Campagna STOP TTIP Italia Contributo informale alle ... Sisto... · Campagna STOP TTIP Italia...
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Contributo informale alle riflessione
sull’impatto del TTIP nel contesto Europeo ed Italiano
Campagna Stop TTIP Italia
0. Introduzione
1. La Campagna Stop TTIP
2. Il ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali
3. Le preoccupazioni per la trasparenza e il mancato accesso dei parlamentari italiani al
testo del TTIP
4. I capitoli più controversi dell’accordo
- Agricoltura e sicurezza alimentare
- Le Indicazioni Geografiche
- Le Piccole e Medie Imprese
- TTIP e Obiettivi di “sviluppo sostenibile”
- TTIP e occupazione
- TTIP, Servizi e servizi pubblici
- L’Associazione dei magistrati tedeschi che dice “no” all’arbitrato riformato
- L’ICS compromette il sistema giudiziario europeo e nazionale
5. LE NOSTRE RICHIESTE
- Vista la minaccia del pronunciamento della Corte Europea che potrebbe escludere i parlamenti
nazionali dal processo di ratifica del TTIP, chiediamo che il Parlamento riaffermi le sue prerogative
in materie così importanti
- Che il Parlamento stimoli un dibattito parlamentare e pubblico all’altezza delle nostre
preoccupazioni
- Che ospiti un dibattito tra parlamentari e società civile italiana
- Che reclami l’apertura della sala di lettura con un livello di trasparenza maggiore rispetto a
quello cui devono sottostare i parlamentari tedeschi
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- Che chieda al governo la riattribuzione delle competenze in materia di TTIP, finora detenute
dall’ex vice ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, e che convochi subito presso il
Ministero il tavolo formale di confronto con la società civile sui negoziati commerciali, mettendo il
TTIP all’ordine del giorno.
- Che a questo tavolo partecipi una delegazione parlamentare rappresentativa, e gli esiti della
sessione vengano comunicati e discussi in Parlamento con evidenza
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0. INTRODUZIONE
Il Trattato di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (Transatlantic trade
and Investment Partnership – TTIP) è stato lanciato nell’estate del 2013 con lo scopo esplicito di
liberalizzare il mercato transatlantico di tutti i settori dei prodotti e dei servizi aumentando le
possibilità di scambio transatlantico per una mutua convenienza commerciale e regolatoria. In
realtà tra Europa e Stati Uniti, a parte pochi settori sensibili, la media delle barriere commerciali
– dazi, quote, dogane – è già molto bassa, tanto che gli Usa sono il nostro principale partner
commerciale dopo il mercato comunitario. Circa l’80% dei benefici attesi del trattato (modesto,
in realtà, perché equivalente a un aumento dello 0,05 del Pil europeo l’anno spalmato sui dieci anni
successivi all’approvazione del Trattato da parte del Parlamento europeo e del Congresso Usa)
deriverebbe dalla cosiddetta “armonizzazione regolatoria” tra le due sponde dell’Atlantico.
Ogni anno un non meglio precisato “Organismo
Transatlantico” animato da esperti e
rappresentanti non meglio precisati della
Commissione Europea e del Ministero del
Commercio Usa individuerebbero, su
sollecitazione dei Portatori d’interesse del
commercio Usa-Ue (e non dei cittadini, dei
Parlamenti o degli organismi regolatori), una lista
di regole che fanno problema al commercio
transatlantico e introdurrebbe delle misure per
liberare il commercio da questi ostacoli. Queste
indicazioni dovrebbero essere recepite nelle
normative comunitarie senza emendamenti, come avviene oggi rispetto alle indicazioni
dell’Organizzazione mondiale del Commercio.
Stando alla valutazione d’impatto preventiva elaborata dell’istituto di ricerca Ecorys nel 2013 su
incarico della Commissione europeai, tra le regolazioni che fanno più difficoltà al commercio
transatlantico troviamo il principio di precauzione, le misure che proteggono la nostra sicurezza
alimentare, l’etichettatura dei prodotti, il marchio CE sugli elettrodomestici, i curricula
professionali, la normativa ambientale legata alla riduzione dei rifiuti e delle emissioni, quella
di sicurezza del settore chimico (Reach), di sicurezza del lavoratori, le restrizioni all’utilizzo di
numerosi pesticidi e conservanti, le limitazioni ai derivati finanziari, addirittura le carte dei
servizi dei servizi pubblici e la contrattazione collettiva e tutte quelle normative che, più in
generale, non sono riconosciute da una delle due parti dell’Atlantico. Queste normative fanno
problema al commercio, costituiscono le cosiddette Barriere non tariffarie perché impediscono ad
alcuni prodotti di circolare nel mercato comune oppure si traducono in costi aggiuntivi per i
produttori.
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Tutte queste regole, se pure non fossero esplicitamente messe in discussione nel testo del TTIP,
rischierebbero di essere successivamente contestate dai Portatori d’interesse presso l’Organismo
per la Cooperazione regolatoria.
Ogni regolazione di qualunque livello amministrativo che avesse una qualche influenza, anche
secondaria, sul commercio transatlantico, dovrebbe essere notificata all’altra parte prima della
sua definitiva approvazione.
Se poi un investitore privato si sentisse danneggiato da una vecchia o nuova legge, regola,
normativa, non dovrebbe scomodarsi a sostenere i propri diritti in un tribunale ordinario,
obbligato a tenere conto di tutta la normativa nazionale e comunitaria rilevante, ma potrebbe
reclamare i propri diritti presso un arbitrato commerciale dedicato (ISDS o ICS) che, anche nella
versione recentemente rivista dalla Commissione, deciderebbe solo alla luce della lettera del
trattato. Se lo Stato citato in giudizio volesse conservare la propria normativa in violazione del
TTIP, sarebbe chiamata a compensare i mancati guadagni presenti, passati e futuri.
1. LA CAMPAGNA STOP TTIP
La Campagna Stop TTIP Italia (www.stop-ttip.italia.net) nasce a febbraio 2014 per coordinare
organizzazioni, reti, realtà e territori che si oppongono all’approvazione del Trattato di
Partenariato Transatlantico su commercio e Investimenti (TTIP). Alla piattaforma aderiscono oltre
300 realtà in difesa dell’ambiente, della società civile, del mondo del lavoro che sostengono oltre 50
comitali locali.
In Europa la campagna Stop TTIP è presente in tutti i Paesi dell’Unione con piattaforme nazionali
che si coordinano attraverso gruppi di lavoro tematici e assemblee che si convocano a margine dei
round negoziali e che coordinano la società civile di questa sponda dell’Atlantico con le tante
organizzazioni e i sindacati d’oltreoceano, che condividono le nostre preoccupazione. Le iniziative
più rilevanti promosse a livello europeo sono state la raccolta firme autorganizzata (https://stop-
ttip.org/it/) che ha raggiunto il numero di 3
milioni e quasi 400mila cittadini europei che si
sono dichiarati contrari al TTIP. Numero mai
raggiunto in nessun’altra iniziativa di raccolta
firme europea. A Berlino il 10 ottobre scorso
oltre 250mila persone arrivate da tutta Europa
sono scese in piazza contro il TTIP.
In Italia il 25 novembre scorso simbolicamente
le firme sono state consegnate al capo
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negoziatore Europeo Ignacio Bercero in un faccia a faccia organizzato presso il ministero dello
Sviluppo Economico tra la Campagna e la Commissione ospitato dall’allora vice ministro Carlo
Calenda.
Le istanze della campagna sono state recepite a livello locale in Italia con l’approvazione di oltre 40
mozioni e documenti formali d’indirizzo Stop TTIP da parte di Consigli regionali (in Abruzzo,
Lombardia, Toscana) e comunali (tra cui Milano, Ancona, Modena, Pescara e tre municipi della
Capitale). In tutta Europa è in corso una campagna che chiede alle Autorità locali di dichiararsi
“Free TTIP Zones”, e i Comuni di Bruxelles e Barcellona hanno già proceduto in questa direzione.
Qui la mappa delle aree https://www.ttip-free-zones.eu/
2. IL RUOLO DEL PARLAMENTO EUROPEO E I PARLAMENTI NAZIONALI
Con il Trattato di Lisbona la materia commerciale è stata completamente delegata al livello
europeo. La Commissione europea, su mandato del Consiglio, negozia in perfetta solitudine fino al
momento in cui, con i negoziatori del Ministero al Commercio Usa (United States Trade
Rapresentative - Ustr), penseranno di aver raggiunto un livello accettabile di compromesso nei
diversi capitoli del trattato. A quel punto Commissione e Ustr firmeranno l’accordo quadro,
risultato che le parti vorrebbero raggiungere prima dell’estate 2016, per evitare che il negoziato si
areni a causa delle elezioni presidenziali negli Usa. Ne’ il Parlamento europeo ne’ il Congresso
americano potranno cambiare una sola virgola del testo concordato tra Usa e Ue.
Al momento non è ancora definito il ruolo che i Parlamenti nazionali avranno nell’iter del TTIP.
Essendo un accordo commerciale “misto”, cioè riguardando non solo dazi e tariffe ma anche la
sfera regolatoria, il TTIP si presume dovrà essere ratificato dagli Stati membri dell’Unione. Il suo
iter dovrebbe essere definito da una sentenza
della Corte europea di Giustizia che, tuttavia,
la Commissione ancora temporeggia a
interrogare nel merito, Quello che già
sappiamo, però, è che esso sarà
immediatamente operativo e che non
sappiamo se basterà che un solo Paese
europeo ne bocci la ratifica per bloccarlo,
oppure una maggioranza di qualche genere
dei paesi membri (Secca? Qualificata?)
I parlamenti tedesco, francese ma anche
inglese hanno manifestato da scetticismo a contrarietà rispetto a un trattato che ridurrà
drasticamente l’influenza e la sovranità Il ministro per il Commercio Estero francese Matthias Fekl
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ha invitato gli Stati Uniti a mostrare "reciprocità" nei negoziati. "I membri del Parlamento
americani hanno accesso a un numero molto più elevato di documenti di quello che ci è permesso
in Europa," ha detto.
Francia e Germania hanno entrambe espresso riserve circa il modo in cui sono stati condotti i
negoziati in diverse occasioni. Matthias Fekl, il segretario di Stato francese per il Commercio
Estero, ha anche detto a EurActiv France che non avrebbe "mai permesso a tribunali privati al
soldo delle multinazionali a dettare le politiche degli Stati sovrani, in particolare in alcuni settori
come la salute e l'ambiente". Il ministro dell'Ambiente tedesco, Barbara Hendricks, ha dichiarato
alla stampa tedesca che rimane "scettica sul meccanismo di risoluzione delle controversie
investitore Stato", visto che lei crede sia "semplicemente non necessario". La Francia ha chiesto
maggiore trasparenza procedurale, al fine di garantire che i membri del tribunale arbitrale non si
trovino contemporaneamente nella posizione di giudice e imputato. Matthias Fekl ha detto che "è
risaputo che ci sono enormi conflitti di interesse nei casi di arbitrato". Più in generale Norbert
Lammert, il Presidente del Bundestag, ha lamentato che: “è impensabile che il Bundestag accetti di
ratificare un accordo commerciale tra Usa e Ue per il quale non possa nemmeno suggerire opzioni
alternative”.
3. PREOCCUPAZIONI PER LA TRASPARENZA E IL MANCATO ACCESSO DEI
PARLAMENTARI ITALIANI AL TESTO DEL TTIP
Quando il negoziato è stato lanciato, non era previsto che tutti i Parlamentari europei accedessero
al testo del TTIP prima di essere chiamati ad approvalo o bocciarlo, cioè dopo che la Commissione
Ue e l’Ustr non abbiano dichiarato conclusa la fase negoziale apponendo la loro firma sulla forma
consolidata del testo. Quella, si ricorda, non sarà la versione definitiva perché l’Organismo per il
buon funzionamento del trattato, che viene istituito al TTIP stesso, sovraintenderà alla sua
massima efficacia potendo intervenire sul testo, con l’avallo tecnico delle due parti, perché la
liberalizzazione commerciale sia massima e l’efficienza del trattato adeguata a questo compito.
Dopo le forti pressioni della Campagna europea Stop TTIP, e dopo alcune manifestazioni condotte
addirittura all’interno del Parlamento europeo da parte dei suoi stessi membri, sono state aperte
all’interno della sede di Bruxelles delle “sale di lettura” dove tutti i parlamentari europei possono
leggere il TTIP dopo esser stati perquisiti, senza poter prendere alcun appunto meccanico, ma solo
appunti personali su una carta non fotocopiabile. Mancano, inoltre, nella copia in lettura, tutti gli
allegati tecnici, che contengono i livelli quantitativi, le specificazioni, le composizioni degli
organismi via via creati dal TTIP.
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La risoluzione approvata dal Parlamento
europeo l’8 luglio 2015ii sul TTIP aveva
raccomandato alla Commissione, oltre alla
revisione di alcuni nuclei problematici del
Trattato in primo luogo il meccanismo
d’arbitrato (ISDS, ora ICS) “per quanto
riguarda la trasparenza, il coinvolgimento
della società civile e la sensibilizzazione del
pubblico e del mondo politico: i) proseguire
gli attuali sforzi tesi a incrementare la
trasparenza dei negoziati, rendendo
accessibile al pubblico un numero maggiore
di proposte negoziali, e attuare le raccomandazioni del Mediatore europeo, in particolare quelle
relative alle norme sull'accesso del pubblico ai documenti; (…) v) incoraggiare gli Stati membri a
coinvolgere i parlamenti nazionali conformemente ai loro obblighi costituzionali, fornire tutto il
sostegno necessario affinché gli Stati membri assolvano tale compito e rafforzare il dialogo con i
parlamenti nazionali allo scopo di tenerli adeguatamente informati in merito ai negoziati in corso”.
Per questo la Commissaria al Commercio Cecilia Malmstrom nell’audizione che ha avuto il 26
novembre 2015 ha assicurato che in tutti i Paesi europei i Parlamentari nazionali avrebbero avuto
la possibilità di avere sale di lettura dedicate a loro. In una prima versione i Parlamentari nazionali
avrebbero dovuto recarsi nelle ambasciate americane per accedervi, ma alla fine, dopo altre azioni
di pressioni combinate tra Governi scettici e società civile, la Commissione ha concesso che sale di
lettura fossero aperte in strutture governative di ciascun Paese membro.
Al momento risulta attivata una sola sala di lettura, è localizzata in Germania, e come si può
vedere dall’immagine sovrastante ampie parti del testo (quelle non consolidate o dichiarate
confidenziali) sono ristrette alla lettura dei membri dei Parlamenti nazionali. Si ricorda che i
Parlamentari anche europei non hanno alcun accesso alle parti del testo proposte dagli Usa, ma
possono accedere solo a quelle europee, oppure a quelle che si siano già trasformate in un
documento condiviso. In Italia, dopo un blitz natalizio di alcuni Parlamentari del M5S alla
Farnesina, dove nessuno spaeva nemmeno che questo spazio avrebbe dovuto già essere attivato in
quella sede, nessuno si è posto più il problema di rendere questo impegno effettivo.
4. PREOCCUPAZIONI PER I CAPITOLI PIU’ CONTROVERSI DELL’ACCORDO: CIBO E
AGRICOLTURA, LAVORO, AMBIENTE, ISDS/ICS
Agricoltura e sicurezza alimentare
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L’Europa, e in particolare l’Italia, hanno molto da perdere a livello di qualità, quantità e regole
nella propria produzione, e in valore assoluto nelle proprie stesse esportazioni. Scorrendo
rapidamente gli elementi più controversi ricordiamo che, ad esempio in ambito agricolo, che la
sola riduzione delle barriere tariffarie nel mercato agroalimentare transatlantico porterebbe a un
aumento delle esportazioni Usa verso l’Europa di 5,5 miliardi l’anno, mentre un flusso contrario
che aumenterebbe di soli 0,8 miliardi.
Una rimozione aggiuntiva delle Barriere non tariffarie che fanno problema al commercio
agroalimentare transatlantico farebbe aumentare le esportazioni Usa verso l’Ue di 4,1 miliardi in
più (per un aumento totale di 9,6 miliardi di dollari), mentre l’Europa al massimo esporterebbe 1,2
miliardi di dollari in più di prodotti agroalimentari, per un guadagno potenziale di 2 miliardi di
dollari in più totali.
Nel testo del TTIP non troverete mai parole o definizioni controverse come OGM, carne trattata
agli ormoni, ormoni della crescita impiegati nello sviluppo bovino o carcasse risciacquate con
soluzioni di cloro. Ma sono proprio queste le pratiche proibite che fanno problema al commercio
agroalimentare transatlantico, a quanto risulta chiaro dalla tabella precedente. Sono la carta
negoziale che l’Europa nega di considerare praticabile ma che, a quanto si apprende, è pronta a
sacrificare per ottenere una liberalizzazione significativa dei settori dell’energia, della finanza e
degli appalti negli Usa.
Il testo TTIP da solo rivela molto poco su come i governi forniranno il "livello adeguato di
protezione sanitaria o fitosanitaria" promesso nell'accordo dell’ Organizzazione mondiale del
commercio sulle Misure sanitarie e fitosanitarie (SPS, articolo 5.3). Quello che sappiamo per
certo è che nel testo definitivo dell’analogo accordo commerciale che l’Unione Europea ha già
sottoscritto con il Canada, il CETA, nel capitolo 6 sugli ostacoli tecnici al commercio all’art. 6
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Trasparenza: comma 5. abbiamo affermato che "Ciascuna Parte, su richiesta dell'altra parte, dovrà
fornire informazioni riguardanti gli obiettivi della base giuridica e il razionale di un regolamento
tecnico o di una procedura per una valutazione della conformità, che la parte ha adottato o
propone di adottare". E ancora: "... se una parte si rifiuta di avviare la cooperazione normativa o si
ritira da tale cooperazione, dovrebbe essere prontaa spiegare i motivi della sua decisione all'altra
parte". Nel CETA è obbligatorio ... 14.”lo svolgimento di programmi di ricerca cooperativa, al fine
di: (d) stabilire, se del caso, una base scientifica comune;”.
Questo potrebbe essere un attacco al principio di precauzione? Anche se questo principio è
sancito nella legislazione canadese, contrariamente agli Stati Uniti che non abbracciano il concetto,
ci sono interessi corporativi fortemente impegnati per sbarazzarsi di questo principio in tutto il
mondo. E anche se questa non è l'intenzione del negoziatore, potrebbe essere una porta aperta per
attaccare questo principio in futuro. Perché non proteggere in modo esplicito questo principio?
In concreto, non è menzionato una volta nelle 1600 pagine di CETA né nel TTIP.
L'attuale progetto non affronta come i legislatori statali e le autorità di regolamentazione saranno
costretti a rispettare i molti obblighi previsti dal presente capitolo. In particolare, non è chiaro se la
mancanza di conformità potrebbe essere soggetta alla composizione delle controversie richiesta
dall'Unione europea, o da un investitore utilizzando il meccanismo di risoluzione delle
controversie investitore-Stato (ISDS) previsto sia nel CETA sia nel TTIP.
Le introduttive "Note Generali" osservano che le procedure di cooperazione regolamentare
"potrebbero non prestarsi all'applicazione delle regole di composizione delle controversie." Le note
suggeriscono "un monitoraggio e un reporting regolare ", in cui coinvolgere i ministri del
commercio dell'UE e degli Stati Uniti in un possibile meccanismo di applicazione. Che dire dei
cittadini? Che dire dei Parlamenti?
Le Indicazioni geografiche (IGs)
La violazione delle IGs, insieme al business dei falsi prodotti italiani, secondo Coldiretti, ha un
costo per l’Italia di oltre 60 miliardi di euro all'anno. Gli Stati Uniti sono da sempre il principale
avversario del programma GI sostenuto dall’Europa in tutte le sedi commerciali. Se diamo uno
sguardo più da vicino al testo del CETA, però, scopriamo che nell’allegato 1, parte A, sulle IGs
abbiamo concordato un elenco di 173 indicazioni geografiche da proteggere. Alla fine di Ottobre
2014 le IGs agroalimentari tutelate dalla UE erano 1.438. Le IGs protette invece dell’accordo CETA
sono solo 41. Le IGs italiane protette a livello europeo sono 275 (270 sono quelle registrate nel sito
del Ministero dell'Agricoltura).
Si potrebbe sostenere che le IGs escluse non sono rilevanti ai fini dell'esportazione. In questo
modo, in ogni caso, stiamo accettando che i territori o le piccole e medie imprese che potrebbero
essere interessati a esportare uno dei prodotti esclusi a causa della possibilità che presumibilmente
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dovrebbero avere grazie al CETA, non possono farlo, e/o non possono evitare il rischio di pirateria
alimentare in casa e all’estero. Si perché nessuno potrà più impedire ad una copia canadese anche
malfatta di uno dei prodotti esclusi dalla lista, di circolare liberamente in casa nostra.
In relazione alle IG europee come Asiago, Feta, Fontina, Gorgonzola e Munster, il Canada non sarà
obbligato a prevenire l’uso di questi nomi di prodotti, se questi nomi fossero accompagnati dalle
parole "genere", "tipo", "fatte come", "imitazione" o " simile ", in combinazione con una indicazione
visibile della vera origine. Inoltre, i produttori canadesi di formaggio che hanno utilizzato questi
"nomi comuni" prima 18 ottobre 2013, ed i loro successori e aventi diritto, possono continuare a
farlo.
Nell'articolo 7.7 del CETA abbiamo anche deciso che. in linea di principio un'indicazione
geografica non verrà aggiunta alla lista, se si tratta di un nome che, alla data di approvazione del
CETA, fosse già "registrata" dalla UE. Questa singola disposizione nega, quasi sicuramente, che
circa 1.265 GIs dell'Unione possano ottenere adeguata protezione o crescita in Canada. E 'difficile
trovare una base economica, sociale, politica o intellettuale accettabile per questo approccio.
Le Piccole e Medie Imprese
Ci sono circa 20 milioni di piccole e medie imprese nell'Unione europea, che rappresentano il 58%
del suo valore aggiunto lordo e il 67% dei posti di lavoro.
Solo lo 0,7% delle PMI europee esporta verso gli Stati Uniti e il valore dei beni e servizi esportati è
inferiore al 2% del valore aggiunto prodotto dalle PMI europee nel loro complesso.
Il TTIP potrebbe avere un effetto destabilizzante su di loro perché parte significativa del
commercio intracomunitario (che rappresenta l’unico mercato di sbocco per la maggior parte delle
PMI europee) verrebbe saturata dalle esportazioni degli Stati Uniti.
Il TTIP favorirbbe l'importazione di prodotti a buon mercato degli Stati Uniti, anche se prodotti a
condizioni lavorative e qualitative inferiori, e sosterrebbe l’ingresso dei grandi gruppi
transatlantici nei mercati europei in cui le PMI, al contrario, oggi sono forti. Negli ultimi mesi,
numerose piccole e medie imprese europee hanno espresso la loro preoccupazione, sia
individualmente che collettivamente, rispetto ai potenziali rischi per la loro attività che i negoziati
in corso potrebbero rappresentare. Per ottenere una migliore comprensione di questa
problematica, diverse organizzazioni, e in particolare il Comitato economico e sociale europeo,
hanno raccomandato che la Commissione europea effettuasse una valutazione dettagliata degli
impatti che il TTIP avrebbe in ogni Paese e ogni settore. Fino ad oggi, questa legittima richiesta
rimane senza risposta.
Il TTIP, d’altro canto, è promosso come il primo accordo che includa un capitolo speciale dedicato
alle piccole e medie imprese. Ma ancora, le proposte conosciute riguardanti questo capitolo sono
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limitate a richiedere la creazione un sito di informazione e di un help-desk per spiegare alle PMI
come possono beneficiare maggiormente del trattato. Siti specializzati sono già disponibili per
facilitare il commercio con la Cina e il Giappone, con i quali non esiste alcun accordo commerciale,
e uno strumento equivalente potrebbe essere sviluppato per aiutare le PMI europee nel commercio
negli Stati Uniti, qualunque fosse l'esito dei negoziati.
TTIP e Obiettivi di “sviluppo sostenibile”
La proposta testuale (textual proposal) dell’Unione europea per un capitolo sullo sviluppo
sostenibile nel TTIP, è stata resa pubblica dalle organizzazioni della società civile durante il round
negoziale del 19-23 ottobre 2015. Solo in seguito, il testo è stato pubblicato anche dalla
Commissione europea. Non vi sono appigli, nel documento, che permettano di individuare un
reale impegno nell’applicare e implementare le disposizioni contenute negli accordi
internazionali sull’ambiente: dal protocollo di Kyoto a quello di Montreal, fino alla Convenzione
sulla biodiversità (CBD), non vi è traccia di una chiara volontà di anteporre il rispetto
dell’ambiente ai diritti degli investitori. Incrociando il testo negoziale con il position paper
(documento in cui la Commissione spiega la propria posizione nella trattativa), la Campagna Stop
TTIP Italia ha evidenziato diverse incongruenze. L’ottimismo che traspare dal documento di
posizionamento in merito al rispetto degli obiettivi climatici e ambientali non trova riscontro nella
textual proposal.
Nulla costringe le parti a vincolare il commercio alla tutela degli standard sulla biodiversità o a
specifici limiti di emissioni inquinanti: non esiste un tribunale legittimato a sospendere il TTIP in
caso di violazioni. Non è stata recepita la richiesta del Parlamento europeo di tutelare i governi
che legiferano in favore del clima dai ricorsi all’arbitrato da parte degli investitori. Strasburgo
aveva chiesto esplicitamente (risoluzione 14/10/2015, par. 80) alla Commissione di garantire che
«qualsiasi misura adottata da una Parte dell’accordo di Parigi relativamente all’obiettivo di
stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello tale da impedire pericolose
interferenze antropogeniche con il sistema climatico, o relativamente a qualsiasi dei principi o
degli impegni di cui agli articoli 3 e 4 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
cambiamenti climatici, non sarà soggetta ad alcun trattato esistente o futuro di una Parte nella
misura in cui esso ammette la risoluzione delle controversie tra investitore e Stato».
Ignorando queste raccomandazioni, l’esecutivo europeo espone l’Unione e gli Stati membri al
rischio di dover risarcire un investitore estero per il solo fatto di averlo costretto a impiegare
tecnologie o processi meno impattanti sull’ambiente. Un precedente illustre è rappresentato dalla
causa intentata tramite il NAFTA dalla Lone Pine Resources alla provincia del Quebec, rea di aver
impedito operazioni di fracking nelle acque del fiume San Lorenzo. In caso di condanna, il
risarcimento potrebbe raggiungere i 250 milioni di dollari. Inoltre, TTIP, CETA e TiSA rischiano
limitare sensibilmente la libertà degli Stati di erogare servizi fondamentali come la produzione e
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distribuzione dell’energia in base ad obiettivi di interesse pubblico, ad esempio sostenendo le
energie rinnovabili per combattere il cambiamento climatico. I legami tra le misure urgenti volte a
mitigare il riscaldamento globale e il commercio internazionale sono innegabili. Tuttavia, è stato il
Trade Policy Committee dell'Unione europea (TPC), il 20 novembre scorso, a diffidare la
delegazione comunitaria alla COP 21 di Parigi dall’inserire il commercio internazionale nei
negoziati.
La presa di posizione emerge da un documento reso pubblico dalle campagne Stop TTIP, in cui il
TPC dichiara che «l'UNFCCC non è la sede appropriata per discutere misure commerciali e ad
elaborare discipline complementari. La WTO è l’organismo internazionale cui è affidato questo
incarico, e ogni decisione relativa all'uso di misure commerciali nell'ambito dell'UNFCCC
pregiudicherebbe tale ruolo». In sintesi, «l’obiettivo dell'Ue è far sì che le decisioni della COP non
rechino alcuna esplicita menzione delle questioni commerciali e dei diritti di proprietà
intellettuale, e ridurre al minimo le discussioni relative alle questioni legate al commercio». Una
tale premessa mette a rischio gli obiettivi europei contenuti nel Pacchetto Clima-Energia 2030 e
l’implementazione delle raccomandazioni – pur non vincolanti – contenute nel documento finale
della COP 21. Tutto ciò è ancor più evidente dalla proposta Nel gennaio 2015, uno studio della
Commissione ITRE (Industria, Ricerca ed Energia) del Parlamento europeo ha rilevato che il
settore delle energie rinnovabili non avrebbe vantaggi da un inserimento nel TTIP. Sarebbero
invece tutt’altro che irrilevanti gli effetti negativi. In particolare, l’eliminazione dei Local Content
Requirements (LCR) pregiudicherebbe irreparabilmente la facoltà dei governi di sviluppare
industrie locali delle tecnologie per la sostenibilità. Questo perché due principi ispiratori di tutti
gli accordi internazionali sul commercio e gli investimenti – il “trattamento nazionale” la
“nazione più favorita” – non consentono di implementare misure volte a favorire la crescita di
filiere nazionali senza estendere sussidi o facilitazioni anche ai concorrenti esteri. È ragionevole
invece attendersi dei vantaggi per le compagnie produttrici di combustibili fossili, sia canadesi
che statunitensi. Il tutto, a danno delle politiche climatiche dell’Ue.
Attualmente, le uniche fonti di energia scambiate in quantità significative tra l'Unione europea e
gli Stati Uniti sono prodotti petroliferi raffinati e combustibili solidi. Ma il TTIP potrebbe
consentire all'Europa di ottenere l'accesso alle riserve americane di greggio e gas naturale. La
Commissione europea ha più volte sollecitato la scrittura di un capitolo su energia e materie
prime nel partenariato commerciale. Per facilitare le importazioni di petrolio da sabbie
bituminose dal Canada (uno dei combustibili più “sporchi” del mondo), l’esecutivo Juncker ha
anche modificato l’articolo 7bis della Direttiva sulla qualità dei carburanti (FQD), la 2009/30/EC.
Questo ritocco abolisce il sistema di etichettatura stabilito dal testo precedente al dicembre 2014, e
rende impossibile scoraggiare il commercio del petrolio ricavato dalle materie prime più
inquinanti. Una ricerca del Natural Resources Defense Council (NRDC) mostra che, se non si
metteranno in campo politiche per scoraggiarne il consumo, le sabbie bituminose varranno, entro
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il 2020, fra il 5.3% e il 6.7% del carburante per il trasporto utilizzato nell'Unione europea. In fatto
di emissioni, sarebbe come aggiungere 6 milioni di auto sulle strade.
TTIP e occupazione
Assicurare lo sviluppo sostenibile, richiedendo le parti a proteggere i diritti fondamentali dei
lavoratori e dell'ambiente, compreso il ricorso alla composizione delle controversie commerciali e
alle sanzioni, se necessario, sarebbe da parte della Commissione europea un approccio coerente
all’inserimento del tema del lavoro nel TTIP. Purtroppo questo approccio è completamente
assente.
Nel testo del TTIP sullo sviluppo sostenibile sono elencate un sacco di convenzioni internazionali
dedicate, ma l'applicazione delle loro disposizioni non minimamente prevista. Le norme in materia
di protezione dei lavoratori non dovrebbero in alcun modo essere considerate barriere
commerciali. Il TTIP non dovrebbe compromettere le disposizioni per la protezione dei lavoratori
presenti in leggi, regolamenti o accordi collettivi, né diritti sindacali collettivi come la libertà di
associazione, il diritto alla contrattazione collettiva e il diritto di intraprendere azioni sindacali, che
la legislazione Statunitense al momento non protegge adeguatamente. Il TTIP dovrebbe garantire
che tutte le parti adottino, mantengano e facciano rispettare le otto convenzioni fondamentali
dell'Organizzazione internazionale del lavoro per tutti i lavoratori, nonché l'agenda della loro
implementazione. In altre parole, il TTIP non dovrebbe solo innalzare gli standard per coloro i cui
diritti attualmente non sono all'altezza delle richieste della Comunità internazionale, ma si
dovrebbe creare un sistema per il miglioramento continuo della normativa esistente.
La manifestazione europea a Berlino che ha visto la prevalente presenza dei sindacati e dei
lavoratori tra i manifestanti, mostra la crescente attenzione dei lavoratori per l'impatto globale
degli accordi commerciali sull'occupazione, la qualità e la sostenibilità della crescita, l'equilibrio di
potere e democrazia / partecipazione dei cittadini. Un aumento della disoccupazione con 600 mila
posti di lavoro persi in tutta Europa, contrazione del Pil e riduzione dei salari diffusa con prime
vittime illustri come Francia, Regno Unito e Germania. Questo lo scenario che si prospetta secondo
Jeronim Capaldo, ricercatore della Tufts University (Massachusetts) e presso l'Organizzazione
internazionale del lavoro (Ilo), agenzia specializzata delle Nazioni Unite. "I nostri risultati sono
totalmente diversi da quelli commissionati dalla Commissione europea", ha detto Capaldo
presentando al Parlamento europeo di Bruxelles il risultato del suo studio che, applicando il
Global policy model delle Nazioni Unite, simula l’impatto del Ttip sull’economia globale.
"Sul lungo termine il Ttip sembra essere un passo nella direzione sbagliata - ha avvisato Capaldo -
perché non rappresenta di fatto una strategia di crescita sostenibile per l'Unione europea nel suo
complesso"."Gli studi richiesti dalla Commissione europea negli scorsi due anni sono molto
limitati da alcune ipotesi - ha spiegato Capaldo - per esempio partono dall'idea che il Ttip non avrà
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alcun impatto sull'occupazione, di conseguenza non prevedono che possano esserci perdite di
reddito e quindi di potere d'acquisto da parte di consumatori e delle famiglie".
Usando un modello che non soffre di limitazioni, secondo Capaldo, i risultati sono radicalmente
diversi. "Una differenza qualitativa importante - ha spiegato il ricercatore - è che mentre gli studi
della Commissione Ue indicano una piccola crescita, il modello delle Nazioni Unite indica una
piccola riduzione. Allo stesso tempo ci sarebbe una perdita di occupazione, di circa 600 mila posti
di lavoro nel giro di 12-15 anni. Altra conseguenza sarebbe una perdita della quota di reddito che
segue una tendenza destabilizzante che va avanti da quasi 20 anni".
La liberalizzazione degli scambi non è un valore in sé: deve servire una strategia di crescita
sostenibile coerente con gli impegni che emergono da tutti i fora multilaterali. Una strategia di
crescita orientata solo all'esportazione non è efficace contro la disoccupazione, aumenta la
disuguaglianza mentre il sostegno ad una più forte domanda interna è una priorità in particolare
per le piccole e medie imprese. Un approccio basato sul concetto "liberalizzare e deregolamentare
il commercio è la prima priorità, poi qualcuno si prenderà cura di tutto il resto" non è accettabile.
Per questo abbiamo bisogno di una seria valutazione dell'impatto di qualsiasi accordo
commerciale sulla qualità e quantità dell'occupazione; sull'ambiente e lo sviluppo sostenibile; sulla
capacità dei governi di avere uno spazio politico per le politiche economiche attraverso il suono
procedure democratiche.
TTIP, Servizi e servizi pubblici
Nel mandato negoziale reso pubblico dopo le pressioni della società civile, a pag. 6, par. 15 sono
stabilite le linee guida per la liberalizzazione del settore dei servizi. A tal proposito, la base di
partenza dei negoziatori europei viene individuata nel GATS (General Agreement on Trade in
Services). Inoltre, il mandato specifica che «i servizi prestati nell'esercizio delle funzioni
governative, come definiti dall'articolo 1.3 del GATS, sono esclusi dai negoziati».
Questo, tuttavia, non significa che il TTIP non contempli la possibile privatizzazione dei servizi
pubblici, in quanto è necessario chiarire quale definizione di “servizio” adotti la Commissione
europea. Il riferimento al GATS è chiaro: nel capitolo 1.3 richiamato dal mandato negoziale è
scritto quanto segue: «[il termine] ‘servizi’ include qualunque servizio in qualsiasi settore eccetto i
servizi forniti nell’esercizio dell’autorità governativa»; «[la formula] ‘servizio fornito nell’esercizio
dell’autorità governativa’ indica tutti i servizi che non vengono erogati né su base commerciale, né
in competizione con altri prestatori di servizi».
È noto come oggi, nel settore dei servizi come in tutti gli altri, le aziende private competano molto
spesso con i fornitori pubblici. Né l’istruzione, né la sanità, né altri settori fondamentali come
l’energia, i servizi idrici, i trasporti pubblici e i rifiuti risultano dunque esclusi dalla
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liberalizzazione, ai sensi dell’art. 1.3 del GATS su cui si basa la Commissione Ue per definire
l’ambito della trattativa. In tutti questi ambiti, l’erogazione del servizio può essere effettuata anche
da soggetti diversi dall’autorità di governo, e la fornitura avviene a fronte di un corrispettivo
economico. Per l’Italia, questo si traduce in una salvaguardia di appena quattro settori:
l’amministrazione della giustizia, la difesa, l’ordine pubblico e la definizione delle rotte aeree
internazionali.
Le preoccupazioni della Campagna Stop TTIP sono avvalorate dal capitolo del CETA
(Comprehensive Economic and Trade Agreement) relativo ai servizi. Il testo consolidato
dell’accordo Ue-Canada è stato reso pubblico nel settembre 2014. Se ratificato dal Parlamento
europeo, il CETA diventerà il primo trattato bilaterale sul commercio e gli investimenti ad adottare
un approccio basato sull’“elenco negativo”. Ciò significa che tutti i servizi sono soggetti a
liberalizzazione a meno che non venga stabilita esplicitamente un’eccezione. Si tratta di un
cambiamento radicale rispetto agli “elenchi positivi” utilizzati finora nei negoziati commerciali
dell'Unione europea, che contengono solo quei servizi che i governi hanno accettato di
liberalizzare, lasciando inalterati gli altri settori. L'approccio “negativo” amplia notevolmente il
campo di applicazione, dal momento che le autorità avrebbero grosse difficoltà a elencare tutti i
servizi da non includere nella trattativa, tanto più che in futuro emergeranno nuovi tipi di servizi
oggi inesistenti.
Che il CETA sia la base di partenza del TTIP è stato più volte affermato dalle dichiarazioni
pubbliche del governo italiano e della Commissione europea. Questo espone il nostro Paese e tutti
gli Stati membri dell’Unione a una profonda apertura del mercato dei servizi potenzialmente
irreversibile. Questo perché, nel testo consolidato del CETA, si fa esplicito riferimento alle clausole
“ratchet” e “standstill”: la prima sancisce l’impegno delle parti a non applicare nuove
discriminazioni nella legislazione nazionale (a meno che una parte abbia formulato delle riserve
specifiche nella sua lista di impegni). La seconda equivale alla promessa di non adottare nella
legislazione nazionale misure più restrittive rispetto a quelle contenute nell’accordo.
Tali clausole restringono lo spazio di azione degli Stati in un momento in cui la tendenza alle
rinazionalizzazioni dei servizi privatizzati è spesso invocata dai cittadini: lo si vede relativamente
al settore idrico in Francia, Germania, Italia, Spagna, Svezia e Ungheria, alle reti energetiche in
Germania e Finlandia, ai servizi di trasporto nel Regno Unito e in Francia.
Aprire il mercato degli appalti pubblici agli investitori statunitensi potrebbe inoltre limitare la
capacità dei governi di sostenere i fornitori locali e le organizzazioni non-profit, favorendo invece
fenomeni di travaso occupazionale dal settore pubblico alle imprese private, con un potenziale
peggioramento della retribuzione e delle condizioni di lavoro.
Anche se il governo italiano e la Commissione europea hanno più volte ribadito che gli accordi
TTIP e CETA non impatteranno negativamente sul diritto a legiferare degli Stati (“right to
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regulate”), è innegabile che il sistema sopradescritto metta dei paletti piuttosto evidenti alla libertà
di produrre normative (“ability to legislate”) delle autorità nazionali e locali. Senza contare che, nel
caso un regolatore decidesse di intraprendere la rinazionalizzazione di un servizio o di modificare
le normative relative ad un settore con effetto sui profitti degli investitori esteri, potrebbe andare
incontro ad una causa arbitrale. Nell'ambito del sistema di risoluzione delle controversie tra
investitore e Stato, migliaia di imprese statunitensi e canadesi (ma anche le stesse multinazionali
europee che investono attraverso società controllate dall'altra parte dell'Atlantico) potrebbero
citare in giudizio l'Ue e gli Stati membri reclamando l’applicazione delle clausole inserite nel
capitolo sui servizi dei trattati bilaterali. Al di là delle ingenti spese legali, in caso di sconfitta il
regolatore potrebbe dover compensare il prestatore di servizi privato con risarcimenti
virtualmente illimitati.
L’Associazione dei magistrati tedeschi che dice “no” all’arbitrato riformato
Ad inizio febbraio, la Deutsche Richterbund (DRB), la più grande delle tre associazioni di
magistrati tedesche, ha emesso il suo parere relativamente all’istituzione di un tribunale per gli
investimenti nel TTIP. La valutazione prende le mosse dalla proposta avanzata dalla Commissione
europea il 16 settembre 2015 e perfezionata il 12 novembre 2015.
Secondo il DRB, non esiste una base giuridica né vi è la necessità di un tale sistema di risoluzione
delle controversie tra investitori e Stati. L’ipotesi chiaramente implicita nella proposta di istituire
una Corte internazionale per gli investimenti, infatti, è che i giudici negli Stati membri dell’Unione
europea non siano in grado di garantire la tutela giurisdizionale effettiva degli investitori esteri.
Questa affermazione, per i magistrati tedeschi, è priva di basi fattuali.
Qualora i partner negoziali avessero individuato debolezze nel sistema giudiziario di uno o più
Stati membri, queste lacune dovrebbero essere sollevate davanti ai legislatori nazionali e
chiaramente definite. A quel punto, spetterebbe a loro vagliare la questione ed eventualmente
rimediare entro il collaudato sistema di tutela legale nazionale ed europeo. La creazione di
tribunali speciali per determinati gruppi di contendenti non è il modo corretto di procedere.
Inoltre, l'associazione invita i legislatori tedeschi e comunitari a frenare in modo significativo il
ricorso all'arbitrato nel quadro della tutela degli investitori internazionali.
L’ICS compromette il sistema giudiziario europeo e nazionale
Secondo la definizione contenuta nella proposta europea per un Investment Court System (ICS),
gli investimenti si estendono a qualsiasi tipo di asset: ad esempio azioni, quote di società, diritti di
proprietà intellettuale, beni mobili e crediti (capitolo II, Definizione x2). La tutela giuridica degli
investimenti sconfina quindi dal diritto civile in quello amministrativo, nella legislazione sociale e
fiscale. Il nuovo tribunale internazionale per gli investimenti acquisirebbe dunque competenza
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giudiziaria in queste aree, con la facoltà di istruire processi intentati dagli investitori esteri qualora
questi ravvisassero una violazione dei loro diritti di tutela.
L’associazione dei magistrati tedeschi nutre seri dubbi il merito alla competenza dell'Unione
europea di istituire un tribunale per gli investimenti. Ciò costringerebbe infatti l'Unione e gli Stati
membri, dopo la conclusione di un accordo, a sottomettersi alla giurisdizione di un ICS e
all'applicazione di alcune procedure internazionali scelte dal querelante (art. 6 par. 5 sottopar. 1,
art.7 par. 1).
Inoltre, le decisioni dell’ICS sono vincolanti (art. 30 par. 1), fatto che non solo limiterebbe i poteri
legislativi dell'Unione e degli Stati membri; potrebbe anche alterare il loro sistema giudiziario. Il
DRB ritiene che non vi sia alcuna base giuridica per una tale modifica da parte dell'Unione. L'ICS
diverrebbe un tribunale al di fuori del quadro istituzionale e giurisdizionale dell'Unione, dal
momento che essa già possiede un sistema completo di rimedi legali e procedure organizzato per
garantire la verifica di legalità degli atti delle istituzioni.
Se una decisione del tribunale per gli investimenti dovesse violare il diritto dell'Unione europea,
essa non potrebbe essere oggetto di una procedura di infrazione, né potrebbe dar luogo a richieste
di risarcimento da parte di uno o più Stati membri. Di conseguenza, un ICS ha l’effetto di privare i
tribunali degli Stati membri dei loro poteri in relazione alla interpretazione ed applicazione del
diritto dell'Unione europea. Allo stesso modo, impedirebbe alla Corte europea di Giustizia di
esercitare pienamente i suoi poteri in relazione alle corti nazionali e, di conseguenza, altererebbe il
carattere essenziale dei poteri che i Trattati conferiscono alle istituzioni dell'Unione europea e agli
Stati membri. Poteri indispensabili alla conservazione della natura stessa del diritto dell'Unione
europea.
L’indipendenza dei giudici non è garantita
I magistrati tedeschi sono molto chiari su questo punto: la procedura proposta per la nomina dei
giudici dell’ICS non soddisfa i requisiti internazionali per l'indipendenza dei tribunali. Nel loro
parere si legge chiaramente che questo trbunale non ha tanto le fattezze di una corte
internazionale, quanto piuttosto quelle di una Corte permanente di arbitrato.
La Magna Charta dei Giudici del Consultative Council of European Judges (CCJE) – competente in
materia di indipendenza, imparzialità e ruolo dei giudici negli Stati membri del Consiglio
d’Europa – è stata adottata il 17 novembre 2010. Essa stabilisce che i giudici debbano essere
indipendenti in termini professionali e finanziari (par. 3). Le decisioni sulla loro selezione, nomina
e carriera devono basarsi su criteri oggettivi e essere prese in modo tale da garantire
l'indipendenza (par. 5).
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Ma secondo il DRB, la proposta della Commissione europea per la creazione di un Investment
Court System nel TTIP non soddisfa questi criteri. Infatti – nonostante le decisioni dell’ICS non
investano soltanto il diritto civile, ma anche quello amministrativo, del lavoro, sociale e fiscale –
Bruxelles suggerisce di selezionare i giudici dal gruppo di esperti in diritto pubblico internazionale
e diritto internazionale degli investimenti con esperienza nella risoluzione delle controversie
commerciali internazionali (art. 9 par. 4). In tal modo, restringe notevolmente il pool di candidati,
accantonando l’expertise competente in tutti gli altri settori della legislazione.
Con il loro parere, i magistrati tedeschi confermano i timori della società civile: il gruppo dei
giudici dell’ICS sarà limitato alla cerchia di persone già impegnate nell’arbitrato
internazionale. Questa impressione è rafforzata dal fatto che il processo di selezione non è ancora
illustrato nel dettaglio. Allo stato attuale, dunque, la proposta testuale della Commissione Ue non
garantisce in alcun modo l’indipendenza dei giudici. Infine, il DRB esprime preoccupazioni anche
per l’indipendenza tecnica e finanziaria dei candidati. Per loro, la Commissione europea prevede
un mandato di sei anni con la possibilità di rinnovo, un onorario mensile di circa € 2.000 per i
giudici di primo grado e di € 7.000 per quelli d’appello, più un rimborso spese in caso di servizio
effettivo (art. 9 par. 12 e art. 10 par. 12).
5. LE NOSTRE RICHIESTE:
- Che il Parlamento stimoli un dibattito parlamentare e pubblico all’altezza delle nostre
preoccupazioni
- Che ospiti un dibattito tra parlamentari e società civile italiana
- Che reclami l’apertura della sala di lettura con un livello di trasparenza maggiore rispetto a
quello cui devono sottostare i parlamentari tedeschi
- Che chieda al governo la riattribuzione delle competenze in materia di TTIP, finora detenute
dall’ex vice ministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda, e che convochi subito presso il
Ministero il tavolo formale di confronto con la società civile sui negoziati commerciali, mettendo il
TTIP all’ordine del giorno.
- Che a questo tavolo deve partecipare una delegazione parlamentare rappresentativa, e gli esiti
della discussione vengano comunicati e discussi in Parlamento con evidenza
i European Commission, 2013, Commission staff working document: Impact Assessment Report on the future of EU-US trade relations, Strasbourg, 12 March 2013, SWD(2013) 68 final http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-20150252+0+DOC+XML+V0//IT