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SOSTENIBILITà COMPATIBILE Numero ISSN 2240 - 0699 CAFFE’ IN CAPSULE: SECONDO NATURA?

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sostenibilità compatibile

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caffe’ in capsule: secondo natura?

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Il recupero, il riciclo e il riutilizzo non bastano a far sì che anche l’imballaggio faccia parte di un sistema economico sempre più circolare. Insieme al contenuto, anche il contenitore stesso, nella provenienza sua o dei suoi materiali, può e deve contribuire alla costruzione di un’economia sostenibile dal punto di vista

economico ed ambientale, come accennato nei due lunghi articoli di questo numero dedicati al packaging equo-solidale e agli impatti del caffè.

In questi giorni, sulla stazione spaziale è in funzione la macchina per il primo caffè espresso extra-terrestre (italiana la macchina, italiana la miscela). Con gli occhi degli/delle astronauti/e proviamo ad osservare la terra e riflettiamo sul fatto che il nostro pianeta è troppo piccolo per permettersi di produrre rifiuti ingestibili. L’unica economia possibile è quella circolare.

Quindi, sempre in tema di spazio, ce n’è abbastanza per aprire il tema ancora poco affrontato degli impatti sociali: è da considerare la qualità della vita dei lavoratori dei paesi in via di sviluppo, ma anche quella dei lavoratori delle aziende in crisi nei paesi evoluti. Il packaging in Italia dà lavoro ad oltre 100mila persone. E nel mondo? E che qualità della vita consente nei paesi in via di sviluppo?

Notizie dallo spazio

EDITORIALE

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STRUMENTI

Normativa • Normapro-bambino perlemonodosisolubili 11 Analisi e metodi • L’uomoalcentro conilpackequo-solidale 12 • Percorsiinnovativi prediconolasolvibilità 18Ricerca e sviluppo • Versounnuovo“EPSverde”? 20

Normativa Paolo Pipere, Esperto in Diritto Ambientale e Coordinatore Master in Diritto e Gestione dell’Ambiente, Il Sole 24 Ore

Energia e fonti rinnovabiliPiercarlo Romagnoni, Professore Ordinario di Fisica Tecnica Ambientale, Università IUAV di Venezia- Dipartimento Unico della Ricerca

LCA Giovanni Dotelli, Professore Associato, Dipartimento di Chimica, Materiali ed Ingegneria Chimica “G. Natta”Politecnico di Milano

Materiali polimerici ecocompatibiliEmo ChielliniProfessore Ordinario (titolo gratuito) di Fondamenti Chimici delle Tecnologie, Università di Pisa-Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, e Coordinatore Gruppo di Ricerca BIOlab

Ricerca & SviluppoGiulio Ghisolfi Packaging System Integrator & Advisor

Approccio sistemicoFranco FassioRicercatore presso l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche - Pollenzo (CN)

Food processing & packaging Marco Luzzini Professore a contratto presso il Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Università degli Studi di Parma Design sostenibileLaura Badalucco, Direttore del corso di laurea in Disegno Industriale dell’Università IUAV di VeneziaNaoko Shintani, Progettista specializzata in design sostenibile

QualitàAntonio Scipioni, Professore Associato Dipartimento Processi Chimici dell’Ingegneria e Direttore Scientifico del Centro Studi Qualità e Ambiente-CESQA Università degli Studi di Padova

MercatiAntonio SaviniConsulente studi di mercatoASEtudes (Francia)

Com.PAck siavvalediuncomitatodicontrolloeverificadeicontenutichevienecoinvoltocollegialmenteosingolarmente.Nefannoparte:

Finanziamenti • Uncrowdfundingmigliore persviluppareideeePMI 22 APPLICAZIONI

Prevenzione • Versoscarti‘0’perisacchi 27Automazione • Scarsitàdienergiaerisorse? ArrivaIndustry4.0… 28

SPECIALE CAffE’ 31

CONSUMATORI & SOCIALE

Autismo •Storiedichiusureediaperture… 52Ricariche •Ricariche?Unaquestione‘etica’ 54

TRE Trattamenti, Rifiuti, Energia

Trattamenti •Rifiuti,energiaeacqua: sipuòfaredipiù 58Energia •Tecnologiesubitopronte chesiauto-finanziano 60 •SPA:sostenibilitàperazione 62 •Rinnovabili:tecnologie piùaccessibilima… 63 RUBRICHE

•Appunti 5,7,9

SOmmariO

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OM - via Euripide 7 - 20145 [email protected]. 0291534731 - fax 178 2264489

Ideazione e organizzazione

Luigi Bonizzi - Ambrogina Pagani Università degli Studi di MilanoAmina Ciampella - Tecnologa alimentare - Presidente dell’Ordine dei Tecnologi alimentari Lombardia e LiguriaGiorgio Giraffa - Centro Ricerca per leProduzioni Foraggere e Lattiero-CasearieErasmo Neviani - Nicoletta PellegriniUniversità degli Studi di ParmaAntonio Trifirò - Stazione Sperimentaleper l’Industria delle Conserve Alimentari di Parma

patrocini

In-FormareLa quaLità deL cibo a convegno

Motivazioni di carattere commerciale, logistico, nonché doverose riflessioni sulla sostenibilità inducono a interrogarsi sulla shelf life dei prodotti alimentari. Il tema è affrontato attraverso lezioni e simulazioni pratiche, per dare ai corsisti gli strumenti che permettano di conoscere come predire, migliorare e allungare la vita a scaffale dei prodotti alimentari.

Laboratorio di shelf life predittiva: utilizzare i software disponibili in rete, validare i modelli attraverso challenge testElena Dalzini - Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna

Il ruolo del packaging nel prolungamento della shelf life: le novità dalla ricercaSara Panseri - Dipartimento di Scienze veterinarie e sanità pubblica - Università degli Studi di Milano

Le soluzioni di imballaggio più efficaci nel prolungamento della shelf life: il panorama attuale. Presentazione di esempi pratici

Valeria Viganò - Application Expert Customer Innovation Group Sealed Air

L’utilizzo dei trattamenti termici post-packaging nell’estensione della shelf life di prodotto. Presentazione di casi pratici

Simone Anghinetti - Area Sales ManagerLevati Food Tech

La shelf life secondaria: la gestione degli ingredienti in azienda dopo l’apertura delle

confezioniMaria Cristina Nicoli - Scienze e Tecnologie Alimentari

Università degli Studi di Udine

La shelf life negli standard di certificazione internazionali Costanza Bevilacqua - Tecnologo Alimentare abilitato

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APPUNTI

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Patate fritte più ‘light’Lamb Weston/Meijer, multinazionale dei prodotti a base di patate (6.200 addetti, 3,1 milioni di tonnellate di prodotto, 10 milioni di porzioni di pata-te fritte al giorno in Europa), ha pubblicato il suo terzo rapporto sulla soste-nibilità Rispetto agli obiettivi iniziali del 2008, si è registrata una riduzione annua del 7% (o 285 milioni di litri) del consumo diretto di acqua, una ridu-zione annua del 21% del consumo diretto di energia e un aumento annuo del 4,3% della resa nell’utilizzo di patate. Spiegati in altri termini di paragone, ogni anno si risparmia l’acqua di 114 piscine olimpioniche e l’energia utilizzata da 11.000 abitazioni; inoltre si consumano 51.600 tonnellate di patate in meno per realizzare lo stesso prodotto finito. Sono stati anche ridotti a zero i rifiuti da discarica. Attual-mente il 99,7% dei prodotti secondari e dei flussi di scarico, pari a 300.000 t di materiali prevalentemente a base di patate, viene recuperato.

Monouso o riusabili?Il mercato dell’e-commerce B2C ha movimentato nel 2014 circa 9,5 milioni di pacchi mensili (tranne che nei mesi estivi), con un incremento del 16% ri-spetto al 2013, quando i pacchi medi mensili consegnati a fronte di un ac-quisto online erano di circa 8 milioni. L’84% dei beni fisici è consegnato a casa, mentre il 7,4% è ritirato nel luo-go di lavoro. Le consegne “same day” o nelle 24 ore riguardano l’8% degli ac-quisti ritirati e l’1% di quelli consegna-ti (Fonte: Consorzio Netcomm, Libro Bianco sulla logistica nell’e-commerce).

Biodegradabile per il mieleVasetto addio? Sicuramente no, o al-meno non a breve, ma alla fiera Bio-fach a Norimberga, Conapi propone una confezione alternativa per il pro-prio miele a marchio Mielizia realiz-zata in carta 100% biodegradabile. Questo packaging, ideato dall’area ricerca e sviluppo di Conapi, è di carta accoppiata con acido polilattico (PLA) derivato dalla canna da zucchero. Il tutto è compostabile. Inoltre, il forma-to da 100 g è pratico e versatile, ideale sia per i consumatori amanti del miele nelle sue molteplici varietà, che posso-no così alternare più frequentemente il consumo, sia per chi vuole esplorare nuove tipologie, senza l’impegno del grande formato. Così il rischio di spre-co è minimo. Il vasetto sarà in vendita in Italia da marzo.

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Rete verde d’impreseSi è costituita la rete di imprese Symbios (acronimo per System for Market BIOeconomy Solution), net-work incentrato su servizi integrati di turismo tecnico-scientifico nei settori della filiera agro-alimentare, della green chemistry, delle scienze del-la vita e più in generale, della b io - e conomia . La rete è costitui-ta da 8 aziende (5 milanesi e 3 extra provincia), appartenenti a settori che spaziano dalla chimica verde all’agro-food, dal project management all’ICT. Oltre a Consorzio Italbiotec, capofila

ed ente pubblico-privato senza scopo di lucro, impegnato nella promozione del settore Biotech mediante la colla-borazione tra università e imprese, è presente Austep, società di ingegne-ria specializzata nella progettazione

e realizzazio-ne, gestione e controllo di impianti di depurazione acque e im-pianti per la produzione di

biogas e biometano da sottoprodot-ti agricoli e FORSU. Della rete fanno parte Incoming Partners, Parco Tec-nologico Padano, Neuroniagrari, CPC Biotech, Bict e AIQwerty.

Bottiglie dal legnoInsieme a EcoXpac, l’Innovation Fund Denmark e il Politecnico danese, Carlsberg sta studiando Green Fiber Bottle, una bottiglia tutta biodegradabile (corpo, chiusura ed etichetta) a partire da fibra di legno (polpa di cellulosa). Il gruppo, quarto produttore mondiale di birra con base a Copenhagen e 99 stabilimenti a copertura di 150 nazioni nel mondo, ha fatto del modello di eco-nomia circolare il contesto strategico del proprio sviluppo.

Birra geotermicaDopo il basilico, il formaggio e i salumi prodotti con utilizzo del calore geoter-mico proveniente dalle centrali di EGP, il ‘menù delle rinnovabili’ della Tosca-na si è da poco arricchito di una “bir-ra prodotta con processo totalmente rinnovabile grazie al vapore geotermi-co di Enel Green Power”, come recita l’etichetta delle nuove bottiglie mes-se in commercio dall’azienda Vapori di Birra di Sasso Pisano, nel comune di Castelnuovo Val Di Cecina. Magma, Gesyer e Sulfurea sono i nomi delle tre birre prodotte grazie al processo di fermentazione che utilizza le tempe-rature messe a disposizione dal calore geotermico.

APPUNTI

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CAC ConaiScendono i Contributi Ambientali per gli imballaggi in acciaio e legno e per alcune procedure forfettarie. La riduzione sarà operativa a partire dal 1° apri-le 2015. Il Contributo per l’acciaio passerà dagli attuali 26,00 Euro/ton a 21,00 Euro/ton, il Contributo per il legno da 8,00 Euro/ton a 7,00 Euro/ton. Intatta la qualità del servizio di ritiro dei rifiuti urbani di imballaggio sull’intero territorio nazionale e il riconoscimento ai Comuni dei corrispettivi previsti dal nuovo Accordo Quadro ANCI-CONAI.

Riciclo e usi creativiLegno e Rilegno è il progetto che fa conoscere le potenzialità di recupero e riciclo del legno. Fino a luglio 2015 Rilegno coinvolgerà in tutta Italia locali di tendenza e attenti all’ambiente, per dare vita a un concorso su Instagram che valorizzi la risorsa legno e informi sulle buone pratiche che riguardano il suo recupero e riciclo. Le foto migliori riceveranno in riconoscimento un pre-mio originale di legno. Intanto il con-sorzio ha distribuito cassette in legno di piccolo formato (20x20 e 20x30 cen-timetri) a “marchio riciclo”, da mettere in mostra, evidenziando come questi imballaggi possano avere gli usi più diversi: vassoi per gli aperitivi, allesti-mento di un angolo del locale, cestini per il pane. Inoltre, a Bologna, Milano e Roma, fra marzo e giugno, si terranno 3 laboratori creativi sull’uso del legno d’imballaggio da riciclo.

Tutor alimentareNasce a Milano la prima rete dei tutor del cibo. Ogni giorno, dal lunedì al venerdì, in uno dei dodici farmers’ market di Campagna Amica aperti dalla Coldiretti sul ter-ritorio metropolitano i con-sumatori potranno contare su uno specialista al quale chiedere consigli su come scegliere, conservare e uti-lizzare carne, salumi, frutta, verdura, miele, formaggi di capra e di mucca, olio e vino. Ci sarà anche un tutor degli orti che spiegherà come or-ganizzare una piccola colti-vazione su un terreno oppu-re sul balcone di casa.

APPUNTI

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Tracciabilità e logistica:soluzioni per l’industria

mcT Visione e Tracciabilità è l’evento verticale di una giornata sulle tecnologie e le soluzioni per l’industria. I leader di mercato danno appuntamento a un pubblico qualificato composto da CIO, supply chain manager, responsabili di produzione e di stabilimento, buyer, system integrator, progettisti e tecnici. Nel 2015 l’evento fa tappa a Milano, capoluogo dell’importante distretto agroalimentare, in ideale anteprima delle tematiche che verranno trattate in occasione dell’Expo 2015.

Le opportunità per aziende e operatori triplicano, grazie alla concomitanza con mcT Alimentare (strumentazione e processo, efficienza impianti/MES, sicurezza alimentare, energy management, direttiva macchine, packaging) e SAVE Milano, a coinvolgere il mondo delle tecnologie per l’automazione, la strumentazione e la sensoristica.

L’ingresso è gratuito per gli operatori preregistrati. Il programma prevede:✔ cinque sessioni plenarie mattutine✔ una parte espositiva con più di cento aziende partecipanti✔ una sessione pomeridiana con workshop e corsi di formazione ✔ buffet e coffee break offerti dagli sponsor✔ in esclusiva gratuitamente tutti i contenuti in PDF

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L’1 giugno di quest’anno entra in vi-gore il nuovo Regolamento della UE n. 1297/2014 del 5 dicembre 2014 re-lativo ai detergenti liquidi per bucato destinati ai consumatori in imballag-

gi solubili monouso; il Regolamento modi-fica, ai fini dell'adeguamento al progresso tecnico e scientifico, il precedente (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all'e-tichettatura e all'im-ballaggio delle sostanze e delle mi-scele. Se un deter-gente liquido per bucato destinato ai consumatori in do-saggio monouso è contenuto in un im-ballaggio solubile, si applicano alcune di-sposizioni aggiuntive.

L'imballaggio solubile deve contenere un agente repellente in una concentrazione sicura che, in caso di esposizione orale acci-dentale, provoca un comportamento orale ripulsivo entro un tempo massimo di 6 se-condi; inoltre, l’involucro deve conservare il suo contenuto liquido per almeno 30 secon-di quando viene immerso in acqua a 20 °C; infine, deve resistere a una forza compressi-

va meccanica di almeno 300 N in condizioni di prova standard. Le singole monodosi de-vono avere un imballaggio esterno; questo è chiamato a soddisfare una serie di requi-siti: è opaco o scuro in modo da impedire la visibilità del prodotto o delle dosi singo-le; deve riportare il consiglio di prudenza “Tenere fuori dalla portata dei bambini” in un punto visibile e in un formato che attiri

l'attenzione; dev’essere un contenitore facil-mente richiudibile che si mantiene in posizione verticale; deve avere un dispo-sitivo di chiusura che ostacoli la capacità dei bambini piccoli di aprire l'imballag-gio, richiedendo l'a-zione coordinata di entrambe le mani

con una forza che renda l'apertura difficile per loro; deve mantenere la sua funzionalità in condizioni di apertura e di chiusura ripetute per l'intera durata di vita dell’imballo stesso. Fino al 31 dicembre 2015 non c’è l'obbligo di etichettare e im-ballare nuovamente i detergenti in questio-ne immessi sul mercato prima dell’1 giugno 2015 secondo le disposizioni, pubblicate sul-la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. n

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STRUMENTI normativa

I sacchetti di detergenti per bucato dovranno conformarsi alle regole per prevenire gli incidenti di ingestione accidentale; coinvolti anche il prodotto e l’imballo secondario

di Elsa Riva

Norma pro-bambinoper le monodosi solubili

P&G col marchio Dash è fra i produttori di detergenti per bucato che ha anticipato i requisiti della direttiva europea per prevenire l’ingestione accidentale fra i bambini.

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Se possiamo oggi scegliere fra im-ballaggi eco-compatibili, o quanto meno preferibili sotto il profilo am-bientale in relazione al tipo di pro-dotto e al contesto e mercato d’uso,

sarebbe possibile, giusto e utile poter sceglie-re imballaggi equo-solidali? Cosa significhe-rebbe e quali implicazioni avrebbe un tale criterio di scelta?

Proviamo a considerare l’imballaggio base,

quello senza il quale tutti gli altri avrebbero poca ragione di esistere: il pallet. Oggi pos-siamo scegliere se acquistarlo riparabile, ri-ciclabile, progettato per durare e per lunghi riutilizzi, generato con energia il più possibile rinnovabile, di legno proveniente da foreste gestite responsabilmente. Se lo volessimo anche equo e solidale, quali caratteristiche dovrebbe avere, perché e quali vantaggi ci darebbe?

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STRUMENTI ANALISI E METODI

Gli imballaggi possono contribuire alla giustizia sociale, alla promozione della dignità umana e al rispetto dell’ambiente? Alla vigilia di Expo, spunti per una carta dell’imballaggio sostenibile

di Luca Maria De Nardo

L’uomo al centro con il pack equo-solidale

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Il pallet è uno degli imballaggi con il maggior numero di caratteristiche di eco-compatibilità. Perché non valutare gli impatti sociali delle materie prime e della produzione, nei paesi in via di sviluppo come da noi?

La filiera legno-cartaDi recente l’UE ha emanato una direttiva,

già entrata in vigore anche in Italia, che pre-vede la dovuta diligenza negli acquisti e nella commercializzazione di legno e di prodotti da esso derivati (quindi anche carta e cartone) per verificare se siano state rispettate le nor-me di gestione forestale vigenti nei paesi dai quali provengono le materie prime legnose. In pratica, chi importa legno o carta e non ve-rifica se le fonti primarie (gli alberi) sono state

ricavate rispettando le leggi forestali, viene multato, la merce sequestrata e ‘attenziona-to’ (lui e il suo fornitore) per gli anni a venire. Ricavare materie prime legnose in barba alle leggi forestali significa, oltre che devastare le miniere verdi e contribuire al cambiamento climatico, danneggiare le popolazioni resi-denti, obbligarle ad esodi forzosi, peggiorare la loro qualità di vita, centralizzare eccessiva-mente i benefici economici. Possiamo quindi affermare che in UE vi sono già i presupposti per creare un primo livello di materiali da im-ballaggio in legno e carta equo-solidali: quel-lo del controllo del rispetto delle leggi. Ma non è sufficiente per dichiarare che quei tron-chi o quei segati o la polpa di cellulosa che se ne ricava godono di prerogative di equità e solidarietà sociale: bisognerebbe infatti di-mostrare che l’azienda forestale di quel paese trattasse i suoi lavoratori secondo standard internazionali di dignità umana, condizioni economiche, ambientali e sociali. Solo così potrebbe, nella filiera legno-carta, realizzarsi

Gli imballaGGi in italia

Il quantitativo di imballaggi immessi al consumo in Italia è di 13,2 milioni di tonnellate. Secondo le rilevazioni dell’Istituto Italiano Imballaggio, nel 2013 2.298 milioni di tonnellate sono riferibili alla materia prima legno, 4.496 a carta e cartone, 2.333 ai polimeri, 3.538 al vetro, 598 ai metalli. Il valore complessivo del mercato (produzione) è di 29,3 miliardi di euro.

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la base di uno standard di materia prima per imballaggi equo-solidali.

Prodotti finali e imprese localiDifferente è la questione degli imballaggi

finiti importati da paesi dove né il prelievo e la gestione delle risorse primarie e del rela-tivo ambiente, né la gestione del lavoratore vengono attuati secondo criteri minimi di ri-spetto della persona. Per esempio, le coppet-te monouso realizzate con sfogliati di bambù provenienti dai paesi asiatici, da che tipo di coltivazioni vengono? In che condizioni la-vorano gli operai locali? Vengono da zone di guerra? Sono rispettati i diritti civili dei lavo-ratori? Inoltre, c’è anche la questione locale: lo sguardo ai paesi emergenti e poveri non è l’unico aspetto da valutare. Abbiamo con-siderato le materie prime ed escluso il pallet perché oggi diamo per scontato che venga prodotto in aziende europee le quali soddi-sfano i requisiti di equità e solidarietà sociale dei lavoratori. E’ di certo vero, tuttavia esiste

anche un problema di equo-solidarietà do-mestica: oggi più che mai molte aziende sono a rischio e con esse i posti di lavoro. I relativi indotti esistenti o in fase di ripresa rischiano

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STRUMENTI ANALISI E METODI

Gli imballaGGi nel mondo

Con una quota a valore di 34,81% sul totale, l’Asia è la prima area geografica del mercato mondiale del packaging: segue il nord America con 22,16% (pari a 149,09 miliardi), l’Europa con 19,84% (135,36 miliardi) e il resto del mondo, con un 23,19% che vale 147,43 miliardi di dollari. Nel complesso, la domanda supera il valore di 850 miliardi di dollari. Il traguardo dei 1.000 miliardi potrebbe essere raggiunto già nel 2018. A trainare la domanda di confezionamento è la crescita delle vendite della grande distribuzione insieme all’aumento della logistica continentale e intercontinentale animata dalle economie interne e di esportazione dei paesi emergenti. (Fonte: elaborazioni su dati Freedonia, Pira, Euromonitor).

Le materie prime forestali (legno e

carta) hanno impatti sociali importanti

anche in occidente: le filiere del pioppo e delle conifere vanno

promosse, sostenute e sviluppate a favore di imprese e lavoratori.

Non solo: anche le attività di esbosco

possono fornire materia prima per gli

imballaggi.

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di saltare e le prime fasi a monte della filiera potrebbero soccombere o non svilupparsi (le attività agro-forestali montane e fluviali che forniscono segati di conifera e di pioppo). Oggi, secondo le rilevazioni dell’Istituto Ita-liano Imballaggio, il settore imballaggio nel suo insieme, non soltanto il comparto degli imballaggi in legno, impiega 105.000 addetti e conta oltre 7.100 imprese. Le importazioni di semilavorati o prodotti finiti da paesi in cui materie prime e lavoro costo poco grazie a ingiustizie sociali e mancata protezione am-bientale possono danneggiare anche la no-stra filiera.

Le filiere di polimeri e metalliIpotizzare una filiera di materie prime eque

e solidali nel campo degli imballaggi polime-

rici significherebbe monitorare quei paesi fornitori di greggio in cui non solo le condi-zioni di vita e salariali dei dipendenti degli impianti costituissero un pregiudizio al valore etico delle materie prime, ma anche valutare il paese produttore in sé: le principali realtà produttive sono aziende di stato che in alcuni casi utilizzano le risorse petrolifere per finan-ziare direttamente conflitti, oppure che non attuano nessuna forma, neppure parziale, di redistribuzione della ricchezza prodotta. Ma il problema più importante riguarda il ma-nufatto finito: molti imballaggi e accessori da imballaggio arrivano oggi direttamente da paesi in cui la qualità di vita dei lavora-tori e le possibilità di emancipazione econo-mica e sociale sono molto basse, dove non si contrastano mortalità infantile, conflitti sociali e degrado morale. Analoghe consi-derazioni potrebbero essere fatte nel cam-po dell’acciaio e dell’alluminio: sono sempre più numerose le aziende esportatrici di im-ballaggi finiti che operano in paesi dove la legislazione vigente non prevede norme ap-posite oppure non controlla le condizioni dei lavoratori, le emissioni nell’aria e nell’acqua, la gestione delle risorse minerarie, le condi-zioni di salute dei lavoratori e della famiglia alla quale appartiene.

Da quali basi partireUna carta dell’imballaggio equo-solidale

l’uomo al centro

Carvajal Pulpa y Papel, divisione cartaria della multinazionale colombiana Carvajal, produce da circa 2 anni Earth Pact, una gamma di carte e cartoncini privi di sbiancanti chimici, biodegradabili e compostabili. Il marchio “Patto con la Terra” consiste nel non ricorrere a coltivazioni forestali per ottenere cellulosa ma senza sfruttare un residuo fisiologico di un processo industriale che produce zucchero e alcol per autotrazione. La base di partenza è quindi una pianta alimentare con alta disponibilità di materiale cellulosico residuale (la resa di zucchero è bassa rispetto al peso della canna. Le nuove carte sono prodotte in totale assenza di sbiancanti chimici. Oltre agli aspetti ambientali, il gruppo vanta lo standard ISO OHSAS 18001 (oltre a quelli 9001 e 14001) e opera dal 1961 con una fondazione che ha promosso lo sviluppo sociale e culturale in Colombia, basandosi sul principio che un’azienda non può crescere in un contesto sociale sottosviluppato ma deve aiutarlo e contribuire alla sua evoluzione non soltanto con la presenza delle sue manifatture.

Un ponte fra alimento e imballaggio all’insegna della sostenibilità anche sociale è possibile, includendo le necessità di preservazione dell’ambiente e di prevenzione dei rifiuti.

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dovrebbe sintetizzare aspetti sia ambientali (prevenzione di rifiuti, il riutilizzo, il riciclo, gli impatti ambientali di energia, gestione idri-ca ed emissioni) sia sociali, laddove l’uomo subisce impatti diretti e indiretti dal prelievo e trasformazione delle materie prime, dalla produzione stessa di semilavorati per imbal-laggio e imballaggi finiti. Si potrebbe partire

dai requisiti minimi di sostenibilità (economi-ca, ambientale e sociale) definiti dalla direttiva europea sui rifiuti, integrata dai regolamenti Ecolabel, supportata da direttive specifiche per materiali (come quella sulla Due Diligen-ce nel settore legno-carta) e dal possesso di requisiti certificati sulla base di standard ISO (come l’OHSAS 18001:2008-Occupational Health and Safety Assessment Specification) ma anche da normative non europee, come uno degli articoli del Dodd-Frank Act, appro-vato dal parlamento statunitense, che vieta l’uso di determinati minerali in arrivo da paesi

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STRUMENTI ANALISI E METODI

Miniera a cielo aperto di minerali preziosi in Congo (Photo credit:

Sasha Lezhnev / Enough Project)

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che dall’estrazione e commercio di essi trag-gono risorse per le loro guerre. Dovrebbe poi considerare sia materie prime sia semilavorati sia imballaggi finiti e comprendere gli impatti sociali non solo dei paesi emergenti ma anche di quelli evoluti. Infatti, l’obiettivo è tendere all’equilibrio, come è insito nella radice stessa della parola ‘equità’.

ProspettiveMa quale utilità avrebbe una tale carta? In-

nanzitutto contribuirebbe a migliorare le con-dizioni di vita di chi lavora con materie prime, semilavorati e imballaggi finiti. Poi preserve-rebbe le risorse naturali e aiuterebbe a gestire meglio quelle rinnovabili. Inoltre, costituireb-be un punto di riferimento non individuale ma collettivo (e quindi meglio verificabile) inerente le dichiarazioni di presunta sosteni-bilità di prodotti, processi, marchi e aziende.

Infine, rappresenterebbe un elemento di dif-ferenza competitiva e di comunicazione per le prime aziende promotrici di uno standard e per quelle che già hanno adottato politiche interne allineate a criteri di equo-solidarietà.

Il biologico va coinvoltoI settori del biologico, del biodinamico e dei

prodotti food e non food equo-solidali prose-guono la loro crescita costante ma ancor oggi ci sono pochi progetti e iniziative in ordine agli aspetti ambientali e sociali del packaging. Le imprese di questo comparto devono esse-re le prime a lasciarsi coinvolgere nei valori di giustizia sociale e di rispetto dell’ambiente in-siti in un diverso modo di fare packaging. Per raggiungere l’obiettivo vanno aiutate a supe-rare i fattori che fino ad oggi ne hanno trat-tenuto l’evoluzione verso questo obiettivo. Si tratta in genere di aziende medio-piccole, che devono focalizzare attenzione, energie e marginalità sugli aspetti di prodotto e com-merciali per reggere il confronto competitivo con i corrispondenti prodotti di marca. Ma cosa succederebbe se accanto all’origine del prodotto e alla sua salubrità potessero van-tare requisiti di sostenibilità ambientale e so-ciale anche del packaging? In collaborazione con i gruppi della distribuzione intermedia (ingrosso) e finale (catene di supermercati del biologico) è possibile creare progetti, fare reti d’impresa, arricchire il campo d’azione dei consorzi, accedere ai finanziamenti comuni-tari per l’innovazione nell’imballaggio. In sin-tesi, una serie di opportunità per un settore in cui l’Italia vanta non poche eccellenze in ter-mini di ettari coltivati, di numero d’imprese, di fatturato, di export. n

conflict minerals

I tappi corona Pelliconi sono prodotti con acciaio laminato ricoperto elettroliticamente con cromo e stagno che viene prodotto in acciaierie che riforniscono il gruppo bolognese, leader internazionale nei sistemi di chiusura per bevande. Lo stagno proviene sia dal riciclo sia dalla casserite, uno dei minerali citati nel Dodd-Frank Act, la legge statunitense che dal 31 gennaio 2013 prevede nei suoi vari articoli anche l’obbligo alle aziende statunitensi di dichiarare che nei prodotti non siano presenti casserite, wolframite, columbite-tantalite (Coltan) e oro provenienti da Repubblica Democratica del Congo, Uganda, Ruanda, Burundi, Angola, Tanzania, Sudan, Zambia e ovunque tali minerali preziosi servano ad alimentari conflitti. Pelliconi, che ha fra i suoi clienti una multinazionale americana del beverage, ma anche fornitori americani di acciaio rivestito, ha condotto la due diligence, e l’ha estesa anche ad altri fornitori e clienti di altre parti del mondo.

Il mondo del biologico va aiutato e sostenuto nell’estendere la proposizione etica che contiene l’agricoltura biologica agli aspetti di sostenibilità sociale, oltre che ambientale, del packaging.

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Il credito come variabile ed elemento-chia-ve del rischio d’impresa non è specifico di progetti di sostenibilità; tuttavia ne parlia-mo per due motivi: da una parte le azien-de italiane affrontano sempre di più lo

sviluppo commerciale in nuovi canali di ven-dita, in nuovi mercati (compreso quello degli eco-materiali e delle eco-soluzioni), in nuove aree geografiche poco conosciute; dall’altra, il rispetto di un accordo commerciale attie-ne all’etica in senso lato: dichiarare quindi approcci sostenibili e venir colti in flagrante insolvenza, o sofferenza finanziaria, rischia di vanificare anche l’immagine connessa a pras-si e progetti sostenibili.

Ad Antonella Simone, responsabile area ge-stione rischio d’impresa di ADZ Morison di Milano, abbiamo chiesto…

…perché nonostante precauzioni, anali-si finanziarie, correttivi, sostegni da parte di supporti informatici evoluti e servizi di grandi istituti, il credito continua a costitu-ire un fattore di rischio elevato?

Esistono numerosi prodotti per valutare

rating e fido - spiega Simone - che si basa-no sull’analisi finanziaria ma non si possono usare come strumenti per l’analisi creditizia: sono due valutazioni molto differenti. Quella finanziaria non serve per prevedere la solvibi-lità di un potenziale cliente.

In che cosa consiste la differenza?E’ necessaria una premessa: nei sistemi eco-

nomici possiamo a grandi linee individuare due mondi, quello macro e quello micro; pos-siamo farlo per i sistemi, per le aziende, per le aree aziendali. Per esempio, nelle imprese spesso la finanza non comunica con la gestio-ne commerciale che non sempre è in grado di selezionare il cliente ed è invece più propen-sa a fatturare, sospinta dalla strategia e dalla molla economica delle provvigioni.

E quando il pagamento non arriva, il proble-ma passa al servizio finanziario, ma senza che vi siano stati dialogo e coordinazione preven-tiva. Ho molto semplificato, ma il meccanismo a grandi linee è questo. Prevenire gli insoluti significa avere non solo capacità di analizzare la solvibilità del cliente ma rispondere anche

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STRUMENTI ANALISI E METODI

Al centro di un nuovo metodo analitico, un questionario di 25 domande sonda le capacità dell’impresa di gestire il credito ai propri clienti e di prevenire il rischio

di Luca Maria De Nardo

Percorsi innovativipredicono la solvibilità

Le attività produttive dei primi sei mesi

dell'anno sulla facciata del Duomo di

Lucca.

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a una domanda specifica: ‘quel cliente paghe-rà me?’ Attenzione, non è la stessa cosa del domandarsi ‘quel cliente pagherà?’

Cosa significa saper rispondere a questa domanda?

Un esempio: sono una persona molto cor-retta, allergica a lasciare in giro debiti, se pos-so li evito. Ma può capitare che ritirando una gonna stirata in tintoria, non abbia moneta e la tintora mi dica ‘mi pagherà la prossima vol-ta’. Ho una vita densa d’impegni e frenetica, che mi porta a ricordare macro-impegni, tra-scurando quelli piccoli.

Ecco che apparirò una persona molto affida-bile per debiti da 50 euro o più, come anche nel restituire un libro prestato, ma non ricor-derò mai di dare 3 euro alla tintora. Questa insolvenza nasce da due fattori: basso impor-to, struttura mentale e comportamentale del debitore.

Come applica questo concetto all’analisi creditizia?

I punti della valutazione sono due, indipen-dentemente dal fatto che il cliente sia nuovo o storico: come si comporta lui e come mi comporto io come impresa creditrice.

Nella complessa fotografia degli elementi che compongono il rischio del credito com-merciale, l’etica di entrambi i soggetti gioca un ruolo fondamentale. Occorre dunque da una parte saper leggere nelle pieghe dei bi-lanci di entrambi con la lente non soltanto dell’analisi finanziaria; poi occorre individuare altri fattori, per esempio le variazioni di come

il cliente risponde alle nostre richieste: la ri-sposta di un fornitore varia in base a quanto l’azienda creditrice fa capire quanto valore dà al denaro.

Ha affinato un metodo?Sì, è un sistema complesso, con una specifica

credit policy e un manuale applicativo; il me-todo, in estrema sintesi, si basa su analisi di bi-lancio ma non di tipo tradizionale, prevede un questionario approfondito che richiede due ore di analisi del comportamento dell’azien-da creditrice e genera una mappa del rischio, prosegue con l’indicazione delle soluzioni da adottare e consente all’azienda di scegliere quali azioni intraprendere e con quali intensi-tà, durata e tempistica di esecuzione.

Il metodo, concepito nel 2006 e sviluppato in tre anni, è stato testato con successo in 22 aziende medio-grandi, dai 40 milioni di fattu-rato in su, di settori differenti, per problemi di credito a livello nazionale.

Quali considerazioni generali si sente di trarre da questi anni di sperimentazione?

In un paese in cui la cultura dell’obbligazio-ne scarseggia, la prima area aziendale a risen-tirne non può essere che la funzione ‘incas-si’. La cultura media degli imprenditori non è elevata rispetto all’estero, non c’è molta com-petenza nella gestione del credito, prevale la logica del manager tutto fare; credit manager in grado di selezionare la clientela sono rari.

Il primo passo per non restare vittime di se stessi è essere consapevoli dei propri limiti culturali e gestionali. E volerli modificare. n

“La consapevolezza di come si gestisce il credito in azienda è il primo passo per prevenire l’insolvenza generata dai propri clienti” sostiene Antonella Simone, analista finanziaria EFFAS e CTU presso il tribunale di Milano.

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Il mercato delle plastiche da fonti rinnova-bili si sta preparando a conquistare nuove fette di mercato? Presto per dirlo, intanto la cooperativa Blu Marine Service di San Benedetto del Tronto (AP) ha sviluppato

un progetto - finanziato dal Fondo Europeo per la pesca (FEP) 2007-2013 - per la ricerca di materiali innovativi, alternative ecosostenibili agli imballaggi di polistirene usati nel setto-re ittico. Il materiale che si sta sperimentan-do è il PolyPLA, un estruso soffiato di acido polilattico. A presentarlo è Marco Benedetti, ricercatore e responsabile R&D di Green Evo-lution, società che ha aderito al Manifesto di Chimica Verde Bionet sullo sviluppo sosteni-bile; Green Evolution si occupa dell'individua-zione di campi di applicazione a nuovi mate-riali sostenibili e partecipa al progetto. Come l'EPS, PolyPLA è un materiale isolante iperleg-gero. L'aria intrappolata tra le sferette che lo compongono è il coibente principale, che lo rende ideale nella catena del freddo (è il caso dei prodotti della pesca) o del caldo (isolante per il settore dell'edilizia).

L'acido polilattico deriva dal glucosio estrat-to da prodotti vegetali. “Non si impiegano – sottolinea Benedetti – varietà destinate all'uso alimentare, perché questo andrebbe a scapito della sostenibilità del polimero stesso. Piuttosto si usano prodotti di seconda cate-goria o gli scarti di lavorazione agricoli.”

Il PolyPLA potrebbe trovare applicazione in diversi settori, in alternativa all'EPS. “Per ogni possibile ambito di utilizzo – precisa – si do-

vrebbe capire quale dei due materiali è più in-dicato. A mio parere l'imballaggio alimentare è un campo molto interessante per il PolyPLA, perché i biopolimeri non contengono additivi o altre sostanze che possano alterare la com-posizione degli alimenti.” Ad oggi non risulta-no disponibili prove di migrazione necessarie per ammettere l'utilizzo del prodotto a con-

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STRUMENTI ricerca e sviluppo

Si chiama PolyPLA il materiale che si candida a diventare l'alternativa rinnovabile al polistirene, a patto che si risolvano alcune criticità

di Elena Consonni

Verso un nuovo “EPS verde”?

Nel porto di San Benedetto del Tronto, le tradizionali cassette

in EPS usate per il confezionamento del pesce fresco. Il settore ne impiega ogni anno

10 milioni.

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tatto con gli alimenti, anche se pare che si stia lavorando su questo aspetto.

La filiera non parla italianoAttualmente una sola azienda, l'olandese

Synbra detiene l'intera filiera, dalla produzio-ne del granulo di PolyPLA ai manufatti con esso realizzati. La società non è partita da zero con la ricerca su questo materiale, poi-ché è già uno dei protagonisti mondiali del mercato dell'EPS. “Una tecnologia del genere non si inventa dal nulla – commenta Benedet-ti – ci vogliono competenza e know how. Il bello dei biopolimeri è che possono essere la-vorati sfruttando tecnologie già esistenti per i prodotti di sintesi, con minimi aggiustamenti degli impianti di produzione. Poiché si tratta di una tecnologia e di un prodotto ancora nuovi, al momento la casa madre preferisce controllare per intero la filiera, ma credo che presto verrà individuato un partner italiano per la realizzazione dei manufatti.”

Avviare una filiera italiana avrebbe un effet-to positivo sui costi del prodotto finito, su cui il trasporto ha un incidenza alta. Questi oneri vanno ad aggiungersi a quelli intrinsechi del prodotto. “La materia prima attualmente co-sta il doppio rispetto a quella analoga di sin-tesi - sottolinea Benedetti - perché la produ-zione è ancora in fase di avviamento, i volumi sono ridotti e non compensano ancora i co-sti di ingegnerizzazione e di trasformazione. Probabilmente da qui a un anno le cose sa-ranno diverse, perché ci saranno più produt-tori e quindi i volumi disponibili sul mercato aumenteranno.”

Smaltimento: ancora da mettere a puntoIl PolyPLA è biodegradabile e compostabile,

anche se questa caratteristica dipende molto dalle dimensioni del manufatto che viene re-alizzato, (e infatti sono i prodotti finiti a dover essere certificati come compostabili). Inoltre è riciclabile, quindi se pulito può essere fuso e

riutilizzato. Un materiale dal fine vita perfet-to? Forse lo sarebbe, se la filiera del recupero non fosse ancora da costruire. Per il momen-to, infatti, al PolyPLA non è stato ancora attri-buito un codice identificativo specifico che ne permetta la corretta separazione. Attualmen-te è marcato con il numero 7 che comprende tutti i polimeri diversi da quelli classificati se-paratamente. “In assenza di un codice dedi-cato non è identificabile - precisa Benedetti – e la politica dovrebbe risolvere questo pro-blema per creare una filiera del recupero.

Si può comunque riuscire a separare questi imballi, non a livello domestico, ma a quello professionale, presso le utenze che ne utiliz-zano in grandi quantità. Penso ai mercati del pesce, dove le cassette sono contaminate da rifiuti organici e non è più possibile riciclarle. A differenza dell'EPS, che essendo contami-nato va destinato alla frazione indifferenzia-ta, il PolyPLA potrebbe essere usato per la produzione di biogas o di compost, soprat-tutto se i relativi impianti si trovassero nelle immediate vicinanze dei centri di impiego e raccolta. Ci stiamo confrontando con Corepla per creare una filiera per lo smaltimento de-dicata, così si abbasserebbero i costi legati al fine vita e di conseguenza quelli complessivi del materiale.” n

Il PolyPLA è del tutto simile, anche da un punto di vista visivo, all'EPS.

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Il finanziamento collettivo (dall’inglese crowd che significa massa di persone) nato e sviluppato negli Stati Uniti sta facendo partire nuove aziende, sviluppando intu-izioni, idee e innovazioni che non hanno

trovato ascolto presso gli investitori istituzio-nali. Può costituire una risorsa anche per l’in-tera filiera del packaging, dalla trasformazio-ne delle materie prime fino alla gestione dei rifiuti e alla loro valorizzazione? Il potenziale creativo e innovativo in Italia è molto elevato: con 7.100 imprese operanti nel settore, una quota export di macchine automatiche supe-riore all’80% e un patrimonio di competenze sulle tecnologie più sofisticate quale quelle legate ai farmaci e ai prodotti freschi confe-zionati, la spinta ad ideare e a innovare non manca mai.

Il crowdfunding è arrivato anche in Europa e in Italia, dove è normato dal 2013 dal Re-golamento Consob, emanato con delibera n.18592 del 13 luglio 2013 di attuazione de-gli articoli 50-quinquies e 100-ter del Testo

unico della finanza - decreto legislativo n. 58 del 1998 (TUF). Lo scorso 17 dicembre, però, un gruppo di deputati SEL ha presentato alla Camera una mozione per modernizzare quel Regolamento che alla luce della situazione specifica del nostro paese potrebbe esse-re nato già zoppo: i firmatari, infatti, hanno chiesto al governo di modificare l'attuale nor-mativa. Il testo della mozione parte da una premessa che di fatto costituisce una guida rapida al fenomeno e permette di conoscerlo.

Differenti possibilitàIl crowdfunding si declina in diversi schemi

in funzione delle finalità della raccolta e del trattamento dell'investitore. In particolare, si possono distinguere principalmente quattro modelli:

a) il ‘donation-model’, forma sotto la quale si è per prima manifestato il fenomeno, fina-lizzato a finanziare iniziative senza scopo di lucro e rispetto al quale i soggetti che elargi-scono il loro apporto finanziario non hanno diritto ad alcun rimborso (si pensi ad esempio alle raccolte attraverso canali radiotelevisivi o in occasione di eventi culturali);

b) il ‘reward-model’, in cui il crowdfunder riceve un premio simbolico a fronte del pro-prio impegno finanziario e quindi può essere incentivato da un interesse diretto ancorché meramente eventuale e spesso simbolico (ad esempio, raccolte promosse da comunità lo-cali per realizzare infrastrutture a beneficio

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STRUMENTI FINANZIAMENTI

Il fenomeno è in forte espansione in tutto il mondo e ha doti di elevata sostenibilità sociale ed economica, ma in Italia è mal regolamentato

di Elsa Riva

Un crowdfunding miglioreper sviluppare idee e PMI

PER APPROFONDIRE

La mozione sul crowdfunding presentata alla Camera dei Deputati il 17 dicembre 2014 è la n. 1/00961; la prima firma è dell'On. Lara Ricciatti (Capogruppo in Commissione X della Camera dei Deputati- Attività Produttive) ed è stata presentata da tutto il Gruppo SEL, nonchè dall'On. Civati del PD.

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degli abitanti della zona, quali centri sportivi o ricreativi nei quali gli apportanti possano poi avere un carnet di accessi; oppure ancora raccolte volte a finanziare progetti discografi-ci, editoriali o cinematografici, in cui sia offer-ta ai finanziatori copia dell'opera);

c) il ‘pre-purchase model’, evoluzione del reward-based model e in un certo senso transizione verso schemi partecipativi, par-ticolarmente utilizzato da società di nuova costituzione, che prevede che al finanziatore sia accordato un trattamento di favore per usufruire dei servizi erogati dalla società o acquistare i prodotti a condizione che l'inizia-tiva abbia successo, ed eventualmente il dirit-to ad acquisire quote/azioni in un momento successivo;

d) l’’equity-model’ che, a fronte dell'investi-mento, comporta l'immediata acquisizione di una partecipazione nel capitale della società, con assunzione diretta da parte del finanzia-tore del rischio connesso al rischio impren-ditoriale dell'emittente, e la conseguente attribuzione della qualifica di socio a tutti gli effetti. Paragonabile a quest'ultimo per l'am-bito di impresa in cui si colloca è il ‘loanba-sed crowdfunding’, o ‘social lending’, in cui il rapporto che si instaura è sostanzialmente di mutuo; ai fini imprenditoriali e societari l’’e-quity model’ è, senza alcun dubbio, lo schema di crowdfunding che riveste maggiore inte-resse: nella congiuntura attuale rappresenta infatti uno strumento che potrebbe ridurre la dipendenza delle imprese neo-costituite dai canali di finanziamento tradizionali, spes-so di difficile accessibilità, e generare nuova ricchezza con un positivo ritorno in termini di diversificazione delle fonti e del rischio. L’a-zione dei firmatari della mozione si concentra su quest’ultimo modello

Aprire per dare più opportunitàInnanzitutto occorre estendere il perimetro

applicativo dell’equity crowdfunding dalle

sole start-up innovative alle micro e piccole e medie imprese; quindi, va eliminata la riser-va attualmente prevista a investitori profes-sionali, fondazioni bancarie e incubatori di start-up di una quota minima del 5% del cor-rispettivo offerto, ai fini del perfezionamento dell'operazione sul portale; inoltre, appare congruo introdurre un'aliquota forfettaria per la cessione semplificata delle quote ac-quistate in regime di equity crowdfunding. Da non trascurare, poi, la necessità di innal-zare le soglie massime di investimento at-tualmente previste, di valutare l'opportunità di istituire presso il Ministero dello sviluppo economico una task force di esperti del set-tore per alimentare lo sviluppo del mercato dell’equity crowdfunding. Secondo i firma-tari, oltre all’innovazione, c’è di più e di me-glio: il patromonio spesso a rischio, umano e tecnico, penalizzato dalla crisi. Occorre quindi valutare l'opportunità di modificare la disci-plina vigente in materia di cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e gli am-mortizzatori sociali per attivare l'applicazione dello strumento dell’equity crowdfunding anche per le ristrutturazioni aziendali e per le aziende in crisi o fallite. L’obiettivo è valoriz-zare il capitale umano attraverso l'implemen-tazione di progetti di innovazione di processo e prodotto. Sono questi i principali punti del-la mozione che ha costituito occasione per far conoscere e divulgare fra gli amministratori uno strumento poco conosciuto anche dalle imprese. n

Il crowdfunding potrebbe, per esempio, sostenere progetti innovativi di valorizzazione delle tipicità agroalimentari in chiave di tutela del territorio e del lavoro locale. (Salone Internazionale del Gusto, Torino 2012)

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Ogni 6 mesi il Consorzio rivede le caratteristiche tecnico-ambientali de-gli imballaggi cellulosi-ci che accompagnano

i prodotti che si fregiano del marchio di qualità europea Ecolabel. L’ultimo aggiornamento dei criteri è stato pub-blicato lo scorso dicembre 2014 e fra le principali novità contiene nuovi re-quisiti riguardanti saponi, shampoo e balsamo per capelli, classificati come prodotti cosmetici da sciacquare, e gli assorbenti igienici.

I criteri per il mondo toiletryLa decisione della Commissione n.2014/893/UE del 9 dicembre 2014 interessa i detergenti e/o i coadiuvan-ti estetici destinati a venire a contatto con la pelle e/o peli e capelli con la funzione di igienizzare, migliorare le condizioni generali, proteggere, lubri-ficare prima del taglio. Perciò i prodotti oggetto della decisione sono saponi solidi e liquidi, schiume, gel, shampoo, preparati per doccia o bagno, prodot-ti ‘due in uno’, a prescindere se siano per uso domestico o professionale. Sono esclusi i prodotti aventi proprietà specifiche (per esempio, quelli anti-pidocchi) ma non quelli con proprietà generiche (anti-forfora).

L’imballaggio primarioNon è ammesso un imballaggio se-condario, il classico astuccio per arric-chire e impreziosire flaconi e bottiglie, a meno che non si tratti di una scatola contenente multipli (per esempio 12 flaconi) per proteggerli durante il tra-sporto, oppure anche per contenere un’unità di vendita ma soltanto se vi è

associato un secondo prodotto neces-sario, come una ricarica. Per contri-buire all’eco-sostenibilità del prodotto Ecolabel, l’imballo primario non deve pesare più di 28 g ogni 100 di prodot-to (o 0,28 g ogni grammo per stare al testo della norma): detta così l’indi-cazione sembra generica, in realtà la proporzione va calcolata secondo una formula, detta PIR Packaging Impact Ratio: [W + (Wrefill × F) + N + (Nrefill × F)]/[D + (Drefill × F)]; si tratta di un calcolo non facile, ma era l’unica for-mula credibile, in grado di mettere tutti sullo stesso piano e che permettesse di tenere conto della riciclabilità dei materiali d’imballo, della provenienza rinnovabile o non rinnovabile, della presenza di sistemi di ricarica, ecc. L’assenza di ricariche penalizza for-temente la conformità dell’imballaggio primario per un prodotto che vorrà fre-giarsi dell’Ecolabel.

Le sue funzioni d’usoLa sostenibilità viene considerata non soltanto come prerogativa ‘passiva’, cioè legata a forma, peso e impatto dei materiali: per Ecolabel è impor-tante che un flacone aiuti e stimoli un dosaggio corretto: no per esempio a colli larghi che fanno versare prodotto in eccesso, no a contenitori che non permettono di estrarre almeno il 90% del prodotto. La percentuale minima di prodotto estraibile va calcolata con una formula specifica e accompagnata da una prova da eseguire tramite una pro-cedura standardizzata. Altre indicazio-ni sono relative all’imballaggio in pla-stica, da concepire per agevolarne al massimo il riciclo. In sintesi, l’aspetto più interessante delle indicazioni relati-

Comieco ha preparato il consueto aggiornamento

sui criteri richiesti dal marchio comunitario

Ecolabel selezionando quelli relativi

all’imballaggio cellulosico

Usateli, anche se non dovete richiedere l’Ecolabel!

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ve a questa classe di prodotti sta nella formula di calcolo del peso del packa-ging primario: il dividendo va raddop-piato se il materiale non è rinnovabile e riciclabile, e questo tende a penaliz-zare il risultato finale. Ora, un semplice test su un flacone di shampoo da 400 g in plastica privo di ricariche rivela che il PIR risulta entro i limiti ma sicuramente più alto di un PIR basato su materiali rinnovabili e riciclabili come il cartone o il cartoncino: il motivo è che il divi-dendo non andrà moltiplicato per due in quanto trattasi di materiali non solo riciclabili, ma anche rinnovabili.

Il packaging degli assorbentiI nuovi requisiti Ecolabel per il packa-ging aggiornati presentano novità per quanto riguarda i prodotti igienici as-sorbenti; qui la Decisione della Com-missione 2014/763/UE del 24 ottobre 2014 indica innanzitutto un requisito unico per il prodotto e per l’imballag-gio, dal momento che hanno natura comune: la cellulosa come parte fon-damentale e prevalente della funzione assorbente e la cellulosa dell’astuccio. Il requisito riguarda l’efficienza del pro-cesso produttivo e di confezionamen-to: al netto della frazione riutilizzata o convertita in materiali utili e/o energia, il peso dei rifiuti non può superare il 5% dei prodotti finiti (il 10% nel caso dei tamponi). I calcoli devono attenersi alla norma ISO 14025.

Consigli per la progettazioneIl documento “Criteri per l’assegnazio-ne di un marchio comunitario di qua-lità ecologica Ecolabel”, realizzato da Comieco e scaricabile dal sito web, è funzionale ai consorziati che devono

adeguare la produzione agli standard del marchio ecologico europeo. Si trat-ta di una norma volontaria, ma la pre-venzione rimane sempre un obiettivo cogente, quindi i requisiti Ecolabel per il packaging cellulosico costituiscono una bussola per tutti, produttori e uti-lizzatori, e un efficace termine di con-fronto e di autovalutazione per chiun-que. Il ruolo dei manufatti cellulosici nell’Ecolabel è fondamentale: a parte il fatto di costituire il prodotto stesso in 6 categorie (assorbenti igienici, 4 tipi di carte, tessuto-carta), sono di fatto on-nipresenti come imballaggi prevalenti in quasi tutte le categorie. Il ruolo del packaging cellulosico diventa perciò importante per completare il profilo di sostenibilità ambientale dei prodotti a marchio Ecolabel. Analizzando i crite-ri risulta che per alcune categorie, la conformità degli imballaggi alle indi-cazioni dello schema Ecolabel è vin-colante, ma per alcuni prodotti no: perché? Risponde a questo e ad altri quesiti Comieco.

L’obiettivo del sistema del marchio Ecolabel UE è ridurre gli impatti negati-vi del consumo e della produzione dei prodotti di consumo (e servizi) sull’am-biente, sulla salute, sul clima e sulle risorse naturali. A tal fine, il sistema prescrive dei criteri basati sulle migliori prestazioni ambientali ottenute dai pro-dotti nel mercato comunitario. Tali criteri, tra cui quelli sugli imbal-laggi, sono orientati al mercato e de-vono limitare gli impatti ambientali più significativi dei prodotti durante il loro intero ciclo di vita. L’assenza di requi-siti dell’imballaggio comporta per il prodotto prescrizioni prioritarie rispetto

Usateli, anche se non dovete richiedere l’Ecolabel!ad altri aspetti ambientali che risulta-no più impattanti nel ciclo di vita. Ad esempio, per i prodotti Lubrificanti, Pit-ture e Vernici non sono previsti criteri per l’imballaggio: nella loro produzio-ne risulta prioritaria la sostituzione di sostanze pericolose con sostanze più sicure, ogni qual volta ciò sia tecnica-mente possibile.

Potrebbe il sistema Ecolabel indica-re come preferibili certi imballaggi oppure certi materiali?Sì in funzione dei progressi scientifici e tecnologici avvenuti nonché dell’evolu-zione del mercato, al fine di migliorare progressivamente le prestazioni ecolo-giche dei prodotti etichettati Ecolabel europeo. I criteri hanno una validità di tre/cinque anni e durante il processo di rinnovo degli stessi possono essere in-trodotti aggiornamenti e modifiche de-rivanti proprio dallo sviluppo di migliori prestazioni, anche dell’imballaggio.

Quali sono gli aspetti attualmente premianti per l’imballaggio all’inter-no dello schema Ecolabel?I requisiti per gli imballaggi, là dove presenti, fanno principalmente riferi-mento a:- materiali facilmente riciclabili- materiali ottenuti da fonti rinnovabili- materiali destinati ad essere riutilizzati- materiali con contenuto di riciclato Ad esempio il prodotto Coperture dure per pavimenti (ndr: le piastrelle) riporta come criterio per l’imballaggio l’utilizzo di cartone che “deve essere conce-pito in modo da consentire il riutilizzo oppure deve essere fabbricato con il 70% di materiali riciclati”.

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Presenza di requisiti per l’imballaggio

Presenza di requisiti per le

informazioni sulle confezioni

Requisiti per l'imballaggio in carta e cartone

Contenuto di riciclato Facilmente separabile da altri materiali70% 80% 100%

Ammendanti x

Assorbenti igienici x x

Substrati di coltivazione x

"Apparecchiature per la riproduzione di immagini x x x

Calzature x x x

Carta per copie e carta grafica x

Carta per giornali

Carta stampata

Carta trasformata x x

Computer portatili x x x

Coperture dure per pavimenti x x x

Coperture Tessili per pavimenti x

Coperture in legno per pavimenti x x

Detergenti multiuso x x

Detersivo per piatti x x

Detersivi per il bucato x x x

Detersivi per bucato per uso professionale x x x

Detersivi per lavastoviglie x x x

Detersivi per lavastoviglie automatiche industriali o professionali x x x

Lampadine (Sorgenti luminose) x x x

Lubrificanti x

Materassi x

Mobili in legno x x

Personal computer x x x

Pompe di calore x

Prodotti tessili x

Pitture e vernici x

Prodotti cosmetici da sciacquare x x

Riscaldamento ad acqua

Rubinetteria per sanitari x x x x

Televisori x

Tessuto-carta

Vasi sanitari a scarico d’acqua e orinatoi x

COMIECOwww.comieco.orgVia Pompeo Litta, 5

20122 Milano Tel. 02-55024.1

Contatti e inFo

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Solo 800 tonnellate di materiali cel-lulosici vergini recuperati e avviati al riciclo contro 36.000 utilizzate, pari ad un’incidenza del 2,2%: è la quan-tità media annua di sfridi e scarti

di produzione generati nello stabilimento di Fiorini Industrial Packaging di Senigallia (AN), specializzata in sacchi industriali in carta (50 milioni di fatturato, 60% di export, 200 dipendenti) nei settori building, mine-rale, chimico, alimentare, sementi e mangi-mi.Le variabili legate al prodotto sono di per sé sufficienti a generare un elevato scarto

potenziale, ma negli anni l’azienda è riusci-ta a perfezionare i processi di allestimento degli ordini, dall’ingresso delle materie pri-me alla progettazione, dalla stampa al con-verting (la fase vera e propria di formatura del sacco piatto industriale), per differenti tipologie di sacchi e in funzione del servizio su misura, un elemento quest’ultimo che caratterizza l’azienda marchigiana in Italia e all’estero.

La generazione di scarti e sfridi sembre-rebbe arrivata ad una soglia fisiologica non comprimibile ulteriormente: per esempio, le operazioni di converting producono molto scarto all’avviamento e in fase di rallenta-mento all’avvicinarsi del cambio della bo-bina; poi vi sono gli scarti dei sacchi non conformi, specifici del processo produttivo; sempre meno incidono gli errori umani gra-zie all’industrializzazione degli impianti.

Invece, nelle operazioni di stampa vi sono margini di miglioramento: la stampa in linea è meno performante come risoluzione gra-fica rispetto alla stampa fuori linea, una tec-nologia che l’azienda sta implementando sempre di più grazie a recenti investimenti in due macchine flexo: la prima acquisita nel 2013, la seconda installata a giugno 2014. n

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APPLICAZIONI PREVENZIONE

Come ridurre sfridi e scarti oltre i limiti fisiologici? Adottando nuove tecnologie di stampa: succede a Senigallia

di Argia Fanelli

Verso scarti ‘0’ per i sacchi

Investe sul food

L’azienda di Senigallia ha messo a punto con un partner specializzato particolari inchiostri a base acqua adatti ad aggrapparsi ai film polimerici utilizzati nel settore alimentare. La soluzione, fra le prime in Italia, è attualmente in fase di test e consentirà di avere qualità elevata abbattendo i rischi di contaminazione alimentare.

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Nell’Osservatorio ANIE dell’indu-stria italiana dell’automazione presentato a maggio 2014, nel capitolo dedicato allo scenario Industry 4.0 si legge: “con Indu-

stry 4.0 si cercano di affrontare alcune del-le sfide più importanti per la nostra società come la scarsità di risorse e l’efficienza ener-getica. Con questa filosofia la produttività delle risorse e l’efficienza vengono ricerca-te costantemente lungo tutta la catena del valore.” Abbiamo chiesto a Pietro Palella, vice-presidente ANIE per la Ricerca e l’Inno-vazione, il parere su come evolverà questa filosofia presso le aziende italiane, quali van-taggi porterà, quali sono i limiti.

Quale ritiene sia il livello di conoscenza di strumenti quali Internet delle cose e dei servizi, i Cyber-Physical Systems nelle filie-re dei prodotti di largo consumo e dei beni durevoli, dove massimamente le soluzioni tecnologiche del mondo ANIE trovano ap-plicazione?

Il tema dell’Internet delle cose è affasci-nante e con implicazioni in tutti i campi della vita individuale e dell’attività d’impresa pro-prio grazie alla numerosità degli “oggetti” che possono essere messi in rete. Pensiamo ad applicazioni come smart grid, control-lo intelligente del traffico, domotica, robot cooperanti, telecomunicazioni, automobili-

smo, avionica, fabbriche intelligenti e molte altre. Allo stesso tempo, probabilmente per lo stesso motivo, il tema è difficilmente in-casellabile in uno schema concettuale ed è ancor più complesso darne attuazione.

Questo fa sì che ancora oggi la reale cono-scenza e ancor più la fruibilità dell’Internet delle cose sia ancora lontana dalle reali po-tenzialità.

Sempre nell’Osservatorio del maggio 2014 si dice che“… con Industry 4.0 si cer-cano di affrontare alcune delle sfide più importanti per la nostra società come la scarsità di risorse e l’efficienza energetica. Con questa filosofia la produttività delle risorse e l’efficienza vengono ricercate co-stantemente lungo tutta la catena del va-lore.” La cultura dell’Industry 4.0 dovrebbe permeare differenti livelli gestionali delle imprese, oppure solo alcuni, quelli più tec-nici?

In termini di efficienza energetica e in par-ticolare di flessibilità della produzione i pri-mi livelli gestionali ad essere interessati dal paradigma di Industry 4.0 sono indubbia-mente quelli più tecnologici.

Ma la grande quantità di informazioni che caratterizzeranno il passaggio alla quarta rivoluzione industriale, i cosiddetti big data, conterranno quanto necessario per imple-mentare miglioramenti a tutti i livelli azien-

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APPLICAZIONI AUTOMAZIONE

Conoscere l’approccio Internet of Things è doveroso da parte di tutti gli AD delle PMI italiane: quanto meno aiuta ad essere consapevoli su limiti e opportunità, per poi scegliere. Il punto di vista degli specialisti dell’automazione

di Elsa Riva

Scarsità di energia e risorse?Arriva Industry 4.0…

Pietro Palella, vice-presidente ANIE

per la Ricerca e l’innovazione.

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dali, a partire dagli acquisti, alla gestione dei magazzini, fino ad arrivare alla progettazio-ne e alla virtualizzazione delle macchine.

L’evoluzione verso un sistema Industry 4.0 e i relativi benefici economici, sociali e ambientali richiedono integrazione oriz-zontale per sviluppare catene del valore e reti intra-company; ingegnerizzazione digitale end-to-end lungo tutta la catena del valore; sviluppo, implementazione e integrazione verticale di sistemi di fabbri-cazione flessibili e riconfigurabili. Secondo lei, a quale stadio siamo di questo processo in Italia? Chi deve sostenerlo e guidarlo?

E con quali mezzi?L’Italia è costituita principalmente da PMI

mentre il modello tedesco di Industry 4.0 na-sce in un eco-sistema molto diverso dove la PMI è quasi assimilabile ad una grande azien-da italiana. Pertanto, a parte alcune grandi aziende manifatturiere, la maggioranza del-le imprese deve dare una rilettura del mo-dello tedesco calata nella realtà industriale del nostro paese. Questo sta comunque già avvenendo in particolare in alcuni settori ad elevata intensità di tecnologia come quelli delle macchine per la produzione industria-le, ad esempio nel packaging, nelle mac-chine utensili o nel farmaceutico. Peraltro, anche in altre grandi nazioni come gli Stati Uniti, il Giappone piuttosto che la Cina si ten-de a dare alla quarta rivoluzione industriale una personalizzazione che adatti il concetto alle specificità del comparto localmente. In Germania Industry 4.0 fa parte di un proget-to ministeriale volto al potenziamento del settore industriale; in Italia questo non sta accadendo e lo sviluppo dell’intero proces-so è lasciato alla volontà di investire da parte dell’impresa e quindi sostenuto totalmente dal settore privato. Chiaramente le tecnolo-gie ci sono e i fornitori di tali sistemi hanno già investito in ricerca e sviluppo; il mercato

finale deve invece ancora svilupparsi real-mente.

Lungo la strada che porta ad uno scenario Industry 4.0, l’efficienza energetica è una delle prime sfide. Gli energy manager ita-liani conoscono le prospettive di Internet delle cose e dei servizi? Sono consapevoli delle opportunità dei Cyber-Physical Sy-stems?

L’efficienza energetica è una sfida globale che investe tutti i settori e che specialmen-te in Europa è stata affrontata in maniera molto seria e con ambizioni importanti in termini di risultati al 2030. Anche la figura dell’energy manager si è evoluta negli ulti-mi anni e da qualche tempo si parla di EGE (Esperti in Gestione dell’Energia) che rispet-to ai loro predecessori hanno l’obbligo di essere soggetti a una certificazione di parte terza. Questo ha evidentemente alzato il li-vello di preparazione di questi professionisti che sono sicuramente aggiornati anche sulle tematiche più moderne. Il problema è forse più a monte, quello che dovremmo chiederci è: ma quante sono le aziende che affrontano realmente il problema del miglioramento dei consumi energetici, anche banalmente par-tendo dalla semplice misurazione dei consu-mi stessi? E quante imprese annoverano tra le loro fila un vero energy manager o meglio ancora un EGE?

Da una ricerca del Politecnico di Milano ri-sulta che solo il 35% delle imprese italiane vede la presenza di un energy manager in azienda. Inoltre, sempre dallo stesso studio, emerge che un terzo delle imprese non af-fronta in nessun modo il tema dei consumi energetici. D’altronde ciò non stupisce se si pensa che il principale driver per l’approccio ai temi di risparmio energetico resta l’obso-lescenza e non la reale pianificazione di un investimento nella direzione di una maggio-re efficienza. n

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Il caffè, dopo l’acqua, il tè, la birra e il vino è la bevanda più consumata dalla popolazione

mondiale e presenta numerosi aspetti di sostenibilità che partono dal campo e arrivano

alla gestione del fine vita sia della miscela esausta sia del packaging.

Energia elettrica e termica, scarti di lavorazione, energia per i trasporti, grandi

quantità di risorse idriche per lavorazione e preparazione della bevanda, opportunità di

riscatto sociale per molti lavoratori dei paesi poveri dal quale proviene caratterizzano il suo

profilo di sostenibilità.

SPECIALE caffe’

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Caffè in Capsule: seCondo natura?

SPECIALE caffe’

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La crescente preferenza per il sistema espresso pre-dosato richiede analisi e soluzioni per prevenire la formazione di rifiuti e recuperare il contenuto energetico del fine vita

di luca Maria de nardo

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Secondo l’analisi del ciclo di vita di 1 kg di caffe (coltivato in Guatemala, importato e distribuito in Italia) condotta all’interno di una tesi di laurea (tesi sperimentale di Bar-bara Pedini e correlatore Palo Neri di Enea), risulta che nella fase della coltivazione il maggior impatto ambien-tale è imputabile ai concimi chimici (quindi la sua mitiga-zione comporta il ricorso a concimazioni naturali); nella fase della lavorazione, invece, sono il consumo elevato di acqua e la sua eutrofizzazione: in questo caso il ricircolo dell’acqua e l’utilizzo della polpa di scarto come ammen-dante costituirebbero uno strumento di attenuazione dell’impatto. La tesi, del 2005, rientrava nell’ambito di una collaborazione tra coop. Sociale Mondo Solidale, coop. Equoland, ong. CEFA, Illycaffè s.p.a, Università di Urbino e ENEA-PROT-INN e comprendeva un’analisi ambientale e degli aspetti etico-sociali legati ai rapporti Sud- Nord del Mondo. Nel 2009 una LCA condotta da Bureau Veritas per il produttore tedesco Tchibo andava oltre le prime fasi dal campo all’imbarco dei sacchi sulla nave; evidenziava il peso determinante delle prime fasi della filiera: alla colti-vazione era riferibile il 56% delle emissioni, principalmen-te da fertilizzanti e pesticidi. Invece ai consumi idrici ed energetici il 30% ed ai trasporti solo il 12%. Ma valuta-zioni di questo tipo dovranno sempre di più comprendere le fasi successive e arrivare fino alla fine del ciclo di vita del prodotto e del suo imballaggio. Inoltre, va considera-to che la produzione della bevanda in ambito domestico tende ad abbandonare i sistemi tradizionali (moka, bolli-tura e infusione) e sposa la macchina espresso.

Si stima che 16 miliardi siano stati i consumi del 2014 di capsule in Europa, Nord America ed Asia evoluta (Giap-pone in primis), e che il tasso di crescita elevato porterà a fine 2015 questo segmento di mercato a valere circa 10 miliardi di euro. L’impatto ambientale sbilanciato verso le prime fasi della filiera sarà in futuro più equamente distri-buito verso le fasi finali? Sembrerebbe di sì ma per quanto riguarda il caffè per uso domestico, che è soltanto una parte del mercato. Per la gamma Nescafé Dolce Gusto (non si tratta però di caffè espresso!) Nestlé dichiara che “La LCA mostra l’impronta di CO2 di ogni fase del proces-so, dalla coltivazione dei chicchi di caffè e dalla loro lavo-razione (33%) alla produzione delle capsule (12%), degli imballaggi (12%) e delle macchine (8%), al trasporto e alla distribuzione (8%), all’uso delle macchine (21%) e allo smaltimento delle capsule (6%)”.La svolta di una parte dei consumatori verso questo tipo di produzione della bevanda ha certamente aumentato gli impatti; così, mentre molti brand mondiali o regiona-li si sono preoccupati di ridurre la pressione ambientale e sociale delle prime fasi della filiera, sembra quasi che abbiano annullato il vantaggio generato dei progetti di mitigazione aprendo un nuovo modello di fruizione che produce nuovi impatti: ma è possibile quantificar-li? A quei presunti 16 miliardi di atti di consumo, quali e quante emissioni possiamo associare? Sono importanti nell’ambito complessivo della gestione degli RSU? Quali soluzioni per mitigare? Riciclo e compostaggio? E soprat-tutto, le capsule sono ‘imballaggi’?

SPECIALE caffe’

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Un momento della tavola rotonda tenutasi il 30 ottobre scorso in occasione di Cibus Tec-Food

Pack a Parma dal titolo: Confezionamento porzionato di caffè e altre bevande da

polvere: lo stato dell’arte dei costruttori italiani”.

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SPECIALE caffe’

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Partiamo dalla risposta in apparenza più semplice, quella dell’ultima domanda: in Italia Conai ha deliberato non solo le cialde che restano vuote dopo l’erogazione, ma anche quelle progettate per essere svuotate dal consumatore sono imballi: quindi anche queste ultime pagano il contri-buto, beneficiando dell’immagine positiva del servizio di recupero del sistema. Ma quanti paesi dei 28 in Europa prenderanno posizione sul tema? E in Usa e Canada? E in Giappone? Peserà di più il contenuto o il contenitore? E soprattutto, cosa si deciderà? Per chi produce caffè in capsule, le normative locali non sono un dettaglio.Tornando alle domande-chiave, gli impatti sono impor-tanti? Quali sono? Vale la pena affrontare il problema? De-terminarli non è semplice, né rapido, la varietà di tipologie di caffè contenuto, di tipologia di capsule, di tipologia di

macchine, di forme di smaltimento praticate e praticabili in futuro. E’ la compostabilità la soluzione gestionale e am-bientale ottimale, perché compatibile anche con sistemi di gestione dei rifiuti non evoluti nella raccolta differenziata? Non è detto, c’è spazio anche per sistemi chiusi capaci di creare e gestire una raccolta differenziata efficiente. Ma a prescindere dai volumi e dagli impatti, il residuo di un tale atto di consumo ha comunque un contenuto energe-tico di 128.000 tonnellate (16 miliardi di capsule da 8 gram-mi l’una di media) al netto dell’umidità residua e riferito a polimeri, metallo e materiale organico. Inoltre, dal punto di vista sociale e di valore del brand ha valore etico e di mar-keting coinvolgere anche il consumatore nella gestione del prodotto a fine vita (Ecolaboration-Nespresso), come dimostrano sia brand internazionali ma anche distributori regionali (Coop Italia).

eCorisposte

Recupero di alluminio da imballaggio da un impianto di trattamento (Autore: Andrea Bernasconi per Cial)

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Nell’ambito del caffè in capsule, l’azienda che ha di fat-to creato questo mercato potrebbe catalizzare soluzioni e idee sui materiali, le forme, le tecnologie per preven-zione e riduzione degli impatti. Orbe, cittadina di 5mila abitanti nel cantone svizzero di Vaud, rafforza la propria nomea di capitale mondiale del caffè. Ad aggiungere un nuovo capitolo alla storia di questo antico comune, una delle tappe dell’antica via francige-na e crocevia degli scambi commerciali e di pellegrini fra i quattro punti cardinali dell’Europa, ci ha pensato Nestlé che ha situato proprio a Orbe il recente System Technology Centre (STC) dove lavorano 120 esperti pro-venienti da 25 paesi su tutti gli aspetti suscettibili di in-novare nei sistemi di produzione, preparazione, vendita e consumo di caffè. Le aree tecniche presidiate dagli esperti vanno dal design industriale alla tecnologia delle macchine, dal packaging all’ingegneria, dalla micro-elettronica alla robotica. L’ul-timo parto dell’équipe elvetica è stata Nescafé Milano Lounge, un sistema automatico che consente di creare al momento bevande calde e fredde. L’interfaccia del sistema strizza l’occhio all’interazione con i piccoli schermi interattivi portatili oramai diffusi: la personalizzazione della bevanda (tipo, quantità, ele-menti aggiuntivi, ecc.) è infatti resa possibile tramite touch screen a colori. La novità è stata messa a punto per Nestlé Professional (divisione fuori casa) per estendere la quota di mercato nel canale emergente degli operatori della ristorazione e dell’ospitalità (per esempio gli alberghi) ma anche del consumo rapido nomade (drusgtore, grandi magazzini, musei e gallerie, ecc.). Il STC svizzero è di supporto a 6 divisioni della multina-zionale: Nespresso, Nescafé Dolce Gusto, Special.T, Ne-stlé Professional e Nescafé Barista and BabyNes; il cen-tro fa parte della rete di 34 Product Technology Centres, che fanno ricerca e sviluppo su tecnologie innovative e processi produttivi di prodotto per conto delle fabbriche Nestlé nel mondo; in particolare il nuovo System Techno-logy Center è a supporto del PTC di Orbe, specializzato in tecnologie e prodotti per i settori caffè e cereali.

dove fare riCerCa?

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L’Italia, dal canto suo, accoglie di fatto un centro naturale di ricerca non solo per la presenza di produttori di caffè in capsule che esportano in tutto il mondo, ma anche per la concentrazione di primari costruttori di macchine for-matrici, riempitrici e chiuditrici di capsule. In occasione di Cibus Tec-Food Pack 2014 si è riunito un gruppo di forni-tori di tecnologie in una tavola rotonda che è stata l’occa-sione per valutare scenari di sviluppo dei mercati e delle tecnologie anche in direzione dei materiali e dei proces-si più eco-compatibili possibili. L’Italia è leader mondiale nella progettazione e produzione di tecnologie dedicate ai prodotti Single-Serve e Cibus Tec – Food Pack si è candi-data come piattaforma di promozione delle tendenze del settore e di sviluppo di nuove opportunità di business. La tavola rotonda, moderata da Filippo Ferrari di Lavazza, ha coinvolti tecnici e responsabili di IMA Industries, Sarong, TME, Acma Volpak, Sacmi, Opem e Goglio ed ha affrontato i temi emergenti del comparto:

• L’approccio dei costruttori ai criteri di scelta delle tecno-logie di confezionamento porzionato da parte dell’indu-stria alimentare (efficienza, riduzione sfridi, minore e mi-gliore utilizzo di materiale, ergonomia delle linee e utilizzo operatori, Total Cost of Ownership)• Il confronto fra tecnologia da preformato e termoforma-to FFS (Form Fill Seal)• Nell’ambito della tecnologia da preformato, un confron-to tra stampaggio a iniezione e a compressione• Altre destinazioni d’uso sia per il caldo che per il freddo della tecnologia per il porzionato• Il peso e il valore aggiunto dell’automazione• Il ruolo dei subfornitori di componentistica nel supera-mento delle attuali barriere tecnologiche

L’augurio è che da questo primo incontro tematico possa nascere un osservatorio permanente capace di aggiornare e rilanciare il ruolo di un made in Italy attento alla sfida am-bientale di questo mercato emergente.

il ruolo dell’autoMazione

Particolare di una Gima-590 del gruppo IMA.

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Costituirà un momento di riflessione grazie ad uno dei 9 cluster tematici dedicati appunto al caffè: sarà interessan-te capire se dai paesi produttori (presenti in 4.400 mq dei quali 1.250 dedicati a spazi individuali) verranno proposte suggestioni non solo di prodotto ma anche di packaging. Si tratta di Burundi, Kenya, Etiopia, El Salvador, Yemen, Costa Rica, Rwanda, Guatemala e Uganda. Dal 28 settembre al 2 ottobre si terranno tre eventi associativi internazionali pro-prio a Milano (Global Coffee Forum, International Coffee Day e il 115 International Coffee Council. Inoltre, il centro di Milano ospiterà eventi celebrativi del mondo del caffè, a partire da una grande mostra fotografica all’aperto in via Dante per promuovere l’opera dell’organizzazione inter-nazionale di promozione sociale Oxfam. L’1 ottobre, gior-no dell’International Coffee Day, si terrà un grande evento nel teatro all’aperto da 11mila posti dell’Expo 2015. Dal 30 settembre all’1 ottobre, in occasione dei lavori del Global

Coffee Forum, uno dei tre temi chiave sarà la sostenibilità delle prime fasi della filiera, con studi presentati dall’ Earth Institute of Columbia University.Inoltre, già un progetto su come sviluppare redditi comple-mentari di piccoli agricoltori di caffè in Guatemala è stato premiato nell’ambito dell’iniziativa Feeding Knowledge, il programma di Expo Milano 2015 per la cooperazione nel-la ricerca e l’innovazione sulla Food Security. Nel progetto, coinvolti gli scarti delle lavorazioni per produrre compost e coltivare funghi. Ma partendo da questo piccolo esem-pio, ci si chiede se le biomasse potranno domani diventare possibili materiali di confezionamento. Il packaging è finora assente dai temi annunciati; a produttori partner ed espo-sitori il compito di ricordare che il prodotto non è solo la materia prima di cui è fatto né solo la sua provenienza, ma il suo packaging, che lo rende disponibile e lo racconta anche nei suoi aspetti di sostenibilità.

appuntaMento in expo 2015

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Quando la capsula diventa imballaggio?

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Sulle capsule per caffè progettate per essere svuotate dal consumatore, dal 1° gennaio di quest’anno decorre l’ob-bligo di addebito in fattura e di relativo versamento del contributo Conai. La decisione era maturata lo scorso anno in occasione di un consiglio del consorzio durante il quale erano state esaminate istanze e suggerimenti provenienti da diversi protagonisti della filiera. La riflessione è partita dalla normativa vigente che intende in questo settore specifico come ‘imballaggi’ le capsule per sistemi erogatori di bevande (cioccolato, tè, caffè, tisane, latte, ecc.) che sono lasciate vuote dopo l’uso. Invece, per ‘non imballaggi’ si intendono le capsule per sistemi eroga-tori di caffè, sacchetti di alluminio per caffè e bustine di carta per caffè filtro che si gettano insieme al caffè usato. Dopo verifiche, il consiglio ha valutato che potevano con-siderarsi imballaggi non solo le capsule lasciate vuote dalla macchina erogatrice, ma anche quelle progettate per es-sere svuotate manualmente dal consumatore, con o senza l’ausilio di strumentazione progettata con la capsula stes-sa. Perché tali capsule siano imballaggi, i criteri della pro-gettazione mirata e dell’efficace informazione al consu-matore sulla raccolta differenziata costituiscono requisiti indispensabili che Conai stesso, dopo un periodo di osser-vazione iniziale, verificherà. Il consorzio invita quindi pro-duttori e-o distributori a fargli pervenire la descrizione del progetto, specificando le caratteristiche intrinseche che le rendono svuotabili, lo strumento per farlo, le relative pro-ve, il modo con cui si comunicherà ai consumatori, l’infor-mativa ai fornitori di capsule oppure di materiali, semilavo-rati e accessori per crearle per avvisarli del nuovo regime del CAC relativo ai manufatti. Restano quindi escluse dal pagamento tutte le capsule non conformi, che pertanto non potranno definirsi riciclabili in ordine all’imballaggio e al suo materiale.

Dev’essere svuotabile manualmente dal consumatore, con o senza idoneo strumento e previa comunicazione di come e dove agire e tramite quale circuito di smaltimento

di argia Fanelli

Una delle prime soluzioni di macchina espresso domestica per capsule svuotabili mediante pelatura del ‘lid’ di chiusura. A Coop non resta che verificare la conformità al dettato Conai.

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Capsule a normaper il Contatto alimentare

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La riflessione sulla sostenibilità delle capsule e delle cial-de per caffè non può non considerare la questione del contatto alimentare: per i produttori e i commercianti di imballaggi, ma anche per gli utilizzatori (industria, grande distribuzione, operatori del vending e dell’horeca), è obbligatorio attestare e di-mostrare la conformità dei materiali d’im-ballaggio alla normativa ‘food contact’ europea e nazionale. Non è superfluo ricordare questo pre-requisito per quat-tro motivi:

1. Un imballaggio non conforme, oltre a creare un danno economico e socia-le agli operatori della filiera, può creare un danno ‘sociale’ di tipo sanitario ai consumatori. Per molti consumatori, non è trascurabile la quantità giornaliera di caffè assunta e proveniente da sistemi di conservazione-estrazione basati su capsule e cial-de. E cresce il numero di tali consumatori.

2. Al moltiplicarsi di proposte di caffè in capsule e cialde provenienti dai mercati nazionale, europeo ed extra europeo, cresce in proporzione il rischio che tale con-formità non sia attestata e verificata.

3. Cresce l’attività di ricerca e sviluppo su nuovi mate-riali da fonti rinnovabili e con caratteristiche di bio-degradabilità e compostabilità; questi due obiettivi ambientali non devono mettere in ombra il dettato normativo comunitario, specie nel caso di quelle spe-rimentazioni provenienti da paesi extra UE non vinco-late dalle nostre normative.

4. Crescono in modo esponenziale i consumi, sia nei pa-esi occidentali, sia nei paesi emergenti.

Le prove di migrazione, oltre che globali, devono essere

specifiche, prevedere simulanti specifici, indicare la meto-dologia di prova e considerare: 1) la capsula appena pro-dotta 2) la capsula riempita dopo un certo arco di tempo

dalla produzione 3) la capsula riempita di caffè e tenuta integra per più settimane o mesi 4)

la bevanda ottenuta attraverso le mac-chine espresso. Infine, occorre indicare

l’alimentarietà del materiale e del con-tenitore: oggi su molte capsule e sulle confezioni che le contengono il simbo-lo è assente. L’invito è quello di andare oltre i dettati normativi nazionali ed

europei e farsi garanti della salute e dei diritti dei consumatori, anticipando anche

se necessario su base volontaria e concorda-ta fra operatori, le lacune delle norme nazionali e

internazionali in materia di simulanti e metodi di prova sia globali sia specifici, riducendo i punti equivoci o fa-coltativi.

Riciclabili, riutilizzabili, biodegradabili, compostabili ma prima di tutto che non cedano sostanze indesiderate né alla miscela secca né alla bevanda

di elsa riva

La normativa sui Food ContaCt materiaLs

• Regolamento (UE) No. 10/2011

• Direttiva 2002/72/CE

• Corrigendum della Direttiva 2002/72/EC

• Direttiva 2004/1/CE

• Direttiva 2004/19/CE

• Direttiva 2005/79/CE

• Direttiva 2007/19/CE

• Rettifica Direttiva 2007/19/CE

• Direttiva 2008/39/CE

• Regolamento (CE) No. 975/2009

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Piccola e ‘green’

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IMA ha recentemente presentato la nuova 590, prodotta e progettata da GIMA, una delle società appartenenti al gruppo; è una macchina per il riempimento e la saldatura di capsule in diversi formati per caffè, tè e prodotti solubili. Compatta ed economica, porta con sé le stesse soluzioni tecniche della 595, la sorella maggiore, nota per efficienza, standard qualitativi e capacità produttiva. Oltre a colmare il vuoto nella fascia media di mercato, la 590 viene utiliz-zata anche dai grandi gruppi del caffè per testare nuove miscele e nuovi prodotti, grazie anche alla sua capacità di riempire 200 capsule al minuto.

Tre punti di forzaTra i vantaggi, rispetto alla 595, ci sono la compattezza, l’economicità e la velocità che, nonostante sia ridotta, garantisce comunque le medesime prestazioni, in spazi ridotti fino al 70%: è infatti la prima macchina rotativa in termini di flusso di prodotto progettata da GIMA per il confezionamento delle capsule e, grazie a questa sua caratteristica, garantisce un risparmio in termini di spa-zio. La 590 è una macchina modulare e, di conseguenza,

personalizzabile secondo le esigenze di produzione. I suoi gruppi meccanici sono di facile e veloce estrazione per una rapida ed efficace manutenzione. La compattezza, con un ingombro a terra di poco più di 4 metri quadrati, offre la possibilità di spostarla senza la necessità di doverla smon-tare, ottenendo di conseguenza una notevole riduzione dei tempi di installazione. Inoltre la nuova 590 è stata studiata per avere un contenuto assorbimento di energia elettrica e presenta un sistema di taglio materiale che permette una notevole riduzione del materiale di scarto: è l’ulteriore con-ferma dell’impegno del Gruppo IMA nella costante ricerca e attenzione verso innovazione e sostenibilità.

Risparmio energetico, riduzione scarti e ingombri ridotti per l’ultima proposta nel settore delle capsule per caffè e solubili

di argia Fanelli

Il sistema di taglio dei materiali di confezionamento permette alla 590 di garantire un saving particolare, che si unisce al risparmio energetico e al contenuto footprint della macchina nel layout produttivo delle aziende.

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Tutto in unaNel segmento invece delle cialde per caffè, settore in cui IMA è presente con differenti soluzioni, di recente è sta-ta presentata la CA3, che evolve in una linea dal nuovo design. E’ una monoblocco capace di confezionare, in at-mosfera modificata e condizionata, cialde sia soffici che compresse che contengono caffè, di termosaldarle in una busta esterna protettiva e infine di confezionarle in pac-chetti verticali ad una velocità di produzione di 250 pezzi al minuto, come alternativa all’inscatolatore standard.IMA ha progettato e realizzato la CA3 secondo i criteri di elevata efficienza e in particolare di estrema flessibilità. Grazie ad un sistema avanzato per il dosaggio e la com-pressione del caffè, la CA3 garantisce una distribuzione omogenea del prodotto nella cialda ed un’elevata preci-sione del suo profilo.

La qualità del prodotto è altresì garantita dalla busta ester-na termosaldata che rappresenta la maggior protezione contro l’ossidazione. Il ciclo produttivo della macchina può essere completato da un’unità completamente automa-tica per la formazione, riempimento e saldatura del pac-chetto verticale oppure, in alternativa, da un inscatolatore integrato, completamente automatico, accessibile e regi-strabile. Il cambio formato può essere svolto facilmente e velocemente, soprattutto grazie al conteggio elettronico.Il sistema modulare sul quale si basa il design della nuova CA3 è particolarmente efficace nella semplicità di colle-gamento con macchine di fine linea come alternativa alle unità di confezionamento già sopra descritte. L’intero ciclo produttivo è controllato e gestito da un PC integrato che garantisce il corretto funzionamento della macchina e na-turalmente la qualità del prodotto finale.

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Precisione senza sprechi di prodotto e senza scarti di materiali di confezionamento: è una delle caratteristiche della recente CA3, monoblocco per cialde soffici e compresse del gruppo IMA.

Il sistema IMA CA3 parte dal caffé e dai materiali e realizza il sacchetto stand up che contiene imbustate cialde soffici o compresse.

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Protocollo d’intesaPer il riciclo delle caPsule

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Lo scorso novembre è stato firmato alla presenza del Sot-tosegretario di Stato all’Ambiente Barbara Degani, l’ac-cordo valido per i prossimi tre anni che vede Nespresso, CIAL - Consorzio Imballaggi Alluminio, Federambiente e il CIC - Consorzio Italiano Compostatori lavorare insieme per la raccolta, il recupero e l’avvio al riciclo delle capsule del caffè Nespresso realizzate esclusivamente in alluminio. Il progetto, denominato EcolaborationTM, s’inscrive nel più ampio programma di sostenibilità promosso da Nespres-so a livello globale, volto a garantire l’adozione di pratiche sostenibili lungo tutta la catena del valore, dall’approvvi-gionamento responsabile delle risorse fino alla riduzione dell’impronta ecologica dell’azienda.Avviato in Italia nel 2011 e rinnovato con la sottoscrizione del Protocollo di Intesa, EcolaborationTM persegue l’obietti-vo di organizzare le modalità di gestione dei rifiuti costitu-

iti dalle capsule in alluminio contenenti caffè, conferite dai cittadini presso i punti vendita Nespresso, appositamente attrezzati, nonché presso i centri di raccolta/isole ecologi-che dei rifiuti urbani gestiti dalle aziende responsabili dei servizi di raccolta differenziata. Le capsule in alluminio con-tenenti caffè post-consumo vengono così opportunamen-te avviate a riciclo presso impianti che trattano imballaggi in alluminio con successivo recupero anche della frazione organica e produzione di compost.

I vantaggi del recuperoSi tratta di un sistema capillare che offre ai clienti Nespres-so la possibilità di contribuire al riciclo di alluminio (e al ri-sparmio di energia e materia: fino al 95%) e al recupero del caffè residuo che viene avviato a compostaggio per le coltivazioni di riso, poi riacquistato e donato da Nespresso alla onlus Banco Alimentare. Nei primi tre anni di operatività di EcolaborationTM in Italia (novembre 2011 – novembre 2014) sono state raccolte 775 tonnellate di capsule usate, conferite dai cittadini e avviate a riciclo. In ognuna delle 23 città coinvolte, in base all’ac-cordo siglato fra Nespresso, CIAL, Federambiente e CIC, il progetto prevede che il servizio di ritiro delle capsule con-ferite dai cittadini sia a cura dell’amministrazione e/o della società che sul territorio gestisce i rifiuti urbani. Ad oggi i punti di raccolta sono 44. Successivamente il Consorzio CIAL garantisce l’avvio al riciclo in fonderia dell’alluminio, mentre l’avvio a compostaggio del caffè residuo è gestito con il supporto del Consorzio CIC. Per il prossimo triennio, periodo interessato dal rinnovo dell’accordo, si prevede una crescita ulteriore delle quan-tità raccolte, grazie alla presenza sempre più capillare di Nespresso sul territorio italiano, e a nuovi accordi stipulati con le amministrazioni locali.

Vantaggi e prospettive di un accordo di collaborazione fra CIAL, imprese e operatori del recupero e del compostaggio

Da sinistra, Gino Schiona, direttore del Consorzio CIAL; Massimiliano Marchesi, technical & quality manager di Nespresso; Barbara Degani, sottosegretario di Stato all’Ambiente.

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Le prospettiveSecondo Gino Schiona, direttore generale del Consorzio CIAL, grazie a questo programma e al rinnovo dell’accor-do, si amplia la collaborazione alla raccolta differenziata e al riciclo dell’alluminio, un impegno di responsabilità in grado di generare crescenti e importanti benefici ambien-tali, sociali ed economici. Per Barbara Degani, sottosegre-tario di Stato all’Ambiente, la responsabilità del produt-tore, e la flessibilità ed efficienza del sistema associativo e consortile nazionale per il recupero di materia ed energia, sono gli elementi chiave alla base del protocollo d’intesa. Si tratta di un accordo molto importante che individua soluzioni efficaci e innovative per la gestione dedicata di un rifiuto particolare come quello delle capsule, favo-rendo la raccolta, il trattamento e il riciclo di alluminio e caffè e coniugando al meglio lo sviluppo di nuovi merca-ti e nuove forme di consumo con quelle di un’economia sostenibile. Secondo Massimiliano Marchesi di Nespresso Italia, EcolaborationTM rappresenta oggi un modello di cooperazione unico nel suo genere in Italia, grazie al qua-le Nespresso si impegna a limitare l’impatto ambientale

del consumo di caffè in capsule in ogni fase del proces-so. Per i prossimi anni sono stati posti obiettivi ambiziosi, nell’ottica di estendere in maniera ancor più efficace e capillare la possibilità per i consumatori italiani di aderire all’iniziativa.Per Filippo Brandolini, presidente di Federambiente, il rin-novo del protocollo d’intesa rappresenta un passo sulla strada di un sempre più forte coinvolgimento dei produt-tori sul fronte della riduzione dei rifiuti, rafforzando l’ac-cordo e la collaborazione fra tutte le parti coinvolte, dai produttori stessi ai distributori, dai cittadini alle imprese di gestione del ciclo dei rifiuti. Federambiente si augura che questo tipo di iniziativa possa trovare sempre più va-sta applicazione anche in altri settori merceologici.Massimo Centemero, direttore generale del Consorzio CIC, ritiene i risultati finora ottenuti incoraggianti. Il caffè rappresenta un materiale pulito, senza contami-nazioni, e soprattutto abbondante, visto l’alto consumo che se ne fa nel nostro Paese. Per questo è importante che possa essere compostato e ritornare nel ciclo virtuoso della nostra economia.

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Da sinistra, Massimo Centemero, presidente di CIC-Consorzio Italiano Compostatori; Filippo Brandolini, presidente di Federambiente; Gino Schiona, direttore generale del Consorzio CIAL; Massimiliano Marchesi, technical & quality manager di Nespresso.

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Sarong ha elaborato differenti soluzioni di produzione di capsule rigide pelabili termoformate auto-protette (barrie-ra a gas e luce da e verso l’esterno). Si parte dalla termo-formatura ad alta precisione di materiali barriera speciali (PP/EVOH/PP, PS/EVOF/PE, AL/PP e AL laccato) a seconda delle esigenze; si possono ottenere spessori modificabili in ogni punto della capsula, un fattore che insieme al tipo di materiale usato permette di determinare il grado di durata dell’effetto barriera. All’interno delle capsule possono es-sere collocati elementi filtranti in carta o plastica. Tutti gli elementi sono rimovibili (film di chiusura, capsula, filtro in-terno eventuale, caffè esausto). Sarong fornisce macchine termoformatrici, macchine riempitrici-saldatrici, servizio di co-packing conto terzi, servizio brevettuale specifico su richiesta (capsule di proprietà esclusiva del richiedente). Le soluzioni Sarong consentono tre vantaggi ambientali: eliminazione dei materiali d’imballaggio secondario (per fornire l’effetto barriera), allungamento della vita a scaf-

fale (prevenzione di rifiuto alimentare), possibilità di sepa-razione manuale o automatica del lead di chiusura (d’allu-minio o di PP) per il recupero dei componenti della capsula (riciclo-recupero).

B-Pack, specializzata in film barriera coestrusi flessibili multistrato con presenza di EVOH, è protagonista anche nel settore caffè con soluzioni che permettono la realizza-zione di packaging senza la presenza di alluminio ma ga-rantiscono un effetto barriera elevato ad ossigeno, aromi e luce. La loro applicazione è al momento nel confeziona-mento di caffè in polvere e in grani, i mercati di riferimento sono quelli del nord Europa molto sensibili all’aspetto eco-friendly, richiesto al tempo stesso all’industria di marca e dai consumatori finali. Ma B-Pack ha già studiato e messo a punto strutture, sempre sen-za alluminio, dedicate ai flow pack contenenti capsule e cial-de monoporzione di caffè pre-dosato per macchine espresso domestiche, un segmento in

forte crescita in tutt’Europa. Come per il caffè in grani e in polvere, anche nel segmento di mercato di cialde e capsule cresce l’interesse per nuovi packaging ‘alu free’ che per-mettano di riciclare l’imballo e renderlo compatibile con la raccolta differenziata della plastica. I benefici per l’am-biente non si limitano alla sola riciclabilità del packaging ma consentono consistenti riduzioni del ‘carbon footprint’ dell’imballo stesso. Le previsioni evolutive del mercato dei

flessibili nel comparto caf-fè mostrano che le strutture barriera con EVOH saranno sempre più impiegate: B-Pack è già pronta anche con una gamma di film ad alta barrie-ra, bio-based, prodotti in 5 e 7 strati, realizzati con materie prime provenienti da fonti rinnovabili.

Nuovi materiali

Capsule auto-protette

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La prima capsuLa conforme per iL caffè

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“La società tedesca BIOTEC, specialista in ricerca, sviluppo e produzione di resine bioplastiche compostabili da fonte rinnovabile, ha superato il primo traguardo per applicare il proprio polimero Bioplast 900 nel mercato delle cap-sule per il caffè espresso. Infatti, il Bioplast 900 ha rag-giunto la certificazione di valore europeo che attesta la conformità dei manufatti realizzati con esso al contatto alimentare. I test effettuati sono consistiti anche in prove di migrazione verso il caffè. I prossimi impegni della casa tedesca riguardano la valutazione della resistenza mec-canica in fase di stampaggio e per termoformatura e di comportamento lungo linee di riempimento e chiusura. Successivamente, nel corso del 2015, se tutti gli ulteriori test saranno soddisfacenti, per questo nuovo materiale si apriranno le porte di un mercato da oltre 16 miliardi di capsule a livello mondiale.

Materiale InnovativoIl Bioplast 900, messo a punto più di un anno fa, è una resi-na termoplastica priva di plastificanti e con alto contenuto di materie prime biologiche (non OGM). L’impronta car-bonica dell’intera formulazione del prodotto raggiunge il 69% mentre il contenuto di materie prime da fonte rinno-vabile raggiunge il 75%. Si tratta di un materiale facile da processare, particolar-mente indicato per stampaggio ad iniezione ed estrusio-ne, per termoformatura; è idoneo per produrre manufatti biodegradabili e compostabili, in conformità alla Norma EN 13432 e resistenti alle alte temperature. L’assenza di plastificanti ne consente l’utilizzo per realizzare manufatti di alta precisione, qualità costante, privi di cattivi odori e di lunga durata ma di veloce biodegradazione in compostag-gio industriale.

La conformità alla normativa che tutela il prodotto e il consumatore è un pre-requisito di sostenibilità, ma non tutte le capsule possono dimostrarla

di argia fanelli

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Funghi di caFFè…dai Fondi di caFFè

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Cosa fare delle tonnellate di fondi di caffè che si produco-no ogni giorno? Molte strade sono state tentate, dalla pro-duzione di biogas all’estrazione delle proteine. Ma quella forse più creativa è quella proposta da un gruppo di amici portoghesi che hanno fondato l’azienda Gumelo e messo sul mercato dei kit per la coltivazione domestica dei fun-ghi di varietà Pleurotus ostreatus – noti in Italia con i nomi volgari di orecchione o funghi ostrica – utilizzando come substrato i fondi di caffè. L’idea è piaciuta a livello interna-zionale: infatti il loro prodotto Eco Gumelo ha vinto – a pari merito con un francese – il Sial di Bronzo 2014.L’idea di lanciarsi in questo business è venuta a João Ca-valeiro, biologo e attualmente responsabile ricerca e svi-luppo e product management di Gumelo, dopo aver letto una ricerca messicana sulla possibilità di coltivare funghi su polpe di caffè. All’inizio del 2010 ha coinvolto due amici d’infanzia: Tiago Marques, designer, responsabile marke-ting della società che ha curato il marchio Gumelo e il pro-getto di comunicazione, e Rui Apolinario, che con in tasca gli studi in farmacia si è occupato di promuovere gli aspetti salutistici del progetto e grazie alle doti imprenditoriali ha posto le basi per un business efficiente. A loro si è aggiunto Telmo Marques, che segue la produzione e le vendite.

Un’idea venuta dal lontanoLo studio che ha dato ai tre amici lo spunto per la nuova av-ventura imprenditoriale è la ricerca condotta da un grup-po di ricercatori dell’Università di Puebla in Messico, che ha indagato la possibilità di coltivare funghi utilizzando come substrato la polpa di caffè, uno scarto della lavora-zione del chicco, disponibile in grande quantità nel Paese centroamericano e scaricata per decenni in maniera poco controllata inquinando i fiumi nei pressi dei luoghi di tra-sformazione.

Nello studio la polpa, umida, è stata messa a scolare per alcune ore per ridurne l’umidità e lasciata fermentare per alcuni giorni per avere un prodotto inodore, chimicamente e fisicamente omogeneo, con un pH (tra 6,0 e 7,0 adatto alla crescita microbica). Dopo la fermentazione la polpa, da sola o addizionata di altri sottoprodotti organici, è stata sottoposta a un processo di pastorizzazione per immersio-ne in acqua a 70°-90°C per un paio d’ore. L’alternativa, per processi su scala industriale è il passaggio in tunnel a vapo-re a 60°-100°C per 6-24 ore. La polpa cosi trattata è stata inoculata con spore di Pleuro-tus, nella misura tra lo 0,5 e il 3% in peso sul substrato, in-trodotta in sacchi di plastica e lasciata in incubazione in lo-

La miscela esausta diventa il substrato di crescita per funghi commestibili in un kit inventato da un gruppo di intraprendenti portoghesi

di Elena consonni

Per trasmettere ai piccoli la passione del coltivare da soli quel che si mangia, è stato creato My first Gumelo. Il cartoncino è illustrato e il kit comprende dei pastelli per colorare la confezione.

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cali in cui temperatura (15°-30°C), umidità relativa (> 60%), ventilazione e luce sono state mantenute. La completa co-lonizzazione ha richiesto circa 25-30 giorni e lo sviluppo dei funghi ulteriori 4-7 giornate. Dopo la raccolta dei fun-ghi, era rimasto ancora circa il 27% del substrato originale. La polpa esausta, ricca di sostanze nutritive (carboidrati, proteine, grassi e fibre) è stata destinata al compostaggio per la produzione di fertilizzanti e ammendanti. In questo modo la polpa di caffè è stata trasformata da un rifiuto in-quinante al punto di partenza di una nuova filiera virtuosa. L’innovazioneInvece di utilizzare la polpa, il gruppo di amici portoghesi, ha optato per i fondi di caffè, raccolti presso una ventina di bar e ristoranti nei pressi dell’azienda. Dopo due anni di ricerca è stato lanciato Eco Gumelo. L’idea vincente è sta-ta quella di non pensare a una coltivazione professionale,

di ampia scala, ma di confezionare i fondi, inoculati con le spore fungine, in una confezione in cartoncino da vendere ai consumatori finali permettendo loro di produrre, davve-ro a km zero, i funghi da mettere in tavola immediatamen-te dopo il raccolto.La produzione è davvero alla portata di tutti, anche ai meno esperti di pratiche orticole: basta rimuovere la finestrella in cartoncino pretagliata, praticare un’incisione a x con una lama affilata sul rivestimento in plastica sottostante (che permette di mantenere l’umidità all’interno del kit) e spruzzare acqua sul taglio due volte al giorno, mantenendo il kit in un luogo luminoso, ma non esposto alla luce diretta del sole. Tutte le istruzioni sono riportate in maniera chiara, anche attraverso l’uso di pitto-grammi, sul pack. Qualche giorno di tempo e i funghi sono pronti per la raccolta e il consumo. Dopo il raccolto, i fondi del caffè possono essere smaltiti con la frazione organica dei rifiuti.

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Cartoncino e look eco-friendly per il pack di Eco Gumelo. I funghi escono, quasi come un’esplosione dalla finestra ritagliata nella confezione.

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Alla rapidità con cui si sta sviluppando il mercato delle monodosi (sia in capsule rigide sia in cialde) corrisponde un aumento nel consumo di ‘food service packaging’: si tratta degli strumenti che le utenze professionali, in-dustriali e commerciali associano al caffè estratto con macchine domestiche espresso per servirlo: bustine di zucchero, cucchiaini monouso, bicchieri monouso. Si cal-cola che il 27% del consumo di capsule sia riferibile non all’ambito domestico (dove non si usano tali strumenti) ma ad uffici, negozi e aziende che sull’onda del monouso hanno trovato sempre di più pratico utilizzare in versione monouso anche gli accessori per servirlo, tanto più che i distributori all’ingrosso servono appunto anche il corre-dino completo. In prospettiva, aspettiamoci dunque al traino delle capsule un mare di prodotti monouso. Peccato che la direttiva europea suggerisca la prevenzione, il contenimento dei rifiuti, il riutilizzo. Ecco quindi l’opportunità di distinguersi, di fare prevenzione, di fidelizzare, di rendere ancor più rituale ed elegante il consumo della capsula: l’abbandono del bicchierino e del micro-cucchiaio per agitare il caffè zuccherato a favore di stru-menti riutilizzabili dal design distintivo e coordinato.

Elegante e utileUn esempio fra i tanti è quello di Caffè Pascucci che in questi giorni inaugura in zona San Babila (corso Eu-ropa 22) un caffè di 500 mq, l’ennesima

tappa del processo di internazionalizzazione in corso attraverso negozi diretti, in franchising, corner (in tota-le 468 coffee shop nel mondo) e e lo sviluppo anche del caffè in cialde (al momento non ancora in capsule). Nell’as-sortimento di tazze e caffettiere che fanno parte del mer-chandising, appare questa soluzione a doppia camera, che tratta il caffè come il vino: trasparenza per vederne il colore, ma utile anche per le varianti di bevande calde di fantasia a base di caffè. La doppia camera consente di non scottarsi le dita, offre una presa salda anche a chi ha poca manualità (anziani e disabili), mantiene il caffè più caldo delle soluzioni tradizionali e soprattutto è riutilizzabile.

Attenzione A non eccederenell’usA e gettA…

La liturgia del caffè espresso domestico seduce anche studi professionali e imprese che però ricorrono a bicchierini e cucchiai monouso. Come prevenire i rifiuti e farsi notare?

di Argia fanelli

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PER ELEGANZA, PER RICICLABILITA’

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Wake Up è una giovane realtà in crescita che opera nel cam-po alimentare e nello specifico del caffè. Grazie ad un’at-tenta indagine di mercato, supportata anche dall’espe-rienza maturata negli anni dal proprio organico, ha deciso di intraprendere e specializzarsi in due ambiti fondamen-tali nella filiera produttiva: confezionamento conto terzi di caffè e bevande calde in barattoli in banda stagnata e ven-dita di prodotti a marchio proprio “Caffè Buono”. Wake Up (la sede è in via dell’Industria a Berlingo-BS) ha scelto di sposare il confezionamento in banda stagnata come servi-zio di confezionamento conto terzi per un’ampia gamma di prodotti (caffè in grani, macinato e in capsule auto-pro-tette ma anche prodotti in foglia quali tè e tisane e solubili a base zucchero come orzo, ginseng e cioccolata) per le caratteristiche di visibilità, eleganza, elevata protezione e riciclabilità di questa tipologia di contenitore e di materia-

le. La scelta di packaging e di assortimento apre Wake Up ad un target che spazia dai produttori di caffè e solubili alla GDO, passando dalle varie catene di ristorazione e/o caffetterie fino ai grossisti che desiderano il loro prodotto o, a richiesta il prodotto messo a punto da Wake Up, a pro-prio marchio di qualità senza investire nella creazione del packaging e con tempi di realizzazione molto brevi. Wake Up fornirà un servizio di studio grafico totalmente interno all’azienda. Accanto all’attività di co-packing, e a garanzia della qualità dei prodotti, Wake Up commercializza una linea di prodotti a proprio marchio (Caffè Buono) declina-to in tutte le forme e formati, comprese cialde morbide e capsule rigide, presto anche in versione compatibile con alcuni dei principali sistemi per il caffè espresso domestico. Target di questa linea di prodotti saranno il canale famiglie e le attività commerciali/professionali.

La scelta di campo in fatto di materiali da imballaggio e di forme da parte di un giovane co-packer attivo anche con marchio proprio

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Caffè e banda stagnatarisorse entrambe ‘rinnovabili’

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Quello con l’acciaio è un matrimonio perfetto e storico: caffè e banda stagnata celebrano oltre cent’anni di felice unione, un’intesa che ha saputo evolversi nel tempo arric-chendosi di nuovi contenuti, soprattutto di sostenibilità. A scrivere i primi capitoli della storia furono gli stessi tor-refattori ‘fin de siècle’ (‘800, ovviamente!), uno per ogni quartiere, che avvisavano della fresca produzione setti-manale grazie alla bassa pressione atmosferica capace di diffondere per le strade l’aroma dei chicchi appena tostati. Per l’acquisto c’erano o il sacchetto di carta riempito al mo-mento oppure un barattolo in banda stagnata da conser-vare in dispensa: quello con la chiusura semplice o tramite gancio a pressione che faceva concorrenza a quello in ve-tro scuro. Fu il primo esempio di refilling, una pratica che dura anco-ra adesso: fra l’altro, è proprio il riutilizzo del contenitore cilindrico per la medesima funzione una delle tante carat-teristiche di sostenibilità ambientale della banda stagnata nel settore del caffè.

Protagonista in casa e al barLa nascita dell’industria di marca nasce e si sviluppa pro-prio grazie al barattolo cilindrico, che consentiva il man-tenimento delle caratteristiche organolettiche in modo ottimale: barriera ai gas, alla luce, all’umidità, ai danni mec-canici. Consentiva? Consente! Ancor oggi un brand internazionale del caffè di fascia alta ha mantenuto la banda stagnata come packaging di ri-ferimento sia per il canale domestico sia per quello della ristorazione per la capacità dell’acciaio di proteggere, di comunicare meglio dell’imballaggio polimerico flessibile usa e getta, di fidelizzare locali e consumatori al riacquisto proprio grazie alla possibilità di riutilizzo e riciclo offerta dal contenitore metallico.

Riciclabile o riciclato?Secondo elaborazioni fornite da Apeal, Association of Eu-ropean Producers of Steel for Packaging, che ha messo a confronto dati forniti anche da altre filiere di materiali, emerge che nel 2012 il 74% dell’acciaio da imballaggio im-messo al consumo in Europa veniva riciclato (il vetro era al 70%, l’alluminio da lattina al 68%) mentre gli altri materiali non superavano il 40%. Fra i motivi per scegliere un ma-teriale di confezionamento è dunque importante porsi la domanda ‘che tipo di fine vita ha? E’ riciclabile oppure è riciclato?’ Forse non basta, il fine vita non è l’unico impatto: negli ultimi 40 anni, l’industria del settore ha ridotto del 50% le emissioni di anidride carbonica, e parimenti il con-sumo di energia e di carburanti fossili, considerando anche il beneficio energetico e ambientale derivante dall’uso ora-mai esteso del riciclato.

Pesatelo vuoto, scoprirete che…Si calcola, per esempio, che ogni manufatto recuperato per-mette di prevenire una quantità di CO2 pari ad una volta e mezza il peso stesso dell’imballo. A queste prerogative am-

Un’accorta gestione permette di avere sempre a disposizione caffè a basso impatto e imballaggi riutilizzabili tal quali o come materia secondaria

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bientali dirette si aggiungono quelle che possiamo definire indirette: la resistenza dell’acciaio, l’elevato effetto barriera, la prevenzione dei danni meccanici, la tenuta della pressio-ne interna nel caso del caffè sono tutti elementi che pre-vengono la formazione di rifiuti alimentari: la lunga durata e la richiudibilità evitano lo spreco di prodotto tramite una più lunga conservazione. Questi elementi di sostenibilità ambientale, unitamente a quelli di comunicazione e marke-ting, confermano la banda stagnata come uno dei materiali di riferimento per il caffè: anche in capsule e in cialde.

Il 73,6% è riciclatoNel 2013 sono state immesse al consumo 435.149 tonnella-te di imballaggi in acciaio, in calo dell’1,1% rispetto all’anno precedente. Tale contrazione ha avuto ripercussioni dirette sui flussi di raccolta e riciclo, che tuttavia hanno mostrato riduzioni contenute; sono state recuperate 320.231 ton-nellate; in aumento la popolazione servita (+ 2%, coperta all’80%) e sono aumentati del 2,8% i Co-muni coperti da convenzioni ANCI-CONAI per la raccolta differenziata. Per quanto riguarda il flusso da superficie pubblica si è registrato un aumento del 4,8% rispetto all’anno precedente. A livello territoriale è da segnalare la forte crescita nel centro Italia (+21,7%) e nel sud (+17,5%), dovuta all’aumento del numero di convenzioni e accordi stipulati. La quota pro-capite di imballaggi in acciaio raccolti in un anno è stata in media di 3,32 kg per abitante. Grazie alle 320.231 tonnellate di acciaio recuperato dagli imballaggi in Italia nel 2013 si è ottenuto un risparmio diretto di 608.439 ton-nellate di minerali di ferro e di 192.138 tonnellate di carbo-ne, oltre che di 573.213 tonnellate di CO2.

“Quest’anno abbiamo notato un migliora-mento della qualità degli imballaggi raccol-ti, che in alcuni casi ne ha consentito l’invio direttamente alle acciaierie per il riciclo sen-za che si rendesse necessario un intervento intermedio da parte degli operatori” spiega Maurizio Amadei, presidente di RICREA. Positivo anche il commento del direttore ge-nerale di RICREA, Federico Fusari direttore generale RICREA, che sottolinea la traspa-

renza nella gestione dei materiali raccolti: “Abbiamo intro-dotto un sistema di aggiudicazione tramite Aste Telemati-che. Abbiamo inoltre rafforzato il legame con le acciaierie, in cui i contenitori in acciaio rinascono a nuova vita attra-verso la fusione”.

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CONSUMATORI & SOCIALE autismo

In un caldo pomeriggio dei primi d’ago-sto, sono rimasto in contatto un paio d’o-re con un gruppo di bambini autistici e i loro terapisti presso un centro estivo a Misano Adriatico, in provincia di Rimini.

Era una delle iniziative dell’associazione di ge-nitori ‘Io Centro’, ospitata dal Comune di Mi-sano Adriatico presso una villa d’inizio ‘900, appoggiata sulla duna di sabbia creata dal mare nei secoli, appena sopra la statale adria-tica. Lasciata da Giuseppe Bianco in eredità al Comune perché la destinasse agli anziani bi-sognosi, accoglie oggi anche non solo chi ha già fatto un lungo percorso di vita, ma anche chi ci è appena entrato e già dai primi anni fa fatica, insieme ai suoi genitori, a fare i primi passi. Stare due ore insieme ai bambini auti-stici crea un forte disagio: non sai cosa fare, cosa dire, come comportarti. Dopo mezz’ora ho scelto di osservare e sentire. Non potevo fare altro: autismo è chiusura e distacco dalla realtà. Dopo un’oretta trascorsa in mezzo ai bambini, alcuni genitori impegnati nell’asso-ciazione che raccoglie fondi per pagare i te-rapisti ci hanno guidati nelle sale dove si ten-gono le varie attività diurne (alimentazione, gioco, pulizia, ecc.) che diventano momenti e luoghi terapeutici.

Strumenti di lavoro Qui ho scoperto che anche gli imballaggi

hanno la loro funzione, come le parti superiori di bottiglie di plastica ritagliate e fissate su vas-soi per abituare i bambini a collocare, avvitare e svitare. Un’altra bottiglia stabilizzata serve per abituarli a inserire i fagioli. Aprire, chiude-re, versare e riempire sono azioni importanti per loro: li aiutano a interagire con oggetti dif-

Storie di chiusure e di aperture…

Tappi e bottiglie servono anche a questo: ad aiutare bambini autistici a far parte di una comunità

di Luca Maria De Nardo

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ferenti, col loro corpo, a finalizzare e applicare i sensi all’esterno. Ma è nella sala della pittura che ho avuto l’impressione più forte: qui un esperto pittore ha trovato un espediente per aprire la loro mente al colore e alle forme. Per aiutarli a usare i colori, ha creato una rastrellie-ra che ordina in modo graduato e progressivo i contenitori dei colori. Ogni bambino, uno alla volta, appoggia un foglio bianco sulla parete di fondo protetta da grandi fogli di carta grez-za, e inizia a dipingere. Alla fine del lavoro stac-ca e conserva la sua opera. Dopo tanti giorni e tanti lavori, sono rimaste sulla parete di fondo le sagome dei tanti fogli appoggiati. Per ogni disegno, il suo piccolo autore è uscito dal bor-do sporcando la superficie di fondo…

Un affresco involontarioE’ nato così un affresco involontario, che

racconta tante piccole storie di linee spezzate e interrotte, frammenti di sogni ed emozioni non conclusi e disordinati, senza un inizio e una fine. Una rete squadrata e geometrica di storie che stanno cominciando ad avere un senso perché qualcuno li aiuta a costruire se stessi: sono i loro genitori, i loro terapisti, e i loro amministratori locali. Non è un’ope-ra d’arte, ma ha qualcosa di magico, come la musica spontanea dei maestri che accordano gli strumenti prima di iniziare una sinfonia. Negli spazi vuoti, dentro i bordi di queste sa-gome, sembra di sentire le menti dei bambini che si stanno sforzando di parlare: è un vocia-re confuso, chiassoso e poco comprensibile, il brusio di tante vite che crescono. n

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CONSUMATORI & SOCIALE ricariche

Il Giappone è un paese poco conosciuto, ma estremamente presente nel nostro quotidiano. A partire dagli anni ’60, il mondo occidentale è stato “invaso” dalle imprese giapponesi dei settori dei beni

di consumo durevoli, dell’intrattenimento e della meccanica. Sui mercati europei possia-

mo senza difficoltà trovare un manga, un’au-tomobile o una macchina utensile di origine giapponese, ma difficilmente potremo acqui-stare un bene di largo consumo nipponico. Vediamo talvolta gli imballaggi giapponesi disegnati nei manga, ma non li troviamo nei nostri supermercati. Eppure l’imballaggio è

Ricariche? Una questione ‘etica’

A partire dagli anni ’90, il Giappone ha scelto di investire nell’educazione del consumatore all’uso di ricariche per i beni di largo consumo. Si è potuto così ridurre significativamente il consumo d’imballaggi, fidelizzare i consumatori e difendere i margini unitari delle società

di Antonio Savini

Tajima Kumiko della Kao Corporation,

produttore nipponico specializzato in

detergenza casa, persona e cosmetica,

ha spiegato in occasione di

un seminario a Emballage 2014 i

criteri di sostenibilità nel progettare

le ricariche degli imballaggi primari.

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un importante elemento della vita quotidia-na e fa parte della nostra cultura materiale.

Nel mondo del packaging, il Giappone è un universo a parte, che però è interessante conoscere perché estremamente innovativo. L’ultimo Salon de l’Emballage di Parigi è sta-to l’occasione per fare il punto sulle ultime novità, grazie al seminario “Japanese Easy & Style Packs”. La conferenza è stata animata dalla presenza di Caroline Moulin della NaO Design Trends e Tajima Kumiko della Kao Cor-poration, importante società nipponica spe-cializzata nei settori dei cosmetici, dei deter-genti e del chimico casa.

Tra gli aspetti trattati, importante quello relativo alla diffusione dei prodotti con rica-riche sul mercato giapponese: si tratta di un fenomeno iniziato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 e che oggi è diventato la modalità prevalente di commercializzazio-ne per beni di largo consumo come detersivi, lozioni per la cura del viso, shampoo, ecc.

Parlare sempliceIl principio di base è estremamente sem-

plice. Il consumatore trova sul banco del supermercato due confezioni per lo stesso prodotto: la principale e la ricarica. Il primo è il classico imballaggio, di solito rigido, con tappo o dosatore. La ricarica, invece, contie-ne la stessa quantità di prodotto in un imbal-laggio più leggero, di solito non rigido. Una volta che l’imballaggio principale è vuoto, il consumatore non deve fare altro che travasa-re al suo interno il contenuto della ricarica e continuare ad utilizzare il prodotto.

I vantaggi di questo tipo di soluzione sono molteplici. La ricarica utilizza una minore quantità di imballaggio ed è più leggera. Ciò permette di ridurre in modo sensibile il consumo di packaging, la quantità di rifiuti e l’impronta ambientale dell’uso dei prodotti commercializzati. Il consumatore ha il bene-ficio concreto di una riduzione del costo della

confezione ‘ricarica’, pur acquistando esatta-mente la stessa quantità di prodotto, e la sod-disfazione di poter fare qualcosa di concreto per l’ambiente senza ridurre il suo consumo.

I problemi legati alla diffusione delle rica-riche sono stati all’origine di numerose inte-ressanti innovazioni nel settore dell’imbal-laggio. Innanzitutto, si è dovuto ripensare il packaging dei prodotti di largo consumo commercializzati. Il design deve consentire al consumatore di riconoscere facilmente sia l’imballaggio principale che la sua ricarica. Inoltre, il riempimento della confezione av-viene una prima volta nella fabbrica della so-cietà produttrice all’interno di una linea au-tomatizzata di produzione, cioè un ambiente industriale. Successivamente, però, il riempi-mento dell’imballaggio deve essere effettua-to dal consumatore in un ambiente domesti-co e a mano. Sia l’imballaggio principale che la ricarica devono, quindi, venir concepiti per rendere il più possibile semplice l’operazione di travaso e ridurre i rischi di perdite o di con-tatto del prodotto con elementi esterni.

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Nell’immagine si possono vedere l’imballaggio principale (a destra) e la sua ricarica (a sinistra). Il prodotto è una lozione a uso cosmetico. La ricarica è sigillata da un tappo a linguetta che si toglie facilmente, successivamente il consumatore deve inserire il beccuccio nell’imballaggio principale ribaltando la ricarica e il travaso è effettuato in pochi secondi senza perdite di prodotto.

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CONSUMATORI & SOCIALE ricariche

Educare è motivareIl marketing ha avuto un ruolo fondamen-

tale nella diffusione dell’uso di prodotti con ricariche. Le grandi marche giapponesi hanno massicciamente investito nell’educa-zione del consumatore al fine di spiegare i benefici ambientali ed economici delle ri-cariche. Oggi il giapponese medio tende a scegliere uno shampoo, un detersivo o una crema in funzione della disponibilità e del-la qualità della ricarica. Secondo i dati pre-sentati dalla Kao, (ai vertici dell’industria cosmetica giapponese, conta numerosi fol-lower), sui 166 prodotti disponibili in que-sta modalità, le vendite delle ricariche sono mediamente il 75% del totale.

E’ interessante riflettere sui motivi che hanno spinto le società giapponesi a investi-re nello sviluppo dei prodotti con ricariche. Si tratta di una soluzione non immediata-mente evidente: il design del packaging ne risulta complicato e occorre predisporre al-meno due linee di imballaggio per lo stesso prodotto. L’investimento in comunicazione per educare il consumatore deve, inoltre, essere consistente ed avere un arco tempo-rale pluriennale. Senza negare l’importan-za di motivazioni di ordine ambientale o di immagine, i brand giapponesi hanno deciso d’investire nello sviluppo delle ricariche an-che per concrete ragioni economiche.

Una ricetta anti-crisiDall’inizio degli anni ’90, la crescita giap-

ponese è stata trainata principalmente dal-le esportazioni e dalla spesa pubblica in de-ficit, mentre i consumi delle famiglie erano sostanzialmente stagnanti e la deflazione riduceva i profitti.

La diffusione degli imballaggi con ricariche rappresentava una strategia per difendere i margini grazie all’innovazione di prodotto e di processo. Rispetto all’imballaggio tra-dizionale, la ricarica richiede meno risorse.

Le spese per il materiale, la produzione e il trasporto sono conseguentemente ridotte consentendo alle marche un significativo risparmio, condivisibile tra il produttore e il consumatore. Si può così vendere ricariche meno costose e difendere efficacemente i margini unitari.

Al tempo stesso si consegue l’obiettivo di fidelizzare il consumatore rispetto alla mar-ca, perché una volta acquistato l’imballag-gio principale più costoso, si ha un incenti-vo economico a comprare la ricarica.

Dal punto di vista del marketing, questa scelta di imballaggio permette di spezzare le vendite per tipo di prodotto tra primo acquisto ed acquisti successivi. La società produttrice può, sorvegliando le vendite dei due tipi d’imballaggio, sapere in tem-po reale se sta conquistando nuovi clienti o perdendo i vecchi e reagire di conseguenza.

Gli imballaggi con ricarica stanno comin-ciando ad apparire anche nei mercati euro-pei soprattutto nel campo dei saponi e dei detersivi liquidi. Per il momento rappresen-tano una quota minoritaria delle vendite, non sono ancora la modalità prevalente di commercializzazione come in Giappone, ma il loro potenziale di sviluppo è conside-revole. In prospettiva, l’esperienza nipponi-ca deve essere considerata con attenzione, perché i consumatori europei sono sempre più interessati all’impatto ambientale delle loro scelte e desiderosi di mantenere il loro livello di consumo pur riducendo la spesa.

Contemporaneamente, i produttori sono spinti dalla legislazione a ridurre il loro con-sumo di imballaggi e subiscono la pressio-ne della crisi economica sui loro margini. La scelta dell’imballaggio con ricarica può essere, in prospettiva, una delle soluzioni su cui riflettere per far quadrare il cerchio della soddisfazione delle aspettative del consumatore, della riduzione dell’impatto ambientale e dell’aumento dei margini. n

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L’insieme delle 100 più grandi utility italiane fattura 125 miliardi di euro; nel 2013 ha fornito oltre il 52% dell’e-lettricità prodotta in Italia, il 66% dell’acqua potabile erogata e il 36%

dei servizi di gestione dei rifiuti. I macro dati ed altri più ampi e specifici emergono dalla terza edizione del rapporto Top Utility Analysis che considera (nel 2014 i fenomeni del 2013 rispetto al 2012) le maggiori 100 utility pubbliche e private italiane attive nei settori gas, luce, acqua e rifiuti.

Il report nasce dal gruppo di ricerca di Top Utility, è coordinato da Althesys ed esamina il quadro economico e la situazione finanziaria dell’ultimo triennio, la gestione operativa, la comunicazione, la sostenibilità sociale e am-bientale, il rapporto con i consumatori e con il territorio, il patrimonio tecnologico e l’inno-vazione per valutare in un’ottica integrata di sostenibilità economica, finanziaria, sociale e ambientale le performance delle principali utility attive sul territorio italiano, evidenzian-done eccellenze, criticità e tendenze di fondo.

Top Utility intende unire le imprese su un piano di valori condivisi, valutandone le per-formance in base a criteri oggettivi, per rilan-ciare un settore a forte impatto sulla collet-tività e il territorio, rendendolo protagonista dello sviluppo sostenibile e della crescita.

Nel 2013 il fatturato sviluppato dalle 100 aziende più grandi rappresentava il 7,7% del prodotto interno lordo italiano ma era calato

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TRE TRATTAMENTI

Le utilities, un patrimonio poco conosciuto che richiede maggiore attenzione da parte di imprese e cittadini in ordine ad efficienza e sviluppo dei servizi

Rifiuti, energia e acqua:si può fare di piùA cura della redazione

Chiusa dei canali d’irrigazione alla

periferia sud di Milano, dove oggi

Metropolitana Milanese sta

ripristinando per conto del Comune

di Milano, nel Parco della Vettabbia, parte

dello scomparso sistema idrico e floro-faunistico.

L’inaugurazione è attesa in occasione

di Expo 2015, il tema idrico sarà centrale.

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dell’1,3%. Il calo del giro d’affari, dovuto alla crisi dei consumi, ha riguardato soprattutto i principali gruppi energetici e alcune grandi multiutility del Nord.

Dal punto di vista dei risultati economici, sono sopra la media le aziende del comparto energetico, mentre le aziende di gestione dei rifiuti sono gravate soprattutto dai costi del personale. Le aziende idriche hanno il miglior rapporto tra EBTIDA e ricavi (22,4%), segui-te dalle multiutility (17,1%) e dalle energeti-che (15,1%). In aumento gli investimenti (5,7 miliardi, +6,8%); quello totale nel comparto energetico è stato di 3,3 miliardi, mentre i settori idrico e i rifiuti hanno investito nel complesso 823 milioni.

Efficienza da presidiareI risultati delle aziende di nettezza urbana

sono superiori alla media, con una percen-tuale di raccolta differenziata che raggiunge il 49%. Il settore dell’acqua invece rileva per-dite medie attorno al 35%, soprattutto al Sud (50%) mentre il Nord è vicino agli standard europei, indicando la necessità di investire di più sulle condutture, sebbene una parte consistente delle perdite sia di natura ammi-nistrativa. Ma il dato sulle perdite può essere anche condizionato dal maggior rigore nelle rilevazioni statistiche conseguente all’avven-to dell’AEEGSI. Le perdite in Gran Bretagna sono il 19%, in Danimarca il 10% e in Germa-nia il 7%.

La classificaIl rapporto, oltre alle analisi, stila una classi-

fica di merito: la migliore azienda in assoluto è stata Acque, del Basso Valdarno, (in finale con Aimag, Hera, Marche Multiservizi e Nuo-ve Acque). Oltre alla graduatoria assoluta, prima per sostenibilità è Hera di Bologna (fi-nalista con Acea, Acque, Iren e Marche Multi-servizi), primo per comunicazione è il gruppo Cap della provincia di Milano (con A2A, Acea,

Acque ed Hera), prima per tecnologia e inno-vazione è A2A (con Acqua Novara Vco, Acque del Chiampo, Aimag e Metropolitana Milane-se), prima per performance operative è la tre-vigiana Contarina (con Atena, Etra, Lario Reti e Toscana Energia). A seguito della classifica, la premiazione in un evento pubblico; il pre-mio prevede il riconoscimento di eccellenze in questi campi: le performance economico-finanziarie, la sostenibilità, la comunicazione, gli effetti sul territorio, la ricerca e l’innovazio-ne. Rapporto e premio sono giunti oggi alla terza edizione, analizzando quindi il triennio che va dal 2010 al 2013. n

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Segmento della roggia Vettabbia, che alimenta l’omonimo parco cittadino. Fu costruita dai Romani per scolmare le acque in eccesso dal nord cittadino. Il suo nome significava ‘navigabile’. Alle multiutility il compito di riattualizzare i corsi d’acqua naturali e artificiali, sottrarli agli scarichi industriali abusivi, restituirli ai cittadini e alle imprese.

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L’obiettivo è che le imprese, e in gene-rale tutto il paese, cresca in un conte-sto internazionale e che rispetto ad esso sia competitivo; parte di questo obiettivo è la sostenibilità, che diven-

ta di giorno in giorno requisito non facoltati-vo per la crescita. Ma orizzontale a questi due elementi, crescita economica sotto il segno della sostenibilità, scorre un prerequisito: l’ef-ficienza energetica. E’ prioritaria per motivi fin troppo ovvii, ma non è stata ovvia l’azio-ne correttiva delle imprese, secondo quanto emerge dal quarto Rapporto sull’Efficienza Energetica prodotto dall’Energy & Strategy Group della School of Management del Poli-tecnico di Milano.

Il gruppo, composto da docenti e ricercato-ri provenienti dai due Dipartimenti di Inge-gneria Gestionale ed Energia, è impegnato nell’analisi costante con l’obiettivo di aiutare imprese e amministratori a superare gli osta-coli a quella razionalizzazione che l’ultima edizione del rapporto denuncia come fin troppo modesta: appena il 15% dell’obietti-vo nazionale che la Strategia Energetica Na-zionale si era dato: 15,5 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.

L’isolamento termicoIn questo primo articolo dedicato ai conte-

nuti emersi dal rapporto, consideriamo l’ulti-mo capitolo, quello della coibentazione che rappresenta l’intervento più semplice e im-

mediato da adottare sulle strutture esistenti e su quelle da progettare. La sezione dell’o-pera analizza la questione dell’isolamento termico industriale identificando le soluzioni per ridurre le perdite termiche e le loro carat-teristiche tecnico-economiche; passa poi a valutare i settori industriali dove si registrano i migliori benefici, successivamente i benefici energetici ed economici in generale ed infine il potenziale di risparmio energetico e il vo-lume d’affari che può generare l’insieme di queste azioni. L’isolamento ‘a caldo’ conside-rato dal rapporto è funzionale a conservare temperature fino a 550° C e comprende so-luzioni quali materiali fibrosi, microporosi, ve-tro cellulare e aerogel. L’isolamento ‘a freddo’ è funzionale a conservare temperature fino a -50° C e comprende soluzioni quali resine po-liuretaniche e-o fenoliche, poli-isocianurato, elastomeri e aerogel. I benefici si misurano come riduzione del flusso termico disperso: nel caso dell’isolamento a caldo superano tutti il 99% a prescindere dagli intervalli di temperatura considerati. Coibentare invece con soluzioni obsolete riduce il beneficio da un massimo dell’83% a un minimo del 52% (il beneficio si abbassa gradualmente all’au-mentare delle temperature).

Nel caso invece dell’isolamento a freddo, i benefici derivanti dall’adozione di tecniche innovative oscillano fra il 92% e oltre il 98%; per contro, isolare alla vecchia maniera può arrivare addirittura a non produrre nessun

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TRE energia

Forse all’efficienza energetica manca una certa comunicazione? Il dubbio ci viene leggendo le analisi dell’ultima edizione dell’Energy Strategy Report

Tecnologie subito pronteche si auto-finanzianodi Argia Fanelli

Dal 4° Energy Efficiency Report

emerge che la coibentazione è il più

importante fattore di miglioramento

dell’efficienza energetica per gli

obiettivi previsti dalla SEN nel comparto

industriale. Ed è quello che costa

meno.

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beneficio o al massimo ad uno del 44% ma solo nel caso in cui la temperatura da mante-nere sia 0° C.

I settori industrialiI benefici maggiori che si ottengono dall’i-

solare con tecnologie innovative vanno all’in-dustria che produce coke e derivati dalla raffi-nazione del petrolio (consumo termico annuo complessivo di 61.950 GWh), seguita dalla me-tallurgia (38.000) e dall’industria dei minerali non metalliferi (34.450); la carta è al quarto posto (18.500), seguita dai prodotti chimici e plastici (9.670) e dall’industria alimentare (5.450). Il mondo farmaceutico è penultimo (2.570) di una classifica che si chiude con il mondo delle bevande (345).

Ma conviene isolare seguendo lo stato dell’arte? Il rapporto considera casi paradig-matici. Prende ad esempio un’industria di formaggi con un consumo termico annuale di 460 MWh, per 4.200 ore di funzionamento e una temperatura di riferimento fra 80° C e 100° C. Ebbene, coibentare 75 mq con una so-luzione innovativa al costo di 9.500 euro, per

una durata stimata di 15 anni, significa avere un ritorno entro 8 mesi. Ma significa anche che non farlo, per 15 anni equivarrebbe a uno spreco di oltre 140.000 in bollette da destina-re invece all’innovazione. Le analisi del gruppo scientifico di Energy & Strategy arrivano a con-cludere che, raffinando opportunamente le proiezioni teoriche con la concreta convenien-za economica nell’applicare le soluzioni e te-nendo conto della percezione degli operatori del mercato, il potenziale di risparmio atteso dall’isolamento industriale può coprire circa il 10% dell’obiettivo di risparmio energetico as-segnato all’industria dalla Strategia Energetica Nazionale.

E’ necessario che le associazioni di categoria moltiplichino gli sforzi per far adottare questa politica di efficienza di primo livello; fra l’altro, potrebbero derivarne vantaggi in chiave di marketing, una comunicazione sul packaging che racconti l’impegno del produttore nell’im-plementazione di politiche di sostenibilità, a partire proprio dall’ambito territoriale più vi-cino allo stabilimento, dove si trovano i primi e più importanti consumatori dei prodotti. n

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Nell’ultimo anno hanno ridotto le emissioni dirette di CO2 del 7% e investito 3,4 miliardi di euro (+ 27% rispetto al 2013) in atti-vità di riduzione e mitigazione

del proprio impatto sul cambiamento clima-tico: sono i principali risultati emersi dal CDP Italy 100 Climate Change Report 2014 che analizza le informazioni sull’impatto ambien-tale fornite dalle imprese quotate. Il report (redatto da SDA Bocconi e IMQ in qualità di scoring partner, che ha valutato le aziende italiane sulla base della metodologia CDP) mette in luce un incremen-to del numero di imprese che hanno ren-dicontato le proprie attivi-tà ambientali tramite CDP (+15% per un totale di 53); si evidenzia una maggiore con-s ap evolez za circa l’impor-tanza non solo di rendere di-sponibili le informazioni sul proprio impatto sul cambiamento del clima, ma di mettere in atto azioni di mitigazione. La maggior parte (62%) della riduzione delle emissioni è infatti dovuta alle iniziative dirette, mentre solo un 15% si spiega con la diminuzione delle atti-

vità industriali e logistiche dovuta alla crisi. Nonostante i notevoli e progressivi migliora-menti, le imprese italiane continuano però a preferire investimenti sul breve periodo che possano quindi apportare un beneficio più immediato sia in termini ambientali che eco-nomici.

Energia e supply chainLe aziende italiane si concentrano principal-

mente sulle emissioni direttamente connesse all’attività d’impresa (quelle definite nel rap-porto come Scope 1 ma rendicontano sempre

di più anche quelle di Sco-pe 2, ovvero le emissioni indi-rette derivanti dal consumo di energia elet-trica; tuttavia i dati del re-port 2014 in-dicano anche la presenza di un crescente numero di or-ganiz zazioni che iniziano a rendicontare

anche le emissioni di Scope 3 (quelle legate alla supply chain), a monte e a valle della loro attività di impresa: il numero di aziende che è in grado di registrare anche le emissioni di Scope 3 è aumentato, passando negli ultimi cinque anni da 13 a 29. n

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TRE energia

Migliorano le performance ambientali delle principali 100 aziende italiane quotate in borsa

SPA: sostenibilità per azionedi Elsa Riva

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Secondo i risultati dell’ultima edizio-ne dell’autorevole Global Trends in Renewable Energy Investment 2014, prodotto da Frankfurt Scho-ol per UNEP-ONU, gli investimenti

mondiali complessivi nel corso del 2013 sono calati del 14% (pari a 35,1 miliardi di dollari) attestandosi a quota 214 miliardi; la causa principale risiede nella contrazione dei costi dei sistemi fotovoltaici.

La potenza installata è tuttavia cresciuta: 29 GW contro i 31 dell’anno 2012, e a fronte di un minor investimento. Ma non è l’unico dato positivo di questo settore dell’energia: aumentano i mercati del mondo nei quali le rinnovabili sono in crescita senza ricorrere a sussidi statali. L’eolico appare sostanzialmen-te stabile, mentre il fotovoltaico cresce di po-tenza ma non d’investimenti. Gli investimenti

complessivi della Cina (56,3 miliardi di dollari) superano per la prima volta quelli dell’inte-ra Europa (48,4); gli Stati Uniti mantengono la terza posizione (35,8). Il Giappone risente dell’effetto ‘nucleare’: gli investimenti in rin-novabili aumentano dell’80%.

In testa il soleQuanto alla suddivisione degli investimenti

per tipo di tecnologie, al primo posto si collo-ca l’energia solare, con 113,7, seguita dall’eo-lico con 80,1. A lunghissima distanza arrivano gli 8 miliardi delle biomasse, seguono i 5,1 del mini-idroelettrico e poi i 4,9 dei biocarburan-ti. Nel corso del 2013 il geotermico ha potuto contare su un incremento del 38% degli inve-stimenti, arrivati a quota 2,5 miliardi di dolla-ri. Il settore dell’energia ‘marina’ generata dal moto ondoso ha perso oltre il 40% dei suoi

investitori. In generale, l’andamento dei trend finanziari dipende anche dalle incertezze politiche di determi-nate aree, come pure dal calo di inve-stimenti nell’estrazione di carburanti fossili. Il report presenta dati dispo-nibili di un arco temporale che parte dal 2004 e permette di incrociare le analisi finanziarie anche per tipolo-gia di investitori, aree geografiche e oggetti degli investimenti (sviluppo tecnologico, impianti, progetti, ecc.).

Per approfondimenti, http://fs-unep-centre.org . n

TRE energia

Calano gli investimenti, trainati al ribasso dal minor costo dei sistemi fotovoltaici. Diminuiscono i sussidi statali anche perché in alcuni paesi è nato un mercato

Rinnovabili: tecnologiepiù accessibili ma …di Argia Fanelli

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Sostenibilità compatibile Rivista bimestrale indipendente di packaging gennaio-febbraio 2015 – Anno IV – n. 17 Periodico iscritto al Registro del Tribunale di Milano - Italia n. 455/14 settembre 2011Codice ISSN 2240 - 0699 Proprietà Elledì srl, Via Fatebenesorelle 18/A 20121 Milano - Italia Direttore responsabile Luca Maria De Nardo [email protected] Progetto grafico Daniele Arnaldi, Gianpiero Bertea Redazione Via G. Montemartini 4-20139 Milano - Italia [email protected]

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Editore Elledì srl Via Fatebenesorelle 18/A 20121 Milano - ItaliaIscritto al ROC n. 21602 dal 29/09/2011

Hanno collaborato a questo numero: Elena Consonni, Argia Fanelli, Luca Maria De Nardo, Maria Cristina De Nardo, Elsa Riva, Antonio Savini

Stampa Bonazzi graficaVia Francia, 123100 -Sondrio

Caratteristiche tecniche Foliazione minima: 64 pagine Formato: cm 21 x 28 con punto metallico Distribuita in Italia per invio postale Tiratura media: 2.500 copie (al netto delle copie per diffusione promozionale solo in coincidenza con fiere di settore). Profilo sul magazine on line www.packagingobserver.com

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Il nostro pubblicoSi rivolge alle figure decisionali (packaging, purchasing,

engineering, R&D, logistics, quality control, operations manager) dell’industria alimentare (alimenti freschi e conservati), bevande, detergenza casa e persona, cosme-si, farmaceutica, elettrodomestici ed elettronica di consu-mo, cartoleria e giocattoli, bricolage e giardinaggio, pro-dotti per la casa e l’auto.

Accanto all’area dei prodotti di consumo, Com.PaCk comprende anche le principali aziende che producono e movimentano prodotti intermedi (materie prime, compo-nentistica, semilavorati, prodotti zootecnici e per l’edili-zia, ecc.).

Il profilo del pubblico di riferimento è completato dai principali operatori-utenti del pakaging, quali le società di servizi logistici e della ristorazione commerciale e col-lettiva, le catene della distribuzione moderna al dettaglio e all’ingrosso dei settori alimentare e non alimentare; tra i fornitori di servizi si annoverano agenzie di progettazione (industrial e graphic designer), docenti, analisti, ricercatori e progettisti presso università, centri di ricerca pubblici e privati, laboratori accreditati, associazioni, consorzi e isti-tuti specializzati.

Infine, per completezza del progetto editoriale, Com.PaCk ha scelto di coinvolgere le più importanti realtà e figure decisionali degli assessorati ambiente, territorio e attività produttive di comuni, provincie e regioni, le sta-zioni di committenza, le più importanti municipalizzate e un numero selezionato di energy manager.

I temi di Com.PaCkDal dialogo con questi lettori e con i fornitori di mate-

riali, imballaggi e sistemi automatici, Com.PaCk elabora analisi, idee e spunti di riflessione per gestire in chiave so-stenibile processi e soluzioni per il confezionamento. I temi chiave sono: ridurre pesi e volumi dei materiali, evi-tare sfridi di produzione, ottimizzare le linee di processo e confezionamento per consumi energetici e cambi forma-to, realizzare materiali, forme e formati che agevolino la distribuzione e il recupero, ridurre il consumo energetico in fase di trasporto e stoccaggio, allungare la shelf-life per non generare prodotti in scadenza, aiutare il consumato-re a gestire i rifiuti da imballaggio, permettere agli ope-ratori intermedi il riutilizzo degli imballaggi da trasporto.

Inoltre la sezione TRE - Trattamento - Rifiuti - Energia è de-dicata a processi e tecnologie che consentono di prevenire e gestire le emissioni lungo tutta la filiera del packaging e di recuperare, sotto forma di materie prime per l’imballag-gio e di energia per i processi, gli sfridi e i rifiuti connessi sia al packaging sia ai processi industriali.

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