Fundraising,

VITASocial Job Servizi pubblici, la coop sociale non sta più a guardare

Cantieri Creativi Cast, vanno in scena i detenuti malati di Aids

A Castrocaro si apre la IV edizione del Festival del Fundraising. Un’edizione incentrata su un

documento intitolato “Libertà di fundraising” che apre una riflessione decisiva sul futuro di

una professione sempre più richiesta dal non profit, ma anche nelle amministrazioni pubbliche.

Quali sono le competenze necessarie e le opportunità di lavoro?Le risposte in queste pagine

scommettiamoci

13 MAGGIO 2011 - NUMERO 18

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N’ETICA CHE OSTACOLA LO SVILUPPO E MINA alle basi ilnon profit». Non le manda a dire Valerio Melandri,direttore della Fund Raising School presso la fa-coltà di Economia di Forlì, nel documento intitolato“Libertà di fundraising” che esporrà mercoledì 11al Festival del Fundraising. In Italia, è la premessadel professore, quel che si permette al profit lo siinibisce al non profit. E il risultato è sotto gli occhidi tutti: «Un terzo settore che fatica a conquistarsilo spazio che, pure, meriterebbe».

Si scrive “fundraising” ...Il ragionamento non procede per assiomi. Piuttosto met-te in fila, una dopo l’altra, cinque tesi che corrispondonoad altrettanti ostacoli. Prima, la questione retributiva. «Imanager del non profit prendono uno stipendio di granlunga inferiore a quello dei loro colleghi profit», dice Me-landri. E questo avviene non, come forse ci si aspette-rebbe, per carenza di risorse. «Se si dà una retribuzioneadeguata si va sotto scandalo. Come se si usasse impro-priamente il denaro». Con che risultato? Il non profit nonattrae i talenti che vanno là dove li porta l’euro. Tengonofamiglia, è chiaro. Ma questo non può penalizzare il set-tore: «Il fatto è che si pensa che il bene comune sia altrodall’interesse personale mentre invece devono conciliar-si». Da questa premessa discendono conseguenze moltoconcrete. L’uso del marketing e la mancanza di un mer-cato azionario (con annessa l’impossibilità di attrarre in-vestimenti significativi) ad esempio. «Abbiamo contatole campagne tv. Il profit batte il non profit 3mila a 1. Seperò guardiamo al Pil, il primo vale il 60% del totale, ilterzo settore fa il 2%: il rapporto è 1 a 30, non 1 a 3mila».Non sarà un caso che gli italiani siano in basso nella gra-duatoria europea delle donazioni e che da noi i profes-sionisti della raccolta siano così pochi (i soci dell’Assifsono 200 su una popolazione di 60 milioni, l’analoga as-

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Si ritiene poco appropriato usare risorse non per ilprogetto ma per azioni di sostegno, ma così non sipensa mai in grande e si raccolgono fondi residuali

«Più libertà e meno vincoli». Al Festival di Castrocaro si leva il grido dei professionistidella raccolta fondi. E si apre il dibattito fra gli esperti

Fundraising

sociazione inglese ne raccoglie 5.500 rispetto ai 62 mi-lioni di abitanti)...

...ma si legge “non profit”Senza promozione, un’azione sarà meno efficace: tuttine sono consapevoli, eppure al momento di decidere,tentennano. «È sempre la stessa ragione: si ritiene pocoappropriato usare risorse non per il progetto ma per azio-ni di sostegno». Così si racimolano «risorse residuali». Enon si pensa in grande. È appunto il quarto ostacolo: lamancanza di una visione di lungo termine. «Se non ot-teniamo risultati entro dodici mesi, e che risultati, siamoesposti a un fuoco di critiche. Amazon invece può stareanche sei anni senza utili quando lancia un nuovo pro-getto». Infine il rapporto tra spese generali di una orga-nizzazione e le risorse destinate alla causa. Qui Melandrichiama in causa l’Agenzia per il terzo settore: «Le sue Li-nee guida che fissano a 30 e 70 l’equilibrio fra spese eprogetti sono state devastanti». La riprova? «Abbiamofatto un’indagine: il 76% degli italiani, prima di donare,chiede quanto di quel che dono va alla causa. Solo il 6%si chiede se il suo contributo avrà un effetto positivosulla risoluzione del problema». Viceversa, «occorrerebbeiniziare a valutare le performance più dei costi».

Limite o differenza?Fin qui Melandri. Ma se il non profit gioca in rimessa, dichi è la “responsabilità”? «Molte delle affermazioni diMelandri sono condivisibili», anticipa Andrea Olivero,portavoce del Forum del terzo settore, «tuttavia non necondivido la premessa». Attenzione a non scambiare ladiversità con un limite. Ribatte il portavoce: «L’etica con-nota profondamente il non profit in senso anche parte-cipativo e gli permette di riscuotere lo straordinario con-senso di cui gode presso l’opinione pubblica». Ci sareb-bero così tanti volontari se fosse diverso da quel che è?Probabilmente no, concorda Francesca Zagni, presidentedi Assif: «Occorre tener conto che lo sviluppo del terzosettore non è stato istituzionalizzato e che questa spon-taneità ha un suo specifico valore». Diversa la prospettivadi un osservatore esterno, Pierluigi Sacco, docente a Ve-nezia, che riferendosi alle Linee guida dell’Agenzia per ilterzo settore (che affermano che almeno il 70% dei fondiraccolti deve andare al progetto e il restante 30% rap-presenta il massimo dei costi per realizzare l’attività diraccolta fondi) sostiene che «discutere di 30 o 70% portifuori strada. Primo, perché qualunque indicatore va in-serito in un contesto. Secondo, perché si finisce col di-scutere di minuzie quando invece occorrerebbe occu-parsi della capacità progettuale del non profit». Non per-diamoci in questioni interne, insomma, dato che le sfideper il settore sono moltissime, «a cominciare da quelladi elaborare modelli di sviluppo socio-economico soste-nibili. Per gran parte dell’opinione pubblica, il non profitnon è nemmeno un’ipotesi da questo punto di vista».

VITA13 MAGGIO 2011 2

cantıerıwork

di Maurizio Regosa

SpagnaBelgio

UKOlandaIrlandaFrancia

FinlandiaAustria

ItaliaGermaniaUngheria

SlovacchiaRep.CecaRomania

122120117

110100

7470

5043

3932

2525

5

USA 36milasu una popolazione di 317 milioni di abitanti

UK 5.550su una popolazione di 62 milioni di abitanti

Germania 1.300su una popolazione di 82 milioni di abitanti

Svizzera 470su una popolazione di 8 milioni di abitanti

Francia 350su una popolazione di 62 milioni di abitanti

Polonia 248su una popolazione di 38 milioni di abitanti

Italia 200su una popolazione di 60 milioni di abitanti

Valore medio donazionepro capitedati del governo spagnolo

Numero di fundraiser iscrittialla associazione di categoriadati Philanthropy centro studi

Occhio ai numeri

In Italia sono 10mila le persone che si occupanoa vario titolo di raccolte fondi, mentre iporofessionisti del settore sono circa la metà

10mila

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IL NUMERO UNO. A CUI TUTTI FANNO LA STESSA DOMANDA: comesi fa a mettere in piedi una campagna di raccolta fondiefficace? Lui si chiama Adrian Sargeant e i titoli per ri-spondere non gli mancano di certo. Classe 1964, inglese,professore di Fundraising presso il Centre for Philanth-ropy all’Università dell’Indiana, la prima cattedra al mon-do nel suo genere. Sergeant è anche professore di Marke-ting per il non profit e il fundraising alla Bristol BusinessSchool nel Regno Unito e professore associato di Fun-draising presso il Centre for Philanthropy and NonprofitStudies alla Università Queensland di Brisbane in Au-stralia. Insomma, un guru.

Allora professore, non perdiamo tempo: come si fa?Troppo spesso si fanno gli stessi errori, e quindi altret-tanto spesso mi tocca ripetere le medesime osservazioni.Uno: rendere facile donare online come ad esempio, fon-damentale, chiedere esclusivamente i dati necessari perla donazione. Eliminare tutto il resto. Due: aggiungere

la possibilità di effettuare una dona-zione regolarmente offrendo un servi-zio che permette di donare in automa-tico da carta di credito o conto correntea intervalli regolari. Tre: prevedereun’opzione “segnala a un amico”.Quattro: personalizzare tutte le comu-nicazioni. E cinque: nel caso in cui siutilizzino piattaforme esterne, adesempio per la transazione, occorre fa-re in modo che non siano anonime eallinearle al cosiddetto look & feel delproprio sito e quindi della propria as-sociazione.E invece la situazione oggi qual è?

C’è ancora molta strada da fare. Nel 2010 nei Paesi occi-dentali solo il 5% del totale delle donazioni è stato fattoonline. Quello che le organizzazioni devono imparare ècome veicolare traffico verso i propri siti. Negli ultimianni è migliorato il design, ma ancora manca la capacitàdi attirare e mantenere utenti sul proprio sito.

Qualche tendenza?Nel 2011 ci aspettiamo una crescita significativa legataalle grande emergenze come nel caso del terremoto inGiappone. Un altro aspetto interessante è che donareonline sembra essere tendenzialmente un’attività diurnae non serale, che si svolge cioè nelle ore lavorative prin-cipalmente. Infine, il futuro: bisogna porsi il problemadi definire standard e regole che difendano i donatoridalle eventuali frodi.

Quali sono le principali differenze tra Europa e Stati Unitinell’approccio al fundraising online?

A dire la verità non credo che l’Europa abbia molto daimparare dagli Stati Uniti, almeno per quanto riguardail digital fundraising e il direct email marketing. Anzi,credo che in questi due settori in Europa ci siano espe-rienze migliori. Quello su cui, invece, siamo ancora moltoindietro è come strutturare delle campagne di raccoltafondi e la gestione dei grandi donatori.

Che idea si è fatta dei vari progetti rivolti al non profit lanciatida grandi aziende informatiche come Google o Facebook?

In questi casi l’obiettivo principale è quello di creare con-tatti. Le percentuali di conversione, invece, di un utenteintercettato su “Facebook causes” o su “Jumo” sonomolto basse. Io peraltro sono molto scettico sulla capa-cità di trasformare in fondi i contatti prodotti attraversodei siti di aziende. Ma certamente aiutano ad aumentareil traffico.

Intervista ad Adrian Sargeant

Le cinque regole del guru

in progressVITA3 13 MAGGIO 2011

cantıerı

È

Le immagini che trovate in questepagine sono tratte daFlickr/festivaldelfundraising. Le illustrazioni, compresa quella di copertina, sono state realizzatidall’agenzia “The Value Web”

di Riccardo Bagnato

La IV edizioneIl programma del FestivalWorkshop, plenarie, approfondimenti: èarticolata la ricetta della quarta edizionedel Festival del Fundraising (dall’11 maggioal 13, presso il Grand Hotel di Castrocaro),intitolata “L’esperienza si fa metodo”. Lafidelizzazione del donatore, i lasciti, ilrapporto con le imprese, il ruolo dellefondazioni. E naturalmente le conseguenzedell’aumento delle tariffe postali. Sonoquesti alcuni dei temi che saranno discussida un gruppo di relatori particolarmentequalificato, tra i quali Adrian Sargeant(“Costruire la Donor Loyalty”, è il focus) eBill Toliver (che discuterà l’importanza deimovimenti sociali per il non profit).Elisabetta Gasperini (Oxfam Italia, ChrisInnes (Unhcr), Letizia Galli di Medici senzaFrontiere, Daniele Fusi e Patrice Simmonet(ActionAid), Paolo Ferrara (Terre desHommes) si confronteranno invece sullestrategie dicomunicazione/sensibilizzazione: al postodelle tradizionali lettere, meglio la raccoltaon line? Fra le opportunità di questaedizione anche il Myfestival (spazio diconfronto autogestito) e ilCoachmentoring (una consulenza “one toone” con professioni di lunga esperienza). Per il programma completo: www.festivaldelfundraising.it

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Basta giocare in difesa«È un fatto: non c’è cultura del management. Le orga-nizzazioni sono troppo assoggettate alle risorse pub-bliche e alla fine hanno una scarsissima propensione alrischio e all’investimento», aggiunge il fundraiser Lu-ciano Zanin. E se non ci sono i manager, chi la fa la stra-tegia?

È appunto il corto circuito che sconta il fundraisinge di cui avverte Massimo Coen Cagli, fondatore di fun-draising.it: «Molto spesso i responsabili delle organiz-zazioni sono anche fundraiser». La precisazione è pre-ziosa: spiega un intreccio di ruoli e di casacche che nonè detto faccia troppo bene. Un esempio: se come diri-gente-fundraiser devo stabilire la percentuale di spesegenerali (tra cui c’è anche lo stipendio che percepisco)forse qualche imbarazzo ce l’ho. La puntualizzazionedi Coen Cagli però introduce anche un altro, più rile-vante equivoco. E cioè il ruolo che il reperimento di ri-sorse deve avere all’interno di una non profit. Il fun-draising «non è un ascensore», per dirla con Aldo Bo-nomi (lo si prende per salire ai piani alti, a caccia di fon-di...). È una scelta di fondo e un metodo. «Ogni ente hadue scelte davanti a sé. Può gestire quello che ha oppuretrovare quello che serve per fare quello che deve», sot-tolinea Zanin. Ed è qui che serve la capacità di investire,e dunque di rischiare. D’altro canto se manca culturamanageriale non è detto che sia del tutto a causa deidirigenti. «Ormai assumersi la responsabilità di una nonprofit significare preoccuparsi della sua sostenibilità»,puntualizza Coen Cagli, «da questo punto di vista il pro-fessionista che si occupa di risorse ha la responsabilitàdi fare proposte mirate e coerenti con la realtà nellaquale opera». Il fundraiser come il sarto, insomma. Cherivestendo, in qualche modo trasforma. «Per il 90% del-le realtà di cui sono stato consulente», incalza Zanin,«il problema non è il denaro, ma l’assetto organizzativo.Spesso è questo che va cambiato».

Le sfide del futuroCiò detto, e per guardare avanti, quali potranno esseregli sbocchi della provocatoria analisi di Melandri? «Unproblema reale», afferma Olivero, «è il management.Un punto che va affrontato in modo serio, definendo iruoli tecnici, da retribuire in modo adeguato, e distin-guendoli da quelli politici, che nel volontariato sono edevono restare all’insegna della gratuità». Una separa-zione delle carriere, per così dire, che salvaguarderebbele capre della remunerazione e i cavoli della reputazio-ne. Dando un aiutino alla propensione al rischio e al-l’investimento. Certo è una prospettiva, ma praticarlanon è di poco momento. Potrebbe però modificare unavisione non corretta ma diffusa del fundraising, che«non è complementare, ma aggiunge valore a un ente»(Olivero). Specialmente se «chi lo persegue», ribatteCoen Cagli, «ha la capacità di entrare nell’organizzazio-ne prendendone le esatte misure». No ai fundraiser pertutte le stagioni e per tutte le taglie, insomma. «Un con-to è lavorare per una grossa ong, un altro per una coo-perativa sociale. Strategie e strumenti saranno diffe-renti». Il salto di qualità lo devono fare tutti: «Il percorsosarà lungo ma è da fare insieme», sottolinea Zagni. «Per-ciò potrebbe servire», è l’idea di Coen Cagli, «un tavolodi confronto tra dirigenti e fundraiser».

Infine, il nodo della patrimonializzazione. Per supe-rare la “residualità” delle risorse, non è improbabileche servano iniziative anche normative (ad esempio,una Borsa sociale) che aumentino l’appeal del settore ela sua capacità di attrarre investimenti. «Forse il nostroambito», conclude Olivero, «dovrebbe lanciarsi in qual-che progetto più ardito. Magari con l’ausilio delle fon-dazioni, potrebbe pensare a creare imprese sociali pergestire beni pubblici». Una sfida ulteriore che, per dirlacon Sacco, rilancerebbe la progettualità e contribuirebbead affermare una leadership che «possa dettare alla po-litica i temi in agenda».

In Italia solo 1,5% delle donazioni viene elargito via web

Social network «sì», iPhone «no»la bussola per non perdersi on line

N ITALIA SIAMO FERMI ALL’1,5%». Partiamo da qui.Paolo Ferrara, fundraiser, blogger e soprattuttoresponsabile Comunicazione e raccolta fondi del-la Fondazione Terre des Hommes Italia non hadubbi: «C’è ancora parecchia strada da fare perchéla percentuale di donazioni effettuate online au-menti rispetto al totale delle offerte effettuate».Un dato che risulta ancora più significativo seconfrontato con il picco più alto nel mondo - quel-lo degli Stati Uniti - che nel 2010 è balzato al 7,5%(tre anni fa era il 4%).

C’è poi un altro problema. Dal 2010 i costi deldirect marketing sono cresciuti esponenzialmen-te a seguito dell’abolizione delle tariffe postaliagevolate al non profit. Come conseguenza molteassociazioni hanno potenziato i propri strumentionline, ma anche qui i costi sono aumentati: «Dal-la fine del 2011 i prezzi per l’acquisizione di listesono raddoppiati, ma i risultati sono sempre peg-

giori per via del fatto che molti sisono riversati sull’online saturan-do il canale e riducendo notevol-mente l’efficacia dei contatti ac-quistati da agenzie specializzate».Eppure, a guardare le poche ricer-che effettuate finora sul fenome-no delle donazioni online, qualchemotivo di fiducia c’è. Secondo l’a-genzia Slash che l’anno scorso hapubblicato il suo “OsservatorioFundraising Online 2010”, nel2009 ben due donatori online su

tre lo fanno direttamente sui siti delle organizza-zioni non profit e quasi l’80% ritiene la donazionevia web “più comoda” perché veloce ed è possi-bile effettuarla in ogni momento. In compensola consuetudine all’uso dei metodi tradizionalidi donazione e la volontà di non fare pagamentionline (56%) sono i principali ostacoli alla crescitadel settore. A sorpresa, infine, la newsletter elet-tronica risulta ancora lo strumento preferito dagliutenti per essere aggiornati con il 69% delle pre-ferenze, seguono Facebook (29%), newsletter car-tacea (24%) e YouTube (11%).

«A mio avviso la tecnologia che attualmentegarantisce i migliori risultati è il CPC di Google.In questo modo si paga in funzione di un risultatoconcreto e i tassi di conversione sono più alti ri-spetto ad altri metodi», suggerisce Ferrara. Già,perché il “Costo per Click” (parte del servizio“Adwords” offerti dal gigante di Mountain View)offre la possibilità di acquistare parole chiave gra-zie alle quali, nel momento in cui un utente fauna ricerca sul motore di ricerca, alla sua destrasullo schermo compare la propria pubblicità. «Aseguire consiglierei di migliorare il posiziona-mento nei social network», conclude Ferrara, «edi evitare, almeno per ora, di sviluppare applica-zioni iPhone per raccogliere fondi. In questo casosi infatti è costretti a lasciare il 30% ad Apple,una cifra che non si può giustificare nei confrontidei donatori; e infine di implementare sistemi difidelizzazione tali per cui un donatore possa de-cidere di donare regolarmente». [R.Ba.]

Fundraising

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I risultati ottenuti con una struttura dedicata

Genova moltiplicaper quattro le raccolte fondi

La ricerca di ContactLabMa la rete convince sempre di piùVerrà presentata in anteprima in occasione delFestival del Fundraising la prima ricerca onlinesugli utenti “fedeli” del settore non profit,realizzata da ContactLab in collaborazione conVita Consulting. «Sono stati raccolti circa 20milaquestionari compilati online dagli iscritti allenewsletter di alcune fra le principaliorganizzazioni italiane invitati a raccontare lapropria esperienza di sostenitori e donatori»,spiega Massimo Fubini, ad di ContactLab, «nerisulta che il 48% dei rispondenti ha giàeffettuato una donazione. Tra gli ambiti in cuioperano le organizzazioni, al primo postotroviamo le cause umanitarie e l’aiuto ai Paesipoveri; seguono la ricerca scientifica, le adozionia distanza e in genere l’aiuto dell’infanzia. Ma ildato più rilevante è che il 39% dei rispondentidichiara di donare online; tra questi, il 13%utilizza esclusivamente Internet per effettuare leproprie donazioni».Nonostante emerga un’abitudine consolidata alladonazione tramite i tradizionali canali offline,tanto che il bollettino postale si conferma comelo strumento più utilizzato (29%), i canali dipagamento online (dal bonifico bancario online,alla carta di credito, a PayPal) sono utilizzati dal36% degli utenti intervistati che hanno giàeffettuato donazioni. Per quanto riguarda inoltrei mezzi più utilizzati per raccogliere informazionisulle attività delle organizzazioni non profit, alprimo posto (54%) troviamo il sito web, seguitodalla newsletter (40%). Al terzo posto la postacartacea, anche se il 58% dei rispondenti dichiarache preferirebbe essere aggiornatoesclusivamente tramite canali online,rinunciando al supporto offline.La ricerca sarà disponibile su vita.it

EN 450MILA EURO RACCOLTI IN UN ANNO E MEZZO e part-nership con grandi marchi dell’imprenditoria ita-liana. Questi i numeri e risultati di Elena Zanella,direttore Fundraising, comunicazione, relazioni

esterne del Centro clinico Nemo di Fondazione Serenaonlus oltre che consulente per la raccolta fondi e la co-municazione di Uildm, Aisla e AriSla. Za-nella ha messo a segno infatti tre diversiprogetti di collaborazione con Esselungae Fondazione Johnson&Johnson. Ma co-me si arriva a convincere due marchi delgenere? «Prima bisogna stabilire chi sia ilfundraiser. Secondo me è un creativo vo-tato al marketing, un paroliere con la pas-sione per l’economia, una persona eticaorientata alla massimizzazione dei risul-tati per una buona causa». Manager d’a-zienda e fundraiser devono stare sullostesso piano. «Siamo come loro e dialo-ghiamo alla pari», sottolinea Zanella. «Non andiamo adelemosinare risorse con il cappello in mano ma a trattareper accordi vantaggiosi per entrambe le parti», aggiunge.Il modus operandi è preciso. Qualche consiglio: «Non puòesserci raccolta fondi senza comunicazione né comuni-cazione senza raccolta fondi. La mission è importantema per raccogliere fondi ci vogliono fondi. La professio-nalità di una non profit si misura dal cuore di chi ci lavora,ma anche dalla vision del board di direzione», elenca si-cura la fundraiser. Ciò «significa avere ben chiaro l’ob-biettivo. Andare dal manager deputato, senza un disegnogià predefinito di quello che si vuole fare, ma per coin-

Bvolgere l’azienda nella ricerca della forma più adeguataper l’iniziativa», continua Zanella. «Per poter parlare lastessa lingua però bisogna dotarsi di requisiti ad hoc»,sottolinea, «per questo servono professionalità ed effi-cienza, non si può bluffare. Credo nella programmazionea lungo termine dei progetti, tipica delle aziende. Non

solo perché è in sintonia con il modo ope-rativo di un’impresa ma anche perché cosìl’iniziativa viene sostenuta per un periodolungo abbastanza da farla diventare effi-cace».

Anche sulla crisi e i problemi che nesono scaturiti la fundraiser ha le idee chia-re e parla da manager: «Abbiamo investi-to. Nei momenti difficili bisogna rilancia-re», conclude. Proprio questo approccioha dato vita alla partnership con Esselun-ga in favore del Centro clinico Nemo diFondazione Serena onlus. «La collabora-

zione si inserisce nell’ambito del Programma Fìdaty, chegrazie a 18.600 adesioni finora ha raccolto 186mila euro.Fondi che sono stati usati per ristrutturare un reparto dipediatria di 200 metri quadrati. Non solo. «Con Fonda-zione Johnson&Johnson abbiamo portato a termine unaccordo da 250mila euro in favore di Uildm, con un pro-getto denominato “Una città possibile” e per Aisla con“Quattro ruote e una carrozza”», aggiunge Zanella. Tuttii fondi sono stati usati per l’acquisto di 10 mezzi per iltrasporto di persone disabili. «Il progetto infatti riguar-dava la mobilità e il disagio alla mobilità che queste per-sone vivono», spiega Zanella. [Lorenzo Maria Alvaro]

I TUTTO, DI PIÙ. LA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE per l’a-dozione a distanza dei gatti randagi, per la ceri-monia in onore degli sposi che festeggiano que-st’anno le nozze d’oro, per la sezione fumetti dellabiblioteca Berio e per la prossima Notte bianca. Epoi il piano pubblicitario per l’emergenza caldo,per i servizi educativi e per il palio marinaro. E,ancora, il restauro del secondo piano nobile di Pa-lazzo Rosso.

Le aziende interessate a sponsorizzare un even-to o un’attività del Comune di Genova hanno quasil’imbarazzo della scelta. Musei, biblioteche, pro-mozione della città, servizi civici, politiche sociali,sicurezza, ambiente e verde, sostenibilità, sport,polizia municipale e politiche educative. Ce n’è pertutti i gusti e, soprattutto, per tutti i portafogli. Ca-pitale europea della cultura nel 2004, la città dellaLanterna ha tutte le carte in regola per candidarsia capitale italiana del fundraising istituzionale.

Perché ha maturato una lunga espe-rienza, perché ha istituito un ufficioad hoc e soprattutto perché riesce araggranellare non pochi quattrini.

Genova si è mossa in tempi nonsospetti. Prima cioè che la mannaiasui trasferimenti statali agli enti localispingesse le amministrazioni a farcassa con gli sponsor privati. «I primipassi, ma solo per il settore cultura,risalgono infatti al 1999», riferisce Ti-ziana Ginocchio, funzionaria comu-nale coordinatrice del settore Spon-

sorizzazioni. Il punto di svolta nel 2004 in occa-sione della kermesse europea. L’attività di raccoltafondi ha avuto poi un’accelerazione con l’elezionenel 2007 di Marta Vincenzi a primo cittadino.

La carta vincente si è rivelata l’istituzione di unufficio dedicato. Una struttura che supporta e coor-dina le diverse ripartizioni comunali (onde evitareche più uffici bussino alla stessa azienda) e chesuggerisce ai donatori le iniziative che potrebberosposarsi bene con la mission aziendale. «Nel casodi un convegno sull’urbanistica saranno contattatele imprese che operano nel settore immobiliare»,spiega Ginocchio.

Per i grossi eventi scende invece in campo di-rettamente lo staff del sindaco. Il Comune ha alle-stito inoltre un’apposita sezione del sito (www.co-mune.genova.it) con le informazioni sulle propostedi sponsorizzazione e organizza annualmente unmeeting per ringraziare i finanziatori. Le stessetecniche e le stesse attenzioni, insomma, adottatedal non profit. Alla guida dell’ufficio, come ricor-dato, non c’è però una figura proveniente dal pri-vato sociale ma una funzionaria comunale, TizianaGinocchio appunto, che dal 1999 si dedica al fun-draising.

Infine, i risultati economici. Genova, escluse lerisorse donate dalle fondazioni, nell’ultimo qua-driennio ha quadruplicato le somme raccolte solodagli sponsor passando da uno a quattro milionidi euro. Nonostante, particolare non irrilevante, lacongiuntura economica non sia proprio favorevole.

[Francesco Dente]

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L’esperienza di Elena Zanella

Vi spiego come ho conquistatoEsselunga e Johnson&Johnson

in progressVITA5 13 MAGGIO 2011

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Come ci si forma e dove si può trovar lavoro

Stipendi e competenze: i segretidi una professione in crescita

L’ultima collana nata dalla fucina della piccola ca-sa editrice è “Smart” e sarà presentata al Festival delFundraising. «Il nome stesso spiega l’agilità e la pra-ticità dei titoli di questa collana: si tratta di cinquevolumetti sugli argomenti-chiave della raccolta fondi:vengono affrontati la libertà di fundraising, ma anchegli strumenti giuridici a disposizione, fino al fundrai-sing online. Il prezzo di ciascun libro è estremamenteaccessibile, 10 euro, e stiamo valutando la possibilitàdi offrire la collana anche attraverso e-reader», illustrala direttrice editoriale.

«Oltre a “Smart”, abbiamo altre due collane “sto-riche”», aggiunge la Castellucci, «si tratta di “Farefundraising” e “Strumenti”, per un totale di 16 titolituttora disponibili su catalogo. Alcuni di questi sonotraduzioni e adattamenti di titoli della casa editriceinglese John Wiley, altamente specialistica e dotatadi una sezione Fundraising. Si tratta di una interes-sante finestra sulle metodiche e gli standard operativiinternazionali». [B.Ve.]

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Edizioni Philanthropy, la prima casa editrice del settore

La filantropia pagina dopo pagina

E COMPETENZE SPECIFICHE non basta-no più. Per fare, con successo, ilfundraiser occorre avere una pre-parazione interdisciplinare e gran-

di doti relazionali e di comunicazione.Questi i requisiti che fanno la differenzadurante le selezioni di personale. Nonsolo. Per Gianluca de Tollis, responsabileRaccolta fondi di Lega del Filo d’Oro checoordina uno staff di una decina di fun-draiser, occorre anche una forte motiva-zione. «È una componente fondamenta-le. Senza parlare di missione, è evidenteche occorre essere consapevoli del pro-prio ruolo all’interno dell’organizzazionee sapere che il percorso di carriera e l’a-spetto retributivo non sono paragonabilicon quelli del mondo profit». Un fundrai-ser neoassunto, con contratto a tempo

L

indeterminato, full time ha uno stipendiomensile che si aggira attorno ai 1.300 eu-ro netti. Anche le dinamiche fra colleghisono diverse. «Fra i fundraiser c’è con-correnza perché ognuno vuole raccoglie

più fondi possibili per l’associazione percui lavora. C’è, però, anche un forte spi-rito di gruppo che unisce i competitordurante alcune campagne e per determi-nati eventi». Il lavoro del fundraiser inrealtà strutturate si articola in mansioniben definite. «Chi vuole diventare fun-draiser deve sapere dove vuole lavorare»,considera Niccolò Contucci, direttore ge-nerale di Airc -Associazione italiana perricerca sul cancro che conta 33 operatoridel fundraising e 21 fundraiser. «In unaorganizzazione come la nostra c’è chi èspecializzato in raccolta fondi attraversoil web, chi in campagne sul territorio, chiin lettere postali ai donatori, chi nel directmarketing. In altre associazioni il fun-draiser deve occuparsi di tutte queste ar-ticolazioni e deve quindi prima di tuttoessere un ottimo organizzatore, deve sa-pere mettere in fila le diverse operazioni

EGNI PARTICOLARI: È UNA CASA EDITRICE UNICA nel panoramaitaliano, perché interamente dedicata al fundraising.Si tratta di Edizioni Philanthropy, nata nel 2005 nella“culla” di Philanthropy Centro studi, a Forlì, primaper rispondere alle crescenti richieste degli studentie degli esperti che gravitavano intorno al centro, masubito dopo diventata un riferimento anche per i di-rigenti e gli operatori delle organizzazioni non profit.

«Che oggi, oltre agli studenti, sono inostri principali acquirenti», spiega laresponsabile, Elisa Castellucci. Questoperché la vocazione di Edizioni Phi-lanthropy è stata fin dall’inizio quelladi essere ponte tra il mondo accade-mico e la realtà dei professionisti dellaraccolta fondi. Con uno sguardo at-tento al web e alle nuove tecnologie:«Su Google Books è possibile scaricareestratti dei nostri libri, per offrire agliutenti la possibilità di “sfogliarli” pri-ma di acquistarli», spiega Castellucci.

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Fundraising

per avere il massimo risultato». Si stimache gli operatori della raccolta fondi sia-no attorno ai 5mila, ma gli iscritti all’As-sif- Associazione italiana fundraiser sonopoco più di 200. «Chi fa questo lavoro co-mincia ad avere la consapevolezza dellapropria professione e iscrivendosi all’as-sociazione dimostra il desiderio di con-tribuire alla formazione di una identità edi voler partecipare alla crescita dellaprofessione», afferma Francesca Zagni,presidente di Assif e docente all’univer-sità san Tommaso-Angelicum di Roma.«Nei candidati in questo momento oc-corre cercare la capacità di interloquirecon le istituzioni, come le fondazionibancarie, gli enti locali. Per questo il fun-draiser deve conoscere come funzionaun’azienda, un ministero, deve sapereleggere un bilancio contabile, deve co-noscere il marketing. Un professionistadeve essere in grado anche di seguire larendicontazione della raccolta fondi e dicomunicarla agli stakeholder».

La preparazione, si diceva, deve esse-re mirata. Università e associazioni offro-no corsi. Apripista è stata The Fund Rai-sing School, nata dall’iniziativa di Aiccon,associazione della facoltà di Economiadell’università di Bologna, sede di Forlì,per la promozione della cultura dell’eco-nomia civile. «Offriamo corsi rivolti aglistudenti e a chi già lavora. Ci sono diversilivelli, da quello base a quelli ideati su diuna determinata strategia di raccolta fon-di», spiega Marianna Martinoni, docentea The Fund Raising School. Grazie al la-voro di rete, la scuola sceglie i temi degliincontri in base alle esigenze esplicitatedalle organizzazioni. Come è il caso delfundraising per la cultura. «I donatori nelcorso degli anni scorsi sono stati sensi-bilizzati alle campagne per la salute, perla ricerca, per i diritti umani. La tuteladel patrimonio è percepita come un im-pegno elitario. Questo è quindi un nuovocampo per i fundraiser e proponiamo uncorso specifico che si terrà il 24 e il 25 no-vembre al centro universitario di Berti-noro».

Da un’idea di John BaguleyWikifund.info, la wiki per fundraiserÈ uno dei big stranieri ospiti al Festival del Fundraising eparlerà di capital appeal, campagne e comunicazione. MaJohn Baguley, componente e segretario dell’Institute ofFundraising britannico, è famoso per almeno altre due cose:ha creato Wikifund.info, una wikipedia per fundraiser in cuiè possibile trovare tutto, ma proprio tutto quello che serveper conoscere i fondamentali della materia oltre ariferimenti e indirizzi per approfondire. E poi, nel 2000, ha fondato l’International FundraisingConsultancy - Ifc, un gruppo europeo di consulenza sumanagement, raccolta fondi e comunicazione da pocosbarcato in Italia con Ifc Italy, diretto da Francesca Mineo(www.ifcitaly.it): una rete di professionisti che con FirstFriday sono disponibili ogni primo venerdì del mese a TheHub a Milano.

di Carmen Morrone

Niccolò Contucci, direttore generale di Airc

VITA13 MAGGIO 2011 6

cantıerıwork

Page 7: cantıerı - Valerio Melandri · VITA Social Job Servizi pubblici, la coop sociale non sta più a guardare Cantieri Creativi Cast, vanno in scena i detenuti malati di Aids A Castrocaro

Marco PanzettiIl trampolino del servizio civileCome è diventato fundraiser?Nal 1978, subito dopo il servizio civile, ho fatto lascelta di restare nella Comunità Papa Giovanni XXIIIe ho prestato servizio in diverse strutture, dalle casefamiglia alle comunità per tossicodipendenti. A uncerto punto lo stesso don Oreste Benzi ha sentito lanecessità di un “salto di qualità” nella raccolta fondi.Dopo un incontro con il professor Valerio Melandriabbiamo sviluppato l’area. Quante esperienze e formazione ha fatto prima dellavoro attuale?Ho avuto sempre incarichi di organizzazione e sonostato responsabile di diverse comunità. Nel 2005 hofrequentato il master in Fundraising di Forlì e misono specializzato.Che tipo di contratto ha?Sono membro di comunità, seguiamo la regola dellacassa comune e riceviamo uno stipendiocommisurato ai carichi familiari. Sono sposato contre figli.Guadagna più o meno di 40mila euro lordi l’anno?Meno.

L’identikit di sei colleghi che parteciperanno al Festival

I fundraiser ci mettono la facciaAntonella DemarchiÈ la mia grande occasioneCome è diventata fundraiser?Ho avuto per anni il desiderio di lavorare nel nonprofit, la voglia di realizzare una missione chedesse significato a quello che ero e che facevo. Holavorato per quasi 15 anni nella farmacia difamiglia, fino a quando ho deciso di metterecompetenze ed esperienza al servizio di unacausa: volevo lavorare nel settore dell’infanzia.Quante esperienze e formazione ha fatto prima dellavoro attuale?All’inizio ho collaborato con la sede torinese diSave the Children, poi ho frequentato il masteruniversitario in Fundraising di Forlì e nel 2003sono approdata a Nutriaid, che si occupa dimalnutrizione infantile.Che tipo di contratto ha?Attualmente sono assunta a tempo indeterminato.Guadagna più o meno di 40mila euro lordi l’anno?Meno. Non equivale nemmeno a 1/5 della mia vecchia condizione economica, ma oggi posso dire di andare al lavoro con il sorriso sullelabbra.

Nome: Marco PanzettiEtà: 51 anniTitolo di studio: diplomatoCittà: RiminiEnte: Comunità Papa Giovanni XXIII -www.apg23.orgRuolo: Responsabile Fundraising

Nome: Antonella DemarchiEtà: 47 anniTitolo di studio: Laurea inFarmaciaCittà: TorinoEnte: Nutriaid - www.nutriaid.orgRuolo: Segretario generale -responsabile Fundraising

Monica PiloneVengo da una multinazionaleCome è diventata fundraiser?Ho fatto un salto dal profit al non profit per ragionipersonali. Lavoravo in una multinazionale, la Bosch,poi ho avuto tre bambini e ho deciso di reinventarmie mettere le mie conoscenze a disposizione di ungruppo di amici che dieci anni fa, insieme a donClaudio Maggioni, cappellano del Policlinico di SanDonato, stavano fondando un’associazione, CuoreFratello onlus.Quante esperienze e formazione ha fatto prima dellavoro attuale?Sono stata volontaria presso la Caritas e avevo lamia professione di ingegnere, alla Bosch eroresponsabile di progetto. Nel settore del non profitsono nata e cresciuta con Cuore Fratello, che sioccupa di solidarietà nei confronti dei bambinicardiopatici e con problemi di salute.Che tipo di contratto ha?Ho un contratto a tempo indeterminato, con orariopart time.Guadagna più o meno di 40mila euro lordi l’anno?Meno.

Carlo CasinghiniBancario e volontarioCome è diventato fundraiser?Sono fundraiser per passione e per dedizione allacausa di Raggio di Sole. Lavoro da 35 anni in banca,sono responsabile dell’Ufficio piccole e medieimprese della Banca Popolare di Milano. Abbiamo inportafoglio circa un migliaio di aziende e questo mioffre la possibilità di avere una visione sul profit esul non profit italiano.Quante esperienze e formazione ha fatto prima dellavoro attuale?Tre anni fa ho fatto il master Leader2Leader pressoAsvi. Mi interessava avere una visione piùapprofondita dell’organizzazione del settore nonprofit e aiutare l’associazione Raggio di Sole, che aRoma è una piccola ma importante realtà nel campodell’assistenza a persone con disabilità psichiche,verso un “salto di qualità” rispetto alla raccoltafondi. Che tipo di contratto ha?Sono consigliere delegato dell’ente.Guadagna più o meno di 40mila euro lordi l’anno?Il mio contributo per l’associazione è “a costo zero”.

Nome: Monica PiloneEtà: 40 anniTitolo di studio: Laurea in IngegneriaCittà: San Donato Milanese (MI)Ente: Cuore Fratello onlus -www.cuorefratello.orgRuolo: Fundraiser

Nome: Carlo CasinghiniEtà: 58 anniTitolo di studio: Laurea inGiurisprudenza e in Scienze politicheCittà: RomaEnte: Associazione Raggio di Sole -www.raggiodisoleonlus.itRuolo: Consigliere delegato alFundraising e comunicazione

Riccardo FriedeIl mio blog a chilometri zeroCome è diventato fundraiser?Durante l’università ho fatto un corso in Economiadel non profit e dopo la laurea triennale uno stage inun’agenzia di comunicazioni specializzata nelsettore. Sono cresciuto respirando volontariato esociale, nella mia famiglia e nella mia comunità,perciò ho cercato di tradurre in professioneun’attività che amavo fare.Quante esperienze e formazione ha fatto prima dellavoro attuale?Ho avuto una prima occasione di fare il fundraiserpresso Daccapo - Associazione trauma cranico. Misono poi ulteriormente specializzato con un masterin Etica e gestione d’azienda a Venezia e con ilmaster in Fundraising di Forlì. Oggi oltre al lavorotengo il blog www.fundraisingkmzero.it, in cui siparla del lavoro costante e appassionato dellepiccole organizzazioni non profit.Che tipo di contratto ha?Ho un contratto a progetto.Guadagna più o meno di 40mila euro lordi l’anno?Meno.

Daria ForacchiUna professione nata in ospedaleCome è diventata fundraiser?Sono approdata ad Ageop, e poi a questo lavoro,da mamma di un bambino ricoverato nel reparto diOncologia pediatrica del Policlinico di Bologna.Sapevo che all’interno dell’ospedale c’era la sededell’associazione e ho chiesto di poter aiutarecome volontaria. Negli anni il mio coinvolgimento èaumentato: sono entrata nel consiglio direttivo esono stata presidente per tre mandati.Quante esperienze e formazione ha fatto prima dellavoro attuale?Mentre ero presidente, ho capito che la cosa chepreferivo era il contatto con i donatori. Per questoalla fine dell’ultimo mandato ho deciso dispecializzarmi, ho frequentato il masteruniversitario in Fundraising di Forlì e ho avviato unprocesso di consolidamento della funzione diraccolta fondi all’interno dell’associazione.Che tipo di contratto ha?Sono una collaboratrice.Guadagna più o meno di 40mila euro lordi l’anno?Meno.

Nome: Riccardo FriedeEtà: 26 anniTitolo di studio: Laurea in Scienze politicheCittà: Dolo (VE)Ente: Fondazione Cav. Guido Ginionlus - www.fondazioneguidogini.itRuolo: Fundraiser

Nome: Daria Foracchi Sassoli de’ BianchiEtà: 54 anniTitolo di studio: DiplomaCittà: BolognaEnte: Ageop - www.ageop.orgRuolo: Responsabile Promozione e comunicazione Responsabile Fundraising

in progressVITA7 13 MAGGIO 2011

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