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Settembre 2013 BUSINESS RUSSIAITALIA Food & Wine Dove vincono i pastai Ma il mercato da conquistare resta enorme, come anche gli ostacoli distanze, trasporti e, soprattutto, dazi e burocrazia doganale. Così i grandi puntano a produrre in loco di Franco Canevesio L a guerra di posizione che si combatte sulle tavole è dura come quella sulle rive idei Don. Distanze infinite e I sistemi di protezione, certi- ficazioni e burocrazia sono cortine di sbarramento che rendono complicata la penetrazione dei prodotti italiani. Che però si fanno largo a colpi di ma- de in Italy. Nella pasta, con Colussi e De Cecco, che vincomo le rispettive battaglie, nei dolci con Ferrerò che è diventato un colosso da centinaia di milioni di fatturato, nelle carni, dove Cremonini macella e sforna hambur- ger persino per Mcdonald's, nei vini dove l'Italia ha battuto la Francia nella corsa alle esportazioni (box alla pa- gina seguente). Ma ovviamente non basta, perché in ballo c'è un mercato da decine di miliardi di euro, a stare stretti. Che la Russia sia la Mecca dell'agrolimentare lo attestano sia i dati che parlano di un mercato da 350 miliar- di di euro l'anno, addirittura, sia la messe di iniziative che convergono verso il Paese. «La Russia oggi è l'unico dei Bric che rappresenta un mercato concreto e non solo un'ipote- si futura per il food italiano. È tutto l'alimentare italiano ad attirare i russi, come fosse uno stile di vita. Se un prodotto ha una marca italiana attira subi- to l'attenzione», ha spiegato Luigi Consiglio, presidente di Gea, consulente di direzio- ne aziendale che, dopo aver focalizzato l'attenzione sul mercato cinese, quest'anno ha punta- to tutto su Russia business incubator. Secondo il ministero per lo Sviluppo economico negli ultimi dieci anni, dal 2003 al 2012, mentre il valore dello scambio commerciale tra Italia e re- sto del mondo è stato del 105%, quello tra Italia e Russia è stato del 134,5%. Consiglio avverte tuttavia che ci sono mille Russie, con dodici fusi orari, tra- dizioni e popoli diversissimi. Mosca e San Pietroburgo hanno redditi più alti e modelli di consumo diversi ri- spetto al resto della Federazione: la capitale attrae ma resta la quarta città più cara del mondo e richiede inve- La Russia oggi è l'unico dei Bric che rappresenta un mercato concreto e non solo un'ipotesi futura per il food italiano. È tutto l'alimentare ad attirare i russi Paolo Boriile e, sopra, Giovanni Ferrerò. In alto a sinistra, Alfio Colussi e Filippo De Cecco, numero uno dell'azienda abruzzese. Tranne Boriila, gli altri tre marchi hanno produzioni in Russia stimenti il cui ritorno non sempre è immedia- to. Meglio sarebbe puntare su centri più piccoli, nei quali la classe media è in crescita e il mercato è in forte espansione. Quello che è successo a Vladimir, a 190 chilo- metri da Mosca, in una regione industriale dove hanno trovato posto quasi 300 stabilimenti di società straniere. Tra queste il grup- po Ferrerò, attivo in Russia dal 1995: dal 2008 produce in loco con una fab- brica che sorge su una superficie di 80 mila metri quadrati e con mille dipen- denti (200 fissi e 800 stagionali). Uno stabilimento costato oltre 200 milio- ni di euro, che produce oltre 33 mila tonnellate di mercé (distribuite in tut- ta la Federazione) con quattro linee di produzione: Kinder Sorpresa, Nutella, Kinder Cioccolato e Raffaello: gli ul- timi due sono i più comprati dai russi mentre la Nutella si sta conquistando lentamente il mercato. Ferrerò comunque resta fuori dal no- vero dei prodotti esportati che l'anno scorso hanno fruttato 462,2 milio- ni di euro, il 7,8% in più rispetto al 2011, quasi il doppio rispetto a quanto esportano Cina e Francia. E anche nei primi quattro mesi di quest'anno, l'Ice certifica che le specialità alimentari italiane hanno venduto per oltre 145 milioni, cioè il 6,8% in più rispetto al- lo stesso periodo del 2012, ma con un trend di crescita che è la metà di quello del complesso delle merci esportate. Ma molto meglio della media stan- no facendo quest'anno gli spumanti (17,6 milioni di euro, +567% nei quat- tro mesi), che superano le bollicine francesi, e i vini imbottigliati (26 mi- lioni, +25%), le acque minerali, che raddoppiano, formaggi e latticini, che fruttano 8,3 milioni di euro (+43%), caffè, e te (10,2 milioni, +21%), pastic- ceria e panetteria (8,2 milioni, +17%) e l'olio extravergine che con +12% ar- riva a 3,2 milioni. La pasta merita un discorso a parte. L'export 2012 è stato di 12,2 milioni, il 29% in più rispetto a un anno prima, ma il mercato cresce ogni anno co- stante di un +0,5%. L'Italia ha il 40% di quota di mercato sull'import totale con la distribuzione concentrata nella ristorazione e nei supermercati di lus- so. I 3/4 del mercato della pasta, però, sono ancora in mano a tre produttori russi: InfoLink, Ekofis e Makfa. Ma anche in questo caso c'entra l'Italia. InfoLink è il partner russo dell'italia- nissima Colussi che in Russia ha due stabilimenti. Il patron Angelo Colussi nel 2001 ha messo piede in Russia ac- quistando il marchio Maltagliati per poi, dieci anni dopo, consolidare la

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Settembre 2013

BUSINESS

RUSSIAITALIA Food & Wine

Dove vincono i pastaiMa il mercato da conquistare resta enorme, come anche gli ostacoli distanze, trasporti

e, soprattutto, dazi e burocrazia doganale. Così i grandi puntano a produrre in locodi Franco Canevesio

La guerra di posizione chesi combatte sulle tavole èdura come quella sulle rive

idei Don. Distanze infinite eI sistemi di protezione, certi-

ficazioni e burocrazia sono cortine disbarramento che rendono complicatala penetrazione dei prodotti italiani.Che però si fanno largo a colpi di ma-de in Italy. Nella pasta, con Colussi eDe Cecco, che vincomo le rispettivebattaglie, nei dolci con Ferrerò che èdiventato un colosso da centinaia dimilioni di fatturato, nelle carni, doveCremonini macella e sforna hambur-ger persino per Mcdonald's, nei vinidove l'Italia ha battuto la Francia nellacorsa alle esportazioni (box alla pa-gina seguente). Ma ovviamente nonbasta, perché in ballo c'è un mercatoda decine di miliardi di euro, astare stretti. Che la Russia siala Mecca dell'agrolimentare loattestano sia i dati che parlanodi un mercato da 350 miliar-di di euro l'anno, addirittura,sia la messe di iniziative checonvergono verso il Paese. «LaRussia oggi è l'unico dei Bricche rappresenta un mercatoconcreto e non solo un'ipote-si futura per il food italiano. Ètutto l'alimentare italiano adattirare i russi, come fosse unostile di vita. Se un prodotto hauna marca italiana attira subi-to l'attenzione», ha spiegatoLuigi Consiglio, presidentedi Gea, consulente di direzio-ne aziendale che, dopo averfocalizzato l'attenzione sulmercato cinese, quest'anno ha punta-to tutto su Russia business incubator.Secondo il ministero per lo Sviluppoeconomico negli ultimi dieci anni, dal2003 al 2012, mentre il valore delloscambio commerciale tra Italia e re-sto del mondo è stato del 105%, quellotra Italia e Russia è stato del 134,5%.Consiglio avverte tuttavia che ci sonomille Russie, con dodici fusi orari, tra-dizioni e popoli diversissimi. Moscae San Pietroburgo hanno redditi piùalti e modelli di consumo diversi ri-spetto al resto della Federazione: lacapitale attrae ma resta la quarta cittàpiù cara del mondo e richiede inve-

La Russia oggi èl'unico dei Bricche rappresentaun mercatoconcreto e nonsolo un'ipotesifutura per il food

italiano. È tuttol'alimentare adattirare i russi

Paolo Boriile e, sopra,Giovanni Ferrerò. Inalto a sinistra, AlfioColussi e Filippo DeCecco, numerouno dell'aziendaabruzzese.Tranne Boriila,gli altri tremarchihannoproduzioniin Russia

stimenti il cui ritorno nonsempre è immedia-

to. Meglio sarebbepuntare su centri piùpiccoli, nei qualila classe media è in

crescita e il mercatoè in forte espansione.Quello che è successo

a Vladimir, a 190 chilo-metri da Mosca, in una

regione industriale dovehanno trovato posto quasi

300 stabilimenti di societàstraniere. Tra queste il grup-

po Ferrerò, attivo in Russia dal 1995:dal 2008 produce in loco con una fab-brica che sorge su una superficie di 80mila metri quadrati e con mille dipen-denti (200 fissi e 800 stagionali). Unostabilimento costato oltre 200 milio-ni di euro, che produce oltre 33 milatonnellate di mercé (distribuite in tut-ta la Federazione) con quattro linee diproduzione: Kinder Sorpresa, Nutella,Kinder Cioccolato e Raffaello: gli ul-timi due sono i più comprati dai russimentre la Nutella si sta conquistandolentamente il mercato.Ferrerò comunque resta fuori dal no-vero dei prodotti esportati che l'annoscorso hanno fruttato 462,2 milio-ni di euro, il 7,8% in più rispetto al2011, quasi il doppio rispetto a quantoesportano Cina e Francia. E anche neiprimi quattro mesi di quest'anno, l'Icecertifica che le specialità alimentariitaliane hanno venduto per oltre 145milioni, cioè il 6,8% in più rispetto al-lo stesso periodo del 2012, ma con untrend di crescita che è la metà di quellodel complesso delle merci esportate.Ma molto meglio della media stan-no facendo quest'anno gli spumanti(17,6 milioni di euro, +567% nei quat-tro mesi), che superano le bollicinefrancesi, e i vini imbottigliati (26 mi-lioni, +25%), le acque minerali, cheraddoppiano, formaggi e latticini, chefruttano 8,3 milioni di euro (+43%),caffè, e te (10,2 milioni, +21%), pastic-ceria e panetteria (8,2 milioni, +17%)e l'olio extravergine che con +12% ar-riva a 3,2 milioni.

La pasta merita un discorso a parte.L'export 2012 è stato di 12,2 milioni,il 29% in più rispetto a un anno prima,ma il mercato cresce ogni anno co-stante di un +0,5%. L'Italia ha il 40%di quota di mercato sull'import totalecon la distribuzione concentrata nellaristorazione e nei supermercati di lus-so. I 3/4 del mercato della pasta, però,sono ancora in mano a tre produttorirussi: InfoLink, Ekofis e Makfa. Maanche in questo caso c'entra l'Italia.InfoLink è il partner russo dell'italia-nissima Colussi che in Russia ha duestabilimenti. Il patron Angelo Colussinel 2001 ha messo piede in Russia ac-quistando il marchio Maltagliati perpoi, dieci anni dopo, consolidare la

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Settembre 2013

BUSINESSFood 8c Wine RUSSIAITALIA

FORNELLI \H ORBITA ALL'OMBRA DEL CREMLINO

^uarantasette anni l'uno, 58 l'altro. Bresciano il primo, siciliano docI secondo. Valentino Bontempi e Nino Graziano non potrebPero

essere più diversi, Li accomuna la professione, entrambi chef d'altorango, e la destinazione che hanno scelto per il loro successo: Mosca,Russia, Con motivazioni così distanti che sembrano fatte apposta, «Erostufo dell'Italia, dove uno come me, figlio di operai, non potrà maicrescere nella sua professione, perché davanti ci sono troppe gerarchie.All'estero invece se hai capacità e voglia di fare è più facile mettersi inmostra e salire i gradini», ha confessato Bontempi, nella capitale russadal 2004, dieci anni di successi e stima, prima al Settebello poi, dal2010, nel suo Ristorante Bontempi, nel cuore di Mosca, sulle rive dellaMoscova, di fronte alla Cattedrale del Cristo Redentore, Al contrarioGraziano, unico chef siciliano a cui la guida Michelin abbia assegnatodue stelle per il suo Mulinazo alla Bolognetta, piccolo comune inprovincia di Palermo, dell'Italia non era affatto stanco. «In Sicilia ero ilnumero uno, ma bisogna pure mettersi in gioco.E poi, in Sicilia, prima o poi il lavoro finisce sempreper scarseggiare», ha spiegato, Nel 2005 non haresistito alle sirene russe: due soci che avevanoaperto il ristorante Semifreddo e volevano lui perfarlo girare a dovere. Graziano ha accettato e orasovrintende al Semifreddo Mulinazzo di fronte al

' Cremlino, 140 coperti per 25 mila euro di incassoal giorno: per la critica è il miglior ristorante italianoa Mosca. A seguire, nel 2003 apre la primaAkademia, una catena di 15 ristoranti (due ancorain costruzione) di livello «per la classe media»,tutti a Mosca che propongono cucina italianafusion e costano circa 40 euro la spesa media.L'anno scorso, Graziano ha coronato il sogno di farmangiare la granita siciliana ai moscoviti nel suoristorante, la Bottega Siciliana, di fronte al Bolscioi,settecento metri quadri, più di 250 coperti, congelaterìa, pizzeria e pasticceria, ovviamente,siciliana, 140 mila dollari al mese di affitto, giàconsiderato il nuovo emblema della cucinaitaliana a Mosca, Qui, di media, sì spendono 80euro ma con le bottiglie pregiate della cantina(Tignanello, Brunelle da oltre 200 euro) si sfondano anche le migliaia dieuro, «Questo è il momento che a Mosca si può fare il regionale italiano.E io lo faccio: obbligo i russi a mangiare solo italiano, ma a modo mio.Richiestissimi calamaretti coi carciofi e polipetti in umido, poi il tonnocucinato in ogni maniera e il tortino alle melanzane, che funziona anchequi». Nel suo ristorante sfilano i bei nomi del jet set («ieri c'era Depardieu,viene spesso Fabio Capello, le mogli di Putin e di Medvedev sonomie clienti») anche se la Bottega Siciliana è più conosciuta come unristorante d'affari, Per tutti i clienti, comunque, Graziano fa arrivare ognigiorno la pasta di Gragnano e gli altri prodotti che serve, meno la carne,che non arriva dall'Europa. «Dopo la mucca pazza le importazioni sonostate bloccate, lo la prendo negli Stati Uniti o in Australia», ha spiegatoGraziano. Il glamour russo (ministri e deputati), giornalisti, stilisti emergenti,si danno appuntamento invece ai tavoli del Bontempi, «Sono semprestato abituato a lavorare coi ricchi che non hanno problemi a spendere.

IValentino Bontempi, 47 anni, bresciano e (a sinistra) NinoGraziano, 58 anni, siciliano: sono i nuovi re dei fornelli diMosca, che si contendono la clientela à la page

Ho creato una locanda su un'isola in cui facciocucina di ottima qualità ma spartana: un bel piattoma andamento da locanda. Il senso? Cercare lostile italiano e una cucina senza compromessi»,ha spiegato Valentino, I coperti variano, sono 92in inverno su due piani e anche 300 in estate. Senon prenoti non mangi. «Ho appena preparato unmenù per il compleanno di una coppia in verandariservata», spiega lo chef, Sono 60 persone,vogliono 42 bottiglie di champagne Dom Perignon2004 da 400 dollari a bottiglia, 20 bottiglie diMagnum Lafoa Sauvignon da 300 dollari cadauna,un centinaio di bottiglie di rosso - alcune costano400 dollari l'una - e 12 bottiglie di Solaio da 800dollari ciascuna. «Clienti così non mi capitano tuttii giorni e comunque io non avrei ordinato così.Però sono contento per il nostro made in Italy», hadetto Bontempi che ammette di fatturare «in un

paio di giorni quello che un ristorante italiano fattura in una settimana».I prodotti base, olio, salumi, formaggi e vino li compra dall'Italia mentreil pesce è francese, la carne è australiana, solo manzo e vitello sonocanadesi e frutta e verdura invece sono russe. «Odio la rucola e l'orata.La prima perché tra poco ci fanno anche gli shampoo. L'orata nonpiace a me e comunque, a parità di prodotto, preferisco far conoscerealtro pesce come acciughe fresche, sgombri, sardine, bianchetti, tuttorigorosamente fresco», ha ammesso Bontempi che adesso vuole avviareun nuovo brand, una vera locanda, II vino merita un discorso a sé, Glipiace il Lugana Cà dei frati, delle sue parti: il fornitore glielo vende a 700rubli (17 euro), lui lo fa pagare 1.900 (45 euro) a bottiglia, Mensilmentene vende circa 100 bottiglie, perché lo serve anche al bicchiere. Sui vinivuole tenere i prezzi bassi, il 30% di meno, degli altri. «Preferisco che imiei clienti bevano di più e, visto che questi vini sono già cari, è meglioche siano abbordabili», ha concluso,

sua presenza tramite la joint venturetia 100 milioni di dollari con AndrejGurov, fondatore di InfoLink. OggiColussi dalla Russia porta a casa oltre100 milioni di euro di ricavi sui 600milioni complessivi. Un gigante comeBarilla invece si accorge solo oggi del-la Russia definita dal vicepresidente delgruppo, Paolo, «un grande mercato chemerita, a partire dal 2014, una distribu-zione più capillare, al di là di Moscae San Pietroburgo» e investimenti incomunicazione e advertising: l'ipote-si, ha dichiarato Barilla di recente, èintrodurre «nuove linee di produzione

per la pasta in una fabbrica di nostraproprietà finora dedicata ai prodotti daforno». De Cecco, dal canto suo, s'èfiondato in Russia dove, un paio d'an-ni fa, ha acquisito dall'oligarca AndreiKovalov il gruppo Pmk, Piervaia maka-ronnaia kompania, che con 600 addettinegli stabilimenti di Mosca, Smolenske San Pietroburgo, produce circa un mi-lione di quintali di pasta l'anno (il 10%del mercato) e fattura una sessantina dimilioni di euro l'anno. L'investimentodella multinazionale abruzzese è statodi circa 40 milioni di euro ma l'acqui-sizione è strategica, visto che quello

russo è il quarto mercato mondiale perconsumo di pasta con 240 milioni dipossibili consumatori: già ora il 39%del fatturato estero di Colussi (393 mi-lioni di euro quello complessivo 2012)arriva dalla Russia. Infine Makfa, con225 milioni di confezioni di pastavendute nel 2012, è il primo produt-tore russo e ha un legame speciale conl'Italia. Tutta la sua linea di produzio-ne è targata Pavan, che si occupa dicostruire macchinali per la lavorazio-ne dei cereali. Il 2012 si è chiuso conun giro d'affari da 136 milioni di eu-ro e dalla Russia arriva ogni anno più

o meno il 20% di questo fatturato. Haraccontato Antonio Piccoli, dal 1992direttore di Pavan in territorio russo:«II gruppo è in Russia dall'inizio de-gli anni 90, ha installato oltre 100 lineedi produzione ponendosi come leadernel settore degli impianti per paste ali-mentari, snack, cereali da colazionee, negli ultimi tempi, anche nel set-tore dei mulini col marchio GolfettoSangati». In vent'anni Pavan ha svilup-pato macchinali e processi in sintoniacon le richieste di mercato russo. «Uncaso emblematico è la pasta ripiena»,ha spiegato Piccoli. Per produrre quella

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BUSINESS

RUSSIAITALIA Food & Wlne

Luigi Consiglio di Gea. «La Russiaè l'unico dei Bric che rappresentaun mercato concreto e non soloun'ipotesi futura»

tipica russa, i pelmeni, diversi dai no-stri tortellini e ravioli per il ripieno dicarne cruda e non cotta, per il rappor-to ripieno-sfoglia e per la forma, Pavanha dovuto modificare gli impianti clas-sici usati per la produzione dei ripieniin Italia. «Nel periodo sovietico la pa-sta era consumata alla nordica, cioècome contorno», ha ricordato Piccoli,«negli ultimi tempi, grazie ancheai ri-storanti italiani e alla promozione, ilconsumo va verso l'utilizzo della pastacome piatto a se stante, garantendone

Un ostacolosono i dazi che siintrecciano conla burocraziadelle dogane. LaRussia è stato ilsecondo paesedel G20 adadottare misureprotezioniste

l'aumento di consumo prò capite». Peradesso, il consumo di pasta alimentaresupera il milione di tonnellate l'anno.Decentrare, dunque, diventa la paro-la d'ordine, ma oltre le distanze, altrigrossi ostacoli creano problemi a chivuole esportare o pensa di produrre inloco: la carenza di infrastnitture, le dif-ficoltà di trasporto, le dogane e, più ingenerale, il peso della burocrazia. Peradeguarsi agli aspetti sanitari esisto-no certificazioni complesse e moltorestrittive rispetto agli standard euro-pei. Un secondo ostacolo sono i daziche si intrecciano con la burocrazia

delle dogane. Secondo un'analisi del-la Commissione europea, la Russia èstato il secondo paese del G20 ad avereadottato il maggior numero di misureprotezioniste da inizio crisi: 71 su 424totali, provocando un danno da 860 mi-lioni di euro l'anno alle vendite Uè edi quasi 90 milioni all'Italia, che ha il10% di quota di mercato. Per il settoreagroalimentare, inoltre, l'Unione do-ganala Federazione Russa, Bielorussiae Kazakistan che ha incominciato afunzionare da quest'anno come uni-co spazio economico al suo interno,presenta ancora all'esterno normativecomplesse e restrttive. complessa e re-strittiva. Il comitato delle dogane russeè un ente autonomo, uno Stato nelloStato, è uno degli enti più potenti ancheperché la Russia vive sull'export dellematerie prime e ha bisogno di pro-teggersi da un import indiscriminato.Nell'ampio alveo dell'argomento do-gane e dazi si erge il problema dell'Iva.O meglio, le Iva. Perché all'impostada versare alla dogana all'entrata del-la mercé, 18-19%, si aggiunge l'altra,quella da versare allo Stato quando ilbene è entrato e viene venduto. In quasitutto il mondo l'Iva viene pagata so-lo dopo che l'importatore ha vendutola mercé, in Russia si paga quando lamercé entra nel paese. Ma, sostengonogli esperti, le garanzie emesse da istitutirussi nel territorio nazio-nale non sono utilizzabiliper emettere le lettere dicredito (emesse da istitutidi credito come garanziao per ottenere finanzia-menti, in caso di importo export) o di altre formeinternazionali di garanziebancarie.

Per cui, senza garanzie, a chi importain Russia per rivendere, non resta cheanticipare l'Iva oppure, a mali estre-mi, cofinanziarsi un magazzino. Ilproblema nel problema è l'Iva chebisogna pagare allo Stato primaancora di avere venduto il be-ne importato. Perché o si vendeil bene prima ancora di aver-lo fatto entrare in Russia (ein questo caso s'incassa l'Ivache poi si versa al momentodell'ingresso in Russia) op-pure si entra in Russia colbene invenduto anticipandocomunque l'Iva. Non solo:come spiega Piccoli, che conla sua Pavan sperimenta daanni il perverso sistema russo,«per le società commerciali o ditrading, se dal momento dell'in-casso dell'anticipo al momentodella data di importazione sono pas-sati più di tre mesi, la società deveversare all'erario l'Iva sull'antici-po ricevuto e poi, quando arriva lamercé in dogana, deve versare l'Ivasull'intero bene». Quindi, alla fine, ri-sulta che sull'importo dell'anticipoil malcapitato deve versare l'Ivadue volte.

IGiovanni Mantovani(sopra), direttoregenerale di Vinitaly eFabio Carlesi

Mosca in cantina

ITALIA BATTE FRANCIA UNO A ZERO

II 54% dei vini che importiamo in Russia sono ,italiani. Il primato 2012 se l'è aggiudicato Éfèg

l'Asti con 12 mila litri di import, un po' perché èaromatico, un po' perché è targato Bacardi.Dietro c'è il vino da tavola generico, poi lebollicine non Asti, cioè Prosecco, Franciacortao Langhe, e poi il Chianti, soprattutto il Chianticlassico, che va forte dove iniziano le bottiglievere». Parola di Anatoly Korneev, 44 anni,proprietario e fondatore nel 1994 di SimpleGroup, 180 milioni di euro dì fatturato 2012,importatore numero 1 di più di 60 marchi italianitra cui Ca' del Bosco, Lungarotti, Zenato, Perchéil mercato russo del vino è strano, sostienel'esperto, Si divide per fasce di prezzo. «Due terzidei vini di prezzo medio e alto, viene vendutoa Mosca, il 10% a San Pietroburgo. Scendendodi prezzo la proporzione è: Mosca 50% delmercato, il resto della Russia è l'altro 50%", haspiegato Korneev. Bollicine o meno, in Russiaanche la Francia è dietro all'Italia, nel vino.Secondo Eurostat, nel 2011 l'export (118 milionidi euro) ha ragiuntoil massimo, quasi il doppiorispetto ai livelli del 2008, E dopo un calo nel2012, sta riprendendo bene: +48% nelprimotrimestre, anno su anno, II sorpasso storico suifrancesi (25,2% del mercato contro il 24,3%) èavvenuto nel 2012. Fabio Carlesi, direttore generale dell'Enoteca italiana diSiena, è stato uno dei primi, nel 1989, a investire sul mercato russo. «Abbiamo

invitato a Siena e formato in pochi mesi oltre100 sommelier che poi sono tornati in Russiae hanno a loro volta formato altri esperti», haspiegato Carlesi, che ha definito il mercatorusso altalenante. «Va meglio o peggioa seconda dei dazi, delle tasse, materiecomplesse da quelle parti». «Le proceduresono complicate e i dazi incidono tanto.Una bottiglia di Amarone che in un'enotecaitaliana costa 35 euro in Russia come nienteviene venduta a 75 euro», ha raccontatoAlessandro Boscaini, settima generazionedella famiglia proprietario di Masi Agricolae direttore vendite, L'importatore devefar sapere all'ufficio doganale il numeroesatto di bottiglie che verranno importate,l'ufficio emette una sua etichetta, delle

fascette di carta simili a quelle che si mettono in Italia sullebottiglie di grappa, Queste vengono applicate sulle bottigliee solo dopo potranno entrare in Russia. «Ma spesso evolentieri queste etichette vengono cambiate da mattinaa sera, Avere l'etichetta sbagliata vuoi dire avere il vinobloccato in dogana per giorni», ha rivelato Boscaini. Ilgioco comunque vale la candela perché quello russoè «un mercato che da soddisfazioni». Masi nei 2012 hafatturato un +30% rispetto al 2011 e si appresta a bissarequest'anno, potenziando la provincia e le città secondarie

come Novosibirsk ed Ekaterininburg. D'altra parte il mercato,dicono gli esperti, è destinato ad andare sempre più verso

il vino di qualità: secondo Carlesi i consumatori apprezzanoi nostri Barolo, Brunelle Amarone, Chianti, anche se restano«molto attenti al costo di una bottiglia». «Il Chianti classico èdiventato il brand più gettonato dai russi, per il rapporto qualitàprezzo e per il legame con l'adorata Toscana», ha concordatoKorneev, che rivela che se l'importatore lo paga 4,6 euro francocantina in Italia, in Russia sulla tavola del ristorante arriva a oltre60 euro. In materia ha parecchio da dire anche GiovanniMantovani, direttore generale di Veronafiere: col suo vinitaly dal2004 fa tappa a Mosca e con l'edizione di quest'anno, il 25e 26 novembre, punta a superare il record del 2012 con 200produttori italiani e oltre 2 mila operatori russi.

Andrej Korneev,fondatore di Simpleuno dei maggioriimportatori italiani divini pregiati (sopra

l'enoteca aMosca)