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erlusconi è stato assolto nell’appello del processo Ruby. E’ probabile che la nuova legge Severino con la “concus- sione per induzione” distinta dalla “concus- sione per costrizione” e l’ingaggio dell’esperto avvocato Coppi l’abbiano favorito, ma è altret- tanto possibile che i giudici della Corte d’ap- pello di Milano non abbiano voluto passare per conservatori e gufi e si siano piegati alla ragion renziana. L’ex cavaliere esulta e aspetta la gra- zia. Il segretario di Pontassieve tira un respiro di sollievo, pensando che la riforma del Senato sia più vicina. Fatto sta che il capo di Fi può alzare il prezzo. Sicuramente lo farà e ciò può innescare un meccanismo di azioni e reazioni i cui esiti sono difficilmente prevedibili. Intanto in Umbria sono state fatte le giunte. Solo prendendo in considerazione i comuni maggiori (Perugia, Foligno, Terni e Spoleto) emergono alcuni dati che non è inutile analiz- zare. Per quanto riguarda Perugia e Spoleto ri- sulta confermata la caratterizzazione delle nuove amministrazioni come “comitati di libe- razione comunali” dalle inefficienze, dal clien- telismo e dall’autoreferenzialità del centrosini- stra. Insomma l’effetto mascheramento, che ha funzionato nei ballottaggi, è continuato anche per quanto riguarda la composizione delle giunte. A Spoleto, dove la caratterizzazione ci- vica era già presente nel primo turno e la destra aveva presentato liste separate, la cosa si è rive- lata semplice, come facile è stato chiamare un premio Oscar all’assessorato alla cultura e al- largare la maggioranza alla lista dell’ex sindaco Brunini. A Perugia l’operazione è stata più fa- ticosa. Romizi era il candidato forzaitaliota del centrodestra; tramutarsi in civico non è stato semplice e soprattutto ha provocato una sorda guerra in casa con gli uomini del suo partito che aspiravano a posti di potere. Alla fine ce l’ha fatta e la giunta si è caratterizzata per la presenza di esponenti delle liste civiche e della società “civile”. Nel frattempo il Pd trovava il modo di litigare su chi dovesse fare il capo- gruppo. Dove ha vinto il centrosinistra, la situazione si è evoluta in termini meno “innovativi”. A Terni sono state fatte fuori dalla giunta tutte le liste e i candidati che avevano appoggiato il sin- daco. Assessori sono stati nominati i sodali del senatore Rossi e dell’assessore Paparelli, a cui si sono aggiunti improbabili esponenti della so- cietà civile: un dirigente comunale di fede cri- stiana che dovrebbe, nelle intenzioni del sindaco, rappresentare il mondo cattolico e una dirigente di Confcommercio che non avendo voti per essere eletta consigliere è stata nomi- nata assessore. La sinistra è rappresentata da una fuoriuscita del Prc candidatasi con Sel; la scuola da una preside, sponsorizzata pare da Brega, e via di seguito. A Mascio, messo all’in- dice, è toccata per consolazione la Presidenza del Consiglio. A Foligno la cosa è stata più semplice: un monocolore Pd con un socialista. In generale giunte frutto dell’esplosione del si- stema politico, di coalizioni ormai scoppiate e di partiti personali che si aggregano e disaggre- gano secondo le convenienze. La crisi del sistema politico regionale è, peral- tro, testimoniata anche dalla discussione sul nuovo sistema elettorale da adottare per le prossime elezioni. La questione è semplice. I consiglieri sono diminuiti da 30 (31 con il pre- sidente) a 20 (21 sempre con il presidente). Il dibattito si sta concentrando sull’abolizione del listino, su cui tutti sono d’accordo, e su uno o due collegi con elezione proporzionale corretta tramite il metodo d’Hondt. Nel particolare si discute sui dettagli, che poi tanto tali non sono: se ci debba essere il recupero dei resti a livello regionale e come attribuire il premio di mag- gioranza. Insomma la faccenda è quale spazio debbano avere i gruppi minori interni ed esterni alle coalizioni. Avanza una terza posi- zione, proposta da Sel, modellata sul sistema elettorale delle vecchie province. Ossia collegi uninominali con recupero proporzionale a li- vello regionale. Vedremo che ne verrà fuori alla fine. Certo è che ciascuno cerca di modellare la legge sulla base di quello che ritiene più con- veniente per la propria parte. C’è solo un rischio: la situazione è in movi- mento, non esistono schieramenti elettorali consolidati e l’incertezza sugli esiti del voto regna sovrana. Se ne accorta Catiuscia Marini che si preoccupa delle coalizioni, sostenendo che quella di centrosinistra non esiste più per disintegrazione dei tradizionali alleati minori e che quindi bisogna rivolgere attenzione alle liste civiche. L’unica al momento presente sul mercato è quella preannunciata da Claudio Ricci che sulla carta fa capo a Ncd e a cui po- trebbero aggregarsi gli amici di Cardarelli, il sindaco di Spoleto formalmente legato al cen- tro. Si ripeterebbe, così, lo schema che già fun- ziona a livello nazionale: un governo Pd con parte della destra. Per contro Sel e Rifonda- zione propongono di riattivare il tavolo del centrosinistra, con quali speranze di successo non è dato di capirlo. Dubitiamo - date le loro dimensioni elettorali - che possano impedire l’alleanza con le cosiddette liste civiche e allora o si defilano dalla coalizione o entrano come donatori di sangue. La questione sarebbe più semplice di quanto appaia, basterebbe prendere atto che la sinistra non c’è più, che il Pd è divenuto con Renzi un’altra cosa anche rispetto a quello che era nella fase precedente, che per una fase, non si sa quanto lunga, chi si dichiara di sinistra deve provare a fare da solo. In altri termini che non esistono terre di mezzo e che l’unica soluzione è analoga a quella sperimentata con qualche successo da l’Altra Europa con Tsipras. Dubi- tiamo che Sel ed il Prc abbiano la generosità e la lungimiranza di imboccare questa strada, probabilmente continueranno a perseguire quella delle solidarietà repubblicane a sinistra (si fa per dire). In tal caso si tratta di valutare se esiste, tra coloro che si sono aggregati in- torno a l’Altra Europa, la forza e la volontà di presentarsi autonomamente, costi quello che costi, sapendo che non ci sono successi a por- tata di mano, che probabilmente ciò aiuterà l’insuccesso elettorale dei partitini della sini- stra, ma segnerà - al tempo stesso - un punto fermo nella ricostruzione di una forza e di uno schieramento autonomo della sinistra. Non è obbligo e non sappiamo neppure quanto sia auspicabile, ma se si ragiona sul breve periodo è l’unica cosa possibile. mensile umbro di politica, economia e cultura tornerà in edicola con “il manifesto” sabato 27 settembre commenti Incontrarsi e dirsi addio Il decathlon della nuova giunta Chi sostiene il pil regionale Dismissioni annunciate Michele e il mostro Spaghetti, spiagge e bici subacquee 2 politica Una storia disonesta 3 Osvaldo Fressoia Tutto in mano ai sindaci 4 di Jacopo Giovagnoni Perugia. Una restaurazione? 5 di S.L.L. Fabbrica di Jacopo Manna Crisi di settore 6 di Renato Covino Marcia indietro sulla Polvese di Giovanni Galieni Cassa vuota 7 di Miss Jane Marple Tra demagogia e autoritarismo 8 di Re.Co. Il senato di Renzi 9 di S.D.C. Braccia rubate all’agricoltura 10 di Anna Rita Guarducci società Le (finte) baruffe altotiberine 11 di Paolo Lupattelli La grande pera 12 di Paolo Lupattelli cultura Stati d’animo controversi di Franco Buoncompagni Estate all’aperto 13 di Alberto Barelli Pezzi da ricomporre di Marco Venanzi Amici vicini e lontani 14 di Salvatore Lo Leggio Prove di narrazione di Re.Co. Desideri irrealizzabili 15 di L.C. Libri e idee 16 luglio-agosto 2014 - Anno XIX - numero 7-8 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 copia omaggio Tamburi di guerra he la crisi possa trovare sbocco in una guerra è un’ipotesi tutt’altro che cam- pata in aria. Si dirà che guerre locali ci sono sempre state e che oggi contano di più la guerra dei poteri economici e finanziari contro lavoratori, disoccupati e ceti medi, che utilizza i meccanismi della crisi, e quella, sempre dei poteri forti, contro l’ambiente. Non siamo d’ac- cordo. Ciò che sta avvenendo in Medio oriente e nello scacchiere ucraino non può non susci- tare preoccupazioni crescenti. Il califfato tran- snazionale dei quaedisti, l’avanzata dei talebani in Afghanistan, l’invasione israeliana della stri- scia di Gaza, lo scontro tra legittimisti ucraini e filorussi indicano come sempre più avanzino fronti di guerra il cui obiettivo è definire nuovi equilibri geopolitici e a cui sono funzionali ideologie integraliste di stampo religioso o na- zionalista. C’è di più. Emerge come stia rapi- damente tramontando l’ideologia proliferata a cavallo tra i due secoli di governo mondiale. Il teorema era semplice. Crollato l’impero sovie- tico e il socialismo realizzato restavano solo il capitalismo e la democrazia. Anzi i due termini erano strettamente collegati tra loro. I paesi che li impersonavano (Stati Uniti e Europa occi- dentale) dovevano, quindi, governare il mondo dall’alto della loro superiorità “morale”, im- porre il sistema capitalista e, con esso, i principi democratici. Dovevano farlo anche con l’uso delle armi, costasse morti e sofferenze. Qualche scampolo di questo teorema permane ancora nell’atteggiamento americano nei confronti delle vicende ucraine, ma in generale non se ne può non avvertire il fallimento. Nessuna delle guerre avviate si è conclusa, l’occidente non è un blocco compatto, anzi i micro conflitti tra alleati continuano ad estendersi: ultimo caso l’espulsione degli spioni americani dalla Ger- mania. Le potenze regionali si autonomizzano sempre più (è il caso di Israele) e gli avversari di ieri divengono alleati di oggi (l’Iran e gli Usa). Tutto ciò configura una situazione insta- bile, dove anche piccoli incidenti bastano per innescare corti circuiti di portata non calcola- bile. A questo non fa argine una radicalità pa- cifista ed antimilitarista, né un impegno internazionalista. E’ un segno dei tempi. Non si manifesta neppure un protagonismo degli stati più vicini ai focolai di guerra, prima tra tutti l’Unione europea. Si dirà che non è uno stato, va bene, ma già il fatto che si discuta della ministra Mogherini come possibile Alto com- missario agli affari esteri dà un segno di irrile- vanza e d’impotenza. C Un rischio necessario B

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erlusconi è stato assolto nell’appellodel processo Ruby. E’ probabile che lanuova legge Severino con la “concus-

sione per induzione” distinta dalla “concus-sione per costrizione” e l’ingaggio dell’espertoavvocato Coppi l’abbiano favorito, ma è altret-tanto possibile che i giudici della Corte d’ap-pello di Milano non abbiano voluto passare perconservatori e gufi e si siano piegati alla ragionrenziana. L’ex cavaliere esulta e aspetta la gra-zia. Il segretario di Pontassieve tira un respirodi sollievo, pensando che la riforma del Senatosia più vicina. Fatto sta che il capo di Fi puòalzare il prezzo. Sicuramente lo farà e ciò puòinnescare un meccanismo di azioni e reazioni icui esiti sono difficilmente prevedibili.Intanto in Umbria sono state fatte le giunte.Solo prendendo in considerazione i comunimaggiori (Perugia, Foligno, Terni e Spoleto)emergono alcuni dati che non è inutile analiz-zare. Per quanto riguarda Perugia e Spoleto ri-sulta confermata la caratterizzazione dellenuove amministrazioni come “comitati di libe-razione comunali” dalle inefficienze, dal clien-telismo e dall’autoreferenzialità del centrosini-stra. Insomma l’effetto mascheramento, che hafunzionato nei ballottaggi, è continuato ancheper quanto riguarda la composizione dellegiunte. A Spoleto, dove la caratterizzazione ci-vica era già presente nel primo turno e la destraaveva presentato liste separate, la cosa si è rive-lata semplice, come facile è stato chiamare unpremio Oscar all’assessorato alla cultura e al-largare la maggioranza alla lista dell’ex sindacoBrunini. A Perugia l’operazione è stata più fa-ticosa. Romizi era il candidato forzaitaliota delcentrodestra; tramutarsi in civico non è statosemplice e soprattutto ha provocato una sordaguerra in casa con gli uomini del suo partitoche aspiravano a posti di potere. Alla fine cel’ha fatta e la giunta si è caratterizzata per lapresenza di esponenti delle liste civiche e dellasocietà “civile”. Nel frattempo il Pd trovava ilmodo di litigare su chi dovesse fare il capo-gruppo.Dove ha vinto il centrosinistra, la situazione siè evoluta in termini meno “innovativi”. A

Terni sono state fatte fuori dalla giunta tutte leliste e i candidati che avevano appoggiato il sin-daco. Assessori sono stati nominati i sodali delsenatore Rossi e dell’assessore Paparelli, a cui sisono aggiunti improbabili esponenti della so-cietà civile: un dirigente comunale di fede cri-stiana che dovrebbe, nelle intenzioni delsindaco, rappresentare il mondo cattolico e unadirigente di Confcommercio che non avendovoti per essere eletta consigliere è stata nomi-nata assessore. La sinistra è rappresentata dauna fuoriuscita del Prc candidatasi con Sel; lascuola da una preside, sponsorizzata pare daBrega, e via di seguito. A Mascio, messo all’in-dice, è toccata per consolazione la Presidenzadel Consiglio. A Foligno la cosa è stata piùsemplice: un monocolore Pd con un socialista.In generale giunte frutto dell’esplosione del si-stema politico, di coalizioni ormai scoppiate edi partiti personali che si aggregano e disaggre-gano secondo le convenienze. La crisi del sistema politico regionale è, peral-tro, testimoniata anche dalla discussione sulnuovo sistema elettorale da adottare per leprossime elezioni. La questione è semplice. Iconsiglieri sono diminuiti da 30 (31 con il pre-sidente) a 20 (21 sempre con il presidente). Ildibattito si sta concentrando sull’abolizione dellistino, su cui tutti sono d’accordo, e su uno odue collegi con elezione proporzionale correttatramite il metodo d’Hondt. Nel particolare sidiscute sui dettagli, che poi tanto tali non sono:se ci debba essere il recupero dei resti a livelloregionale e come attribuire il premio di mag-gioranza. Insomma la faccenda è quale spaziodebbano avere i gruppi minori interni edesterni alle coalizioni. Avanza una terza posi-zione, proposta da Sel, modellata sul sistemaelettorale delle vecchie province. Ossia collegiuninominali con recupero proporzionale a li-vello regionale. Vedremo che ne verrà fuori allafine. Certo è che ciascuno cerca di modellarela legge sulla base di quello che ritiene più con-veniente per la propria parte. C’è solo un rischio: la situazione è in movi-mento, non esistono schieramenti elettoraliconsolidati e l’incertezza sugli esiti del voto

regna sovrana. Se ne accorta Catiuscia Mariniche si preoccupa delle coalizioni, sostenendoche quella di centrosinistra non esiste più perdisintegrazione dei tradizionali alleati minori eche quindi bisogna rivolgere attenzione alleliste civiche. L’unica al momento presente sulmercato è quella preannunciata da ClaudioRicci che sulla carta fa capo a Ncd e a cui po-trebbero aggregarsi gli amici di Cardarelli, ilsindaco di Spoleto formalmente legato al cen-tro. Si ripeterebbe, così, lo schema che già fun-ziona a livello nazionale: un governo Pd conparte della destra. Per contro Sel e Rifonda-zione propongono di riattivare il tavolo delcentrosinistra, con quali speranze di successonon è dato di capirlo. Dubitiamo - date le lorodimensioni elettorali - che possano impedirel’alleanza con le cosiddette liste civiche e allorao si defilano dalla coalizione o entrano comedonatori di sangue. La questione sarebbe più semplice di quantoappaia, basterebbe prendere atto che la sinistranon c’è più, che il Pd è divenuto con Renziun’altra cosa anche rispetto a quello che eranella fase precedente, che per una fase, non sisa quanto lunga, chi si dichiara di sinistra deveprovare a fare da solo. In altri termini che nonesistono terre di mezzo e che l’unica soluzioneè analoga a quella sperimentata con qualchesuccesso da l’Altra Europa con Tsipras. Dubi-tiamo che Sel ed il Prc abbiano la generosità ela lungimiranza di imboccare questa strada,probabilmente continueranno a perseguirequella delle solidarietà repubblicane a sinistra(si fa per dire). In tal caso si tratta di valutarese esiste, tra coloro che si sono aggregati in-torno a l’Altra Europa, la forza e la volontà dipresentarsi autonomamente, costi quello checosti, sapendo che non ci sono successi a por-tata di mano, che probabilmente ciò aiuteràl’insuccesso elettorale dei partitini della sini-stra, ma segnerà - al tempo stesso - un puntofermo nella ricostruzione di una forza e di unoschieramento autonomo della sinistra. Non èobbligo e non sappiamo neppure quanto siaauspicabile, ma se si ragiona sul breve periodoè l’unica cosa possibile.

mensile umbro di politica, economia e cultura tornerà in edicola con “il manifesto” sabato 27 settembre

commentiIncontrarsi e dirsi addioIl decathlondella nuova giunta

Chi sostieneil pil regionale

Dismissioni annunciate

Michele e il mostro

Spaghetti, spiaggee bici subacquee 2

politicaUna storia disonesta 3Osvaldo Fressoia

Tutto in mano ai sindaci 4di Jacopo Giovagnoni

Perugia.Una restaurazione? 5di S.L.L.

Fabbrica di Jacopo Manna

Crisi di settore 6di Renato Covino

Marcia indietro sulla Polvesedi Giovanni Galieni

Cassa vuota 7di Miss Jane Marple

Tra demagogiae autoritarismo 8di Re.Co.

Il senato di Renzi 9di S.D.C.

Braccia rubateall’agricoltura 10di Anna Rita Guarducci

societàLe (finte) baruffealtotiberine 11di Paolo Lupattelli

La grande pera 12di Paolo Lupattelli

culturaStati d’animo controversi di Franco Buoncompagni

Estate all’aperto 13di Alberto Barelli

Pezzi da ricomporredi Marco Venanzi

Amici vicini e lontani 14di Salvatore Lo Leggio

Prove di narrazionedi Re.Co.

Desideri irrealizzabili 15di L.C.

Libri e idee 16

luglio-agosto 2014 - Anno XIX - numero 7-8 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10copia omaggio

Tamburidi guerra

he la crisi possa trovare sbocco in unaguerra è un’ipotesi tutt’altro che cam-pata in aria. Si dirà che guerre locali ci

sono sempre state e che oggi contano di più laguerra dei poteri economici e finanziari controlavoratori, disoccupati e ceti medi, che utilizzai meccanismi della crisi, e quella, sempre deipoteri forti, contro l’ambiente. Non siamo d’ac-cordo. Ciò che sta avvenendo in Medio orientee nello scacchiere ucraino non può non susci-tare preoccupazioni crescenti. Il califfato tran-snazionale dei quaedisti, l’avanzata dei talebaniin Afghanistan, l’invasione israeliana della stri-scia di Gaza, lo scontro tra legittimisti ucrainie filorussi indicano come sempre più avanzinofronti di guerra il cui obiettivo è definire nuoviequilibri geopolitici e a cui sono funzionaliideologie integraliste di stampo religioso o na-zionalista. C’è di più. Emerge come stia rapi-damente tramontando l’ideologia proliferata acavallo tra i due secoli di governo mondiale. Ilteorema era semplice. Crollato l’impero sovie-tico e il socialismo realizzato restavano solo ilcapitalismo e la democrazia. Anzi i due terminierano strettamente collegati tra loro. I paesi cheli impersonavano (Stati Uniti e Europa occi-dentale) dovevano, quindi, governare il mondodall’alto della loro superiorità “morale”, im-porre il sistema capitalista e, con esso, i principidemocratici. Dovevano farlo anche con l’usodelle armi, costasse morti e sofferenze. Qualchescampolo di questo teorema permane ancoranell’atteggiamento americano nei confrontidelle vicende ucraine, ma in generale non se nepuò non avvertire il fallimento. Nessuna delleguerre avviate si è conclusa, l’occidente non èun blocco compatto, anzi i micro conflitti traalleati continuano ad estendersi: ultimo casol’espulsione degli spioni americani dalla Ger-mania. Le potenze regionali si autonomizzanosempre più (è il caso di Israele) e gli avversaridi ieri divengono alleati di oggi (l’Iran e gliUsa). Tutto ciò configura una situazione insta-bile, dove anche piccoli incidenti bastano perinnescare corti circuiti di portata non calcola-bile. A questo non fa argine una radicalità pa-cifista ed antimilitarista, né un impegnointernazionalista. E’ un segno dei tempi. Nonsi manifesta neppure un protagonismo deglistati più vicini ai focolai di guerra, prima tratutti l’Unione europea. Si dirà che non è unostato, va bene, ma già il fatto che si discuta dellaministra Mogherini come possibile Alto com-missario agli affari esteri dà un segno di irrile-vanza e d’impotenza.

C

Un rischio necessario

B

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Dismissioniannunciate

empre più profonda è la crisi del trasporto pub-blico locale nella regione e, in particolare, nel ca-poluogo. L’esercizio di Umbria mobilità è stato

interamente privatizzato ed a breve, salvo improbabili sor-prese, finirà tutto nelle mani di Busitalia. Il presidente fi-duciario Lucio Caporizzi ha affermato che si è trattatodella scelta più logica. I soci pubblici, nonostante gli sforzidella Regione, non avrebbero potuto mantenere la quotarimasta di loro proprietà (30%) né sostenere il rischio diun aumento di capitale: molto meglio, anche in vista dellafutura gara per il contratto di servizio, utilizzare le pocherisorse disponibili per aumentare i corrispettivi chilome-trici e così garantire i lavoratori e gli utenti. I crediti ro-mani, che - beninteso - restano sul groppone di Um Spa,ovvero del pubblico e quindi dei contribuenti, continuanoad essere inesigibili in attesa che si risolva la controversiache oppone Atac e Roma Tpl, la partecipata da cui Um-bria mobilità non vede l’ora di uscire. Intanto i perugini, che attendono di sapere quante corsedi autobus saranno tagliate a settembre (a scuole chiuse,si sa, la riduzione è fisiologica) hanno saputo ufficialmentequanto già conoscevano perfettamente ovvero che il mi-nimetrò gira praticamente a vuoto: nel 2013 siamo scesial disotto della soglia, già critica, dei 7.000 passeggeri algiorno. Ricordate le stime entusiastiche? I 15 mila, poi 10mila, etc. La nuova amministrazione Romizi ha esclusocategoricamente che si possa realizzare una seconda tratta(né Monteluce, né Silvestrini); ha invece sottolineato lanecessità di operare dall’autunno una maggiore integra-zione con il servizio su gomma: ovvero tagliare altre corsedi autobus oppure dirottarle a Pian di Massiano per co-stringere le persone a salire sul minimetrò. Insomma cen-trodestra e centrosinistra per il momento pari sono.Azzardiamo una previsione: vuoi vedere che a breve si co-mincerà a parlare di dismissione? Ma in questo caso gliunici privati a cui si potrà vendere saranno i “ferrivecchi”.

Michelee il mostro

l doppio Palazzo della Posterna, meglio noto comel’ecomostro di Spoleto, dovrà essere abbattuto. Cosìrecita la sentenza con cui la Corte d’Appello di Fi-

renze, lo scorso 15 luglio, confermando parzialmente lasentenza di primo grado emessa del Tribunale di Spoletol’8 marzo 2010, ribaltata con l’assoluzione nell’estate 2011dalla Corte d’Appello di Perugia, a sua volta annullatadalla Cassazione nel gennaio di quest’anno, ha condan-nato i sei imputati - Rodolfo Valentini, Francesco Deme-gni, Giuliano Macchia, Alberto Zanmatti, Giuliano MariaMastroforti e Paolo Gentili - a 4 mesi di reclusione e22mila euro di multa (pena sospesa) per violazioni al Testounico sull’edilizia, pur assolvendoli dall’accusa di detur-pamento delle bellezze ambientali. Si tratta di una buonanotizia che fa giustizia di una vicenda esemplare di deva-stazione ambientale, sia pure solo temporaneamente. In-combono, infatti, il ricorso in Cassazione e, soprattutto,il rischio concreto della prescrizione che dovrebbe scattarenel prossimo novembre.Tra i tanti cittadini protagonisti della lunga e sacrosantabattaglia contro l’ecomostro anche Michele Fabiani, il gio-vane anarchico ambientalista, sbattuto nuovamente in ga-lera per gli strascichi della famigerata operazioneBrushwood, a testimonianza di quanto, in Italia, la giu-stizia sia contraddittoria. Anche per questo non do-vremmo mai attendere le sentenze per esprimere ungiudizio politico.La schifezza del Palazzo della Posterna è da tempo sottogli occhi di tutti. Nell’attesa e nella speranza che il mostrosia veramente abbattuto invitiamo tutti coloro che nonhanno ancora avuto occasione di farlo a rendersi contocon i propri occhi, ricordando che fu la giunta di centro-sinistra guidata da Brunini, nel febbraio 2006, non senzal’inatteso nulla osta della Soprintendenza per i Beni archi-tettonici dell’Umbria, sorda alle proteste di tanti cittadiniindignati, a dare il via alla realizzazione della struttura.

el 1977 fece epoca una co-pertina del settimanale te-desco “Der Spiegel”: una

pistola sopra un piatto di spaghetti,a denunciare i rischi che negli annidi piombo i milioni di turisti teuto-nici che allora si riversavano sullespiagge del belpaese avrebbero corso.Un caso simile, con le connesse po-lemiche, riguarda oggi la regioneUmbria. Ard, la prima rete pubblicatedesca, lo scorso 5 luglio ha man-dato in onda un servizio intitolato“Italia: soldi sprecati per niente”. Ilpresunto cattivo uso dei fondi co-munitari è riferito alla realizzazionedella pista ciclabile - ancora noncompletata - che costeggia il lagoTrasimeno, che, come documentanole immagini della tv tedesca, in certipunti è inutilizzabile perché costruitasotto il livello idrometrico zero dellago.Oltre a questo evidente errore diprogettazione e realizzazione, il do-cumentario denuncia una più gene-rale precarietà di accoglienza turisticadel lago, mettendone in dubbio l’ef-ficacia della depurazione e quindi laeffettiva balneabilità.Come era da attendersi le reazioni

delle amministrazioni locali sonostate piuttosto veementi, ben rias-sunte dalle dichiarazioni del presi-dente della Provincia Guasticchi:Giù le mani dal Lago Trasimeno“perla” ambientale che tutti ci invi-diano. I dati sulla balneabilità (certi-ficati da Arpa e Legambiente, Golettadei Laghi), salubrità, accoglienza e tu-tela ambientale parlano chiaro e sonoa disposizione di tutti. Il resto è sol-tanto discredito gratuito. Dopo Peru-gia, questa volta con una campagnamediatica di portata internazionale,si vuole colpire il Lago Trasimeno e ilsuo comprensorio, un altro simbolodella nostra Regione, che proprio i tu-risti e cittadini stranieri, ogni annosempre di più, con le loro presenze egiudizi gratificano [...]. Come già ac-caduto per Isola Polvese sui social net-work ho visto una campagna di totaledisinformazione”. Oltre al solito mix di vittimismo (chicomplotterebbe contro l’Umbria? Eperché?) e arroganza - il riferimentoalla Polvese - colpisce l’omissione sulpunto principale denunciato dallaTv tedesca: la pista ciclabile è effet-tivamente troppo vicina al lago e inalcuni tratti è impraticabile perché

allagata.La cosa è tanto più grave perché nonsegnalata ai tour operator, e soprat-tutto perché il problema era statosollevato già in tempi vicini e lon-tani.A giugno di quest’anno il Movi-mento 5 stelle si era sentito rispon-dere che il consiglio provinciale nonè luogo di chiacchiere da bar; ma ilproblema era stato evidenziato daItalia nostra addirittura nel 1998,quando il progetto aveva preso l’av-vio. Considerato che l’innalzamentodel livello del lago era uno degliobiettivi di lungo periodo delle am-ministrazioni locali, sembra incredi-bile che non si sia tenuto conto diciò nella progettazione dell’opera: ilche, per quanto viziate da radicatipreconcetti possano essere le criticheche vengono dalla Germania, nonpuò non destare perplessità di ordinetecnico e dubbi circa l’utilizzo difondi pubblici, che provengono tral’altro non solo dai cittadini tedeschima anche da quelli italiani e umbri.A meno che l’amministrazione pro-vinciale voglia concludere il suomandato con un’eclatante sorpresa:la bicicletta subacquea.

Incontrarsi e dirsi addioForse non vedeva l’ora di togliere il disturbo dopo la bruciante scon-fitta subita da Stirati. Sta di fatto che alla prima riunione del Con-siglio comunale di Gubbio il candidato a sindaco ufficiale del Pd,Ennio Palazzari ha lasciato il gruppo consiliare e aderito al gruppomisto. Ora sarà compito dei politologi locali stabilire se è stato Pa-lazzari a sbagliare partito o il Pd a sbagliare candidato. Unica cosacerta è che continua la quasi ventennale confusione politica deidemocrat eugubini che li ha portati ad una vera e propria crisi diastinenza.

Il decathlon della nuova giuntaLa “Decathlon” in costruzione a Olmo consta di 119.000 mq com-plessivi di cui 14.994 mq coperti, la maggior parte destinati allavendita, aree parco, impianti sportivi, un vivaio, un parco verde edaltre attività ricreative di uso pubblico. E’ stata presentata alla va-riante urbanistica come un “nuovo format”, invece assomigliamolto, troppo, al vecchio format: un dissennato consumo di suolo.Il nuovo sindaco di Perugia ha vinto anche con l’appoggio di unalista civica ambientalista. E’ legittimo aspettarsi una riflessione piùprofonda e condivisa su un tema così importante: Barelli, se ci sei,batti un colpo.

Chi sostiene il pil regionaleLa terra dei santi “sforna” vescovi (titolo della “Nazione Umbria”,14.07.2014)

Rottamatore docEletti i 60 membri della direzione regionale del Pd. Il Corrierino ti-tola “Stramaccioni mette d’accordo Leonelli e Fancelli”, il Giorna-lino argomenta: “Stramaccioni espressione della società civile”.La questione è più semplice. Alberto Stramaccioni è un rottama-tore vero, ha fatto fuori presidenti regionali e sindaci come nessunaltro. I duellanti sperano di averlo dalla loro per far fuori avversarie contendenti. Stiano attenti: il rischio è che ci si metta d’impegnoe faccia fuori proprio quelli che lo vorrebbero come alleato.

Guasticchi gigioneggiaIl presidente della Provincia di Perugia difende con ogni mezzo lacultura locale. Fino al punto di smentire il proprio vicepresidente eil sito ufficiale dell’amministrazione di Piazza Italia, circa l’attribu-zione di un riconoscimento al cantante folk napoletano Luigi Ciara-vola, noto al pubblico come Gigione, in procinto di partecipare alla“Sagra della rocciata” di San Giovanni Profiamma. Per Guasticchisimili riconoscimenti dovrebbero andare a esponenti della culturafolk locale. Certo che è che se ci fosse un premio per le smentite,Guasticchi se lo meriterebbe: quella su Gigione è l’ultima di unaserie che comprende, solo nelle ultime settimane, la delibera sullaPolvese e la qualità della pista ciclabile del Trasimeno.

Swinging MatteoDurante una trasmissione radiofonica, il neosindaco di Perugia Ro-mizi ha invitato il premier Renzi a Umbria Jazz. Non sappiamo sesi tratti di un segno di prosecuzione delle larghe intese o di unasemplice formula di cortesia. Non vorremmo però che gli organiz-zatori della manifestazione, presenti alla stessa trasmissione, ab-biano equivocato: dopo Dj Ralf nell’edizione di quest’anno nonvorremmo ritrovarci un Matteo Renzi live all’arena di Santa Giu-liana.

Meglio tardi che maiNel corso della tradizionale conferenza stampa di chiusura di Um-bria Jazz 2014 (paganti e incasso in netto calo rispetto all’edizioneprecedente) il nuovo direttore amministrativo della Fondazione Lu-ciano Linzi, arrivato pochi mesi fa direttamente dalla “Casa delJazz” di Roma, ha dichiarato senza mezzi termini: “Questo festivalha bisogno di rinnovamento nella proposta artistica, nella formula,nella struttura organizzativa, negli sponsor”. Era ora.

il piccasorci

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - é un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. La ru-brica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e, ovenecessario, di “rosicare il cacio”.

il fatto

Spaghetti, spiagge e bicisubacquee

N

S

2comme n t ilug l io 2014

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utto cominciò all’alba del 23 ottobre2007 quando Spoleto si svegliò comedentro a una fiction poliziesca: im-

pressionante spiegamento di mezzi e di uominiin assetto antiterrorismo, passamontagna calatisul viso, armi bene in mostra, sirene spiegate,posti di blocco e il cielo solcato da elicotteri deicarabinieri che ronzavano come vespe impazzitenell’aria. La città, anche le sue istituzioni, assi-steva ammutolita, ma diffidente, verso tuttaquella “forza” eccessiva dispiegata per sgomi-nare - così venne detto - pericolosi terroristi. Inrealtà si trattava semplicemente di 5 spoletini,quattro di loro ragazzi ventenni o poco più, datutti conosciuti e di cui tutti sapevano tutto, so-prattutto le loro idee - anarchiche e ambienta-liste - rivendicate orgogliosamente, sempre e allaluce del sole. “Associazione terroristica”: questafu l’accusa, pesantissima, rivolta a DamianoCorrias, Andrea Di Nucci, Michele Fabiani eDario Polinori, mentre Fabrizio Reali Roscini -morto prematuramente nel giugno del 2010 a44 anni dopo una vita complicata (la sua ingiu-sta detenzione è stata risarcita post mortem conla misera cifra di 6.800 euro) - fu quasi imme-diatamente scagionato. A loro carico presuntidanneggiamenti ad alcuni cantieri, come quellodelle scale mobili a Spoleto, e minacce, tramitelettera e due proiettili, all’allora Presidente dellaRegione Maria Rita Lorenzetti. La notizia fusparata con grande enfasi, in prima pagina, intutti i Tg nazionali (ne parlò addirittura il Wa-shington Post), ma la presunta “associazioneterroristica” non è mai stata dimo- strata, sor-retta solo da pochi indizi, malamente costruiticon sillogismi, arbitrarie interpretazioni fino alpunto di trasformare in reato una semplice ami-cizia, quella di Andrea, fra l’altro con nessunpassato militante, con Michele (considerato,nonostante fosse il più giovane, il “capo” delgruppo). Il pluridecorato generale dei Ros deiCarabinieri, Giampaolo Ganzer, regista del-l’operazione denominata Brushwood (Ripulirela foresta, sic!) dichiarò, con sommo sprezzo delridicolo e dello stato di diritto, di avere proce-duto agli arresti per “prevenire il salto di qua-lità” che i giovani anarchici avrebbero potutocompiere. E così, tutti finirono in cella d’isola-mento. Dario e Damiano ottennero i domici-liari dopo 21 giorni. Più lunga e dura la car-cerazione preventiva degli altri due. In partico-lare quella di Michele, poi trasferito da Ca-panne a Sulmona in regime di Eiv (Elevatoindice di vigilanza), durata nel complesso 400giorni. Al processo, svoltosi presso la Corte d’Assise diTerni (aprile 2009-maggio 2011), il Pm Ma-

nuela Comodi, nota al grande pubblico per lavicenda Meredith, richiese pene spropositate (9anni per Michele, 8 per Andrea, 6 per Dario eDamiano) ma l’arringa si rivelò così contrad-dittoria e lacunosa che il Presidente della Cortefu costretto a decidere per un’interruzione.L’accusa di terrorismo crollò subito misera-mente per Dario e Damiano, condannati ad unanno (pena sospesa) per danneggiamenti escritte sui muri, mentre resistette per Michele eAndrea, puniti rispettivamente con 3 anni e 8mesi e 2 anni e 6 mesi. Nel febbraio 2013 laCorte di Appello di Perugia ha assolto Andreae ridotto la condanna di Michele a 2 anni e 3mesi, cancellando definitivamente il reato asso-

ciativo, ma continuando a ritenerlo responsa-bile, nonostante la sua dichiarazione di inno-cenza, dell’invio dei proiettili alla Lorenzetticon finalità eversiva. Intanto “l’eroico” generaleGanzer veniva condannato in primo grado (lu-glio 2010) a 14 anni, pena poi ridotta in ap-pello a 4 anni e 11 mesi (dicembre 2013), peraver creato e favorito una serie di illeciti trafficidi droga, per poterli poi reprimere e produrrecosì risultati nella sua attività investigativa. E lalegge del contrappasso ha colpito, sempre allafine del 2013, anche l’ex presidente della Re-gione Lorenzetti, messa a capo di Italferr, so-cietà del gruppo Ferrovie dello Stato che operanel settore dell’ingegneria dei trasporti ferroviarie dell’Alta Velocità, finita sotto inchiesta per gliappalti della Tav in Toscana. Particolare signifi-cativo: “terrorista” è l’epiteto con cui la ex go-vernatrice, intercettata al telefono, qualificavaun dirigente della Regione Toscana, colpevoledi nutrire dubbi sui lavori costosissimi e deva-stanti del Tav fiorentino intorno a cui prospe-rava la cricca politico-affaristica venuta alla luce;aggiungendo gentilmente anche “mascalzone,bastardo e stronzo”. A dimostrazione di un qua-dro mentale da “razza padrona” gonfio di sensodi onnipotenza e certezza di impunità che per-

vade ormai trasversalmente, come una grami-gna, il ceto politico di potere. Come non tor-nare, allora, al 2007 e alle immagini del prodegenerale e della governatrice, sorridenti e trion-fanti, per il “formidabile colpo antiterroristico”messo a segno, nel corso di una conferenzastampa indimenticabile. Specie la zarina che,senza alcuna prudenza, faceva sfoggio di sorrisie si congratulava per l’operazione, quasi ine-briata e auto compiaciuta di quell’aura di mar-tirio che la stampa amica l’aiutava a costruirsiintorno (Lorenzetti: dopo le pallottole vita da in-cubo, scriveva ancora “il Messaggero”, mai cosìprono come in quei giorni) magari da spendereper la sua “difficile” terza ricandidatura (poi

giustamente fallita) alla guida dell’Umbria. In-somma, senza voler cedere ad alcuna pulsionevendicativa verso chi cade in disgrazia, un po’di legge - dura, sed lex - del contrappasso nonguasta, ci è venuto da pensare. Ma non avevamofatto i conti con i giudici della Corte di Cassa-zione che, alla fine del mese scorso, 7 anni dopoi fatti, hanno deciso per la conferma a MicheleFabiani, della condanna a 2 anni e 3 mesi.Quella comminata nel 2013 e che, per i reati alui ascritti, non prevede alcuna sospensione dipena. Nessuna voce, in questi anni né ora, si èlevata dall’interno delle istituzioni e dei partiti- tantomeno da quello nominalmente “Demo-

cratico” - contro questo caso eclatante, nonunico purtroppo, di doppio standard di giusti-zia. Dimenticando, fra l’altro, che, nel frat-tempo, mentre anche Damiano se ne è andatonello scorso settembre ucciso a soli 32 anni per-ché il suo sistema nervoso ha improvvisamentesmesso di funzionare, Michele - come ricorda ilComitato 23 ottobre di Spoleto - “si è sposato,si è laureato, ha fatto il servizio civile pressoun’associazione ambientalista, collabora conuna casa editrice e si è pure ammalato di celia-chia”. Il problema è che “è rimasto anarchico”. Del resto questo è il Paese dove Berlusconi (ric-chissimo, potente, condannato a 4 anni perfrode fiscale e in attesa di giudizio per altri in-numerevoli e pesanti reati) non solo non fa ne-anche un giorno di carcere, ma diventa il sociopiù o meno occulto di Renzi con cui, senza pu-dore ma con grande consenso mediatico, popu-listico-popolare, punta a stravolgere la Costi-tuzione e le istituzioni della Repubblica. Il Paesedove, insomma, un generale dei Carabinieri,seppure condannato perché “non si sarebbefatto scrupolo di accordarsi con pericolosissimitrafficanti”, non fa neanche un giorno di car-cere, e può continuare a guidare i Ros fino allapensione con il sostegno del ministro degli in-terni; lo stesso Paese ove chi fa parte del cetopolitico che conta, sebbene gravemente indi-ziato di reati gravi come la poco rimpianta expresidente della Regione, fa solo pochi giorni diarresti domiciliari. Carcere invece per i reietti,perché proprio così vanno rieducati, in modoche altri ci pensino bene prima di seguirne,eventualmente, le orme. Michele, infatti, disoc-cupato e anarchico è già tornato in prigione, aFerrara in regime di alta sorveglianza, a scon-tare, uno per uno, i giorni residui di pena. Allafaccia di chi ci vorrebbe far credere che i giudicisarebbero “di sinistra”. Ha detto bene inveceAurelio Fabiani, padre di Michele, nel corsodella manifestazione svoltasi a Spoleto pochigiorni dopo il nuovo arresto: si tratta semplice-mente di “una storia disonesta”.

3p o l i t i c alug l io 2014

T

Io sto con Michele Fabiani e chiedo per lui la sospensione dellapena. Chiedetelo anche voi, chiediamolo tutti !

MICHELE LIBERO SUBITO !Per sottoscrivere l’appello per la libertà di Michele scrivere la frase Io sto con Michele e

chiedo che sia subito liberato all’indirizzo mail [email protected]

Per versare contributi per la difesa di Michele inviarli tramite bollettino al Cc. Postale n.85325504 intestato a BRIGUORI ANTONIO E DONATI GIOVANNI con la causale: FONDO DI SO-LIDARIETA’ PER IL DIRITTO ALLA DIFESA DEI 5 GIOVANI SPOLETINI ARRESTATI IL 23.10.2007

Michele Fabiani di nuovoin carcere per scontarela pena residua

Una storiadisonestaOsvaldo Fressoia

Totale al 23 luglio 2014: 4985 euro

sottoscrivi per micropolis

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maltita la sbornia dei numeri adesso sigoverna o perlomeno si prova a farlo.Le nuove giunte dei maggiori comuni

andati al voto presentano dati analoghi, tra no-vità e conferme croniche. Maggiore rispetto alpassato (più marcatamente nelle giunte di cen-trosinistra) è la presenza donne e di personesotto i 40 anni. Un rinnovamento generazionalee di genere che però è molto formale visto chenella sostanza i posti chiave sono sempre inmano a personaggi legati ai partiti, alle loro cor-renti o a lobby di varia natura. Si nota ancheche il potere dei sindaci è aumentato notevol-mente. Molte scelte sono le loro, personali senzaalcuna mediazione o confronto con quel cheresta degli apparati. Soprattutto a sinistra i se-gretari e i “mitici” gruppi dirigenti non hannoavuto voce in capitolo nella formazione degliesecutivi. L’ultima novità che va segnalata èl’aumento della presenza di professionisti a sca-pito dei dipendenti pubblici, in particolare nellegiunte di centrodestra. Questi gli elementi ge-nerali.

Perugia “Civica”Il nuovo sindaco Romizi non si è fatto prenderela mano dalla “fame” ventennale di potere deisuoi colleghi di partito e ha mantenuto la barradritta sulle scelte politiche che l’hanno portatoalla conquista del capoluogo regionale. Ha cer-cato, con un certo successo, di trasformare lafalsa contrapposizione consociativa tra centro-sinistra e centrodestra in un vero scontro tra ilvecchio sistema di potere e una alternativa “ci-vica” in cui la destra si caratterizzasse non comeelemento egemone ma semplice struttura di ser-vizio al progetto. Da qui le scelte che hannofatto infuriare Forza Italia e dintorni. Barelli vi-cesindaco e Waguè assessore, nonostante nonabbia eletto nessun consigliere, sono i segni evi-denti di questa linea che ha fatto breccia nonsolo elettoralmente, ma anche politicamente. Seandate nelle ex zone rosse del Comune, nontroverete una grande nostalgia per i passati am-ministratori. Il sentimento che domina non èquello di ostilità verso il nuovo sindaco, ma dimoderata speranza. C’è una specie di aperturadi credito: “E’ arrivato adesso, diamogli tempo,proviamo, vediamo quello che fa”. Non è certola stessa sensazione che provavano i militanti co-munisti nel 1964, quando a Palazzo dei Priorisi stabilì una giunta a trazione democristiana.Chi ricorda, allora giovane, parla di rabbia, divoglia di riscossa e di completa avversione peril “traditore”, il sindaco socialista Berardi. Altritempi, altri scenari, anche se con un obiettivoin comune: la riconquista del capoluogo. Tra-guardo che oggi appare lontanissimo perché or-ganizzare l’opposizione con un partito “liquido”è cosa complicata, anche se non impossibile. Romizi, intanto, vive la sua luna di miele, facose “grilline” in linea con le aspettative; facili,di effetto, che però durano poco. Dopo le va-canze dovrà affrontare i veri nodi: bilancio,tasse, partecipate e la bega di San Bevignate. Ilbilancio è in rosso. La vecchia amministrazioneaveva tamponato una situazione difficilissima.Si parla di cifre che vanno dai 50 agli 80 milionidi euro. A fine mandato sembra che siano statiridotti ad una ventina. Un risultato positivo cheBoccali non ha potuto esibire in campagna elet-torale perché avrebbe dovuto smentire tutte leaffermazioni fatte sulla inesistenza di un “bucodi bilancio”. Comunque con i conti in rosso èdifficile pensare ad una riduzione delle tasse senon con una drastica diminuzione dei servizi

comunali. Su San Bevignate, con Barelli vice-sindaco, Romizi sarà costretto a schierarsi con-tro la costruzione dello steccone universitario.Ma non è semplice. E’ una situazione alla Piz-zarotti. Anche lui non voleva l’inceneritore.C’erano però le penali in caso di rinuncia. IlSindaco di Parma ci ha pensato su e poi si è ti-rato indietro. Anche qui ci sono robuste penali.Succederà lo stesso? E nel caso che farà Barelli?Infine le partecipate che sono una bomba adorologeria costantemente innescata. Tutti ele-menti che possono destabilizzare. E se si comin-cia a piangere sui soldi che non ci sono, comestanno facendo diversi nuovi assessori, non è unbuon inizio.

Il monocolore PdNegli esecutivi dei comuni rimasti in mano oriconquistati dal centrosinistra emerge con forzauna netta prevalenza dei democratici. C’è quasiuna scomparsa dei vecchi alleati (socialisti e si-nistra radicale) a fronte di una completa assenzadei nuovi (Udc e centristi), che erano stati chia-mati a rimpolpare la coalizione. Nei municipisuperiori ai 15 mila abitanti che hanno votatoil 25 maggio 36 assessori sono del Pd, delle listedei sindaci Pd o tecnici di area Pd. Solo 8 ap-partengono ad altre liste o partiti. Se poi an-diamo a vedere le deleghe scopriamo che lamaggior parte degli “alleati” sono assessori dinome ma non di fatto. L’apertura a destra nonha dato i frutti sperati e non ha coperto la crisidella sinistra che ormai è quasi residuale. In-somma il Pd è spinto oltre che dalle ambizionianche dai fatti a coltivare la “vocazione maggio-ritaria”. Questo non vuol dire abbandonare ivecchi compagni di viaggio, anzi! Oggi portanomeno, ma consumano niente. In tempi di crisicome questi, sono una piccola miniera da sfrut-tare. In questo scenario ci sono due questionida esaminare.

La reazione del Pd alla sconfitta el’affare Province La prima riguarda il modo in cui il Pd ha rea-gito e reagisce alla peggiore sconfitta della suabreve storia. E’ una analisi che riguarda tuttal’Umbria ma, in particolare la provincia di Pe-rugia dove il rapporto di forza tra centrosinistrae opposizioni è drasticamente cambiato avvici-nandosi pericolosamente alla parità (52% con-tro 48%). Di fronte ad un simile segnale diallarme i democratici hanno fatto orecchie damercante e compiuto il solito rito. Qualche“riunioncina”, con tanto di lacrime di cocco-drillo e di accuse tra fazioni, finita a “taralluccie vino” e poi tutti a casa. Come se non fossesuccesso niente. Conclusione: ognuno resta alproprio posto. In un clima nel quale il con-gresso straordinario o in subordine, una confe-renza di organizzazione, sarebbero lo sbocconaturale, i segretari e le segreterie restano, anchequando sono in carica non da pochi mesi, comeLeonelli e Giacopetti, ma da qualche annocome Rossi. Non solo il segretario provinciale,che è il simbolo di questo malcostume politico,non si è dimesso, ma non gli è stato nemmenochiesto di farlo. Un esterno, ignaro dei fatti, sa-rebbe portato a farsi una domanda “ma chi havinto le elezioni?”. L’unica strategia pare quelladi contare sulle disgrazie degli avversari, sullaloro “inesperienza di governo” che i gravi pro-blemi che affliggono le amministrazioni localipossono far emergere. Probabilmente occorrerebbe altro a cominciaredall’elezione dei presidenti delle nuove Pro-vince. Parliamo soprattutto di quella di Perugiaperché a Terni hanno ancora numeri bulgari. E’vero che comincia a far breccia l’idea di trovareun quadro valido e che abbia una relazione conil comprensorio perugino per riequilibrare lepresenze istituzionali in un territorio ormaicompletamente in mano al centrodestra. Oltre

a Perugia i seguaci di Berlusconi governano in-fatti anche Bastia, Assisi, Torgiano e Deruta. Es-sere tagliati fuori da questa realtà può significareessere tagliati fuori dall’Umbria. E con le regio-nali alle porte, non è un bel biglietto da visita.Tuttavia non si tratta di una linea, ma solo dell’intenzione di qualche dirigente. La nominadeve avvenire entro il 28 settembre. I tempisono stretti ma il Pd non ha ancora iniziato unadiscussione ufficiale. Eppure le difficoltà sonograndissime. Bisogna trovare un’intesa tra i ter-ritori, i capi corrente, le componenti interne egli alleati, che deve essere condivisa da tutti. Ba-stano pochi franchi tiratori per consegnareanche questa istituzione alla destra. Ma l’inizionon è dei migliori. Alla legittima candidaturadel sindaco di Foligno, seconda città della pro-vincia, è spuntata la solita richiesta del lago. Underby sarebbe proprio un buon viatico perun’altra sconfitta. Occorrerebbe altro, anche in vista delle elezioniregionali. Al di là del candidato presidente urgeinfatti un cambiamento di strategia. L’indica-zione, con buone dosi di autocritica, di un pro-getto completamente alternativo alla gestionedi questi anni, con segnali forti di rinnova-mento della classe dirigente. Fatte queste duecose dall’autunno del 2015, si potrebbe ini-ziare a costruire i programmi e trovare i candi-dati da mettere in pista per le prossimeamministrative. Ma bisognerebbe avere dei par-titi, un piano unitario, una visione politica co-struita insieme, condivisa e poi messa in pratica.Una favola che difficilmente diventerà realtà.Continueremo ad assistere alle solite guerre per-sonali, ai soliti sgambetti, è questa la politica deinostri tempi.

Sinistra addioIl secondo ed ultimo aspetto è quello dellascomparsa della cosiddetta sinistra radicale edelle piccole formazioni moderate. Prendendosempre come campione i comuni andati al votoil 25 maggio e vinti dal centrosinistra, su 44 as-sessori nominati, solo 4 sono riconducibili allagalassia della sinistra (Sel, Prc, Pdci e formazionivarie) scomparsa da comuni come Perugia eSpoleto. Rifondazione comunista non ha piùun consigliere comunale neanche a Gubbiodove l’eletto della lista di riferimento (Lupini)proviene da Sel.La sinistra è pure drasticamente diminuita a Fo-ligno dove sopravvive un consigliere di Sel (neaveva due) e scompare quello del Prc. Il trend èregionale. La più colpita è Sel perché non puòusufruire del passato. Il Prc ha ancora rappre-sentanti in Regione e in comuni importanticome Città di Castello e Todi. Sel no. Per di piùdove ha eletto, come a Terni, è stata colpita dalla“sindrome Ferranti”. Nella lista presentata han-no prevalso elementi provenienti dall’associa-zione Berlinguer. I dirigenti di Sel sono fuoridal consiglio e dalla giunta. In caso di vittoriasarebbe successo anche a Perugia a favore dell’exassessore Ferranti proveniente dal Pdci. L’ unicacosa da fare sarebbe riflettere. Continuare cosìporta alla completa estinzione.I tentativi del Pd di allargare l’alleanza a destrasono falliti. Nessuna delle liste di ciellini e diispirazione cattolica o direttamente provenientidall’Udc ha sfondato. La politica dalemiana del-l’aggiungi un posto a tavola non funziona più(se mai abbia funzionato). Ormai è chiaro, al-l’epoca di Renzi, i moderati che vogliono votarecentrosinistra, passano direttamente per il Pd,senza passare per il via.

4p o l i t i c aluglio 2014

Al via le nuove giunte

Tutto in mano ai sindaciJacopo Giovagnoni

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l ballottaggio delle comunali di Perugiae il “ribaltone” che ne è derivato sonostati da subito oggetto di esagerazioni

mediatiche. Si è così letta e ascoltata la tiriteradi un potere “rosso” che durava, ininterrotto eimpermeabile, da settant’anni finalmente ab-battuto; e non ci è stata risparmiata neanche lasciatta similitudine con la caduta del muro diBerlino. Qualcuno poi si è premurato di ram-mentare agli smemorati che questo potere avevaconosciuto una interruzione tra il 1964 e il1970, anni della alleanza tra Dc e Psi chiamata“centro-sinistra” che teneva all’opposizione ilforte Partito comunista. C’è di più: in questacittà territorialmente estesa e in molti sensi po-licentrica non c’è mai stato né poteva esserci ilpotere occhiuto e totalizzante di cui si è favo-leggiato: l’amministrazione del Comune è sem-pre stata frutto di compromessi tra ceti, gruppisociali, centri di potere. In verità a Perugia, nonostante il grande seguitoe la forza elettorale comunista, funzionò pertutto il periodo della cosiddetta Prima Repub-blica una conventio ad excludendum per cui ilPci, pur avendo un peso determinante nellapubblica amministrazione, non esprimeva ilsindaco. Quel ruolo spettava a un socialista, piùspesso proveniente dalle professioni liberali chedal funzionariato politico, generalmente espres-sione della borghesia urbana di tradizione laico-massonica, ma in grado di garantire anche laparte di tradizione papalina, moderata o con-servatrice. Tra i due settori dei ceti dominanti,un mondo piuttosto esclusivo, non c’erano maistate “grandi muraglie”. La Dc, dal canto suo,anche se all’opposizione, non era affatto esclusadal potere locale, grazie al sostegno del governonazionale: le banche, le due università, i con-sorzi agrari, il provveditorato agli studi peresempio erano nella sua orbita di influenza.Questo sistema trovò l’apogeo negli anni Set-tanta, quando – sulla spinta delle intese romane– fiorirono anche a Perugia accordi program-matici e lottizzazioni degli incarichi. Va aggiunto che l’esclusione del Pci dal governocittadino negli anni Sessanta non era stata con-seguenza meccanica di scelte nazionali. Fino adallora la base sociale del Pci, il mondo dellamezzadria, il proletariato e il popolino urbano,si era contentato delle grandi opzioni ideali e diuna amministrazione attenta ai bisogni delleclassi subalterne ma negli anni del “boom eco-nomico” questo non bastava più. Insommac’era stato un ritardo nel leggere le trasforma-zioni del neocapitalismo, la scomposizione-ri-composizione tra classi e ceti, il mutatorapporto tra città e campagna, il ruolo che ve-niva assumendo la città nella costituenda Re-gione. La presa di coscienza fu contestuale ai cambia-menti nel gruppo dirigente e nel quadro attivo

del partito. Non mancavano in esso figure cheerano diretta espressione del blocco sociale diriferimento, ma avevano ruolo e peso soprat-tutto alcuni “trasfughi” della borghesia urbana,politicizzatisi a sinistra nel corso della Resistenzao nell’immediato dopoguerra; ma sul finiredegli anni Sessanta, sulla spinta dei movimentisociali, di operai e studenti soprattutto, fun-zionò uno dei tipici “rinnovamenti nella conti-nuità” del Pci togliattiano. Così nelle listecomunali e regionali del 1970 come negli orga-nismi del partito e della Cgil venivano valoriz-zate, seppure con cautela, persone che venivanodalla fabbrica o dal mondo giovanile, mentrecresceva, seppure lentamente, l’influenza nellesezioni dei gruppi che la disgregazione delmondo contadino produceva: non solo i famosi“metalmezzadri” ma anche i “mezzadri piccoliimprenditori”. Di sicuro questo favorì la ricon-quista del Comune. Ma più ancora pesò inquell’occasione e successivamente il rinnova-mento programmatico. Mandarini ha ragione,quando sul “manifesto” riconosce a quella sini-stra il merito di aver elaborato un’idea dellacittà nella nuova Regione: grandi eventi da unaparte, diffusione di servizi e centri di aggrega-zione nelle periferie e nelle frazioni furono duefacce di quell’idea. Ma nella costruzione delconsenso ancora di più pesò la scelta partecipa-tiva: i comitati di quartieri prima, e poi la loroistituzionalizzazione nelle circoscrizioni ne fu-rono l’asse, lo strumento attraverso cui gruppidi cittadini riuscivano ad incidere sulle scelteche riguardavano la loro vita. E’ vero che la se-lezione dei dirigenti nel territorio seguiva i cri-terio della cooptazione paternalistica tipico delPci, come è vero che le reti partecipative tende-vano a degenerare in reti clientelari, ma i pas-saggi elettorali come la pratica delle periodicheassemblee rendevano in ogni caso inevitabile ilconfronto del vertice con la base e il coinvolgi-mento della base nelle scelte. E’ in questa fase (anni Settanta – Ottanta) chela chiusa (e talora ottusa) borghesia proprietariae professionale subisce alcuni scacchi vissuticome umiliazioni. Da una parte la nascita dellaRegione, lo sviluppo economico, urbanistico eturistico della città, l’ampliarsi delle universitàdeterminano un allargamento della classe diri-gente: grandi professionisti, professori univer-sitari, banchieri, alti burocrati, grandiimprenditori non possono essere più espres-sione di una ristretta oligarchia impregnata diperuginità, ma i ranghi devono essere rafforzaticon persone che vengono da fuori delle antichemura, dalle frazioni, da altri centri della regione,da fuori regione. I signori della vecchia Perugiaprima resistono, poi accettano e integrano inuovi, anche nelle organizzazioni “riservate”.Mal sopportano invece che al Palazzo dei Prioricontino sempre di più persone che vengono

dalle periferie e dalle frazioni e che l’organizza-zione “circoscrizionale” faccia spesso prevalerele esigenze del contado.La crisi dell’89 travolge il vecchio sistema poli-tico: lo scioglimento del Pci e la legge sull’ele-zione diretta del sindaco che spoglia di moltipoteri i consigli comunali a vantaggio dell’ese-cutivo cambiano il quadro. Nel 1995 il Pds nonimpone un proprio candidato sindaco alla na-scente coalizione del centro-sinistra bipolare:sceglie un professore universitario cattolico disinistra vicino alla Curia, visto che l’area socia-lista, screditata da Tangentopoli, si è dissolta;mutatis mutandis Maddoli ha la stessa funzionedi rassicurazione che avevano fino ad allora isindaci socialisti. Solo con Locchi, da semprelegato alle frazioni, si elegge un sindaco postco-munista. Dai “Ponti” proviene il suo successoreBoccali, il cui impegno nel Pci risale alla primagiovinezza, agli anni ‘80, nel movimento stu-dentesco e nella Fgci. La sua sindacatura com-pleta il processo di ascesa di un ceto politico cheproviene dal mondo mezzadrile e operaio, mache è ormai del tutto snaturato. Non so se Loc-chi e Boccali si possano considerare eredi delPci; di certo hanno beneficiato di quella eredità,ma, insieme a tutto il resto del gruppo diri-gente, l’hanno dilapidata. Come giornale ci è spesso accaduto di denun-ciare le magagne del sistema di potere impian-tato a Perugia del Pds-Ds-Pd che aveva il suocuore pulsante nei costruttori e non abbiamomai taciuto il limite di fondo: la mancanza diuna idea della città, mancanza che obbligava agalleggiare su questa a su quella ipotesi digrande opera o trovata propagandistica; forsenon abbiamo riflettuto abbastanza sulla crisiverticale della partecipazione. L’ideologia del-l’uomo solo al comando, la concezione media-tica del consenso, hanno fatto ritenere prima aidiessini e poi ai piddini che l’abolizione legisla-tiva delle circoscrizioni non fosse una iattura,quanto un’occasione.Piuttosto che pensare a come sostituirle effica-cemente, hanno pensato di fare a meno del rap-porto con la base elettorale e affidare la cura deirapporti con periferie e frazioni a consiglieri co-munali più o meno formalmente delegati a ge-stire la rete clientelare. Il clientelismo, peraltro,in tempi di vacche magre per le finanze locali,ha funzionato sempre meno e il malcontento èdiventato generale, anche e soprattutto nellezone rosse.Da mesi prima dalle fatidiche elezioni si parlavadel “modello Parma”, si diceva: se Boccali, nonce la fa al primo turno, rischia moltissimo. I piùpensavano che al ballottaggio non arrivasse ladestra ancora legata Berlusconi, ma il candidatogrillino. Non è andata così. Nonostante il ridi-colo l’11% cento di Forza Italia e poco più del20% delle liste coalizzate, la destra, senza alcun

merito proprio e solo per i demeriti altrui, hafatto tombola puntando su un candidato gio-vane, bene educato e ai più sconosciuto. Romiziè andato con appena 22 mila voti (il 26%) alsecondo turno, nel quale – nonostante il fortecalo dei votanti – è passato a 35 mila voti (e al58%). Per vincere si è giovato anche dell’ap-porto di alcune liste civiche come quelle di Ba-relli e quella di Waguè utilissime a coprirlo asinistra, ma anche di un travaso diretto da Boc-cali che passava da 39 mila a 25 mila voti. Siracconta di giovani che nelle periferie e nel con-tado, ai Ponti per esempio, persuadevano geni-tori e nonni a un voto di liberazione e dirinnovamento.Così da Wladimiro Boccali si passa ad AndreaRomizi. A volte anche i nomi e cognomi sono eloquenti;e alle famiglie dell’antica oligarchia di cui ilnuovo sindaco è rampollo non è sembrato vero.Ricacciati i Wladimiri nelle campagne dondesono venuti sognano il ritorno della egemoniadei ceti professionali e proprietari sull’intero ter-ritorio cittadino. La nomina della Giunta condentro tanta “società civile” dà conferma di sif-fatti progetti. Non ci sono grandi cambiamentida fare nella politica: le scelte delle ultime am-ministrazioni cosiddette di sinistra avevanospesso un segno di destra (penso all’esternaliz-zazione di attività fondamentali, o l’affida-mento ad associazioni private di compiti diassistenza). Un’ipotesi egemonica può peraltrotrovare il sostegno delle organizzazioni cattoli-che, felici di gestire il passaggio dall’assistenzaalla carità, e l’appoggio delle corporazioni, daimedici agli architetti, dai banchieri ai commer-cianti, per non dire dei notai. In prima linea gliavvocati, incluso quel nocciolo duro di penali-sti, la cui potenza è aumentata in parallelo conla criminale economia della droga: difendere efar liberare trafficanti e spacciatori può essereun grande affare. Ce la faranno? Riuscirà questo progetto di du-revole egemonia o Perugia diventerà un comunecontendibile a ogni elezione? Le ambizioni sonoalte, ma gli ostacoli molti. In ogni caso il bloccodella sinistra è ormai scomposto e disfatto e unasua ricostruzione richiede, oltre che tempo, unacapacità di analisi e di ideazione che al mo-mento non si vede. Potrebbe tutt’al più risor-gere un Pd perugino più leggero e menoradicato come coalizione di interessi distinta ediversa da quella di Romizi, ma con scarsi rap-porti con la sinistra, con i suoi soggetti sociali,storici o potenziali, con i suoi valori.P.S. Aggiungo, a mo’ di vaticinio, una battutac-cia sulla cementificazione. Forse Romizi guar-derà a gruppi di costruttori diversi che inpassato, ingegneri o architetti piuttosto che exmuratori, ma nella sostanza non cambierà nulla.Nonostante Barelli.

Perugia.Una restaurazione?

S.L.L.

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el “piano” industriale dell’Ast si sa-peva già tutto prima che venisse resopubblico. Le proposte erano note e

facevano parte di una strategia aziendale giàadombrata da Pucci, l’amministratore dele-gato uscente dimessosi qualche settimana fa,che prevedeva una riduzione dell’area a caldo,dove si produce l’acciaio da destinare alle suc-cessive lavorazioni, e la conseguente riduzionedei quantitativi di prodotto, scendendo sottola soglia di 1,2 milioni di tonnellate. La que-stione era, semmai, come realizzare questoobiettivo in un quadro in cui la multinazio-nale tedesca ha da tempo deciso che l’inossi-dabile non rientra più nei suoi interessiproduttivi e commerciali ed ha ripreso l’a-zienda dai finlandesi affermando, contempo-raneamente, che il suo obiettivo entro tre anniè quello di vendere ad un altro produttore. Pe-raltro la determinazione teutonica è spiegabilein primo luogo con il fatto che nelle moredelle difficoltà di Outokumpu e della proce-dura antitrust dell’Unione europea (franca-mente incomprensibile) l’azienda è stataabbandonata a sé stessa. La battaglia di cifresulle perdite (800 milioni per la dirigenza te-desca, 369 per i sindacati) non può oscurare ildato che sempre di perdite si tratta. In se-condo luogo la crisi economica determina unadiminuzione dei volumi ed un eccesso di ca-pacità produttiva e congiura a favore di unariduzione dei costi.Avendo deciso di vendere, ThyssenKrupp nonha nessuna convenienza a investire. La “pro-fittabilità” diviene, allora, presentare conti inordine e ripulire l’azienda dalle criticità, of-frendo al compratore un business che nonponga patemi d’animo. Ciò spiega l’aperturadi uno scontro che ha come obiettivi occupa-zione, costo del lavoro, costi per energia, deitrasporti, etc. Un piano di riduzione dei costipiù che un piano industriale. In sintesi 550posti in meno con ovvie ripercussioni sull’in-dotto, una riduzione del 10% dei salari orari,la chiusura di un forno, la diminuzione del40% del prodotto del laminato a caldo controun incremento del 30% dei laminati a freddo.I sindacati sostengono che i posti a rischiosono 1.000 e non 550 e probabilmente nonhanno torto, come non hanno torto a sottoli-neare che, data l’età media dei lavoratori, piut-tosto bassa, non esiste la possibilità di uti-lizzare come in passato ammortizzatori sociali.Si tratta di licenziati che si aggiungono aglialtri licenziati prodotti dalle crisi industriali.Ma al di là dell’emergenza drammatica che le

forze sindacali fanno bene ad affrontare conenergia analoga a quella dell’azienda, ci sonodati di prospettiva che sarebbe sbagliato sot-tovalutare. Il primo è: chi gestirà l’operazione? Appareevidente che la gestiranno direttamente i tede-schi: il nuovo amministratore Lucia Morselli,nota tagliatrice di teste, è solo un porta ordini.Obiettivo fondamentale per la società è accor-ciare la catena di comando. Da 35 dirigenti sidovrebbe scendere a 10. Intanto a tutti è statoimposto l’obbligo di firma, compresi gli am-ministratori delegati delle consociate, quasi asignificare simbolicamente che non hanno au-tonomia. D’altro canto l’assorbimento delleconsociate nella azienda madre indica come daquattro società si passa ad una. Va da sé che lescelte produttive a monte, nonostante la pre-

visione dell’aumento del fatturato dei fucinati,comporteranno il ridimensionamento dellaSocietà delle fucine, mentre per la Aspasiel, lastruttura che gestisce i servizi informatici, siparla già di chiusura. Al tempo stesso le reticommerciali vengono messe in capo ai tede-schi. Insomma in prospettiva si pensa ad unostabilimento sidero-meccanico dove gran partedell’acciaio viene da altri siti, privo di signifi-cative ricadute a valle e di qualunque funzionepregiata.Il secondo punto è che un percorso di questotipo non poteva essere gestito da Marco Pucci.Non perché Pucci è ternano e, come diconoalcuni, in città deve viverci, ma perché avrebbedovuto far fuori gran parte dei dirigenti e deiquadri con cui ha lavorato, rinunciare adesprimere ogni visione autonoma, sia pure al-l’interno di un percorso condiviso. Ma dietro

la vicenda Pucci si cela un ulteriore elemento.E’ probabile che il compratore dell’azienda cisia già e abbia dettato le condizioni per l’ac-quisizione dell’impresa. Se dopo il 28 luglioPucci diverrà il manager di riferimento o en-trerà nel top management di un altro grupposiderurgico sarà questo un segnale su chi è in-teressato all’acquisto e sarà possibile compren-dere quali sono le reali prospettive dell’Ac-ciaieria. C’è un terzo dato che non riguarda lescelte della multinazionale tedesca. Non si puòrimproverare ad una multinazionale di fare lamultinazionale, né ad un padrone di essere unpadrone. Del resto dopo anni di retorica e diesaltazione del libero mercato da parte di tutti(governi, enti locali e in qualche caso anche isindacati) la reprimenda sarebbe perlomenoipocrita. Oggi le istituzioni dicono che ilpiano è irricevibile. Già, ma che si fa se Thys-senKrupp resiste? I poteri pubblici sono ingrado di garantire bassi costi dell’energia,nuove discariche, una logistica meno appros-simativa in cambio di concessioni aziendali?E’ una strada già tentata senza risultati signi-ficativi, soprattutto dal punto di vista delmantenimento degli impegni. A parte ciò restauna questione più generale che è legata all’in-sieme del settore siderurgico in Italia. Sononote le vicende di Taranto e Piombino a cuioggi si aggiunge quella ternana. Sarà ora didire che le aziende pubbliche privatizzate dopoun ventennio sono tutte in una situazione dicrisi o reale o provocata? C’è di più. Chi venti anni fa si opponeva adesse, si sentiva dire che il percorso era inevita-bile e che, del resto, l’acciaio non era più unaproduzione strategica. Negli ultimi anni pergiustificare la ripresa della produzione dellafabbrica del cancro tarantina tutti hanno so-stenuto che l’acciaio è strategico per l’insiemedell’industria italiana. Delle due una. O è stra-tegico o non lo è. Se non lo è diviene inevita-bile che le produzioni siano destinate ad unapiù o meno veloce dismissione. Il processopuò essere rallentato, non impedito. Se invecel’acciaio è una produzione strategica - comechi scrive ritiene da sempre - allora la que-stione è di politica industriale e riguarda l’in-sieme del comparto e non solo l’Acciaieriaternana. E’ una bestemmia pensare a forme diintervento pubblico per la siderurgia italiana,al fatto che capitale pubblico entri nell’azio-nariato delle società, assumendo posizioni dicontrollo? Comprendiamo che ammettere ipropri errori è doloroso, ma forse sarebbe oradi cominciare a pensarci.

Acciaierie di Terni

Crisi di settoreRenato Covino

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el significato di “luogo destinato allaproduzione seriale di merce” la parolaqui da noi trova la sua prima attesta-

zione tardissimo: forse solo nel 1750, quandoGoldoni mette in scena L’adulatore: ne è prota-gonista Sigismondo, segretario viscido e corrottodel governatore di Gaeta, città in cui Pantalonede’ Bisognosi ha impiantato una fabbrica, ap-punto, di velluti: salvo poi trovarsi alle prese conun suo ex dipendente che, avendo imparatol’arte, vuole mettersi in proprio. Pantalone pre-tende l’esclusiva sul prodotto e per agevolare lapratica manda al perfido Sigismondo una interapezza di velluto come mancia; ma il rivale, incambio della concessione a impiantare la nuovafabbrica, promette invece un bel po’ di da-naro… Al terzo atto Goldoni manda all’aria ipiani del segretario maneggione e chiude la-sciando irrisolto lo scontro tra i due imprendi-tori: non tanto per far trionfare la giustizia,quanto perché doveva aver capito che tra il di-ritto all’esclusiva e quello alla libera concorrenzail conflitto era originario ed insanabile; né si po-teva pretendere che proprio lui, il cantore dellaborghesia imprenditoriale settecentesca, trovasseil punto di conciliazione. In origine fabbrica indicava la costruzione di unedificio, spesso sacro (“la fabbrica della dettaopera di San Giovanni” scrive Giovanni Villaninel ‘300), e fabbriceri coloro che vi sovrintende-vano: ma in luoghi come Firenze e Siena, dovela fabbrica del Duomo impegnò generazioni in-tere e capitali immensi, questi potenti ammini-stratori venivano detti operai. Nella stessa epocafabbrica poteva indicare la bottega del fabbro(“il villano sogna l’aratro e’ bovi, … il fabbro lafabbrica, la ‘ncudine, il martello” scrive il do-menicano Passavanti, racchiudendo in una fraseil sistema economico feudale): e questo collega-mento con la metallurgia sembra rimandare atempi molto remoti, col latino fabrica diretta-mente in rapporto con facere e ferrum. Ce n’èvoluto, come si è visto, perché dalla fucina arti-gianale la parola si estendesse fino al significatoodierno (in confronto il francese usine, dal latinoofficina, designava sin dal medioevo un luogodove si lavora utilizzando macchine idrauliche). Già, ma qual è il significato odierno? L’immensafabbrica fordista, che ad un’estremità ricevevamateria prima grezza e dall’altra sputava a gettocontinuo prodotti finiti, è scomparsa travoltadalla saturazione del mercato, dalla necessità diprodurre just in time, dall’agevolazione dei tra-sporti che consentono di disseminare le fasi dilavorazione in luoghi sparsi, remoti e dai dirittisindacali inesistenti. Per esempio il Messico: lìgli stabilimenti che ottengono il prodotto finitomontando parti costruite altrove si chiamanomaquiladoras, altro termine medievale indicantein origine il mulino che lavora per conto terzi.“La fabbrica educa al senso della dipendenza edella coordinazione sociale, ma non spegne leforze di ribellione, anzi le cementa in una vo-lontà organica di libertà”, spiegava Piero Go-betti su La rivoluzione liberale negli anni ’20.Fabbrica fordista, ovviamente: non c’è da sor-prendersi se, sparita quella nel vertiginoso sbri-ciolamento della produzione multinazionale,oggi al mondo gli operai siano più assai che aitempi di Gobetti; la ripetitività alienante del la-voro, la sua insicurezza, le possibilità di ricattosui lavoratori stiano tornando agli stessi penosilivelli di allora (qui da noi, perché altrove nonsono mai cambiate); mentre la “volontà orga-nica di libertà”, ossia la coscienza di classe, nonsi sa più dove cercarla.

FabbricaJacopo Manna

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Un po’ di storiaCon una superficie di quasi 70 ettari e unperimetro costiero di circa 5 km, l’isola Pol-vese è la più grande delle tre isole del LagoTrasimeno. Abitata fin dal tempo degli Etru-schi, l’isola vide la presenza di un cospicuonumero di abitanti (circa 500) già nel Me-dioevo, quando vi si insediarono i monacidomenicani e gli Olivetani (benedettini), chevi restarono fin quasi a tutto il XIX secolo.All’epoca medievale risale la costruzione dialmeno tre chiese: San Secondo (la più an-tica, trasformata in monastero nel 1500),San Giuliano e l’oratorio di San Leonardo.Più tardi, verso la metà del 1800, divenneproprietario dell’isola il Conte Pianciani diSpoleto che la trasformò in una riserva dicaccia. Fu in questo periodo, comunque, chevenne introdotta nell‘isola la coltivazionedell’olivo, che ancora oggi occupa il 65%della superficie: si pensi che – in alcuni anni– si arrivarono a produrre quasi 200 quintalidi olio. Dopo alterne vicende, nel 1939l’isola passò nelle mani di Biagio Biagiottiche trasformò l’isola in un giardino e fece co-struire l’edificio detto “Casa Merlata”, laVilla e altre modeste costruzioni attigue,tutte opere che restarono incompiute. Si ar-rivò cosi al 1959, quando la Polvese fu ac-quistata dalla società Necit del conte Citteriodi Milano, che ne fece una riserva di caccia.Infine, nel 1973 l’isola fu acquistata dallaProvincia di Perugia, che la dichiarò “Oasi diProtezione Faunistica”. L’isola è diventata poi“Parco scientifico-didattico” e dal 1995 faparte dell’ “Area protetta regionale del parcodel Lago Trasimeno”.

Gli ultimi avvenimentiDopo circa 40 anni di gestione, la Giuntaprovinciale, con delibera n.97 del 17/3/2014che ha per oggetto “Approvazione Studio diFattibilità per la concessione del servizio digestione unitaria dell’Isola Polvese”, ha de-ciso di privatizzare uno dei luoghi più bellidella nostra regione, frequentata da nume-rosi turisti e “utilizzata” anche dalle scuoledi ogni ordine e grado per scopi scientifico-didattici, portati a termine anche con sog-giorni-studio.La Provincia giustifica la scelta della priva-tizzazione con il pretesto del risparmio: l’at-tuale gestione dell’isola comporta una spesadi circa 250.000 euro all’anno che, con laconcessione della gestione ai privati, verreb-bero risparmiati. L’Amministrazione in re-

altà non riesce ad andare oltre una logica pu-ramente ragionieristica, dal momento che,tanto per fare un esempio di sperpero del de-naro pubblico, la stessa Giunta, negli ultimiquattro anni della gestione Guasticchi (Pd esoci), ha più che raddoppiato il numero diagenti della fantasiosa Polizia Provinciale,portandoli da 70 a 150 unità. Una vera epropria compagnia di uomini in armi, aiquali va aggiunta una sezione di polizia a ca-vallo (sic!) e una squadra di sommozzatori.Non è dato sapere i costi di simili “oculate”scelte politico-economiche. La privatizza-zione avrebbe comportato un pesante inter-vento sugli assetti dell’isola: lo studio difattibilità approvato dalla Giunta – nel darein mano ai privati la gestione le gestione del-l’isola per 21 anni - prevedeva la costruzionedi un campo da golf, uno da calcio, duecampi da tennis, un numero imprecisato diovili e persino l’autorizzazione ai futuri ge-stori a dotarsi di una piccola flotta di moto-scafi per il trasporto dei turisti sull’isola.Contro questo scempio annunciato sonoscese in campo ben sette associazioni am-bientaliste: CittadinazAttiva, OsservatorioBorgoGiglione, Salviamo il Paesaggio, Le-gambiente, Consumatori Umbria, Libera,Trasimeno Benecomune e due formazionipolitiche: L’Altra Europa (Sinistra Europea)e M5S. Nelle ultime 3 settimane, con volan-tinaggi, comunicati-stampa, riunioni e as-semblee pubbliche, le associazioni hannocondotto fra la popolazione un ottimo lavorodi informazione sui pericoli che la privatiz-zazione dell’isola avrebbe comportato sul-l’ambiente e sulla sua fruibilità chiedendo e- nei fatti- riuscendo ad imporre alla Giuntaprovinciale la revoca della Delibera n. 97,mettendo così in sicurezza – almeno per ilmomento – il futuro della Polvese.Oltre a ribadire con forza che l’isola Polveseva difesa contro ogni tentativo di privatizza-zione in quanto bene comune di tutta la co-munità regionale e nazionale, da tutta questavicenda viene fuori un’altra lezione altret-tanto importante: le istituzioni – a qualsiasilivello – non sono autorizzate a prendere de-cisioni unilaterali, senza aver prima consul-tato i cittadini e averne ascoltato la volontà.Va sempre riaffermato il principio che i benicomuni devono essere sottratti alle logichedel mercato e del profitto e gestiti, invece,secondo logiche di democrazia partecipativa.

*L’Altra Europa - Perugia

Marcia indietrosulla Polvese

Giovanni Galieni*

enerdì 11 luglio Cgil, Cisl e Uil hannoorganizzato, davanti alla Prefettura diPerugia, una manifestazione per chie-

dere l’immediato sblocco dei pagamenti dellacassa integrazione in deroga. Un centinaio dicassaintegrati presenti, in rappresentanza deglioltre 11.000 lavoratori umbri da sei mesi senzaun euro, hanno urlato la loro rabbia, invitandoil governo a rifinanziare la Cig. In realtà hannourlato anche contro gli stessi sindacati, attri-buendo loro molte colpe.I sindacati, durante il loro intervento, sono statimolto critici nei confronti della politica umbra,degli imprenditori e della nuova giunta Romizi,che di fronte a questa situazione drammatica,che rischia di far saltare centinaia di imprese,hanno taciuto e tacciono scandalosamente. Mario Bravi, segretario regionale della Cgil, harimarcato come è inconcepibile che nessun par-lamentare umbro abbia preso una posizionesull’argomento, così come è singolare che il Pd,maggioritario in Umbria e in Italia, sia più in-tento a comporsi e a ricomporsi, anziché inter-venire su una questione centrale come questa.Dal palco ha detto “deve essere chiaro anche alPd che 80 euro sono importanti, ma non ba-stano se si lasciano sul lastrico persone come icassaintegrati che stano peggio dei lavoratoriche hanno percepitol’aumento degli 80euro”. La manifestazione si èconclusa con l’invito ri-volto alla politica um-bra a svegliarsi dal suolungo letargo e a battereun colpo per dare uncontributo nella difesadei diritti di migliaia dicittadini, per condurreuna battaglia non soloassistenziale, ma per illavoro e il futuro dellaregione.Com’è noto la Cig inderoga è un ammortiz-zatore sociale destinatoa lavoratori ed imprese esclusi dalla tutela dellenorme anticrisi. E’ un intervento di integrazionesalariale a sostegno di lavoratori non destinataridella Cassa integrazione guadagni or- dinaria estraordinaria, ed è stata una conquista, per leimprese del terziario, che avrebbe dovuto atte-nuare le conseguenze della crisi occupazionaleche ha investito pesantemente anche commer-cio, turismo e servizi. Il venire meno nei fatti di questo ammortizza-tore (previsto dall’annunciata riforma degli am-mortizzatori sociali) ha non solo effetti direttisui lavoratori, ma mette le aziende nelle condi-zioni di non poter resistere ulteriormente, per-ché da un lato sono costrette a rinunciare a pro-fessionalità consolidate, dall’altro vedono

diminuire continuamente la clientela.Una situazione drammatica, che vede coinvoltinella regione 11 mila e 500 lavoratori, dei quali3 mila e 370 a zero ore, quindi senza redditoalcuno. Le tre organizzazioni sindacali dell’Um-bria ritengono “inderogabile” l’emanazione deldecreto di copertura finanziaria da parte delGoverno che, però, secondo loro, “continua anon dare risposte nonostante le sollecitazionidelle nostre organizzazioni e della conferenzadelle Regioni”. La prima tranche di finanzia-menti arrivata ad inizio anno è servita infatti acoprire gli ultimi mesi del 2013 e solo circa550 domande, delle oltre 5.000 pervenute nel2014. E anche per le 550 autorizzate, le risorsehanno permesso di coprire solo il primo mesedel 2014, il che vuol dire che 11.500 lavoratoriin cassa integrazione in deroga, di cui quasi3.400 a zero ore, non hanno percepito un euroda febbraio. Una situazione pesantissima sullaquale il Governo è chiamato a dare risposte im-mediate, che non possono attendere la riformadegli ammortizzatori sociali.Questa emergenza, tra l’altro, si aggiunge allariduzione del periodo di concessione della Cigin deroga da 12 a 8 mesi. Per le imprese che l’hanno chiesta a gennaio iltermine di scadenza passa da fine dicembre a

fine agosto, mentrequelle che l’hanno chie-sta successivamente,non conoscono ancorala durata del beneficio(sono attesi chiarimentiin merito entro fineagosto). E’ pertantoipotizzabile che da set-tembre decine di mi-gliaia di lavoratori nonavranno più alcunaprotezione e si aggiun-geranno alla già foltaschiera dei disoccupati.Secondo il ministro Po-letti, manca un mi-liardo di euro per co-prire il 2014.

Riformare la Cig è giusto, anche a causa del-l’abuso che c’è stato negli anni. Concederla, peresempio, ai dipendenti dei partiti politici è deltutto inappropriato; o meglio sostenere che ilridimensionamento o la chiusura di un partitopolitico costituisca crisi occupazionale con ri-levante impatto sociale, paragonabile a quelladi un settore industriale, è davvero fuori luogo.La cassa integrazione deve servire per tenere le-gato il lavoratore all’azienda di origine quandoc’è la prospettiva ragionevole di ripresa del la-voro in quell’azienda; ma se un partito si contraeo «chiude», se un partito o un gruppo parla-mentare non è premiato dal voto degli elettorie deve ridimensionarsi, la prospettiva qual è? Sitratta evidentemente di una finzione.

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I sindacati, duranteil loro intervento, sonostati molto critici neiconfronti della politicaumbra, degli imprenditorie della nuova giuntaRomizi, che di frontea questa situazionedrammatica, che rischiadi far saltare centinaiadi imprese, hanno taciutoe taccionoscandalosamente

Cassa vuotaMiss Jane Marple

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onfessiamo di non poterne più di in-formare sulle vicende relative alla que-stione delle “riforme” delle autonomie

locali, come appare sempre più pleonasticocommentare i loro livelli di falsificazione e inu-tilità. L’insofferenza deriva dal fatto che agli an-nunci seguono sostanziali smentite, a cuiseguono nuovi annunci e ulteriori marce indie-tro. Le “riforme” istituzionali, peraltro, hannotutte lo stesso passo. Testimoniano un piglio de-cisionista a cui non corrisponde una capacità ditrasformazione, sia pure in senso autoritario,coerente. La conseguenza è che tutto si svolgein una confusione crescente che lascia presagireche alla fine del gioco la macchina pubblica ri-sulterà ancora più scassata e autoreferenziale diquanto fosse in precedenza e al contempo menodemocratica.Renzi e i suoi si adontano quando si parla di de-riva autoritaria, eppure la cifra dell’insieme delleazioni e delle norme messe in cantiere sia pro-prio questa, con un taglio - almeno per le Pro-vince e le autonomie locali - di marca gatto-pardesca, che tende a cambiare tutto, lasciandotutto uguale a prima, anzi peggiore.

La legge del 7 aprile 2014 Riprendendo la questione daccapo, e senza ri-fare la storia, il punto di svolta (si fa per dire) èrappresentato dalla Legge del 7 aprile 2014 n.56 sulle “Disposizioni sulle città metropolitane,sulle province, sulle unioni e fusioni dei co-muni”. E’ passato per il provvedimento di scio-glimento delle province, invece nulla di piùfuorviante. In realtà non si scioglie niente, lecompetenze rimangono intatte, così come ladotazione di personale. L’unica variazione èrappresentata dal fatto che da enti fondati sul-l’elezione popolare divengono strutture di se-conda nomina. In altri termini i consiglieriprovinciali ed il presidente vengono scelti dasindaci e consiglieri comunali. Il codicillo de-magogico che questo sottende è che non sa-ranno più pagati. Gli emolumenti previsti per

gli stessi vengono aboliti, dato che le nuove as-semblee sono composte da persone che già ven-gono pagate dai comuni per svolgere unafunzione rappresentativa. In altri termini si èsperimentata per le province la stessa procedurache si sta tentando di realizzare oggi per il Se-nato. Per inciso, il “risparmio” che viene realiz-zato, ad esempio, in Umbria è pari a circa700.000 euro annui. Emergono così alcuni ele-menti che non è inutile sottolineare. Il primo èche le province – al di là della propaganda – ri-mangono intatte nelle loro funzioni e, per moltiaspetti, nei loro organi. Il secondo è rappresen-tato dal fatto che la riduzione del ceto politicoè più un dato di apparenza che di sostanza. Iconsiglieri provinciali sono ridotti alla metà diquello che erano in precedenza. Non sono piùattività esclusive (vengono esercitate insieme aquello di consigliere comunale), ma nei fatti chesi assommano incarichi, rafforzando la posi-zione di coloro che li esercitano. Più semplice-mente è una bufala che si sia ridotto di oltretremila persone il ceto politico, più semplice-mente sono spariti 1.500 rappresentanti, men-tre si è costruito un meccanismo di cumulodelle cariche. Il terzo dato è che il risparmio chesi realizza è irrisorio rispetto ai costi reali dellapolitica: si tratta di un espediente demagogicovolto a coprire il vero scopo della legge, che èquello di limitare le forme di rappresentanzapopolare in un disegno che non può essere de-finito altrimenti che come autoritario.La questione si complica ulteriormente se sianalizza la parte della legge che riguarda i co-muni. Per quelli sotto i 3000 abitanti – quellipiù difficili da governare per assenza di strutturee di finanziamenti – si prevede un aumento deiconsiglieri ed un aumento degli assessori. Il cor-rettivo che si propone sono o la fusione o leunioni speciali attraverso le quali mettere in co-mune i servizi. In realtà la legge deprime lespinte alla fusione, le unioni speciali sono di dif-ficoltoso funzionamento, le comunità tendonocosì a chiudersi in sé stesse, prese nella tenaglia

tra una falsa affermazione di autonomia e leconvenienze derivanti dall’accorpamento. Pe-raltro l’assenza di processi di concentrazione fasì che il potere di contrattazione delle comunitàsia destinato a scemare, che quest’ultime si con-figurino come unità amministrative fittizie. Alcontrario di quanto appare si realizza così unaltro modo di restringere e vanificare gli spazidi democrazia e di rappresentanza.

Le linee guida per lo svolgimentodel procedimento elettoraleIl provvedimento è stato emanato l’1 luglio esancisce lo svolgimento dei comizi elettorali peril 28 settembre di quest’anno. La normativa èminuziosa e prevede Uffici elettorali e seggi dicui dovrebbero far parte dirigenti, funzionari eimpiegati provinciali. Il corpo elettorale è costi-tuito da sindaci e consiglieri comunali in carica.I consiglieri da eleggere in provincia di Perugiasono pari a 12, a Terni a 10. Essi possono esserescelti tra sindaci e consiglieri comunali maanche, per questa prima tornata elettorale, tra iconsiglieri provinciali e i presidenti di Provinciauscenti, che tuttavia non hanno l’elettorato at-tivo. Lo stesso vale per i presidenti. L’elezioneavviene su liste sottoscritte per il consiglio daalmeno il 5% del corpo elettorale, per il presi-dente di almeno il 15%. Il tutto avviene convoto ponderato, ossia con un legame tra l’elet-tore/consigliere e la classe demografica del co-mune che rappresenta, secondo un calcolo,descritto nell’allegato alla legge, che fa dubitaredelle capacità intellettive dei funzionari che l’-hanno scritto e sui cui meccanismi evitiamo perigiene mentale di addentrarci. In conclusionegli elettori sono 840 per la provincia di Perugiae 429 per quella di Terni. I sottoscrittori neces-sari per la liste dei consiglieri sono rispettiva-mente 43 e 22, per i presidenti 126 e 65. E’ unvincolo che esclude dalla competizione le pic-cole formazioni politiche, imponendo imponecoalizioni o limitando la partecipazione al mas-simo a tre formazioni politiche (Pd, Centrode-

stra e M5s), creando un ulteriore blocco diffi-cilmente sormontabile. La Regione e le forze politiche presenti in Con-siglio regionale, avrebbero perlomeno potuto,avendone la facoltà, ridefinire i territori delleprovince. Il presunto depotenziamento dellestesse poteva essere un’occasione per riequili-brare le dimensione di enti disegnati fin dal-l’origine in modo maldestro e opinabile.Naturalmente la questione non è passata nep-pure per la controcassa dell’anticamera del cer-vello dei consiglieri e della giunta regionale.Troppo difficile e complicato per uomini e don-ne impegnati a discutere di una legge elettoraleper le elezioni del 2015, in cui si gioca la loropresenza nella più importante assemblea umbra.Quindi tutto rimarrà come è probabilmente insaecula saeculorum. Allora la discussione si con-centra su chi candidare a presidente. Ricordate?Sembrava che tutto dovesse essere automatico:il presidente avrebbe dovuto essere il sindacodel comune capoluogo. Per fortuna del Pd nonè stato così. Immaginate quale sarebbe statol’equilibrio istituzionale dopo la sconfitta alleelezioni perugine. Il sindaco e il presidente dellaprincipale provincia sarebbe stato Romizi, unesponente del centro destra. Allora è iniziato iltotopresidente con le candidature alternative diNando Mismetti, sindaco di Foligno, e i sindacidi Corciano e di Magione sponsorizzati dal gio-vane Leonelli, non fosse altro perché più gio-vani e di più nette simpatie renziane. Menoagitata la situazione a Terni dove sono in poleposition, dopo l’indisponibilità di De Girolamo,i sindaci di Narni e di Amelia. Insomma per unincarico che non doveva contare quasi nulla,che doveva essere di puro servizio, l’affolla-mento appare notevole e sarà destinato a cre-scere nei prossimi due mesi. I casi sono due: ola Provincia è espressione di un potere tutt’altroche insignificante, oppure si tratta dell’enne-sima dimostrazione del teorema secondo cuiuna poltrona è una poltrona: meglio sedercisisopra piuttosto che lasciarla ad un altro.

La nuova struttura delle province

Tra demagogiae autoritarismo

Re.Co.

C

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on un’iniziativa pubblica dove erano pre-senti Sandro Medici, candidato alle ul-time elezioni europee con la lista l’Altra

Europa e Renato Covino di “micropolis”, il Co-mitato ternano si è presentato alla cittadinanza. Quello che emerge è la voglia di proseguire, dopoil voto, con il progetto L’Altra Europa a tutti i li-velli, da quello nazionale fino alle realtà locali. Ilruolo che questo soggetto vuole ritagliarsi nelloscenario politico è quello di dare una nuova decli-nazione alla sinistra italiana, sostenendo la costi-tuzione di una soggettività politico-sociale alter-nativa al neoliberismo ed all’austerità e alle forzepolitiche ispiratrici di tali politiche, a partire dalPartito democratico.Occorre un percorso autonomo, che superi le di-visioni finora prodottesi e che ponga al centro icontenuti propri della sinistra: la difesa delle fascepiù deboli, i diritti civili, la salvaguardia dell’am-biente e dei beni comuni, una società più ecoso-stenibile. Tutto questo senza dimenticare l’espe-rienza europea e le battaglie contro le politiche diausterità e per gettare le basi per l’Europa dei po-poli, obiettivo che i nuovi eletti al parlamento eu-ropeo si dovranno porre. A livello locale, invece, la decisione è quella di so-stenere i conflitti presenti nei diversi territori, afianco di movimenti e associazioni, nella consape-volezza che solo l’apertura di nuovi spazi di con-fronto e proposta possa assicurare la democraticitàdel processo costituente in corso, che ha nell’as-semblea nazionale del 19 luglio una tappa fonda-mentale. Il vero aspetto positivo è che per la primavolta nella storia della sinistra italiana si sta pro-vando a declinare una vittoria elettorale, dimo-strando che non è stato un semplice cartello mo-mentaneo; inoltre va riconosciuta la grande umiltàche tutti quelli che hanno aderito hanno dimo-strato, mettendosi alle spalle la diaspora della sini-stra italiana di questi anni e concentrandosi sullanecessità di un processo unitario, democratico edautonomo. In questo senso un’altra direttrice di lavoro del co-mitato è la costruzione, insieme al comitato di Pe-

rugia, di una dimensione regionale di azione, fon-data sia su un ruolo propositivo in termini di mi-sure e azioni da intraprendere nella gestione delterritorio ai diversi livelli, sia su una funzione dicontrollo delle istituzioni locali.Un’azione volta a costruire e rafforzare un soggettopolitico di sinistra passa necessariamente per la ri-cerca della maggiore visibilità presso chiunque pos-sa condividere il progetto: associazioni ma anchesingoli cittadini desiderosi di impegnarsi personal-mente.Dall’esperienza della campagna elettorale condottaper le elezioni europee e dalla lettura dei risultatiemergono infatti, al di là dei toni trionfalistici chealcune forze politiche hanno voluto utilizzare, delleinformazioni che non possono essere trascurate.Da un lato è evidente l’aumento della insoddisfa-zione, documentata dalla crescita dell’astensione,per le proposte politiche delle forze più visibili; in-cluse quelle forze che continuano a fregiarsi im-propriamente di un’etichetta politica di centro-sinistra, per le quali l’aumento dei voti registrato èpiù credibilmente riconducibile a un avvicina-mento di elettori in precedenza vicini al centrode-stra. Dall’altro lato è risultata altrettanto evidente,dalla quotidiana osservazione, la limitata informa-zione diffusa dai mezzi di comunicazione sulla pro-posta della lista l’Altra Europa. Ma proprio inconsiderazione di questa scarsa conoscenza, il ri-sultato ottenuto testimonia il gradimento elevato,gradimento peraltro rilevato anche attraverso ilcontatto diretto con i cittadini da parte di tuttiquelli che si sono dedicati alla campagna stessa. Insintesi, la proposta dell’Altra Europa è stata cono-sciuta da pochi, ma presso quei pochi è risultatamolto apprezzata.Queste riflessioni spingono a considerare fonda-mentale l’aumento della visibilità e della parteci-pazione. Una partecipazione ampia e attiva di tuttiquelli che intendono la politica come strumentoutile per il benessere condiviso e che vogliano op-porsi a politiche di concentrazione della ricchezza,dei redditi e delle opportunità e alla precarietà chene deriva.

are che su facebook abbia destato scan-dalo la presenza di Corradino Mineo -senatore dissidente del Pd - alla parteci-

pata assemblea organizzata a Perugia il 27 giu-gno da “micropolis” al Caffè 101 sulla riformacostituzionale. Hanno fatto scalpore, in parti-colare, le definizioni di postdemocrazia e di de-mocrazia autoritaria utilizzate nel manifesto checonvocava l’iniziativa. Il senatore dissidente èstato accusato di lesa maestà nei confronti delprogetto del governo, del premier segretario,della disciplina di partito. Per carità, nessun de-ferimento ai probiviridisciplinari, ma unmarcamento ad uomocon uno sputtana-mento mirato che vadalle accuse di avariziaper i mancati contri-buti al Pd siciliano, aldesiderio di mantenerel’indennità e il posto inParlamento, etc.In realtà i relatori,Mauro Volpi e Mineohanno descritto, conricchezza di particolari,i lineamenti del pro-getto governativo. Laquestione non è tantola distinzione tra icompiti delle due Ca-mere, ma la loro com-posizione, i criteri diindividuazione e di nomina dei senatori, ilmantenimento a 630 del numero dei deputati,l’assenza di contrappesi nei confronti del ruolosempre più invadente del governo nei confrontidel parlamento e della magistratura. In sintesiil Senato verrebbe eletto dai consiglieri regionali(poco più di mille persone) e sarebbe compostoda 74 consiglieri regionali, da 21 sindaci dei co-muni capoluogo di regione e da 5 nominati dalPresidente della Repubblica. Se la legge eletto-

rale consentirà di eleggere con il 37% degli elet-tori (che sono sempre meno) il 55% dei depu-tati e se tale proporzione si ripeterà sia pure informe attenuate al Senato, ciò vorrà dire che ivincitori potranno eleggersi da soli il Presidentedella Repubblica ed i giudici costituzionali, de-terminando l’insieme degli equilibri istituzio-nali del paese. Come definire un progetto di questo tipo senon autoritario? Si tratta, peraltro, di un auto-ritarismo senza contenuti, senza un’idea di rias-setto complessivo dello Stato e della macchina

pubblica. In altri termini Renzi,come già Berlusconi,vuole governare senzavincoli, per fare cosanon importa. Ha ancheun’arma di riserva: se ildisegno non riesce ècolpa di chi rema con-tro e dei gufi. L’assem-blea di Perugia va quin-di esorcizzata: fosse maiche la gente cominci arendersi conto della si-tuazione e, invece checontinuare a farsi “se-durre” dal premier diPontassieve, inizi a por-si e a porre qualche do-manda scomoda? C’èdi più. Se minoranze, sia pure

ancora esigue, cominciassero ad agitarsi nelpaese e si assistesse ad un risveglio dal soporeche attanaglia l’opinione pubblica nazionale di-sposta a tutto purché cambi qualcosa - non im-porta come e in quale direzione - potrebberoaumentare gli ostacoli per un passaggio indo-lore ad una democrazia “che decide”, a prescin-dere da cosa; e Renzi e i suoi corifei hannobisogno di tutto tranne che di cittadini attivi,partecipi e informati.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Il comitatoternano de

L’Altra Europasi presentaalla città

C

Riforma costituzionale

Il Senatodi Renzi

S.D.C.

P

Come definire un progettodi questo tipo se nonautoritario? Si tratta,peraltro, di unautoritarismo senzacontenuti, senza un’ideadi riassetto complessivodello Stato e della macchina pubblica.In altri termini Renzi, comegià Berlusconi, vuolegovernare senza vincoli,per fare cosa non importa

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giudicare dalla percentuale di suolo im-piegato per usi agricoli (51,5%, vedi ta-bella 2), sembrerebbe resistere la tradi-

zionale immagine dell’ Umbria come terra dicontadini e agricoltori. Dietro quel dato c’è perouna realtà più contraddittoria; l’abbandonodell’attività agricola continua costantemente,ma le istituzioni regionali cercano di richiamareinteresse sulla materia sfruttando il luccichio deifinanziamenti comunitari. I finanziamenti relativi al Psr (Piano di svilupporurale) 2007-2013, che dovranno essere erogaticompletamente entro dicembre 2015, sono giàstati assegnati per 514,8 milioni di euro. I rima-nenti 277,2 (dei 792 disponibili complessiva-mente), dovranno essere erogati entro dicembre2015. Sembra davvero una enormità, e per ga-rantirla sono servite 12 varianti, finora. Senzadimenticare che i contributi provenienti dal-l’Europa sono frutto dei finanziamenti di ognisingolo stato, quindi anche nostri e che ad ognieuro comunitario se ne deve aggiungere uno lo-cale. Si ha inoltre l’impressione che sia più im-portante l’erogazione dei contributi del come edel perché vengono erogati, almeno a giudicaredai titoli della stampa sulle uscite dell’assessoreregionale. Forse la mielosa promessa di contri-buti serve ad attirare le api comunque utili a farevolume, e non solo, nell’alveare. Comunqueora, esaurito il vecchio piano, si parte con ilnuovo, ancora nella fase preliminare, ancorapiù ricco: da 792 milioni si passa a 876 milioni,fino al 2020. Con un aumento del 10,6%,l’Umbria sembra proprio in controtendenza,perché il badget europeo dedicato allo svilupporurale 2014-2020 diminuirà del 12,9% rispettoa quello del 2007-2013. Dipenderà dalla zelantecapacità umbra di spendere questi finanzia-menti? Anche questo è un criterio di giudizioper una buona amministrazione di tutti i go-verni nazionali e locali, la presidente Marini nonpuò sfigurare proprio adesso che è stata nomi-nata vicepresidente del Comitato delle regionid’Europa. E vedendo tutto quel “bendidio” concui arricchiamo il piatto europeo fa male a tuttisapere che non siamo in grado di riprendercelisotto forma di contributi. Purtroppo le recenticronache ci hanno dimostrato ciò che si potevaimmaginare: dove ci sono tanti finanziamenti siritrovano soggetti di ogni tipo e la tentazione dioperazioni per i “tengofamiglia” possono diven-tare irresistibili. Anche l’assessora regionale al-l’agricoltura Cecchini, solo per parlare dellefigure apicali, è stata oggetto di un’interroga-zione leghista su una questione simile, ma lamaggioranza compatta ha difeso il suo operato.

Umbria rurale: Psr passato e futuroSe c’è un’utilità nella redazione di questi pianiè proprio quella che permette di avere un qua-dro conoscitivo abbastanza preciso della mate-ria, attraverso i parametri dellaletteratura scientifica si può rap-presentare anche un ambientenaturale. Quindi il Piano strategico nazio-nale (Psn) prevede quattro tipo-logie di territorio: 1) Poli urbani,2) Aree rurali ad agricoltura in-tensiva specializzate, 3) Aree ru-rali intermedie, 4) Aree rurali con problemicomplessivi di sviluppo. I criteri di formazionedelle tipologie dipendono perlopiù dalla densitàabitativa che l’Ocse (Organizzazione per la coo-perazione e lo sviluppo economico) classificacome prevalentemente rurali se più del 50%

della popolazione vive in aree rurali, come av-viene in Umbria. Il nostro territorio rientra indue tipologie: aree rurali intermedie, approssi-mativamente secondo una linea longitudinale aovest della catena appenninica, e aree rurali conproblemi di sviluppo, secondo la stessa linea aest dell’appennino. Nella tabella 1 la fotografia

che ne esce secondo il censimento Istat 2001.Da non trascurare che l’Umbria, secondo i datiDemo Istat 2004, è una regione per vecchi, doveil 23,6% della popolazione ha più di sessanta-cinque anni, contro il 19,2% di media nazionalee il 20,8 del centro Italia. Abbassano la mediadi vecchiaia le famiglie degli extracomunitari

che si fermano in terra umbra. Poi c’è la copertura del suolo, cioè la destina-zione che rappresenta quantitativamente la re-altà umbra (vedi tabella 2). Ancora prevale ladestinazione agricola (51,5%), se consideriamoche il 43,6% è superficie boscata e ambienti na-turali si conferma la vocazione agricola. Tuttaviagli ultimi dati parlano di una diminuzione an-che consistente della superficie ad essa dedicata,e di una “agricoltura ancora fortemente orientataverso indirizzi produttivi prevalentemente estensivinei quali prevalgono cereali e colture industriali(tabacco e girasole). Tali indirizzi, avvalendosi diun elevato grado di meccanizzazione e della stan-dardizzazione delle tecniche di produzione, hannodi fatto ridotto la capacità dell’agricoltura di creareoccupazione e di attirare risorse umane”. Il chenon corrisponde affatto alle ultime direttive eu-ropee che vorrebbero testualmente “innanzituttouna valenza produttiva decisiva, addirittura stra-tegica per l’Unione Europea (autosufficienza ali-mentare) che coinvolge una dimensione di Pil“.Nonostante l’obiettivo di autosufficienza ali-mentare il settore del tabacco risulta ancoratroppo ingombrante nell’economia agricolaumbra per pensare di emanciparla, infatti la ri-duzione del contributo comunitario ha costrettola regione a cercare compensazioni. A giudicare dalle modalità di erogazione deicontributi sembra proprio una materia fatta peri burocrati, ecco un esempio “Convergenzaesterna [...] tutti gli Stati membri con una mediadi pagamenti diretti inferiore al 90% della mediaeuropea recupereranno 1/3 del valore tra il loro li-vello attuale di pagamenti diretti ed il 90% dellamedia europea [...] L’importo del pagamento dibase (ovvero solo i titoli, escluso greening e altrecomponenti) che un’azienda agricola riceve saràridotto di almeno il 5% per gli importi superioria 150.000 euro”. Insomma quelle che devonopredisporre i documenti richiesti dalla burocra-zia europea per erogare finanziamenti sembrano“braccia rubate all’agricoltura”, si diceva così inpassato con intenzione offensiva nei confrontidi chi non sapeva fare il suo mestiere. Adessoquelle braccia servono per creare una filiera, ma-

gari anche familiare, che diventa piùimportante di quella addetta alla terra.Perché l’agricoltura dei colletti bianchivorrebbe schiavizzare la terra piegandolaalle ragioni economiche, come se si po-tesse prescindere dai cicli naturali dellestagioni, dai microclimi, dalle caratteri-stiche pedologiche dei terreni senza pa-garne il prezzo. E’ come se fosse logicomonetizzare la disponibilità della terracreando le quote con cui si pretende-rebbe di controllare il mercato. Mentresi reclamizzano i milioni di euro pro-messi all’agricoltura umbra ci vengonoforniti i dati della povertà: i relativa-mente poveri, cioè una famiglia di due

persone che dispone solo di 800 euro circa almese, qui sono il 10,9%, il dato più alto delcentro Italia, doppio rispetto alla Toscana. Macome in tutte le classifiche del genere possiamoscegliere con chi confrontarci per ottenere l’ef-fetto desiderato, rispetto al sud siamo i primidella classe. Se continua la recessione divente-remo tutti agricoltori, gli 876 milioni del Psr2014-2020 divisi tra i 906.162 abitanti del-l’Umbria fanno più di 138 mila euro l’anno atesta con un ettaro circa di terra, pure di più sedalla spartizione escludiamo i ricchi. Dopo il2020, speriamo ci venga in mente qualche altraidea.

Il Piano di sviluppo rurale 2014-2020

Braccia rubate all’agricolturaAnna Rita Guarducci

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l 9 luglio scorso, a Roma, il sindaco diUmbertide Marco Locchi ha ricevuto ilpremio per i comuni ricicloni di Legam-

biente. Umbertide ha, infatti, raggiunto nel2013 quota 73,22% nella raccolta differenziata,unico comune umbro con una popolazionesopra i diecimila abitanti ad essere in regola conl’obiettivo di legge del 65%. Per gli amanti delleclassifiche ricordiamo che in Italia sono 1.328su 8.092 i comuni che lo hanno raggiunto. Laclassifica delle regioni è guidata dal Veneto cheha 389 comuni ricicloni su 581, al secondoposto il Friuli con 110 su 219 al terzo posto leMarche con 85 su 246. L’Umbria si attesta altredicesimo posto con 4 comuni su un totale di92. Oltre Umbertide, sono stati premiati Tor-giano, Giano dell’Umbria e Montecastello diVibio, tutti con popolazione inferiore a dieci-mila abitanti. Questa classifica prende in con-siderazione non solo la percentuale di raccoltadifferenziata ma anche la qualità della raccoltae la riduzione della produzione di rifiuti. “E’ ungrande risultato che premia le scelte fatte dall’am-ministrazione, il lavoro di Gesenu spa, società acui è affidato il servizio di raccolta e smaltimentorifiuti ma soprattutto riconosce l’impegno quoti-diano degli umbertidesi nell’attuare la raccoltadifferenziata.” Complimenti agli umbertidesi,al sindaco, alla giunta attuale, a quella prece-dente ed anche alla Gesenu spa che, dopo tantiproblemi accumulati e non ancora risolti, puògustarsi questo cioccolatino made in Fratta.Solo un antipasto del piatto forte che i grandicucinieri umbri stanno preparando con amorefraterno per salvarla e fare un passo avanti nellasistemazione della gestione dei rifiuti in Um-bria. Una storia esemplare, quella di Gesenu,che dovrebbe appassionare di più amministra-tori, politici e professionisti della difesa dell’am-biente perché apre squarci di luce su un mondooscuro, impenetrabile dove circolano soldi e po-tere e intorno al quale si arrabattano i faccen-dieri e i partiti di sempre. Eccone uno dei tanticapitoli. Nel novembre del 2010 il Comune di Umber-tide emette un bando di gara per la gestione deiservizi di igiene urbana. L’entità dell’appalto èdi 9.675.000 euro per una durata di cinqueanni. Alla gara concorrono Gesenu e Sogepu(partecipata altotiberina con sede a Città di Ca-stello) la quale, per rispondere ad una clausoladel bando forse inserita ad arte, forma un Rti(Raggruppamento temporaneo di impresa), conAgesp spa, società siciliana con sede a Castella-mare del Golfo attrezzata anche per la raccoltadi rifiuti speciali pericolosi. Chissà perché cer-carsi un socio in Sicilia. Comunque Sogepuvince l’appalto con un’offerta al ribasso pari a8.871.975 euro ma una delibera dirigenzialedell’ufficio ambiente del comune di Umbertidedel 13 gennaio 2013 la esclude dalla gara perviolazione dell’art. 23 bis c. 9 che prevede chegli affidatari diretti di un servizio pubblico lo-

cale “non possono acquisire la gestione di serviziulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi nésvolgere servizi o attività per altri enti pubblicio privati […]”. Contestualmente la stessa de-termina decreta Gesenu vincitrice dell’appalto.Sogepu ricorre al Tar dell’Umbria che il 31maggio 2013 rigetta il ricorso. Allora si raccol-gono schiere di legali e la battaglia si sposta aRoma al Consiglio di Stato. La sentenza arrivail 17 gennaio 2014 e accoglie l’appello di So-gepu: dichiara l’inefficacia del contratto stipu-lato tra Comune e Gesenu a partire dalla noti-ficazione della sentenza, la caducazione degliatti impugnati e la reviviscenza dell’aggiudica-zione provvisoria a favore di Sogepu. Il linguag-gio dei Consiglieri di Stato è ostico e cavillosoma il senso è chiaro: Sogepu ha vinto l’appaltoe deve subentrare immediatamente a Gesenuper i restanti due anni del contratto, anche seper i legali avrebbe potuto pretendere una ge-stione quinquennale. Intanto il Comune di Umbertide, con deter-mina del dirigente del settore ambiente e igieneurbana Fabrizio Bonucci, rinvia l’applicazionedella sentenza. Le vicende politiche-processualidi Berlusconi hanno insegnato che le sentenzesi rispettano quando sono favorevoli, si com-battono, ritardano o rinviano quando sono con-trarie. Così mentre Umbertide prende tempo il15 marzo 2014 si organizza un incontro infor-male ai massimi livelli tra i rappresentanti delledue spa, i comuni di Umbertide e di Città diCastello. Che l’incontro ci sia stato tutti lo di-

cono ma sui contenuti niente trapela propriocome il patto del Nazzareno tra Renzi e Berlu-sconi. Ovvio che la ostinata segretezza autorizzale interpretazioni più disparate alcune suppor-tate dai fatti e dagli eventi che seguono. Un in-contro non ufficiale senza resoconti pubblicinonostante l’assoluta pubblicità del tema e deisoldi che ci girano attorno. Il clima dell’incon-tro, senza dubbio, deve essere stato più che cor-diale, addirittura affettuoso e animato da rinno-vato spirito fraterno. Infatti il 4 aprile 2014 an-cora Fabrizio Bonucci firma un’altra determinacon cui si rinvia fino al 4 luglio il subentro diSogepu; il 9 maggio Sogepu invia una primalettera (prot. Comune Umbertide 10567) agliinterlocutori in cui improvvisamente si accorgeche l’orologio cammina e rinuncia all’appaltodi igiene urbana per il tempo rimasto. Il 24giugno scrive una seconda lettera (prot. 12584)in cui solleva il Comune di Umbertide e Ge-senu da ogni richiesta di risarcimento danni.Basta liti, siamo tutti fratelli, colleghi, umbri,abbiamo scherzato, mai più in tribunale, pa-ghiamo, anzi pagate, la schiera di avvocati e chiha avuto ha avuto, scurdammoce ‘o passato, iofaccio un regalo a te e tu ne fai uno a me. Nell’entusiasmo dello spirito fraterno Sogepuha fatto tutto questo da sola senza neanche ilsupporto del consiglio comunale di Città di Ca-stello. Quello che è avvenuto lo si è saputo solo graziealle interpellanze e ai dibattiti del consiglio um-bertidese. Tutti contenti meno i soliti maligni

che cominciano a elucubrare fantasiose ipotesi.Prossimamente la gestione dei rifiuti regionaledovrà essere riformata: o ad un unico ambitoregionale o a 4 ambiti (Perugia, Terni, Folignoe Città di Castello). La partita vera è questa e larinuncia di Sogepu all’affidamento, nonostantela sentenza favorevole e i costosi avvocati, è le-gata ad una promessa di non belligeranza per laprossima gara d’appalto da parte di Gesenu. Mala prossima gara d’appalto sarà indetta a livelloeuropeo e l’aggiudicazione è molto più ri-schiosa, perché l’importo per la gestione del-l’igiene pubblica dell’ambito territoriale sarà piùalto, quindi susciterà più appetiti da parte deicolossi delle public utility che potrebbero uti-lizzare le società locali come soci in raggruppa-menti temporanei di impresa. Poi, come giàsuccesso in passato per Umbria acque, le quotesocietarie dell’ambito territoriale saranno divisetra i comuni di appartenenza e le società di ge-stione presenti nell’ambito; in questo contestoè indubbio che Gesenu sia la società privilegiataanche se non la più sana. Ma di chi è la Gesenu? Il 40% del Comune diPerugia e il 60% di Manlio Cerroni, ‘o re de lamonnezza recentemente arrestato per i casinidella discarica di Malagrotta a Roma. I due socinon sono proprio in sintonia né sulla ricapita-lizzazione né sulle nomine dei vertici che de-vono essere fatte entro luglio. Cerroni è statoarrestato il 9 gennaio scorso. Chi saprà mai sealla Sogepu o ai comuni di Umbertide o diCittà di Castello si saranno posti qualche do-mandina almeno in proposito? Lascia perlo-meno perplessi questa corsa affannosa del Pdumbro e dei navigatissimi ed espertissimi diri-genti delle società di gestione dei servizi diigiene come Sogepu o altre a garantire una cor-sia privilegiata a Gesenu e società collegate. Con bastone e carota come tradizione vuole,prosegue imperterrita e impermeabile ad ognicritica ed evidenza la gestione politica che vedel’assessore regionale Rometti tra i grandi prota-gonisti del risiko dei rifiuti. Mentre Legam-biente premia, lui sforna piani regionali bruttie impossibili; caldeggia 18 mega pale eoliche almonte Peglia, autorizza il Css (combustibile so-lido da rifiuti) e decine di mini inceneritori chelui chiama impianti a biomasse. Una storia lunga e disseminata di bastoni e ca-rote per dirigenti e amministratori locali chehanno capito che essere compiacenti con i pa-droni del vapore porta sempre qualche vantag-gio. Per esempio, una presidenza di qualcheente, un assessorato regionale all’agricoltura aCittà di Castello per l’ex sindaco Fernanda Cec-chini o un seggio al parlamento per l’ex sindacodi Umbertide Giampiero Giulietti. I rifiuti puzzano ma producono soldi e tanti.Bastone e carota anche per i cittadini ma solonel senso usato da Altan. Il danno e la beffa. Ildanno ambientale e la beffa delle spese e delletariffe sempre in rialzo. E io pago!

11s o c i e t àlug l io 2014

Rifiuti

Le (finte) baruffe altotiberinePaolo Lupattelli

I

PrimoTencaArtigiano Orafo

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el 1909 lo scrittore statunitense EdwardMartin in The way-farer in New Yorkparagona la città ad un albero di melo

con le radici piantate nella valle del Mississippi ei frutti a Manhattan. Nel 1920 il giornalista spor-tivo John Fitzgerald del “New York Morning Te-legraph” sente pronunciare l’espressione grandemela in un colloquio tra due stallieri originari diNew Orleans. I due intendevano dire che a NewYork si stava meglio, che l’ippodromo era comeuna mela da mangiare. Fitzgerald usa la frase pertitolare la sua rubrica di ippica Around the bigapple. Negli anni del proibizionismo i jazzisti neriche animano i locali di Harlem chiamano il quar-tiere big apple per sottolineare che il loro piaceredi suonare è pagato bene. Negli anni ‘70 unacampagna promozionale della città consacra de-finitivamente l’espressione anche in campo inter-nazionale. Perugia è invece, ormai, per tutti lagrande pera. Nel gennaio 2013, pochi giorni prima delle ele-zioni, Michele Santoro invita a Servizio pubblicoun Silvio Berlusconi in caduta libera. Troppo na-vigati i due per non sfruttare al meglio l’eccezio-nale occasione. L’ex cavaliere riesce a parlare adun pubblico diverso da quello abituale di Media-set e di Porta a Porta; Santoro fa il pieno di au-dience e monetizza il successo con l’editore perrinnovare il suo sontuoso contratto. Gli esiti sononoti: un Berlusconi scatenato trionfa su un mal-leabile e imbelle Santoro riconquistando consensielettorali in libera uscita. Una pagina di storiadella politica, di storia della televisione e del co-stume italiano che deve essere tornata alla mentedi Giulia Innocenzi, l’allieva prediletta, che, incerca dei suoi quindici minuti di celebrità, rea-lizza un’operazione simile. Il 29 maggio dedicaalla droga la puntata di Anno Uno, Viva Maria?per chiedersi se sia giusto legalizzare le drogheleggere dopo la decisione della Corte costituzio-nale di bocciare la legge Fini-Giovanardi cheequipara il consumo di droghe leggere a quellepesanti. In studio molti giovani, il rapper Fedeze due spacciatori: il Cicoria, piccolo pusher finitoin galera e lo zar antidroga, il senatore del NcdCarlo Giovanardi, spacciatore di omofobia e disostanze reazionarie varie, l’ultimo dei proibizio-nisti in circolazione nel mondo civile, il firmata-

rio con Gianfranco Fini di una legge fortementecarcerogena. I collegamenti esterni della puntatasono affidati a Giulia Cerino, inviata molto mamolto speciale, già conosciuta a Perugia per le suecomparsate al Festival del giornalismo. L’esordiodella Innocenzi fa capire le intenzioni: andiamo“a Perugia che è la città del narcotraffico per eccel-lenza”, in sottofondo Giovanardi borbotta che èanche la città dove “due completamente fattihanno tagliato la gola” a Meredith Kercher. L’in-viata molto speciale Cerino, a parte l’inflessionetipica della Garbatella, si produce in un’inchiestache sarà studiata a lungo nelle scuole di giornali-smo: al parco di via Pellini “secondo la polizia den-tro i buchi sul muro i tossicodipendenti ci nascon-dono la roba”, poi “i vicoletti che sono il motivo percui i tunisini riescono a sfuggire alla polizia”. Daquesto si evince che le mura di Perugia sono im-bottite di droga; che i tunisini, oltre la Cerino,sono gli unici che riescono a districarsi nel labi-rinto dei vicoli medievali mentre i poliziotti ten-dono a perdersi preferendo operare nei quartierimoderni tipo San Basilio o Scampia. Un capola-voro, altro invito assicurato al Festival del Gior-nalismo in attesa del premio Pulitzer. ComeSantoro ha resuscitato Berlusconi la Innocenzinon solo resuscita Giovanardi ma santifica defi-nitivamente Perugia come capitale della droga.La grande pera, appunto. Per la verità a rilanciare l’ultimo dei proibizionistici aveva già pensato il rottamatore Renzi sceglien-dolo come relatore della nuova legge antidrogasostanzialmente simile alla precedente, quindicarcerogena anche questa. E sempre per la verità,prima della Innocenzi anche altri si erano esibitinella costruzione lenta ma inesorabile di questanuova immagine di Perugia: da capitale dei bacidi cioccolata a capitale della droga. Sempre La 7con la trasmissione Gli intoccabili, l’ottimo Atti-lio Bolzoni di “La Repubblica” con la sua inchie-sta Perugia: Scampia umbra. Infine l’incoro-nazione di Giulia Innocenzi l’anchorwoman delfuturo. Figlia di un imprenditore umbro del settore al-berghiero e di una inglese, faccia d’angelo da edu-canda, acqua cheta saputella e disinvolta cresciutaalla scuola di Santoro, è contro l’Ordine dei gior-nalisti però cerca, senza successo, di diventare

professionista per motivi di contratto cioè disoldi. L’esame lo ritenterà ma il successo lo ha giàottenuto alzando la voce e drogando la notizia,realizzando una trasmissione dove la recitazioneoscura l’informazione. E’ proprio vero, come di-cono a Firenze, che l’acque chete rovinano i ponti.Lo stile Innocenzi fa proseliti: è vero quello cheracconta la televisione non quello che è realtà.Sky a fine giugno ripropone la tesi con contornodi esperti antidroga che ne dicono tante menoquelle giuste. Attaccare la città dove è stata assas-sinata Meredith fa tanto international black gla-mour. Anche il settimanale “Panorama” offre ilsuo contributo a Perugia capitale con l’articoloGotham City di Riccardo Paradisi. Una summaantologica dei luoghi comuni del giornalismod’accatto, dati sballati o falsi e l’antica stantia ri-cetta di sesso, soldi, sangue e droga per venderequalche copia in più. Ecco a voi Gotham Citysenza Batman. Il circo mediatico è scatenato tuttiintervengono su tutto, nessuno ha una reazioneforte a questo linciaggio. Poi finalmente uno chenon ci sta e lo dice ad alta voce, il prefetto di Pe-rugia Antonio Reppucci: “[…] fino ad ora solo al-larmi immotivati contro i quali l’unico rimedio èla verità”. Giustissimo ma poi la luce dei riflettorigli va alla testa e si fa prendere la mano: ”Se unamamma non s’accorge che suo figlio si droga per meè una mamma fallita. Si deve solo suicidare”. I toniproibizionisti oscurano Giovanardi: “Per uno spi-nello mio padre mi avrebbe tagliato la testa. Speroche qualche umbro tagli la testa al figlio […] drogaleggera, droga pesante […] magari nel giovane sicrea il convincimento che la droga leggera è ‘nastrunzata. Sempre droga è”. Va fuori dal seminato,si dimentica del suo ruolo istituzionale. Nessunolo ha informato della sentenza della Consultaperò qualcuno informa Angelino Alfano che sisveglia un momento e si ricorda di essere il mi-nistro degli Interni: licenziato in tronco. Ora, per evitare fastidiose polemiche con i troppitalebani del fronte proibizionista e di quello anti,proviamo a smontare la leggenda della capitalecome già fatto tante volte in passato utilizzandoi dati della Direzione regionale sanità e dei Sertdell’Umbria, migliorabili ma, senza dubbio, tra ipiù efficienti d’Italia. A Perugia la droga circolané più né meno che nel resto d’Italia ma i dati

diffusi sulle morti per overdose sono falsati dalleevidenti difformità dei metodi nella diagnosi didecesso. Secondo i dati del Ministero dell’Internonel 2010 ci sono state 64 morti per overdose aRoma; 29 a Napoli; 24 a Perugia; 13 a Milano;7 a Bologna e soltanto una a Bari. Meglio di Barile città di Messina e Reggio Calabria che non re-gistrano neanche un morto. Anche ad una letturasuperficiale di un bambino questi dati fanno sor-gere dei dubbi. Come è possibile che, per esem-pio, la provincia di Bari con 1.300.000 abitantidenunci solo un morto? Semplice. Perché a menoche i rapporti di polizia non riportino evidentiprove dell’assunzione di stupefacenti, le mortinon vengono attribuite ad overdose. Al contrariol’Umbria è l’unica regione d’Italia che disponel’autopsia in tutte le morti sospette e quindi è ingrado di stabilire la causa della morte e le sostanzeingerite. Come a dire che gli abitanti di un co-mune vanno troppo veloci perché i vigili sonodotati di autovelox mentre quelli dei comuni li-mitrofi non infrangono alcun limite perché prividei rilevatori di velocità. Basterebbe usare questi dati per smontare la bu-fala di Perugia capitale della droga. Dati miglio-rabili ma non i peggiori d’Italia. Sorge spontaneauna domanda. Perché lo fanno? Abbiamo giàdetto per vendere copie, inseguire il successo, fareascoltatori, inseguire lo scoop della vita; per mo-tivi politici: Perugia fino a ieri era governata dallasinistra. Lo spauracchio della droga e della sicu-rezza messa in pericolo agitato dalla destra e daisuoi trombettieri ha sicuramente contribuito allasconfitta di Boccali. Vedremo se le provocazionicontinueranno con Romizi. Infine una città giàcapitale del cioccolato, del jazz e della droga nonpuò allargarsi più di tanto e pretendere di diven-tare anche capitale della cultura. Coraggio, inUmbria abbiamo degli ottimi operatori sanitari,verremo fuori da questa ridicola storia della ca-pitale della droga. Già ci sono state risposte in-telligenti di cui ci occuperemo. Siamo invecepreoccupati per tutti questi esperti che non sannoleggere ma non esitano a schizzare merda o pre-diche per favorire i propri interessi o quelli delpadrone di turno. Siamo preoccupati per loro. Lamedicina pei cojoni non l’hanno ancora inven-tata.

12s o c i e t àlug l io 2014

Perugia, la droga, gli scoop

La grande peraPaolo Lupattelli

N

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dunque sans état d’ame che misento di proporre alla Commis-sione Cultura parere favorevole su

questa legge”. Con queste parole nel marzoscorso il senatore Pd Corradino Mineo, dopoaver ricordato brevemente la vita artistica di Al-berto Burri, ha invitato i colleghi senatori adesprimere parere favorevole alla legge istitutiva delComitato per le celebrazioni del centenario dellanascita del grande artista tifernate avvenuta il 15marzo 1915 a Città di Castello. Il Comitato saràpresieduto dal Premier Renzi, ne faranno parteun delegato del ministro dei Beni Culturali,Bruno Corà Presidente della Fondazione Burri,tre rappresentanti della cultura nazionale sceltidal governo, un delegato della Regione Umbria,uno della Provincia di Perugia, uno del Comunedi Città di Castello e uno della Fondazione Burri.Insomma un comitato nazionale per festeggiareun artista di fama internazionale gestito fino adoggi con ristretta mentalità provinciale (singolare,tuttavia, che mentre si attendono ancora le no-mine il 19 luglio sia già stato presentato il pro-gramma dei festeggiamenti). Tutto sembrava procedere nel migliore dei modifino a quando non sono venuti al pettine tutti inodi che amministratori e politici locali, regionalie nazionali non hanno mai provato a sciogliere.Appare ancora attuale l’appello lanciato da “mi-cropolis” nel 2002 a tutte le istituzioni compe-tenti per salvaguardare l’opera di Burri e ri-muovere gli ostacoli che le impediscono di svol-gere una proficua testimonianza culturale nelmondo. L’appello fu firmato da Umberto Eco,Mina Gregori, Paolo Rossi, Gianni Vattimo,Clara Sereni, Salvatore Sciarrino e centinaia diintellettuali e artisti. Non è mai troppo tardi. UnaFondazione culturale non è una tenuta agricolagestita da scaltri amministratori o fattori che dirsi voglia, deve esser privilegiato sempre l’aspettoculturale, la promozione dell’artista. Cresce inmolti il dubbio che nel caso dell’eredità Burri nonsia andata esattamente così. La Regione dell’Umbria che per legge ha il poteredi controllo sulla Fondazione persegue la lineadel passato, non si pronuncia. Ma chi tace accon-sente. Piatto ricco mi ci ficco sembra essere la pa-rola d’ordine dei soliti notabili cittadini che da

diciannove anni, ancora nella stagione del granderottamatore, gestiscono gelosamente l’immensopatrimonio che Burri ha lasciato ai suoi concit-tadini. Anche la maggioranza (Pd-Psi-Prc) sem-bra convinta della bontà dell’operato dellaFondazione e vota, con qualche indeciso, i suoirappresentanti nel consiglio puntando sull’usatosicuro cioè i soliti noti alcuni dei quali siedono alvertice della Fondazione da sempre. Una nominablindata della terna da parte della maggioranzache esclude il candidato rivendicato dalle mino-ranze di destra, di centro e di sinistra. Questefanno fronte comune, danno battaglia in consi-glio e presentano un ricorso al Tar. Il ConsiglioComunale vota anche un documento in cui sichiede maggior trasparenza sulle attività dellaFondazione, l’elenco delle opere del Maestro, icontratti stipulati, le collaborazioni e gli incarichiaffidati. Nel documento si richiede l’incompati-bilità di qualsiasi collaborazione per i membri delconsiglio di amministrazione, del collegio dei re-visori, del segretario generale e i loro parenti o af-fini fino al secondo grado. In pratica un’indi-cazione a sanare i conflitti di interesse esistenti ead evitare quelli futuri. Dalla Regione dell’Um-bria non arriva alcun cenno nonostante le inter-pellanze dei consiglieri regionali Lignani eDottorini. Poi a guastare la festa ci si mette ancheil critico Maurizio Calvesi per più di dodici annipresidente della Fondazione. Nell’aprile scorso ri-lascia un’intervista al mensile di Città di Castello“L’Altrapagina”. E’ vero che l’intervista arrivadopo la sua esclusione dal consiglio di ammini-strazione della Fondazione; è vero che un perso-naggio della sua esperienza ha impiegato bendodici anni a capire il funzionamento e la ge-stione dell’istituzione, comunque lo storico del-l’arte ci va giù duro. In Fondazione “c’è caos eanarchia [...]; si formano dei gruppetti autoritari[…]; è accaduto più di una volta che questogruppo dominante prendesse decisioni senzaconsultarmi […]; al segretario Daniela Moni, perlimitarne al massimo i poteri, hanno tolto lafirma in banca, che è un atto gravissimo […]; èun gruppo prepotente che vuol fare tutto” Que-ste alcune delle affermazioni di Calvesi che, dopoaver espresso giudizi positivi su molti suoi ex col-laboratori finisce individuando uno dei protago-

nisti dei gruppi dominanti: “Non è visto di buonocchio anche dalla cittadinanza che Tiziano Sar-teanesi che fa parte di questo gruppo egemone fi-nisca per seguire anche molti lavori”. Insommaci sarebbe molto da verificare e raddrizzare fosserovere le accuse di Calvesi. Però tutti tranquilli, c’èla Regione Umbria usa controllar tacendo. Parlainvece il critico Vittorio Sgarbi: “la Fondazionenon funziona […] basta critiche, polemiche,mogli, figli, parenti, amici. Così si sta perdendol’obiettivo nato dalla grande mente di Burri.Queste sono beghe di quartiere che impedisconoquello slancio vitale di valorizzazione”. Beghe di quartiere? Bilancio della Fondazione ne-gato ai consiglieri, il Sindaco Bacchetta e la giuntache hanno scelto palesemente, insieme al Pd, distare al fianco della Fondazione. Una nota posi-tiva è invece data da questa insolita opposizioneconsiliare che riunisce provenienze politiche di-verse ma unite dalla volontà di fare un po’ di luce.Primo segnale concreto di attenzione dei rappre-sentanti della città verso l’eredità Burri dopo lamorte del Maestro. Certo il bilancio, testarda-mente negato, susciterebbe più di qualche per-plessità in alcuni e imbarazzo in altri. Leggere diopere alienabili stimate in circa 170 milioni dieuro, di terreni e fabbricati per altri 5 milioni edi immobilizzazioni finanziarie per circa 8 mi-lioni fa capire la ricchezza del piatto anche in ter-mini di gestione del patrimonio. Insomma c’ètrippa per gatti. Leggere di passività per spese le-gali negli ultimi dieci anni per circa 14 milionidi euro, del familismo e del conflitto di interessifa accapponare la pelle. Le spese per il catalogogenerale delle opere superano il milione di euromentre quelle per la manutenzione dei musei am-montano a un milione e centomila euro. Tuttespese fatte senza chiedere preventivi o fare gared’appalto ma nel silenzio assenso della Regionedell’Umbria che dall’alto guarda e controlla. Se èvero che non c’è rosa senza spine questa dellaFondazione sembra alquanto spinosa. Il senatoreMineo si è fidato della grandezza di Burri e delleinformazioni che gli hanno fornito i miopi par-lamentari umbri del Pd, ma la saga della Fonda-zione Burri ha tutta l’aria di voler continuare alungo e almeno per molti cittadini avec beaucoupétat d’ame, inquiet, choqué et enragé.

Nel 2015 il centenario della nascita di Burri

Stati d’animocontroversi

Franco Buoncompagni

13c u l t u r alug l io 2014

Estateall’apertoAlberto Barelli

er i sostenitori umbri dell’open sourcel’estate è all’insegna del Linux Summer.È questo il titolo scelto per la serie di

incontri di approfondimento sul software li-bero, naturalmente rigorosamente gratuiti edaperti a tutti, promossi dall’Associazione GNU/Linux di Perugia in collaborazione con LibreI-talia. Ad ospitare l’iniziativa, che si svolge neimesi di luglio e agosto, è la nuova sede di Ma-gione. Comprensibile la soddisfazione dei promotori,considerato che l’occasione è coincisa conl’inaugurazione di uno spazio operativo checontribuirà a permettere un’attività ancora piùefficace. Insomma, il movimento umbro dei so-stenitori del software non proprietario non vain vacanza e questo anno ha voluto offrireun’opportunità per conoscere meglio le poten-zialità e i vantaggi offerti da strumenti semprepiù validi, che non mancherà di dare i suoifrutti. La scelta di affrontare più dettagliatamente al-cuni aspetti del mondo open source, come sot-tolineano gli organizzatori, è nata per rispon-dere ad un’esigenza emersa più volte nel corsodelle iniziative svolte durante l’anno. Insomma,

è un segno di un nuovo salto di qualità e del ra-dicamento di un’esperienza che ha messo solideradici. Non a caso le iscrizioni al primo incon-tro, incentrato sugli strumenti per il recuperodei dati andati perduti, hanno registrato il tuttoesaurito. I temi al centro delle successive ses-sioni sono l’installazione completa di UbuntuLinux, l’utilizzo del foglio di calcolo Calc Postaelettronica, la difesa dell’email da virus e mi-nacce; mentre nella prima settimana di agostol’incontro sarà dedicato alla conoscenza dei mi-gliori programmi FLOSS per l’uso quotidianoe la produttività. Il programma dettagliato e lamodalità di iscrizione sono consultabili sul sitodell’associazione perugina, attraverso il quale èpossibile aderire alla sottoscrizione per il finan-ziamento dell’attività. L’iscrizione ai corsi, perchi non lo avesse fatto, è anche l’occasione perdiventare socio e essere aggiornati sull’attività ele iniziative svolte in tutto il territorio. Questa estate ha voluto riservarci anche unabuona notizia sul fronte del potenziamentodella banda larga: la Regione Umbria ha an-nunciato la realizzazione entro i prossimi mesidella “rete MAN di Perugia in fibra ottica”, che,come ha sottolineato l’assessore regionale alleinfrastrutture telematiche e digitali StefanoVinti, permetterà a cittadini ed imprese del ca-poluogo perugino di poter usufruire di un ser-vizio di alta qualità. Speriamo che questo sia ilregalo che i cittadini troveranno al ritorno dellevacanze.

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È“

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14c u l t u r alug l io 2014

- n una delle (poche) poesie pro-grammatiche di Walter Cremon-te, (Contro la dispersione, poi dive-

nuta titolo di una preziosa “autoantolo-gia”) uno dei suoi (non pochi) versimemorabili così recita: “Intensità va consemplicità”. Funzionerebbe egregiamen-te come epigrafe di tutta la sua operapoetica, da cui è bandita l’enfasi, sebbeneessa sia tutt’altro che facile e monocordee tocchi temi ostici, esistenziali e civili,non di rado ponendo interrogativi radi-cali, e nonostante il fatto che Cremontesi confronti - a modo suo, quasi scusan-dosi - con la complessità del linguaggioe con la forza esemplare dei classici. Lasemplicità che va cercando, del resto, è“difficile a farsi” come il comunismo diBrecht, che egli colloca tra i massimimaestri, facendo propria la contraddi-zione di una poesia che vorrebbe e do-vrebbe essere “gentile” ed è costretta,invece, a scontrarsi con la durezza deitempi e dei rapporti sociali: “Che tempisono questi quando discorrere di alberiè quasi un delitto”. L’ultima fatica di Cremonte, una piccolaraccolta intitolata Vicini fresca di stampaper LietoColle, canta soprattutto di al-beri e animali. Sono questi i vicini, ilprossimo di cui si discorre, da sempreparte fondamentale del suo mondo, nontrastulli, pretesti e, meno che mai, sim-boli o proiezioni dell’io, ma portatori diuna autonoma dignità, di una distintaserietà. Se una qualche umanizzazionedel vegetale o dell’animale non umanosi può leggere nelle liriche di questa rac-colta (“Son nostri fratelli gli ulivi” -“Dove vanno i giovani castagni / con labaldanza della loro / giovinezza”) ad essacorrisponde, complementare, una natu-ralizzazione dell’umano che si esprimenell’amorevole simbiosi (la cura del-l’orto, per esempio), nella tensione co-smica (un morire che vorrebbe essere“lieve” come il silenzio dell’erba che cre-sce) o nella compassione. In tutta l’operadi Cremonte, ad esempio, è presenzaamica un cane, compagno di inquietu-dini e gioie elementari, di conversazionisu cui aleggiano domande senza risposta;

ma qui, nella poesia intitolata appuntoUn cane, la compagnevolezza tocca ver-tici di intensità difficilmente eguagliabili(“Se piangevi / ti appoggiava il muso suiginocchi / e ti guardava. / Voleva fartismettere / e non sapeva come // Cosapossiamo dire più di questo / per salvaredall’ultimo abbandono / quel dono”). Quanto agli esseri umani il massimo del-l’attenzione è riservato a sofferenti emorti. Questi ultimi il poeta vorrebbe,in comunione con i viventi, come nellapoesia religiosa di Aldo Capitini, ma in-vano. Per Cremonte il morire è leopar-dianamente un “venir meno ad ogniamante usata compagnia” e non trovaragioni che lo rendano accettabile, comenon ne trovano il nulla donde veniamoe dove ricadiamo, l’abbandono cui sia-mo condannati (“noi portiamo fiori /loro non li vedranno / era questo l’in-ganno”). La consolazione della memoriae della poesia può alleggerire lo scacco,ma non ne scalfisce l’inevitabilità. Con una tematica siffatta, tra idillio edelegia, tra comunione ed esclusione, i ri-schi del sentimentale sono in agguato;ma in questo caso il canto (ché di cantocomunque si tratta) non risulta mai eva-siva melodia, soprattutto grazie alle“transizioni” e “inversioni”, caratteristi-che di Cremonte e pressoché indefini-bili, le particelle, le pause, le citazioniimpreviste, i luoghi comuni che segnanoun mutamento nel ritmo o nel tono. Inquesta raccolta si fanno ancora più lievidel solito, quasi impalpabili, tuttavia ef-ficacissime a fugare le insidie del pati-nato, dello sdolcinato e del grazioso,senza rinunciare del tutto al patetico.Vi-cini si pone, per molte ragioni, in conti-nuità con il Piccolo epistolario in versi cheper la stessa casa editrice aveva l’annoscorso licenziato insieme a Paolo Otta-viani e dove i due poeti discorrevano leragioni ultime dell’esistenza tra faggi,merli e nevai. Qui non c’è - volutamentecredo - l’intrusione della storia, storia diorrori e brutali violenze, ancora più in-sopportabili perché fraterne, tranne forsenella poesia Le cose, ove la reticenza allu-siva rimanda ai processi di generale “rei-

ficazione” del tardo capitalismo. Presentein libreria, ma come curatore e prefatore,è l’altro poeta dell’epistolario, Ottaviani,che in questi ruoli ha cooperato ad unameritoria iniziativa dello stesso editoreLietoColle, la pubblicazione in Italiadelle poesie scelte (1980-2011) di MariVallisoo, una delle maggiori poetesseestoni viventi, sotto il titolo di una dellesue raccolte Parlano e volano. A Perugiavive da molti anni la traduttrice delle li-riche, Mailis Põld, che - ormai internaad entrambe le tradizioni letterarie (hacurato edizioni in estone di Sciascia, Cal-vino ed Eco) - continua a dare un con-tributo importante alla reciproca cono-scenza e al confronto tra estoni e italiani.Non so giudicare della fedeltà della tra-duzione, che a vista sembra rispettare lametrica dell’originale e probabilmenteaspira ad evocarne la ritmica. Opera-zione che immagino difficile giacchél’estone e i suoi dialetti (Vallisoo utilizzaanche il dialetto) appartengono al ceppolinguistico ugro-finnico (lo stesso del-l’ungherese o del finlandese) che ha so-norità e cadenze assai diverse dalle lingueromanze. In ogni caso mi pare che laPõld ci consegni un dettato chiaro e per-suasivo, un italiano di grande eleganza.La prefazione di Ottaviani coglie ottima-mente alcune bellezze di questa poesia.In essa sembrano convivere in una ten-sione feconda la quotidianità dell’esi-stenza e la profondità senza tempo di unmondo emozionale, tensione che per-mette alla parola poetica di volare. Lostato d’animo che accompagna l’espe-rienza forte e coinvolgente di questopoetare spesso senza soggetto, spaesatoe spiazzante, è una suspense prolungatache accentua il senso di mistero. Vi sitrova di tutto, paesaggi e piante, stanzechiuse e donne che attendono, strade ecieli, città e campagna, tradizione escienze esatte, il canto che trascina e il si-lenzio improvviso. Io ho amato soprat-tutto il procedere dilemmatico di alcunepoesie e la chiusa epigrammatica di altre,con l’aliquid luminis finale. E’ anchequesta lettura un ottimo antidoto controla dispersione.

La poesia contro la dispersione

Amici vicini e lontaniSalvatore Lo Leggio

I

l 5 luglio ai Campacci, pres-so la Cascata delle Marmore,è stato inaugurato il per-

corso di archeologia industrialeUomo, acqua, energia.Il percorso è stato realizzato con imateriali dismessi delle centraliidroelettriche del sistema Nera-Velino (principalmente parti digruppi di generazione elettrica)donati da E.ON e grazie a un fi-nanziamento del Gruppo di azio-ne locale (Gal) del Ternano. Una iniziativa meritevole di atten-zione se non altro perché l’alter-nativa sarebbe stata la distruzionedi tutti i materiali che E.ON hadismesso e donato, ormai alcunianni fa, al Comune di Terni; al-cuni oggetti, infatti, sono andatinel tempo perduti. Ma anche l’en-nesima operazione cara ai ternaniche amano collocare manufatti diacciaio in giro per la città per no-bilitare la propria storia, per soste-nere che Terni non è brutta ma èdiversamente bella, dimostrandoin realtà, tutta la subalternità cul-turale della città industriale, incrisi materiale e d’identità, al-l’ideologia dell’Umbria verde esanta. Escluse le vere opere d’arte comel’obelisco di Pomodoro o il monu-mento di Miniucchi con il graffito“Benvenuti in California” o latanto discussa “Canna da pesca”di Maraniello, il resto dell’acciaiopiazzato in giro per Terni e monu-mentalizzato è costituito da vec-chie macchine o da pezzi di esse:la pressa idraulica di fronte allastazione, i manufatti delle officineBosco collocati al Parco La Passeg-giata, l’albero motore e la cassaturbina posti davanti alle “Scuoleindustriali”; questi, a dire il vero,sono collocati accanto a un mo-numento realizzato con parti diturbine. Ai più giovani, o ai tantiimmigrati presenti in città, questemacchine fuori contesto non di-cono nulla, anche perché nonbasta passarci vicino per compren-derne l’antica funzione e l’attualesenso.Tutto ciò che è stato fatto nel sitodella Cascata delle Marmore o incittà, anche considerando il recu-pero dell’Ex Siri e il Caos, è statoimportante ma è onestamentepoco tenendo conto che per ventianni si è parlato di Terni come ca-pitale dell’archeologia industriale.Qual è il disegno che sta dietro le

diverse iniziative?Le fabbriche dismesse vanno vistenel loro insieme come patrimonioculturale da valorizzare nell’am-bito di una idea complessiva dellacittà futura. Senza una visione chiara dei beniculturali del Novecento un capan-none è un ecomostro, una mac-china è un rottame e un ex sitoindustriale, una bomba ecologica:tanto vale distruggerli e rigenerareil territorio. In questa dimensioneriempire Terni di materiali d’ac-ciaio non ha molto senso e rischiadi essere un segno di chiusura,una battaglia di retroguardia diciò che resta del “socialismo ap-penninico”, una cosa da film diKen Loach o da repubblica post-sovietica.Il parco inaugurato a Marmore oè letto nell’ambito dell’intero si-stema di sfruttamento idroelet-trico Nera-Velino e dello sviluppoindustriale della bassa Umbria,della Sabina e dell’Alto Laziocompreso il porto di Civitavec-chia, uno degli apparati tecnolo-gico-industriali più importantid’Italia, o serve a ben poco.O si connettono i monumentiesposti nel percorso, come le altreemergenze culturali presenti nelsito della cascata, con il patrimo-nio di studi degli ultimi ventianni o si rischia di non renderepienamente comprensibile l’ope-razione culturale messa in campo.Occorre, poi, rendere intelligibilela complessità e l’originalità dellastoria dell’uso dell’acqua nel terri-torio, spiegando perché dovrebbeessere giusto spendere soldi pub-blici per valorizzarla. Per tutelare e valorizzare il patri-monio archeologico/industrialebisogna, quindi, fare ricerca, pro-gettazione, divulgazione, intercet-tare gli studenti e i giovani, dareluogo ad attività di promozione evalorizzazione.A Terni queste cose le faceva l’Ic-sim, che ora purtroppo è in liqui-dazione.E’ necessario, però, riprenderequesto lavoro che dà significatoalle operazioni con il parco tema-tico di Marmore. Solo in questomodo i rottami e i capannoni ac-quistano senso e diventano un pa-trimonio culturale che può in-nescare meccanismi di sviluppolocale e per il quale vale la penainvestire risorse e tempo.

Archeologiaindustriale

Pezzi daricomporre

Marco Venanzi

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n volume essenzialmentefotografico, con immaginicorredate da ampie dida-

scalie, accompagnato da cronolo-gie che sintetizzano gli eventi piùimportanti per ogni anno a livellodei diversi centri della regione epreceduto da una introduzione diMarco Boato e da una serie di in-terventi di testimoni privilegiati.Questo è Quando la politica erapassione. Umbria 1970-1979. Me-moria fotografica di un decennio, acura di Aldo Peverini, ricerca ico-nografica di Francesco Tozzuolo(Tozzuolo Editore, Perugia 2014,euro 50). Sbaglierebbe chi pensasse ad unaoperazione critica e filologica.Le raccolte da cui sono tratte leimmagini sono sommariamentecitate, come le fonti delle cronolo-gie; gli interventi sono giocati sulfilo della memoria, gli eventi da ri-cordare sono stati scelti sulla basedella valutazione del curatore. Ilpunto forte del volume è costi-tuito dalle foto, che viste tutte as-sieme offrono l’immagine diun’Umbria in movimento, attra-versata da conflitti e mutamentiper molti aspetti epocali. Imma-gini in cui convivono il protagoni-smo degli studenti e degli operai,le trasformazioni istituzionali (lanascita della Regione) e quanto ri-mane delle lotte contadine. Em-blematica è, a tale proposito, lafoto di un mezzadro che impugnaun cartello che invoca la “riformaagraria”. I registri su cui, peraltro, si muo-vono l’introduzione di MarcoBoato e gli interventi che seguonosono sostanzialmente diversi.La lettura del decennio che vienedata dall’ex dirigente di LottaContinua, poi radicale e infineverde, è quella che già un quartodi secolo fa aveva proposto Pep-pino Ortoleva: il sessantotto e poigli anni settanta come percorso di

modernizzazione e di allargamentodei processi democratici del paese,in cui battaglie per i diritti socialie civili furono ampiamente vinte,dove si assiste ad un sostanziale al-largamento del welfare. Insommauna sorta di rivoluzione “democra-tica” imposta dal basso.Una lettura per molti aspetti con-divisibile a cui, tuttavia, non sa-rebbe male accompagnare unariflessione sulla regressione dei de-cenni successivi, che si concludecon la crisi della prima repubblicae con la fine del Pci. Esiti non so-lamente ascrivibili ai mutamentidel contesto internazionale, maanche e per molti aspetti a causeendogene, politiche ma soprat-tutto sociali, che affondano le ra-dici proprio nel decennio preso inconsiderazione. Diversi, invece, gli interventi cheseguono. Si tratta di sensazioni eracconti di militanti dell’epoca cheripercorrono, a volte con ammire-vole - ma, data l’età e la distanzatemporale dei fatti, inutile - pas-sione le vicende dei movimenti acui appartenevano, le controversiepolitiche interne ai diversi gruppidella sinistra. Segno che resta laconvinzione ribadita da uno degliautori secondo cui “La nostra èstata la prima generazione […]che ha fatto dell’impegno politicouna ‘missione’, che ha messo alcentro la speranza di un futuro mi-gliore per tutti…”. Non è statoproprio così. Per quanto larga lamobilitazione non investì tuttauna generazione, ma solo unaparte di essa, e non fu la primavolta che ciò accadde, basterebbefare mente locale alla Resistenza eal dopoguerra per convincersene. Insomma si tratta di un libro cheentra all’interno della categoriadella “rammemorazione”, comescriveva nel 2007 Mario Isnenghinel suo Garibaldi fu ferito, i cui siconiugano memoria ed affabula-

zione. Isnenghi distingue tra la“rammemorazione” degli uominidi lettere che produce, nel caso deicospiratori democratici risorgi-mentali, mezzo secolo di “pensieroe azione”, da una seconda “ram-memorazione”, quella che comin-cia più tardi, in un’altra stagione eche si concretizza nel “racconto disé del c’ero, c’eravamo, decisiva [...]per darsi il senso delle cose avve-nute”.Ed è proprio questa la cifra del vo-lume e dell’operazione culturalesottesa ad esso. Poco importa che le testimonianzesiano più o meno attendibili, chesi ricordi spesso quello che si vuolericordare - come sempre avviene lamemoria ha itinerari selettivi;ugualmente non è rilevante chemolti di quelli che intervengonosiano ormai da anni ai marginidell’impegno politico - sia esso diagitazione e propaganda o di ri-flessione - o che abbiano percorsostrade contraddittorie con la lorovicenda di quegli anni. Quello checonta è il noi c’eravamo, un atte-stato che consente di sfuggire al-l’insignificanza nel tempo presen-te. Forse un’altra generazione faràdella politica nuovamente unamissione; se questo avverrà, comeè auspicabile, in tempi brevi saràbene abituarsi all’idea che repli-cherà - come per legge del con-trappasso - lo slogan ingenerosoutilizzato dagli studenti per i pro-fessori che rivendicavano la loromilizia antifascista e la partecipa-zione alla Resistenza: ha fatto il ses-santotto, ha fatto il sessantotto e poi… nient’altro.Sarà la vendetta nei confronti diantenati non riconosciuti cometali, d’una memoria coltivata asprazzi, che non è divenuta patri-monio collettivo e riflessione cri-tica e che nel lungo periodo èdestinata ad essere insignificanteretorica.

15c u l t u r alug l io 2014

Anni settanta

Prove di narrazioneRe.Co.

ei giorni 4, 5 e 6 luglio, nelloscenario magnifico del Chio-stro di Sant’Anna di Perugia,

è stato rappresentato “DeSidera – gio-co scenico di varia umanità” del Labo-ratorio teatrale interculturale HumanBeings diretto da Danilo Cremonte,con 40 giovani attori provenienti daogni parte del mondo - tutti bravissimi- e alla presenza di un pubblico sem-pre numeroso e calorosamente parte-cipe.La scena cruciale, quella in cui l’inten-zione allegorica si fa più evidente(quasi in senso pedagogico), è quandoalcuni personaggi si muovono disordi-natamente di qua e di là cercando diafferrare qualche cosa, che è lì a portatadi mano eppure irraggiungibile, e piùti sembra di avvicinarti più si allon-tana, ognuno chiuso nel suo disperatodesiderio sotto un cielo desolatamentevuoto, così da avvalorare la definizioneetimologica di Devoto: “desiderare:sentir la mancanza, calco su conside-rare, con la sostituzione di de- sottrat-tivo a con-, quasi non si avesse lapossibilità di disporre degli astri”. Ep-pure anche gli astri, le stelle (sidera) ele stelle cadenti, sono lì, a portata dimano, e i loro frammenti che cadonoin terra si possono afferrare e perfinomangiare (hanno un sapore di man-dorla amara): basta alzare e aprire lebraccia e guardare in cielo (da quantonon lo facciamo più?). Ma questa parentesi lirica, questo at-timo di sospensione, deve essere solouna fugace illusione, come tutti i ten-tativi falliti di raggiungere qualcosa conle tante scale presenti sulla scena. In re-altà lo spettacolo, che pure attraversamomenti di irresistibile comicità (gio-cata anche questa, però, sul registroprevalente dello scacco, della frustra-zione), tende decisamente verso unepilogo tragico, che è poi la tragediache abbiamo, tutti i giorni, sotto gliocchi.Quella di chi desidera (ma non è un ca-priccio, è una necessità vitale) tentareun’altra vita, e si mette in mare, siaquel che sia, e incontra solo dispera-zione e morte. Desiderio non appa-gato, ma sempre e comunque dura-mente pagato. E qui la trama dramma-turgica trova il suo momento culmi-nante, la probabile fonte originariad’ispirazione di tutto il poetico mon-taggio dei tanti efficacissimi segmentidi improvvisazioni che “formano” lospettacolo e che sembrano tutti ten-denti alla costruzione di questa straor-dinaria immagine, dalla bellezza lan-cinante, quasi insostenibile: quando

sullo spazio ristretto del cerchio di unpozzo, che funge da barcone per nau-fraghi, si affolla un gran numero (unnumero certo spropositato, come ènella realtà) di personaggi dallo sguar-do perso nel vuoto, abbarbicati l’unoall’altro, e, sul rumore monotono e in-quietante del vecchio diesel di un mo-tore malsicuro e dello sciabordio delleonde, si alza finalmente la voce di unoche legge la splendida poesia, tra l’altroinedita, del nigeriano premio NobelWole Soyinka, Migrations (il cui testo,anche nella preziosa traduzione in ita-liano di Alessandra Di Maio, vieneconsegnato agli spettatori insieme albiglietto, e solo questo già meriterebbedi andare a vedere lo spettacolo): “Cisarà il sole? O la pioggia? O nevischio/ madido come il sorriso posticcio deldoganiere?”, e poi: “Siamo approdatialla baia dei sogni”, quando invecel’approdo sarà un nuovo incubo… Daquello stesso pozzo, proprio all’iniziodello spettacolo, erano sbucati fuori, asorpresa, due personaggi che sembra-vano riprendere confidenza con la vita,con gesti quotidiani che però conser-vano qualcosa di incerto, di sganghe-rato quasi, come un retaggio del lungobuio. Ma quello che è impressionantein questa scena è il gioco spettacolaredi ombre sulla parete di fondo, chesembra riprodurre in una dimensioneparallela (ma effimera, labile) un’altrapossibile esistenza. E’ un segnale chefin dall’inizio conferma la grande ca-pacità di dominio - sempre funzionaleal significato - dello spazio (e delle luci,delle musiche) del lavoro scenico diDanilo Cremonte, che con questo De-Sidera ha realizzato lo spettacolo forsepiù bello della ventennale “carriera”del Laboratorio teatrale Human Beings.Il quale, in questa occasione, ha cono-sciuto l’innesto felice della parallelaesperienza del laboratorio Teatro Rifu-gio, dedicata a giovani rifugiati e richie-denti asilo presenti nella nostra città,di cui ha già dato testimonianza il bel-lissimo film di Gabriele Anastasio eDanilo Cremonte, presentato al pub-blico perugino una prima volta loscorso 20 giugno, a cura dell’Anci, perla giornata internazionale del rifugiato.Lo spettacolo, si diceva, si concludetragicamente, e una catasta di corpisullo sfondo ci richiama severamentead una realtà insopportabile. Ma ilcanto danzato di un giovane africano,che sembra e forse è un canto funebrein onore di quei morti, ha e trasmetteuna tale energia vitale che non pos-siamo non lasciare questi ragazzi conuna rinnovata speranza nel cuore.

L’ultimo lavorodi Human Beings

Desideriirrealizzabili

L.C.

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L’Impero e l’organizzazione del con-senso. La dominazione napoleonicanegli Stati Romani 1809-1814, acura di Marina Caffiero, VeronicaGranata e Mario Tosti, Rubbettino,Soveria Mannelli 2013.

Il volume raccoglie gli atti di unconvegno organizzato dalle Univer-sità di Roma “La Sapienza” e di Pe-rugia nel 2005 nell’ambito di unProgetto di ricerca d’interesse nazio-nale sul tema “Istituzioni ecclesiasti-che e vita socio-religiosa negli Statiitaliani dal Settecento alla Restaura-zione”. Il titolo è leggermente fuor-viante nel senso che quello che vienepreso in esame è soprattutto il fun-zionamento, e i cambiamenti, dellostato centrale, con qualche “devia-zione” umbra dovuta alla presenzadi studiosi dell’ateneo perugino

(Chiacchella, Coletti e Irace). Duele introduzioni, una di Caffiero eTosti e la seconda di Veronica Gra-nata (più che un’introduzione unvero e proprio saggio); tre le sezioniin cui il libro si ripartisce: la primasulla religione, la seconda su scienza,arti e lettere, la terza su politica, di-ritto e amministrazione. Lo scopo del volume, e del conve-gno, è quello di misurare come equanto nel periodo repubblicanoprima (1798-1799), ma soprattuttoin quello in cui il dominio napoleo-nico è diretto, le modernizzazionifrancesi incidono sugli equilibri del-la Restaurazione e sullo scontro tracoloro che pensano ad una riformadello Stato ecclesiastico e i reazionariintransigenti presenti nella Curia ro-

mana. Come sosteneva nel 1815 Er-cole Consalvi, primo ministro diPapa Pio VII: “Il modo di pensare ècambiato. Le abitudini, gli usi, leidee tutto è cambiato”. Consalvinon riuscirà ad imporre la sua ri-forma e ai tentativi di ammodernareleggi, istituzioni, apparati, corri-sponderà una resistenza sorda e te-nace che alla fine provocherà larovina dello Stato teocratico.

I palazzi pubblici di Foligno, a curadi Fabio Bettoni, Quattroemme, Pe-rugia 2014.

Il bel volume curato da Fabio Bet-toni è un’analisi storica, tipologica,architettonica, evolutiva, simbolica,delle sedi del potere comunale a Fo-

ligno in un periodo che va dal XIIIal XXI secolo. L’attuale palazzo cheospita l’amministrazione civica, in-fatti, rappresenta solo l’ultima evo-luzione di una vicenda di lungoperiodo che comincia agli inizi delDuecento e vede la prima espan-sione architettonica nell’attuale sededel palazzo Onofri, recentementeacquisto dalla municipalità, per poisvilupparsi verso via Gramsci fino asaturare l’intero asse della piazza.Questa situazione si completerà aQuattrocento avanzato, raggiugen-do il massimo dell’espansione con lasignoria dei Trinci che durerà fino al1439. Nel 1546 inizierà la costru-zione dell’attuale palazzo comunaleche si concluderà nel 1642. L’edifi-cio verrà rimaneggiato a più riprese,

per ultimo successivamente al terre-moto del 1997, lavori terminati nel2013. Insomma tutta l’asta che fron-teggia la Cattedrale è stata sede delpotere civile, che - come in moltecittà europee - si contrappone anchefisicamente ai palazzi del potere re-ligioso. Il volume analizza le diverse valenzecon un complesso articolati di saggiche coinvolge studiosi di diverse di-scipline (storici, architetti, urbanisti,storici dell’arte). Lo stesso oggetto viene affrontato dadiverse angolazioni a cui fanno dacorredo planimetrie, foto di esternie d’interni a cominciare dagli affre-schi. Ne emergono i caratteri archi-tettonici e simbolici, la dimensionee la definizione della piazza. In-somma un lavoro che assume il ca-rattere di un cantiere in cui ognunocon i suoi strumenti si riunisce in-torno allo stesso oggetto, un po’ unarbeitsplatz che consente di com-prendere il passato ed il presente diuna comunità cittadina.

l centenario dello scoppio della prima guerra mondialeha prodotto innumerevoli mostre, rievocazioni, inizia-tive editoriali a tutti i livelli, sfiorando anche il dibattito

politico. Ovviamente la logica della divulgazione mediatica -che spesso riproduce il meccanismo di selezione simbolicaproprio della memoria - tende ad appiattire fenomeni com-plessi e stratificati su momenti chiave e date simbolo. Nel casospecifico c’è quindi poco da storcere il naso per la retrodata-zione dell’inizio della grande guerra dai primi di agosto 1914(quando partirono le dichiarazioni di guerra incrociate traFrancia, Inghilterra, Russia e Germania e Austria, la quale il28 luglio aveva attaccato la Serbia) al fatidico 28 giugno 1914,quando il nazionalista serbo Gavrilo Princip uccise a Sarajevol’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie. Che quell’atten-tato fu la scintilla che accese la miccia della guerra lo sap-piamo fin dalle elementari, ma già alle medie abbiamoimparato a distinguere tra cause occasionali e ragioni difondo. Chiunque abbia poi un minimo approfondito la que-stione sa benissimo che la strada che portò da un atto quasiannunciato (la visita alla Bosnia-Erzegovina annessa dagliAsburgo in spregio dei trattati internazionali era un’apertaprovocazione; l’uccisione avvenne mentre l’arciduca tornavadalla visita dei feriti di un attentato di poche ore prima) adun conflitto di dimensioni mai viste, era stata costruita dalleprincipali potenze europee con anni di riarmo forsennato,conquiste coloniali e minuziosi piani bellici. Parlando solo delmese che separa l’attentato dall’inizio delle ostilità, fu l’im-pero tedesco a insistere sull’Austria perché presentasse alla Ser-bia un ultimatum durissimo: la Germania vedeva giunto ilmomento di mettere in atto contro la Francia il Piano Schlief-fen, elaborato molti anni prima; e fu l’Impero Russo a spin-gere sulla Serbia perché tenesse duro, impaziente di espandersinei Balcani e di proiettare all’esterno contraddizioni socialiesplosive. E l’Italia che entrò in guerrà nel 1915, quando nonsolo le ragioni ma anche la trasformazione del conflitto in unalogorante guerra di trincea erano palesi? Stupisce quindi sen-tire riemergere interpretazioni fondate sulla “fatalità” che

avrebbe condotto alla catastrofe. Passi che a pronunciare certefrasi (un nutrito gruppo di persone, capi di stato e governantihanno agito come sonnambuli, non si sono resi conto di cosa stes-sero combinando, “L’Espresso”, 3 luglio 2014, p. 64) sia l’ul-timo rampollo degli Asburgo, Carlo: in lui gioca unmeccanismo di autodifesa “di classe”. Preoccupa invece che illuogo comune della ineluttabilità degli avvenimenti venga ri-preso da quanti sono impegnati in prima fila nella battagliapacifista. Sul “Corriere dell’Umbria” Flavio Lotti, coordina-tore della Marcia PerugiAssisi, inizia così la commemorazionedell’attentato di Sarajevo: “Il 28 giugno di cento anni fa ungiovane di neanche vent’anni innescò a Sarajevo la prima guerramondiale. Accadde in un attimo. Due soli colpi di pistola basta-rono a generare una immensa carneficina, 20 milioni di morti,21 milioni di feriti, mutilati e invalidi e una serie numerosa dialtre guerre che in alcune parti del mondo come il Medio Orientenon sono ancora finite. Nessuno aveva previsto quello che sarebbesuccesso. Nessuno lo aveva neanche immaginato.” Come ab-biamo già detto, tanto l’attentato quanto il conflitto eranonon solo previsti ma voluti e preparati dalla maggioranza delleclassi dirigenti europee dell’epoca. Non si tratta di fattoriemersi a posteriori nella storiografia, ma di elementi ben pre-senti nel dibattito contemporaneo: almeno dalla fine dell’800l’Internazionale socialista denunciava la tendenza “naturale”del capitalismo alla guerra, prima per l’accaparramento dellecolonie e poi per il predominio europeo. La sconfitta del mo-vimento operaio sarà nella sua incapacità di opporsi ad unaguerra che aveva ampiamente previsto. E’ su questo che oggici si dovrebbe interrogare, ovvero sui meccanismi specifici chegenerano i conflitti, e sulle possibilità di opporvisi, piuttostoche su astratte questioni di coscienza. Lotti conclude: “Infondo, se due colpi di pistola hanno potuto scatenare una guerra,una marcia della pace può dare inizio a una nuova storia”. Unaconclusione coerente con le premesse, cioè altrettanto gene-rica e illusoria. Capiamo che fare il pacifista di professione siaimpegnativo, ma riservare un po’di spazio allo studio dellastoria non farebbe male.

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la battaglia delle idee

libri

Editore: Centro di Documentazione e RicercaVia Raffaello, 9/A - PerugiaTel. 075.5730934Tipografia: Litosud SrlVia Carlo Pesenti 130 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96 N.38/96

Direttore responsabile: Stefano De CenzoImpaginazione: Giuseppe Rossi

Redazione: Alfreda Billi, Franco Calistri,Alessandra Caraffa, Renato Covino, OsvaldoFressoia, Anna Rita Guarducci, Salvatore LoLeggio, Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini,Enrico Mantovani, Roberto Moniccchia, Saverio

Monno, Maurizio Mori, Francesco Morrone,Rosario Russo, Enrico Sciamanna,Marco Venanzi, Marco Vulcano.

Chiuso in redazione il 22 /07/2014

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Guerrafondai (e pacifisti) inconsapevoliRoberto Monicchia

16c u l t u r alug l io 2014