Cancro, stili di vita e prevenzione dei tumori Una rassegna dal sito dell’AIRC

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Autori vari Cancro, stili di vita e prevenzione dei tumori Una rassegna dal sito dell’AIRC a cura di Rosamaria Guido

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Questo testo raccoglie gli articoli più salienti sull’argomento cancro, fattori di rischio e prevenzione, ponendo l’accento proprio su questi ultimi.Si tratta di una rassegna tratta dal sito dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro ( www.airc.it), che presenta in maniera semplice le varie angolazioni del problema.Vi si possono trovare, oltre ad una trattazione organica, alcune batterie di risposte alle domande più comuni e, alla fine, come curiosità, un articolo che finalmente fa chiarezza sulla tanto chiacchierata “cura del bicarbonato”

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Autori vari

Cancro, stili di vita

e prevenzione dei tumori

Una rassegna dal sito dell’AIRC

a cura di Rosamaria Guido

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Prefazione

Pressoché sconosciuto nella sua eziologia, curato con terapie dai pesanti effetti collaterali, il cancro è stato, fino a qualche decennio fa, una patologia dalla diagnosi infausta, tanto che si aveva paura perfino di pronunciarne il nome, sostituito con espressioni come “il male del secolo”, “un male incurabile”.Oggi, per fortuna, non è più così: la ricerca ha fatto passi da gigante, riuscendo a scoprire i meccanismi alla base di molte forme neoplastiche e sperimentando terapie sempre più efficaci, più mirate, meno invalidanti.Intanto, col tempo, si sono evidenziati sempre più i legami tra l’insorgere della malattia e stili di vita non del tutto corretti, l’importanza dell’alimentazione, i danni del fumo.Questo testo raccoglie gli articoli più salienti sull’argomento cancro, fattori di rischio e prevenzione, ponendo l’accento proprio su questi ultimi.Si tratta di una rassegna tratta dal sito dell’Associazione Italiana Ricerca sul Cancro ( www.airc.it), che presenta in maniera semplice le varie angolazioni del problema.Vi si possono trovare, oltre ad una trattazione organica, alcune batterie di risposte alle domande più comuni e, alla fine, come curiosità, un articolo che finalmente fa chiarezza sulla tanto chiacchierata “cura del bicarbonato”Nella parte riguardante la dieta, ho inserito il link ad un video, prodotto sempre dall’AIRC, che sintetizza in pochi minuti le trasgressioni più comuni in fatto di alimentazione. Segue il link alla pagina che permette di ricevere, nella propria casella di posta elettronica, i quattro video della serie “Pillole di una sana alimentazione”.Interessante la parte riguardante la dieta vegetariana, che consiglio di utilizzare anche per trattazioni su temi diversi.Alla fine di ogni articolo ho voluto mantenere, oltre al link relativo all’autore, quello che attesta l’attendibilità delle informazioni, onde ricordare che non tutto quello che si trova nel web è degno di fede e che sarebbe opportuno, prima di dare per buone certe notizie, verificarne la veridicità, oltre a riconoscerne esplicitamente la paternità.

Mi auguro che questo lavoro possa costituire un buono spunto per approfondire l’argomento e magari rappresentare un buon punto di partenza per la stesura di tesine relative alla materia trattata.Abbastanza esauriente il capitolo sul fumo, sintetica, ma efficace, la parte relativa alla sana alimentazione che, come si sa, permette non solo di prevenire il cancro, ma influisce su una serie di patologie, non ultime quelle del benessere.

Rosamaria Guido

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SOMMARIO

SOMMARIO 3

COME NASCE UN TUMORE (AIRC.IT) 6

La cellula “impazzisce” 6

Metastatizzazione 6

Le mutazioni genetiche 6

Altre cause 7

La risposta della scienza 7

LE CAUSE DEL CANCRO 7

I meccanismi di base 7

Il ruolo dei geni 8

Gli alleati del cancro 8

I fattori di rischio 9Età 9Fattori ereditari 9

Stili di vita 10fumo 10sole e raggi ultravioletti 10alcol 11alimentazione 11sedentarietà 12

Fattori ambientali 13agenti chimici 13

Conclusioni 14

IL CANCRO È SEMPRE PIÙ CURABILE 15

Introduzione 15

Diffusione in Italia per uomini e donne 16

Domande e risposte 16

Non dimenticare: informazioni utili 17

TUMORI BENIGNI 18

Introduzione 18

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Domande e risposte 19

Non dimenticare: indicazioni utili 20

FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE 21

CANCRO: LA PREVENZIONE 22

Prevenzione primaria 22

Prevenzione secondaria 22

Prevenzione terziaria 24

Che cosa è un fattore di rischio? 24

Come si identificano i fattori di rischio? 24

Interazione tra fattori di rischio genetici e ambientali 24

Prevenzione: perchè? 25

Il ruolo dei biomarcatori 25

Programmi di prevenzione 25

STILI DI VITA ANTI-CANCRO 26

Il decalogo della salute 26

Le abitudini voluttuarie 27

Come muoversi quasi senza pensarci 28

Come mantenere i buoni propositi 28

L'ALIMENTAZIONE 30

L’alimentazione e i tumori: le domande più frequenti 31

Una piramide di cibo sano 36Cereali 37Vegetali 38Frutta 38Grassi 38Latte e Latticini 39Proteine 39

Gli ingredienti della salute 40

Pillole di sana alimentazione 48

LA DIETA VEGETARIANAI PRO E I CONTRO DELLA DIETA VEGETARIANA 49

I PRO E I CONTRO DELLA DIETA VEGETARIANA 50

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Perché si diventa vegetariani? 51

I diversi modi di dire vegetariano 52

Che cosa contengono di così prezioso i vegetali? 54

Gli elementi che non possono mancare 55

Come comporre un menu vegetariano 57

FATTORI DI RISCHIO E PREVENZIONE: 60

IL FUMO 60

Fumo: le domande più frequenti 61

La sigaretta brucia anche l’intestino 68

Domande e risposte 69

Non dimenticare: indicazioni utili 70

Appendice 71

SI PUÒ CURARE IL CANCRO CON IL BICARBONATO? 72

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Come nasce un tumore (airc.it)

Che cos’è il cancro? A una domanda del genere gli studiosi fanno fatica a dare una risposta precisa e convincente. E replicano che la domanda è mal posta. Che non bisogna parlare di cancro, ma di cancri.

La cellula “impazzisce”

In effetti non si può parlare di un’unica malattia chiamata cancro, ma di diversi tipi di malattie, che hanno cause diverse e distinte, che colpiscono organi e tessuti differenti, che richiedono quindi esami diagnostici e soluzioni terapeutiche particolari. Esistono però alcune proprietà che accomunano tutti i tumori, e che consentono di tentare una risposta valida un pò per tutte le forme della malattia. Per usare una metafora, si può dire che ad un certo punto, una cellula dell’organismo “impazzisce” - perde alcune sue proprietà, ne acquisisce altre - e comincia a moltiplicarsi al di fuori di ogni regola.

Metastatizzazione

All’interno di ogni cellula esistono in realtà dei “geni controllori” destinati a impedire che una cellula “sbagliata” possa sopravvivere. Perché il processo tumorale si inneschi bisogna che anche questi “controllori” siano fuori uso. A causa di questo “guasto” nel meccanismo che ne controlla la replicazione, le cellule si dividono quando non dovrebbero e generano un numero enorme di altre cellule con lo stesso difetto di regolazione. Le cellule sane finiscono quindi per essere soppiantate dalle più esuberanti cellule neoplastiche.

Sia le cellule di un tumore benigno che quelle di un tumore maligno tendono a proliferare in maniera abnorme ma, e questa è la differenza fondamentale, solo le cellule di un tumore maligno - in seguito ad ulteriori modificazioni a carico dei geni - tendono a staccarsi, a invadere i tessuti vicini, a migrare dall’organo di appartenenza per andare a colonizzare altre zone dell’organismo. Il tumore benigno rimane dunque limitato all’organo in cui si è sviluppato, mentre il tumore maligno - nel corso di un processo che può avere una lunghezza estremamente variabile e che dura comunque anni - estende la malattia ad altri organi, fino a colpire e compromettere organi vitali quali il polmone, il fegato, il cervello. Questo processo prende il nome di metastatizzazione e le metastasi rappresentano la fase più avanzata della progressione tumorale, costituendo la causa reale dei decessi per cancro.

Le mutazioni genetiche

Sappiamo ormai con buona certezza che il cancro origina da un accumulo di mutazioni, cioè di alterazioni dei geni che regolano la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule, la loro adesione e la loro mobilità. Le mutazioni possono svilupparsi in tempi molto differenti, anche sotto l’influenza di stimoli esterni. Il tumore benigno può essere considerato la prima tappa di queste alterazioni. Tuttavia, molto di frequente, questa tappa viene saltata e si arriva alla malignità senza evidenti segni precursori.

Quali sono, però, le cause della mutazione genetica? Oggi gli scienziati sanno che solo in rari casi le cause necessarie e sufficienti per lo sviluppo del tumore sono già “scritte” all’origine nei geni, cioè sono ereditarie.

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Altre cause

Nella stragrande maggioranza dei tumori, invece, le alterazioni dei geni che sono responsabili della malattia sono determinate da cause ambientali. Sono provocate dall’esposizione prolungata ad agenti cancerogeni, di origine chimica, fisica o virale. Tuttavia il fumo di sigaretta, l’amianto, alcune sostanze sviluppate dalla combustione del petrolio o del carbone, l’alcol, una dieta squilibrata, i raggi ultravioletti del sole, le sostanze chimiche a cui possono essere sottoposti i lavoratori in certi processi industriali o in agricoltura, possono sommarsi ad una “fragilità” genetica predeterminata e arrivare a provocare delle mutazioni che - alle stesse dosi e durate di esposizioni - non si riscontrano in altri individui.

La risposta della scienza

Per affrontare questo tipo di problematica si è sviluppata un’enorme quantità di lavoro di laboratorio per studiare il DNA e le componenti genetiche che condizionano l’aumentata suscettibilità allo sviluppo tumorale.

Ma c’è anche una scienza specifica - l’epidemiologia - il cui obiettivo è identificare le cause dei tumori e i fattori di rischio associati. È attraverso la loro identificazione che è possibile mettere in pratica quella prevenzione che rappresenta uno degli obiettivi più importanti per arrivare alla sconfitta del cancro. O, meglio, dei diversi tipi di cancro.

Le cause del cancroPerché in un organismo si sviluppa un tumore? I geni possono subire alterazioni, dette mutazioni. Alcune di queste mutazioni sono genetiche, mentre altre sono provocate da fattori esterni, indotti dai nostri comportamenti o dall’ambiente in cui viviamo.

I meccanismi di base

Tutti i tumori hanno origine da una cellula. Nei tessuti normali le cellule si riproducono dividendosi, in modo da sopperire alle varie necessità dell’organismo, come far fronte a un maggiore fabbisogno in termini di quantità di cellule nell’organismo o di “qualità di cellule” per differenziamento tissutale, oppure per rimpiazzare le cellule morte o quelle che, danneggiate, vanno incontro a un processo di morte programmata che si chiama apoptosi.

Nei tumori questo delicato equilibrio, governato dai messaggi chimici inviati da una cellula all’altra e dai geni che si trovano nel loro DNA, è compromesso. La cellula continua a riprodursi senza freni e anche i processi di morte programmata vengono meno.

All’origine di tutti questi fenomeni ci sono alterazioni geniche, dette mutazioni, che, sommandosi l’una all’altra, fanno saltare i meccanismi di controllo. Non basta, infatti, che sia difettoso un solo meccanismo, ma occorre che gli errori si accumulino su diversi fronti perché il tumore possa cominciare a svilupparsi.

Alcuni di queste mutazioni sono ereditarie, mentre altre sono provocate da fattori esterni.

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Il ruolo dei geni

Ci sono quattro tipi di geni che, se alterati, possono essere alla base del cancro:

oncogeniSono i geni che in condizioni normali si attivano per spingere la cellula a replicarsi quando occorre, per esempio per riparare il tessuto di cui fa parte. Sono come un acceleratore, che nei tumori è bloccato “a tavoletta” e segnala quindi alla cellula di continuare a moltiplicarsi senza controllo.

geni oncosoppressoriProseguendo con la metafora precedente, sono i geni che fanno da freno: bloccano cioè la normale replicazione delle cellule quando questa ha raggiunto il suo scopo. In molte forme di tumore questi meccanismi di controllo vengono meno: uno dei più importanti è quello che codifica per la proteina p53 e che risulta difettoso in molte forme di cancro.

geni coinvolti nel cosiddetto “suicidio cellulare” (o apoptosi)Sono una sorta di meccanismo di autodistruzione che si innesca quando la cellula è danneggiata, per evitare danni maggiori all’organismo. Se vengono meno, la cellula alterata può continuare a riprodursi, ma in maniera anomala.

geni implicati nei meccanismi di riparazione del DNA

La cellula è fornita di diversi sistemi di controllo e riparazione del DNA, capaci di individuare e correggere le mutazioni che avvengono continuamente, anche nei processi fisiologici nel corso della vita delle cellule. Quando questi stessi meccanismi protettivi sono compromessi, le mutazioni si possono accumulare e la cellula può diventare tumorale.

Gli alleati del cancro

Per svilupparsi in questo modo però il tumore ha bisogno di ossigeno e sostanze nutritive. Per questo produce sostanze capaci di stimolare la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) che vadano a irrorare il nuovo tessuto in crescita.

Oltre alla complicità dei vasi sanguigni, il tumore in crescita riesce a ottenere l’aiuto di altre componenti del cosiddetto microambiente del tumore, cioè del contesto in cui si sviluppa. Una condizione di infiammazione cronica, per esempio, induce la produzione di sostanze che lo favoriscono e ormoni come l’insulina, prodotta oltre il dovuto in seguito a eccessi alimentari, ne stimolano la crescita. Entrambe queste circostanze sono favorite dagli stili di vita.

L’infiammazione, in particolare, è ormai considerata dagli esperti il più importante filo conduttore che unisce tra di loro gli stili di vita nocivi (alimentazione scorretta, sedentarietà, fumo) e le più importanti malattie croniche tipiche della nostra epoca: non solo il cancro, ma anche il diabete, le malattie del cuore e dei vasi e probabilmente anche alcune forme di demenza come l’Alzheimer, tutte favorite dalle stesse cattive abitudini.

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Un ruolo fondamentale è poi svolto dal sistema immunitario, che in questi casi viene meno al suo dovere di proteggere l’organismo: anche un calo delle difese immunitarie può facilitare talvolta la comparsa della malattia.

I fattori di rischio

Non esiste comunque quasi mai, tranne in alcune rare forme ereditarie, un’unica causa che possa spiegare l’insorgenza di un tumore. Al suo sviluppo concorrono diversi fattori, alcuni dei quali non sono modificabili, come i geni ereditati dai propri genitori o l’età, mentre su altri abbiamo la possibilità di intervenire per ridurre il rischio di andare incontro alla malattia.

Età

L’invecchiamento è il più importante fattore di rischio per il cancro: la maggior parte dei tumori infatti si sviluppa dopo i 55 anni di età. È anche per l’aumento dell’età media della popolazione quindi che nell’ultimo secolo il numero di persone che hanno sviluppato la malattia è andato aumentando. Ad ogni modo, diverse forme di cancro si possono presentare, con frequenza variabile, a qualunque età.

Fattori ereditari

Nella maggior parte dei casi, quando si tratta di tumori, non si parla di “ereditarietà” ma di “familiarità”: ciò significa che con i geni non si trasmette la malattia, ma solo una maggiore predisposizione a svilupparla. Se quindi ci sono stati diversi casi di cancro in famiglia, non significa che tutti i membri prima o poi si ammaleranno, ma solo che occorre prestare maggiore attenzione a seguire stili di vita sani e sottoporsi con regolarità ai controlli suggeriti dal proprio medico.È possibile infatti ereditare un gene mutato che rende la cellula più suscettibile alla malattia; ma perché il tumore possa cominciare a svilupparsi e crescere è necessario che si sommino altri errori.Per questo non è opportuno sottoporsi senza una particolare indicazione medica ai test genetici che possano rivelare una maggiore probabilità statistica di andare incontro al cancro.Questi esami infatti non escludono, se negativi, la possibilità di ammalarsi: chi riceve un verdetto rassicurante può tuttavia essere invogliato a prestare meno attenzione a una vita sana o ai controlli prescritti. Viceversa, sapere di avere una maggiore probabilità di ammalarsi può produrre ansie inutili, che non necessariamente si traducono in un beneficio per la salute.Esistono tuttavia casi particolari da discutere con il proprio medico: se per esempio nella stessa famiglia si sono registrati diversi casi di tumore all’ovaio o al seno, soprattutto in età giovanile, si può valutare l’opportunità di sottoporsi al test per verificare la presenza di mutazioni del gene BRCA, che predispongono a queste forme e, negli uomini, al tumore della prostata. Un risultato positivo al test può suggerire, in accordo con il medico, di anticipare l’età a cui cominciare i controlli di screening per il tumore del seno, ed effettuare i percorsi terapeutici più appropriati al caso.

Allo stesso modo, devono sottoporsi a controlli più frequenti i portatori di poliposi adenomatosi familiare, che più facilmente vanno incontro a tumori dell’intestino.

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Stili di vita

Così come la familiarità, anche le abitudini della vita quotidiana non causano direttamente il cancro, ma aumentano le probabilità di svilupparlo: per questo sono detti fattori di rischio.Gli stili di vita che più influiscono sul rischio di sviluppare un tumore sono:

fumoIl più importante, e ormai riconosciuto fattore di rischio è senza ombra di dubbio, il fumo di tabacco, cui si possono attribuire, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, un terzo delle morti per cancro e il 15 per cento circa di tutti i decessi che avvengono per qualunque altra causa nel nostro Paese. In particolare, il fumo è responsabile di circa il 90 per cento dei casi di tumore al polmone. Questa forma tumorale per sua natura, sarebbe invece molto rara, secondo una recente monografia pubblicata dall’International Agency for Research on Cancer (IARC), l’agenzia dell’Oms deputata alla ricerca sul cancro e sui fattori che lo determinano e all’elaborazione di strategie per prevenirlo. La stessa agenzia, dopo aver passato in rassegna gli studi più rilevanti sul tema, ha calcolato che anche il 60-70 per cento dei tumori della laringe, della cavità orale, dell’esofago, della vescica, dei reni sono attribuibili alla sigaretta.

È determinante non solo quante sigarette si fumano, ma anche per quanto tempo si protrae l’abitudine. Diversi studi dimostrano, infatti, che aumenta anche il rischio per il cancro al pancreas e al colon retto. I fumatori possono inoltre presentare un rischio più elevato di leucemia mieloide acuta. Il fumo contribuisce allo sviluppo del cancro causando mutazioni nei geni che hanno il compito di sopprimere la crescita delle cellule tumorali e favorendo lo sviluppo del tumore, una volta che queste si sono verificate. Inoltre il fumo tende a deprimere le risposte del sistema immunitario. Si tratta di danni che è possibile evitare rinunciando completamente alla sigaretta. Una sfida difficile, ma non impossibile. Per chi ha già cominciato a fumare, smettere offre benefici fin da subito che con il passare degli anni diventano sempre più importanti. Entro 10 anni, per esempio, le cellule precancerose vengono rimpiazzate e la probabilità di ammalarsi di cancro al polmone ritornano simili a quelle di una persona che non ha mai fumato. Non solo: anche il rischio di tumori alla bocca, alla laringe, all’esofago, alla vescica, ai reni e al pancreas diminuisce. È possibile smettere di fumare da soli, ma se non ci si riesce, il supporto del proprio medico o quello di ambulatori specializzati può essere utilissimo.

Anche coloro che hanno già avuto un tumore, smettendo di fumare, aumentano le possibilità di successo delle cure e riducono le probabilità che la malattia si ripresenti. sole e raggi ultraviolettiI raggi del sole hanno un effetto benefico sull’organismo, che ne ha bisogno tra l’altro per produrre la vitamina D, una sostanza ad azione ormonale indispensabile non solo per la salute delle ossa, ma per il benessere di tutto l’organismo.

L’esposizione eccessiva, d’estate, nelle ore centrali della giornata, in relazione alle proprie caratteristiche personali, tuttavia danneggia la pelle e la espone al rischio di diversi tumori della pelle.Per la stessa ragione gli esperti mettono in guardia anche dall’uso di lampade e lettini solari.

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alcolAnche le bevande alcoliche, se consumate in eccesso, sono delle vere e proprie sostanze cancerogene, come ha dimostrato un gruppo di ricercatori internazionali che, per conto dello IARC, ha analizzato gli effetti dell’alcol su 27 parti del corpo. È lungo l’elenco dei tumori il cui rischio può aumentare se si eccede con il consumo di alcolici:tumore alla bocca, tumore all’esofago, tumore a laringe e faringe, tumore al fegato, tumore al colon, tumore al seno. In Europa è stato stimato che un tumore su 10 negli uomini, e più di uno su 30 nelle donne, sono da attribuire proprio al consumo di alcol. Il dato emerge dal confronto tra i dati di un ampio studio, l’European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC), al cui finanziamento ha partecipato anche AIRC, e quelli provenienti dai Registri tumori di otto diversi Paesi europei (Francia, Italia, Spagna, Regno Unito, Olanda, Grecia, Germania, Danimarca). Benché lo studio punti il dito soprattutto sull’abuso di alcol, non assolve del tutto nemmeno il consumo moderato: nei maschi, quasi la metà dei tumori dovuti all’alcol si verifica infatti in bevitori moderati, mentre nelle donne la percentuale scende al 20 per cento. L’alcol svolge la sua azione cancerogena in diversi modi: può danneggiare alcuni tessuti o organi (come quelli della bocca o il fegato) e se, durante il tentativo di riparazione, si verificano “errori”, alcune cellule possono diventare cancerose. L’alcol, inoltre, nel processo di smaltimento, può essere trasformato in sostanze di potenziale effetto cancerogeno. Ancora, può interagire con altri composti dannosi come il fumo, potenziandone i loro effetti nocivi o ridurre la capacità protettiva di alcuni nutrienti. Infine l’alcol può indurre un aumento nella produzione di ormoni come gli estrogeni, anch’essi responsabili di un aumento del rischio di ammalarsi di alcune forme di cancro.

Nessuna bevanda alcolica è sicura. Il fattore determinante, infatti, non è il tipo di bevanda, ma l’alcol in essa contenuto: per questa ragione è preferibile evitare i superalcolici. alimentazioneOltre a quel che si versa nel bicchiere, anche come si riempie il piatto può aumentare o ridurre il rischio di tumore. Bisogna tuttavia guardarsi dai risultati di un singolo studio che di volta in volta puntano il dito sull’uno o l’altro cibo, indicandolo come fattore di rischio o di protezione nei confronti di una particolare forma della malattia. Soprattutto, non bisognerebbe mai cambiare le proprie abitudini in base al titolo di un giornale. Le ricerche in questo campo infatti si basano per lo più sul confronto tra la frequenza di alcuni tumori in una popolazione e le sue tradizioni alimentari, o tutt’al più calcolano quanto più spesso compare la malattia in un ampio gruppo di persone, in relazione alle risposte fornite a questionari su che cosa hanno mangiato nell’ultimo periodo.

È evidente che questo tipo di ricerche va preso con cautela. Detto questo, è accertato che alcune cattive abitudini alimentari possono favorire la comparsa della malattia in due modi: - apportando sostanze potenzialmente cancerogene, come quelle prodotte dalla carne abbrustolita sulla griglia o conservata sotto sale; - privando l’organismo di fattori protettivi come le fibre contenute nella frutta e nella verdura, o la miscela di vitamine e sali minerali di cui i prodotti della terra sono ricchi e che nessun integratore ha finora saputo riprodurre con eguale efficacia. In generale si può dire che una dieta ricca di proteine, grassi animali e sale e povera di fibre, verdura e frutta, è quella che più espone al rischio di ammalarsi di cancro. Inoltre va sottolineato che la qualità dei cibi non è tutto. Anche la quantità ha la sua importanza, soprattutto perché favorisce

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l’obesità.

Diversi studi hanno dimostrato che il sovrappeso e l’obesità sono strettamente connessi al cancro al colon, al seno, all’endometrio e alla cistifellea. Per esempio, i dati del Nurses’ Health Study, un ampio studio americano che dal 1976 fino alla fine degli anni Ottanta ha osservato quasi 250.000 donne, hanno dimostrato che un incremento di più di 10 chili rispetto al peso che si aveva a 18 anni raddoppia il rischio di ammalarsi di cancro al seno in post menopausa. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che il grasso periferico è la fonte primaria di estrogeni, un fattore di rischio riconosciuto per questa forma di tumore.

La più recente analisi di un gruppo di ricercatori olandesi pubblicata sull’European Journal of Cancer ha stimato che se in Europa scomparissero obesità e sovrappeso, la frequenza di nuovi casi di cancro al colon scenderebbe del 20 per cento l’anno. sedentarietà

All’obesità, oltre agli eccessi alimentari, anche la sedentarietà , contribuisce a favorire lo sviluppo di alcuni tumori anche nelle persone normopeso. Uno studio condotto in Gran Bretagna nel 2011 ha per esempio calcolato che dal 3 al 4 per cento dei tumori all’intestino, al seno e all’utero in quel Paese sono da ricondurre a questa cattiva abitudine. Per combatterla è sufficiente un’attività moderata, come andare in bicicletta o camminare di buon passo, per almeno mezz’ora, cinque giorni la settimana. Molti studi hanno dimostrato che aumentando frequenza, intensità o durata della propria attività fisica si può ridurre il rischio di tumore del colon di circa un terzo rispetto a chi non lo fa, indipendentemente dal proprio indice di massa corporea, ma in misura tanto maggiore quanto maggiore è l’intensità dello sforzo. Questo comunque va correlato all’età e alle proprie condizioni personali, concordando col proprio medico un graduale programma di attività fisica. Il semplice fatto di muoversi di più riduce anche le probabilità di ammalarsi di tumore al seno e all’endometrio, mentre per altri tumori l’effetto dell’attività fisica appare meno evidente. Alimentazione e attività fisica agiscono sul rischio di sviluppare un tumore a vari livelli. Per esempio, per quanto riguarda il colon, sia l’apporto di fibre con i cibi, sia l’attività fisica favoriscono la motilità intestinale, evitando che sostanze potenzialmente dannose rimangano a lungo a contatto con la parete dell’intestino. Ma entrambi questi fattori possono influire anche sul grado di infiammazione dell’intestino stesso, così come a livello di altri organi e tessuti.

Allo sviluppo del cancro può contribuire anche l’azione di ormoni come l’insulina, prodotta in quantità superiore alla norma proprio in risposta ad eccessi alimentari.

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Fattori ambientali

Ci sono diversi elementi che possono favorire la comparsa della malattia anche nell’ambiente che ci circonda. Alcuni sono presenti in natura, come certi minerali o agenti infettivi, altri sono prodotti chimici cui possono essere maggiormente esposte alcune categorie di lavoratori, senza contare l’effetto delle radiazioni. Ecco i più importanti:

agenti chimiciGli studi epidemiologici, che hanno messo in luce una maggiore frequenza di certe forme tumorali in alcune categorie di lavoratori, hanno permesso di scoprire una lunga serie di sostanze chimiche cancerogene. Di alcune di queste è stato proibito l’uso, per altre sono state stabilite severe normative per proteggere chiunque debba venirne a contatto. La legislazione italiana è particolarmente severa al riguardo, per cui per stare tranquilli, basta seguire con scrupolo le raccomandazioni previste dalla normativa per la sicurezza sul lavoro.

Il benzene, per esempio, contenuto in alcuni solventi e materiali per il lavaggio a secco, ma anche nel fumo di sigaretta, aumenta il rischio di leucemia. Le diossine sono sostanze che si producono nel corso di diversi processi produttivi e tendono ad accumularsi nell’ambiente e negli alimenti; altre sostanze pericolose sono contenute in alcuni pesticidi usati in agricoltura e il cloruro di vinile, con cui vengono in contatto soprattutto gli addetti all’industria della plastica.

Gli idrocarburi aromatici policiclici, oltre che nel fumo di sigaretta e nei cibi cotti alla griglia, si trovano nei gas di scarico delle auto e nel fumo prodotto dalla combustione del legno nel camino o nelle stufe: oltre che tumori del polmone favoriscono lo sviluppo di quelli della pelle e dell’apparato urinario. L’inquinamento può quindi essere anche tra le mura domestiche, e non solo a causa del fumo passivo di sigaretta: per evitare l’effetto nocivo di queste sostanze, così come del radon, il gas radioattivo che si diffonde dal suolo, è importante ventilare spesso gli ambienti.sostanze presenti in naturaLa scoperta del ruolo dell’amianto nella genesi di alcuni tumori dei polmoni e soprattutto della pleura, la sottile membrana che li riveste (mesoteliomi) ha indotto le autorità a proibirne l’uso, un tempo diffuso soprattutto nell’edilizia. Altre sostanze potenzialmente cancerogene sono alcuni metalli (tra cui arsenico, berillio, cadmio, cromo, piombo e nichel).agenti fisiciTutti siamo esposti a una piccola dose di radiazioni ionizzanti, provenienti dai raggi cosmici che penetrano l’atmosfera. Queste radiazioni tuttavia rendono conto solo di una piccola quota del rischio di indurre mutazioni irreparabili del DNA e di ammalarsi. Un notevole incremento del rischio si osserva invece nelle persone esposte a dosi elevate, per esempio in seguito a esplosioni nucleari.

L’effetto dell’esposizione a raggi X in ambito medico è importante soprattutto nei bambini; poiché il rischio tende ad accumularsi con la dose, è bene valutare sempre rischi e benefici di ogni procedura diagnostica o terapeutica che richieda il loro uso.agenti infettivi

Il cancro non è una malattia contagiosa, né è provocata direttamente da virus o batteri. Esistono però alcune infezioni che, come gli altri fattori di rischio sopra elencati,

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aumentano le probabilità di ammalarsi. Per alcune di queste oggi sono disponibili vaccinazioni che possono ridurre la frequenza di alcuni tumori. È il caso per esempio della vaccinazione contro l’epatite B, obbligatoria in Italia per tutti i nuovi nati a partire dal 1989, mentre non è ancora disponibile quello contro il virus dell’epatite C: entrambe queste malattie possono infatti provocare negli anni la formazione di un tumore del fegato.

Recentemente è stato introdotto anche in Italia un altro vaccino, mirato alla prevenzione dell’infezione da Papilloma virus umano (HPV). Questa infezione è molto comune a livello genitale, è asintomatica, e nella maggior parte delle persone infette non produce conseguenze. Alcuni tipi di questo virus tuttavia favoriscono la comparsa del carcinoma del collo dell’utero, dell’ano, dell’orofaringe e della base della lingua.

Altri virus legati allo sviluppo di tumori sono il virus di Epstein Barr, che generalmente causa la mononucleosi, ma in Africa causa il linfoma di Burkitt, l’HIV, che predispone a vari tumori in seguito a immunosoppressione e l’herpesvirus 8, che può favorire lo sviluppo di un sarcoma di Kaposi.

Anche un batterio, infine, chiamato Helycobacter pylori, è stato ricollegato ad alcune forme di tumore dello stomaco: la maggior parte delle persone che lo ospitano, tuttavia, soffrono solo di gastrite o ulcera e comunque lo possono facilmente estirpare con una terapia appositamente prescritta dal loro medico.

Conclusioni

È vero che il cancro ha molte cause, che in ogni persona concorrono tra loro, insieme ad altrettanti fattori protettivi, a determinare il rischio individuale di ammalarsi. È vero anche, tuttavia, che la maggior parte di questi fattori sono modificabili: quasi un terzo delle morti per cancro si potrebbero evitare solo abolendo l’uso di tutti i prodotti a base di tabacco, e con una dieta sana, accompagnata da una regolare attività fisica, molte altre vite potrebbero essere salvate.

Autore: Roberta Villa

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Il cancro è sempre più curabileNella lotta contro il cancro si cominciano a raccogliere i primi frutti: oltre che negli Stati Uniti, anche in Europa e in Italia le campagne di prevenzione e l’introduzione di nuove cure più efficaci stanno spuntando le armi ai tumori, riducendone la mortalità.

Introduzione

Uno studio sostenuto da AIRC e FIRC e pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Annals of Oncology dimostra che il cancro è sempre più una malattia curabile.

Basandosi sui dati ufficiali dell’Organizzazione mondiale della sanità, Carlo La Vecchia, dell’Istituto Mario Negri di Milano, insieme con Fabio Levi, dell’Istituto di Medicina Sociale e Preventiva del Centre Hospitalier Universitaire Vaudois e dell’Università di Losanna in Svizzera, ha osservato che tra il periodo 1990-1994 e quello 2000-2004 i tassi di mortalità per 25 tumori in 34 Paesi europei sono diminuiti del 9 per cento negli uomini e dell’8 per cento nelle donne , con un forte calo soprattutto tra gli individui di mezza età.

C’è ancora però molto da fare e il quadro complessivo mostra grandi differenze da tumore a tumore e da Paese a Paese. Per alcuni tumori, come quelli del testicolo o le leucemie, il calo di mortalità è significativo e costante nel tempo, soprattutto grazie alle conquiste della medicina, che cura sempre meglio queste malattie; per altri, come il tumore del collo dell’utero, il successo è da attribuire soprattutto alla prevenzione, con una diagnosi sempre più precoce; per altri ancora, l’andamento della mortalità dipende da quanto sono diffusi i comportamenti a rischio.

È il caso del tumore del polmone, che fa sempre meno vittime tra gli uomini, i quali fumano molto meno di un tempo, e colpisce invece sempre più le donne, tra le quali purtroppo è sempre più diffusa l’abitudine alla sigaretta, una volta considerata sconveniente. Lo stesso vale per altre forme di cancro associate, oltre che al fumo, anche al consumo di alcol.

Queste differenze nella diffusione di abitudini nocive per la salute, ma anche nell’accessibilità ai programmi di screening e alle cure più moderne, spiegano la variabilità dei risultati ottenuti da una parte o dall’altra del Vecchio continente. I ricercatori infatti hanno considerato, oltre alla maggior parte dei membri dell’Unione europea, anche alcuni Paesi dell’Europa orientale, dalla Russia all’Ucraina, dalla Bielorussia alla Romania. Quest’ultima è l’unica nazione nella quale non si osserva la tendenza alla riduzione della mortalità che, invece, in misura maggiore o minore, è presente altrove.

I dati europei sono in linea con quelli statunitensi, pubblicati su Cancer. Anche oltreoceano il fenomeno sembra da attribuire in buona parte alla rinuncia al tabacco nel sesso maschile, che ha ridotto la frequenza del tumori del polmone e quindi le sue vittime. Ha però contribuito anche il calo nella mortalità dovuta al tumore della prostata e del colon-retto. Il cancro all’intestino uccide meno, anche nel sesso femminile, soprattutto grazie alla diffusione di programmi di screening.

Miglioramenti significativi si sono osservati anche nella sopravvivenza delle donne colpite da tumore al seno. Il divario tra i due sessi registrato a livello europeo appare ancora più marcato in Italia. Sebbene in valore assoluto le donne continuino ad ammalarsi e a morire di

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cancro meno degli uomini, questi ultimi stanno accorciando le distanze. I dati AIRTUM del 2009, derivanti dai registri tumori italiani, mostrano che dal 1998 al 2005 si è verificata una riduzione di mortalità per ogni forma di tumore del 12% tra gli uomini e del 6% tra le donne: un calo ancora più significativo considerato che il numero di nuovi tumori scoperti ogni anno al contrario aumenta, complici l’invecchiamento della popolazione e la diffusione di mezzi diagnostici più sensibili.

Diffusione in Italia per uomini e donne

Dal 1998 al 2005 la mortalità per tutti i tumori si è ridotta del 6 per cento tra le donne

Dal 1998 al 2005 la mortalità per tutti i tumori si è ridotta del 12 per cento tra gli uomini

Domande e risposte

Le domande più frequenti sulla curabilità del cancro.

Qual è l’andamento generale delle malattie tumorali nei Paesi sviluppati?

L’incidenza dei tumori, cioè il numero di persone a cui ogni anno viene diagnosticato il cancro nella popolazione italiana (e così in tutti i Paesi più sviluppati) va purtroppo aumentando in valore assoluto.

Questo perché uno dei fattori di rischio più importanti per la maggior parte dei tumori è l’età: aumentando la quota di anziani nella popolazione generale, aumenta anche il numero di persone più esposte alla malattia. Tenendo conto di questa variabile, però, la frequenza dei nuovi casi di cancro appare stabile. Talvolta poi l’aumento del numero di nuovi tumori è apparente, e dipende solo dalla disponibilità di strumenti diagnostici più sofisticati, che permettono di individuare forme neoplastiche così precoci da poter essere curate bene e talvolta anche guarire completamente. Il loro numero fa crescere quindi i tassi di incidenza ma permette di diminuire quelli di mortalità, perché si evita che la malattia compaia in seguito in maniera più aggressiva. Per alcuni tumori importanti, come quello dei polmoni, il calo di mortalità registrato tra gli uomini dipende invece proprio dalla riduzione della frequenza con cui compare la malattia, attribuita dagli esperti al fatto che gli uomini fumano oggi meno di un tempo. Il contrario purtroppo si sta verificando tra le donne.

Infine, all’aumento del numero dei casi di tumore la medicina risponde con terapie sempre più efficaci e mirate, che per alcune forme di cancro hanno aumentato notevolmente le speranze di sopravvivenza, trasformando il cancro in una malattia cronica con cui convivere, e per altre hanno cambiato radicalmente le aspettative dei malati a cui viene posta la diagnosi, aprendole alla concreta possibilità di una completa guarigione.

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La mortalità per i tumori è diminuita in Europa?

Lo studio di Carlo La Vecchia mostra grandi differenze tra una parte e l’altra del Continente europeo, attribuibili in parte alla diversa distribuzione dei più importanti fattori di rischio, in parte alla disomogenea disponibilità di terapie adeguate, soprattutto tra Est e Ovest. La Romania sembra il Paese che sta facendo più fatica a recepire questi miglioramenti, che comunque anche altrove in Europa orientale sono molto meno marcati che in Occidente.

Incidenza e mortalità variano anche di due volte da un luogo all’altro. Tra gli uomini, la più alta mortalità per cancro in generale si osserva infatti in Ungheria, Repubblica Ceca e Polonia, mentre la più bassa si ha in Svezia, Finlandia e Svizzera. Per le donne invece i tassi più alti si hanno in Danimarca, Ungheria e Scozia, e i più bassi in Spagna, Grecia e Portogallo, riflettendo più la diffusione dell’abitudine al fumo che non la distribuzione di centri di eccellenza oncologica.

Per quale tumore non si è registrato un significativo calo della mortalità tra le donne?

Il tumore del polmone, che è in visibile calo tra gli uomini, si sta diffondendo sempre più tra le donne. Mentre fino a qualche anno fa in Italia nel sesso femminile era relativamente raro, ora è entrato a far parte della rosa dei 5 tumori più comuni e ha superato, rispetto al decennio precedente, quello dello stomaco, passando dal quinto al quarto posto.

Tra gli uomini in Italia nel 1998 il cancro al polmone ha fatto 74 vittime ogni 100.000 persone, mentre nel 2005 sono state meno di 64. Tra le donne invece, nel 1998, i decessi per questa malattia erano poco più di 13 su 100.000, mentre nel 2005 sono stati più di 14.

Per quali tumori si è registrato negli ultimi anni un significativo calo della mortalità tra gli uomini?

Tra gli uomini sono in netto calo tutti i tumori legati al fumo, ma anche all’alcol: non solo quello al polmone, quindi, ma anche alla gola e in altre sedi. Ci sono stati miglioramenti anche nella sopravvivenza dei tumori di colon e prostata, probabilmente legati a una diagnosi più precoce, mentre per le leucemie si è verificato un costante e significativo progresso delle possibilità di cura.

Non dimenticare: informazioni utili

In inglese si chiamano take-home messages. Noi diciamo: da non dimenticare!

I tumori non sono meno comuni, ma si combattono molto meglio oggi che vent’anni fa, grazie alla diagnosi precoce, alle cure, ma anche attraverso le scelte di molti cittadini, soprattutto di quelli che hanno smesso di fumare.Di cancro, nei Paesi sviluppati, ci si ammala sempre, ma si muore molto meno di un tempo.Le disomogeneità tra Paese e Paese non dipendono solo dalle disponibilità di cure d’avanguardia, ma anche dalla diffusione di stili di vita più o meno sani.A fare la differenza è soprattutto il fumo di sigaretta. Per colpa di questa abitudine che aumenta tra le donne, la loro mortalità da cancro diminuisce meno che negli uomini.

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Tumori benigniSentirsi dire che un tumore è benigno è senz’altro fonte di sollievo. Ciononostante, a volte occorre comunque intervenire perché la massa in crescita potrebbe creare problemi agli organi circostanti

Introduzione

Nel 2011, per la prima volta, i tumori benigni del cervello e delle altre parti del sistema nervoso vengono inclusi nel rapporto annuale sul cancro, prodotto dalle autorità statunitensi. Per definizione un tumore benigno non è cancro, qual è dunque il motivo di questa scelta? “La decisione di inserire anche queste malattie tra quelle di cui tener conto nei registri nazionali” spiega Betsy A. Kohler, direttore esecutivo della North American Association of Central Cancer Registries, “dipende dalla necessità di seguire anche il loro andamento e quantificarne il peso che può essere rilevante per i pazienti così come per la società”. Se il tumore è benigno, non si parla di cancro. Le cellule che costituiscono un tumore benigno sono considerate tumorali perché si moltiplicano più del dovuto, formando una massa che può assumere anche dimensioni considerevoli. Diversamente da quelle del cancro, però, queste cellule conservano le caratteristiche del tessuto di origine e non hanno la tendenza a invadere gli organi circostanti, né a produrre metastasi in altre parti del corpo diffondendosi attraverso i vasi sanguigni o linfatici. La massa che si forma a causa di questa crescita eccessiva resta sempre ben delimitata, spesso racchiusa in una sorta di capsula. Perché allora i medici in alcuni casi ritengono di doverla asportare con un intervento chirurgico o con la radioterapia? A volte perché, pur essendo di natura benigna, la formazione potrebbe col tempo degenerare e assumere le caratteristiche di un cancro. Altre volte perché, solo dopo averla asportata, è possibile esaminarla ed escludere la presenza di cellule maligne. Nonostante la natura benigna, spesso confermata da analisi istologiche, è possibile che la massa tumorale provochi disturbi. È quel che succede per esempio quando il tumore benigno, che per definizione mantiene le caratteristiche del tessuto di origine, si sviluppa in una ghiandola e produce quindi in quantità eccessiva alcune sostanze, soprattutto ormoni, che alterano il delicato equilibrio all’interno dell’organismo. Altre volte i sintomi dipendono dalla localizzazione del tumore, che, crescendo, può comprimere i vasi sanguigni o gli organi vicini, provocando dolore o sintomi di natura molto diversa. Il caso più importante e particolare è quello dei tumori al cervello, che nella loro crescita sono ostacolati dalla rigidità della scatola cranica. La compressione che ne deriva può portare a forti mal di testa, convulsioni, disturbi d’equilibrio, della vista e dell’udito, alterazioni dell’olfatto, difficoltà di memoria, di concentrazione o di linguaggio, nausea e vomito. Per questo i tumori benigni del cervello possono essere più gravi di quelli di altre sedi e richiedono più spesso, quando possibile, un intervento.

Anche i tumori benigni, quindi, in certe situazioni, possono provocare malattie serie e richiedono perciò attenzione da parte del medico e del paziente.

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Domande e risposte

Le domande più frequenti sui tumori benigni.

Un tumore del cervello può provocare disturbi anche se è benigno?La maggior parte dei tumori che si sviluppano nel cervello e nel sistema nervoso si possono considerare benigni dal punto di vista istologico, nel senso che le loro cellule, pur proliferando oltre il dovuto, conservano l’aspetto di quelle da cui hanno avuto origine e non tendono a dare metastasi.Quelli che si sviluppano all’interno della scatola cranica e della colonna vertebrale, però, non potendo espandersi liberamente, tendono a comprimere le strutture vicine, provocando disturbi anche gravi. Per questo vanno curati: quasi sempre si possono asportare chirurgicamente, e in questo caso di solito la guarigione è definitiva, perché i tumori benigni in genere non si riformano; nei rari casi in cui sono situati in una posizione che non è raggiungibile con il bisturi, si cerca di ridurne il volume usando varie tecniche di radioterapia. La chemioterapia invece, per i tumori benigni, non si usa praticamente mai. Spesso può invece servire una cura a base di cortisone che riduce il gonfiore e quindi la pressione della massa sulle strutture circostanti.

I tumori benigni devo essere asportati chirurgicamente in ogni caso?Il trattamento per ciascun tumore benigno è variabile da caso a caso. Tranne le formazioni che col tempo potrebbero degenerare diventando maligne, le altre potrebbero non richiedere alcuna cura.Un piccolo angioma a livello del fegato o del braccio, per esempio, può essere ignorato, ma se la massa è di dimensioni tali da diventare deturpante o pericolosa, è opportuno trattarla.Lo stesso vale per il più comune dei tumori benigni, il lipoma, che si forma a partire dal tessuto adiposo, più spesso sul collo, sul dorso, nelle ascelle, sulle natiche, sulle cosce e sulle braccia, ma può nascere in qualunque parte del corpo. Spesso la sua presenza non richiede nessun tipo di trattamento, ma può valere la pena di toglierlo per ragioni estetiche oppure se, per la sua posizione, provoca fastidio o dolore. Le indicazioni all’intervento chirurgico per un tumore benigno diventano ovviamente più forti quanto più la massa in sé, o le sostanze che produce, interferiscono con le funzioni essenziali dell’organismo.

Si deve sempre intervenire dopo una diagnosi di fibroma uterino?Quattro donne su dieci entro i 40 anni, e più della metà di loro negli anni successivi, sviluppano a livello dell’utero almeno un fibroma, più correttamente detto leiomioma. Nella maggior parte dei casi queste formazioni, che spesso sono multiple, non provocano disturbi e quindi non richiedono nessun tipo di intervento. Talvolta però possono provocare perdite tra un ciclo e l’altro oppure mestruazioni particolarmente abbondanti, che nei casi più gravi possono portare ad anemia. Quando sono di maggiori dimensioni possono comprimere gli organi vicini provocando dolori addominali, stipsi o necessità di urinare spesso.

Talvolta possono ostacolare il concepimento. Il tipo di cura dipende dall’entità di questi disturbi, dall’età e dalle condizioni generali della donna, oltre che dal suo desiderio di avere ancora figli: a volte non occorre alcun trattamento, in altri casi il ginecologo potrà prescrivere farmaci di natura ormonale, per bocca o rilasciati da un dispositivo intrauterino, in altri ancora si potrà decidere di intervenire senza urgenza, soppesando rischi e benefici per l’asportazione della massa. L’intervento, che può limitarsi a togliere il solo fibroma o estendersi a tutto l’utero, può avvenire in maniera mininvasiva, spesso attraverso la vagina. Negli ultimi anni si è diffusa, per le donne che non vogliono o non possono sottoporsi ad intervento, anche l’embolizzazione

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dell’arteria uterina, una tecnica che blocca il flusso sanguigno e quindi l’apporto di ossigeno ai fibromi.

Quali conseguenze può avere sulla salute la presenza di un tumore benigno?La presenza di un tumore benigno può restare nascosta per anni, così come manifestarsi attraverso una lunghissima serie di sintomi di svariata natura. A volte i disturbi possono indirizzare facilmente verso la loro causa, altre volte è difficile anche per i medici capire da che cosa dipendono. Le cellule dei tumori benigni che hanno origine da ghiandole endocrine di solito conservano la capacità di produrre gli ormoni per cui sono predisposte. Ecco quindi che alcuni noduli della tiroide (detti adenomi tossici di Plummer) possono aumentare la concentrazione di ormoni tiroidei nel sangue provocando tremori, tachicardia, ansia, insonnia o diarrea. In altri casi l’iperattività del nodulo inibisce le cellule del tessuto sano per cui la quantità totale di ormoni prodotti non è tale da provocare sintomi. Quando a proliferare eccessivamente sono invece le cellule beta del pancreas, quelle che producono insulina, sono i livelli di questo ormone a crescere. Si verifica così una situazione opposta a quella del diabete di tipo 1, in cui queste cellule sono distrutte: invece di aumentare gli zuccheri nel sangue, gli insulinomi provocano crisi di ipoglicemia. C’è anche una forma di diabete che può essere provocato da un tumore benigno. È il cosiddetto diabete insipido, provocato da un’inappropriata produzione di ormone antidiuretico da parte delle cellule dell’ipofisi, una ghiandola posta alla base del cranio, proprio dietro al naso. Altri adenomi dell’ipofisi possono restringere il campo visivo per compressione dei nervi ottici oppure indurre l’insorgenza di altre sindromi, come il gigantismo o l’acromegalia per eccessiva sintesi di ormone della crescita o la sindrome di Cushing per eccessiva stimolazione degli ormoni surrenali. Questa condizione si associa a un aumento della pressione arteriosa, fenomeno che nella stragrande maggioranza dei casi avviene spontaneamente con l’età, ma che in un piccolo numero di pazienti, in cui si parla di ipertensione secondaria, può dipendere anche da tumori benigni di diverso tipo.

Infine, perfino le embolie possono essere indotte da tumori benigni, quando nell’atrio destro o sinistro del cuore si forma un tumore benigno chiamato mixoma, da cui si staccano piccoli frammenti che vanno a ostruire i vasi sanguigni. Si tratta di una condizione molto rara, che può dare segno di sé anche in maniera meno drammatica, attraverso altri disturbi poco specifici, come stanchezza o difficoltà a respirare. Anche in questi casi il tumore può essere rimosso con un intervento chirurgico.

Non dimenticare: indicazioni utili

In inglese si chiamano take-home messages. Noi diciamo: da non dimenticare!

La maggior parte dei tumori benigni non richiede trattamento.I tumori benigni vanno curati solo se c’è il rischio che degenerino o se provocano disturbi.In questi casi l’asportazione chirurgica basta di solito a guarire definitivamente.

Autore: Roberta VillaArticolo conforme ai principi HONCode

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Fattori di rischio e prevenzione

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Cancro: la prevenzioneLa prevenzione è la migliore arma per vincere il cancro. Ed è a nostra portata, ogni giorno a cominciare dalla tavola, seguendo le regole della corretta alimentazione, per finire ai controlli medici periodici.

Si è cominciato a dare importanza al concetto di prevenzione del cancro soprattutto perché negli ultimi decenni, l’incidenza per questa patologia ha subito un incremento. Le ragioni della crescita sono legate all’allungamento della vita media e a un sensibile cambiamento negli stili di vita. L’aumento dei casi di tumore al polmone nelle donne, per esempio, è una diretta conseguenza dell’incremento del numero di fumatori di sesso femminile.

Preso atto di questa situazione si è passati da un approccio solamente curativo alla malattia a uno preventivo: risale al 1981 la pubblicazione, da parte di due importanti epidemiologi (Richard Doll e Richard Peto), del primo elenco scientificamente controllato dei principali fattori di rischio che determinano la comparsa di un cancro.

Tra i fattori individuati in questo studio compaiono il fumo di sigaretta, l’alimentazione e altre cause come virus, ormoni e radiazioni.

Oggi l’approccio è di tipo multifattoriale, cioè il rischio reale per un individuo di contrarre la malattia è dato dalla combinazione dei diversi fattori di rischio.

Inoltre, si è capito che le misure di prevenzione non sono limitate solo alle fasi che precedono l’insorgenza della malattia (prevenzione primaria), ma possono essere applicate anche quando la malattia è già presente (prevenzione secondaria e terziaria).

Prevenzione primaria

Lo scopo della prevenzione primaria è quello di ridurre l’incidenza del cancro tenendo sotto controllo i fattori di rischio e aumentando la resistenza individuale a tali fattori. In altre parole si tratta di evitare l’insorgenza del tumore.

Una corretta prevenzione primaria non si basa solo sull’identificazione dei fattori di rischio, ma anche e soprattutto sulla valutazione di quanto l’intera popolazione o il singolo individuo sono esposti a tali fattori.

Le strategie di prevenzione primaria possono essere dirette a tutta la popolazione (per esempio quelle che riguardano il modo corretto di alimentarsi o di fare attività fisica) o a particolari categorie di persone considerate ‘ad alto rischio’ (per esempio chi ha un rischio genetico particolarmente elevato o i fumatori).

Rientrano negli strumenti della prevenzione primaria anche i vaccini contro specifici agenti infettivi che aumentano il rischio di cancro, quali il virus dell’epatite B (tumore del fegato) o il Papilloma virus umano (HPV, responsabile del cancro della cervice uterina).

Prevenzione secondaria

Lo scopo della prevenzione secondaria è individuare il tumore in uno stadio molto precoce in modo che sia possibile trattarlo in maniera efficace e ottenere di conseguenza un maggior numero di guarigioni e una riduzione del tasso di mortalità. La prevenzione secondaria coincide

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quindi con le misure di diagnosi precoce. In genere riguarda il periodo tra l’insorgenza biologica della malattia e la manifestazione dei primi sintomi.

Per alcuni tipi di tumore esistono anche in Italia dei programmi nazionali di prevenzione secondaria come nel caso della mammografia: l’Osservatorio nazionale screening, dipendente dal Ministero, suggerisce una mammografia ogni due anni per le donne dai 50 anni in su, ma la cadenza può variare a seconda delle considerazioni del medico sulla storia personale di ogni donna.

Per quanto riguarda invece il Pap test, il ministero della Salute stabilisce che le donne a partire dall’inizio della vita sessuale attiva e, comunque, non oltre i 25 anni dovrebbero effettuare l’esame ogni due-tre anni fino a circa 70 anni di età, e offre la possibilità di farlo gratuitamente presso i consultori. Le Regioni sono comunque autonome nel decidere se e come proporre tali screening: in alcuni casi, per esempio, il Pap test è gratuito anche in età giovanile, perché le indicazioni internazionali sono di iniziarlo fin dall’età dei primi rapporti sessuali. Molte regioni hanno avviato anche campagne di screening per il colon-retto, rivolte alla popolazione tra i 50 e i 70 anni.

Nel 1968 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stabilito i criteri universali in base ai quali una malattia che interessa un’ampia fetta della popolazione è idonea a essere oggetto di screening preventivi:

la malattia deve essere un reale problema di salute;deve esistere un trattamento idoneo a curare la malattia diagnosticata;deve essere riconosciuto uno stadio latente o devono essere riconoscibili i primi sintomi della malattia;lo screening deve essere universalmente accettato dalla popolazione.

Con questo tipo di screening, però, si identificano più facilmente i tumori con una fase preclinica (periodo tra l’insorgenza biologica della malattia e la manifestazione dei primi sintomi) più lunga rispetto a quelli a crescita rapida, soprattutto quando i tempi medi tra un esame e l’altro sono moderatamente lunghi. Ciò significa che i casi di cancro evidenziati dagli screening sono anche quelli che, per loro stessa natura, hanno una prognosi più favorevole.

Infine, è opportuno ricordare che alcuni tumori identificati grazie agli screening di prevenzione secondaria non danno origine a una vera e propria malattia, perché in alcuni casi la progressione è molto lenta o addirittura si arresta. Non è facile, però, scoprire in quali casi ciò avviene e quindi per quali tipi di tumore è utile fare uno screening e per quali, invece, è meglio evitare. In effetti, identificare un tumore significa procedere con esami talvolta invasivi o addirittura con interventi chirurgici e terapie che a loro volta hanno effetti collaterali. È nel delicato equilibrio tra benefici per la collettività e per il singolo e danni da eccesso di cure che si muove il mondo della prevenzione.

Per questo motivo in alcuni casi non si procede con interventi attivi, ma ci si limita a effettuare esami diagnostici con maggiore frequenza per tenere sotto controllo l’evoluzione della malattia: è ciò che accade, per esempio, nei pazienti anziani con tumori caratterizzati da una fase preclinica molto lunga, come il cancro della prostata.

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Prevenzione terziaria

Con prevenzione terziaria si intende la prevenzione delle cosiddette recidive (o ricadute) o di eventuali metastasi dopo che la malattia è stata curata con la chirurgia, la radioterapia o la chemioterapia (o tutte e tre insieme).

Essa abbraccia anche il campo della terapia adiuvante (chemioterapia, radioterapia e trattamenti ormonali), che prolunga gli intervalli di tempo senza malattia e aumenta la sopravvivenza in molti tipi di tumore come quello dei testicoli, del seno, del colon e molti altri.

Come prevenire?

Le vittime del cancro, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, sono in continua crescita, tanto che si stima che nel 2030 supereranno gli 11 milioni e che, in generale, il cancro sarà la causa principale di tutti i decessi. Si stima però che il 40 per cento dei tumori potrebbe essere prevenuto adottando stili di vita corretti (smettere di fumare, alimentarsi in modo sano ed equilibrato) e sottoponendosi con regolarità a visite ed esami di diagnosi precoce.

Che cosa è un fattore di rischio?

Il fattore di rischio è tutto ciò che può andare a incidere o a modulare lo sviluppo del cancro. Esistono due diversi tipi di fattori di rischio, ovvero quelli modificabili (comportamento e ambiente) e quelli non modificabili (età, sesso, patrimonio genetico).

Gli effetti di tali fattori dipendono da molte variabili tra le quali: durata e tipo di esposizione al rischio o effetto combinato di due o più fattori.

Come si identificano i fattori di rischio?

Ci sono varie metodologie che permettono di classificare una sostanza o un comportamento come un fattore di rischio: si va dagli esperimenti molecolari, che mirano a individuare un’alterazione genetica, agli studi epidemiologici che valutano come i fattori che riguardano lo stile di vita o l’ambiente siano correlati all’insorgenza di particolari tumori.

Interazione tra fattori di rischio genetici e ambientali

In base ai dati più recenti, risulta chiaro che in quasi tutti i tumori è possibile individuare un’alterazione del DNA che svolge un ruolo di primo piano nell’insorgenza della malattia, ma in genere fattori ambientali cooperano con quelli genetici nei fenomeni di inizio e propagazione del cancro.

Sono stati creati dei modelli matematici che stabiliscono il rischio di cancro basandosi sulla presenza o sull’assenza di uno o più fattori di rischio e sull’interazione tra di essi. Nello specifico, i modelli definiscono se un individuo è ad alto o basso rischio di tumore, ma precisano anche che non necessariamente un soggetto che ha un rischio alto svilupperà la malattia e allo stesso tempo non escludono la possibilità che chi ha un rischio basso possa essere colpito da tumore.

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Prevenzione: perchè?

L’obiettivo finale dell’individuazione e del controllo dei fattori di rischio è la riduzione del rischio e quindi della mortalità o perlomeno del rischio di sviluppare il cancro, ma poiché lo sviluppo del cancro copre spesso un arco temporale molto lungo (anche decine di anni), è importante individuare degli obiettivi intermedi (per esempio eventuali lesioni precancerose).

Va precisato però che questi obiettivi intermedi hanno dei limiti. Per esempio non è detto che una lesione precancerosa debba trasformarsi in cancro o, viceversa, che un risultato negativo a uno screening equivalga a un rischio zero.

Il ruolo dei biomarcatori

I cosiddetti biomarcatori, o semplicemente marcatori, fanno parte dei nuovi strumenti per determinare il rischio tumorale: si tratta di molecole che, se presenti o assenti nel sangue, permettono di capire se una persona è o no a rischio di sviluppare un determinato tipo di tumore. In alcuni casi consentono anche di stabilire la risposta alla terapia o la progressione della malattia.

Tra i biomarcatori più noti si possono citare il PSA (antigene specifico prostatico) per il tumore della prostata, che è presente a livelli elevati nei tumori prostatici (ma anche nelle ipertrofie benigne della prostata) e i recettori per gli estrogeni per il tumore del seno, che forniscono indicazioni utili in termini di prognosi e scelta della terapia.

Programmi di prevenzione

La prevenzione può essere attuata praticando diverse strade:

modifiche negli stili di vita;screening per individuare predisposizioni genetiche ereditarie (per fortuna piuttosto rare) o lesioni cancerose allo stadio iniziale.

L’importanza degli screening sta nella possibilità di individuare gli stadi iniziali di una malattia anche in persone che non hanno sintomi.

Autore: Daniele Ovadia

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Stili di vita anti-cancroAdottare sane abitudini può evitare la comparsa di circa un caso di cancro su tre

Si pensa sempre che per prevenire una malattia grave come il cancro sia necessario sottoporsi a molti esami costosi. Di fatto non è esattamente così: gli esami di diagnosi precoce sui quali c’è attualmente l’accordo di tutti gli esperti del settore sono pochi e relativamente semplici. Si tratta del Pap test per la prevenzione del cancro della cervice, della ricerca del sangue occulto nelle feci per la diagnosi precoce del cancro del colon e della mammografia, che consente di individuare i tumori del seno in fase iniziale. Altri sono in fase di studio, e si spera che in futuro possano aumentare le possibilità di intervento tempestivo.

È stato calcolato, però, che se tutti adottassero uno stile di vita corretto si potrebbe evitare la comparsa di circa un caso di cancro su tre. La prevenzione, quindi, è nelle mani di ognuno.

Se sei deciso a fare del tuo meglio per mantenerti in salute, ecco quali sono i campi su cui puoi intervenire.

Il decalogo della salute

Il Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (World Cancer Research Fund) ha concluso nel 2007 un’opera ciclopica di revisione di tutti gli studi scientifici sul rapporto tra alimentazione e tumori a cui hanno collaborato oltre 150 ricercatori, epidemiologi e biologi provenienti dai centri di ricerca più prestigiosi del mondo.

Ne è nato il decalogo che segue, che viene regolarmente aggiornato (ulteriori informazioni sono disponibili sul sito www.dietandcancerreport.org):

Mantenersi snelli per tutta la vita. Per conoscere se il proprio peso è in un intervallo accettabile è utile calcolare l’indice di massa corporea (BMI = peso in Kg diviso per l’altezza in metri elevata al quadrato: ad esempio una persona che pesa 70 kg ed è alta 1,74 ha un BMI = 70 / (1,74 x 1,74) = 23,1.), che dovrebbe rimanere verso il basso dell’intervallo considerato normale (fra 18,5 e 24,9 secondo l’Organizzazione mondiale della sanità).

Mantenersi fisicamente attivi tutti i giorni. In pratica è sufficiente un impegno fisico pari a una camminata veloce per almeno mezz’ora al giorno; man mano che ci si sentirà più in forma, però, sarà utile prolungare l’esercizio fisico fino ad un’ora o praticare uno sport o un lavoro più impegnativo. L’uso dell’auto per gli spostamenti e il tempo passato a guardare la televisione sono i principali fattori che favoriscono la sedentarietà nelle popolazioni urbane.

Limitare il consumo di alimenti ad alta densità calorica ed evitare il consumo di bevande zuccherate. Sono generalmente ad alta densità calorica i cibi industrialmente raffinati, precotti e preconfezionati, che contengono elevate quantità di zucchero e grassi, quali i cibi comunemente serviti nei fast food. Si noti la differenza fra “limitare” ed “evitare”. Se occasionalmente si può mangiare un cibo molto grasso o zuccherato, ma mai quotidianamente, l’uso di bevande gassate e zuccherate è invece da evitare, anche perché forniscono abbondanti calorie senza aumentare il senso di sazietà.

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Basare la propria alimentazione prevalentemente su cibi di provenienza vegetale, con cereali non industrialmente raffinati e legumi in ogni pasto e un’ampia varietà di verdure non amidacee e di frutta. Sommando verdure e frutta sono raccomandate almeno cinque porzioni al giorno (per circa 600g); si noti fra le verdure non devono essere contate le patate.

Limitare il consumo di carni rosse ed evitare il consumo di carni conservate. Le carni rosse comprendono le carni ovine, suine e bovine, compreso il vitello. Non sono raccomandate, ma per chi è abituato a mangiarne si raccomanda di non superare i 500 grammi alla settimana. Si noti la differenza fra il termine di “limitare” (per le carni rosse) e di “evitare” (per le carni conservate, comprendenti ogni forma di carni in scatola, salumi, prosciutti, wurstel), per le quali non si può dire che vi sia un limite al di sotto del quale probabilmente non vi sia rischio.

Limitare il consumo di bevande alcoliche. Non sono raccomandate, ma per chi ne consuma si raccomanda di limitarsi ad una quantità pari ad un bicchiere di vino (da 120 ml) al giorno per le donne e due per gli uomini, solamente durante i pasti. La quantità di alcol contenuta in un bicchiere di vino è circa pari a quella contenuta in una lattina di birra e in un bicchierino di un distillato o di un liquore.

Limitare il consumo di sale (non più di 5 g al giorno) e di cibi conservati sotto sale. Evitare cibi contaminati da muffe (in particolare cereali e legumi). Assicurarsi quindi del buon stato di conservazione dei cereali e dei legumi che si acquistano, ed evitare di conservarli in ambienti caldi ed umidi.

Assicurarsi un apporto sufficiente di tutti i nutrienti essenziali attraverso il cibo. Di qui l’importanza della varietà. L’assunzione di supplementi alimentari (vitamine o minerali) per la prevenzione del cancro è invece sconsigliata.

Allattare i bambini al seno per almeno sei mesi.

Nei limiti dei pochi studi disponibili sulla prevenzione delle recidive, le raccomandazioni per la prevenzione alimentare del cancro valgono anche per chi si è già ammalato.

Le abitudini voluttuarie

Il primo nemico da combattere in questo ambito è senza dubbio il fumo. Tutti conoscono ormai i danni della sigaretta: il cancro al polmone sarebbe una malattia quasi inesistente se nessuno fumasse. Smettere di fumare - o almeno ridurre il numero delle sigarette giornaliere attendendo di aver maturato una decisione sufficientemente salda da consentire la cessazione del fumo - è il primo grande passo verso la longevità. Oltre al cancro polmonare, si riduce infatti anche l’incidenza del cancro della bocca, della vescica (quest’ultima è infatti esposta alle sostanze tossiche eliminate attraverso le urine) e dello stomaco, ma anche tante malattie respiratorie, in primo luogo asma e broncopneumopatie dell’età avanzata.

L’uso di droghe o di sostanze illecite durante la pratica sportiva è un’abitudine sicuramente nociva, che interferisce con gli equilibri dell’organismo ma anche, per esempio per quanto riguarda alcune sostanze anabolizzanti, con i livelli di ormoni nel sangue. Le alterazioni ormonali possono facilitare lo sviluppo di forme di cancro.

La tintarella: esporsi al sole senza adeguate protezioni è il modo migliore per mettere a rischio la salute della propria pelle, e per favorirne l’invecchiamento. Il rischio maggiore, però, è quello di indurre la comparsa di melanomi, tumori maligni della cute. Sono i bambini quelli che vanno protetti di più: il rischio di melanoma, infatti, cresce col numero di scottature in età infantile. La

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tintarella, quindi, non è cosa da piccoli: per loro è necessaria la protezione massima e per tutto il tempo dell’esposizione al sole. Inoltre è meglio privilegiare le prime ore del mattino e le ultime del pomeriggio per portare i piccoli in spiaggia, quando i raggi sono meno diretti.

Il sesso: molte forme tumorali hanno un’origine infettiva. Virus e batteri, infatti, possono provocare forme di infiammazioni croniche che, col tempo, inducono trasformazioni della cellula che a loro volta predispongono alla formazione di tumori. Alcune di queste forme infettive sono trasmissibili attraverso rapporti sessuali non protetti: è il caso del virus del papilloma umano o HPV, che è il principale fattore causale del carcinoma della cervice, così come del virus dell’epatite C, che può indurre la comparsa di carcinomi del fegato, e dello stesso HIV, virus dell’AIDS, che ha anche proprietà oncogene, ovvero facilita la comparsa di determinati tumori come il sarcoma di Kaposi. Il consiglio, quindi, è di essere sempre informati sulle modalità di trasmissione e di protezione.

Come muoversi quasi senza pensarci

Fate le scale invece di prendere l’ascensoreScegliete di camminare o andare in bici invece di prendere l’autoUscite a fare una passeggiata durante la pausa pranzoSe lavorate in un grande ufficio, spostatevi per parlare con i colleghi invece di mandare loro un’e-mailAndate a ballare con il vostro partnerProgrammate vacanze che prevedono camminate e movimento invece che ferie stanzialiUtilizzate una bici da camera mentre guardate la televisione

Come mantenere i buoni propositi

Niente è più complicato che cambiare le proprie abitudini. Ben lo sanno i medici, che continuano a suggerire ai loro pazienti come modificare lo stile di vita senza essere ascoltati. Eppure un buon consiglio pratico vale quanto una medicina, se non di più: previene la malattia invece di curarla.

Alcuni suggerimenti per restare ben saldi nelle proprie decisioni:

Informarsi bene sulle ragioni per cui è necessario cambiare un aspetto del proprio comportamento: raccogliere materiale e leggerlo con attenzione, parlarne con il proprio medico. Più si è convinti di essere nel giusto, più facilmente si accetteranno i sacrifici e i fastidiChiedere aiuto al proprio medico che, in alcuni casi, come nella cessazione dal fumo o nella dieta, può fornire aiuti di tipo pratico e farmacologicoChiedere ai propri familiari di condividere il cambiamento, per esempio nel campo dell’alimentazione. È difficile mangiare sano se il resto della famiglia fa il pieno di dolci e frittiStabilire col proprio medico di famiglia una serie di incontri di controllo per valutare i progressi ottenutiAgire sempre con gradualità: chi non ha mai mosso un dito non può da un giorno all’altro fare sport per varie ore la settimana. Meglio stabilire un programma con un impegno crescente nel tempoFarsi un regalo quando si raggiunge un obiettivo: per esempio, comprarsi qualcosa con i soldi risparmiati non acquistando più le sigarette (vi sorprenderà, dopo qualche mese,

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scoprire che avete a disposizione un bel gruzzolo!) o quando avrete perso i chili di troppo.

Autore: Daniele Ovadia

Articolo conforme ai principi HONCode

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Fattori di rischio e prevenzione:

L'alimentazione

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L’alimentazione e i tumori: le domande più frequentiQuanto incidono le abitudini alimentari sul rischio di sviluppare un tumore?

Un numero crescente di studi sta dimostrando l’importanza di una sana alimentazione nella prevenzione del cancro. Non è facile fare calcoli precisi, ma l’American Institute for Cancer Research ha calcolato che le cattive abitudini alimentari sono responsabili di circa tre tumori su dieci.In alcuni casi ciò dipende dalla presenza in alcuni cibi di sostanze che favoriscono lo sviluppo della malattia:

i nitriti e i nitrati utilizzati per la conservazione dei salumi, per esempio, facilitano la comparsa del tumore dello stomaco, tanto che in Italia questa malattia è più diffusa nelle regioni in cui il consumo di questi prodotti è maggiore;talvolta gli alimenti in sé non sarebbero dannosi, ma possono essere contaminati da sostanze come le aflatossine, liberate da determinate muffe nel mais o in altre granaglie e legumi mal conservati. Tale contaminazione è più frequente nei Paesi in via di sviluppo, dove le aflatossine sono responsabili di una quota rilevante di tumori del fegato;più in generale gli studi epidemiologici hanno dimostrato che un’alimentazione ricca di grassi e proteine animali favorisce la comparsa della malattia, mentre la preferenza per gli alimenti ricchi di fibre, vitamine e oligoelementi, come cereali integrali, legumi e verdure, sembra avere un effetto protettivo.

Ci sono ormai molte prove che una sana alimentazione vada adottata fin dalla più tenera età, ma non è mai troppo tardi per cambiare menu e, secondo alcune ricerche, anche le persone alle quali è stato già diagnosticato il cancro possono trarre vantaggio da una dieta più sana.

Esistono tumori legati più di altri al tipo di alimentazione?

La risposta è sì: ci sono tumori più sensibili di altri agli effetti del cibo. La conferma viene da alcuni grandi studi, principalmente l’European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC), che ha indagato sulle conseguenze per la salute delle abitudini alimentari degli europei; allo studio EPIC hanno contribuito diversi scienziati italiani, sostenuti da AIRC.

Tra quelli che risentono di più della quantità e della qualità dei cibi ci sono ovviamente i tumori dell’apparato gastrointestinale, e in particolare quelli dell’esofago, dello stomaco e del colon-retto: si calcola che fino a tre quarti di questi tumori si potrebbero prevenire mangiando meglio a tavola.

Importante è la scelta dei cibi anche per il tumore del fegato, organo attraverso cui passano tutte le sostanze assorbite dall’intestino, e quindi particolarmente esposto ai danni provocati da eventuali elementi cancerogeni. L’azione locale di alcune sostanze (come ad esempio l’etanolo contenuto nelle bevande alcoliche) può favorire inoltre lo sviluppo di tumori della bocca o della gola.Gli studi più recenti hanno però messo in evidenza che l’azione del cibo sul rischio di cancro è molto più estesa: il tipo di alimentazione influisce infatti sullo stato di infiammazione che può predisporre a ogni forma di cancro e sull’equilibrio ormonale che può favorire od ostacolare lo sviluppo dei tumori della prostata nell’uomo e del seno, dell’ovaio e della superficie interna dell’utero, l’endometrio, nella donna.

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Quali cibi vanno privilegiati, e quali evitati, per cercare di prevenire la malattia?

Un’alimentazione sana, che tenga alla larga anche le malattie di cuore oltre che quelle tumorali, richiede soprattutto di ridurre drasticamente l’apporto di grassi e proteine animali, favorendo invece l’assunzione di cibi ricchi di vitamine e fibre. Per questo occorre portare a tavola almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno; privilegiare nella scelta di cereali, pane, pasta e riso quelli integrali e abbinarli sempre a un po’ di legumi.

Un’alimentazione di questo tipo protegge soprattutto il colon-retto, ma estende i suoi benefici anche ad altri organi. Nella frutta e nella verdura, infatti, oltre alle fibre, si trovano in misura variabile vitamine e altre componenti dal potere antiossidante, come la vitamina C e la vitamina E, i folati, i carotenoidi, il selenio e lo zinco, capaci di neutralizzare i radicali liberi dannosi per l’organismo.

I piatti che associano cereali e legumi, tipici della cucina tradizionale di molte popolazioni del mondo, permettono di sopperire anche al fabbisogno calorico e proteico, limitando al massimo l’apporto di grassi presenti nei cibi con proteine animali.

Un posto d’onore, tra i legumi, merita la soia, che può essere consumata in varie forme, dalle fave alla farina, dal latte di soia al tofu, fino alla soia fermentata nota con il nome di miso, usata per insaporire le zuppe giapponesi. Tutti questi prodotti contengono isoflavoni, sostanze che assomigliano agli estrogeni, ne prendono il posto sui recettori delle cellule, ma non inducono gli stessi effetti biologici: per questo consumarne regolarmente, fin dalla giovane età, riduce il rischio di tumore al seno nella donna e alla prostata nell’uomo.

Dalla cucina orientale dovremmo imparare anche a consumare regolarmente le alghe, cui molti esperti attribuiscono la bassa incidenza di alcuni tumori nelle popolazioni asiatiche, soprattutto giapponesi.

Salutari sono anche i semi di lino, ricchi di omega-3, ottimi per prevenire sia il cancro sia le malattie cardiovascolari, di cui sono ricchi anche molti tipi di pesce, come sardine e salmone.Altri pesci meno grassi possono rappresentare una valida alternativa alla carne, che non dovrebbe essere consumata più di due-tre volte la settimana.

Da evitare soprattutto le carni rosse (manzo, maiale e agnello) e quelle lavorate a livello industriale, oltre a quelle conservate nel sale come i salumi. Un eccessivo apporto di carni rosse mette a rischio soprattutto l’intestino, ma varie ricerche mostrano che aumenta la possibilità di sviluppare anche altre forme di cancro, per esempio alla vescica.

Per insaporire il cibo si può ridurre l’apporto di sale con spezie come il curry o lo zenzero, che sembrano avere un effetto antinfiammatorio. Chi però non riesce a rinunciare ai sapori della tradizione italiana sappia che possono avere un ruolo protettivo anche le sostanze contenute in altre piante aromatizzanti, tipiche della cucina mediterranea, come menta, timo, maggiorana, origano, basilico, rosmarino, e altre che si trovano nel prezzemolo, nel coriandolo, nel finocchio, nell’anice e nel cerfoglio, oltre che nel peperoncino e nei chiodi di garofano. Hanno riconosciute proprietà anticancro anche l’aglio e cipolla, come le altre piante di questa famiglia; e i funghi, non solo quelli giapponesi ma anche quelli nostrani, in particolare il Pleurotus ostreatus detto anche “orecchione”.

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Per quanto riguarda i latticini, due studi condotti presso l’Università di Harvard, negli Stati Uniti, hanno correlato un eccessivo consumo di formaggi grassi e latticini fin dall’infanzia a un rischio aumentato di sviluppare un cancro della prostata. Ci sono invece indicazioni preliminari che un consumo regolare di probiotici contenuti negli yogurt e nel latte fermentato possa contribuire a proteggere l’intestino.

Come orientarsi nella scelta di frutta e verdura?

Una prima regola è quella della varietà : assortire il più possibile i colori di frutta e verdura, che esprimono il loro contenuto vitaminico in sostanze pigmentate di diversa natura, è un modo semplice per garantire l’apporto di tutti gli elementi nutritivi più importanti.

Una recente analisi dei dati del già citato studio EPIC mostra che il rischio di tumore al polmone può essere inferiore tra i fumatori che assumono molti tipi diversi di frutta e verdura rispetto a chi non cambia mai menu.

Tra la frutta, i principali strumenti di prevenzione sono, oltre alle arance ricche di vitamina C, l’uva e soprattutto i frutti di bosco, un vero concentrato di sostanze antiossidanti che proteggono il DNA da mutazioni potenzialmente cancerogene. Particolarmente prezioso è il ruolo delle antocianidine contenute in questi frutti rossi, soprattutto mirtilli e fragole che, come mostrano anche studi condotti di recente in Italia col sostegno di AIRC, non proteggono solo l’intestino, ma in misura diversa anche la gola, lo stomaco, l’ovaio e i reni.

Le verdure a foglia verde, come insalata, erbette e spinaci, sono molto ricche di folati, che proteggono il DNA da mutazioni potenzialmente cancerogene. Gli ortaggi giallo-arancioni, come carote e zucca, prendono il colore dai carotenoidi, anch’essi ad azione antiossidante.

Molti studi si sono concentrati sul ruolo del pomodoro, colonna portante della dieta mediterranea, nella prevenzione del cancro: il merito va probabilmente al licopene, una sostanza che protegge contro il cancro della prostata. Diversamente da molti altri principi attivi le cui proprietà benefiche si perdono con la cottura, le maggiori concentrazioni di licopene si ottengono con il riscaldamento del pomodoro in presenza di molecole grasse come quelle dell’olio di oliva, proprio come si fa per preparare il sugo.

Ma la famiglia di ortaggi più importante per tenere alla larga il cancro a tavola è quella dei cavoli: mangiare almeno cinque volte la settimana verze, cavolfiori o cavolini di Bruxelles dimezza il rischio di cancro alla vescica, al seno, al polmone, all’intestino e alla prostata.

Le probabilità di ammalarsi dipendono anche dalla quantità dell’apporto calorico, oltre che dalla scelta del menu?

Certamente. Oltre alla qualità, conta molto anche la quantità di cibo assunta quotidianamente. Molte ricerche si sono soffermate sul legame tra il cancro e l’obesità , tanto che gli esperti dell’International Agency for Research on Cancer (IARC) ritengono che dall’eccesso di peso, conseguenza di un’alimentazione sbilanciata e dalla scarsa attività fisica, possa dipendere dal 25 al 30 per cento di alcuni dei tumori più comuni, come quelli del colon e del seno. La recente analisi di un gruppo di ricercatori olandesi pubblicata sull’European Journal of Cancer ha stimato che se in Europa scomparissero obesità e sovrappeso, la frequenza di nuovi casi di cancro al colon scenderebbe del 20 per cento l’anno.

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Ma il rischio di essere troppo grassi non riguarda solo l’intestino: secondo gli studi epidemiologici gli obesi hanno maggiori probabilità, rispetto a chi ha un peso normale, di ammalarsi al rene e all’esofago. Le donne, dopo la menopausa, hanno un rischio aumentato al seno e alla superficie interna dell’utero, l’endometrio. Studi recenti suggeriscono che l’obesità potrebbe quadruplicare il rischio di sviluppare un cancro al fegato e che al peso del paziente può corrispondere la dimensione del tumore alla prostata e la sua aggressività. Infine sono stati segnalati legami anche con il tumore al pancreas, alle ovaie, alla colecisti.

Talvolta la taglia non incide solo sul rischio di ammalarsi, ma anche sull’andamento della malattia stessa. Al contrario, una riduzione del peso corporeo anche solo del 5-10 per cento e un incremento dell’attività fisica possono produrre effetti positivi.

Anche le modalità di cottura dei cibi incidono sul rischio?

Sì, la cottura alla griglia, soprattutto della carne, produce sostanze cancerogene. È meglio cucinare i cibi a temperature più basse, per esempio utilizzando il vapore o il cartoccio.

È vero che anche l’alcol può favorire lo sviluppo dei tumori?

Una recente analisi pubblicata sul British Medical Journal, sempre basata sui dati dello studio EPIC su un campione di circa 100.000 abitanti di otto paesi europei, ha dimostrato che il dieci per cento dei decessi per cancro tra gli uomini e il tre per cento tra le donne si possono attribuire all’abuso di alcol.

Il rischio del consumo di alcol varia da tumore a tumore: è maggiore per le forme che interessano il cavo orale, dalla gola all’esofago, ma favorisce anche i tumori del fegato e del colon-retto. Nelle donne, inoltre, sembra sia responsabile del cinque per cento dei casi di tumore al seno.

Alla luce di questi dati, quindi, il consumo di alcol va limitato al massimo: esclusivamente il vino rosso, per il suo contenuto di resveratrolo ad azione antiossidante, potrebbe avere un effetto protettivo, ma solo se assunto a piccole dosi (non più di un bicchiere a pasto per gli uomini e uno al giorno per le donne).

Ci sono altre bevande che possono avere un ruolo protettivo?

Succhi, spremute, frullati e centrifughe di frutta e verdura, purché privi di zuccheri aggiunti, possono sopperire almeno in parte a uno scarso apporto di alimenti vegetali nella dieta.

Nel tè verde, ma non nel tè nero, e in quello giapponese più che in quello cinese, sono contenuti polifenoli dalle note proprietà anticancro chiamati catechine, che sembrano proteggere dai tumori della pelle, del colon, del polmone, del seno e della prostata.

Una tazza di cioccolata calda, poi, contiene cinque volte più antiossidanti di una tazza di tè nero e tre volte più di una tazza di tè verde: ma quando la si sceglie occorre tener conto anche del suo notevole apporto calorico e del suo contenuto in grassi e zuccheri.

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In che modo agiscono gli alimenti sulla nascita e lo sviluppo dei tumori?

Una dieta sana ed equilibrataevita per esempio che si creino nel sangue eccessivi livelli di insulina e di altri ormoni, come l’ormone della crescita, che favoriscono la proliferazione delle cellule.Ad alcuni alimenti si attribuisce inoltre un’azione antinfiammatoria, che potrebbe intervenire nelle prime fasi della genesi di molti tumori.

Altri, come la soia, contengono sostanze naturali che competono con gli ormoni sessuali riducendo il rischio dei tumori che dipendono da queste sostanze, come quello del seno, della superficie interna dell’utero e della prostata.

L’effetto benefico di frutta e verdura dipende perlopiù dal contenuto in fibre e in sostanze antiossidanti di questi alimenti. Le fibre infatti facilitano il transito intestinale, riducendo il tempo di permanenza nell’intestino di eventuali tossine, mentre gli antiossidanti, come le vitamine e gli oligoelementi, neutralizzano i cosiddetti radicali liberi, capaci di danneggiare il DNA e altre molecole presenti nella cellula.

Altre sostanze nutritive testate in laboratorio, si sono dimostrate capaci di favorire la morte programmata delle cellule, rallentare la proliferazione cellulare o di ostacolare la formazione di nuovi vasi sanguigni.

Infine, alcuni ingredienti aiutano il sistema immunitario a tenere sotto controllo la malattia, mentre altri favoriscono l’eliminazione delle sostanze tossiche.

Tutti questi meccanismi contribuiscono, in varia misura, a tenere a bada la formazione dei tumori.

Si possono sostituire le sostanze benefiche contenute nei cibi con farmaci e integratori?

La dimostrazione dell’effetto preventivo di frutta e verdura nei confronti del cancro ha spinto moltissimi gruppi di ricerca a verificare se lo stesso risultato si poteva ottenere somministrando vitamine e altre sostanze antiossidanti sotto forma di integratori.

I risultati della maggior parte di queste ricerche hanno deluso chi sperava di sopperire con una pillola o una fialetta a un’alimentazione poco sana: non solo l’effetto non è altrettanto benefico, ma in molti casi si è rivelato controproducente, aumentando, invece di diminuire, il rischio di sviluppare alcuni tumori.

Non si sa bene perché questo accada: è possibile che negli alimenti l’effetto benefico sia prodotto più dall’azione sinergica delle varie sostanze, miscelata in una particolare proporzione, che non dall’azione della singola vitamina. Inoltre non è probabilmente trascurabile il ruolo delle fibre e di altri elementi presenti anche soltanto in tracce.

Alla luce di queste osservazioni, i maggiori esperti oggi invitano a puntare su un’alimentazione fresca e variata piuttosto che sull’acquisto di questi prodotti.

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L’alimentazioneA tavola si può fare molto per proteggersi dalla malattia: poche carni rosse e lavorate, molta frutta e verdura, in linea con la dieta mediterranea, che fa bene a tutti

Una piramide di cibo sanoCome mangiare correttamente e nelle giuste proporzioni?

Un aiuto nel comporre i propri menu viene dagli Stati Uniti, dove il Dipartimento dell’agricoltura ha messo a punto un sistema visivo per la composizione dei pasti chiamato la Piramide. Nelle prime versioni di questa sorta di “manuale della buona alimentazione” erano stati inseriti alla base della piramide i cibi di cui bisognava consumare la maggiore quantità, e verso la punta quelli da consumare con moderazione. In questo modo, però, non si dava la giusta importanza alla varietà, uno dei cardini di dieta salutare. Per questo la nuova versione della piramide è “a spicchi”. La larghezza di ogni spicchio corrisponde alla proporzione di questo alimento nella dieta.

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Cereali

Metà dell’apporto giornaliero in carboidrati deve essere composto da cereali non raffinati (integrali). L’apporto minimo di cereali integrali è di 85 grammi al giorno.

Del gruppo dei cereali fanno parte il grano , il riso , il mais , l’ orzo , il farro , il frumento . Si dividono in cereali raffinati e integrali. Questi ultimi sono più preziosi per la salute perché contengono fibre (di cui è dimostrato l’ effetto protettivo nei confronti del cancro del colon ) e una quantità maggiore di vitamine, specie del gruppo B, e di minerali (ferro, magnesio e selenio).

Le fibre sono anche utili nella prevenzione delle malattie cardiovascolari , perché limitano l’assorbimento del colesterolo nell’intestino. Inoltre regolano l’attività intestinale e riducono la stipsi.

I cereali sono la base dell’alimentazione mediterranea (sotto forma di riso o pasta, ma anche di grano, orzo e farro che negli ultimi anni vengono impiegati per insalate fredde o varianti del classico risotto). La mattina è possibile consumare i cereali sotto forma di corn flakes o analoghi, oppure di torte o biscotti integrali o di porridge di avena (un’abitudine anglosassone che si sta diffondendo anche in Italia).

A pranzo è bene scegliere un panino integrale e consumare una porzione di cereali o pasta con verdure.

La sera l’apporto di fibre può essere riservato ai vegetali, accompagnati da un piatto proteico (carne, formaggio, uova o pesce) per non assumere troppe calorie.

Quanto mangiarne ogni giorno? Dipende dall’età e dal sesso:

Bambini 2 - 4 anni: 85 grammi al giornoBambini 4 - 6 anni: 130 grammi al giornoRagazze 9 -13 anni: 140 grammi al giornoRagazze 14 - 18 anni: 170 grammi al giornoRagazzi 9 - 13 anni: 170 grammi al giornoRagazzi 14 - 18 anni: 200 grammi al giornoDonne 19 - 30: 170 grammi al giornoDonne 31 - 50 anni: 170 grammi al giornoDonne 51+: 140 grammi al giornoUomini 19 - 30 anni: 230 grammi al giornoUomini 31 - 50 anni: 200 grammi al giornoUomini 51+: 170 grammi al giorno

In genere una fetta di pane, una tazza di cereali, ½ tazza di riso, cereali o pasta cotta corrispondono a circa 30 grammi. Per aumentare il consumo di fibre è necessario imparare a sostituire gradualmente riso e pasta raffinati con la versione integrale e scegliere il pane completo. Tale cambiamento non va fatto bruscamente, ma gradualmente, in modo da abituare l’intestino all’aumentato apporto di scorie senza averne disturbi. Anche per fare i dolci in casa è possibile sostituire in parte o del tutto la farina raffinata con quella integrale.

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Vegetali

È importante aumentare l’apporto di vegetali in generale, sia crudi sia cotti, ma anche sotto forma di succhi e centrifugati. I vegetali sono organizzati in cinque sottgruppi in base ai nutrienti che contengono:

Vegetali verdi scuri (broccoli, spinaci, rucola) Vegetali contenenti amidi (mais, patate, piselli) Vegetali arancioni (zucca, carote) Leguminacee (lenticchie, ceci, fagioli, lupini, soia) Tutti gli altri vegetali

Per una dieta equilibrata è necessario consumare almeno cinque porzioni tra vegetali e frutta ogni giorno e privilegiare la varietà. Per porzione si intende una quantità pari circa a una tazza da tè. Tra i benefici dei vegetali, l’apporto di fibre, che facilita il transito intestinale e protegge dal cancro del colon, l’apporto di vitamine antiossidanti (contenute specialmente nei vegetali più intensamente verdi) e di minerali come il potassio (che contribuisce alla conservazione della massa ossea, mantiene bassa la pressione e previene la formazione dei calcoli renali).

Per aumentare il consumo di vegetali è utile abituarsi a sceglierli anche come spuntino e ad aggiungerli ai vari piatti (per esempio ai sughi per la pasta, alla lasagne, ai ripieni delle torte salate).

Frutta

Per la frutta vale lo stesso discorso che per la verdura: nel complesso, bisognaconsumarne circa due-tre porzioni al giorno, considerando che le altre due porzioni di vegetali vengono coperte dalle verdure. Per porzione si intende un frutto di media dimensione, come una mela o un’arancia. Nel caso della frutta secca, bisogna dimezzare la porzione (oltre a considerare che, in genere, è molto più calorica di quella fresca). La frutta contiene fibre, potassio e vitamine antiossidanti, prima tra tutte la vitamina C. Ovviamente i succhi di frutta 100 per cento naturali apportano vitamine ma non fibre.

Per migliorarne l’assorbimento, bisognerebbe consumare la frutta lontano dai pasti, o prima dell’inizio degli stessi: esattamente il contrario di quanto si fa d’abitudine.

Grassi

È praticamente impossibile cucinare senza grassi, ma è importante scegliere quelli giusti. L’olio extravergine d’oliva è in assoluto il grasso più sano, anche se per la frittura si può ricorrere anche a olii vegetali che reggono bene le alte temperature, come l’olio di arachide. Da evitare il burro e i grassi solidi come la margarina, che contengono grandi quantità di acidi grassi saturi o trans, che tendono ad aumentare i livelli di colesterlo “cattivo” nel sangue.

L’olio extravergine d’oliva, invece, contiene elevate quantità di acidi grassi polinsaturi, i più utili alla salute.

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Latte e Latticini

In questo gruppo si considera il latte e i derivati del latte, purché ricchi di calcio. Questo significa che il burro o alcuni formaggi cremosi, che ne contengono poco, non ne fanno parte. Utili invece lo yogurt e i dessert a base di latte come i gelati.

Per una dieta equilibrata può essere utile scegliere un latte parzialmente scremato e formaggi magri che, a parità di apporto di calcio, sono meno grassi e calorici. La quantità di latticini consigliata dipende dall’età. Un bambino dai 2 agli 8 anni consumerà l’equivalente di 2 tazze di latte al giorno (una tazza di latte è pari circa a 60-70 grammi di formaggio e a una tazza di yoghurt). Sopra quell’età e fino alla vecchiaia il consumo giornaliero deve attestarsi intorno alle 3 tazze al giorno. Lo scopo principale del consumo di latticini a tutte le età è la formazione e la conservazione della densità ossea. Nel latte e nei formaggi sono infatti contenuti calcio, potassio e vitamina D. Poiché però si tratta di alimenti grassi e calorici, è bene mantenere il consumo nell’ambito delle dosi consigliate.

Chi è intollerante al latte (una situazione relativamente poco frequente) dovrebbe considerare con il proprio medico la necessità di ricorrere a supplementi di calcio e vitamina D.

Proteine

Di questo gruppo fanno parte tutti gli alimenti ricchi di proteine. I legumi (fagioli, piselli eccetera) sono parte sia di questo gruppo sia di quello dei vegetali, perché condividono le proprietà di entrambi. Carne e pollame vanno scelti nei tagli meno grassi. Non sempre lo stesso discorso vale per il pesce, per il quale è bene alternare carni magri (pesce azzuro) e carni grasse (come il salmone), che contengono una quantità più elevata di acidi grassi omega 3, protettivi nei confronti di diversi tipi di tumore e delle malattie cardiovascolari.

Il consumo giornaliero di questa categoria di alimenti varia con l’età:

dai 2 ai 3 anni servono circa 100 grammi al giorno; dai 4 agli 8 anni si arriva a 110-140 grammi al giorno

le ragazzine dai 9 ai 18 anni e le donne hanno bisogno di circa 200 grammi al giorno di alimenti proteici; i ragazzi più grandi (sopra i 12 anni), così come gli uomini, possono arrivare a circa 250 grammi al giorno.

Non tutte le proteine sono uguali: la carne andrebbe consumata non più di due volte la settimana, e sostituita con uova una volta e con pesce e legumi tutti gli altri giorni.

Un eccessivo consumo di carni rosse è legato all’aumento di rischio di alcuni tipi di tumore , mentre un consumo di pesce e legumi riduce il rischio.

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Gli ingredienti della saluteUno stile di vita sano e una dieta varia, che apporta all’organismo diverse sostanze attive, fa sì che il nostro ambiente interno abbia le caratteristiche necessarie per bloccare lo sviluppo della malattia fin dalle fasi precoci

Spesso ci si chiede come può un alimento aiutare a combattere una malattia come il cancro.

È stato dimostrato in laboratorio che alcuni composti chimici naturali sono capaci di rallentare la crescita delle cellule tumorali (e ciò è un buon indice del fatto che possano essere utili anche nell’uomo). Altri facilitano l’apoptosi, ovvero il “suicidio programmato” delle cellule, un meccanismo naturale di protezione del corpo al quale sfuggono le cellule tumorali. Diversi fitochimici (ovvero sostanze di origine naturale) hanno proprietà antiangiogenesi, cioè bloccano lo sviluppo di nuovi vasi sanguigni in prossimità dei tumori, rendendo loro difficile nutrirsi e quindi ingrandirsi.

Infine moltissimi alimenti agiscono sul cosiddetto microambiente, ovvero lo stato generale dell’organismo in prossimità delle cellule: in tal modo facilitano il lavoro del sistema immunitario, e ostacolano le cellule tumorali impedendo loro di crearsi un ambiente che ne faciliti la crescita.

È bene ricordare che la quantità di sostanza attiva utilizzata in laboratorio per condurre gli esperimenti è molto più elevata della quantità che un singolo individuo può assumere giornalmente. Proprio per questo la dieta è particolarmente importante: dove non può la quantità, può probabilmente il tempo.

Ogni ingrediente ha le sue proprietà .

Le algheSono le antenate di tutti i vegetali, ma nonostante ciò godono di pochissimo successo sulle tavole occidentali. Le alghe, però, sono ricche di minerali (iodio, potassio, ferro e calcio), di proteine e di amminoacidi essenziali (cioè quei componenti delle proteine che l’organismo umano non è in grado di sintetizzare autonomamente). Inoltre sono molto ricche di fibre e povere di grassi. Secondo alcuni studi, la bassa incidenza di alcuni tipi di tumori nelle popolazioni orientali, in particolare nei giapponesi, sarebbe proprio da imputare al gran consumo di alghe. Le donne giapponesi, per esempio, hanno nel sangue un livello di estrogeni (gli ormoni femminili) più basso delle donne occidentali e ciò le protegge in parte dai tumori ormono-dipendenti, come quello del seno e dell’endometrio.

Non solo: alcuni studi di laboratorio hanno dimostrato che estratti di alghe sono in grado di rallentare la crescita delle cellule cancerose. I principi attivi dotati di questa proprietà sarebbero le fucoxantine e il fucoidano. Quest’ultimo indurrebbe l’apoptosi, ovvero la morte programmata delle cellule maligne. Inoltre altri studi hanno dimostrato che è capace di stimolare la risposta immunitaria contro i tumori. Le fucoxantine, invece, sono pigmenti gialli che contribuiscono al colore intenso delle alghe. Sono simili ad altri pigmenti della famiglia dei carotenoidi, come il betacarotene (contenuto principalmente nelle carote e nelle zucche arancioni) e il licopene (contenuto nel pomodoro).

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In studi di laboratorio che hanno confrontato l’attività anticancro delle fucoxantine con quella di altri carotenoidi, le prime si sono rivelate decisamente più efficaci. Certo, alimentarsi con le alghe non è facile per chi non è abituato al loro sapore, ma basta cominciare con piccole dosi, come quelle contenute nel sushi, i famosi rotolini di riso e pesce che compongono una delle specialità della cucina giapponese più apprezzate in Italia. Il pomodoroI pomodori non sono verdure, bensì frutti. Le loro proprietà anticancro sono legate soprattutto alla presenza di una molecola, il licopene, un pigmento responsabile del suo colore. Per ottenere le maggiori concentrazioni di licopene è necessario cuocere il pomodoro, perché viene liberato dal riscaldamento delle cellule del frutto, ancora meglio se la cottura avviene in presenza di molecole grasse, come nel caso dell’olio d’oliva usato per la salsa di pomodoro. Il licopene è una molecola che può essere efficace nella prevenzione del cancro della prostata, come dimostrato in alcuni studi di laboratorio su colture cellulari, ma anche in studi epidemiologici (Italia, Spagna e Messico, tre Paesi dove la salsa di pomodoro la fa da padrona nell’alimentazione quotidiana, hanno tassi di cancro prostatico inferiori a quelli dei Paesi del nord Europa o degli Stati Uniti).

Il meccanismo di azione del licopene non è ancora del tutto noto, ma è certo che si tratta di un potente antiossidante. Le spezieAnche se l’uso delle spezie nelle cucine di tutto il mondo è legato soprattutto a una questione di gusto, è incontestabile che abbiano sempre avuto anche un valore medicinale. Per lunghi secoli, prima dello sviluppo della moderna farmacologia basata sulla chimica, hanno aiutato erboristi e medici ad alleviare i sintomi di numerose malattie. Oggi, grazie alla ricerca, è possibile scoprire quali degli usi tradizionali hanno una base scientifi ca e, soprattutto, qual è il principio attivo responsabile.

Molte spezie e piante aromatizzanti usate nella cucina moderna hanno proprietà antinfi ammatorie, anticancro e antimicrobiche. La curcuma (che contiene la curcumina) e lo zenzero (che contiene il gingerolo) sono stati ampiamente studiati sia in laboratorio sia nell’uomo. Ambedue hanno proprietà antinfi ammatorie poiché bloccano la ciclossigenasi 2, un enzima responsabile dell’infi ammazione. L’uso costante di curcuma e zenzero è riuscito, in alcuni studi, a ridurre i sintomi di pazienti affetti da malattie infi ammatorie articolari come l’artrite reumatoide. Certamente non è una cura, ma è comunque un aiuto importante e, dato il ruolo fondamentale giocato dall’infiammazione nelle genesi di alcuni tumori, il loro uso è giustificato anche in un perfetto menu anticancro. Oltre a ciò, ambedue questi composti sembrano facilitare l’apoptosi e la distruzione delle cellule mutate. Tali effetti sono stati dimostrati su colture cellulari in laboratorio. Anche alcune piante aromatizzanti, tipiche della cucina mediterranea, come la menta, il timo, la maggiorana, l’origano, il basilico, il rosmarino hanno proprietà anticancro poiché contengono i terpeni, molecole capaci di bloccare la funzione di alcuni oncogeni (geni che inducono la trasformazione cancerosa delle cellule). Oltre ai terpeni, queste piante contengono l’acido ursolico, anch’esso capace di bloccare la ciclossigenasi 2. Il timo e la menta contengono anche la luteolina, un polifenolo che pare in grado di rallentare il processo di angiogenesi (la creazione di

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nuovi vasi sanguigni indotta dal tumore per favorire la propria crescita). È bene ricordare che la quantità di sostanza attiva utilizzata in laboratorio per condurre gli esperimenti è molto più elevata della quantità che un singolo individuo può assumere giornalmente. Proprio per questo la dieta è particolarmente importante: dove non può la quantità, può probabilmente il tempo. Chi mangia bene fin da giovane o comunque per un lungo periodo della propria vita ottiene benefici che non si potrebbero ottenere con una pillola, per quanto concentrata. Infine meritano una menzione le piante aromatiche della famiglia delle apiacee (prezzemolo, coriandolo, cerfoglio, finocchio, cumino) così come le carote e il sedano. Tipiche della cucina mediterranea, contengono l’apigenina, un polifenolo dalle potenti proprietà anticancro. In vitro questa molecola blocca la crescita di moltissimi tipi di tumore, da quello al polmone a quello del colon, del seno e della prostata. Anch’essa agirebbe bloccando l’infiammazione e l’angiogenesi.

Un ultimo particolare non indifferente: imparare ad aggiungere aromi alla cucina è il miglior modo di ridurre il consumo di sale senza perdere in sapidità, il che fa bene anche alla salute cardiovascolare. I probioticiSono chiamati probiotici alcuni batteri che ‘abitano’ il nostro tratto digestivo e che vi svolgono alcune funzioni molto importanti, tra cui il mantenimento di un corretto ambiente interno, e un controllo dell’infiammazione e delle infezioni. Nell’intestino di un adulto vivono circa 1.000 miliardi di batteri per millilitro, per un totale di circa due chili di peso!

I batteri ‘amici’ hanno un ruolo fondamentale nella regolazione del sistema immunitario: tra le specie più coinvolte in questo processo ci sono i bifidobatteri e i lactobacilli. Ambedue sono capaci di trasformare, in assenza di ossigeno, le fibre in acido lattico (fermentazione lattea) che acidifica il contenuto intestinale, impedendo le infezioni da parte dei batteri ‘cattivi’. Non tutti i batteri sono però probiotici: per meritare tale appellativo devono essere capaci, una volta ingeriti, di superare la barriera acida dello stomaco e di arrivare ancora attivi nel colon, il tratto di intestino dove svolgono le loro funzioni. Nessuno studio epidemiologico a lungo termine ha dimostrato l’efficacia dei probiotici nella prevenzione del cancro, in particolare del cancro del colon. Nonostante ciò sono stati condotti alcuni studi preliminari molto incoraggianti. Chi consuma almeno 300 grammi al giorno di yogurt (alimento naturalmente ricco di probiotici) riduce la capacità delle sostanze cancerogene contenute nelle feci di danneggiare il DNA delle cellule intestinali durante la permanenza dentro l’intestino.

Un altro studio, in cui sono stati dati per tre mesi supplementi di probiotici a pazienti con adenomi del colon (una forma precancerosa), ha visto ridursi la proliferazione cellulare nelle lesioni. Si tratta di studi preliminari, ma sufficienti per consigliare un consumo regolare di yogurt e latte fermentato che, tra l’altro, proteggono anche dalle infezioni intestinali, diminuiscono l’assorbimento del colesterolo contenuto nei cibi, mantengono sana la fl ora intestinale e rinforzano il sistema immunitario. I frutti di boscoMore, mirtilli, lamponi, fragole, ribes: tutti questi frutti sono apprezzati più per il loro aroma particolare che per le loro proprietà nutrizionali. Eppure ognuno di loro contiene un elemento potenzialmente utile alla salute. Lamponi e fragole sono ricchi di acido

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ellagico (contenuto in gran quantità anche nel melograno, che non è un frutto di bosco). Si tratta di uno dei membri della più volte citata famiglia dei polifenoli: in laboratorio, colture di cellule cancerose vengono rallentate nella crescita dall’addizione di acido ellagico in concentrazioni elevate. Alla base del fenomeno ci sarebbe la capacità antiossidante di questa molecola: fragole e lamponi proteggono il DNA cellulare dalle mutazioni, impedendo alle sostanze cancerogene di reagire con esso. Altri studi, condotti in Canada, Paese particolarmente ricco di frutti rossi, dimostrerebbero anche proprietà antiangiogeniche dell’acido ellagico: ciò significa che sarebbe in grado di impedire alle cellule tumorali di creare nuovi vasi sanguigni per nutrirsi.

I mirtilli, i lamponi e i cranberry (mirtillo rosso americano, diffuso in Italia soprattutto secco o sotto forma di succo) sono ricchissimi di antocianidine, sostanze della famiglia dei polifenoli, con proprietà antiossidanti e antiangiogeniche. Le proprietà antiossidanti dei frutti di bosco superano di gran lunga quelle degli altri vegetali: i mirtilli sono in testa, seguiti dai lamponi, dalle fragole e dal cranberry. È importante ricordare che il congelamento non altera, se non in minima parte, le proprietà nutritive di questi frutti, che possono così essere consumati tutto l’anno. I cavoli e le altre crucifereConsiderate verdure povere e non molto apprezzate dalla maggior parte delle persone, i cavoli e le crucifere (broccoli e cavolfi ori) costituiscono una vera barriera anticancro. Fin dall’antichità queste piante sono state coltivate per le loro virtù medicinali.

Gli studi epidemiologici sull’alimentazione e il rischio di tumori dimostrano che è al consumo di cavoli che va attribuita una gran parte delle proprietà protettive delle diete ricche di verdure e frutta: chi consuma cinque o più porzioni la settimana di cavoli vede il proprio rischio di cancro alla vescica dimezzarsi, così come accade nel caso del cancro del seno (lo dimostra uno studio su donne cinesi, e ciò indipendentemente dalle proprietà anticancro della soia, di cui si parlerà più avanti). Studi favorevoli al consumo di crucifere riguardano anche il cancro del polmone, del colon-retto e della prostata. Responsabili della maggior parte di questi effetti benefici sarebbero i glucosinolati. Queste molecole, nel corso della masticazione che rompe la parete delle cellule vegetali, si mescolano ad altre sostanze, tra cui un enzima, la mirosinasi, che induce la produzione di una potente molecola anticancro, il sulforafano. In sostanza, nel vegetale intero le sostanze benefiche sono allo stato latente e solo la masticazione provoca la loro attivazione e il loro rilascio. La scoperta di questo processo ha anche altre conseguenze pratiche: se si cuoce il cavolo a lungo, la mirosinasi viene degradata. Ugualmente una cottura di dieci minuti in abbondante acqua riduce di metà la quantità di isotiocianati liberata durante la masticazione. È possibile che un enzima contenuto all’interno dell’intestino umano possa fare le veci di quello distrutto dalla cottura, ma è certo che le cotture al vapore o al salto per pochi minuti sono le più salutari. Altro elemento da considerare è il congelamento: i prodotti in busta vengono spesso sbiancati (sbollentati) ad alta temperatura prima di essere congelati, e anche questo procedimento può ridurne l’apporto nutritivo (mentre ciò non accade per altri tipi di vegetali).

Il sulforafano contiene al suo interno una molecola di zolfo, responsabile del caratteristico odore di cavolo. Quello contenuto nei broccoli e nei cavoletti di Bruxelles ha proprietà particolarmente potenti: aumenta la velocità di detossifi cazione

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dell’organismo, accelera l’apoptosi delle cellule mutate, è un battericida capace di interferire con lo sviluppo dell’Helicobacter pylori, batterio corresponsabile dell’ulcera e del cancro gastrico. Questi vegetali hanno quindi un posto da re nella famiglia dei cavoli e sul tavolo di chi vuole mangiar sano. Aglio, cipolla & Co.Anche l’aglio, la cipolla e le altre piante di questa famiglia (erba cipollina, porri, scalogno) contengono molecole di zolfo, come i cavoli.

E come per i cavoli, le molecole attive compaiono solo quando le cellule vengono rotte e il loro contenuto si mescola: è quanto accade, per esempio, quando si taglia una cipolla, ed è la ragione per cui nessuno lacrima davanti a un pacco di cipolle intere ma basta tagliarne qualche fettina per cominciare a piangere! Nel caso dell’aglio, che contiene l’alliina, un enzima, l’allinasi, provoca, quando la pianta viene tagliata o masticata, la formazione dell’allicina, che a sua volta si trasforma in ajoene, diallilsulfi de e diallil-disulfi de. Queste tre molecole hanno importanti proprietà biologiche, in particolare a protezione del DNA. Sono infatti in grado di bloccare la formazione delle nitrosamine, potenti alteratori dell’informazione genetica e, di conseguenza, cancerogene.

Il diallisulfi de avrebbe anche la capacità di indurre l’apoptosi delle cellule cancerogene e di interferire con la produzione di determinate proteine nelle cellule maligne, responsabili della comparsa di resistenze alle chemioterapie. Dal punto di vista pratico è utile ricordare che solo aglio e cipolle fresche hanno proprietà anticancro, perché i supplementi contengono soltanto i precursori delle molecole attive, ma non gli enzimi necessari alla loro trasformazione. La soiaI componenti benefici principali contenuti nella soia sono gli isoflavoni. La maggior parte dei prodotti a base di soia (dalle fave alla farina, dal latte di soia al formaggio tofu, fino alla soia fermentata nota col nome di miso, usata per le zuppe giapponesi) contiene elevate quantità di isoflavoni. Associata alla cucina orientale, in realtà la soia è contenuta in moltissimi prodotti industriali, dai wurstel ai latticini, dal pane ai biscotti: queste preparazioni sono però piuttosto povere in isoflavoni. La caratteristica principale degli isoflavoni è la loro somiglianza con gli estrogeni, gli ormoni femminili, tanto che queste molecole sono spesso chiamate fitoestrogeni (cioè estrogeni vegetali).

I fitoestrogeni proteggono dalla maggior parte dei tumori dipendenti dagli ormoni, come il cancro del seno o della prostata. Il meccanismo d’azione è semplice: si legano ai recettori degli estrogeni e ne occupano il posto impedendo agli ormoni di interagire con la cellula. Dal canto loro, i fitoestrogeni non inducono gli stessi effetti biologici dell’ormone naturale, come una chiave difettosa, che entra nella toppa ma non fa girare la serratura.

Numerosi studi epidemiologici, effettuati soprattutto sulle donne dell’Estremo Oriente, hanno dimostrato che chi consuma almeno 50 grammi al giorno di soia vede dimezzarsi il proprio rischio di cancro al seno. Non tutti gli studi hanno dato risultati analoghi, in particolare quando sono stati effettuati su donne occidentali. La spiegazione più probabile, secondo gli esperti, è che oltre alla quantità di soia consumata giornalmente,

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conta molto l’età in cui tale consumo inizia. In sostanza, bisogna cominciare da giovani perché l’effetto protettivo sulle cellule del seno si esplichi appieno.

Una questione ancora aperta è invece quella dell’uso degli isoflavoni nelle donne che hanno già avuto un cancro del seno e sono in menopausa. In alcuni modelli sperimentali, l’uso di fitoestrogeni aumenta la crescita di secondi tumori e quindi si può supporre che ciò accada anche nelle altre donne. Gli studi epidemiologici dicono però il contrario: le donne asiatiche che continuano a consumare soia dopo una diagnosi di cancro al seno non stanno peggio delle altre. Gli esperti ritengono quindi che gli isoflavoni naturali (cioè quelli contenuti negli alimenti) abbiano effetti biologici diversi da quelli contenuti nei supplementi in pillole. I primi vanno bene, i secondi sono da evitare. I funghiPerseguitati da un’ingiusta fama di tossicità (a parte i ben noti funghi velenosi, sono tossiche solo alcune famiglie e solo se consumate in grande quantità), i funghi fanno parte della tradizione culinaria italiana, specie di quella del Nord.

Diversi studi epidemiologici hanno rilevato le proprietà anticancro di questi vegetali molto particolari. Non si tratta infatti di piante in senso stretto, poiché non sono in grado di utilizzare la fotosintesi per produrre l’energia di cui hanno bisogno, ma devono nutrirsi grazie alle propaggini che inviano nel terreno o sulla superficie di altre piante.

È sempre il Giappone a fornire le prime prove dei benefici legati a un consumo regolare di funghi: i coltivatori di alcune specie tipiche della cucina orientale (come l’enokitake e il shiitake, facilmente reperibili essiccati anche nei supermercati italiani e nei negozi di cibi esotici) presentano un’incidenza di alcuni tipi di tumore (in particolare al colon e allo stomaco) inferiore del 50 per cento rispetto alla popolazione generale. Gli effetti anticancro dei funghi sono legati alla presenza di determinati polisaccaridi, il più studiato dei quali è il lentinano. In alcune sperimentazioni, il lentinano è stato aggiunto alla chemioterapia dei tumori del colon e dello stomaco, aumentando la durata di vita dei pazienti. Il meccanismo d’azione non è del tutto noto, ma è probabile che la molecola sia capace di stimolare il sistema immunitario.

Per godere dei suoi benefici non è però necessario rivolgersi ai funghi esotici: anche quelli nostrani ne contengono quantità sufficienti (per esempio il Pleurotus ostreatus, più noto col termine comune di orecchione), mentre i cosiddetti champignon de Paris (i tipici funghetti coltivati che si utilizzano crudi in insalata, cotti o sott’olio) ne sono ricchissimi. Il pesce e i semi di linoIl pesce è ricco di proteine, può sostituire la carne (il cui consumo non dovrebbe superare le due-tre volte la settimana) e inoltre contiene gli acidi grassi essenziali, omega-3, ottimi per prevenire sia il cancro sia le malattie cardiovascolari .

Sono i pesci più grassi quelli che apportano la maggiore quantità di omega-3: sardine e salmoni (soprattutto se selvaggi, perché quelli di allevamento ne sono meno provvisti) sono al primo posto nella classifica dei pesci benefici, sebbene sia importante non abusarne perché sono più calorici di altri pesci. Oltre agli omega-3, è importante tenere d’occhio anche gli acidi grassi omega-6 (di origine per lo più animale, quindi contenuti

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nella carne, nelle uova e nel pollame, oltre che negli oli di semi) che, invece, hanno effetti negativi sulla salute, poiché vengono utilizzati dall’organismo per produrre alcune sostanze coinvolte nell’infiammazione.

L’apporto di omega-6 e di omega-3 dovrebbe essere il più possibile paritario, mentre l’attuale alimentazione occidentale contiene da 10 a 20 volte più omega-6 che omega-3. Nello specifico, alcuni studi suggeriscono che gli omega-3 potrebbero ridurre il rischio di cancro del seno, del colon e della prostata e diminuire la capacità delle cellule maligne di dar luogo a metastasi. Anche i semi di lino sono molto ricchi di omega-3: anzi, ne costituiscono la maggior fonte di origine vegetale. Oltre a ciò, contengono anche fitoestrogeni (ormoni di origine naturale, di cui si è già parlato nel paragrafo dedicato alla soia) e lignani, molecole che, dopo una fase di trasformazione nell’intestino, interferiscono con i legami che gli ormoni estrogeni formano con le cellule del seno (e quindi potrebbero avere un’azione preventiva sulla comparsa del tumore).

Un trucco per consumarne di più: tritarli nel mixer e aggiungerne un cucchiaio ai cereali del mattino. Le aranceGli agrumi, oltre ad apportare vitamina C, dalle note proprietà antiossidanti, sono dei veri e propri laboratori fitochimici, e contengono quindi diverse molecole benefiche, tra le quali oltre 200 tipi di polifenoli (anch’essi antiossidanti) e i terpeni, le sostanze che danno alla buccia delle arance il caratteristico odore.

Gli studi dimostrano che le arance sono particolarmente efficaci nel prevenire i tumori del tratto digestivo (esofago, stomaco). Altre ricerche hanno dimostrato che i polifenoli e i terpeni contenuti nelle arance bloccano la crescita delle cellule tumorali. È in prevenzione, però, che questi frutti danno il meglio di sé, poiché facilitano i processi di detossificazione dell’organismo dalle sostanze cancerogene.

Le arance contengono anche le poliamine, sostanze coinvolte nella regolazione della divisione delle cellule. Pasteggiare con succo d’arancia o aggiungere spicchi di arancia all’insalata, come è tradizione nelle regioni mediterranee, è quindi un’ottima strategia di prevenzione sia dal punto di vista del gusto sia da quello della salute. Se l’arancia è rossa, ancor meglio: contiene molte antocianine, pigmenti naturali dallo straordinario potere antiossidante. Il tè verdeLa pianta del tè contiene una gran quantità di polifenoli, sostanze dalle note proprietà anticancro. La fermentazione della foglia, necessaria alla creazione del tè nero, che costituisce la forma più comunemente usata, ne distrugge però le proprietà.

Per questo nella dieta anticancro la bevanda scelta deve essere il tè verde , dal gusto delicato e profumato. Il tè verde contiene un tipo particolare di polifenoli, chiamati catechine: in genere i tè verdi giapponesi contengono quantità di catechine più elevate di quelli cinesi. Importante è anche il tempo di infusione. Dopo cinque minuti è presente nell’acqua solo il 20 per cento della quantità di sostanza attiva che si ottiene con otto-dieci minuti di attesa.

Chi non ama il sapore intenso di un tè lasciato così a lungo in infusione può usare il

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trucco di conservare la bustina e riutilizzarla per il tè successivo. Nel preparare la propria bevanda bisogna quindi scegliere tè di ottima qualità e avere pazienza. In tal modo si otterrà una maggiore azione antiossidante, che contribuisce a proteggere dal tumore alla pelle, al colon, al polmone, al seno e alla prostata.

Il tè verde è anche capace di bloccare l’angiogenesi, agendo su alcuni fattori di crescita: per questa ragione sono in corso, anche in Italia e in parte grazie a finanziamenti di AIRC, sperimentazioni con farmaci contenenti le sostanze attive ottenute dalla pianta. Il vino rossoIl vino rosso contiene moltissimi composti benefici, tra i quali spicca il resveratrolo che, in laboratorio, ha dimostrato di essere efficace sia nel bloccare la progressione dei tumori sia nel prevenirne la comparsa. Si tratta di una sostanza prodotta dalle piante per difendersi dagli attacchi dei microrganismi. Anche diversi studi epidemiologici sembrano confermare l’utilità di un consumo di vino rosso, purché molto limitato.

Non bisogna mai superare un bicchiere di vino a pasto per gli uomini e uno al giorno per le donne, ricordando, tra l’altro, che il vino bianco e gli altri alcolici non hanno lo stesso effetto preventivo. Il resveratrolo è infatti concentrato soprattutto nella buccia degli acini, il che spiega la sua scarsa concentrazione nel vino bianco.

Il vino contiene inoltre antocianine e altri polifenoli, dalla potente azione antiossidante. Tra l’altro, un bicchiere di vino rosso al giorno si è dimostrato utile anche nella prevenzione delle malattie cardiovascolari e nella degenerazione delle funzioni cerebrali. Benché gli studi sulle proprietà anticancro del resveratrolo siano ancora agli inizi, molti esperti ritengono che sia proprio questa molecola a fare la differenza tra il vino rosso e altre bevande alcoliche che hanno dimostrato di prevenire le malattie del cuore ma che, viceversa, aumentano il rischio di cancro (per esempio della bocca e dell’esofago). Il cioccolato

Che i golosi si rassicurino: il cioccolato non è un vizio (sempre se non si esagera) ma, anzi, quello fondente può essere parte di una dieta salutare. È infatti ricchissimo di polifenoli: un solo quadratino di cioccolato nero ne contiene due volte più di un bicchiere di vino rosso e altrettanto di una tazza di tè verde.

Una tazza di cioccolata calda contiene cinque volte più antiossidanti di una tazza di tè nero e tre volte più di una tazza di tè verde. Attenzione, però! Il cioccolato contiene molti grassi e zuccheri, quindi è piuttosto calorico.

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Pillole di sana alimentazioneSapevi che quasi un terzo dei tumori può essere attribuito a un’alimentazione sbagliata?

AIRC, in accordo con le indicazioni del Fondo mondiale per la ricerca sul cancro, ha deciso di realizzare 4 brevi video per aiutarti a scegliere gli alimenti giusti da mettere in tavola ogni giorno, con utili consigli su come cucinarli al meglio per uno stile di vita salutare.

Guarda il video presentazione dei contenuti delle 4 “Pillole”con Anna Villarini, dell’Istituto nazionale tumori di Milano.

http://www.youtube.com/watch?v=QsrXQFS7Fek

Al link http://www.airc.it/prevenzione-tumore/alimentazione/pillole-di-sana-alimentazione/ potrete compilare il form per ricevere via mail i quattro video della Dottoressa Anna Villarini sulla sana alimentazione.

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Fattori di rischio e prevenzione:

La dieta vegetariana

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I pro e i contro della dieta vegetarianaLa dieta vegetariana è decisamente di moda. L’Italia è al primo posto per numero di vegetariani in Europa, anche per la facilità con cui si trovano i vegetali nei nostri mercati e sulle nostre tavole, grazie al clima e alla dieta mediterranea

Anche se non è indispensabile eliminare la carne per nutrirsi in modo sano, è importante evidenziare che per la prevenzione del cancro la scelta vegetariana apporta dei vantaggi.

Il segreto, alla fine, sta nella quantità: per diminuire attraverso l’alimentazione l’incidenza dei tumori non è necessario eliminare del tutto i cibi di origine animale (come latte e uova, ma anche carne); è certamente utile, però, aumentare l’apporto di frutta, verdura e legumi.

Ecco dunque una piccola guida per chi ha fatto la scelta vegetariana, affinché sia più consapevole di alcuni possibili rischi, sempre in agguato quando si elimina una categoria di cibi.

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Perché si diventa vegetariani?

La motivazione etica

La maggior parte dei vegetariani afferma di aver rinunciato alla carne perché ritiene che non sia etico uccidere gli animali per cibarsene. In generale queste persone prestano molta attenzione anche al modo in cui vengono prodotti i derivati animali (come le uova o il latte), preferendo fonti che garantiscano un trattamento equo negli allevamenti. Spesso rinunciano anche alle scarpe e agli accessori in cuoio.

La motivazione salutistica

Molte persone abbracciano la dieta vegetariana nella convinzione che si tratti del modo più sano di mangiare. Non sempre fanno la loro scelta sulla base di dati scientificamente validi, ma si tratta in ogni caso di individui dai comportamenti particolarmente virtuosi in termini di salute, seppure spesso scettici nei confronti della medicina scientifica. Il rischio, in questi casi, è di non dare abbastanza peso al parere dei medici in caso di carenze.

La motivazione ambientalista

È l’ultima arrivata, ma pare anche una delle più fondate. Produrre carne ha infatti un impatto ambientale importante, sia in termine di emissione di gas serra sia in termini di consumo di cereali. Per nutrire gli animali da carne, infatti, si utilizza il 35 per cento dell’intera produzione mondiale di cereali (i dati sono quelli della FAO, l’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura dell’ONU).

Fonte: da un’indagine dell’American Psychological Association (APA)

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I diversi modi di dire vegetariano

Il latto-ovo vegetarianesimo

Come dice il nome stesso, chi adotta questo tipo di dieta evita la carne e i suoi derivati, il pesce, i molluschi e i crostacei, ma ammette il consumo di latte, formaggi, uova e ovviamente vegetali (comprese le alghe, che contengono alcuni degli elementi utili dei pesci).

Tra i vantaggi, il fatto che si tratta di una dieta equilibrata (purché, ovviamente, non si mangino uova e formaggi tutti i giorni, ma si badi bene a sostituire in parte le proteine della carne con quelle di origine vegetale, contenute nei legumi).

Chi la segue, raramente va incontro a carenze nutrizionali. Certo, rinunciare ai benefici del pesce, sia nell’ambito della prevenzione dei tumori sia in quello cardiovascolare, è un peccato. Tra gli svantaggi, come si diceva, il rischio di eccedere nell’apporto di grassi animali, con possibili danni all’apparato cardiovascolare, obesità e diabete.

Il latto-vegetarianesimo

In questo caso vengono esclusi, oltre alla carne, al pesce e ai loro derivati, anche le uova (considerate alla stregua di animali “in potenza”). Sono ammessi, invece, il latte e i formaggi.

L’eliminazione delle uova può non essere un problema se si compensa bene con l’apporto di proteine di origine vegetale (legumi) e non col solo formaggio, e se si tiene d’occhio il livello della vitamina B12, eventualmente compensando le carenze con un integratore. Se, però, si eccede con i latticini, si assumono troppi grassi con grave rischio per la salute.

Il veganismo

La cucina vegan non è bilanciata: esclude qualsiasi prodotto di origine animale, compresi uova e latte, e permette solo alimenti vegetali (tra cui, ovviamente, le alghe). I vantaggi sono scarsi e legati al diminuito rischio di cancro, obesità e malattie cardiovascolari, tutti risultati che si possono ottenere anche con una dieta bilanciata.

Viceversa si possono verificare gravi deficienze di vitamina B12 e di ferro. La carenza di vitamina B12 può dar luogo a malattie del sistema nervoso e predispone all’Alzheimer, mentre la carenza di ferro provoca anemia. Gli integratori, a cui è necessario ricorrere in questi casi, non sono efficaci come le sostanze naturali assunte attraverso i cibi.

La macrobiotica

È in realtà un modello alimentare inentato agli inizi del Novecento dal giapponese George Oshawa sulla base della filosofia zen. Divide infatti gli elementi secondo i principi orientali dello yin e dello yang e, pur bandendo dalla tavola i cibi di origine animale e favorendo cotture particolarmente salubri, non si basa su alcun principio scientifico. Inoltre espone, come il veganesimo, a carenze e squilibri. Per chi vuole attenersi a ciò che è scientificamente dimostrato, è utile affidarsi alle valutazioni di un nutrizionista che selezioni alcune pratiche alimentari di dimostrato valore preventivo.

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Crudismo e fruttismo

Si tratta di forme estreme di vegetarianesimo, basate sul consumo di soli alimenti vegetali crudi (e, nel caso del fruttismo, di sola frutta). Sono diete assolutamente sbilanciate, prive di qualsiasi base salutistica scientifica.

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Che cosa contengono di così prezioso i vegetali?

Gli antiossidanti

Poiché il cancro è una malattia provocata dalla comparsa di mutazioni a carico del DNA, tutte le sostanze in grado di interferire con la molecola della vita sono potenzialmente pericolose per la sua stabilità. Tra queste vi sono i cosiddetti radicali liberi dell’ossigeno, prodotti dal metabolismo e contrastati dalle sostanze antiossidanti. I vegetali sono particolarmente ricchi di sostanze antiossidanti, alcune delle quali sono anche vitamine (cioè sostanze che l’organismo non è in grado di produrre autonomamente ma che deve assumere con la dieta).

Il betacarotene, precursore della vitamina A, e il licopene (contenuti rispettivamente nei vegetali arancioni e nei pomodori) sono potenti antiossidanti, così come le vitamine C ed E. Si potrebbe quindi ipotizzare che anche l’assunzione di un integratore di antiossidanti e vitamine abbia lo stesso effetto protettivo di una dieta ricca di vegetali, ma le ricerche hanno dimostrato che così non è. In realtà i vegetali sono una miscela non replicabile di sostanze, ognuna delle quali aiuta le funzioni dell’altra.

Le fibre

Per fibre si intendono le sostanze non digeribili contenute nei vegetali, in primo luogo nella cellulosa. Una volta giunte nell’intestino, le fibre facilitano il transito, interagiscono con i numerosi microrganismi che popolano il nostro sistema digerente, favorendo la proliferazione di quelli più utili, e regolano l’assorbimento delle altre sostanze nutritive.

Numerosi studi hanno dimostrato che una dieta ricca di fibre vegetali ha un effetto preventivo sul cancro del colon ma anche su quello del seno. Nel primo caso è probabile che la ragione sia proprio nella capacità delle fibre di regolare il microambiente intestinale, mentre nel caso del seno c’è chi ha ipotizzato un meccanismo mediato dalla produzione di insulina e ormoni.

Il sostituto perfetto

La miglior alternativa alla carne sono i legumi abbinati ai cereali. I primi contengono molte proteine anche se di qualità inferiore a quelle della carne. Nei legumi si trovano anche gli aminoacidi essenziali (cioè i mattoncini costitutivi delle proteine) che il nostro organismo non è capace di sintetizzare ex novo. Si tratta di lisina, treonina, valina e triptofano.

I cereali, invece, contengono buone dosi di aminoacidi solforati, che sono scarsi nei legumi: per questo l’associazione cereali e legumi nello stesso piatto (come nella pasta e fagioli, nella pasta e lenticchie, nelle insalate di farro e legumi) costituisce il sostituto perfetto della fettina di carne.

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Gli elementi che non possono mancareLa dieta vegetariana può rispondere al fabbisogno di un adulto sano (per le condizioni particolari come l’infanzia, la gravidanza, l’età avanzata e la malattia è importante affidarsi a un medico o a un nutrizionista). Il segreto sta nel consumare una gran varietà di cibi, nella quantità giusta.

Vi sono tuttavia alcuni componenti della dieta ai quali è necessario fare particolare attenzione. Vediamo quali sono, con l’aiuto delle indicazioni fornite dal ministero per l’Agricoltura degli Stati Uniti d’America, che ha prodotto una guida alimentare per i vegetariani (molto diffusi negli USA) e dell’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione del ministero italiano per le Politiche ambientali agricole e forestali (INRAN).

Le proteineLe proteine costituiscono tutti i tessuti del corpo, in primo luogo i muscoli. Inoltre partecipano alla formazione degli ormoni e degli enzimi e forniscono energia, esattamente come i grassi e gli zuccheri. È quindi facile intuire come una carenza di proteine possa essere pericolosa per l’organismo, che tuttavia è capace di costruirle a partire dagli aminoacidi, i mattoncini di cui le proteine stesse sono costituite. Un eccesso di proteine è però nocivo tanto quanto una carenza, poiché vengono riconvertite in grasso dai processi metabolici dell’organismo, con una sovrapproduzione di scorie azotate che mettono a dura proa il funzionamento dei reni.Un’indagine svolta dall’INRAN ha dimostrato che l’ontroito medio di proteine degli italiani è pari al 161 per cento di quello raccomandato (più di una volta e mezzo) per via di un eccessivo consumo di carne, che spesso viene messa in tavola anche due volte al giorno (contro le 3-4 volte alla settimana raccomandate dalle tabelle dell’INRAN e le 2-3 volte raccomandate dalle linee guida dell’American Cancer Society per la prevenzione dei tumori).Esistono anche proteine di origine vegetale. Ne sono ricchi soprattutto i legumi e i cereali. La dose giornaliera raccomandata è di 1-1,5 grammi di proteine per chilo di peso corporeo (per un totale che non deve superare il 15 per cento di tutti i nutrienti quotidiani). Fonti importanti di proteine per i vegetariani sono anche le noci, le nocciole e, soprattutto, la soia e i suoi derivati, così come i latticini e le uova.Il ferroIl ferro è un micronutriente fondamentale per il trasporto dell’ossigeno ai tessuti: è contenuto nell’emoglobina, il pigmento dei globuli rossi. Una sua carenza determina sintomi quali stanchezza, pallore, fragilità dei tessuti a rapido ricambio come capelli e unghie. Il ferro contenuto nei prodotti di origine animale è più facilmente assorbibile e metabolizzabile dall’organismo.Non per questo un vegetariano rischia una carenza: pur essendo meno facilmente assorbibile il ferro di origine vegetale è presente nei legumi, nei piselli, nelle lenticchie e nella melassa (uno sciroppo zuccherino derivato da una particolare lavorazione della canna da zucchero). Anche alcuni frutti secchi (albicocche, prugne e uvetta) possono fungere da fonte di ferro.Il calcioÈ un elemento fondamentale per il funzionamento delle cellule, per il consolidamento delle ossa e dei denti. Le fonti vegetali di calcio sono principalmente i prodotti derivati dalla soia (tofu, latte di soia) e alcuni vegetali a foglia verde (cime di rapa, verze scure).

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La fonte principale di calcio per i vegetariani rimane comunque il latte con i suoi derivati (yogurt e formaggi).Lo zincoLo zinco è un micronutriente necessario a molte reazioni biochimiche. Inoltre, è coinvolto nel corretto funzionamento del sistema immunitario. Le fonti vegetali di zinco sono i fagioli, i germogli di grano e i semi di zucca. Anche i latticini sono ricchi di zinco.La vitamina B12Questa vitamina è essenziale per il funzionamento dell’organismo, in particolare del sistema nervoso e del fegato. Si trova principalmente in alimenti di origine animale, ma è possibile assorbirla anche attraverso i vegetali, soprattutto la soia.In alcuni casi è possibile aumentare gli apporti di vitamina B12 attraverso il consumo di lievito di birra in pastiglie e, nel caso di una dieta vegana, anche con supplementi vitaminici. Chi continua a cibarsi di latte e uova non dovrebbe però aver bisogno di alcuna integrazione.Gli acidi grassi omega-3

I vegetariani che non si cibano di pesce hanno bisogno di introdurre in altro modo gli acidi grassi omega-3, che hanno effetti benefici sia sulla prevenzione dei tumori sia su quella cardiovascolare. La fonte migliore di acidi grassi di origine vegetale sono le noci e i semi (e anche l’avocado e l’olio d’oliva).

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Come comporre un menu vegetarianoCereali: sono la base dell’alimentazione. Se ne devono consumare almeno sei porzioni al giorno (una porzione è pari a una fetta di pane, 30 grammi di cereali per la colazione o mezza tazza di grano od orzo cotto).Legumi o altre fonti di proteine: ogni giorno sono necessarie cinque porzioni di cibi ricchi di proteine (da scegliere tra, per esempio, mezza tazza di piselli, lenticchie o fave cotte, mezza tazza di tofu o di noci, 100 grammi di formaggio fresco o 50 grammi di formaggio stagionato, un uovo).Meglio privilegiare i legumi rispetto a latticini e uova, per non eccedere nei grassi.Vegetali: sono necessarie quattro porzioni di vegetali al giorno (una porzione è pari a mezza tazza di verdure cotte o una tazza di verdure crude, oppure mezzo bicchiere di centrifugato di verdure).Frutta: si consigliano due porzioni di frutta al giorno, pari a un frutto intero, mezza tazza di frutta cotta, un quarto di tazza di frutta secca, mezzo bicchiere di centrifugato di frutta o spremuta di agrumi (senza aggiunta di zuccheri).Grassi: si considera utile l’introduzione nella dieta di tre porzioni di grassi al giorno, pari a un cucchiaio pieno di olio d’oliva, oppure a un quarto di avocado.

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Carne, vegetali e cancroNel mese di agosto del 2009 la rivista American Journal of Clinical Nutrition ha pubblicato alcune conclusioni del progetto EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), un grande studio epidemiologico a cui ha contribuito anche AIRC. È la più vasta indagine svolta su una popolazione, per conoscere le relazioni tra dieta e salute. Coordinato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), appartenente all’OMS (Organizzazione mondiale per la sanità), lo studio ha coinvolto 520.000 persone provenienti da 10 Paesi europei (Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Norvegia, Spagna, Svezia e Regno Unito).

Lo scopo dello studio EPIC è quello di investigare i rapporti tra dieta, fattori ambientali e stili di vita, con l’incidenza di cancro e di altre malattie croniche.

In particolare un’analisi recente ha mostrato che non c’è una relazione diretta tra quantità di carne, uova o latticini consumati e rischio di sviluppare un cancro del seno, mentre esiste con altri tipi di tumore, come quello del colon (soprattutto in relazione alla carne). I dati si riferiscono a oltre 320.000 donne di diversi Paesi europei. Solo la carne lavorata (insaccati, carne in scatola) sembra accrescere il rischio delle donne di ammalarsi di carcinoma mammario.

Valutazioni complesse

Gli esperti ricordano quanto sia complesso dare una valutazione certa sui dati che emergono da queste indagini epidemiologiche, dal momento che le persone vengono interrogate su abitudini di vita che si sviluppano lungo l’arco di molti decenni.

Quel che è certo, dicono gli autori, è che non siamo liberi di mangiare ciò che vogliamo e nella quantità che vogliamo, perché ci sono ricerche che dimostrano i benefici di una dieta ricca di vegetali, oltre ai danni derivati da un consumo eccessivo di proteine di origine animale.

E poiché il cancro è una malattia che dipende da molti fattori, non basta intervenire su un singolo elemento per modificare in modo sostanziale il rischio a livello individuale, ma bisogna agire su tutte le abitudini sbagliate della persona.

Un altro studio, effettuato da ricercatori dell’Istituto Karolinska di Stoccolma, ha valutato la relazione tra la quantità di acido linoleico coniugato (un elemento presente nei formaggi e nella carne di manzo) e lo sviluppo di tumore al seno. Gli studiosi non hanno notato alcun effetto benefico di questa sostanza (benché questa fosse l’ipotesi di partenza), ma nemmeno un effetto negativo.

Amiche fibre

Un aumentato apporto di fibre (tipico di chi si nutre con abbondanti quantità di vegetali) è un fattore protettivo sia nei confronti del cancro del colon sia di quello del seno (specie prima della menopausa, ma in parte anche dopo l’arresto del ciclo ormonale), come dimostra anche un recentissimo studio condotto dai National Institutes of Health statunitensi.

A complicare ulteriormente le valutazioni sui rapporti tra dieta e cancro, ci sono gli studi su popolazioni strettamente vegetariante che mostrano come il rischio di ammalarsi di cancro diminuisca, a seconda delle ricerche effettuate, dal 10 al 25 per cento. L’ultima, in ordine di tempo, è stata condotta dagli epidemiologi dell’Università di Oxford sui vegetariani britannici.

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Anche in questo caso si tratta di un’analisi di dati provenienti dal grande studio EPIC.

I vegetariani vedrebbero ridursi del 12 per cento il rischio di ammalarsi di tumore in generale, ma nel caso delle leucemie, del cancro dello stomaco e della vescica si notano riduzioni che arrivano addirittura al 45 per cento. Il notevole numero di soggetti esaminati (oltre 60.000) dà notevole peso ai dati ottenuti.

I benefici del pesce

C’è però un altro dato interessante: il gruppo che ha mostrato il maggior guadagno in generale (18 per cento di riduzione nell’incidenza di tutti i tipi di tumore) è quello di coloro che non mangiano carne ma mangiano pesce, a riprova del fatto che nel pesce vi sono sostanze importanti per la prevenzione dei tumori, in particolare degli acidi grassi omega-3.

Gli esperti invitano però a considerare anche altri elementi: chi sceglie la dieta vegetariana o decide di eliminare la carne a favore del pesce appartiene di solito a categorie sociali medio-alte, piuttosto colte e molto attente all’igiene e alla salute. È possibile, quindi, che i buoni risultati generali non siano da attribuire esclusivamente alla dieta vegetariana, bensì a stili di vita più salubri in generale, in particolare per quanto riguarda il fumo e l’esercizio fisico.

Nel caso di tumori in cui la componente genetica o familiare ha una grossa importanza, le ricadute della dieta vegetariana, in termini di prevenzione, sarebbero meno evidenti di primo acchito, ma potrebbero sommarsi ad altre iniziative di protezione dalla malattia, come gli screening per la diagnosi precoce.

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Fattori di rischio e prevenzione:

Il fumo

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Il fumoSe tutti smettessero di fumare, il numero dei casi e delle vittime del cancro crollerebbe. La sigaretta infatti non danneggia solo i polmoni, ma molti altri organi

Fumo: le domande più frequentiPerché si insiste tanto sui rischi del fumo?

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità il fumo di sigaretta è la più importante causa di morte evitabile nella nostra società. Il Rapporto annuale sul fumo presentato all’Istituto superiore di sanità il 31 maggio 2011 stima che in Italia ogni anno circa 70.000 persone perdono la vita a causa di questa abitudine.

Per fortuna il numero delle vittime, che solo dieci anni fa sfiorava gli 80.000, oggi è in calo. Il dato, confortante seppure ancora molto alto, è associato alla riduzione costante del numero di sigarette vendute nel nostro Paese. Il fenomeno è dovuto in parte a un diverso clima culturale, che non valorizza più il fumo come atteggiamento “alla moda”, e in parte a una maggiore consapevolezza da parte delle persone dei rischi e degli svantaggi che il fumo comporta. Ma molto dipende certamente dai provvedimenti che, in Italia prima che altrove, hanno proibito le sigarette nei luoghi pubblici e sui posti di lavoro.

Ancora oggi tuttavia l’Istituto superiore di sanità stima che il fumo di tabacco sia responsabile di un terzo delle morti per cancro e del 15 per cento circa di tutti i decessi che avvengono per qualunque causa. Molti studi scientifici hanno infatti dimostrato che chi fuma tabacco rischia più degli altri di sviluppare oltre 50 gravi malattie, non solo tumorali: il fumo aumenta di 10 volte il rischio di morire di enfisema, raddoppia quello di avere un ictus e aumenta da due a quattro volte quello di essere colpiti da un infarto, danneggia la circolazione del sangue al cervello e agli arti e può favorire la comparsa di una disfunzione erettile nell’uomo.

Le sostanze cancerogene contenute nel fumo favoriscono poi lo sviluppo di tumori al polmone, che in nove casi su 10 possono essere ricondotti a questa cattiva abitudine; ma stimolano anche in diversa misura i tumori del cavo orale e della gola, del pancreas, del colon, della vescica, del rene, dell’esofago e di alcune leucemie. Infine, non bisogna trascurare l’impatto economico del fumo: per curarne le conseguenze, nel 2010 in Italia sono stati spesi (solo in costi sanitari, per non parlare di quelli sociali e umani) circa 7,5 miliardi di euro.

Che cosa si inala con il fumo di sigaretta? In che modo le sostanze contenute nel fumo favoriscono lo sviluppo dei tumori?

Ogni volta che si accende una sigaretta si introducono oltre 4.000 sostanze chimiche, almeno un’ottantina delle quali, secondo l’International Agency for Research into Cancer, sono anche cancerogene. Con ogni boccata si inala:

monossido di carbonio, lo stesso gas responsabile degli avvelenamenti da gas di scarico delle auto e delle stufe, che riduce l’afflusso di sangue ai tessuti;nicotina, responsabile degli effetti sul cervello del fumo e quindi anche della dipendenza fisica;catrame, che contiene molte sostanze cancerogene come benzopirene e altri idrocarburi aromatici;

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acetone, come quello usato per togliere lo smalto dalle unghie;ammoniaca;arsenico;formaldeide;acido cianidrico;nitrosamine;sostanze radioattive e molte altre.

Si ritiene che i costituenti del fumo con maggiore potenziale cancerogeno siano l’1,3-butadiene, l’arsenico, il benzene e il cadmio. Il primo è meno potente di altre sostanze, ma è considerato il più importante perché presente nel fumo di sigaretta in grandi quantità; l’arsenico è particolarmente pericoloso anche perché tende ad accumularsi nell’organismo; il benzene è responsabile di una quota significativa (dal 10 al 50 per cento) delle leucemie provocate dal fumo; il cadmio introdotto fumando sigarette è in quantità tali da superare la capacità dell’organismo di neutralizzarne l’azione tossica.

Tra le sostanze radioattive è di particolare rilievo il polonio 210: una recente analisi del contenuto di polonio radioattivo in sigarette di diverse marche diffuse in Italia ha dimostrato che in un anno, in media, chi fuma circa un pacchetto al giorno corre lo stesso rischio biologico che se si sottoponesse a 25 radiografie del torace. Depositandosi nei polmoni, infatti, questa sostanza li espone ad altissime dosi di radiazioni ad alta energia che possono indurre mutazioni potenzialmente cancerogene nel DNA.

Come le radiazioni, anche molte sostanze chimiche contenute nel catrame di sigaretta danneggiano il DNA delle cellule, provocando mutazioni che possono spingere la cellula verso una crescita incontrollata. Il benzopirene, uno degli idrocarburi policiclici aromatici più studiati, tende per esempio a mettere fuori uso il gene che codifica per la proteina p53, uno dei meccanismi fondamentali per proteggere l’organismo dal cancro.

La miscela delle varie sostanze inalate con il fumo di sigaretta potenzia gli effetti negativi sull’organismo, rispetto a quelli che avrebbe ciascuna molecola presa singolarmente.. Un esempio di questo effetto sinergico si ha, per esempio, con il cromo che, agendo come una colla, fa aderire più saldamente gli idrocarburi al DNA, favorendo le mutazioni che questi possono provocare. Altri esempi sono l’arsenico e il nichel, che interferiscono con i normali meccanismi di riparazione del DNA, deputati a correggere gli errori a mano a mano che si verificano. In questo modo le interazioni fra le diverse sostanze amplificano i danni provocati sul materiale genetico.

Le sostanze cancerogene contenute nel fumo possono infine favorire lo sviluppo dei tumori in maniera indiretta: ostacolando i meccanismi di rimozione di altre tossine, per esempio distruggendo le ciglia delle cellule che rivestono le vie respiratorie, come fanno ammoniaca e acido cianidrico; o bloccando gli enzimi che le trasformano in sostanze meno pericolose, come fa il cadmio.

Qual è il numero massimo di sigarette che si possono fumare senza rischi?

Non esiste una soglia di sicurezza sotto la quale il fumo non produce danni, anche perché le conseguenze tendono ad accumularsi nel tempo. Per questo, negli studi che indagano il legame del fumo con le varie malattie, si usa come unità di misura il “pacchetto-anno”, un criterio che tiene conto del numero di sigarette fumate in media ogni giorno, ma anche della durata del

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periodo di esposizione. In altre parole, fumare mezzo pacchetto al giorno per due anni equivale a fumarne uno intero per un anno.

Le mutazioni prodotte dalle sostanze cancerogene, inoltre, si sommano ma avvengono ogni volta in maniera casuale, per cui il rischio aumenta con il passare degli anni, ma non è del tutto prevedibile il tempo necessario a trasformare una cellula sana in una tumorale: uno studio recente ha calcolato che mediamente ogni 15 sigarette fumate si verifica almeno una mutazione. In pratica, ogni volta che si apre un nuovo pacchetto è come se si giocasse alla roulette russa.

Ciò non significa che tutti i fumatori svilupperanno un tumore, né che la malattia non possa insorgere in persone che non hanno mai messo in bocca una sigaretta: molti altri elementi, genetici o ambientali, possono contribuire a proteggere l’organismo o viceversa a favorire lo sviluppo di un tumore, ma non fumare (o smettere) è certamente uno dei passi più importanti che si possono fare per ridurre il proprio rischio personale di ammalarsi.

Non bisogna credere che condurre una vita per altri versi sana, come mangiare molta frutta e verdura o svolgere una regolare attività fisica possa bastare a compensare il vizio del fumo. Nessuno di questi fattori, per quanto utili al benessere dell’organismo e alla prevenzione delle malattie, ha lo stesso peso del fumo di sigaretta.

Cominciare a ridurre il numero di sigarette quotidiane può essere un modo per cominciare ad abituarsi all’idea di smettere, ma solo se è la prima fase di un percorso che porta al numero 0 di sigarette al giorno. In caso contrario, chi si limita solo a fumare meno, non appena si trova in una situazione di stress, torna al punto di partenza.

È meglio scegliere sigarette “leggere”? Pipa e sigaro fanno meno male?

Il termine “leggere” (o light, o mild, o low tar) riferito alle sigarette è fuorviante, perché la differenza con quelle normali, in termini di effetti sulla salute, è irrilevante. L’idea che facciano meno male spinge invece a fumarne di più e soprattutto riduce le probabilità che il fumatore decida di smettere. Inoltre, diversi studi scientifici hanno dimostrato che chi utilizza le cosiddette sigarette “leggere” fa boccate più lunghe e profonde. Di conseguenza, il dosaggio delle sostanze tossiche nel sangue non è in queste persone inferiore a quello che si ritrova nei fumatori di sigarette più “forti”, né il loro rischio di ammalarsi nel tempo appare ridotto. Per questo l’Unione Europea nel 2003, e la Food and Drug Administration americana nel 2010, hanno imposto di eliminare dalle confezioni le definizioni di “leggere” (mild, light o low tar) che potevano trarre in inganno il consumatore. Studi condotti dopo l’introduzione di questi provvedimenti, hanno tuttavia mostrato che, nonostante queste espressioni non fossero riportate esplicitamente sui pacchetti, il consumatore tende ingenuamente a pensare che i marchi “gold” o “silver”, o le confezioni con colori più chiari corrispondano a formulazioni meno dannose. In alcuni Paesi, come l’Australia, si sta quindi considerando l’ipotesi di una nuova legislazione che renda uniforme (e poco appetibile) l’aspetto delle confezioni.

Se le sigarette leggere non rappresentano una scorciatoia, neppure il sigaro e la pipa sono alternative più sicure, come molti erroneamente credono, anche se portano a inalare il fumo meno profondamente: ciò riduce leggermente il rischio di tumore al polmone rispetto a quello di chi fuma sigarette, ma le probabilità di sviluppare la malattia sono comunque molto più alte che non tra i non fumatori. Inoltre, fumare sigaro e pipa favorisce lo sviluppo di tumori della bocca, della gola, dell’esofago e di altri organi come il pancreas.

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Quali sono gli effetti del fumo passivo?

È ormai stato ampiamente dimostrato che i danni del fumo si estendono anche a chi, per il fatto di vivere o lavorare insieme a uno o più fumatori, è stato costretto a respirare per anni sia il fumo emesso dal fumatore dopo che lo ha inalato (mainstream smoke), sia quello liberato direttamente dalla combustione della sigaretta (sidestream smoke). Ormai ci sono prove inequivocabili che il fumo passivo è responsabile di almeno una quota dei tumori al polmone nei non fumatori, oltre che di malattie cardiache, asma e altri disturbi meno gravi. È stato infatti calcolato che aver respirato il fumo altrui aumenta di circa il 25 per cento il rischio di tumore al polmone e di malattie al cuore di un non fumatore. Ci sono poi indicazioni, ancora da dimostrare definitivamente, che tale esposizione possa favorire anche lo sviluppo di tumori al seno e un andamento più sfavorevole della malattia.

Uno studio pubblicato sull’autorevole rivista Lancet, a opera di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha calcolato che al fumo passivo siano da attribuire complessivamente 600.000 morti l’anno, 165.000 dei quali sono i bambini che vivono in casa con un fumatore.

I danni del fumo passivo sono infatti particolarmente gravi nei più piccoli, il cui organismo è ancora in fase di sviluppo. I neonati esposti al fumo sono più soggetti alla SIDS (sudden infant death syndrome), la cosiddetta “morte in culla” nel primo anno di vita; anche passato questo pericolo, i bambini che vivono con fumatori restano più vulnerabili nei confronti delle infezioni polmonari.

Sulla base di queste prove scientifiche molti Paesi hanno adottato normative severe relative al fumo nei luoghi pubblici e sui posti di lavoro, che in alcuni casi si estendono anche a spazi all’aperto, per esempio i campi gioco dei bambini. Molti obiettano che non ha senso preoccuparsi del fumo passivo, quando viviamo in città tanto inquinate. Ferma restando l’assoluta necessità di intervenire sulla qualità dell’aria, è anche vero che, a parità di esposizione ad altre sostanze, è sempre il fumo a fare la differenza. Numerose ricerche scientifiche pubblicate negli ultimi 20 anni hanno inoltre dimostrato che l’inquinamento indoor, cioè negli ambienti chiusi come case, uffici, bar, è molto più pericoloso di quello all’aperto. Ciò perché si trascorre in genere molto più tempo all’interno che all’aria aperta e perché, date le piccole dimensioni degli spazi chiusi, la presenza di fonti di inquinamento interne, di cui il fumo di sigaretta è la fonte principale, porta le concentrazioni di gas e polveri a livelli molto più alti.

Si parla infine anche di fumo di “terza mano”: è il possibile effetto tossico delle sostanze liberate dalla combustione del tabacco e che possono impregnare con il loro odore gli ambienti, in particolare i tessuti dei capi di abbigliamento o quelli di arredamento, come tende, tappeti, copriletti o poltrone e divani. A tutt’oggi non ci sono prove dell’effetto cancerogeno di queste tossine, altrettanto convincenti di quelle riguardanti il fumo di “seconda mano”, cioè inalato involontariamente da un non fumatore in presenza di chi fuma. Molti ricercatori tuttavia stanno indagando anche in questa direzione.

Quali sono le conseguenze del fumo in gravidanza?

Aspettare un bambino è un’ottima occasione per smettere di fumare. Le future mamme possono trovare una forte motivazione a rinunciare alle sigarette, sapendo che proseguire significa ridurre l’apporto di ossigeno al feto e quindi procurargli dei danni. Se si continua a

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fumare, soprattutto dopo il terzo mese, crescono infatti le probabilità che la gravidanza si interrompa oppure che il nascituro non sia vitale o abbia un basso peso alla nascita oppure sviluppi altri problemi di salute. Le conseguenze del fumo in gravidanza si prolungano nel tempo: per tutto il primo anno di vita il bambino corre un maggior rischio di morte in culla, negli anni successivi sarà più esposto a malattie respiratorie come l’asma.

Tutti questi effetti possono essere prodotti anche dall’esposizione al fumo passivo: è molto importante, quindi, non fumare mai in presenza di una gestante.

Come si fa a smettere di fumare?

Non esiste un sistema per smettere che vada bene per tutti, anche perché diverse sono le motivazioni che spingono i fumatori e le modalità dell’abitudine al fumo, così come le caratteristiche psicologiche e fisiche, gli stili di vita e il tipo di attività professionale, e perfino le varianti genetiche da cui può dipendere una maggiore o minore predisposizione alla dipendenza fisica.

La semplice forza di volontà molte volte non basta, neppure con l’aiuto dei tanti libri in commercio. Se si vuole provare da soli, è importante stabilire degli obiettivi precisi, come ad esempio un giorno adatto a spegnere l’ultima sigaretta, nel quale non si prevedano eventi particolarmente stressanti, non si debbano frequentare ambienti che possono indurre in tentazione e nel quale ci si possa dedicare ad altre attività piacevoli che possano distrarre dal desiderio di fumare. Programmare un’attività fisica che sia congeniale, per esempio, aiuta molto.

Se però il fai-da-te fallisce, non bisogna scoraggiarsi. Conviene rivolgersi al proprio medico di famiglia o a uno dei centri antifumo accreditati, dove si utilizzano metodi per smettere di fumare certificati dalla letteratura internazionale, si può trovare un aiuto competente e un supporto utile nei momenti di difficoltà, ricordando che smettere non è facile, mentre facilissimo è ricadere. La maggior parte degli ex fumatori non è riuscita a liberarsi dalla sigaretta se non dopo ripetuti sforzi, e a ogni nuovo tentativo le probabilità di riuscita aumentano.

Non bisogna temere di ricorrere agli aiuti che si possono acquistare in farmacia. Ai sintomi dell’astinenza provocati dalla dipendenza fisica indotta dalla nicotina (agitazione, stanchezza, irritabilità, insonnia o difficoltà di concentrazione) si può rimediare utilizzando i prodotti sostitutivi (cerotti, inalatori o gomme da masticare), che liberano una quantità di sostanza sufficiente a eliminare i disturbi, riducendone gradualmente la necessità.

Sotto controllo del medico questi mezzi possono essere utilizzati anche in gravidanza, perché i loro possibili effetti negativi sono comunque inferiori a quelli del fumo, che oltre alla nicotina contiene molte altre sostanze tossiche per il feto.

Se questi non bastano, ci si può rivolgere al proprio medico che saprà indicare i medicinali più adatti.In molti casi si è rivelato utile anche il supporto di uno psicologo adeguatamente formato.Della validità delle sigarette elettroniche come mezzo per abbandonare il fumo, invece, nonostante i proclami della pubblicità, non ci sono ancora prove. Sono però iniziati studi per verificare se anche questi dispositivi possono sostenere la volontà di smettere.

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Che cosa succede a chi smette di fumare?

Spesso a disincentivare i fumatori a smettere è la paura di ingrassare o di non riuscire a gestire lo stress senza l’aiuto della sigaretta. In effetti, è esperienza comune che chi smette tende ad accumulare qualche chilo. Il fenomeno può però essere facilmente evitato se si presta attenzione a non sostituire la sigaretta con snack ipercalorici, ma piuttosto si contrasta il desiderio di fumare con un po’ di attività fisica. In ogni caso, dal punto di vista della salute, le conseguenze negative di un piccolo aumento di peso non sono nemmeno paragonabili con quelle positive prodotte dalla rinuncia al fumo.

I vantaggi per il cuore e i polmoni sono i più immediati, ma dopo cinque anni anche il rischio di sviluppare un tumore della cavità orale, della gola, dell’esofago e della vescica si dimezzano e le probabilità di avere un tumore al collo dell’utero ritornano pari a quelle di chi non ha mai fumato. Dopo dieci anni diminuisce anche il rischio di avere un cancro al pancreas e alla laringe, e la mortalità per cancro al polmone si dimezza rispetto a quella di chi continua a fumare.

Meglio ancora non aspettare troppo a prendere questa sana decisione: chi smette prima dei 35 anni, secondo l’American Cancer Society, annulla al 90 per cento le conseguenze negative del fumo ed entro i 50 anni si può ancora dimezzare la mortalità nei 15 anni successivi rispetto a chi insiste. Anche chi smette a 60 anni od oltre, comunque, vive più a lungo più di chi continua.

Infine, dalla decisione di smettere derivano molti altri vantaggi forse meno importanti, ma più immediati: le attività quotidiane possono essere svolte con meno affanno, si tornano a gustare l’aroma e il gusto dei cibi, le dita e i denti smettono di ingiallirsi, si risparmia denaro che si potrà utilizzare in altro modo. Chi fuma in media un pacchetto al giorno spende infatti circa 120 euro al mese, che in un anno diventano più di 1.400 euro: una cifra con cui ci si può fare davvero un gran bel regalo.

Se ho già sviluppato un tumore, che senso ha smettere?

Anche per chi ha già un tumore, vale la pena smettere di fumare. Diversi studi hanno dimostrato che la rinuncia alla sigaretta migliora l’andamento della malattia: un’analisi condotta da ricercatori dell’Università di Birmingham su altre 10 ricerche e pubblicata sul British Medical Journal dimostra, in particolare, che le persone a cui viene diagnosticato un cancro al polmone in fase iniziale, possono raddoppiare le loro chance di sopravvivenza smettendo subito di fumare.

Altre ricerche hanno assodato che il fumo può ridurre la risposta alla chemio e alla radioterapia, ostacolare la guarigione delle ferite chirurgiche, aumentare il rischio di infezioni, soprattutto broncopolmonari, che possono essere molto pericolose in un organismo debilitato dalla malattia o in cui le difese immunitarie sono depresse dalle cure.

Infine, continuando a fumare, si alimenta il rischio che, una volta guariti dalla malattia, questa si ripresenti, oppure che si sviluppi un secondo tumore.

Molto ancora però, in questo campo, potrebbe essere fatto per colmare l’attuale lacuna tra linee guida, organizzazione dei servizi che aiutano a smettere di fumare e la pratica clinica quotidiana.

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In che modo la ricerca scientifica contribuisce alla lotta contro il fumo?

Nell’ultimo secolo la ricerca scientifica ha contribuito a dimostrare e a descrivere l’entità e le modalità dei danni provocati dal fumo a tutto l’organismo, principalmente in relazione allo sviluppo del cancro. Ciò ha spinto il pubblico ad acquisire maggiore consapevolezza e i governi a prendere atto dell’impatto sociale del problema, spingendoli a provvedimenti restrittivi di vario tipo, dall’aumento delle tasse sulle sigarette, alla proibizione del fumo nei locali pubblici e nei posti di lavoro.

Aver provato che la nicotina produce una dipendenza fisica ha poi aiutato a mettere a punto prodotti a rilascio graduale della sostanza e a definire programmi di intervento psicologico.

Le nuove tecniche che permettono di esaminare l’attività del cervello in relazione a diversi stimoli stanno contribuendo al progresso delle ricerche in vista di nuovi approcci che diano un valido supporto a coloro che decidano dismettere di fumare. Secondo un rapporto del National Institute on Drug Abuse statunitense, gli studi sui gemelli mostrano che il rischio di diventare dipendenti dalla nicotina deriva dal 40 al 70 per cento dalle caratteristiche dei propri geni. Per questo molti ricercatori oggi hanno indirizzato in questo senso la loro ricerca. Per esempio, uno studio italiano, sostenuto da AIRC e condotto all’Istituto nazionale dei Tumori di Milano, ha recentemente individuato la variante di un gene che favorisce lo sviluppo di questa dipendenza. Riuscire a bloccarla potrebbe aiutare chi ne è portatore a smettere in maniera più mirata.

Altri studi dello stesso tipo, per esempio relativi ai diversi meccanismi d’azione dei farmaci, potranno forse trovare l’approccio personalizzato migliore perché ciascun fumatore riesca a smettere più facilmente.

Intanto molti gruppi di ricerca sono impegnati sul fronte della prevenzione secondaria, a definire gli strumenti di diagnosi più adatti (siano esse apparecchiature per immagini come la TC spirale o nuovi esami del sangue o analisi delle sostanze contenute nel fiato) per individuare precocemente i tumori indotti dal fumo, principalmente quelli al polmone, al fine di curarli meglio.

La ricerca contro i danni del fumo comunque è e resta interdisciplinare: gli sforzi degli epidemiologi, dei medici, dei farmacologi e dei biologi molecolari è sostenuta anche dagli psicologi, dagli studiosi di neuroscienze e perfino dai pedagogisti, dai sociologi e dagli esperti di comunicazione, tutti uniti per cercare il modo migliore per impedire che i giovani si avvicinino al fumo e per far sì che i fumatori smettano.

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Tumore al colon e fumo:

La sigaretta brucia anche l’intestinoChe fumare fa male, ormai lo sanno tutti. Ma mentre di solito si pensa che aumenti il rischio di un tumore del polmone, o tutt’al più di un infarto, pochi sanno che le sostanze cancerogene contenute nelle esalazioni del tabacco, attraverso il circolo sanguigno, possono raggiungere anche organi molto lontani dalle vie aeree. Il colon, per esempio, è uno di questi. Per l’International Agency for Research on Cancer ci sono ormai prove sufficienti per affermarlo.

Introduzione

Fino a poco tempo fa era solo un sospetto. Ora a sbilanciarsi è l’International Agency for Research on Cancer, che ha cambiato la sua posizione ufficiale sul legame tra fumo e cancro al colon: mentre le prove a sostegno di questa tesi prima erano considerate “limitate”, oggi si possono ritenere “sufficienti”.

Negli anni passati era già stato lanciato l’allarme, dopo che tra i fumatori era stato osservato un numero di tumori dell’ultimo tratto dell’intestino maggiore rispetto a quello riscontrato in chi non fumava. Ma le modalità con cui erano condotti questi studi non permettevano di formulare un giudizio risolutivo, perché c’erano molti altri fattori a confondere le acque: chi fuma di più può essere meno attento a un’alimentazione sana e ricca di frutta e verdura oppure può fare meno attività fisica o ancora, statisticamente, eccede più spesso con l’alcol, solo per fare degli esempi.

Tre epidemiologi dell’American Cancer Society hanno quindi deciso di fare chiarezza, seguendo per 13 anni più di 184.000 persone che inizialmente non avevano alcun segno della malattia, con uno studio pubblicato sul numero di dicembre 2009 di Cancer Epidemiology Biomarkers& Prevention, tutto dedicato ai danni del tabacco. Nell’indagine, Michael J. Thun e i suoi collaboratori hanno tenuto conto non solo del fatto che i partecipanti fossero o no fumatori, ma anche di come e quanto mangiavano, di cosa e quanto bevevano, se si sottoponevano ai controlli periodici e di altri possibili fattori di rischio, 13 in tutto, aggiornandoli periodicamente.

Alla fine dell’osservazione è risultato evidente che, anche tenendo conto di tutte le variabili, chi fumava aveva una probabilità maggiore del 27 per cento di sviluppare un tumore del colon rispetto a chi non aveva mai preso questa abitudine; tra chi era riuscito a smettere, il rischio scendeva un po’, ma restava del 23 per cento superiore a quello dei non fumatori. A fare la differenza è il tempo: più a lungo l’organismo è stato esposto alle sostanze nocive e maggiore è il rischio (38 per cento in più il massimo, per chi fuma da almeno 50 anni).

Vale comunque sempre la pena di smettere, e di farlo il prima possibile: il rischio infatti scende progressivamente quanto più tempo passa dall’ultima sigaretta e quanto più si è giovani al momento in cui si prende la saggia decisione di spegnerla. Se lo si fa prima dei 40 anni, ogni pericolo per il colon sembra svanire. Se ci si riesce più tardi, secondo i calcoli dei ricercatori statunitensi, bisogna aspettare una trentina di anni per vedere tornare le proprie probabilità di tumore dell’intestino al livello di chi non ha mai fumato.

Diffusione in Italia per uomini e donne

In Italia nel 2009 fumavano 17 donne su 100

In Italia nel 2009 fumavano 29,5 uomini su 100

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Domande e risposte

Le risposte alle domande più frequenti su fumo e tumore del colon.

Esiste un tumore per il quale non è dimostrato un legame con il fumo di sigaretta?

I tumori delle ossa primitivi, che cioè non sono metastasi di un cancro localizzato altrove, insorgono spesso nei bambini e nei giovani: possono essere favoriti da una predisposizione genetica o dall’esposizione a forti dosi di radiazioni, ma non si ritiene abbiano legami con il fumo.

I tumori di faringe e laringe, invece, così come quelli della bocca, si sviluppano per contatto diretto con le sostanze cancerogene contenute nel fumo di sigaretta. Per l’esofago, l’esposizione è meno diretta e continua, ma per la sua posizione, in continuità con la gola, si può immaginare che l’aumento del rischio di tumore tra i fumatori dipenda anche in questo caso da un contatto diretto con il materiale inspirato. In entrambi i casi, al fumo si associa spesso un abuso di bevande alcoliche, il cui ruolo è invece sospettato, ma non confermato per il tumore del pancreas.

Questa malattia è quasi tre volte più frequente tra i fumatori rispetto ai non fumatori, sebbene il pancreas, a differenza degli organi appartenenti o adiacenti alle vie aeree, non venga mai a contatto diretto con le esalazioni del fumo. A provocarla sono probabilmente mutazioni del DNA, alcune delle quali già identificate, che con l’andare del tempo favoriscono lo sviluppo del cancro.

Fenomeni analoghi, per quanto non ancora studiati così nel dettaglio, potrebbero essere responsabili dell’insorgenza del tumore del colon, che quindi non è l’unico organo al di fuori delle vie aeree in cui la sigaretta può favorire il cancro.

È vero che il fumo è la maggiore causa di morte in tutto il mondo?

Sì, è vero: ogni anno in tutto il mondo si potrebbero evitare 5,4 milioni di morti, solo abolendo l’uso del tabacco; in Italia si stima che le morti attribuibili al fumo vadano da 70.000 a 83.000 ogni anno.

Va anche detto che più di un quarto delle vittime del fumo hanno un’età compresa tra i 35 e i 65 anni.

Nel ventesimo secolo si calcola che sono morte per questa causa 100 milioni di persone e che circa un miliardo ne sarà vittima nel secolo in corso, considerando anche la progressiva e apparentemente inarrestabile diffusione del fenomeno nei Paesi in via di sviluppo.

Mentre in Europa il numero dei fumatori va diminuendo, la loro percentuale in Italia dal 2009 ha purtroppo ricominciato a salire al 23 per cento, dopo un calo successivo alla legge 3/2003 a cui era seguita una fase di stabilità intorno al 22 per cento della popolazione.

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La celiachia può essere provocata o favorita dal fumo?

Nella celiachia è l’intolleranza al glutine contenuto nella farina, nel pane e nella pasta a determinare disturbi intestinali e della crescita. Un fenomeno che nulla ha a che vedere col fumo.

In molti altri organi, invece, il fumo non fa male solo per le sostanze cancerogene che contiene, ma anche perché danneggia in maniera diretta e grave i vasi sanguigni, favorendo i processi di arterosclerosi che possono portare all’infarto o all’ictus. Lo stesso fenomeno può anche compromettere l’afflusso di sangue agli arti o alle strutture spugnose del pene, dette corpi cavernosi, che dilatandosi ne determinano l’erezione.

Sui polmoni, oltre a favorire la formazione di tumori, il fumo altera inoltre il movimento delle ciglia che tengono pulite le vie aeree e favorisce la distruzione delle pareti degli alveoli polmonari in cui avviene lo scambio tra ossigeno e anidride carbonica, rappresentando così, in alcuni casi insieme ad una possibile predisposizione genetica di cui potenzia l’effetto, la più importante causa di enfisema.

È possibile ridurre il rischio di ammalarsi di tumore del colon?

Un’alimentazione ricca di fibre.

È dimostrato che mangiare molta frutta e verdura, grazie all’apporto di fibre, è il miglior modo per proteggersi dalla malattia. Non bisogna nemmeno esagerare con la quantità totale di calorie della dieta e con i grassi animali come quelli contenuti nelle carni e nei formaggi, che favoriscono lo sviluppo del tumore.

Purtroppo non si può intervenire sugli altri due importanti fattori di rischio per il tumore del colon: l’età e la familiarità. Entrambe queste condizioni possono però suggerire una maggior cura nell’alimentazione e una maggiore sollecitudine nel sottoporsi ai controlli periodici di screening con la ricerca del sangue occulto nelle feci e, quando occorre, con la colonscopia.

Non dimenticare: indicazioni utili

In inglese si chiamano take-home messages. Noi diciamo: da non dimenticare!

Il fumo non provoca solo il cancro del polmone, ma una lunga serie di malattie, tumorali e non. Ora anche il tumore del colon si è aggiunto alla lista.Ci sono infinite buone ragioni per non fumare. Se avete altri fattori di rischio per il tumore del colon, ricordate che la sigaretta li può rinforzare.Il tumore del colon si previene soprattutto a tavola: non fate mai mancare la frutta e la verdura.Dopo i 50 anni sottoponetevi ai controlli periodici che possono fare la differenza, individuando precocemente polipi che si possono asportare in ambulatorio prima che si trasformino in una malattia grave.

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Appendice

Si può curare il cancro col bicarbonato?

( Airc, in collaborazione con Agenzia Zoe su babylonpost.globalist.it)

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Si può curare il cancro con il bicarbonato?

Airc , in collaborazione con Agenzia Zoe su babylonpost.globalist.it

In tempi durante i quali falsa scienza e presunte cure sono sdoganate per decreto (vedi Metodo Stamina), un articolo chiarificatore dell’Associazione italiana ricerca sul cancro

A cura dell’Airc

martedì 23 aprile 2013 12:17

Nessuna ricerca scientifica ha mai dimostrato che una cura a base di bicarbonato di sodio sia efficace contro i tumori umani, eppure c’è chi ancora tenta di far passare l’idea contraria lucrando sulla disperazione altrui con effetti letali. Quello che oggi è certo si può sintetizzare così: il tumore può creare intorno a sé un ambiente acido, ma il bicarbonato, pur essendo una sostanza basica, non modifica in alcun modo il pH intorno alla massa tumorale, quando è assunto per via orale; l’iniezione del bicarbonato per via endovenosa (o parenterale) è estremamente pericolosa per gli organi sani; alcuni studi in corso negli Stati Uniti stanno testando un derivato del bicarbonato di sodio, allo scopo di diminuire l’acidità intorno alla massa tumorale e studiare se questo rende la chemioterapia più efficace. Da dove viene allora l’ipotesi che la sostanza di uso comune in casa, per disinfettare frutta e verdura e lievitare torte e biscotti, curi il cancro? Come mai questa “bufala” si è diffusa? L’idea, nota anche come “terapia Simoncini”, nasce probabilmente da una scoperta scientifica seria: il cosiddetto Effetto Warburg, dal nome del fisiologo tedesco Otto Heinrich Warburg, vincitore nel 1931, del premio Nobel per la medicina e la fisiologia per le sue scoperte sul metabolismo dei tumori. Warburg scoprì che tra i tanti cambiamenti che i tessuti tumorali inducono a livello locale, nell’organo in cui proliferano, vi era anche un aumento della produzione di energia da parte delle cellule attraverso un fenomeno chiamato glicolisi, ovvero attraverso il consumo di glucosio. Questo meccanismo si attiva in genere solo quando i tessuti sono a corto di ossigeno: nel caso dei tumori, invece, la glicolisi parte anche in presenza di quantità di ossigeno 200 volte superiori a quelle normali. Produrre energia in questo modo ha però un effetto collaterale: nei tessuti rimangono, come scorie, alcune sostanze acide, tossiche per l’organismo, che richiedono tempo per essere smaltite. L’ambiente acido, hanno scoperto dopo Warburg altri scienziati, è favorevole alla proliferazione dei tumori perché corrode i tessuti sani e crea spazio per quelli malati. Ecco perché alcuni medici hanno pensato di poter usare il bicarbonato di sodio, sostanza molto basica, per neutralizzare l’effetto degli acidi prodotti dal tessuto tumorale.

Che tipo di ricerche sono state fatte? I primi esperimenti col bicarbonato, condotti già negli anni Cinquanta, hanno smentito l’utilità di questa ipotesi terapeutica: in primo luogo perché assumere bicarbonato per bocca non rende meno acido l’ambiente intorno al tumore e, in secondo luogo, perché i dosaggi necessari a modificare in modo sostanziale il pH dei tessuti sono talmente elevati da creare danni agli organi sani.

Come sono avvenute le ricerche? Alcuni esperimenti recenti, che hanno testato il bicarbonato in laboratorio, hanno ottenuto risultati parzialmente più positivi che in passato. Manca tuttavia la verifica, essenziale, nei pazienti. Attualmente è in corso una sperimentazione presso l’Università dell’Arizona, condotta da un gruppo di ricercatori diretto da Marty Pagel, il cui scopo tuttavia non è verificare se il bicarbonato sia una terapia efficace di per sé, dato che

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questo è ormai un fatto assodato: il bicarbonato non ha un’azione antitumorale efficace. L’obiettivo è piuttosto stabilire se questa sostanza possa potenziare l’effetto di alcuni farmaci chemioterapici per il tumore al seno, che sono inibiti dall’effetto Warburg. Perché ciò sia fattibile, occorre che il bicarbonato possa raggiungere la zona dove cresce la massa tumorale senza danneggiare i tessuti circostanti; inoltre occorre identificare le “zone acide” attorno al tumore su cui intervenire, e questo è forse possibile tramite una risonanza magnetica innovativa.In conclusione Il bicarbonato di sodio non è una terapia del cancro e la sua somministrazione può danneggiare gravemente i tessuti sani dell’organismo. Attualmente alcuni studi in corso stanno valutando se il bicarbonato possa potenziare l’effetto dei comuni farmaci chemioterapici. I risultati di questi studi, che saranno disponibili fra qualche anno, valuteranno, accanto all’eventuale efficacia del bicarbonato come adiuvante della terapia, anche la sicurezza del trattamento (il bicarbonato dovrà poter raggiungere il tumore senza provocare danni ai tessuti sani) e la possibilità di identificare le zone acide dove il bicarbonato potrebbe essere necessario.

Airc , in collaborazione con Agenzia Zoe