Canone pāli
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Canone pāli
Edizione standard del Canone pāli thailandese
Il Canone pāli o Tipiṭaka ( pāli , letteralm. "Tre canestri" — sanscrito Tripitaka ( ); cinese
Sānzàng 三藏?; giapponese Sanzō (三藏?); coreano Samjang (삼장); khmer Traipětâk ( ); singalese Tipiṭaka ( ); thailandese Traipidok ( ); vietnamita: Tam tạng — è la più antica
collezione di testi canonici buddhisti pervenutaci integralmente[1]
. Secondo la tradizione della
scuola Theravāda il loro contenuto fu fissato in forma orale durante il primo concilio buddhista a
Rājagaha subito dopo la morte del Buddha e furono messi per iscritto in Sri Lanka nel I secolo
a.C.[2]
anche se la edizione del Canone pāli di cui disponiamo oggi risale al V secolo d.C. [3]
.
Indice
1 I Tre Canestri e i cinque Nikāya
2 Ricerche storiografiche sul Vinaya pāli
3 Datazione dei Nikāya del Canone pāli
4 Note
5 Bibliografia
6 Voci correlate
I Tre Canestri e i cinque Nikāya
Questi scritti si possono dividere in tre categorie, i cui fogli dei primi manoscritti, originariamente
consistenti in foglie di palma, erano conservati in canestri, donde il nome collettivo (tipiṭaka, pāli,
da ti, tre, e piṭaka, cesto o canestro, tripitaka in sanscrito).
Il primo "canestro", il Vinaya Piṭaka, è la disciplina monastica, contenente le regole
dell'ordine e le procedure da seguirsi in caso di infrazione da parte di un monaco, insieme al
resoconto delle circostanze che hanno portato alla promulgazione di ciascuna regola;
Il secondo "canestro", il Sutta Piṭaka, contiene resoconti della vita e degli insegnamenti del
Buddha. Il Sutta Piṭaka è a sua volta suddiviso nei cinque Nikāya, elencati nella relativa
voce.
Il terzo "canestro" è l'Abhidhamma Piṭaka ed è una raccolta di testi che elaborano
ulteriormente diversi concetti e tesi della dottrina presentati nel Sutta Pitaka, giungendo ad
una loro trattazione filosofico-metafisica.
Un'antica edizione thailandese del Canone pāli
Ricerche storiografiche sul Vinaya pāli
Se l'odierno Vinaya pāli sia o no quello cui si attenevano le prime comunità monastiche buddhiste è
stato a lungo oggetto di studio e di controversia. Secondo i primi studiosi che si interessarono alla
letteratura del Vinaya pāli, quello dell'odierno sangha theravāda ha radici antiche quanto il
buddhismo e anzi ancora più antiche. Così, ad esempio, si fanno risalire diverse caratteristiche della
regola monastica buddhista a movimenti ascetici prebuddhisti. Nel 1939 scriveva ad esempio la
studiosa indiana Durga Bhagvat :
« Dopo un attento scrutinio delle leggi del Vinaya si trova che la struttura delle regole è
essenzialmente basata sulla tradizione [prebuddhista, NdT], mentre i dettagli e i metodi legali sono
invenzioni [originali, NdT] dei buddhisti. Le regole sono di fatto prese dagli antichi codici di legge,
dalle Upaniṣad, dall'ambiente attuale, ecc.[4] »
In particolare, fa risalire le regole pertinenti il brahmacārin , ossia alla rinuncia (al sesso, all'alcool,
al denaro ecc.) all'omonimo movimento ascetico. Inoltre, ritiene «il terzo e il quarto dei Nissaya[5]
come principalmente basati sui costumi osservati dai Paribbājaka»[6]
. Il tenere un'assemblea dei
monaci il quattordicesimo o il quindicesimo giorno del mese lunare risalirebbe invece alla pratica
dei sacrifici rituali dei Darśa e dei Pūrṇamāsa, come dettagliati nel Śatapatha-Brāhmaṇa, II 1, 4; I,
1[7]
. Altre regole erano state introdotte in reazione ai costumi di altri movimenti ascetici
contemporanei. Ad esempio, i bhikkhu non dovevano ricevere il cibo elemosinato nelle loro mani
perché così facevano i Titthiya[8]
.
Secondo alcuni studiosi contemporanei, la genesi del Vinaya Theravāda sarebbe da ritenersi si
controversa, ma comunque successiva a quella di altre scuole e dovuta al fondamento di alcuni
scismi. Si sostiene ad esempio che
« secondo l'orientamento degli studiosi lo scisma (sanghabeda) ebbe luogo intorno al III secolo. a.C.
per ragioni legate al codice monastico che alcuni, gli Sthaviravadin [pāli: Theravāda], volevano
modificare in senso restrittivo, in contrasto con la maggioranza, i Mahāsaṅghika , che lo voleva
mantenere inalterato.[9] »
Tale tesi viene contestata dalla ricerca del monaco theravāda e studioso australiano Bhante Sujato il
quale indica come nel secondo concilio buddhista un partito, denominato Vajjiputtaka, ossia "i figli
dei Vajji", intendeva permettere il possesso di denaro ai bhikkhu, mentre i monaci dell'ovest e del
sud, indicati nel Vinaya dei Theravādin come i Pāveyyaka, ossia "quelli di Pāveyya", erano contrari
a questa dipartita dalla regola fino ad allora comunemente accettata. Tale dipartita sarebbe stata
dovuta non ad una deliberata reinterpretazione della disciplina, ma alle distanze geografiche che
separavano le comunità coinvolte. Il concilio si concluse con la condanna della pratica del sangha
Vajjiputtaka, e «tutti i Vinaya concordano che la disputa a Vesali si risolse senza uno scisma», a
dimostrazione che le comunità del tempo concordavano su una condotta monastica valida per
tutti[10]
.
Lo scisma, sempre secondo Sujato, si ebbe qualche anno dopo per motivi non legati al Vinaya, ma
per via di diatribe dottrinali, ossia sulla possibile presenza di imperfezioni mentali negli arahant .
Questa volta mancò l'intesa e i Mahāsaṅghika si staccarono dai Thera, dai quali poi si evolsero i
Theravādin[10]
. Da quanto risulta dai resoconti dei concili buddhisti è possibile ricostruire il
contenuto di varie regole monastiche delle comunità che vi avevano preso parte, e risalta come i
Vinaya dei Thera e dei Mahāsaṅghika fossero identici per quanto riguarda i punti contesi[11]
.
L'Autore rileva comunque che
« è dubbio che le varie comunità buddhiste, che si trasmettevano i loro testi secondo una tradizione
orale, abbiano mai condiviso un Vinaya originale universale che fosse letteralmente identico. Ma è
ragionevole assumere che le prime comunità monastiche avessero un Vinaya che era piuttosto
uniforme, e che nella maggior parte delle sue caratteristiche corrispondesse agli elementi comuni dei
Vinaya oggi esistenti.[10] »
Datazione dei Nikāya del Canone pāli
In genere le raccolte in cui è diviso contengono testi sia antichi e probabilmente testimoni delle
autentiche vicende delle prime comunità monastiche e dell'insegnamento del Maestro, che testi più
recenti e successivi i primi di secoli. Ad esempio, nell'Assalāyanasutta (n° 93) del Majjhima Nikāya
si confronta il sistema sociale castale indiano con quello greco privo di caste, il che porta a datare
questo testo a non prima del III secolo PEV[12]
. E però il Māra Saṃyutta e il Bhikkhunī Saṃyutta
del Saṃyutta Nikāya sono notevoli per il loro uso di una lingua arcaica[13]
. Caroline Augusta Foley
Rhys Davids ha osservato in una opera del 1915 come nei più importanti punti dottrinali il Sutta
Piṭaka si riveli il prodotto di una comunità unita, che non ha ancora vissuto eventi scismatici[14]
. In
questo concorda Nalinaksha Dutt[15]
in una sua opera del 1930. La Rhys Davids, tuttavia, nel 1928,
osserva che il Canone pali potrebbe non riportare direttamente l'autentico insegnamento del Buddha
Shakyamuni[16]
. Da fonti esterne si può evincere come tutti i cinque Nikāya del Sutta Piṭaka abbiano
preso la loro forma attuale prima della composizione del Milinda Pañha[17]
, composto nel I secolo
EV.
Barua[18]
fa notare come studi accademici che hanno preso in considerazione i brani più arcaici del
Kathāvatthu dell'Abhidhamma Piṭaka hanno portato a considerare questo testo risalente al III secolo
PEV, il che porta a datare una buona parte dei Nikāya al IV secolo PEV sia per giustificare il loro
essere citati all'interno dell'opera più tarda che in ragione di considerazioni stilistiche, linguistiche e
dottrinali.
L' editto di Bhāru dell'imperatore Aśoka dimostra come almeno parte dei primi quattro Nikāya
abbiano preso una forma definitiva durante il III secolo PEV[18]
.
Confronti con altre fonti epigrafiche, riportati in uno studio del 1933, permettono di datare molti
testi dei cinque Nikāya a prima del II secolo PEV[19]
.
Alcuni studi di gran lunga più recenti ritengono però che la versione del canone pāli che ci è giunta
per opera della comunità monastica del Mahāvihāra di Anurādhapura, Sri Lanka, sia stato redatto
per fornire alla comunità di questo monastero «una base istituzionalizzata per la crescita e lo
sviluppo continuo della tradizione theravādin. Inoltre la comunità del Mahāvihāra aveva una base
testuale apparentemente ortodossa e autorevole in base alla quale confutare i proprio rivali della
comunità del monastero dell' Abhayagiri , di tendenza mahāyānica.» [20]
. Va precisato, inoltre, che
la redazione del Canone pāli giunto fino a noi risale alla fine del V sec. d.C. quando la versione
attribuita al periodo del re Vaṭṭagāmaṇī (30 a.C.) fu rivista dai monaci del Mahāvihāra[21]
. Non
sappiamo se e quali modifiche contenesse rispetto alle redazioni precedenti[22]
, in quanto anche gli
altri canoni cingalesi delle scuole avversarie del Mahāvihāra (le scuole di stampo mahāyāna
Dhammaruciya[23]
e Sagaliya) non sono sopravvissuti alle decisioni politiche-religiose del sovrano
cingalese Parakkamabāhu I [24]
il quale, nell'XII secolo, decise che solo le dottrine del monastero
Mahāvihāra potevano essere insegnate sull'isola[25]
.
Ciononostante sarebbe un errore considerare la dottrina Theravāda il solo frutto dell'elaborazione
condotta nel monastero Mahāvihāra in seguito alla riforma del re Parākramabāhu I (XII sec.).
Risulta infatti che, un secolo circa dopo l'era di questo sovrano, durante il regno di Parākramabāhu
II (1236-1271), i monaci dell'isola erano talmente poco edotti delle scritture canoniche che queste,
insieme a testi di grammatica, di filosofia e di altre scienze dell'epoca, furono fatte tutte venire dal
Jambudīpa , ossia dall'India[26]
.
Sono scritti in pāli e formano la base della scuola del Buddhismo Theravāda . Altre versioni dei testi
canonici buddhisti, basati a volte su fonti ancora più antiche, formano la base dei canoni di altre
scuole antiche (Buddhismo dei Nikāya), presentando talvolta delle importanti differenziazioni
dottrinali rispetto al Canone pāli. Tali canoni, tradotti da diversi dialetti pracritici in lingua sanscrita
sotto l' Impero Kushan , furono in buona parte tradotti in cinese o in tibetano e ancora oggi si
trovano conservati in queste lingue.
Note
1. ^ Il Canone pāli è in una edizione del V secolo d.C., il Canone cinese invece pur essendo
stato progressivamente composto a partire dal II secolo d.C. «diversamente dal Canone pāli
(il quale sebbene ampio, era ancora di un'ampiezza tale da poter essere copiato grazie
all'aiuto di fedeli laici devoti), il Canone cinese, con le sue migliaia di rotoli, era troppo
spropositato per essere copiato senza un impegno enorme. Infatti esso non fu prodotto nella
sua interezza fino a che la dinastia Song non intraprese un progetto che avrebbe
rivoluzionato la distribuzione del Canone. Nell'anno 972 la corte commissionò l'incisione
dell'intero canone su blocchi di legno nella città di Chengdu (nel Sichuan), il centro per
l'intaglio del legno in Cina» mentre per il Canone tibetano «Solo nel XIII secolo abbiamo
un'indicazione che le traduzioni furono accolte e classificate in una serie che si può
chiamare canone.» Cfr. Lewis R. Lancaster in Letteratura buddhista: Canonizzazione op.cit.
pag. 331-6.
2. ^ «I pitaka o gli insegnamenti del Buddha furono trasmessi oralmente e nel 397 dell'Era
Buddhista (89 a.C.) furono messi per iscritto. In questa epoca furono scritti [anche] i loro
commentari in singalese» H. R. Perera, Buddhism in Ceylon, pag. 33, cit. in K. Lal Hazra,
pagg. 170-171
3. ^ «Sebbene questa sia l'opinione tradizionale, va notato che fu solo nel V sec. d.C. che si
trovò un accordo sulla lista definitiva di testi del Canone del Theravāda, e anche quell'epoca
il materiale da includere nel Kuddhaka Nikāya rimase non definito» Lewis R. Lancaster in
Enciclopedia delle Religioni. Diretta da Mircea Eliade. Vol 10, Milano, Jaca Book-Città
Nuova, 2006, pag. 331-2. Cfr. anche «Secondo la tradizione singalese, come s'è detto, la
recensione in lingua pāli sarebbe redatta su istanza del re Vaṭṭagāmaṇī nello Ālokavihāra da
un'assemblea di cinquecento anziani; in effetti il testo attualmente disponibile risale alla
versione riveduta a cura dei seguaci del Mahāvihāra redatta alla fine del V secolo d.C. in
occasione di un concilio voluto dal re Dhātuasena, versione che, grazie al patrocinio del re
Parakkamabāhu I, divenne il punto di riferimento del Theravāda dell'isola con la sopressione
delle scuole rivali dai dhammaruciya e dei sagaliya, le cui recensioni del Canone non sono
sopravvissute.» Mario Piantelli. Il Buddhismo indiano in: Giovanni Filoramo (a cura di),
Buddhismo. Bari, Laterza, 2001, pagg. 88 e sgg.
4. ^ D. N. Bhagvat, pag. 49
5. ^ Mahāvagga, I, 30. I Nissaya sono:
1) il vivere mendicando,
2) il vestirsi di stracci gettati nella discarica,
3) il vivere ai piedi d'un albero,
4) l'uso dell'orina bovina come medicina.
6. ^ D. N. Bhagvat, pagg. 51-52
7. ^ D. N. Bhagvat, pag. 53
8. ^ D. N. Bhagvat, pag. 54
9. ^ N. Celli, pag. 113
10. ^ a b c B. Sujato, pag. 4
11. ^ B. Sujato, pag. 5
12. ^ Barua, pag. 2-3
13. ^ Barua, pag. 3
14. ^ Caroline Augusta Foley Rhys Davids; Shwe Zan Aung, Points of Controversy; or,
Subjects of discourse; being a translation of the Kathā-vatthu from the Abhidhamma-piṭaka,
Pali Text Society [1915], 2001. ISBN 0860130029 , ISBN 978-086013002-4 , indice I,
pagg. 401-404 dell'edizione originale, citata in Barua, pag. 3
15. ^ Nalinaksha Dutt, Aspects of Mahāyāna Buddhism and its relation to Hīnayāna, Londra,
Luzac, 1930. pagg. 146-7, in Barua, pag. 3
16. ^ «Possiamo trovare l'autentico Sakya più in ciò che i pitaka rivelano inconsapevolmente e
hanno sofferto per sopravvivere che in quanto essi affermano come basilare e fondamentale.
Questo è avvenuto perché i pitaka sono opera uomini lontani di secoli dal Fondatore, quasi
cinque secoli durante i quali i valori subirono delle trasformazioni. » (in Sakya or Buddhist
origins, ed. 1931, pag.5 e pag.339, citato in T.V.R. Murti La filosofia centrale del
Buddhismo Roma, Ubaldini, 1983, pag.27.)
17. ^ edito da Treckner, pagg. 13, 18, 21 (tipiṭaka), 190, 341 (Nikāya) e 348, citato in Barua,
pag. 3
18. ^ a b Barua, pag. 4
19. ^ Ad esempio:
« Uno studio microscopico delle iscrizioni di Bharut e Sanchi rivelano che "ancora prima del
secondo secolo a.C. esisteva già una raccolta di testi buddhisti che erano chiamati 'Piṭaka' e
che erano suddivisi in cinque 'Nikāya', che c'erano i 'Sutta' in cui fu predicato il 'Dhamma', la
religione del Buddha, che alcuni di questi sutta concordano con quelli contenuti nel Tipiṭaka
e che 'Jātaka' proprio dello stesso tipo di quelli contenuti nel Tipiṭaka già appartenevano al
corpo della letteratura buddhista. In breve, in un periodo precedente il 2° secolo a.C.,
probabilmente già al tempo di Aśoka o poco dopo, c'era già un canone buddhista che, se pure
non interamente identico con il nostro canone pāli, gli assomigliava molto" »
20. Winternitz, M. (A), History of Indian Literature, vol. II, ed. 1933, pagg. 17-18, cit. in Barua,
pag. 4
21. ^ Charlese S. Prebish Enciclopedia delle Religioni. Diretta da Mircea Eliade. Vol 10,
Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006, pag. 193. Cfr. anche Stephen C. Berkwitz in
Buddhist History in the Vernacular: The Power of the Past in Late Medieval Sri Lanka. Usa,
Brill, 2004, pag.68.
22. ^ Mario Piantelli. Il Buddhismo indiano in: Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo. Bari,
Laterza, 2001, pagg. 88 e sgg.
23. ^
« Perfino tradizioni che ritengono che il canone fu redatto e chiuso durante il primo concilio
di Rajaghra, poco dopo la morte del Buddha, ammettono che non tutti gli anziani buddhisti
furono presenti a quella assemblea e che almeno un gruppo di "cinquecento monaci"
insistette nel mantenere la propria versione degli insegnamenti come essi se la ricordavano.
Tutta la documentazione disponibile indica che la maggior parte dei canoni non fu mai
chiusa. La scuola Theravāda orgogliosa del suo conservatorismo in questioni scritturali
ancora nel V secolo d.C. dibatteva sul contenuto del proprio canone. Perfino oggi non vi è
concordia completa tra i theravādin riguardo alla sezione del Khuddaka Nikāya del proprio
canone. Pertanto non è sempre possibile distinguere chiaramente fra letteratura buddhista
canonica, postcanonica e paracanonica. Tutte le scuole ritengono che almeno alcuni testi
siano stati perduti, troncati od alterati, e che un certo numero di testi posteriori o falsi siano
stati incorporati nei canoni di varie scuole. Sebbene occasionalmente queste affermazioni
siano state utilizzate per sostenere le posizioni di una scuola contro quella dell'altra,
probabilmente esse rappresentano una accurata descrizione dello stato generale delle cose nel
tempo in cui furono costituite formalmente le prime raccolte scritturistiche. ... I canoni
buddhisti furono il risultato di un lungo processo di redazione e compilazione che non siamo
più in grado di ricostruire. »
(Luis O. Gómez, op. cit. 2006 pag.357)
24. ^
« In questo periodo [fine del I secolo a.C.] alcuni monaci, discepoli di un maestro chiamato
Dhammaruci, della scuola dei Vajjiputra in India, arrivarono nello Sri Lanka e furono accolti
dai monaci dell'Abhayagiri Vihāra »
(K. L. Hazra, op. cit., pag. 12)
« Il Nikāyasaṅgrahaya riferisce che i monaci dell'Abhayagiri Vihāra fossero noti come
dhammarucika e che non solo accettavano, ma che proclamavano anche il Vaitulyapiṭaka
[un testo Mahāyāna, NdT] come insegnamento del Buddha (Nikāyasaṅgrahaya, 11; Walpola
Rahula, History of Buddhism in Ceylon, pag. 89) »
(Ibid., pag. 92)
26. ^ Per Mario Piantelli il Canone Pāli «grazie al patrocinio del re Parakkamabahu I divenne il
punto di riferimento del Theravada dell'isola con la soppressione delle scuole rivali dei
dhammaruciya e dei sagaliya, le cui recensioni del canone non sono sopravvissute», op. cit
pag. 88.
27. ^ Cfr. Mario Piantelli. Il Buddhismo indiano in Giovanni Filoramo (a cura di), Buddhismo.
Bari, Laterza, 2001, pagg. 78 e sgg.. André Bareau. Il Buddhismo a Ceylon e nel Sud-Est
asiatico, in Henri-Charles Puech Storia del Buddhismo. Bari, Laterza, 1984, pagg. 265 e
sgg. Richard H. Robinson e Williard L. Johnson. La religione buddhista. Roma, Ubaldini,
1998, pagg. 182 e sgg.
28. ^ The Decline of Polonnaruwa and the Rise of Dambadeniya, Amaradasa Liyanagamage,
175; Cūlavaṃsa, W. Geiger, LXXXIV, 26-27; Rājāvaliya, 119, citati in: Lal Hazra,
Buddhism in Sri Lanka, pag. 42
Bibliografia
Dipak Kumar Barua. An Analytical Study of Four Nikāyas. Munshiram Manoharlal
Publishers Pvt. Ltd. Calcutta, 1971, sec. ed. 2003. ISBN 81-215-1067-8
Nicoletta Celli. Buddhismo. Milano, Electa Mondadori, 2006.
Durga N. Bhagvat, Early Buddhist Jurisprudence, Cosmo Publications, Nuova Delhi, India,
senza data (desumible dalla data della presentazione, firmata da E. J. Thomas il 14 gennaio
1939 a Cambridge)
Bhante Sujato. (EN) Bhikṣuṇīs in Theravāda (PDF) in Pubblicazione del "Congresso
Internazionale sul ruolo delle donne buddhiste nel Vinaya Bhikhsuni Sangha e i lignaggi di
ordinazione", pp. 21. 18-07-2007. URL consultato il 31-03-2009.
Kanai Lal Hazra. Buddhism in Sri Lanka. Buddhist World Press. Delhi, 2008. ISBN 978-81-
906388-2-1
Luis O. Gómez. Letteratura buddhista- Esegesi ed ermeneutica, in Enciclopedia delle
Religioni vol.10 Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006
Lewis R. Lancaster. Letteratura buddhista- Canonizzazione, in Enciclopedia delle Religioni
vol.10 Milano, Jaca Book-Città Nuova, 2006
Hans W. Schumann, Il Buddha storico, 1, Roma, Salerno editrice, 1982. 336 ISBN 88-
85026-82-6
Voci correlate
Āgama-Nikāya
Canone buddhista
Canone cinese
Canone tibetano
Buddhismo Theravāda
Buddhismo dei Nikāya
Concili buddhisti
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Categorie: Testi sacri buddhisti | Buddhismo